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CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
DIRITTO AMBIENTALE - Art. 135, c. 2 D.L.vo n. 152/2006 - Questione di
legittimità costituzionale - Infondatezza. E’ infondata la questione di
legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all’art. 117 Cost. -
dell’art. 135, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma non attiene infatti
alla materia della polizia amministrativa locale (art. 117, c. 4, Cost.) , ma si
limita ad indicare il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) quale
organo competente ad accertare le violazioni amministrative, senza privare delle
loro competenze gli organi di polizia amministrativa locale. Pres. Amirante,
Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria,
Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del
Consiglio dei Ministri -
CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Art. 136, D.L.vo n. 152/2006 - Sanzioni amministrative - Regolamentazione della destinazione del gettito - Scarichi e tutela della qualità dei corpi idrici - Competenza legislativa dello Stato. La disciplina delle sanzioni amministrative non costituisce una materia a sé, ma rientra nell’àmbito materiale cui le sanzioni stesse si riferiscono (ex multis, sentenze n. 384 del 2005 e n. 12 del 2004). Nel caso di cui all’art. 136 d.lgs. n. 152/2006, la regolamentazione della destinazione del gettito delle sanzioni è funzionale alla disciplina «delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza», e cioè alle sanzioni previste dal precedente art. 133, le quali si riferiscono a violazioni in materia di scarichi e di tutela della qualità dei corpi idrici, come tali ascrivibili alla materia della tutela dell’ambiente di competenza legislativa esclusiva dello Stato (come affermato da questa Corte con la sentenza n. 233 del 2009). Trattandosi di entrata statale, il potere di disporre l’immediata riassegnazione di tali somme ad individuate unità previsionali di base rientra nella competenza legislativa dello Stato. Il fatto che ciò avvenga attraverso il versamento delle somme «all’entrata del bilancio regionale» non significa che queste costituiscono “risorse autonome” delle Regioni alle quali non è apponibile un vincolo di destinazione. Il versamento all’entrata del bilancio regionale costituisce, infatti, una mera appostazione contabile, al fine di realizzare la destinazione al risanamento e alla riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici, cioè a finalità meramente ambientali. La circostanza che siano le Regioni a provvedere alla ripartizione delle somme fra gli interventi di prevenzione e di risanamento costituisce unicamente un’attribuzione di ulteriore autonomia alle Regioni stesse in una materia di esclusiva competenza legislativa statale. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Artt. 144-146 D.L.vo n. 152/2006 - Legge delega n. 308/2004 - Criteri per la gestione del servizio idrico integrato - Materie di competenza legislativa esclusiva statale - Ordinamento civile e tutela dell’ambiente. Gli artt. da 144 a 146 del d.lgs. n. 152 del 2006 rispettano il riparto delle competenze stabilito dalla legge delega n. 308/2004, perché, nel fissare «criteri per la gestione del servizio idrico integrato» (art. 88, comma 1, lettera h, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112), sono riconducibili a materie di competenza legislativa esclusiva statale. Infatti: a) l’art. 144, comma 1, nel prevedere che «Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato», disciplina il regime proprietario delle acque, che è sicuramente riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; b) i successivi commi dell’art. 144 attengono a materie riconducibili all’ordinamento civile e alla tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), perché disciplinano i criteri dell’uso delle acque, in relazione alla finalità di evitare sprechi, favorire il rinnovo delle risorse, garantire i diritti delle generazioni future e tutelare, tra l’altro, «la vivibilità dell’ambiente»; c) l’art. 145 è anch’esso riconducibile alla materia della tutela dell’ambiente, perché disciplina l’equilibrio del bilancio idrico, richiamando, al comma 1, i criteri e gli obiettivi di tutela di cui al precedente art. 144 e prevedendo, al comma 3, per i «bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti», la necessità di garantire «la vita negli alvei sottesi» e di «non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati»; d) l’art. 146 disciplina specificamente una materia senza dubbio riconducibile alla tutela dell’ambiente, quale il risparmio della risorsa idrica. La rilevata riconducibilità delle norme ai titoli di competenza legislativa esclusiva statale sopra indicati vale anche a far ritenere insussistente la violazione dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost. e del principio della leale collaborazione, perché esclude sia la competenza residuale regionale in materia di servizi pubblici locali (art. 117, quarto comma, Cost.) sia l’obbligo di prevedere strumenti di leale cooperazione con le Regioni, consentendo al legislatore statale di prevedere un potere regolamentare ministeriale (art. 117, sesto comma, Cost.). Non sussiste infine violazione dell’art. 118 Cost., perché la disciplina in esame non attribuisce funzioni amministrative, ma, in attuazione della legge di delegazione, si limita a precisare - nell’àmbito delle sopra indicate competenze legislative esclusive dello Stato - i «criteri di gestione del servizio idrico», cui le Regioni e gli altri enti interessati devono attenersi, senza che abbia alcun rilievo la generalità o la specificità di detti criteri. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Autorità d’ambito - Artt. 8 e 9 L. n. 36/1994 - Artt. 24-26 bis L. n. 142/1990 - Art. 148 D.L.vo n. 152/2006 - Razionalizzazione della gestione del servizio idrico. Le autorità d’àmbito erano già previste dagli artt. 8 e 9 della legge n. 36 del 1994 e dagli articoli da 24 a 26-bis della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), che ne consentivano l’istituzione, da parte delle Regioni, con strutture e forme giuridiche diverse alle quali pure partecipavano necessariamente gli enti locali, come le convenzioni, i consorzi, le unioni di comuni, l’esercizio associato delle funzioni. Tali disposizioni sono state attuate dalla legislazione regionale mediante l’adozione di moduli organizzativi scelti tra quelli consentiti dalle disposizioni stesse, seppure diversamente denominati (agenzie, consorzi, autorità). L’art. 148 d.lgs. n. 152/2006 razionalizza tale quadro normativo, superando la frammentazione della gestione del servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti competenze degli enti territoriali. In particolare, unifica le modalità di esercizio della gestione delle risorse idriche, prevedendo espressamente il trasferimento delle relative competenze dagli enti locali all’autorità d’àmbito; autorità della quale - come visto - gli enti locali necessariamente fanno parte. Tale razionalizzazione è, dunque, avvenuta - come richiesto dalla legge di delegazione - senza privare gli enti territoriali dei poteri amministrativi loro conferiti dal d.lgs. n. 112 del 1998. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Art. 148 D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Art. 117 Cost. - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all’art. 117 Cost - dell’art. 148 d.lgs. n. 152/2006. Invero, i poteri legislativi esercitati dallo Stato con la norma censurata attengono all’esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e della tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), materie che hanno prevalenza su eventuali titoli competenziali regionali ed, in particolare, su quello dei servizi pubblici locali. La disposizione attiene, infatti, alla tutela della concorrenza, laddove prevede il superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche attraverso l’individuazione di un’unica Autorità d’àmbito, allo scopo (come meglio si vedrà al punto 17.4.) di consentire la razionalizzazione del mercato, con la determinazione della tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap, diretto a garantire la concorrenzialità e l’efficienza delle prestazioni. La stessa disposizione attiene anche alla tutela dell’ambiente, perché l’allocazione all’Autorità d’àmbito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della “biosfera” intesa «come “sistema” [...] nel suo aspetto dinamico» (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007). Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Art. 148, c. 3 D.L.vo n. 152/2006 - Trasmissione al Ministero dell’ambiente dei bilanci consuntivi - Art. 117 Cost. - Obbligo di affissione dei bilanci - Illegittimità costituzionale. Premesso che la trasmissione dei bilanci consuntivi di cui all’art. 148, c. 3, d.lgs. n. 152/2006 è oggi riferibile al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e non all’Autorità di vigilanza, perché quest’ultima è stata soppressa dall’art. 1, c. 5 d.lgs. n. 284/2006, va rilevato che lo Stato può fissare obblighi di trasmissione ai fini di eventuali controlli, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., che assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia del «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale regionale e locale» (sentenze n. 417 e n. 35 del 2005, n. 376 del 2003, secondo le quali obblighi di questo tipo devono essere ritenuti legittimi, perché «espressione di un coordinamento meramente informativo»). La questione di legittimità costituzionale è, invece, fondata, in relazione alla previsione dell’obbligo di affissione dei bilanci. Si tratta, infatti, di una disciplina - peraltro di minuto dettaglio - che regola una specifica modalità di pubblicità, incidente sulla materia dei servizi pubblici locali, senza che possano essere invocati titoli competenziali statali quali la tutela della concorrenza o la tutela dell’ambiente. Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, nella parte in cui prevede che «I bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Art. 148, c. 5 D.L.vo n. 152/2006 - Comuni appartenenti alle comunità montane - Deroga alla gestione unica del servizio idrico integrato - Questione di legittimità costituzionale - Art. 117 Cost. - Infondatezza. L’art. 148, c. 5 d.lgs. n. 152/2006 attiene alla tutela dell’ambiente, con prevalenza rispetto alla materia dei servizi pubblici locali, perché giustifica la possibilità di deroghe all’unicità della gestione del servizio sul piano soggettivo, in ragione dell’elemento tipicamente ambientale costituito dalla peculiarità idrica delle zone comprese nei territori delle comunità montane. Se infatti le modalità dell’organizzazione del servizio idrico, nelle loro linee generali, sono riconducibili alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientra in tale competenza anche stabilire le condizioni in presenza delle quali i Comuni minori appartenenti alle comunità montane possono non partecipare alla gestione unica del servizio idrico integrato, e cioè che la gestione del servizio sia operata direttamente da parte dell’amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico controllata dallo stesso Comune. Ne consegue l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 117 Cost. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Servizio idrico integrato - Art. 148, c. 5 D.L.vo n. 152/2006 - Superamento della frammentazione delle gestioni - Questione di legittimità costituzionale - Art. 76 Cost. - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. - dell’art. 148, c. 5 d.lgs. n. 152/2006. Tanto il comma 5 dell’art. 148 quanto la legge n. 36 del 1994, richiamata dall’art. 8, comma 1, lettera b), della legge di delegazione, fissano infatti il principio del «superamento della frammentazione delle gestioni», che può realizzarsi, indifferentemente, sia con l’«unitarietà» delle gestioni, sia con l’«unicità». E ciò, a prescindere dalla considerazione che - anche a voler ritenere che la norma censurata abbia carattere innovativo - la delega legislativa avrebbe comunque consentito l’innovazione al fine della razionalizzazione della disciplina (sentenza n. 225 del 2009). Infatti, all’art. 1, comma 1, la delega prevede che il legislatore delegato provveda al «riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative […] anche mediante la redazione di testi unici»; e non pare dubbio che l’uso dei termini «riordino» e «integrazione» sia sufficiente a consentire interventi innovativi del legislatore. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Servizio idrico integrato - Art. 149 D.L.vo n. 152/2006 - Materia di appartenenza - tutela della concorrenza - Competenza legislativa esclusiva dello Stato. L’attività pianificatoria disciplinata dall’art. 149 d.lgs. n. 152/2006 deve essere ricondotta alla materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, perché è strettamente funzionale alla gestione unitaria del servizio idrico e ha, perciò, lo scopo di consentire il concreto superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, al fine di inserire armonicamente tale gestione in un piú ampio quadro normativo diretto alla razionalizzazione del mercato del settore. Data l’organizzazione del servizio in àmbiti territoriali ottimali gestiti ciascuno da un’autorità d’àmbito, il livello piú adeguato a cui allocare le funzioni amministrative di pianificazione è proprio quello dell’autorità d’àmbito medesima, cui partecipano obbligatoriamente i Comuni e le Province ai sensi dell’art. 148, comma 1. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti - Soppressione ad opera dell’art. 1, c. 5 D.L.vo n. 284/2006 - Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche - Differenze. Sussistono rilevanti diversità tra l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti (soppressa dall’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 284 del 2006) e il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche (art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006), quanto a struttura, composizione e competenze. In particolare: quanto alla struttura, l’art. 159, comma 2, prevede che sono organi dell’Autorità il presidente, il comitato esecutivo ed il consiglio, che si articola in due sezioni denominate “Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e “Sezione per la vigilanza sui rifiuti”, mentre il nuovo art. 161 non prevede per il Comitato alcuna specifica suddivisione in organi; quanto alla composizione, l’Autorità ha quattordici membri, tutti nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, di cui dieci sono designati da ministri e quattro dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome (art. 159, comma 2), mentre il Comitato ha sette membri, tutti nominati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di cui tre sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome (nuovo art. 161, comma 2); quanto alle competenze, quelle dell’Autorità comprendono il settore delle risorse idriche e quello dei rifiuti (art. 160), mentre quelle del Comitato sono limitate al settore delle risorse idriche e sono diverse da quelle dell’Autorità anche in tale settore (nuovo art. 161, comma 4). Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Piani d’ambito - Trasmissione alla Regione e al Ministero - Art. 117 Cost. - Obblighi informativi legittimamente fissati da legge statale. La trasmissione del piano d’àmbito alla Regione e al Ministero rientra fra i normali obblighi informativi, che possono legittimamente essere fissati dalla legge statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Servizio idrico integrato - Art. 150 D.L.vo n. 152/2006 - Gestione e procedure di affidamento del servizio - Tutela della concorrenza. Il richiamo ai commi 5 e 7 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, effettuato dall’art. 150 d.lgs. n. 152/2006, esprime la chiara volontà del legislatore di disciplinare aspetti generali attinenti alla tutela della concorrenza, quali la forma di gestione e le procedure di affidamento del servizio idrico integrato. Tali regole sono dirette ad assicurare la concorrenzialità nella gestione del servizio idrico integrato, disciplinando le modalità del suo conferimento e i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione medesima. In questo quadro, anche il superamento della frammentazione della gestione, perseguito attraverso l’affidamento unitario di quest’ultima in àmbiti territoriali ottimali, concorre alla piena realizzazione di tali finalità. La riconducibilità della norma censurata alla materia della tutela della concorrenza è, del resto, confermata dalla formulazione letterale del comma 1 dello stesso art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale prevede espressamente che le disposizioni che «disciplinano le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici locali», come quelle di cui ai commi 5 e 7 dello stesso articolo, «concernono la tutela della concorrenza […]». Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Autorità d’ambito - Art. 88 D.L.vo n. 11/1998 - Aggiudicazione della gestione - Tutela della concorrenza - Competenza legislativa esclusiva statale. L’art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998 non preclude che la legge statale attribuisca all’autorità d’àmbito le funzioni amministrative in tema di aggiudicazione. Infatti, detto articolo, al comma 1, lettera h), fa espressamente rientrare, fra i «compiti di rilievo nazionale» attribuiti allo Stato, quelli relativi «ai criteri per la gestione del servizio idrico integrato come definito dall’articolo 4 della legge 5 gennaio 1994, n. 36»; e non vi è dubbio che tra tali criteri rientri quello relativo all’aggiudicazione della gestione, che è un tipico strumento di tutela della concorrenza. Essendo l’aggiudicazione lo strumento attraverso il quale si realizza l’affidamento del servizio, rientra a pieno titolo nella materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Gestori del servizio idrico integrato - Dotazione - Art. 153 D.L.vo n. 152/2006 - Autonomia negoziale - Competenza legislativa esclusiva statale. La disciplina della dotazione dei gestori del servizio idrico integrato recata dall’art. 153 d.lgs. n. 152/2006, è riconducibile in prevalenza alla competenza legislativa esclusiva statale. La disposizione, infatti, nel riferirsi alle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali, che sono beni senza dubbio funzionali alla gestione del servizio idrico quale servizio pubblico locale, esclude in radice l’onerosità della concessione d’uso di tali infrastrutture al gestore del servizio ed incide, perciò, sulla tipologia contrattuale. Essa attiene, dunque, all’esercizio dell’autonomia negoziale in tema di concessioni-contratto e deve perciò essere ricondotta, secondo un criterio di prevalenza, alla materia dell’ordinamento civile, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e, quindi, all’esclusiva sfera di competenza legislativa dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 160 del 2009, n. 411 del 2008, n. 95 del 2007, n. 234 e n. 50 del 2005, n. 282 del 2004). Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Servizio idrico integrato - Tariffa - Natura - Corrispettivo contrattuale - Artt. 154 e 155 D.L.vo n. 152/2006. La tariffa del servizio idrico integrato, di cui agli artt. 154 e 155 d.lgs. n. 152/2006 ha natura non tributaria, ma di «corrispettivo contrattuale» (cfr. Sent. n. 335/2008). Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Servizio idrico integrato - Tariffa - Artt. 154 e 155 D.L.vo n. 152/2006 - Tutela dell’ambiente - Tutela della concorrenza - Competenza legislativa esclusiva statale. La disciplina degli artt. 154 e 155 d.lgs. n. 152/2006 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela dell’ambiente e alla tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Attraverso la determinazione della tariffa nell’àmbito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato, infatti, livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e «le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico) e 146 (Risparmio idrico). La finalità della tutela dell’ambiente viene, inoltre, in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare. Tra tali costi il legislatore ha, infatti, incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare «anche secondo il principio “chi inquina paga”» (art. 154, comma 2). I profili della tutela della concorrenza vengono poi in rilievo perché alla determinazione della tariffa provvede l’Autorità d’àmbito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e). Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante (sentenze nn. 335 e 51 del 2008). Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Autorità di bacino - Art. 166 D.L.vo n. 152/2006 - Intervento autorizzatorio - Tutela dell’ambiente - Competenza legislativa esclusiva dello Stato. L’autorizzazione dell’Autorità di bacino (art. 166 d.lgs. n. 152/2006) è connessa alla funzione di difesa del suolo svolta da tale ente, perché è diretta a verificare che gli usi delle acque d’irrigazione regolati dalla norma ne consentano l’effettiva restituzione e la successiva utilizzazione. Sotto tale profilo, l’intervento autorizzatorio dell’Autorità di bacino mira a garantire la realizzazione delle finalità, riconducibili alla tutela dell’ambiente ed espresse, in particolare, dall’art. 63, comma 5, lettere b) e c), della difesa del suolo, della lotta alla desertificazione, della tutela delle acque e gestione delle risorse idriche, del controllo sull’impatto delle attività umane sullo stato delle acque (sentenza n. 232 del 2009). La disposizione attiene, dunque, alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
ACQUA - Consorzi di bonifica e irrogazione - Contributo - Art. 164, cc. 3 e 4 D.L.vo n. 152/2006 - Natura tributaria - Competenza legislativa esclusiva statale. Il contributo previsto dall’art. 164 d.lgs. n. 152/2006 ha natura assimilabile a quella del contributo ordinariamente dovuto dagli associati al consorzio e, pertanto, ha anch’esso natura di tributo, istituito e disciplinato dalla legge statale, con la conseguenza che il suo pagamento si impone a tutti gli utilizzatori degli impianti consortili, siano essi soggetti comuni od enti locali, senza che sussista alcuna «compressione dell’autonomia negoziale» degli enti locali stessi. Pres. Amirante, Est. Gallo - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 246
SENTENZA N. 246
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. 135, comma 2, 136, 141, comma 1, da 144 a 160, 166,
commi 1 e 4, 170, comma 3, lettera i), 172, comma 2 e 176, comma 1, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle
Regioni Emilia-Romagna (mediante due ricorsi), Calabria, Toscana, Piemonte,
Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata, con ricorsi
notificati il 24 aprile, l'8, il 12, il 13, il 12-21 e il 12-27 giugno 2006,
depositati in cancelleria il 27 aprile, il 10, il 14, il 15, il 16, il 17, il
20, il 21 ed il 23 giugno 2006, ed iscritti ai nn. 56, 68, 69, 70, 72, 73, 74,
75, 76, 78, 79 ed 80 del registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché
gli atti di intervento dell'Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature Onlus (WWF Italia), della s.p.a. Biomasse Italia ed altre società;
udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per
la Regione Emilia-Romagna, Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria,
Lucia Bora e Guido Meloni per la Regione Toscana, Luigi Manzi per la Regione
Piemonte, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria, Giandomenico
Falcon per la Regione Liguria, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Vincenzo
Cocozza per la Regione Campania, Gustavo Visentini per la Regione Marche,
Alessandro Giadrossi per l'Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature Onlus (WWF Italia), e l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 24 aprile 2006, depositato il 27 aprile
successivo e iscritto al n. 56 del registro ricorsi del 2006, la Regione
Emilia-Romagna ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose
disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), e, tra queste, degli artt. 154 e 155.
1.1. - Il censurato art. 154 disciplina la «Tariffa del servizio idrico
integrato», prevedendo, al comma 1, che essa ha natura di corrispettivo «ed è
determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio
fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di
gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale
investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una
quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità d'ambito, in modo che sia
assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio
secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina
paga”». Il comma 2 stabilisce che «Il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio, su proposta dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche
secondo il principio “chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di
costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari
settori di impiego dell'acqua». I successivi commi da 3 a 7 prevedono che: a)
«Al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale, con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali
per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per
l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della
risorsa e prevedendo altresí riduzioni del canone nell'ipotesi in cui il
concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a
valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca
le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle
prelevate. L'aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale»; b) «L'Autorità
d'ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui
all'articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base,
nell'osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2,
comunicandola all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed
al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio»; c) nella modulazione
della tariffa, che è applicata dai soggetti gestori, «sono assicurate, anche
mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli
domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo
prefissati scaglioni di reddito»; d) per conseguire obiettivi di equa
redistribuzione dei costi, «sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le
residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le
aziende artigianali, commerciali e industriali»; e) «l'eventuale modulazione
della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro capite per
residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini
dell'organizzazione del servizio idrico integrato».
1.2. - L'art. 155 disciplina la «Tariffa del servizio di fognatura e
depurazione», prevedendo, al comma 1, che: a) le relative quote sono «dovute
dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi
siano temporaneamente inattivi» e che «il gestore è tenuto a versare i relativi
proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi
dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo
mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle
reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito»;
b) «la tariffa non è dovuta se l'utente è dotato di sistemi di collettamento e
di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica
approvazione da parte dell'Autorità d'ambito».
1.3. - La ricorrente censura il citato art. 154, sostenendo che esso prevede
«poteri ministeriali sovraordinati a quelli delle regioni, in violazione della
competenza legislativa propria spettante alle regioni a termini dell'art. 117,
quarto comma, della Costituzione», in quanto, nell'istituire e disciplinare la
tariffa del servizio idrico quale «corrispettivo del servizio idrico integrato»,
attribuisce: a) al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su
proposta dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, il
compito di definire con decreto «le componenti di costo per la determinazione
della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego
dell'acqua»; b) al «Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio» il compito di stabilire
con decreto «i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni,
dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica».
A detta della ricorrente, la disposizione víola: a) l'art. 117, quarto comma,
Cost., perché incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia
di servizi pubblici locali, esercitata nel caso di specie con la legge regionale
14 aprile 2004, n. 7 (Disposizioni in materia ambientale. Modifiche ed
integrazioni a leggi regionali), la quale, secondo la ricorrente, diversamente
dall'impugnata norma statale, incentiva un riparto delle risorse ambientali
mirato alla sostenibilità dello sviluppo e si basa sulla qualità del servizio
reso; b) l'art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché incide su un'entrata
la cui disciplina ricade nell'àmbito della competenza regionale e, perciò, lede
l'autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni; c) l'art. 76 Cost. e, quale
norma interposta, la legge delega 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo
per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia
ambientale e misure di diretta applicazione), i cui criteri stabiliscono: (c.1.)
il rispetto delle attribuzioni regionali «come definite ai sensi dell'articolo
117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112» [art. 1, comma 8, alinea, della legge di
delegazione]; (c.2.) lo «sviluppo e coordinamento, con l'invarianza del gettito,
delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi,
finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale,
l'introduzione e l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite
dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996 del Consiglio, nonché il
risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere piú efficienti le azioni di
tutela dell'ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso
strumenti economici, finanziari e fiscali» [art. 1, comma 8, lettera d), della
legge di delegazione]; d) l'art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge n.
308 del 2004, per eccesso di delega, non prevedendo la fonte delegante
«l'introduzione ex novo dell'imposta in questione»; e) l'art. 3 Cost. [non
espressamente evocato], perché non è «coerente con l'evoluzione della stessa
legislazione statale», omettendo di indicare, tra i criteri per la
determinazione della tariffa, gli «obiettivi di miglioramento della
produttività», criterio invece previsto dall'art. 13 della legge 5 gennaio 1994,
n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche).
1.4. - La stessa ricorrente denuncia, inoltre, il citato art. 155 «per le stesse
ragioni».
1.5. - A sostegno delle questioni prospettate, la Regione osserva che la legge
regionale n. 7 del 2004 ha introdotto in Emilia-Romagna un metodo di
tariffazione partecipato ed innovativo, basato su meccanismi che incentivano il
risparmio delle risorse ambientali. A detta della ricorrente, tale metodo
tariffario regionale ovvia al piú evidente difetto del metodo tariffario
nazionale - e cioè l'impossibilità di incentivare il risparmio idrico e la
qualità del servizio - perché consente di promuovere l'efficienza senza
incrementare il costo per l'utenza e di favorire i comportamenti virtuosi di
risparmio e conservazione, includendo nella tariffa di riferimento strumenti di
promozione della qualità del servizio e allineando la regolazione tariffaria
agli indirizzi e obiettivi del Piano di tutela delle acque, in termini di
risparmio. Inoltre, le norme regionali prevedono elementi di «calmierazione»
tariffaria per i soggetti svantaggiati economicamente.
La ricorrente chiede, infine, la sospensione dell'esecuzione dei denunciati artt.
154 e 155, sul rilievo che essi si sostituiscono alla «disciplina regionale
sulla tariffa relativa al servizio integrato ed alla gestione dei rifiuti
dettata dalla legge regionale n. 7/2004, interrompendo la sperimentazione
avviata e ingenerando incertezza rispetto agli oneri tributari da assolvere, con
grave danno per la certezza dei rapporti giuridici e per i bilanci degli enti
coinvolti».
1.6. - Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo
l'inammissibilità e l'infondatezza delle censure e contestando, altresí, i
presupposti della richiesta sospensione. Tuttavia, successivamente, è stata
depositata la delibera del Consiglio dei ministri del 9 giugno 2006, con la
quale il Governo ha deciso di «rinunciare all'intervento».
1.7. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate dalla
ricorrente.
1.8. - In prossimità della camera di consiglio fissata per la decisione
sull'istanza di sospensione dell'esecuzione delle disposizioni censurate, la
ricorrente ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto.
1.9. - Con ordinanza n. 245 del 2006, la Corte costituzionale ha dichiarato non
luogo a provvedere sull'istanza di sospensione dell'esecuzione delle
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006.
1.10. - In prossimità dell'udienza, la ricorrente Regione Emilia-Romagna ha
depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto e precisando che le
ragioni di doglianza nei confronti dei censurati artt. 154 e 155 permangono
anche dopo l'abolizione dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti da parte del comma 5 dell'art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284
(Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, recante norme in materia ambientale).
1.11. - Ha depositato memoria in prossimità dell'udienza anche l'Associazione
Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per
l'accoglimento delle questioni sollevate.
2. - Con ricorso notificato l'8 giugno 2006, depositato il 10 giugno successivo
e iscritto al n. 68 del registro ricorsi del 2006, la Regione Calabria ha
promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 135, comma 2,
136, 141, comma 1, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155,
156, 157, 158, 159, 160, 176, comma 1.
2.1. - Il censurato art. 135, comma 2, prevede che «Fatto salvo quanto previsto
dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e
dell'accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela
delle acque dall'inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.);
può altresí intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la
Guardia di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle capitanerie di porto,
Guardia costiera, provvede alla sorveglianza e all'accertamento delle violazioni
di cui alla parte terza del presente decreto quando dalle stesse possano
derivare danni o situazioni di pericolo per l'ambiente marino e costiero».
Ad avviso della ricorrente, la quale non evoca alcuno specifico parametro
costituzionale, detta disposizione víola le competenze regionali in materia di
individuazione dei soggetti preposti ai compiti di polizia amministrativa,
perché il precedente comma 1 - il quale prevede che «In materia di accertamento
degli illeciti amministrativi, all'irrogazione delle sanzioni amministrative
pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli articoli 18 e
seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la provincia
autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle
sanzioni previste dall'articolo 133, comma 8, per le quali è competente il
comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche
autorità» - attribuisce alle Regioni la competenza ad accertare gli illeciti
amministrativi e ad erogare le relative sanzioni.
La ricorrente lamenta, in particolare, che la norma censurata «cristallizza i
compiti delle diverse forze di polizia, affidando il ruolo centrale a strutture
facenti capo allo Stato e relegando ad un ruolo facoltativo e residuale il Corpo
forestale, vale a dire quella che, in precedenza, era l'unica forza
espressamente contemplata, sia pure come struttura “concorrente” con altre, che
le regioni erano ovviamente chiamate a specificare», con la conseguenza «di
avocare allo Stato una competenza già trasferita agli enti territoriali
infra-statuali».
2.2. - L'art. 136 denunciato dispone che: a) «le somme derivanti dai proventi
delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto
sono versate all'entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle
unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione
dell'inquinamento dei corpi idrici»; b) le Regioni ripartiscono «le somme
riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento».
La ricorrente censura la norma, perché, nel disciplinare i proventi delle
sanzioni amministrative, che costituiscono entrate regionali, pone un vincolo di
destinazione delle somme a vantaggio delle «opere di risanamento e riduzione
dell'inquinamento» dei corpi idrici e víola cosí l'art. 119 Cost., perché tale
vincolo è illegittimo «come dimostrato dalla costante giurisprudenza» della
Corte costituzionale.
2.3. - La Regione denuncia, inoltre, [senza che la disposizione risulti fra
quelle elencate nella delibera a ricorrere] in riferimento al principio di leale
collaborazione, l'art. 141, comma 1, il quale dispone, in apertura del Titolo I
(Principi generali e competenze) della Sezione III (Gestione delle risorse
idriche) del d.lgs. n. 152 del 2006, che «Oggetto delle disposizioni contenute
nella presente sezione è la disciplina della gestione delle risorse idriche e
del servizio idrico integrato per i profili che concernono la tutela
dell'ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni
fondamentali di comuni, province e città metropolitane», perché interviene in un
settore in cui vi è concorrenza di competenze, senza che vi sia prevalenza di
una materia sulle altre, ma non prevede un «coinvolgimento degli enti regionali
che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini essenzialmente sul
modello dell'intesa in senso forte».
Osserva la ricorrente che, nella disciplina della gestione delle risorse idriche
si «realizza un complesso intreccio di interessi e competenze in cura a diversi
livelli istituzionali» (Corte costituzionale, sentenza n. 412 del 1994) e che
tale disciplina non è riconducibile: a) alla competenza legislativa esclusiva
statale in tema di «tutela della concorrenza», perché ad essa sono ascrivibili i
soli servizi pubblici locali «di rilevanza economica» (Corte costituzionale,
sentenza n. 272 del 2004), tra i quali non rientrano i servizi idrici; b) alla
competenza legislativa esclusiva statale in tema di «funzioni fondamentali di
comuni, province e città metropolitane», perché gli «ambiti territoriali
ottimali» nei quali si svolge il servizio idrico integrato hanno una dimensione
territoriale variabile, «tale da escludere che la gestione dei servizi in
questione possa considerarsi esplicazione di una funzione propria ed
indefettibile dell'ente locale».
Ad avviso della Regione, la disciplina in questione è, invece, riconducibile
alle materie, di competenza legislativa concorrente o residuale regionale: a)
del «governo del territorio», per l'evidente collegamento fra gestione del
servizio e àmbito territoriale; b) della «tutela della salute», per le «ricadute
che la tutela delle risorse idriche non può non avere sul diritto alla salute
degli individui, anche inteso come diritto all'ambiente salubre»; c) dei
«servizi pubblici locali», sulla scorta delle pronunce della Corte
costituzionale n. 222 del 2005 e n. 26 del 2006».
2.4. - La Regione Calabria censura anche gli artt. 144, 145 e 146.
2.4.1. - La prima di tali norme, nel disciplinare «Tutela e uso delle risorse
idriche», prevede che: a) «tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché
non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato» (comma 1); b)
«le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo
criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le
aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro
patrimonio ambientale» (comma 2); c) «la disciplina degli usi delle acque è
finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di
favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la
vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora
acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici» (comma 3); d)
«gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le
risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la
qualità» (comma 4).
Il successivo art. 145 disciplina l'«Equilibrio del bilancio idrico»,
attribuendo all'Autorità di bacino competente il compito di definire ed
aggiornare «periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio
fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento
ed i fabbisogni per i diversi usi» e di pianificare l'economia idrica, in
funzione degli usi cui sono destinate le risorse. Prevede, inoltre, che, nei
bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti,
«le derivazioni sono regolate in modo da garantire il livello di deflusso
necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri
degli ecosistemi interessati».
L'art. 146, allo scopo di realizzare il risparmio idrico, prevede che le Regioni
adottino «norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli
sprechi» ed elenca le specifiche finalità da perseguire.
2.4.2. - La ricorrente impugna nel complesso le suddette disposizioni,
affermando che esse, nel dettare «i principi generali alla luce dei quali porre
in essere la gestione del demanio idrico», violano: a) l'art. 76 Cost., in
combinato disposto con l'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004,
perché tale legge «impone al legislatore il rispetto delle attribuzioni
regionali e degli enti locali stabilite all'interno del decreto legislativo n.
112 del 1998» e l'art. 88, comma 1, lettera h), di tale decreto legislativo
stabilisce che hanno rilievo nazionale i soli cómpiti relativi «ai criteri per
la gestione del servizio idrico integrato», con l'ulteriore conseguenza della
«impossibilità per lo Stato di dettagliare la normativa in materia, dovendosi
limitare alla predisposizione di un quadro assolutamente generale nel quale le
regioni (e, se del caso, gli enti locali) siano lasciati liberi di agire nel
modo ritenuto piú consono alla tutela del proprio territorio ed al
soddisfacimento delle esigenze della propria popolazione»; b) l'art. 117, quarto
comma, Cost., perché incidono sulla materia, di potestà legislativa residuale
regionale, dei «servizi pubblici locali»; c) il principio di leale
collaborazione, perché non prevedono «una partecipazione effettiva delle regioni
alla determinazione dei loro contenuti»; d) l'art. 118 Cost., perché recano
«disposizioni di minuto dettaglio, indiscutibilmente ultronee rispetto alla
fissazione di standards di tutela uniformi, in contrasto, quindi, con i principi
che reggono il riparto delle funzioni amministrative».
Quanto, in particolare, all'art. 146, comma 3, la stessa ricorrente afferma
anche che esso - nell'attribuire al Ministro dell'ambiente la potestà
regolamentare per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali
valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature - víola: a) in via
principale, l'art. 117, sesto comma, Cost., perché prevede «un potere
regolamentare in capo allo Stato in un settore non riconducibile ad una materia
di competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma»; b) in via subordinata, il
principio della leale collaborazione, per la «mancata previsione della necessità
di un coinvolgimento dei rappresentanti degli enti regionali».
2.5. - La Regione denuncia, nel loro complesso, gli artt. da 147 a 158,
affermando che essi, nel disciplinare la materia della gestione delle risorse
idriche, violano il principio di leale cooperazione, perché, trattandosi di una
materia nella quale vi è «intreccio di competenze trasversali, concorrenti e
residuali», avrebbero dovuto essere adottati con «un coinvolgimento degli enti
regionali che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini
essenzialmente sul modello dell'intesa in senso forte».
2.6. - La ricorrente censura poi l'art. 148, il quale reca una dettagliata
disciplina dell'«Autorità d'ambito territoriale ottimale», prevedendo che essa
«è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito
territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti
locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l'esercizio
delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche,
ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo
143, comma 1» (comma 1). La disposizione prevede, inoltre, ai commi da 2 a 4,
che: a) «le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i
modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito
ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d'ambito di cui al
comma 1, cui è demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della
gestione del servizio idrico integrato» (comma 2); b) «i bilanci preventivi e
consuntivi dell'Autorità d'ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante
affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell'ente, e sono
trasmessi all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni
dall'adozione delle relative delibere» (comma 3); c) i costi di funzionamento
«fanno carico agli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale»
(comma 4). Prevede, infine, al comma 5 che: «Ferma restando la partecipazione
obbligatoria all'Autorità d'ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma
1, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa
per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle
comunità montane, a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata
direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a
capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune. Sulle gestioni
di cui al presente comma l'Autorità d'ambito esercita funzioni di regolazione
generale e di controllo. Con apposito contratto di servizio stipulato con
l'Autorità d'ambito, previo accordo di programma, sono definiti criteri e
modalità per l'eventuale partecipazione ad iniziative promosse dall'Autorità
d'ambito medesima».
Ad avviso della Regione, la disposizione, che, «nel suo complesso», individua
«nell'Autorità d'ambito la struttura cui è affidata la gestione delle risorse
idriche», víola: a) l'art. 76 Cost., in combinato disposto con l'art. 1, comma
8, della legge n. 308 del 2004, perché tale legge «impone al legislatore il
rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all'interno
del decreto legislativo n. 112 del 1998» e l'art. 86, comma 1, di tale decreto
legge stabilisce che «alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le
regioni e gli enti locali competenti per territorio», con la conseguenza che,
con la disposizione denunciata, «lo Stato priva gli enti territoriali di poteri
amministrativi loro attribuiti»; b) l'art. 117 Cost., perché «espropria le
regioni di poteri legislativi», che, in base all'art. 86, comma 1, del decreto
legislativo n. 112 del 1998, sono di spettanza regionale; c) l'art. 118 Cost.,
perché «ipostatizza un certo assetto di competenze amministrative, senza tener
conto delle peculiarità di ciascun territorio, peculiarità che soltanto in sede
di legislazione regionale possono trovare adeguata rispondenza».
Inoltre - sempre per la Regione - i commi 3 e 5 del citato art. 148, nel
disciplinare, rispettivamente, la pubblicazione e trasmissione dei bilanci
preventivi e consuntivi dell'Autorità d'ambito e l'adesione alla gestione unica
del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti
inclusi nel territorio delle comunità montane, violano l'art. 117 Cost., «in
ragione del contenuto di estremo dettaglio che essi recano», che incide sulle
potestà legislative regionali, non attenendo alla tutela dell'ambiente in senso
stretto, ma «a misure organizzative che le regioni devono poter calibrare in
relazione alle peculiarità del proprio territorio».
2.7. - La ricorrente censura l'art. 149, il quale, al comma 1, attribuisce
all'Autorità d'ambito il compito di predisporre e aggiornare il piano d'ambito,
costituito dai seguenti atti, dettagliatamente definiti nei commi da 2 a 5: a)
ricognizione delle infrastrutture; b) programma degli interventi; c) modello
gestionale ed organizzativo; d) piano economico finanziario. Il comma 6 dello
stesso articolo prevede che «Il piano d'ambito è trasmesso entro dieci giorni
dalla delibera di approvazione alla regione competente, all'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio. L'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti può notificare all'Autorità d'ambito, entro novanta giorni decorrenti
dal ricevimento del piano, i propri rilievi od osservazioni, dettando, ove
necessario, prescrizioni concernenti: il programma degli interventi, con
particolare riferimento all'adeguatezza degli investimenti programmati in
relazione ai livelli minimi di servizio individuati quali obiettivi della
gestione; il piano finanziario, con particolare riferimento alla capacità
dell'evoluzione tariffaria di garantire l'equilibrio economico finanziario della
gestione, anche in relazione agli investimenti programmati».
A detta della stessa ricorrente: a) il comma 1 della disposizione, il quale
prevede la predisposizione del piano d'ambito indicandone il contenuto, víola
gli artt. 117 e 118 Cost., perché attribuisce illegittimamente allo Stato la
disciplina dell'«esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli enti
infra-statuali»; b) i successivi commi da 2 a 5 sono illegittimi, perché
attuativi del comma 1; c) il comma 6 è illegittimo, perché, specificando la
disciplina relativa alle fasi successive alla delibera di approvazione del piano
d'àmbito, detta una «disciplina procedurale assai dettagliata».
2.8. - Oggetto di censura è anche il successivo art. 150, il quale prevede, ai
commi 1 e 2, che «l'Autorità d'ambito […] delibera la forma di gestione fra
quelle di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267» e «aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara
disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai
criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze
regionali in materia».
La ricorrente lamenta che la norma, nel disciplinare la forma di gestione del
servizio e le procedure di affidamento dello stesso «basandosi essenzialmente
sulla disciplina dell'art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000», víola
l'art. 117 Cost., «sulla scorta delle affermazioni […] della sentenza n. 272 del
2004», perché: a) «dimostra chiaramente l'intento dilatatorio perseguito dal
legislatore statale relativamente alle competenze di cui è titolare»; b)
«l'esclusione di ogni rilievo della “tutela della concorrenza” nel settore che
ci occupa configura, in effetti, come improponibile una recezione della
normativa dal precitato art. 113».
2.9. - È censurato, poi, il l'art. 151, che prevede che i rapporti tra autorità
d'ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato «sono regolati da
convenzioni predisposte dall'Autorità d'ambito» e indica il contenuto delle
convenzioni tipo e dei relativi disciplinari.
Ad avviso della Regione, la disposizione è illegittima perché «prosieguo logico
e specificazione» dell'art. 150.
2.10. - È censurato l'art. 153, a norma del quale: a) «le infrastrutture idriche
di proprietà degli enti locali ai sensi dell'articolo 143 sono affidate in
concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del
servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini
previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare»; b) le immobilizzazioni,
le attività e le passività relative al servizio idrico integrato sono trasferite
al soggetto gestore, «che subentra nei relativi obblighi; di tale trasferimento
si tiene conto nella determinazione della tariffa, al fine di garantire l'invarianza
degli oneri per la finanza pubblica».
La Regione lamenta che la disposizione è illegittima per le medesime ragioni
esposte in relazione all'art. 150.
2.11. - La ricorrente denuncia anche l'art. 154, affermando che esso, nel
disciplinare la tariffa del servizio idrico integrato «fissando i parametri in
base ai quali essa deve essere concretamente determinata», si pone in contrasto
con: a) gli artt. 117 e 118 Cost., come interpretati dalla sentenza n. 335 del
2005, perché «La determinazione della tariffa di un servizio rientra,
evidentemente, negli aspetti di pura gestione dello stesso, e dunque non può non
tradursi in una normativa di minuto dettaglio (sul presupposto - che si è qui
fatto proprio, peraltro solo per ipotesi - che si versi un ambito materiale
comunque riconducibile alla competenza trasversale dello Stato)»; b) l'art. 119
Cost., «in ragione della compressione che si viene a creare dell'autonomia di
entrata costituzionalmente garantita a regioni ed enti locali».
In via subordinata, quanto ai commi 2 e 3 della disposizione, la Regione lamenta
che essi violano: a) l'art. 117, sesto comma, Cost., perché prevedono poteri
regolamentari che incidono su materie diverse da quelle di competenza esclusiva
statale; b) in via ulteriormente subordinata, il principio di leale
cooperazione, perché «i poteri regolamentari ivi contemplati non prevedono, nel
loro esercizio, alcun coinvolgimento delle istanze rappresentative di regioni ed
enti locali».
2.12. - È denunciato anche l'art. 155 per le medesime ragioni di cui al punto
2.11.
2.13. - La Regione impugna, inoltre, l'art.156, il quale dispone che la tariffa
del servizio idrico integrato è riscossa dal gestore e regola le modalità della
riscossione.
Per la ricorrente, la disposizione víola gli artt. 117 e 118 Cost., perché «si
occupa della disciplina della riscossione della tariffa, incidendo dunque su un
aspetto di ulteriore dettaglio rispetto a quanto previsto negli artt. 154 e
155».
2.14 - Sono censurati anche gli artt. 159 e 160.
2.14.1. - La prima di tali disposizioni istituisce e disciplina sul piano
strutturale l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, in
particolare disponendo che: a) «il Comitato per la vigilanza sull'uso delle
risorse idriche istituito dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, assume la
denominazione di Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, di
seguito denominata “Autorità”, con il compito di assicurare l'osservanza, da
parte di qualsiasi soggetto pubblico e privato, dei principi e delle
disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto» (comma 1);
b) sono organi dell'Autorità «il presidente, il comitato esecutivo ed il
consiglio, che si articola in due sezioni denominate “Sezione per la vigilanza
sulle risorse idriche” e “Sezione per la vigilanza sui rifiuti”; ciascuna
sezione è composta dal presidente dell'Autorità, dal coordinatore di sezione e
da cinque componenti per la “Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e
da sei componenti per la “Sezione per la vigilanza sui rifiuti”» (comma 2); c)
«il comitato esecutivo è composto dal presidente dell'Autorità e dai
coordinatori di sezione» (comma 2); d) «il consiglio dell'Autorità è composto da
tredici membri e dal presidente, nominati con decreto del Presidente della
Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri» (comma 2); e) «il
presidente dell'Autorità e quattro componenti del consiglio, dei quali due con
funzioni di coordinatore di sezione, sono nominati su proposta del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, due su proposta del Ministro
dell'economia e delle finanze, due su proposta del Ministro per la funzione
pubblica, uno su proposta del Ministro delle attività produttive relativamente
alla “Sezione per la vigilanza sui rifiuti”, quattro su designazione della
Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome» (comma 2); f)
il «Presidente dell'Autorità è il legale rappresentante, presiede il comitato
esecutivo, il consiglio e le sezioni nelle quali esso si articola» (comma 3); g)
il «comitato esecutivo è l'organo deliberante dell'Autorità» (comma 3); h)
«l'organizzazione e il funzionamento, anche contabile, dell'Autorità sono
disciplinati, in conformità alle disposizioni di cui alla parte terza e quarta
del presente decreto, da un regolamento deliberato dal Consiglio dell'Autorità
ed emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri» (comma 4).
2.14.2. - L'art. 160 dispone, al comma 1, che, nell'esercizio delle funzioni e
dei compiti indicati al comma 1 dell'articolo 159, «l'Autorità vigila sulle
risorse idriche e sui rifiuti e controlla il rispetto della disciplina vigente a
tutela delle risorse e della salvaguardia ambientale esercitando i relativi
poteri ad essa attribuiti dalla legge». I commi 2 e 3 dello stesso articolo 160
individuano nel dettaglio le singole attività svolte dall'Autorità, nonché gli
strumenti sanzionatori e di controllo dei quali essa dispone.
2.14.3. - La ricorrente sostiene che i suddetti artt. 159 e 160, nell'istituire
un'autorità di vigilanza e nel disciplinare i compiti e le funzioni
dell'autorità medesima, violano: a) gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto: (a.1.)
«escludono qualunque intervento regionale che incida su un ambito che incide
indiscutibilmente sulle attribuzioni costituzionali alle regioni» e, perciò,
adottano «una prospettiva tale per cui è lo Stato ad avere un monopolio
sostanzialmente assoluto»; (a.2.) determinano illegittimamente «la
concentrazione in capo allo Stato della funzione di vigilanza», mentre al
riguardo «non può non prospettarsi una contiguità tra le competenze normative in
tema di gestione e quelle in tema di vigilanza», come evidenziato dalle sentenze
n. 106 e n. 63 del 2006; b) l'art. 118 Cost., sub specie del principio di
sussidiarietà, perché non si può «negare che il livello regionale di governo è
ampiamente nelle condizioni di assicurare lo svolgimento di questa funzione [e
cioè della funzione di vigilanza], ed anzi - per la migliore conoscenza delle
peculiarità del proprio territorio - lo è in misura certo maggiore rispetto ad
una autorità centrale».
Quanto, in particolare, al comma 2 dell'art. 159, la stessa ricorrente sostiene
che esso contrasta con: a) l'art. 76 Cost., in combinato disposto con l'art. 1,
comma 8, della legge n. 308 del 2004 perché tale legge «impone al legislatore il
rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all'interno
del decreto legislativo n. 112 del 1998» e l'art. 88, comma 1, lettera h), di
tale decreto legge prevedeva che «il Comitato per la vigilanza sull'uso delle
risorse idriche era composto “da sette membri, nominati con decreto del Ministro
dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell'ambiente”, con conseguente
“arretramento”, nella disposizione impugnata, «della posizione assegnata ai
rappresentanti regionali»; b) l'art. 118 Cost., perché «lede le prerogative
costituzionali delle regioni»; c) il principio di leale collaborazione, perché
«lede le prerogative costituzionali delle regioni».
Quanto, poi, al comma 4 dello stesso art. 159, la Regione afferma che esso víola:
a) l'art. 117, sesto comma, Cost., perché «la disposizione si traduce nella
attribuzione allo Stato di un potere regolamentare in un ambito diverso da
quello per cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva»; b) il principio di
leale collaborazione, per «il mancato coinvolgimento delle istanze
rappresentative delle regioni nella approvazione di un regolamento che avrebbe
importanti ricadute sulla gestione delle risorse idriche».
2.15. - La Regione denuncia, infine, l'art. 176, comma 1, il quale prevede che
«Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono
materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi
dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione», in riferimento all'art. 117,
comma 3, Cost., perché «l'autoqualificazione alla stregua di norme di principio
è da ritenersi illegittima, nella misura in cui non tiene conto della
riscontrabilità di (molte) disposizioni che, come in precedenza si è visto,
intervengono, disciplinando aspetti eminentemente di dettaglio, su materie di
competenza concorrente».
2.16. - In prossimità dell'udienza, la ricorrente Regione Calabria ha depositato
memoria, insistendo in quanto già richiesto.
3. - Con ricorso notificato tramite il servizio postale, consegnato all'ufficio
postale il 12 giugno 2006, pervenuto al destinatario il 21 giugno 2006,
depositato il 14 giugno 2006 e iscritto al n. 69 del registro ricorsi del 2006,
la Regione Toscana ha promosso questioni di legittimità costituzionale di
numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste,
degli artt. 148, comma 5, 149, comma 6, 154, 155, 159, comma 2, 160, comma 2,
lettere f) e g).
3.1. - La ricorrente censura l'art. 148, comma 5, in riferimento l'art. 117,
quarto comma, Cost., perché, disciplinando l'adesione dei Comuni alla gestione
unica del servizio idrico integrato, incide sulla materia, di potestà
legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali».
Osserva la Regione che la Corte costituzionale ha operato una distinzione
all'interno dei servizi pubblici locali tra quelli dotati di rilevanza economica
e quelli che ne sono sprovvisti: mentre questi ultimi possono ricondursi alle
materie di competenza residuale delle Regioni, per quelli a rilevanza economica
lo Stato è legittimato a porre principi in virtú della sua competenza esclusiva
in materia di tutela della concorrenza. La competenza statale si riferisce,
però, solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità
di gestione e l'affidamento dei servizi.
Ad avviso della ricorrente, la previsione di eventuali deroghe alla gestione
unica del servizio idrico integrato per particolari enti territoriali ed in
particolari circostanze, non concretizza una misura volta a tutelare la
concorrenza, perché è strettamente connessa a «valutazioni sulle caratteristiche
e sulle tipologie degli enti che insistono sul territorio nonché a valutazioni
sull'opportunità ed economicità di gestioni separate che non possono che
competere alle regioni».
3.2. - È poi censurato l'art. 149, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, perché
esso, nello stabilire che il piano d'ambito è trasmesso alla Regione competente,
all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e nel prevedere un potere di
controllo da parte dell'Autorità di vigilanza, che «presenta una composizione
fortemente sbilanciata a favore dei rappresentanti ministeriali», víola: a)
l'art. 117, quarto comma, Cost., incidendo, in parte, sulla materia, di potestà
legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali»; b) l'art. 117,
terzo comma, Cost., incidendo, in parte, sulla materia, di potestà legislativa
concorrente regionale, del «governo del territorio», dettando disposizioni di
dettaglio.
Sostiene la ricorrente che, poiché «il contenuto del Piano d'ambito consente di
ricondurlo in parte alla materia dei servizi pubblici ed in parte alla materia
del governo del territorio (basti pensare al programma delle manutenzioni e
degli investimenti)», la competenza legislativa statale deve essere ritenuta
limitata alla disciplina di stretta tutela della concorrenza e alla fissazione
dei principi fondamentali.
3.3. - La Regione denuncia, inoltre, gli artt. 154 e 155, sul rilievo che essi,
nel prevedere, nella sostanza, «poteri ministeriali sovraordinati a quelli delle
regioni, in violazione delle competenze ad esse riconosciute dal titolo V della
Costituzione» contrastano con: a) l'art. 117, quarto comma, Cost., perché
incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi
pubblici locali; b) l'art. 3 Cost., perché sono incoerenti «con l'evoluzione
della stessa legislazione statale» ed omettono di indicare «tra i criteri per la
determinazione della tariffa», gli «obiettivi di miglioramento della
produttività», parametro invece previsto dall'art. 13 della legge n. 36 del
1994; c) l'art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché ledono l'«autonomia
finanziaria e tributaria delle regioni, incidendo […] su un'entrata la cui
disciplina ricade nella competenza regionale».
3.4. - È impugnato anche l'art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, sul
rilievo che esso, nel disciplinare la composizione e le competenze dell'Autorità
per la vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, prevede una composizione
dell'organo «fortemente sbilanciata a favore della componente statale», pur
essendo investito detto organo di funzioni che incidono su «una pletora di
interessi riconducibili ora alla competenza statale (tutela della concorrenza,
tutela dell'ambiente), ora alla competenza concorrente delle regioni (governo
del territorio) ora alla competenza esclusiva regionale (disciplina del servizio
pubblico economico)». Per la Regione, esso víola, perciò: a) gli artt. 117 e 118
Cost., «in via residuale e in via concorrente», perché «non riconosce adeguata
rappresentatività agli interessi regionali»; b) il principio di leale
collaborazione.
3.5. - La ricorrente denuncia, infine l'art. 160, comma 2, lettere f) e g),
perché esso, nello stabilire che l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e
sui rifiuti «specifica i livelli generali di qualità riferiti ai servizi da
prestare» e che i gestori devono adottare e rispettare una carta del servizio
pubblico con indicazione di standard dei singoli servizi, si pone in contrasto
con l'art. 117, quarto comma, Cost., incidendo sulla competenza legislativa
residuale regionale in materia di servizi pubblici locali, esercitata nel caso
di specie con le leggi regionali n. 81 del 2005, n. 26 del 1997 e n. 25 del
1998.
3.6. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, rilevando
l'inammissibilità e l'infondatezza delle censure.
La difesa erariale rileva, in particolare che, contrariamente a quanto affermato
dalla Regione: a) l'art. 148, comma 5, nel consentire che i piccoli Comuni di
montagna gestiscano direttamente i servizi idrici, non attiene alla materia dei
servizi pubblici locali, ma solo a quelle dell'ambiente e della tutela della
concorrenza; b) l'art. 149, comma 6, fissa, nell'interesse generale, «un livello
minimo di servizi idrici, determinato in maniera quanto piú possibile omogenea»;
c) gli artt. 154 e 155 rispondono all'esigenza di fissare gli elementi di base
delle tariffe in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale e lasciano alle
Regioni «ampi spazi per le politiche locali di incentivazione e di
aggravamento»; d) l'art. 159, comma 2, nel disciplinare l'organismo di vigilanza
del settore della gestione delle risorse idriche come un'autorità indipendente,
legittimamente stabilisce «quanto e come le regioni (principali attori nella
gestione) debbano partecipare» a detto organismo; e) l'art. 160, comma 2,
lettere f) e g), non invade la sfera di competenza della Regione, perché si
limita a disciplinare «poteri generali di controllo nell'interesse generale
dell'utenza».
3.7. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate dalla
ricorrente.
3.8. - In prossimità dell'udienza, la ricorrente ha depositato memoria,
insistendo nelle richieste già formulate.
La ricorrente afferma: a) di non avere piú interesse all'impugnazione dell'art.
148, comma 5, perché la norma è stata sostituita dall'art. 2, comma 14, del
decreto legislativo n. 4 del 2008, il quale, tra le condizioni che legittimano
la deroga alla gestione unica, prevede che vi sia il consenso dell'autorità d'àmbito
competente, istituita dalla Regione; b) di non avere piú interesse
all'impugnazione dell'art. 149, comma 6, perché tutti i riferimenti all'Autorità
di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti sono stati soppressi dal comma
5 dell'art. 1, del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284; c) di avere ancora interesse
all'impugnazione degli artt. 154 e 155, perché dette norme, pur essendo state
modificate successivamente alla presentazione del ricorso, sono rimaste
invariate nel loro nucleo essenziale, lesivo delle attribuzioni regionali; d) di
non avere piú interesse all'impugnazione degli artt. 159, comma 2, e 160, comma
2, lettere f) e g), perché abrogati.
3.9. - Ha depositato memoria in prossimità dell'udienza l'Associazione Italiana
per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l'accoglimento
delle questioni sollevate.
4. - Con ricorso notificato tramite il servizio postale, consegnato all'ufficio
postale il 12 giugno 2006, pervenuto al destinatario il 27 giugno 2006,
depositato il 15 giugno 2006 e iscritto al n. 70 del registro ricorsi del 2006,
la Regione Piemonte ha promosso questioni di legittimità costituzionale di
numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste,
degli artt. 148, comma 5, 150, « in combinato disposto con l'art. 170, comma 3,
lettera i)», e 176.
La Regione premette di avere dato attuazione alla disciplina della gestione
delle risorse idriche contenuta nella legge n. 36 del 1994, con la legge
regionale 20 gennaio 1997, n. 13 (Delimitazione degli ambiti territoriali
ottimali per l'organizzazione del servizio idrico integrato e disciplina delle
forme e dei modi di cooperazione tra gli Enti Locali ai sensi della legge 5
gennaio 1994, n. 36 e successive modifiche ed integrazioni. Indirizzo e
coordinamento dei soggetti istituzionali in materia di risorse idriche),
attraverso un complesso processo di concertazione, che ha portato
all'«individuazione di sei ambiti che rispondono alle seguenti caratteristiche:
rispetto sostanziale delle infrastrutture e degli impianti esistenti,
indipendentemente dalle singole realtà gestionali; dimensione sufficientemente
ampia per l'applicazione di una tariffa di ambito idonea a compensare tutti i
costi di gestione e di investimento senza essere eccessivamente onerosa;
presenza all'interno di ogni ambito di situazioni differenziate, quali piccoli
centri abitati e città di notevoli dimensioni, zone di montagna, collinari e di
pianura, porzioni di territorio altamente dotate di infrastrutture ed aree poco
attrezzate».
In particolare, la ricorrente riferisce che, con la citata legge reg. n. 13 del
1997: a) si è esclusa la possibilità «di ricorrere alle gestioni in economia,
incompatibili con i criteri di efficienza, efficacia ed economicità posti dalla
legge n. 36/1994 con specifico riferimento ai servizi idrici e con le norme
dell'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 in materia di servizi pubblici locali»; b)
si è previsto che la gestione del servizio idrico integrato possa essere
affidata «anche ad una pluralità di soggetti, anziché ad un unico gestore,
purché ciò risponda all'interesse generale dell'intero ambito territoriale
ottimale ed a condizione che ciascuno dei soggetti individuati provveda, nella
porzione di territorio servito, alla gestione unitaria del c.d. ciclo completo
dell'acqua (captazione, adduzione e distribuzione, fognatura e depurazione)»; c)
si è disposta «l'applicazione graduale della c.d. tariffa d'ambito, intesa quale
corrispettivo del servizio idrico integrato pagato dall'utenza nell'intero
ambito territoriale ottimale».
4.1. - La ricorrente censura l'art. 148, comma 5, in riferimento: a) all'art. 3
Cost., sub specie del principio di uguaglianza, perché detta disposizione «è
totalmente avulsa dalla considerazione della forte differenziazione delle realtà
territoriali ed amministrative nelle regioni italiane»; b) allo stesso art. 3
Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché detta norma è «in
patente contraddizione con lo stesso principio di organizzazione del servizio
idrico in base all'individuazione di ambiti territoriali ottimali»; c) all'art.
76 Cost., perché «l'introdotta deroga al principio di unicità della gestione
d'ambito esula dai principi dettati dalla legge di delega»; d) agli artt. 117 e
118 Cost., perché detta deroga «contrasta con il mantenimento del complessivo
quadro istituzionale e dell'assetto organizzativo delle funzioni già stabilito»,
condizionando e limitando «le potestà regionali di organizzazione delle funzioni
amministrative nel territorio e negli ambiti di competenza regionale quali
quello della regolazione dei servizi pubblici locali, senza che sia ravvisabile
alcuna razionale superiore diversa esigenza di carattere unitario ed anzi in
evidente contrasto con gli stessi principi della disciplina del settore».
Rileva la Regione che «la previsione generalizzata di sottrazione dei comuni
indicati dall'art. 148, comma 5 alla partecipazione agli ambiti territoriali
ottimali, a meno che essi non vi prestino volontaria […] adesione, è totalmente
avulsa dalla considerazione» delle caratteristiche del territorio regionale,
perché, mentre «i territori montani piemontesi sono caratterizzati da superfici
vaste su cui insistono piccoli centri abitati, solitamente poco attrezzati sotto
il profilo infrastrutturale (soprattutto depurativo) a fronte di una presenza di
risorsa idrica qualitativamente e quantitativamente rilevante», le zone di
pianura, invece, sono «territori ad alta densità abitativa, dotati di
infrastrutture idriche ma in condizioni quali-quantitative precarie» e le zone
collinari hanno «peculiarità geomorfologiche e di antropizzazione rilevanti». La
deroga al principio di unicità della gestione d'ambito introdotta dal
legislatore statale, senza previsione neppure di un regime transitorio o di una
clausola di salvezza dell'attuale «operatività degli ambiti territoriali
ottimali e delle gestioni già esistenti, spezza improvvisamente un sistema che
[…] è strutturato, dimensionato e finanziariamente esposto per rispondere alle
esigenze di gestione e infrastrutturazione unitaria dell'ambito territoriale
ottimale».
In base a tali considerazioni, la ricorrente chiede la sospensione
dell'esecuzione della disposizione censurata.
4.2. - È censurato, inoltre, l'art. 150, in combinato disposto con l'art. 170,
comma 3, lettera i).
Tale ultima disposizione prevede che: «fino all'emanazione del decreto di cui
all'articolo 150, comma 2, all'affidamento della concessione di gestione del
servizio idrico integrato nonché all'affidamento a società miste continuano ad
applicarsi il decreto ministeriale 22 novembre 2001, nonché le circolari del
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 6 dicembre 2004».
La Regione sostiene che detto combinato disposto, nel disciplinare la scelta
della forma di gestione del servizio e le procedure di affidamento dello stesso,
nonché il relativo regime transitorio, víola: a) gli artt. 117 e 118 Cost.,
perché illegittimamente determina una «attrazione completa nell'ambito di
attività amministrativa ministeriale di tutta la disciplina relativa alla
gestione del servizio considerato, consolidando nelle norme del decreto delegato
precedenti atti ministeriali», senza che «a fronte di ciò si possano rinvenire
peculiarità del servizio idrico integrato che giustifichino un simile intervento
legislativo statale in deroga alla disciplina generale dei servizi pubblici
locali»; b) l'art. 117, terzo comma, Cost., perché, non limitandosi a stabilire
princípi fondamentali della materia, detta «misure di dettaglio», «con
conseguente invasione delle competenze regionali in materia di regolazione del
servizio idrico integrato».
4.3. - La ricorrente censura, infine, in riferimento all'art. 117, terzo comma,
Cost., l'art. 176, comma 1, il quale prevede - come visto - che «Le disposizioni
di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di
legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi
dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione», perché «le evidenziate
violazioni dei precetti costituzionali ineriscono al sistema delle competenze ed
a quello della pianificazione di settore, veri e propri cardini di tutto
l'impianto normativo considerato» e, perciò, «anche disposizioni in sé e per sé
non censurabili non possono risultare sottratte alle questioni sollevate,
cosicché per tale ragione, oltre al rilievo inerente al metodo procedurale
adottato, che riflette su tutte le disposizioni la violazione del principio di
leale collaborazione, come evidenziato al I motivo, l'illegittimità
costituzionale si estende all'intero complesso normativo di cui alla Parte III
del d.lgs. n. 152/1999».
4.4. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il
ricorso sia dichiarato «inammissibile ed infondato» e riservandosi ulteriori
deduzioni nel successivo atto difensivo.
4.5. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate dalla
ricorrente.
4.6. - Nel giudizio sono intervenute anche, costituendosi con unico atto, la
s.p.a. Biomasse Italia, la s.r.l. Società Italiana Centrali Termoelettriche -
SICET, la s.r.l. Ital Green Energy, la s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie
Ambiente, chiedendo che la Corte costituzionale «dichiari l'inammissibilità e/o
comunque l'infondatezza dell'epigrafato ricorso».
4.7. - Con successiva memoria la s.p.a. Biomasse Italia, la s.r.l. Società
Italiana Centrali Termoelettriche - SICET, la s.r.l. Ital Green Energy, la
s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie Ambiente hanno insistito nelle conclusioni
formulate nell'atto di intervento «e, comunque per la dichiarazione di
sopravvenuta improcedibilità, in parte qua, del ricorso».
4.8. - Ha depositato memoria in prossimità dell'udienza l'Associazione Italiana
per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l'accoglimento
delle questioni sollevate.
5. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e
iscritto al n. 72 del registro ricorsi del 2006, la Regione Umbria ha promosso
questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto
legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 148, comma 5, 149, comma
6, 153, comma 1, 154, 155, 160, 166, comma 4.
Sostiene la ricorrente che - contrariamente a quanto si legge nell'art. 141,
comma 1, dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006 - le disposizioni censurate, che
disciplinano il servizio idrico integrato, non si limitano a regolare i «profili
che concernono la tutela dell'ambiente e della concorrenza e la determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle
relative funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane». La
Regione osserva che i titoli di competenza invocati dal legislatore statale non
consistono in «normali materie», ma piuttosto in «materie trasversali», le
quali, «se da un lato consentono un intervento statale con riferimento a
qualunque materia, ivi comprese quelle riservate ex art. 117, comma 4, alla
competenza esclusiva regionale, dall'altro, proprio per tale ragione, impongono
che l'intervento statale sia limitato tassativamente alla disciplina di quanto è
strettamente necessario al conseguimento della finalità culla clausola
trasversale medesima è preordinata: pena, in caso contrario, il fin troppo
evidente sostanziale svuotamento di qualunque prerogativa costituzionale delle
regioni».
Quanto alla materia della «tutela dell'ambiente» - prosegue la Regione -, deve
ritenersi che la competenza legislativa dello Stato sia limitata alle
«determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme
sull'intero territorio nazionale». Del pari, la tutela della concorrenza, in
quanto «materia-funzione», caratterizzata da un'estensione non rigorosamente
circoscritta e determinata, può giustificare interventi del legislatore statale
che siano basati «sul criterio di proporzionalita-adeguatezza». La
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» è
poi del tutto estranea rispetto all'oggetto delle disposizioni statali relative
al servizio idrico, perché esse riguardano servizi di rilevanza economica. La
materia relativa alle «funzioni fondamentali di comuni, province e città
metropolitane», infine, è anch'essa estranea all'àmbito delle norme censurate,
perché «la gestione dei servizi pubblici locali non può certo considerarsi
esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale».
Osserva, in conclusione, la ricorrente che la disciplina del servizio idrico
integrato deve essere ricondotta alla materia dei servizi pubblici locali, che -
come affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 29 del 2006 -
appartiene alla competenza residuale delle regioni.
5.1. - L'art. 148, comma 5, è censurato in quanto stabilisce - come visto - che
l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i
comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle
comunità montane, «a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata
direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a
capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune». La ricorrente
sostiene che la disposizione si pone in contrasto con: a) l'art. 117, quarto
comma, Cost., perché, non trovando «fondamento nelle clausole trasversali pure
evocate dal legislatore statale all'art. 141, primo comma», del medesimo decreto
legislativo, incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia
di servizi pubblici locali, cui è riconducibile «la decisione sugli ambiti
concreti e sulle modalità gestionali ed organizzative del servizio»; b) l'art. 3
Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché comporta
«necessariamente una riorganizzazione dell'intero servizio idrico
incredibilmente irrazionale, complessa e difficoltosa, con conseguenti
disservizi per tutti gli utenti e gravi diseconomie di gestione»; c) l'art. 76
Cost. e, quale norma interposta, l'art. 1, comma 1, della legge delega n. 308
del 2004, la quale, stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o
piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle
disposizioni legislative» previgenti, non permette l'introduzione nel decreto
delegato di «una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al
sistema della legge Galli (legge n. 16/1994)», quale è quella in esame.
5.2. - La ricorrente censura anche l'art. 149, comma 6, per violazione: a)
dell'art. 76 Cost. e, quale norma interposta, della legge delega n. 308 del
2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno
o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle
disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette
l'introduzione nel decreto delegato di una disposizione di «carattere
innovativo»; (a.2.) stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra
l'altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all'interno del
decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l'attribuzione
di funzioni amministrative all'Autorità di vigilanza «in contrasto con i
disposti di cui al d.lgs. n. 112/1998», dal cui art. 88 «non si ricavano
elementi in grado di includere le funzioni affidate all'Autorità di vigilanza
fra i “compiti di rilievo nazionale” di cui l'articolo si occupa»; b) degli artt.
117, secondo e quarto comma, Cost., perché incide su «ambiti certamente estranei
alle materie di cui all'art. 141, comma 1, d.lgs. n. 52/2006 (oltre che
ovviamente alle altre materie di cui all'art. 117, secondo comma Cost.)» e,
dunque, non corrisponde all'esercizio di potestà legislativa riferibile ad alcun
titolo d'intervento statale; c) dell'art. 118, primo comma, Cost., in quanto: (c.1.)
attribuisce all'Autorità di vigilanza «funzioni amministrative di controllo e
prescrittive in assenza di reali motivi che ne giustifichino un'attrazione a
livello statale»; (c.2.) lede le «potestà di controllo regionali, che nel caso
della Regione Umbria sono già state disciplinate dall'art. 12 della legge
regionale 5 dicembre 1997, n. 43»; d) in subordine, degli artt. 117 e 118 Cost.,
perché «un'attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi di
controllo] ad opera dello Stato potrebbe essere consentita - ricorrendone i
presupposti sostanziali (cosa che non è nel presente caso) - previo reale
coinvolgimento delle regioni nell'esercizio del potere».
5.3. - È poi oggetto di censura l'art. 153, comma 1, il quale stabilisce - come
visto - che «Le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi
dell'articolo 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita […] al gestore del
servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri […]».
La Regione lamenta che la disposizione víola: a) l'art. 117, quarto comma, Cost.,
in quanto, senza «alcun collegamento con i titoli di competenza invocati dal
legislatore statale all'art. 141, comma 1 del decreto […] impugnato» incide
sulla «competenza esclusiva residuale delle regioni»; b) l'art. 3 Cost., sub
specie del principio di ragionevolezza, in quanto: (b.1.), «sancendo
inderogabilmente la gratuità della concessione delle infrastrutture idriche di
proprietà degli enti locali determina un fin troppo evidente danno a carico
delle finanze dei medesimi enti locali, privandoli di un introito certo che solo
in misura parziale ed insufficiente è compensato dalla assunzione degli oneri
connessi da parte dei gestori»; (b.2.) può essere interpretata nel senso che
«abbia effetto anche in relazione agli affidamenti già in essere che prevedono
la onerosità della concessione»; c) l'art. 76 Cost. e, quale norma interposta,
la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) stabilendo che «Il
Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero]
riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative»
previgenti (art. 1, comma 1), non permette l'introduzione nel decreto delegato
di una disposizione «innovativa»; (c.2.) stabilendo che la fonte delegata non
debba introdurre «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 1, comma
1), non permette un siffatto affidamento a titolo gratuito, che priva «gli enti
locali di una fonte d'entrata già ampiamente acquisita» e, perciò, determina un
maggior onere per la finanza pubblica.
5.4. - La Regione denuncia anche gli artt. 154 e 155, affermando che essi
violano: a) l'art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla competenza
legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali; b) l'art.
119, primo e secondo comma, Cost., perché incidono «su un'entrata la cui
disciplina ricade nella competenza regionale»; c) l'art. 76 Cost. e, quale norma
interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) vincola il
legislatore delegato al «rispetto dei princípi e delle norme comunitarie e delle
competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni
delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'articolo 117
della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112» (art.1, comma 8, alinea); (c.2.) stabilisce che il
legislatore delegato debba conformarsi al criterio direttivo dello «sviluppo e
coordinamento, con l'invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che
prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai
fini della compatibilità ambientale, l'introduzione e l'adozione delle migliori
tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre
1996 del Consiglio, nonché il risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere
piú efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e di sostenibilità dello
sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali» (art.1,
comma 8, lettera d); (c.3.) non prevede «l'introduzione ex novo dell'imposta in
questione».
5.5. - È denunciato autonomamente il comma 6 dell'art. 154, il quale stabilisce
che «Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse
maggiorazioni di tariffa […] per le aziende artigianali, commerciali e
industriali», per contrasto con: a) l'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto,
senza trovare «fondamento legislativo nelle “materie” indicate nell'art. 141,
comma 1» del medesimo decreto legislativo, incide sulla «potestà legislativa
esclusiva regionale»; b) l'art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge
delega n. 308 del 2004, la quale, stabilendo che «Il Governo è delegato ad
adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e
integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non
permette l'introduzione nel decreto delegato di una disposizione «del tutto
innovativa», quale è quella denunciata, dato che l'art. 13, comma 7, della legge
n. 36 del 1994 «non prevede affatto maggiorazioni della tariffa a carico delle
categorie testé indicate».
5.6. - La Regione censura, inoltre, l'art. 160, perché esso, nell'indicare
«analiticamente i molti e penetranti poteri attribuiti all'Autorità di vigilanza
sulle risorse idriche, organismo i cui componenti […] sono in massima parte
espressione del livello di governo statale», víola: a) gli artt. 117, 118 e 76
Cost., quest'ultima disposizione costituzionale in combinato con l'art. 1, comma
8, della legge n. 308 del 2004, per le stesse ragioni di censura esposte in
relazione all'art. 148, comma 5; b) gli artt. 76, 117 e 118 Cost., perché omette
«qualunque riferimento ai poteri di pianificazione regionali che trovano
concretizzazione nel “piano regolatore generale degli acquedotti” già previsto
dall'art. 8, comma 4, della legge Galli (n. 36/1994) ed in seguito disciplinato
a livello regionale dall'art. 12, comma 2, della legge regionale 5 dicembre
1997, n. 43».
5.7. - È, infine, impugnato l'art. 166, comma 4, perché esso, nello stabilire
che «Il contributo di cui al comma 3 [e cioè il contributo che deve essere
versato al consorzio da “chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed
irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di
scarichi, anche se depurati e compatibili con l'uso irriguo, provenienti da
insediamenti di qualsiasi natura”] è determinato dal consorzio interessato e
comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento», si
riferisce anche agli enti locali, le cui attribuzioni costituzionali ben possono
essere tutelate dalla Regione. Quest'ultima sostiene, in particolare, che il
comma denunciato víola: a) l'art. 119 Cost., perché, cosí interpretato, incide
sull'autonomia finanziaria degli enti locali; b) l'art. 117, quarto comma, Cost.,
perché, cosí interpretato, incide sulla competenza legislativa residuale
regionale, nel caso di specie già esercitata dalla Regione con l'approvazione
dell'art. 12 della legge n. 430 del 2004; c) degli artt. 3 e 41 Cost., perché
determina «una illegittima compressione dell'autonomia negoziale (non importa
qui se privata o pubblicistica) degli enti locali, che si vedono costretti a
subire unilateralmente le decisioni di un soggetto quale il Consorzio di
bonifica, non ad essi sovraordinato»; d) dell'art. 76 Cost., perché è una norma
innovativa e «sprovvista di copertura nella legge n. 308/2004».
Riferisce, inoltre, la Regione di avere «già disciplinato la materia prevedendo
l'intesa per la determinazione del contributo tra Consorzio di bonifica e AATO
ex art. 12, l.r. n. 430/2004».
5.8. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate dalla
ricorrente.
5.9. - In prossimità dell'udienza, la Regione Umbria ha depositato memoria, in
generale insistendo in quanto già richiesto. Precisa la ricorrente che la
materia del contendere deve intendersi cessata quanto alle questioni relative
agli artt. 149, comma 6, e 160 perché esse sono riferite ai poteri dell'Autorità
di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, abolita dal comma 5 dell'art.
1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e mai entrata in funzione.
5.10. - Ha depositato memoria in prossimità dell'udienza anche l'Associazione
Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per
l'accoglimento delle questioni sollevate.
6. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e
iscritto al n. 73 del registro ricorsi del 2006, la Regione Emilia-Romagna ha
promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 147, comma 2,
lettera b), 150, commi 1 e 2, 159, 160, 166, comma 1, 172, comma 2, e 176, comma
1.
La ricorrente si riporta, in premessa, ai rilievi generali contenuti nel ricorso
n. 56 del 2006 e, quanto al riparto delle competenze legislative nella
disciplina del servizio idrico integrato, svolge argomentazioni analoghe a
quelle svolte dalla Regione Umbria con il ricorso n. 72 del 2006.
6.1. - È censurato l'art. 147, comma 2, lettera b), il quale prevede che le
Regioni debbano rispettare, tra gli altri, il principio di «unitarietà della
gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle
gestioni», nel caso in cui decidano di modificare «le delimitazioni degli ambiti
territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato,
assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia
ed economicità».
La ricorrente lamenta che la disposizione víola: a) l'art. 76 Cost., per eccesso
di delega, perché «introduce in un decreto delegato di mero «riordino,
coordinamento e integrazione della materia (cfr. art. 1, comma 1, legge n.
308/2004) una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al
sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)», la quale al riguardo «aveva
previsto il diverso criterio della unitarietà attraverso il superamento della
frammentazione delle gestioni esistenti: ma non la rigida necessaria unicità
della gestione»; b) l'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza trovare
«fondamento in alcuna delle materie richiamate all'art. 141, comma 1» del
medesimo decreto legislativo né in un diverso titolo di competenza
costituzionale, incide sulla potestà legislativa residuale della Regione nella
materia dei «servizi pubblici locali»; c) l'art. 3 Cost., sub specie del
principio di ragionevolezza, perché è «adottata senza tenere conto dei
potenziali effetti negativi che essa è in grado di produrre», e cioè senza
considerare «le particolari esigenze e le peculiarità delle singole realtà
territoriali, le quali ben potrebbero invece consigliare - in casi particolari -
una soluzione differente».
6.2. - La Regione denuncia anche l'art. 150, comma 1, per gli stessi motivi
prospettati in relazione all'art. 147, comma 2, lettera b).
6.3. - È censurato, poi, il comma 2 dello stesso art. 150, il quale stabilisce -
come visto - che l'aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato è
effettuata dall'Autorità d'ambito - nel rispetto dei criteri di cui all'art.
113, comma 7, del d.lgs. n. 67 del 2000, - «secondo modalità e termini stabiliti
con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel
rispetto delle competenze regionali in materia».
Per la ricorrente, la disposizione víola: a) l'art. 117, secondo e quarto comma,
Cost., perché, riservando al livello statale la determinazione delle modalità e
dei termini di aggiudicazione, lede i princípi di proporzionalità e di
adeguatezza che connotano l'esercizio della potestà legislativa statale in
materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, Cost.) e,
pertanto, opera un'illegittima compressione della competenza legislativa
regionale; b) l'art. 117, sesto comma, Cost., perché demanda la disciplina delle
modalità e dei termini dell'aggiudicazione ad un atto ministeriale che, al di là
del nomen juris utilizzato, ha natura regolamentare ed interviene nella
materia di potestà legislativa regionale dei «servizi pubblici locali»; c)
l'art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la
quale: (c.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú
decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle
disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette
l'introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (c.2.)
disponendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l'altro, le attribuzioni
regionali e degli enti locali stabilite all'interno del decreto legislativo n.
112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l'attribuzione di funzioni
amministrative all'Autorità d'ambito «in contrasto con i disposti di cui al
d.lgs. n. 112/1998», «il cui art. 88 non riserva certo al livello di governo
statale il compito di disciplinare le modalità ed i termini per l'aggiudicazione
della gestione del servizio idrico integrato».
Rileva la ricorrente che la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2004,
richiamando i principi di proporzionalità ed adeguatezza in tema di tutela della
concorrenza, ha dichiarato l'incostituzionalità del secondo e del terzo periodo
del comma 7 dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, perché tali disposizioni,
indicando nell'estremo dettaglio i criteri di aggiudicazione, vanno «al di là
della pur doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara»,
realizzando una «illegittima compressione dell'autonomia regionale, poiché
risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obiettivo della tutela
della concorrenza l'intervento legislativo statale». Tale orientamento -
prosegue la ricorrente - si attaglia anche al caso di specie, con la conseguenza
che trova applicazione il principio secondo cui «aspetti concorrenziali inerenti
alla gara [...] appaiono sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione
[…] di una serie di standard - coerenti con quelli contenuti nella direttiva
2004/18/CE - nel cui rispetto la gara appunto deve essere indetta ed
aggiudicata» e ogni previsione ulteriore costituisce una «palese compressione
delle legittime facoltà delle Regioni».
6.4. - Gli artt. 159 e 160, che istituiscono e disciplinano l'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, sono impugnati in riferimento: a)
all'art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla materia, di potestà
legislativa residuale delle Regioni, dei «pubblici servizi locali», stante
altresí l'istituzione di una Autorità regionale di vigilanza in forza degli artt.
20 e 21 della legge reg. n. 25 del 1999; b) all'art. 118 Cost., perché
stabiliscono «l'attribuzione di funzioni amministrative ad un organo statale in
assenza di reali motivi che ne giustifichino un'attrazione a livello statale»;
c) all'art. 76 Cost. e, quale norma interposta, alla legge delega n. 308 del
2004, la quale: (c.1.) non individua, quale oggetto della delega medesima,
l'istituzione della predetta autorità; (c.2.) stabilendo che la fonte delegata
debba rispettare, tra l'altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali
stabilite all'interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8),
preclude l'attribuzione a livello statale di funzioni amministrative in
contrasto con l'art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998; d) agli artt. 117 e 118 Cost.,
perché «un'attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi di
vigilanza] ad opera dello Stato potrebbe essere consentita - ricorrendone i
presupposti sostanziali (cosa che non è nel presente caso) - previo reale
coinvolgimento delle regioni nell'esercizio del potere, in ossequio ai princípi
indicati con la nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost.»; e) all'art. 3 Cost.,
sub specie del principio di ragionevolezza, perché «costituiscono un organismo
denominato “Autorità” pur in assenza dei caratteri di indipendenza, capacità
tecnica e terzietà che dovrebbero caratterizzare le “Autorità”».
6.5. - La ricorrente censura anche l'art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del
2006, il quale cosí dispone: «I consorzi di bonifica ed irrigazione, nell'ambito
delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a
prevalente scopo irriguo, gli impianti per l'utilizzazione in agricoltura di
acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi
irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità corredata dal
progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti
nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle
acque siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la
produzione di energia idroelettrica e l'approvvigionamento di imprese
produttive. L'Autorità di bacino esprime entro centoventi giorni la propria
determinazione. Trascorso tale termine, la domanda si intende accettata. Per
tali usi i consorzi sono obbligati ai pagamento dei relativi canoni per le
quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le
disposizioni di cui al secondo comma dell'articolo 36 del testo unico delle
disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio
decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.».
Per la Regione, la norma víola: a) l'art. 117, quarto comma, Cost., perché: (a.1.)
incide sulle materie, di potestà legislativa residuale delle Regioni,
dell'«agricoltura» e dei «lavori pubblici d'interesse regionale»; (a.2.)
prevedendo «una forma di silenzio-assenso da parte dell'Autorità di bacino per
l'utilizzo delle acque», illegittimamente disciplina «il procedimento
[amministrativo] nelle materie regionali, come è reso evidente dallo stesso art.
29, commi 1 e 2, della legge statale n. 241 del 1990, legge generale sul
procedimento amministrativo»; b) l'art. 118, primo comma, Cost., perché,
prevedendo «l'affidamento della competenza decisionale ad un organo non
appartenente alla regione», lede le competenze amministrative di detto ente
territoriale, mancando: (b.1.) «una fondata ragione di attrazione a livello
statale»; (b.2.) pur nel caso di attrazione in sussidiarietà, l'«imprescindibile
concorso regionale come da sentenza 303/2003 Corte cost.»; c) l'art. 76 Cost. e,
quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la quale: (c.1.)
stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti
legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni
legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l'introduzione nel
decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (c.2.) disponendo che la
fonte delegata debba rispettare, tra l'altro, le attribuzioni regionali e degli
enti locali stabilite all'interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art.
1, comma 8), preclude l'attribuzione a livello statale di funzioni
amministrative in contrasto con gli artt. 88 e 89 del d.lgs. n. 112 del 1998.
6.6. - La ricorrente censura, inoltre, l'art. 172, comma 2, il quale, in
combinato con l'art. 147, comma 2, nel prevedere che «In relazione alla scadenza
del termine di cui al comma 15-bis dell'articolo 113 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267, l'Autorità d'ambito dispone i nuovi affidamenti, nel
rispetto della parte terza del presente decreto, entro i sessanta giorni
antecedenti tale scadenza», si pone - a suo avviso - in contrasto con l'art. 3
Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché, «venendo […] ad
insistere in una realtà che - normata dalla legge Galli e dalle leggi regionali
di settore - ammetteva invece anche la possibilità di piú gestioni all'interno
del medesimo ambito», «nell'ipotesi di scadenze differenziate a seguito del
termine di cui all'art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267/2000», realizza «la
situazione paradossale della inapplicabilità della gestione unica, ovvero della
lesione dei diritti dei gestori con scadenze differenziate».
6.7. - È censurato, infine, l'art. 176, comma 1, sul rilievo che esso violerebbe
l'art. 117, comma 3, Cost., perché è «giurisprudenza costituzionale costante
quella che nega la legittimità di un'autoqualificazione di disposizioni come “di
principio” a prescindere dai loro concreti contenuti e dal rigoroso rispetto dei
criteri di riparto di cui all'art. 117 Cost.» e, perciò, «la qualificazione “in
blocco” di tutte le disposizioni di cui alla Parte Terza […] come “di
principio”, appare in realtà del tutto arbitraria ed illegittima».
6.8. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate dalla
ricorrente.
6.9. - In prossimità dell'udienza, la Regione Emilia-Romagna ha depositato
memoria, precisando che la materia del contendere deve intendersi cessata quanto
alle questioni relative agli artt. 159 e 160, norme che disciplinano l'Autorità
di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, abolita dal comma 5 dell'art.
1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e mai entrata in funzione.
La ricorrente rileva, inoltre, di non avere piú interesse alle questioni
relative agli artt. 147, comma 2, lettera b), 150, comma 1, 172, comma 2, perché
tali norme richiedevano il requisito dell'unicità della gestione, sostituito,
per effetto dell'art. 2, comma 13, da quello dell'unitarietà della gestione, già
previsto - a suo avviso - dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla
legislazione regionale.
6.10. - Ha depositato memoria in prossimità dell'udienza anche l'Associazione
Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per
l'accoglimento delle questioni sollevate.
7. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e
iscritto al n. 74 del registro ricorsi del 2006, la Regione Liguria ha promosso
questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto
legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 148, comma 5, 149, comma
6, e 154.
7.1. - Le questioni proposte dalla ricorrente sono analoghe a quelle proposte
con il ricorso della Regione Umbria n. 72 del 2006 e sopra riportate ai punti
5.1., 5.2. e 5.4.
7.2. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate.
7.3. - In prossimità dell'udienza, la Regione Liguria ha depositato memoria,
precisando che la materia del contendere deve intendersi cessata quanto alle
questioni relative all'art. 149, comma 6, perché esse sono riferite ai poteri
dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, abolita dal
comma 5 dell'art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e mai entrata in
funzione.
7.4. - L'Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha
depositato memoria in prossimità dell'udienza, insistendo per l'accoglimento
delle questioni sollevate.
8. - Con ricorso notificato il 12 giugno 2006, depositato il 17 giugno 2006 e
iscritto al n. 75 del registro ricorsi del 2006, la Regione Abruzzo ha promosso
questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto
legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 154 e 155.
8.1. - Le questioni proposte dalla ricorrente sono analoghe a quelle proposte
con il ricorso della Regione Emilia Romagna n. 56 del 2006 e sopra riportate ai
punti 1.3. e 1.4.
La ricorrente chiede anche la sospensione dell'esecuzione delle disposizioni
censurate.
8.2. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate.
8.3. - L'Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha
depositato memoria in prossimità dell'udienza, insistendo per l'accoglimento
delle questioni sollevate.
9. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 20 giugno 2006 e
iscritto al n. 76 del registro ricorsi del 2006, la Regione Puglia ha promosso
questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto
legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 154 e 155.
9.1. - Ad avviso della ricorrente, le disposizioni censurate violano: a) l'art.
117, quarto comma, Cost., perché - concernendo una materia che non può farsi
rientrare tra quelle riservate alla potestà legislativa esclusiva statale, «dato
che non attiene alla tutela dell'ambiente di cui alla lettera s) del comma 1,
dell'art. 117 Cost., né al sistema tributario e contabile dello Stato, di cui
alla lettera e) dello stesso comma» - incidono sulla competenza legislativa
residuale regionale; b) l'art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché
incidono su un «tributo di carattere locale», «la cui determinazione spetta alle
autonomie territoriali»; c) l'art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge
di delegazione n. 308 del 2004, «per contrasto […] con i principi direttivi» di
quest'ultima.
La ricorrente chiede anche la sospensione dell'esecuzione delle disposizioni
censurate, «in considerazione del rischio di un pregiudizio irreparabile
all'interesse pubblico o di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti
della popolazione regionale».
In particolare, tale pregiudizio deriva - a detta della Regione - dalla
«previsione della soppressione delle Autorità di Bacino di cui alla legge n.
183/1989, prima ancora di provvedere all'istituzione delle nuove Autorità; dalla
sovrapposizione di nuove funzioni statali a quelle già svolte dalle regioni, con
conseguenze negative in termini di certezza del diritto e di efficienza
dell'azione amministrativa».
9.2. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate.
9.3. - In prossimità dell'udienza, la Regione Puglia ha depositato memoria,
ribadendo le argomentazioni già svolte.
9.4. - Anche l'Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus
(WWF), ha depositato memoria in prossimità dell'udienza, insistendo per
l'accoglimento delle questioni sollevate.
10. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 21 giugno 2006 e
iscritto al n. 78 del registro ricorsi del 2006, la Regione Campania ha promosso
questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto
legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 154 e 155.
10.1. - Le questioni proposte dalla ricorrente e aventi ad oggetto tali
disposizioni sono analoghe a quelle proposte con il ricorso della Regione Emilia
Romagna n. 56 del 2006 e sopra riportate ai punti 1.3 e 1.4.
10.2. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide
Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate.
10.3. - Con memoria depositata in prossimità dell'udienza, la ricorrente ha
ribadito quanto già richiesto nel ricorso.
10.4. - L'Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF),
ha depositato memoria in prossimità dell'udienza, insistendo per l'accoglimento
delle questioni sollevate.
11. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 21 giugno 2006 e
iscritto al n. 79 del registro ricorsi del 2006, la Regione Marche ha promosso
questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto
legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 148, comma 5, 149, comma
6, 154, 155, 159, comma 2, 160, comma 2, lettere f) e g).
11.1. - L'art. 148, comma 5, è censurato in riferimento all'art. 117, quarto
comma, Cost., perché, non concretizzando «una misura volta a tutelare la
concorrenza», incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia
di servizi pubblici locali.
11.2. - L'art. 149, comma 6, è censurato in rifermento all'art. 117, terzo e
quarto comma, Cost., perché «le finalità del controllo consentono di ricondurre
l'attività in parte alla materia dei servizi pubblici, in parte alla materia del
governo del territorio (programma degli investimenti)», entrambe di competenza
regionale.
11.3. - La ricorrente impugna anche gli artt. 154 e 155, in riferimento: a)
all'art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla competenza legislativa
residuale regionale in materia di servizi pubblici locali; b) all'art. 119,
primo e secondo comma, Cost., perché incidono «su un'entrata la cui disciplina
ricade nella competenza regionale».
11.4. - È censurato, inoltre, l'art. 159, comma 2, perché esso - nel prevedere
nella composizione dell'organo «una presenza minoritaria dei rappresentanti
delle regioni (quattro membri nominati su designazione della Conferenza dei
presidenti delle regioni e delle province autonome) rispetto a quella
riconosciuta ai vari Ministeri (nove membri piú il Presidente)», pur essendo
detto organo investito, in forza dell'art. 160 del medesimo decreto legislativo,
di «numerosi compiti, fortemente incisivi in materie di competenza regionale» -
si pone in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., dando luogo ad
«un'illegittima attribuzione in capo allo Stato di funzioni costituzionalmente
garantite alle regioni in materia di servizi pubblici locali».
11.5. - La Regione denuncia, infine, le lettere f) e g) del comma 2 dell'art.
160, per violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., perché dette previsioni
incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi
pubblici locali.
11.6. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide
Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate.
11.7. - In prossimità dell'udienza, la Regione Marche ha depositato memoria,
modificando in parte le richieste già formulate, in conseguenza delle modifiche
della normativa censurata successive alla presentazione del ricorso.
Quanto al censurato art. 148, comma 5, la ricorrente rileva che esso - che non
ha subito significative modifiche ad opera del d.lgs. n. 116 del 2008, il quale
ha dato attuazione alla direttiva 2006/7/CE sulla gestione delle acque di
balneazione - è stato interamente sostituito dall'art. 2, comma 14, del d.lgs.
n. 4 del 2008, il quale ha introdotto una disposizione del seguente tenore:
«Ferma restando la partecipazione obbligatoria all'Autorità d'ambito di tutti
gli enti locali ai sensi del comma 1, l'adesione alla gestione unica del
servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a
1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che
gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità
d'ambito competente». La ricorrente ritiene che tale modifica sostanziale della
norma censurata soddisfi le sue pretese, perché il nuovo testo dell'art. 148,
comma 5, non lede la competenza regionale in tema di servizi pubblici locali,
limitandosi a stabilire solo un principio generale in tema di gestione e
affidamento del servizio (la menzionata “facoltatività” dell'adesione all'ATO
dei piccoli Comuni inclusi nel territorio delle Comunità montane, condizionata
alla gestione dell'intero servizio idrico integrato), rimettendone oltretutto la
concreta operatività al consenso dell'Autorità d'ambito. La Regione prosegue
rilevando che, «per poter accedere ad una eventuale pronuncia di cessazione
della materia del contendere, occorre considerare che la modifica innovativa
sopravvenuta, pur non risultando formalmente efficace per il passato, presenta
carattere sostanzialmente retroattivo, dal momento che qualunque Comune che
avesse optato per la non adesione all'ATO in applicazione della norma qui
censurata si troverebbe oggi sottoposto al nuovo regime e alle nuove condizioni
previste dall'art. 148, comma 5, nel testo vigente». Per l'ipotesi in cui la
Corte costituzionale non ritenesse realizzati i presupposti per la cessazione
della materia del contendere, la stessa Regione insiste per l'accoglimento della
questione, come già prospettata.
Quanto al censurato art. 149, comma 6, la ricorrente rileva che esso è stato
«direttamente inciso» dal d.lgs. n. 284 del 2006, il cui art. 1, comma 5, ha
espressamente disposto che «gli articoli 159, 160 e 207 del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, sono abrogati ed il Comitato per la vigilanza sull'uso
delle risorse idriche e l'Osservatorio nazionale sui rifiuti sono ricostituiti
ed esercitano le relative funzioni. Tutti i riferimenti all'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti contenuti nel decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, sono soppressi». Ad avviso della Regione, «la
“ricostituzione” e il rinvio alle “relative funzioni” del precedente Comitato di
vigilanza sull'uso delle risorse idriche, già disciplinato dagli artt. 21 e
seguenti della legge n. 36 del 1994, impone di considerare questa disciplina
come lo ius superveniens da valutare al fine di accertare l'eventuale
soddisfazione delle doglianze». In conseguenza di tale nuova disciplina, la
ricorrente ritiene che la materia del contendere sia cessata, anche in
considerazione del fatto che l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti prevista dall'art. 159 del d.lgs. n. 152 non è mai stata costituita.
Tuttavia - rileva la ricorrente - successivamente al citato d.lgs. n. 284 del
2006, è intervenuto il d.lgs. n. 4 del 2008, il cui art. 2, comma 15, ha
interamente sostituito l'art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, ridisciplinando il
Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche e attribuendo
nuovamente ad esso il potere di controllo sul piano d'ambito, addirittura in
termini piú generici e, dunque, piú pervasivi di quanto non facesse la norma
originaria. In base al testo vigente, il Comitato «verifica la corretta
redazione del piano d'ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e prescrizioni
sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessità di modificare le clausole
contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorità d'ambito e i
gestori in particolare quando ciò sia richiesto dalle ragionevoli esigenze degli
utenti» (cosí il nuovo art. 161, comma 4, lettera b). La Regione si duole del
fatto che la nuova norma sopravvenuta si configura come modifica
«sostanzialmente coincidente» con il contenuto normativo di quella impugnata,
non solo nella parte in cui reintroduce il potere di controllo sul piano
d'ambito, ma anche laddove prevede il piú generale potere di dettare
«prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici del piano». Ricorrerebbero,
pertanto, i presupposti che impongono alla Corte costituzionale di procedere al
trasferimento della questione sulla nuova norma sopravvenuta, «in forza del
principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in
via d'azione».
Quanto alle censure relative agli artt. 154 e 155, la Regione ribadisce le
argomentazioni già svolte nel ricorso, precisando, con riferimento all'impugnato
comma 2 dell'art. 154, che esso è stato direttamente inciso dal d.lgs. n. 4 del
2008, il cui art. 2, comma 15, ha interamente sostituito l'art. 161 del d.lgs.
n. 152 del 2006, confermando il potere del Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare di “adottare” il metodo tariffario con proprio decreto
«sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano» (art. 161, comma 4, lettera a, del
d.lgs. n. 152 del 2006 nel testo attualmente vigente). In particolare, il fatto
che il testo attualmente in vigore non faccia piú riferimento alla definizione
diretta delle «componenti di costo della tariffa» da parte del Ministro, bensí
alla sola definizione del «metodo tariffario», oltretutto con il parere della
Conferenza Stato-Regioni, sarebbe, ad avviso della Regione, sufficiente a far
ritenere cessata la materia del contendere, perché configura un intervento del
legislatore statale limitato a quelle «disposizioni di carattere generale che
disciplinano le modalità di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali
di “rilevanza economica”», che sole possono considerarsi legittime in forza
della potestà legislativa dello Stato in materia di «tutela della concorrenza».
Quanto al denunciato art. 159, comma 2, la ricorrente rileva preliminarmente che
detto articolo è stato abrogato dal comma 5 dell'art. 1 del d.lgs. 8 novembre
2006, n. 284 e che l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti,
da esso disciplinata, non è mai entrata in funzione. Successivamente al citato
d.lgs. n. 284 del 2006, è intervenuto il d.lgs. n. 4 del 2008, il cui art. 2,
comma 15, ha interamente sostituito l'art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006
regolando ex novo il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche.
Il nuovo comma 2 dell'art. 161 dispone che «il Comitato è composto, nel rispetto
del principio dell'equilibrio di genere, da sette membri, nominati con decreto
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare», dei quali
tre sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle
Province autonome e quattro - di cui uno con funzioni di presidente individuato
con il medesimo decreto - sono scelti tra persone particolarmente esperte in
materia di tutela ed uso delle acque, sulla base di specifiche esperienze e
conoscenze del settore. Per la ricorrente, dunque, la materia del contendere non
è cessata, perché, dal punto di vista della composizione del Comitato, la
normativa attualmente vigente si limita a riproporre quanto era già reperibile
nel testo richiamato in vigore dalla modifica operata dal d.lgs. n. 284 del
2006, con il mantenimento di quella “predominanza” dei membri di origine statale
che costituiva l'oggetto specifico della censura formulata dalla ricorrente
medesima in relazione al testo originario dell'impugnato art. 159, comma 2. La
Regione chiede, pertanto, che la questione avente ad oggetto tale ultima
disposizione sia trasferita sulla disposizione attualmente vigente, e cioè
sull'art. 161, comma 2, sul rilievo che l'ultima modifica si configura come
«sostanzialmente coincidente» rispetto al contenuto normativo censurato in
riferimento al testo originario, in quanto «un organismo composto in prevalenza
da membri di origine statale può svolgere compiti molto incisivi sulle materie
di competenza regionale senza adeguate forme di collaborazione con le Regioni».
In relazione al censurato art. 160, comma 2, lettere f) e g), che disciplinava i
poteri dell'abolita Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti,
la ricorrente sostiene, invece, che la materia del contendere dovrebbe essere
ritenuta cessata. Verrebbe in rilievo, anche in questo caso, il nuovo testo
dell'art. 161, introdotto dall'art. 2, comma 15, del d.lgs. n. 4 del 2008, il
quale - al comma 4 - prevede i compiti del vigente Comitato per la vigilanza
sull'uso delle risorse idriche. Tra tali compiti, non figura piú in alcun modo
uno specifico controllo sull'adozione da parte dei gestori di una carta di
servizio pubblico con indicazione di standard dei singoli servizi quale quello a
suo tempo previsto dalla lettera g) dell'impugnato art. 160, comma 2. Si
tratterebbe dunque di una modifica satisfattiva della doglianza formulata nel
ricorso in relazione a tale lettera. Quanto all'altra norma censurata, contenuta
nella lettera f) del comma 2 dell'art. 160, la ricorrente osserva che il nuovo
art. 161, comma 4, lettera e), si limita ad attribuire al Comitato il compito di
“definire” «i livelli minimi di qualità dei servizi da prestare, sentite le
regioni, i gestori e le associazioni dei consumatori» e, cosí facendo, si limita
ad individuare standard che - in questi termini - dovrebbero potersi ricondurre
alla competenza statale in materia di “livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali”, lasciando cosí alle Regioni il potere
di determinare e specificare livelli di qualità ulteriori.
11.8. - L'Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF),
ha depositato memoria in prossimità dell'udienza, insistendo per l'accoglimento
delle questioni sollevate.
12. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 23 giugno 2006 e
iscritto al n. 80 del registro ricorsi del 2006, la Regione Basilicata ha
promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 154 e 155.
12.1. - Quanto alla prima delle due disposizioni denunciate, la Regione sostiene
che essa, nel prevedere, nella sostanza, poteri normativi dei Ministri «con
rapporto di sovraordinazione rispetto agli enti regionali», víola a) l'art. 117,
quarto comma, Cost., in quanto, «non avendo lo Stato la competenza a provvedere»
in materia, incide sulla «competenza legislativa attribuita alle regioni» in
materia di servizi pubblici locali, che è «residuale e perciò esclusiva»; b)
l'art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, i
cui criteri stabiliscono il rispetto delle attribuzioni regionali «come definite
ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59,
e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» (art. 1, comma 8, alinea della
legge delega); c) l'art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge n. 308 del
2004, per eccesso di delega, non prevedendo la fonte delegante «il potere di
istituire nuove imposte».
12.2. - Quanto al censurato art. 155, la ricorrente afferma che esso si pone in
contrasto con: a) l'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, «non avendo lo
Stato la competenza a provvedere» in materia, incide sulla «competenza
legislativa attribuita alle regioni» in materia di servizi pubblici locali, che
è «residuale e perciò esclusiva»; b) l'art. 76 Cost. e, quale norma interposta,
la legge n. 308 del 2004, per eccesso di delega, non prevedendo la fonte
delegante «il potere di istituire nuove imposte».
12.3. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide
Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate.
12.4. - L'Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF),
ha depositato memoria in prossimità dell'udienza, insistendo per l'accoglimento
delle questioni sollevate.
Considerato in diritto
1. - I giudizi di legittimità costituzionale di cui in epigrafe sono stati
promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorsi n. 56 e n. 73 del 2006), Calabria
(ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Piemonte (ricorso n.
70 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006),
Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006), Puglia (ricorso n. 76 del 2006), Campania
(ricorso n. 78 del 2006), Marche (ricorso n. 79 del 2006), Basilicata (ricorso
n. 80 del 2006).
Le ricorrenti censurano gli artt. 135, 136, 141, da 144 a 160, 166, 170, 172,
176, ricompresi nella parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
(Norme in materia ambientale), avente ad oggetto la difesa del suolo, la tutela
delle acque dall'inquinamento, la gestione delle risorse idriche: gli artt. 135
e 136 sono contenuti nel capo I del titolo V della sezione II e riguardano le
sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico; gli artt. 141, da 144
a 160, 166, 170, rientrano nella sezione III ed hanno per oggetto la gestione
delle risorse idriche; gli artt. 172 e 176, infine, appartengono alla sezione IV
e recano norme transitorie e finali.
1.1. - Le questioni relative agli art. 135 e 136 sono promosse solo dalla
Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006).
1.1.1. - L'art. 135 - che, al comma 2, attribuisce al Comando carabinieri tutela
ambiente (C.C.T.A.) le funzioni della «sorveglianza e dell'accertamento degli
illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque
dall'inquinamento» - è censurato per la lesione che arrecherebbe alle competenze
regionali in materia di individuazione dei soggetti preposti ai compiti di
polizia amministrativa.
1.1.2. - L'art. 136 stabilisce che «Le somme derivanti dai proventi delle
sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto sono
versate all'entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle unità
previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione
dell'inquinamento dei corpi idrici» ed è denunciato in riferimento all'art. 119
Cost., perché porrebbe alla Regione un illegittimo vincolo di destinazione dei
proventi delle sanzioni amministrative.
1.2. - Le questioni relative agli artt. 141, da 144 a 160, 166 e 170 - i quali
hanno per oggetto la gestione delle risorse idriche e rientrano, come visto,
nella sezione III della parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 - sono proposte
da diverse ricorrenti.
1.2.1. - Un primo gruppo di tali questioni è sollevato in riferimento all'art.
76 Cost., per eccesso di delega, sotto il profilo che le suddette disposizioni,
nell'attuare la legge di delegazione 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo
per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia
ambientale e misure di diretta applicazione), introdurrebbero norme innovative,
in violazione dei princípi e criteri posti da detta legge di delegazione, la
quale - al comma 1 dell'art. 1 - stabilisce, invece, che il decreto delegato
deve limitarsi a «riordino, coordinamento e integrazione» della materia.
In particolare, le ricorrenti denunciano la violazione dei princípi sulla
gestione delle risorse idriche fissati dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36
(Disposizioni in materia di risorse idriche). Sono censurati, sotto questo
profilo: a) l'art. 147, comma 2, lettera b) - anche in combinato con l'art. 172,
comma 2, del medesimo decreto legislativo -, secondo cui «Le regioni possono
modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la
gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento
secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in
particolare» del principio di unicità della gestione e, comunque, del
superamento della frammentazione verticale delle gestioni (ricorso n. 73 del
2006); b) l'art. 148, comma 5, il quale stabilisce, in particolare che, «Ferma
restando la partecipazione obbligatoria all'Autorità d'ambito di tutti gli enti
locali […], l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è
facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel
territorio delle comunità montane, a condizione che la gestione del servizio
idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite
una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune»
(ricorsi n. 70, n. 72 e n. 74 del 2006); c) l'art. 149, comma 6, che dispone che
il piano d'àmbito è trasmesso alla regione competente, all'Autorità di vigilanza
sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio ed attribuisce all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e
sui rifiuti il potere di svolgere rilievi e osservazioni su elementi essenziali
del piano stesso (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); d) l'art. 150, commi 1 e 2,
il quale prevede che l'autorità d'àmbito, nel rispetto del piano d'àmbito e del
principio di unicità della gestione, delibera la forma di gestione e aggiudica
la gestione stessa (ricorso n. 73 del 2006); e) l'art. 153, comma 1, secondo cui
le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali sono affidate in
concessione d'uso gratuita al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne
assume i relativi oneri (ricorso n. 72 del 2006); f) gli artt. 154 e 155, che
istituiscono e disciplinano la tariffa del servizio idrico integrato (ricorsi n.
72 e n. 76 del 2006); g) gli artt. 159 e 160, i quali istituiscono l'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e ne disciplinano i compiti e le
funzioni (ricorsi n. 68 e n. 73 del 2006); h) l'art. 166, commi 1 e 4, i quali
prevedono, rispettivamente, che i consorzi di bonifica ed irrigazione, previa
domanda all'Autorità di bacino competente, «hanno facoltà di utilizzare le acque
fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione
delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni» e che il
contributo che, ai sensi del comma 3, deve essere versato al consorzio da
«chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali
consortili o acque irrigue come recapito di scarichi» è «determinato dal
consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle
modalità di versamento» (ricorsi n. 72 e n. 73 del 2006).
1.2.2. - Un secondo gruppo di questioni è posto anch'esso in riferimento
all'art. 76 Cost., per eccesso di delega, sotto il diverso profilo che le
disposizioni censurate violerebbero il riparto di competenze amministrative
fissato dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e, pertanto, si
porrebbero in contrasto con la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale -
al comma 8 dell'art. 1 - impone al legislatore delegato il rispetto delle
attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal medesimo d.lgs. n. 112
del 1998.
Sono censurati, sotto questo profilo: a) gli articoli da 144 a 146, i quali
contengono i princípi generali della gestione del demanio idrico (ricorso n. 68
del 2006); b) l'art. 148, che individua nell'autorità d'àmbito la struttura alla
quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale «è trasferito
l'esercizio delle competenze» spettanti agli enti locali «in materia di gestione
delle risorse idriche» (ricorso n. 68 del 2006); c) l'art. 149, comma 6 (ricorsi
n. 72 e n. 74 del 2006); d) l'art. 150, commi 1 e 2 (ricorso n. 73 del 2006); e)
l'art. 153, che disciplina le «Dotazioni dei soggetti gestori del servizio
idrico integrato» (ricorso n. 72 del 2006); f) gli artt. 154 e 155, che sono
censurati - sempre in riferimento all'art. 76 Cost. - anche perché
introdurrebbero un nuovo tributo e violerebbero il diritto comunitario e il
criterio direttivo dell'invarianza del gettito, posto dall'art. 1, comma 8,
lettera d), della legge di delegazione (ricorsi n. 56, n. 72, n. 74, n. 75, n.
78 e n. 80 del 2006); g) gli artt. 159 e 160 (ricorsi n. 68, n. 72 e n. 73 del
2006); h) l'art. 166, comma 1 (ricorso n. 73 del 2006).
1.2.3. - Un terzo gruppo di questioni è promosso in relazione all'art. 3 Cost.,
sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.
Tali questioni hanno ad oggetto: a) l'art. 147, comma 2, lettera b), anche in
combinato con l'art. 172, comma 2 (ricorso n. 73 del 2006); b) l'art. 148, comma
5, che è impugnato, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., anche sotto il
profilo della violazione del principio di uguaglianza (ricorsi n. 70 e n. 72 del
2006); c) l'art. 150, comma 1 (ricorso n. 73 del 2006); d) l'art. 153, comma 1,
il quale, in particolare, è censurato sia perché «sancendo inderogabilmente la
gratuità della concessione delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti
locali determina un […] danno a carico delle finanze dei medesimi enti locali,
privandoli di un introito», sia perché può essere interpretato nel senso che
«abbia effetto anche in relazione agli affidamenti già in essere che prevedono
la onerosità della concessione» (ricorso n. 72 del 2006); e) gli artt. 154 e 155
(ricorsi n. 56, n. 69, n. 75 e n. 78 del 2006); f) gli artt. 159 e 160 (ricorso
n. 73 del 2006).
1.2.4. - L'art. 166, comma 4, è censurato - con l'implicita evocazione a
parametro degli artt. 3 e 41 Cost. - perché determina «una illegittima
compressione dell'autonomia negoziale […] degli enti locali, che si vedono
costretti a subire unilateralmente le decisioni di un soggetto quale il
Consorzio di bonifica, non ad essi sovraordinato» (ricorso n. 72 del 2006).
1.2.5. - Un quinto gruppo di questioni è posto in relazione all'art. 117, quarto
comma, Cost., sotto il profilo della lesione delle competenze legislative
regionali e, in particolare, di quella residuale in materia di servizi pubblici
locali. Al riguardo, le ricorrenti sostengono - per lo piú - che le disposizioni
censurate non sono ascrivibili a materie di competenza legislativa statale,
quali la tutela della concorrenza o la tutela dell'ambiente.
Rientrano in tale gruppo le questioni aventi ad oggetto: a) gli articoli da 144
a 146 (ricorso n. 68 del 2006); b) l'art. 147, comma 2, lettera b), anche in
combinato con l'art. 172, comma 2 (ricorso n. 73 del 2006); c) l'art. 148, anche
con specifico riferimento ai commi 3 e 5 (ricorsi n. 68, n. 69, n. 72, n. 74 e
n. 79 del 2006); d) l'art. 149, comma 6 (ricorsi n. 69, n. 72, n. 74 e n. 79 del
2006); e) l'art. 150 (ricorsi n. 68, n. 70 e n. 73 del 2006); f) l'art. 151,
recante «Rapporti tra autorità d'ambito e soggetti gestori del servizio idrico
integrato» (ricorso n. 68 del 2006); g) l'art. 153 (ricorsi n. 68 e n. 72 del
2006); h) gli artt. 154 e 155 (ricorsi n. 56, n. 72 e n. 76 del 2006); i) gli
artt. 159 e 160 (ricorsi n. 68, n. 69, n. 72, n. 73 e n. 79 del 2006); l) l'art.
166, anche in relazione alla sua incidenza su materie che le ricorrenti
ritengono di potestà legislativa residuale regionale, quali l'«agricoltura» e i
«lavori pubblici d'interesse regionale» (ricorso n. 73 del 2006).
1.2.6. - Con riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., la Regione Toscana
censura l'art. 149, comma 6, sostenendo che esso incide sulla materia, di
potestà legislativa concorrente regionale, del «governo del territorio»,
dettando disposizioni di dettaglio (ricorso n. 69 del 2006).
1.2.7. - In alcuni ricorsi è evocato a parametro l'art. 117, sesto comma, Cost.,
sul rilievo che la normativa censurata attribuirebbe illegittimamente allo Stato
la competenza ad emanare regolamenti in materie non riconducibili alla
competenza legislativa esclusiva statale.
Le disposizioni impugnate in relazione a tale parametro sono: a) l'art. 146,
comma 3, il quale prevede, in particolare, che «il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio […] adotta un regolamento per la definizione dei
criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e
delle fognature» (ricorso n. 68 del 2006); b) l'art. 150, comma 2, il quale
prevede, in particolare che, con decreto del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia, sono
fissati le modalità e i termini per l'aggiudicazione del servizio idrico
integrato da parte dell'autorità d'àmbito (ricorso n. 73 del 2006); c) l'art.
154, commi 2 e 3 (ricorso n. 68 del 2006); d) l'art. 159, comma 4 (ricorso n. 68
del 2006).
1.2.8. - Un ottavo gruppo di questioni è quello riferito all'art. 118 Cost. (in
alcuni casi evocato in combinato con l'art. 117 Cost.), per violazione delle
competenze amministrative regionali, a séguito dell'allocazione di funzioni
amministrative a livello statale senza che vi siano esigenze unitarie.
Sono censurati sotto tale profilo: a) gli artt. da 144 a 146 (ricorso n. 68 del
2006); b) l'art. 148 (ricorsi n. 68 e n. 70 del 2006); c) l'art. 149 (ricorsi n.
68, n. 72 e n. 74 del 2006); d) l'art. 150 (ricorso n. 70 del 2006); e) gli artt.
154, 155 e 156 (ricorso n. 68 del 2006); f) gli artt. 159 e 160 (ricorsi n. 68,
n. 72 e n. 73 del 2006).
1.2.9. - In un nono gruppo di questioni è evocato a parametro il principio di
leale collaborazione. Le ricorrenti lamentano il mancato coinvolgimento
regionale nel procedimento legislativo o nell'esercizio delle funzioni
amministrative attribuite al livello statale.
Le disposizioni censurate in riferimento a tale parametro sono: a) gli articoli
da 144 a 146 (ricorso n. 68 del 2006); b) l'insieme degli articoli da 147 a 158
(ricorso n. 68 del 2006); c) l'art. 149, comma 6 (ricorsi n. 72 e n. 74 del
2006); d) gli artt. 154 e 155 (ricorso n. 68 del 2006); e) gli artt. 159 e 160
(ricorsi n. 68, n. 69 e n. 73 del 2006); f) l'art. 166, comma 1 (ricorsi n. 72 e
n. 73 del 2006).
1.2.10. - Con un decimo e ultimo gruppo di questioni relative alle disposizioni
della sezione III, proposte in riferimento all'art. 119 Cost., si denuncia la
lesione dell'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali.
Rientrano in tale gruppo le questioni aventi ad oggetto: a) gli artt. 154 e 155
(ricorsi n. 56, n. 68, n. 69, n. 72, n. 74, n. 75, n. 76, n. 78 e n. 79 del
2006); b) l'art. 166, comma 4 (ricorso n. 72 del 2006).
1.3. - Sono denunciati, infine, gli artt. 172, comma 2, e 176, comma 1,
contenuti nella sezione IV della parte terza, i quali recano norme transitorie e
finali.
1.3.1. - L'art. 172, comma 2 - impugnato in combinato con l'art. 147, comma 2 -,
prevede che «In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis
dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l'Autorità
d'ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del
presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza». La
disposizione è censurata in riferimento all'art. 3 Cost. (ricorso n. 73 del
2006).
1.3.2. - L'art. 176, comma 1, dispone che «Le disposizioni di cui alla parte
terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente
costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117, comma 3, della
Costituzione». Esso è censurato in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.
(ricorsi n. 68, n. 70 e n. 73 del 2006).
2. - L'esecuzione di alcune delle suddette disposizioni è stata oggetto di
domanda cautelare da parte di alcune delle ricorrenti.
In particolare, la Regione Toscana ha chiesto la sospensione dell'esecuzione
dell'art. 148, comma 5, mentre le Regioni Emilia-Romagna, Abruzzo e Puglia hanno
chiesto la sospensione dell'esecuzione degli artt. 154 e 155.
Sulla richiesta avanzata dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 56), questa
Corte si è già pronunciata con l'ordinanza n. 245 del 2006, dichiarando il non
luogo a provvedere. Le richieste delle altre ricorrenti sono assorbite dalla
pronuncia definitiva sui relativi ricorsi.
3. - Nei giudizi di cui ai ricorsi n. 56, n. 69, n. 70, n. 72, n. 73, n. 74, n.
75, n. 76, n. 78, n. 79 e n. 80 del 2006 è intervenuta l'Associazione Italiana
per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l'accoglimento delle
questioni sollevate dalla ricorrente. Nel giudizio di cui al ricorso n. 70 sono
intervenute anche, costituendosi con unico atto, la s.p.a. Biomasse Italia, la
s.r.l. Società Italiana Centrali Termoelettriche - SICET, la s.r.l. Ital Green
Energy, la s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie Ambiente.
Tali interventi sono stati dichiarati inammissibili con l'ordinanza allegata
alla presente sentenza e pronunciata all'udienza del 5 maggio 2009, con cui è
stato ribadito che il giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via
di azione, si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà
legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di
tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre
istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte alla stessa Corte
costituzionale in via incidentale (sentenze n. 405 del 2008 e n. 469 del 2005).
4. - La trattazione delle sopra indicate questioni di legittimità costituzionale
viene qui separata da quella delle altre, promosse con i medesimi ricorsi, per
le quali è opportuno procedere ad un esame distinto. I giudizi, cosí separati e
delimitati nell'oggetto, vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e
decisi in considerazione della parziale identità delle norme censurate e delle
questioni prospettate.
5. - Ciò premesso, si deve ora procedere all'esame analitico delle sollevate
questioni, in relazione a ciascuna delle disposizioni oggetto di censura.
6. - L'art. 135, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce che: a) «ai fini
della sorveglianza e dell'accertamento degli illeciti in violazione delle norme
in materia di tutela delle acque dall'inquinamento provvede il Comando
carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.)»; b) in relazione a tali funzioni
amministrative, «può altresí intervenire il Corpo forestale dello Stato e
possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato». Tali
disposizioni sono censurate dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006), per
violazione delle competenze regionali in materia di individuazione dei soggetti
preposti ai compiti di polizia amministrativa. Esse, in particolare, si
porrebbero in contrasto con il comma 1 del medesimo art. 135, il quale
attribuisce proprio alle Regioni la competenza ad accertare gli illeciti
amministrativi e ad irrogare le relative sanzioni, prevedendo che, «In materia
di accertamento degli illeciti amministrativi, all'irrogazione delle sanzioni
amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli
articoli 18 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la
provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad
eccezione delle sanzioni previste dall'articolo 133, comma 8, per le quali è
competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre
pubbliche autorità».
La questione non è fondata.
La ricorrente, pur non evocando espressamente alcun parametro costituzionale,
intende evidentemente denunciare il contrasto fra la disposizione censurata e
l'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alla potestà legislativa
residuale delle Regioni la materia della polizia amministrativa locale.
Tuttavia, contrariamente a quanto dedotto dalla Regione, un tale contrasto non
sussiste, perché la disposizione censurata non attiene alla suddetta evocata
materia, ma si limita ad indicare il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.)
quale organo competente ad accertare le violazioni amministrative, senza privare
delle loro competenze gli organi di polizia amministrativa locale.
7. - Il denunciato art. 136 prevede che: a) «Le somme derivanti dai proventi
delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto
sono versate all'entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle
unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione
dell'inquinamento dei corpi idrici»; b) «Le regioni provvedono alla ripartizione
delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento». Tali
disposizioni sono censurate dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006),
perché pongono un illegittimo vincolo di destinazione dei proventi delle
sanzioni amministrative riscosse dalle Regioni, in contrasto con la
giurisprudenza costituzionale in materia di fondi vincolati.
La questione non è fondata.
È principio ripetutamente affermato da questa Corte che la disciplina delle
sanzioni amministrative non costituisce una materia a sé, ma rientra nell'àmbito
materiale cui le sanzioni stesse si riferiscono (ex multis, sentenze n.
384 del 2005 e n. 12 del 2004). Nel caso di specie, la regolamentazione della
destinazione del gettito delle sanzioni è funzionale alla disciplina «delle
sanzioni amministrative previste dalla parte terza», e cioè alle sanzioni
previste dal precedente art. 133, le quali si riferiscono a violazioni in
materia di scarichi e di tutela della qualità dei corpi idrici, come tali
ascrivibili alla materia della tutela dell'ambiente di competenza legislativa
esclusiva dello Stato (come affermato da questa Corte con la sentenza n. 233 del
2009). Trattandosi di entrata statale, il potere di disporre l'immediata
riassegnazione di tali somme ad individuate unità previsionali di base rientra
nella competenza legislativa dello Stato. Il fatto che ciò avvenga attraverso il
versamento delle somme «all'entrata del bilancio regionale» non significa che
queste costituiscono “risorse autonome” delle Regioni alle quali non è
apponibile un vincolo di destinazione. Il versamento all'entrata del bilancio
regionale costituisce, infatti, una mera appostazione contabile, al fine di
realizzare la destinazione al risanamento e alla riduzione dell'inquinamento dei
corpi idrici, cioè a finalità meramente ambientali. La circostanza che siano le
Regioni a provvedere alla ripartizione delle somme fra gli interventi di
prevenzione e di risanamento costituisce unicamente un'attribuzione di ulteriore
autonomia alle Regioni stesse in una materia di esclusiva competenza legislativa
statale. Non trova, perciò, applicazione, nella specie, la giurisprudenza
costituzionale in materia di fondi vincolati, genericamente richiamata dalla
ricorrente.
8. - La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) impugna l'art. 141, il quale
prevede, in apertura del titolo I (Principi generali e competenze) della sezione
III (Gestione delle risorse idriche), che «Oggetto delle disposizioni contenute
nella presente sezione è la disciplina della gestione delle risorse idriche e
del servizio idrico integrato per i profili che concernono la tutela
dell'ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni
fondamentali di comuni, province e città metropolitane».
Ad avviso della ricorrente, la disposizione víola il principio della leale
collaborazione, perché omette di considerare le competenze legislative regionali
nelle materie del «governo del territorio», della «tutela della salute» e dei
«servizi pubblici locali» e perché non prevede un «coinvolgimento degli enti
regionali che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini
essenzialmente sul modello dell'intesa in senso forte».
La questione è inammissibile, perché il suddetto art. 141 non è preso in
considerazione nella delibera di autorizzazione alla proposizione del ricorso.
Trova, infatti, applicazione il principio, affermato dalla giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui la deliberazione di autorizzazione alla proposizione
del ricorso deve necessariamente indicare le specifiche disposizioni che si
intendono impugnare (ex plurimis, sentenze n. 450, n. 398, n. 216 e n. 3
del 2006).
9. - La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura gli artt. da 144 a 146
del d.lgs. n. 152 del 2006, sul rilievo che essi, nel disciplinare la tutela e
l'uso delle risorse idriche (art. 144), l'equilibrio del bilancio idrico (art.
145) e il risparmio idrico (art. 146), violano: a) l'art. 76 Cost., in combinato
disposto con l'art. 1, comma 8, della legge di delegazione n. 308 del 2004,
perché quest'ultima disposizione, nell'imporre al legislatore delegato il
rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal decreto
legislativo n. 112 del 1998 e, quindi, dall'art. 88, comma 1, lettera h), di
tale decreto, assegna rilievo nazionale ai soli cómpiti relativi «ai criteri per
la gestione del servizio idrico integrato», cioè ad un «quadro assolutamente
generale nel quale le regioni (e, se del caso, gli enti locali) siano lasciati
liberi di agire nel modo ritenuto piú consono alla tutela del proprio territorio
ed al soddisfacimento delle esigenze della propria popolazione», mentre gli
articoli denunciati introducono non solo criteri di gestione del servizio
idrico, ma anche una disciplina di dettaglio; b) l'art. 117, quarto comma, Cost.,
perché incidono sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei
«servizi pubblici locali»; c) il principio della leale collaborazione, perché
non è stata prevista alcuna «partecipazione effettiva delle regioni alla
determinazione dei […] contenuti» degli articoli medesimi; d) l'art. 118 Cost.,
perché recano «disposizioni di minuto dettaglio, indiscutibilmente ultronee
rispetto alla fissazione di standards di tutela uniformi, in contrasto, quindi,
con i principi che reggono il riparto delle funzioni amministrative».
La stessa Regione Calabria impugna anche specificamente l'art. 146, comma 3, il
quale stabilisce che «il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio,
sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e il
Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione
dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), adotta un regolamento per la
definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli
acquedotti e delle fognature». La ricorrente afferma che tale disposizione víola:
a) in via principale, l'art. 117, sesto comma, Cost., perché prevede «un potere
regolamentare in capo allo Stato in un settore non riconducibile ad una materia
di competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma»; b) in via subordinata, il
principio della leale collaborazione, per la «mancata previsione della necessità
di un coinvolgimento dei rappresentanti degli enti regionali».
Le questioni non sono fondate.
A prescindere da quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 225 del 2009
circa l'applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della
legge di delegazione, le norme denunciate rispettano comunque il riparto delle
competenze stabilito da quest'ultima, perché, nel fissare «criteri per la
gestione del servizio idrico integrato» (art. 88, comma 1, lettera h, del d.lgs.
31 marzo 1998, n. 112), sono riconducibili a materie di competenza legislativa
esclusiva statale. Infatti: a) l'art. 144, comma 1, nel prevedere che «Tutte le
acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo,
appartengono al demanio dello Stato», disciplina il regime proprietario delle
acque, che è sicuramente riconducibile alla materia dell'ordinamento civile, di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; b) i successivi commi
dell'art. 144 attengono a materie riconducibili all'ordinamento civile e alla
tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), perché
disciplinano i criteri dell'uso delle acque, in relazione alla finalità di
evitare sprechi, favorire il rinnovo delle risorse, garantire i diritti delle
generazioni future e tutelare, tra l'altro, «la vivibilità dell'ambiente»; c)
l'art. 145 è anch'esso riconducibile alla materia della tutela dell'ambiente,
perché disciplina l'equilibrio del bilancio idrico, richiamando, al comma 1, i
criteri e gli obiettivi di tutela di cui al precedente art. 144 e prevedendo, al
comma 3, per i «bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da
trasferimenti», la necessità di garantire «la vita negli alvei sottesi» e di
«non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati»; d) l'art. 146
disciplina specificamente una materia senza dubbio riconducibile alla tutela
dell'ambiente, quale il risparmio della risorsa idrica.
La rilevata riconducibilità delle norme censurate ai titoli di competenza
legislativa esclusiva statale sopra indicati vale anche a far ritenere
insussistente la lamentata violazione dell'art. 117, quarto e sesto comma, Cost.
e del principio della leale collaborazione, perché esclude sia l'invocata
competenza residuale regionale in materia di servizi pubblici locali (art. 117,
quarto comma, Cost.) sia l'obbligo di prevedere strumenti di leale cooperazione
con le Regioni, consentendo al legislatore statale di prevedere un potere
regolamentare ministeriale (art. 117, sesto comma, Cost.).
Con riferimento, infine, alla dedotta violazione dell'art. 118 Cost.,
l'affermazione della ricorrente, secondo cui le norme censurate, in quanto di
dettaglio, comportano violazione del riparto costituzionale delle funzioni
amministrative, non è fondata, perché la disciplina in esame non attribuisce
funzioni amministrative, ma, in attuazione della legge di delegazione, si limita
a precisare - nell'àmbito delle sopra indicate competenze legislative esclusive
dello Stato - i «criteri di gestione del servizio idrico», cui le Regioni e gli
altri enti interessati devono attenersi, senza che abbia alcun rilievo la
generalità o la specificità di detti criteri.
10. - La Regione Calabria censura gli articoli da 147 a 158, nel loro complesso.
La ricorrente afferma che tali disposizioni, le quali disciplinano la materia
della gestione delle risorse idriche, violerebbero il principio di leale
cooperazione, perché, trattandosi di una materia nella quale vi è «intreccio di
competenze trasversali, concorrenti e residuali», avrebbero dovuto essere
adottate con «un coinvolgimento degli enti regionali che vada ben oltre il
semplice parere, e che si incardini essenzialmente sul modello dell'intesa in
senso forte».
La questione è inammissibile, perché generica. Il ricorso avrebbe dovuto,
infatti, specificare per ciascuna norma in cosa consista il dedotto concorso di
competenze e perché sia stato violato il principio di leale collaborazione.
11. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) censura l'art. 147,
comma 2, lettera b), anche in combinato con il successivo art. 172, comma 2.
Sostiene la ricorrente che detta disposizione - nello stabilire che «Le regioni
possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per
migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo
svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel
rispetto, in particolare, dei seguenti princípi: […] b) unicità della gestione
e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni» - víola:
a) l'art. 76 Cost., per eccesso di delega, perché «introduce in un decreto
delegato di mero “riordino, coordinamento e integrazione della materia” (cfr.
art. 1, comma 1, legge n. 308/2004) una previsione del tutto nuova, che innova
radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)», la quale
al riguardo «aveva previsto il diverso criterio della unitarietà attraverso il
superamento della frammentazione delle gestioni esistenti: ma non la rigida
necessaria unicità della gestione»; b) l'art. 3 Cost., sub specie del principio
di ragionevolezza, perché è stata «adottata senza tenere conto dei potenziali
effetti negativi che essa è in grado di produrre», e cioè senza considerare «le
particolari esigenze e le peculiarità delle singole realtà territoriali, le
quali ben potrebbero invece consigliare - in casi particolari - una soluzione
differente»; c) l'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza trovare
«fondamento in alcuna delle materie richiamate all'art. 141, comma 1» del
medesimo decreto legislativo né in un diverso titolo di competenza previsto dal
secondo comma dell'art. 117 Cost., incide sulla potestà legislativa residuale
della Regione nella materia dei «servizi pubblici locali».
Per tali questioni, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.
Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza, infatti, la ricorrente
afferma di non avere piú interesse alla decisione sulle questioni relative agli
artt. 147, comma 2, lettera b), e 172, comma 2, perché il principio dell'unicità
della gestione, previsto da tali disposizioni, è stato sostituito, per effetto
dell'art. 2, comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello
dell'unitarietà della gestione, già fissato, secondo la ricorrente, dalla legge
n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale. Trova applicazione,
pertanto, l'orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio principale,
quando la parte ricorrente, pur non rinunciando formalmente al ricorso,
evidenzia il sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte
resistente non è costituita - come nella specie - o non si oppone, deve essere
dichiarata la cessazione della materia del contendere (ex multis,
ordinanze n. 418 del 2008 e n. 21 del 2004).
12. - La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura, sotto diversi
profili, l'art. 148, che individua nell'autorità d'àmbito la struttura alla
quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale «è trasferito
l'esercizio delle competenze» spettanti agli enti locali «in materia di gestione
delle risorse idriche».
12.1. - È evocato quale parametro di costituzionalità, in primo luogo, l'art. 76
Cost., in combinato disposto con l'art. 1, comma 8, della legge di delegazione
n. 308 del 2004, sul rilievo che quest'ultimo impone al legislatore il rispetto
delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal decreto
legislativo n. 112 del 1998 e, in particolare, dall'art. 86, comma 1, di tale
decreto, il quale stabilisce che «alla gestione dei beni del demanio idrico
provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio». La
disposizione denunciata sarebbe in contrasto con tale parametro, perché
priverebbe «gli enti territoriali di poteri amministrativi loro attribuiti» dal
d.lgs. n. 112 del 1998.
La questione non è fondata.
Infatti, a prescindere da quanto affermato nella sentenza di questa Corte n. 225
del 2009 circa l'applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio
direttivo della legge di delegazione, la norma censurata non menoma la
preesistente autonomia amministrativa degli enti locali, perché si limita a
razionalizzarne le modalità di esercizio, attraverso l'imputazione delle loro
originarie competenze in materia di gestione delle risorse idriche all'autorità
d'àmbito alla quale essi obbligatoriamente partecipano.
Le autorità d'àmbito erano già previste dagli artt. 8 e 9 della legge n. 36 del
1994 e dagli articoli da 24 a 26-bis della legge 8 giugno 1990, n. 142
(Ordinamento delle autonomie locali), che ne consentivano l'istituzione, da
parte delle Regioni, con strutture e forme giuridiche diverse alle quali pure
partecipavano necessariamente gli enti locali, come le convenzioni, i consorzi,
le unioni di comuni, l'esercizio associato delle funzioni. Tali disposizioni
sono state attuate dalla legislazione regionale mediante l'adozione di moduli
organizzativi scelti tra quelli consentiti dalle disposizioni stesse, seppure
diversamente denominati (agenzie, consorzi, autorità). La norma censurata
razionalizza tale quadro normativo, superando la frammentazione della gestione
del servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti competenze degli enti
territoriali. In particolare, unifica le modalità di esercizio della gestione
delle risorse idriche, prevedendo espressamente il trasferimento delle relative
competenze dagli enti locali all'autorità d'àmbito; autorità della quale - come
visto - gli enti locali necessariamente fanno parte. Tale razionalizzazione è,
dunque, avvenuta - come richiesto dalla legge di delegazione - senza privare gli
enti territoriali dei poteri amministrativi loro conferiti dal d.lgs. n. 112 del
1998.
12.2. - In secondo luogo, l'art. 148 è censurato - sempre dalla Regione Calabria
- in riferimento all'art. 117 Cost., perché «espropria le regioni di poteri
legislativi» che, ai sensi dell'art. 86, comma 1, del decreto legislativo n. 112
del 1998, sono «chiaramente (sia pure implicitamente) […] di spettanza
regionale».
La questione non è fondata.
Invero, i poteri legislativi esercitati dallo Stato con la norma censurata
attengono all'esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle
materie della tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.)
e della tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.),
materie che hanno prevalenza su eventuali titoli competenziali regionali ed, in
particolare, su quello dei servizi pubblici locali. La disposizione attiene,
infatti, alla tutela della concorrenza, laddove prevede il superamento della
frammentazione della gestione delle risorse idriche attraverso l'individuazione
di un'unica Autorità d'àmbito, allo scopo (come meglio si vedrà al punto 17.4.)
di consentire la razionalizzazione del mercato, con la determinazione della
tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap, diretto a garantire la
concorrenzialità e l'efficienza delle prestazioni. La stessa disposizione
attiene anche alla tutela dell'ambiente, perché l'allocazione all'Autorità d'àmbito
territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare
l'uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse
componenti della “biosfera” intesa «come “sistema” [...] nel suo aspetto
dinamico» (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007).
12.3. - Sempre la Regione Calabria evoca a parametro, in terzo luogo, l'art. 118
Cost., sul rilievo che il censurato art. 148 «ipostatizza un certo assetto di
competenze amministrative, senza tener conto delle peculiarità di ciascun
territorio, peculiarità che soltanto in sede di legislazione regionale possono
trovare adeguata rispondenza».
La questione non è fondata.
Per un evidente errore materiale, la ricorrente ha fatto riferimento all'art.
118 Cost., laddove, dal tenore della censura, risulta invece chiaramente che la
stessa ricorrente lamenta la lesione delle proprie competenze legislative, sotto
il profilo della spettanza ad essa della competenza ad allocare le funzioni
amministrative in materia di gestione dei servizi idrici. La Regione intendeva,
quindi, evocare a parametro l'art. 117 Cost. Cosí precisata la questione,
valgono le considerazioni già svolte sopra sub 12.2., e cioè che lo Stato ha
legittimamente esercitato una propria competenza legislativa esclusiva in tema
di tutela della concorrenza e dell'ambiente.
12.4. - La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) impugna anche,
specificamente, il comma 3 dell'art. 148, il quale stabilisce che «I bilanci
preventivi e consuntivi dell'Autorità d'ambito e loro variazioni sono pubblicati
mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell'ente, e sono
trasmessi all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni
dall'adozione delle relative delibere», in riferimento all'art. 117 Cost., «in
ragione del contenuto di estremo dettaglio» che esso reca e che incide sulle
potestà legislative regionali, non attenendo alla tutela dell'ambiente in senso
stretto, ma «a misure organizzative che le regioni devono poter calibrare in
relazione alle peculiarità del proprio territorio».
12.4.1. - La questione non è fondata in relazione alla previsione dell'obbligo
di trasmissione dei bilanci all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e
sui rifiuti e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
Va preliminarmente rilevato che la censura non è piú riferibile alla
trasmissione dei dati all'Autorità di vigilanza, perché quest'ultima - già
prevista dagli artt. 159 e 160, abrogati dal comma 5 dell'art. 1 del d.lgs. 8
novembre 2006, n. 284 - è stata soppressa e non è mai entrata in funzione.
Infatti - come risulta dal comunicato del Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio del 26 giugno 2006 - il decreto del 2 maggio 2006, istitutivo di
tale Autorità non è stato inviato alla Corte dei Conti per essere sottoposto al
preventivo e necessario controllo e, quindi, non avendo ottenuto la
registrazione prevista dalla legge, è rimasto inefficace.
Quanto, invece, all'obbligo di trasmissione dei bilanci al Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio, deve rilevarsi che lo Stato può
fissare obblighi di trasmissione ai fini di eventuali controlli, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., che assegna alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato la materia del «coordinamento informativo
statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale regionale e
locale» (sentenze n. 417 e n. 35 del 2005, n. 376 del 2003, secondo le quali
obblighi di questo tipo devono essere ritenuti legittimi, perché «espressione di
un coordinamento meramente informativo»).
12.4.2. - La questione è, invece, fondata, in relazione alla previsione
dell'obbligo di affissione dei bilanci.
Si tratta, infatti, di una disciplina - peraltro di minuto dettaglio - che
regola una specifica modalità di pubblicità, incidente sulla materia dei servizi
pubblici locali, senza che possano essere invocati titoli competenziali statali
quali la tutela della concorrenza o la tutela dell'ambiente. Deve, pertanto,
essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 148, comma 3, nella
parte in cui prevede che «I bilanci preventivi e consuntivi dell'Autorità
d'ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo,
istituito presso la sede dell'ente».
12.5. - Il comma 5 dell'art. 148 è censurato, sotto diversi profili, dalle
Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006),
Piemonte (ricorso n. 70 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria
(ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006).
La disposizione prevede che, «Ferma restando la partecipazione obbligatoria
all'Autorità d'ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l'adesione
alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con
popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane,
a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla
amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente
pubblico e controllata dallo stesso comune. Sulle gestioni di cui al presente
comma l'Autorità d'ambito esercita funzioni di regolazione generale e di
controllo. Con apposito contratto di servizio stipulato con l'Autorità d'ambito,
previo accordo di programma, sono definiti criteri e modalità per l'eventuale
partecipazione ad iniziative promosse dall'Autorità d'ambito medesima».
12.5.1. - Le Regioni Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del
2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006)
denunciano la disposizione in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost.,
perché incide sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei
«servizi pubblici locali» (ricorso n. 69 del 2006) e perché, non trovando
«fondamento nelle clausole trasversali pure evocate dal legislatore statale
all'art. 141, primo comma», del medesimo decreto legislativo e, in particolare,
non concretizzando «una misura volta a tutelare la concorrenza», incide sulla
competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici
locali, cui è riconducibile la decisione sugli àmbiti concreti e sulle modalità
gestionali ed organizzative del servizio (ricorsi nn. 72, 74 e 79 del 2006).
La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) sostiene che la norma víola l'art.
117 Cost. per gli stessi motivi già indicati in relazione al comma 3 dello
stesso art. 148, e cioè per il suo «contenuto di estremo dettaglio», incidente
sulle potestà legislative regionali; essa, infatti, atterrebbe non alla tutela
dell'ambiente in senso stretto, ma «a misure organizzative che le regioni devono
poter calibrare in relazione alle peculiarità del proprio territorio».
Va preliminarmente rilevato che la Regione Marche - nella memoria depositata in
prossimità dell'udienza - ha chiesto che venga dichiarata la cessazione della
materia del contendere. Essa riferisce che la norma censurata è stata sostituita
dall'art. 2, comma 14, del d.lgs. n. 4 del 2008, secondo cui: «Ferma restando la
partecipazione obbligatoria all'Autorità d'ambito di tutti gli enti locali ai
sensi del comma 1, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato
è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel
territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio
idrico integrato, e previo consenso della Autorità d'ambito competente». La
ricorrente ritiene che tale modifica della norma censurata soddisfi le sue
pretese, perché avrebbe carattere sostanzialmente retroattivo, dal momento che
qualunque Comune della Regione Marche «che avesse optato per la non adesione
all'ATO in applicazione della norma qui censurata si troverebbe oggi sottoposto
al nuovo regime e alle nuove condizioni previste dall'art. 148, comma 5, nel
testo vigente».
Va pertanto dichiarata la cessazione della materia del contendere, limitatamente
alla questione sollevata dalla Regione Marche, perché, argomentando come sopra,
la ricorrente ha sostanzialmente affermato sia che il nuovo regime non è lesivo
del parametro costituzionale evocato, sia che la norma denunciata - a
prescindere dalla sua “sostanziale retroattività” - non ha mai avuto
applicazione nel territorio regionale.
Quanto alle questioni sollevate dalle altre ricorrenti in riferimento all'intero
art. 117 Cost. o al suo quarto comma, queste devono essere esaminate nel merito
e dichiarate non fondate.
La disposizione censurata, infatti, attiene alla tutela dell'ambiente, con
prevalenza rispetto alla materia dei servizi pubblici locali, perché giustifica
la possibilità di deroghe all'unicità della gestione del servizio sul piano
soggettivo, in ragione dell'elemento tipicamente ambientale costituito dalla
peculiarità idrica delle zone comprese nei territori delle comunità montane. Se
infatti - come si è visto sopra - le modalità dell'organizzazione del servizio
idrico, nelle loro linee generali, sono riconducibili alla materia della tutela
dell'ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientra in tale
competenza anche stabilire le condizioni in presenza delle quali i Comuni minori
appartenenti alle comunità montane possono non partecipare alla gestione unica
del servizio idrico integrato, e cioè che la gestione del servizio sia operata
direttamente da parte dell'amministrazione comunale ovvero tramite una società a
capitale interamente pubblico controllata dallo stesso Comune.
12.5.2. - Le Regioni Piemonte (ricorso n. 70 del 2006), Umbria (ricorso n. 72
del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) denunciano l'art. 148, comma 5, per
contrasto con l'art. 76 Cost.
La Regione Piemonte lamenta che «l'introdotta deroga al principio di unicità
della gestione d'ambito esula dai principi dettati dalla legge di delega»,
mentre le Regioni Umbria e Liguria evocano quale parametro interposto, l'art. 1,
comma 1, della legge di delegazione n. 308 del 2004, il quale, stabilendo che
«il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di
riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative»
previgenti, non permetterebbe l'introduzione nel decreto delegato di «una
previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della
legge Galli (legge n. 36/1994)», quale è quella in esame.
Le questioni non sono fondate.
Le ricorrenti deducono il carattere innovativo della disposizione rispetto alla
legge n. 36 del 1994 e, dunque, la violazione della legge di delegazione, perché
quest'ultima non consentirebbe alcuna innovazione rispetto ai principi
fondamentali desumibili dalla citata legge n. 36 del 1994, assunti dalla stessa
legge di delegazione quali criteri direttivi. In particolare, la deroga
introdotta dalla norma censurata al principio - desumibile dalla legge n. 36 del
1994 - dell'unicità della gestione, sarebbe una previsione del tutto nuova e,
pertanto, illegittima.
In realtà, tanto il comma 5 dell'art. 148 quanto la legge n. 36 del 1994,
richiamata dall'art. 8, comma 1, lettera b), della legge di delegazione, fissano
il principio del «superamento della frammentazione delle gestioni», con la
differenza che solo la disposizione censurata indica il criterio dell'«unicità
della gestione», quale modalità preferenziale di attuazione di tale
«superamento». La norma denunciata, quindi, costituisce attuazione del principio
del «superamento della frammentazione delle gestioni» stabilito dalla legge n.
36 del 1994, che può realizzarsi, indifferentemente, sia con l'«unitarietà»
delle gestioni, sia con l'«unicità» prevista dalla norma censurata. E ciò, a
prescindere dalla considerazione che - anche a voler ritenere, con le
ricorrenti, che la norma censurata abbia carattere innovativo - la delega
legislativa avrebbe comunque consentito l'innovazione al fine della
razionalizzazione della disciplina (sentenza n. 225 del 2009). Infatti, all'art.
1, comma 1, la delega prevede che il legislatore delegato provveda al «riordino,
coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative […] anche mediante
la redazione di testi unici»; e non pare dubbio che l'uso dei termini «riordino»
e «integrazione» sia sufficiente a consentire interventi innovativi del
legislatore, quali quelli censurati dalla ricorrente (principio desumibile anche
dalle sentenze n. 308 del 2002, n. 198 del 1998, n. 4 del 1992).
12.5.3. - Le Regioni Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) e Umbria (ricorso n. 72
del 2006) censurano l'art. 148, comma 5, anche con riferimento all'art. 3 Cost.
In particolare, la prima delle due ricorrenti denuncia la violazione dell'art. 3
Cost., sub specie del principio di uguaglianza, perché la disposizione impugnata
«è totalmente avulsa dalla considerazione della forte differenziazione delle
realtà territoriali ed amministrative nelle regioni italiane». Entrambe le
ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 3 Cost., sub specie del principio
di ragionevolezza, rilevando che la norma censurata si pone in contraddizione
con il principio di organizzazione del servizio idrico in base
all'individuazione di àmbiti territoriali ottimali, creando, conseguentemente,
disservizi e diseconomie di gestione.
Le questioni sono inammissibili.
Come questa Corte ha piú volte chiarito, le Regioni sono legittimate a
denunciare la violazione di norme costituzionali non relative al riparto di
competenze con lo Stato solo quando tale violazione comporti un'incidenza
diretta o indiretta sulle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni
stesse (sentenze n. 270 e n. 50 del 2005, n. 287 e n. 286 del 2004; n. 303 del
2003). Nel caso di specie, le ricorrenti si limitano a lamentare la violazione
dei princípi di uguaglianza e ragionevolezza senza dedurre l'incidenza di tale
violazione sulle competenze regionali.
12.5.4. - La Regione Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) censura l'art. 148, comma
5, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., perché esso pone una deroga che
«contrasta con il mantenimento del complessivo quadro istituzionale e
dell'assetto organizzativo delle funzioni già stabilito», condizionando e
limitando «le potestà regionali di organizzazione delle funzioni amministrative
nel territorio e negli ambiti di competenza regionale quali quello della
regolazione dei servizi pubblici locali, senza che sia ravvisabile alcuna
razionale superiore diversa esigenza di carattere unitario ed anzi in evidente
contrasto con gli stessi principi della disciplina del settore». In sostanza, la
ricorrente censura la norma perché lederebbe la sua competenza legislativa
residuale in materia di servizi pubblici locali (art. 117, quarto comma, Cost.),
senza che sussistano le condizioni per l'attrazione in sussidiarietà della
competenza legislativa in tale materia (art. 118 Cost.).
La questione non è fondata.
Non sussiste, infatti, l'invocata competenza regionale, ma - come si è visto -
l'esclusiva competenza statale in materia di tutela dell'ambiente, con la
conseguenza che il legislatore statale è legittimato ad allocare le competenze
amministrative.
13. - Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del
2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e
Marche (ricorso n. 79 del 2006) censurano, sotto diversi profili, diversi commi
dell'art. 149.
13.1. - Il comma 1 di detto articolo, il quale prevede la predisposizione e
l'aggiornamento del piano d'àmbito da parte dell'autorità d'àmbito, è censurato
dalla Regione Calabria in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., perché
disciplina «l'esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli enti
infra-statuali». La stessa ricorrente censura, in riferimento agli stessi
parametri, anche i commi da 2 a 5 del medesimo articolo, la cui illegittimità
costituzionale deriverebbe da quella del precedente comma 1.
Le questioni non sono fondate.
La ricorrente, che pure non specifica a quali «enti infra-statuali» si riferisce
la censura relativa al comma 1 dell'art. 149, si duole, da un lato,
dell'intervento legislativo dello Stato in mancanza di un titolo competenziale
(art. 117 Cost.), dall'altro, dell'allocazione all'autorità d'àmbito delle
funzioni amministrative di pianificazione (art. 118 Cost.), con la conseguenza
dell'illegittimità costituzionale anche dei successivi commi da 2 a 5.
In relazione al primo parametro costituzionale evocato, si deve rilevare che
l'attività pianificatoria disciplinata dal denunciato art. 149 deve essere
ricondotta alla materia della tutela della concorrenza, di competenza
legislativa esclusiva dello Stato, perché è strettamente funzionale alla
gestione unitaria del servizio e ha, perciò, lo scopo di consentire il concreto
superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, al fine
di inserire armonicamente tale gestione in un piú ampio quadro normativo diretto
alla razionalizzazione del mercato del settore.
In relazione all'art. 118 Cost., secondo parametro costituzionale evocato, si
deve rilevare che, data l'organizzazione del servizio in àmbiti territoriali
ottimali gestiti ciascuno da un'autorità d'àmbito, il livello piú adeguato a cui
allocare le funzioni amministrative di pianificazione è proprio quello
dell'autorità d'àmbito medesima, cui partecipano obbligatoriamente i Comuni e le
Province ai sensi dell'art. 148, comma 1, e non quello di non meglio
identificati «enti infra-statuali».
All'insussistenza dell'illegittimità costituzionale del comma 1 consegue
l'insussistenza della denunciata illegittimità derivata dei commi da 2 a 5.
13.2. - Il comma 6 dell'art. 149 è censurato dalle Regioni Calabria (ricorso n.
68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006),
Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006).
La disposizione stabilisce che «Il piano d'ambito è trasmesso entro dieci giorni
dalla delibera di approvazione alla regione competente, all'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio» e che «L'Autorità di vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti può notificare all'Autorità d'ambito, entro novanta giorni
decorrenti dal ricevimento del piano, i propri rilievi od osservazioni,
dettando, ove necessario, prescrizioni concernenti: il programma degli
interventi, con particolare riferimento all'adeguatezza degli investimenti
programmati in relazione ai livelli minimi di servizio individuati quali
obiettivi della gestione; il piano finanziario, con particolare riferimento alla
capacità dell'evoluzione tariffaria di garantire l'equilibrio economico
finanziario della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati».
Le ricorrenti sostengono che il menzionato comma 6 víola: a) l'art. 76 Cost. e,
quale parametro interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale:
(a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti
legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni
legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l'introduzione nel
decreto delegato di una disposizione di «carattere innovativo»; (a.2.)
stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l'altro, le attribuzioni
regionali e degli enti locali fissate dal decreto legislativo n. 112 del 1998
(art. 1, comma 8), preclude l'attribuzione di funzioni amministrative
all'Autorità di vigilanza «in contrasto con i disposti di cui al d.lgs. n.
112/1998», dal cui art. 88 «non si ricavano elementi in grado di includere le
funzioni affidate all'Autorità di vigilanza fra i “compiti di rilievo nazionale”
di cui l'articolo si occupa» (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); b) l'art. 117,
secondo e quarto comma, Cost., perché prevede, nella sostanza, «un potere di
controllo nei confronti della “Autorità d'ambito territoriale ottimale” affidato
alla “Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti”, organismo i
cui componenti, ex art. 159 dello stesso d.lgs. n. 152/2006, sono largamente
espressione statale» e, pertanto, incide su «ambiti certamente estranei alle
materie di cui all'art. 141, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 (oltre che ovviamente
alle altre materie di cui all'art. 117, secondo comma Cost.)», con conseguente
carenza di alcun titolo che legittimi l'intervento legislativo statale (ricorsi
n. 72 e n. 74 del 2006); c) l'art. 118, primo comma, Cost., in quanto: (c.1.)
attribuisce all'Autorità di vigilanza «funzioni amministrative di controllo e
prescrittive in assenza di reali motivi che ne giustifichino un'attrazione a
livello statale»; (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); (c.2.) lede le «potestà di
controllo regionali, che nel caso della Regione Umbria sono già state
disciplinate dall'art. 12 della legge regionale 5 dicembre 1997, n. 43» (ricorso
n. 72 del 2006); d) in subordine alle censure sub b) e c), gli artt. 117 e 118
Cost., perché «un'attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi
di controllo] ad opera dello Stato potrebbe essere consentita - ricorrendone i
presupposti sostanziali (cosa che non è nel presente caso) - previo reale
coinvolgimento delle regioni nell'esercizio del potere, in ossequio al principi
indicati con la nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost.» (ricorsi n. 72 e n.
74 del 2006); e) l'art. 117, terzo comma, Cost., perché incide, in parte, sulla
materia, di potestà legislativa concorrente regionale, del «governo del
territorio», dettando disposizioni di dettaglio (ricorso n. 69 del 2006); f)
l'art. 117, quarto comma, Cost., perché prevede un potere di controllo da parte
dell'Autorità di vigilanza, che «presenta una composizione fortemente
sbilanciata a favore dei rappresentanti ministeriali» e pertanto incide, in
parte, sulla materia dei «servizi pubblici locali», di potestà legislativa
residuale regionale (ricorso n. 69 del 2006); g) gli artt. 117, terzo e quarto
comma, Cost., in quanto, se «le finalità del controllo consentono di ricondurre
l'attività in parte alla materia dei servizi pubblici, in parte alla materia del
governo del territorio (programma degli investimenti)», il controllo «previsto
dalla disposizione in esame non appare giustificabile né in relazione alla
materia dei servizi pubblici locali, (non venendo qui in rilievo, stante quanto
esposto in relazione all'art. 148, comma 5 profili attinenti alla “tutela della
concorrenza” né in relazione alla materia del “governo del territorio” dove lo
Stato deve limitarsi a dettare i principi fondamentali)» (ricorso n. 79 del
2006); h) non precisati parametri costituzionali, perché prevede, nella
sostanza, «un potere di controllo nei confronti della “Autorità d'ambito
territoriale ottimale” affidato alla “Autorità di vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti”, organismo i cui componenti, ex art. 159 dello stesso
d.lgs. n. 152/2006, sono largamente espressione statale» e detta una «disciplina
procedurale assai dettagliata» (ricorso n. 68 del 2006).
13.2.1. - Preliminarmente deve essere dichiarata cessata la materia del
contendere in relazione alle questioni sopra indicate alle lettere a.2.), b),
c), d), f), g), h), che si riferiscono in via esclusiva alle competenze
dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, perché quest'ultima
- come visto sopra sub 12.4.1. - è stata abolita dall'art. 1, comma 5, del
d.lgs. n. 284 del 2006 e non è mai entrata in funzione.
A tale conclusione non può opporsi - come fa la ricorrente Regione Marche nella
memoria depositata in prossimità dell'udienza - che vi sarebbe il trasferimento
delle promosse questioni sulla normativa attualmente vigente in materia,
introdotta dal d.lgs. n. 4 del 2008, art. 2, comma 15, il quale, riformando
l'art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha attribuito al Comitato per la
vigilanza sull'uso delle risorse idriche la competenza a verificare «la corretta
redazione del piano d'ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e prescrizioni
sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessità di modificare le clausole
contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorità d'ambito e i
gestori in particolare quando ciò sia richiesto dalle ragionevoli esigenze degli
utenti». Sussistono, infatti, rilevanti diversità tra l'Autorità e il Comitato,
quanto a struttura, composizione e competenze. In particolare: quanto alla
struttura, l'art. 159, comma 2, prevede che sono organi dell'Autorità il
presidente, il comitato esecutivo ed il consiglio, che si articola in due
sezioni denominate “Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e “Sezione
per la vigilanza sui rifiuti”, mentre il nuovo art. 161 non prevede per il
Comitato alcuna specifica suddivisione in organi; quanto alla composizione,
l'Autorità ha quattordici membri, tutti nominati con decreto del Presidente
della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, di cui dieci sono
designati da ministri e quattro dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e
delle province autonome (art. 159, comma 2), mentre il Comitato ha sette membri,
tutti nominati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare, di cui tre sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e
delle province autonome (nuovo art. 161, comma 2); quanto alle competenze,
quelle dell'Autorità comprendono il settore delle risorse idriche e quello dei
rifiuti (art. 160), mentre quelle del Comitato sono limitate al settore delle
risorse idriche e sono diverse da quelle dell'Autorità anche in tale settore
(nuovo art. 161, comma 4). Le evidenziate diversità escludono che il contenuto
precettivo delle due disposizioni sia lo stesso e che possa trovare applicazione
nel caso di specie il trasferimento sul nuovo testo normativo delle questioni
promosse (sentenze n. 168 del 2008 e n. 533 del 2002).
13.2.2. - Delle questioni che residuano, quella sub a.1.) - con la quale si
lamenta, in riferimento all'art. 76 Cost., il carattere innovativo della
disposizione censurata sul presupposto che la legge di delegazione non
consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.
Infatti, il presupposto delle ricorrenti è erroneo, perché, nel caso di specie,
la legge di delega consente l'innovazione, nei limiti di quanto già osservato al
punto 12.5.2.
13.2.3. - Con la questione sub e), si denuncia - come visto - l'art. 149, comma
6, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., perché inciderebbe, con
disposizioni di dettaglio, sulla materia, di potestà legislativa concorrente,
del «governo del territorio».
La censura è formulata in modo assai ampio, cosí da ricomprendere sia il profilo
relativo all'Autorità di vigilanza, sia quello relativo alla trasmissione della
delibera di approvazione del piano d'àmbito alla Regione e al Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio.
Quanto al primo profilo, deve essere dichiarata cessata la materia del
contendere, in forza di quanto osservato al punto 13.2.1.
Quanto al secondo profilo, la questione non è fondata, perché - analogamente a
quanto visto al punto 12.4.1. - la trasmissione del piano d'àmbito alla Regione
e al Ministero rientra fra i normali obblighi informativi, che possono
legittimamente essere fissati dalla legge statale ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lettera r), Cost.
14. - Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del
2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) censurano, sotto vari profili,
diversi commi dell'art. 150.
14.1. - L'intero articolo è censurato dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del
2006), la quale lamenta che esso - nel disciplinare la forma di gestione del
servizio e le procedure di affidamento dello stesso e, in particolare, nel
rinviare a tal fine al disposto dell'art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267
(Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) - víola l'art. 117
Cost., perché si basa «essenzialmente sulla disciplina dell'art. 113 del decreto
legislativo n. 267 del 2000», con la duplice conseguenza che «dimostra
chiaramente l'intento dilatatorio perseguito dal legislatore statale
relativamente alle competenze di cui è titolare» e che l'esclusione di ogni
rilievo della “tutela della concorrenza” nel settore che ci occupa configura […]
come improponibile una recezione della normativa dal precitato art. 113».
La questione non è fondata.
La censura prospettata dalla ricorrente Regione Calabria è sostanzialmente
diretta a negare la riconducibilità della norma alla materia della tutela della
concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale, ai sensi dell'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost.
Tuttavia, al riguardo, va rilevato che il richiamo ai commi 5 e 7 dell'art. 113
del d.lgs. n. 267 del 2000, effettuato dalla norma censurata, esprime la chiara
volontà del legislatore di disciplinare aspetti generali attinenti alla tutela
della concorrenza, quali la forma di gestione e le procedure di affidamento del
servizio idrico integrato. In particolare, il comma 5 dell'art. 113 del d.lgs.
n. 267 del 2000 prevede che «L'erogazione del servizio avviene secondo le
discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con
conferimento della titolarità del servizio: a) a società di capitali individuate
attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a
società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga
scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che
abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia
di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti
attraverso provvedimenti o circolari specifiche; c) a società a capitale
interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del
capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte piú importante
della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano». Il
comma 7 dello stesso art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, a sua volta, prevede
che «La gara di cui al comma 5 è indetta nel rispetto degli standard
qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di
sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa,
dagli enti locali. La gara è aggiudicata sulla base del migliore livello di
qualità e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio,
dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli
impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di
innovazione tecnologica e gestionale. Tali elementi fanno parte integrante del
contratto di servizio. Le previsioni di cui al presente comma devono
considerarsi integrative delle discipline di settore».
Tali regole sono dirette ad assicurare la concorrenzialità nella gestione del
servizio idrico integrato, disciplinando le modalità del suo conferimento e i
requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza,
l'efficienza, l'efficacia e l'economicità della gestione medesima. In questo
quadro, anche il superamento della frammentazione della gestione, perseguito
attraverso l'affidamento unitario di quest'ultima in àmbiti territoriali
ottimali, concorre alla piena realizzazione di tali finalità. La riconducibilità
della norma censurata alla materia della tutela della concorrenza è, del resto,
confermata dalla formulazione letterale del comma 1 dello stesso art. 113 del
d.lgs. n. 267 del 2000, il quale prevede espressamente che le disposizioni che
«disciplinano le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici
locali», come quelle di cui ai commi 5 e 7 dello stesso articolo, «concernono la
tutela della concorrenza […]» (come anche rilevato da questa Corte con la
sentenza n. 272 del 2004).
14.2. - La Regione Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) censura l'art. 150, in
combinato con l'art. 170, comma 3, lettera i), sostenendo che esso, nel
disciplinare la scelta della forma di gestione del servizio e le procedure di
affidamento dello stesso, nonché il relativo regime transitorio, víola: a) gli
artt. 117 e 118 Cost., perché illegittimamente determina una «attrazione
completa nell'ambito di attività amministrativa ministeriale di tutta la
disciplina relativa alla gestione del servizio considerato, consolidando nelle
norme del decreto delegato precedenti atti ministeriali», senza che «a fronte di
ciò si possano rinvenire peculiarità del servizio idrico integrato che
giustifichino un simile intervento legislativo statale in deroga alla disciplina
generale dei servizi pubblici locali»; b) l'art. 117, terzo comma, Cost.,
perché, non limitandosi a stabilire princípi fondamentali della materia, detta
«misure di dettaglio», «con conseguente invasione delle competenze regionali in
materia di regolazione del servizio idrico integrato».
La questione sub a) è inammissibile, perché oscura.
Infatti, la ricorrente muove dalla generica e indimostrata premessa che la norma
censurata abbia “consolidato” «precedenti atti ministeriali», senza spiegare in
cosa consista tale “consolidazione” e quali siano tali atti ministeriali. Da ciò
fa derivare, quale effetto, l'«attrazione completa nell'ambito di attività
amministrativa ministeriale di tutta la disciplina relativa alla gestione del
servizio», senza chiarire quale rapporto vi sia fra premessa e conseguenza. Da
tale asserita «attrazione» fa derivare, poi, la lesione degli evocati parametri
costituzionali, senza chiarirne le ragioni. E ciò, a prescindere dalla
considerazione che la censura, ove interpretata nel senso che sia diretta a
negare la riconducibilità della norma alla materia della tutela della
concorrenza, sarebbe comunque infondata, perché - come si è visto sub 14.1. - il
richiamo ai commi 5 e 7 dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 effettuato dal
legislatore esprime la sua volontà di disciplinare aspetti generali attinenti
alla tutela della concorrenza, quali la forma di gestione e le procedure di
affidamento del servizio idrico integrato.
La questione sub b) non è fondata.
La Regione lamenta che la norma censurata fissa una disciplina di dettaglio e
non princípi fondamentali nella materia, che evidentemente ritiene di competenza
legislativa concorrente, della «regolazione del servizio idrico integrato». Il
presupposto su cui si basa la censura è erroneo, perché l'art. 117, terzo comma,
Cost., il quale contiene l'elenco delle materie di competenza legislativa
concorrente, non contempla la materia indicata dalla ricorrente.
14.3. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) impugna
specificamente il comma 1 dell'art. 150, affermando che esso, nello stabilire
che «L'Autorità d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di
unicità della gestione per ciascun ambito, delibera la forma di gestione fra
quelle di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267», e perciò, nell'adottare il principio dell'unicità della gestione, víola:
a) l'art. 76 Cost., per eccesso di delega; b) l'art. 3 Cost., sub specie del
principio di ragionevolezza; c) l'art. 117, quarto comma, Cost. A sostegno delle
questioni proposte, richiama le stesse ragioni fatte valere in relazione
all'art. 147, comma 2, lettera b), per contestare l'introduzione da parte del
legislatore delegato del principio di unicità della gestione del servizio
idrico.
Riguardo a tali questioni, deve essere dichiarata cessata la materia del
contendere.
Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza, infatti, la ricorrente
afferma di non avere piú interesse alle questioni relative alla previsione del
principio dell'unicità della gestione, sostituito, per effetto dell'art. 2,
comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello dell'unitarietà della
gestione, già fissato, secondo la ricorrente, dalla legge n. 36 del 1994 e fatto
proprio dalla legislazione regionale. Trova applicazione, pertanto,
l'orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio principale, quando la
parte ricorrente, pur non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il
sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte resistente
non è costituita - come nella specie - o non si oppone, deve essere dichiarata
la cessazione della materia del contendere.
14.4. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) censura l'art. 150,
comma 2, il quale prevede che «L'Autorità d'ambito aggiudica la gestione del
servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle
disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113,
comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo modalità e
termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia».
La ricorrente sostiene che la disposizione víola: a) l'art. 76 Cost. e, quale
parametro interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (a.1.)
stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti
legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni
legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l'introduzione nel
decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (a.2.) stabilendo che la
fonte delegata debba rispettare, tra l'altro, le attribuzioni regionali e degli
enti locali fissate dal decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8),
preclude l'attribuzione di funzioni amministrative all'Autorità d'àmbito in
contrasto con l'art. 88 dello stesso d.lgs. n. 112 del 1998, il quale «non
riserva […] al livello di governo statale il compito di disciplinare le modalità
ed i termini per l'aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato»;
b) l'art. 117, secondo e quarto comma, Cost., perché, riservando al livello
statale la determinazione delle modalità e dei termini di aggiudicazione, lede i
princípi di proporzionalità e di adeguatezza che connotano l'esercizio della
potestà legislativa statale in materia di tutela della concorrenza e, pertanto,
opera un'illegittima compressione della competenza legislativa regionale; c)
l'art. 117, sesto comma, Cost. perché demanda la disciplina delle modalità e dei
termini dell'aggiudicazione ad un atto ministeriale che, al di là del nomen
juris utilizzato, ha natura regolamentare ed interviene nella materia di potestà
legislativa regionale dei «servizi pubblici locali».
14.4.1. - La questione sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento
all'art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata - non è
fondata.
Il presupposto interpretativo delle ricorrenti è, infatti, erroneo, perché -
come già osservato ai punti 12.5.2. e 13.2.2. - la legge di delegazione
consente, nel caso di specie, l'innovazione.
14.4.2. - A prescindere da quanto affermato nella sentenza di questa Corte n.
225 del 2009 circa l'applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio
direttivo della legge di delegazione, deve rilevarsi che anche la questione sub
a.2.) - con la quale si lamenta, sempre in riferimento all'art. 76 Cost., la
violazione dell'art. 88 di tale decreto legislativo - non è fondata.
Infatti, l'art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998 non preclude che la legge statale
attribuisca all'autorità d'àmbito le funzioni amministrative in tema di
aggiudicazione. Infatti, detto articolo, al comma 1, lettera h), fa
espressamente rientrare, fra i «compiti di rilievo nazionale» attribuiti allo
Stato, quelli relativi «ai criteri per la gestione del servizio idrico integrato
come definito dall'articolo 4 della legge 5 gennaio 1994, n. 36»; e non vi è
dubbio che tra tali criteri rientri quello relativo all'aggiudicazione della
gestione, che è un tipico strumento di tutela della concorrenza.
14.4.3. - È parimenti non fondata la questione sub b), con la quale si lamenta,
in riferimento all'art. 117, secondo e quarto comma, Cost., che la riserva a
livello statale della determinazione delle modalità e dei termini di
aggiudicazione víola i princípi di proporzionalità e di adeguatezza che
connotano l'esercizio della potestà legislativa statale in materia di tutela
della concorrenza e opera un'illegittima compressione della competenza
legislativa regionale.
Infatti, l'aggiudicazione, essendo lo strumento attraverso il quale si realizza
l'affidamento del servizio, rientra a pieno titolo - come si è visto ai punti
14.1. e 14.2. - nella materia della tutela della concorrenza, di competenza
legislativa esclusiva statale.
14.4.4. - La questione sub c) - con la quale si lamenta, in riferimento all'art.
117, sesto comma, Cost., che lo Stato non ha potestà regolamentare per la
disciplina delle modalità e dei termini dell'aggiudicazione - è anch'essa non
fondata.
Infatti, la disciplina dell'aggiudicazione rientra - come appena osservato -
nella materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa
esclusiva dello Stato, con la conseguenza che quest'ultimo ha, nella specie,
potestà regolamentare, proprio ai sensi dell'evocato parametro.
15. - La sola Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura l'art. 151 -
recante la rubrica «Rapporti tra autorità d'ambito e soggetti gestori del
servizio idrico integrato» - in riferimento all'art. 117 Cost., perché
costituisce «prosieguo logico e specificazione» dell'art. 150 e quindi è
illegittimo per effetto dell'illegittimità di tale ultima disposizione.
La questione non è fondata.
Infatti, la denunciata illegittimità non sussiste, perché essa deriverebbe -
nella prospettazione della ricorrente - dall'accoglimento delle questioni di
legittimità costituzionale relative all'art. 150, che sono state, invece,
rigettate.
16. - L'art. 153 è censurato dalle Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006) e
Umbria (ricorso n. 72 del 2006), rispettivamente, nel suo complesso e nel comma
1.
La disposizione - la cui rubrica recita «Dotazioni dei soggetti gestori del
servizio idrico integrato» - prevede che: a) «Le infrastrutture idriche di
proprietà degli enti locali ai sensi dell'articolo 143 sono affidate in
concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del
servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini
previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare» (comma 1); b) «Le
immobilizzazioni, le attività e le passività relative al servizio idrico
integrato, ivi compresi gli oneri connessi all'ammortamento dei mutui oppure i
mutui stessi, al netto degli eventuali contributi a fondo perduto in conto
capitale, e/o in conto interessi, sono trasferiti al soggetto gestore, che
subentra nei relativi obblighi. Di tale trasferimento si tiene conto nella
determinazione della tariffa, al fine di garantire l'invarianza degli oneri per
la finanza pubblica» (comma 2).
16.1. - La Regione Calabria sostiene che la disposizione víola l'art. 117 Cost.
e richiama a sostegno della promossa questione le medesime ragioni fatte valere
in relazione all'art. 150. L'illegittimità costituzionale della norma
deriverebbe, cioè, dal fatto che essa si basa «essenzialmente sulla disciplina
dell'art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000», con la duplice
conseguenza che essa è indice dell'«intento dilatatorio perseguito dal
legislatore statale relativamente alle competenze di cui è titolare» e che
«l'esclusione di ogni rilievo della “tutela della concorrenza” nel settore che
ci occupa configura […] come improponibile una recezione della normativa dal
precitato art. 113».
La questione non è fondata.
La censura è sostanzialmente diretta a negare la riconducibilità del comma 1
dell'art. 153 alle materie di competenza legislativa esclusiva statale, di cui
all'art. 117, secondo comma, Cost. La disciplina della dotazione dei gestori del
servizio idrico integrato recata dalla norma, diversamente da quanto ritenuto
dalla ricorrente, è riconducibile in prevalenza alla competenza legislativa
esclusiva statale. La disposizione censurata, infatti, nel riferirsi alle
infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali, che sono beni senza
dubbio funzionali alla gestione del servizio idrico quale servizio pubblico
locale, esclude in radice l'onerosità della concessione d'uso di tali
infrastrutture al gestore del servizio ed incide, perciò, sulla tipologia
contrattuale. Essa attiene, dunque, all'esercizio dell'autonomia negoziale in
tema di concessioni-contratto e deve perciò essere ricondotta, secondo un
criterio di prevalenza, alla materia dell'ordinamento civile, ai sensi dell'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. e, quindi, all'esclusiva sfera di
competenza legislativa dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 160 del
2009, n. 411 del 2008, n. 95 del 2007, n. 234 e n. 50 del 2005, n. 282 del
2004).
16.2. - La Regione Umbria (ricorso n. 72 del 2006) censura l'art. 153, comma 1,
in riferimento: a) all'art. 76 Cost. e, quale parametro interposto, alla legge
di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è
delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di riordino,
coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1,
comma 1), non permette l'introduzione nel decreto delegato di una disposizione
«innovativa»; (a.2.) stabilendo che la fonte delegata non debba introdurre
«nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 1, comma 1), non permette
un siffatto affidamento a titolo gratuito, che priva «gli enti locali di una
fonte d'entrata già ampiamente acquisita» e, perciò, determina un maggior onere
per la finanza pubblica; b) all'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza
«alcun collegamento con i titoli di competenza invocati dal legislatore statale
all'art. 141, comma 1», incide sulla «competenza esclusiva residuale delle
regioni»; c) l'art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, in
quanto: (c.1.), «sancendo inderogabilmente la gratuità della concessione delle
infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali determina un fin troppo
evidente danno a carico delle finanze dei medesimi enti locali, privandoli di un
introito certo che solo in misura parziale ed insufficiente è compensato dalla
assunzione degli oneri connessi da parte dei gestori»; (c.2.) può essere
interpretata nel senso che «abbia effetto anche in relazione agli affidamenti
già in essere che prevedono la onerosità della concessione».
16.2.1. - La questione sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento
all'art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata, sul
presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto
alla legislazione previgente - non è fondata.
Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo, perché - come già osservato
ai punti 12.5.2., 13.2.2. e 14.4.1. - la legge di delegazione consente, nel caso
di specie, l'innovazione.
16.2.2. - Con la questione sub a.2.), anch'essa proposta in riferimento all'art.
76 Cost., la ricorrente sostiene che l'affidamento a titolo gratuito delle
infrastrutture idriche degli enti locali determinerebbe un maggiore onere per la
finanza di detti enti, in contrasto con il criterio direttivo previsto dall'art.
1, comma 1, della legge di delegazione.
La questione non è fondata.
Il carattere generale e complessivo del criterio direttivo dell'invarianza degli
oneri finanziari di cui all'art. 1, comma 1, della legge di delegazione n. 308
del 2004 implica una valutazione dell'incidenza finanziaria del servizio che sia
complessiva e non - come sostiene la ricorrente - riferita al singolo atto
concessorio. Conferma questa conclusione la circostanza che il successivo comma
2 dell'art. 153 - nel prevedere che al gestore sono trasferite tutte le
passività del servizio idrico integrato, subentrandone nei relativi obblighi -
impone che di tale trasferimento debba tenersi conto nella determinazione della
tariffa, proprio «al fine di garantire l'invarianza degli oneri per la finanza
pubblica», valutata nel suo complesso. La ricorrente avrebbe dovuto, perciò,
specificare in che termini la gratuità prevista dalla disposizione censurata
incida sull'onere finanziario complessivo del servizio idrico integrato in modo
da determinare un effettivo maggiore onere per la finanza pubblica e non
limitarsi ad affermare che detta gratuità determina di per sé un maggiore onere
per la finanza pubblica.
16.2.3. - Anche la questione sub b) - proposta in riferimento all'art. 117,
quarto comma, Cost. e diretta a negare la riconducibilità del comma 1 dell'art.
153 alle materie di competenza legislativa esclusiva statale - non è fondata.
Vale sul punto quanto già osservato sub 16.1., e cioè che la disciplina
censurata è riconducibile in prevalenza alla competenza legislativa esclusiva
statale in materia di ordinamento civile, di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost.
16.2.4. - La questione sub c.1.) - con la quale si deduce, in riferimento
all'art. 3 Cost., l'irragionevolezza della concessione gratuita delle
infrastrutture ai gestori del servizio idrico integrato - è del pari non
fondata.
Essa presenta, infatti, evidenti profili di analogia con la questione sub a.2.),
la quale riguarda la legittimità del maggior onere per la finanza pubblica
dovuto alla gratuità della concessione, perché si basa sull'asserito
irragionevole onere che subirebbero le finanze degli enti locali in conseguenza
del venir meno dell'introito derivante dalle concessioni d'uso delle
infrastrutture idriche. Vale, pertanto, anche in questo caso quanto già
osservato al punto 16.2.2. circa il carattere generale e complessivo del
criterio direttivo dell'invarianza degli oneri finanziari di cui all'art. 1,
comma 1, della legge di delegazione n. 308 del 2004. Proprio tale carattere
generale e complessivo esclude la lamentata irragionevolezza, perché tiene in
debito conto - come visto - l'esigenza di garantire l'invarianza degli oneri per
la finanza pubblica.
16.2.5. - La questione sub c.2.) - con cui si contesta, sempre in relazione
all'art 3 Cost., la retroattività della gratuità della concessione rispetto agli
affidamenti già in essere - è parimenti non fondata.
Infatti, la norma censurata fa riferimento, per la sua applicazione, al
contenuto della convenzione e del disciplinare di affidamento al gestore del
servizio idrico integrato e, dunque, si applica alle concessioni nuove o
rinnovate e non a quelle già in essere; si applica cioè ai soli «nuovi
affidamenti», regolati dal comma 2 dell'art. 172.
17. - Le ricorrenti, con l'esclusione della Regione Piemonte, censurano, sotto
diversi profili, l'art. 154. Le questioni relative al complesso dell'art. 154
riguardano anche il successivo art. 155, con l'esclusione di quelle poste dalla
Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e di quella posta, in riferimento
all'art. 76 Cost., dalla Regione Basilicata (ricorso n. 80 del 2006) e riportata
al punto 17.2.2.
Il denunciato art. 154 Cost., concernente la «Tariffa del servizio idrico
integrato», per quanto qui interessa, dispone che: a) «La tariffa costituisce il
corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della
qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli
adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere,
dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di
gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di
funzionamento dell'Autorità d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura
integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del
recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”» (comma 1, primo
periodo); b) «Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno
natura di corrispettivo» (comma 1, secondo periodo); c) «Il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di
recuperare i costi ambientali anche secondo il principio “chi inquina paga”,
definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa
relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua» (comma 2);
d) «Al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale, con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali
per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per
l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della
risorsa e prevedendo altresí riduzioni del canone nell'ipotesi in cui il
concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a
valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca
le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle
prelevate.» (comma 3, primo periodo); e) «L'Autorità d'ambito, al fine della
predisposizione del Piano finanziario di cui all'articolo 149, comma 1, lettera
c), determina la tariffa di base, nell'osservanza delle disposizioni contenute
nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all'Autorità di vigilanza sulle
risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio» (comma 4); f) «La tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel
rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare.» (comma 5); g) «Nella
modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per
altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per
i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per
conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse
maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi
stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali» (comma
6).
Nell'àmbito della tariffa del servizio idrico integrato, l'art. 155 disciplina,
in particolare, la quota tariffaria riferita ai servizi di fognatura e
depurazione.
17.1. - Preliminarmente, va rilevato che la Regione Marche (ricorso n. 79 del
2006) deduce la cessazione della materia del contendere limitatamente alle
questioni relative al comma 2 dell'art. 154, il quale prevede che il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio ha il compito di definire con
decreto «le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai
servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua». La ricorrente
sottolinea, al riguardo, che l'art. 2, comma 15, del d.lgs. n. 4 del 2008 ha
modificato l'art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo che il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta il metodo
tariffario con proprio decreto, «sentita la Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» (art.
161, comma 4, lettera a, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo attualmente
vigente).
Cosí argomentando, la Regione Marche sostanzialmente afferma di non avere subíto
alcuna lesione dalla norma censurata. Va pertanto dichiarata la cessazione della
materia del contendere limitatamente alle questioni sollevate dalla stessa
Regione in relazione agli artt. 154 e 155, non risultando, del resto, che tali
disposizioni siano state applicate.
17.2. - Gli artt. 154 e 155 sono impugnati da alcune delle ricorrenti in
riferimento all'art. 76 Cost.
17.2.1. - In particolare, la Regione Puglia (ricorso n. 76 del 2006) sostiene
che tali disposizioni violano l'indicato parametro «per contrasto […] con i
principi direttivi della legge delega».
La questione è inammissibile, perché generica. La ricorrente non chiarisce,
infatti, quali princípi della legge di delegazione siano violati.
17.2.2. - Sempre in riferimento all'art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono
censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso
n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del
2006); il solo art. 154 è invece censurato dalle Regioni Liguria (ricorso n. 74
del 2006) e Basilicata (ricorso n. 80 del 2006).
Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la legge di delegazione n. 308
del 2004, la quale, all'art. 1, comma 8, alinea, vincola il legislatore delegato
al rispetto del riparto delle competenze amministrative fra Stato, Regioni ed
enti locali «come definite ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, della
legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112». In
particolare, la lamentata violazione deriverebbe dal fatto che la norma
denunciata, nel determinare la tariffa del servizio idrico integrato, interviene
in materie appartenenti alla sfera di competenza amministrativa delle Regioni e
degli enti locali.
La questione è inammissibile, perché le ricorrenti - nel limitarsi a riportare
parti del testo dell'art. 1, comma 8, della legge di delegazione - non
specificano quali siano, in concreto, le attribuzioni amministrative
asseritamente lese. E ciò a prescindere da ogni considerazione circa
l'applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della legge
di delegazione (su cui, sentenza n. 225 del 2009).
17.2.3. - Sempre con riferimento all'art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono
censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso
n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del
2006); il solo art. 154 è censurato dalla Regione Liguria (ricorso n. 74 del
2006).
Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la legge di delegazione n. 308
del 2004, la quale, all'art. 1, comma 8, lettera d), stabilisce che il
legislatore delegato deve conformarsi al criterio direttivo dello «sviluppo e
coordinamento, con l'invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che
prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai
fini della compatibilità ambientale, l'introduzione e l'adozione delle migliori
tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre
1996 del Consiglio, nonché il risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere
piú efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e di sostenibilità dello
sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali».
La questione è inammissibile, perché generica.
Le ricorrenti, infatti, si limitano a riportare il contenuto del principio della
legge di delega che assumono violato, senza chiarire né la ragione per cui un
corrispettivo, quale la tariffa del servizio idrico integrato, possa essere
ricondotto al novero degli incentivi o disincentivi finanziari o fiscali cui fa
riferimento il principio stesso, né, conseguentemente, in quale modo la
determinazione della tariffa ecceda tale principio.
17.2.4. - Ancora con riferimento all'art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono
censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso
n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006), Campania (ricorso n. 78 del
2006) e Basilicata (ricorso n. 80 del 2006); il solo art. 154 è censurato dalla
Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006).
Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la legge di delegazione n. 308
del 2004, la quale non prevedrebbe «l'introduzione ex novo dell'imposta in
questione», cioè della tariffa del servizio idrico integrato.
La questione non è fondata.
Le ricorrenti muovono dal presupposto interpretativo che la tariffa disciplinata
dalle norme censurate sia un tributo e, in particolare, un'imposta. Tale
presupposto è erroneo. Questa Corte, infatti, con la sentenza n. 335 del 2008,
ha precisato che detta tariffa ha natura non tributaria, ma di «corrispettivo
contrattuale», come, del resto, espressamente statuito dallo stesso comma 1
dell'art. 154. Il legislatore delegato, pertanto, non ha introdotto alcun
tributo e, quindi, non ha ecceduto dall'oggetto della delega.
17.3. - Gli artt. 154 e 155 sono denunciati dalle Regioni Emilia-Romagna
(ricorso n. 56 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Abruzzo (ricorso n.
75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del 2006), in riferimento all'art. 3 Cost.,
perché non sarebbero coerenti con l'evoluzione della stessa legislazione
statale, omettendo di indicare, tra i criteri per la determinazione della
tariffa del servizio idrico integrato, gli obiettivi di miglioramento della
produttività, invece previsti dall'art. 13 della legge n. 36 del 1994.
La questione è inammissibile.
Come già osservato al punto 12.5.3., le Regioni sono legittimate a denunciare la
violazione di norme costituzionali non relative al riparto di competenze con lo
Stato solo quando tale violazione comporti un'incidenza diretta o indiretta
sulle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse. Nel caso di
specie, le ricorrenti si limitano a lamentare la violazione del principio di
ragionevolezza da parte della norma censurata, senza dedurre l'incidenza di tale
violazione sulle competenze regionali.
17.4. - L'incidenza degli artt. 154 e 155 sulle competenze legislative delle
Regioni è oggetto delle censure formulate, in riferimento agli artt. 117, 118 e
119 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Calabria
(ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n.
72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006), Puglia (ricorso n. 76 del 2006),
Campania (ricorso n. 78 del 2006) e Basilicata; la Regione Liguria (ricorso n.
74 del 2006) impugna il solo art. 154.
In particolare, si lamenta la violazione: a) degli artt. 117 e 118 Cost., come
interpretati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2005, perché
«la determinazione della tariffa di un servizio rientra, evidentemente, negli
aspetti di pura gestione dello stesso, e dunque non può non tradursi in una
normativa di minuto dettaglio (sul presupposto - che si è qui fatto proprio,
peraltro solo per ipotesi - che si versi in un ambito materiale comunque
riconducibile alla competenza trasversale dello Stato)» (ricorso n. 68 del
2006); b) dell'art. 117, quarto comma, Cost., perché le norme censurate
prevedono «poteri ministeriali sovraordinati a quelli delle regioni» e,
pertanto, incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia
di servizi pubblici locali (ricorsi nn. 56, 69, 72, 74 [censura riferita al solo
art. 154], 75, 78, 80 del 2006); c) dell'art. 117, quarto comma, Cost., perché
le norme denunciate - non attenendo né alla tutela dell'ambiente di cui alla
lettera s) del primo comma, dell'art. 117 Cost., né al sistema tributario e
contabile dello Stato, di cui alla lettera e) dello stesso comma - incidono
sulla competenza legislativa residuale regionale (ricorso n. 76 del 2006); d)
dell'art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché le norme denunciate incidono
su un'entrata la cui disciplina ricade nell'àmbito della competenza regionale e,
perciò, ledono l'autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni (ricorsi nn.
56, 68, 69, 72, 74 [censura riferita al solo art. 154], 75, 78 del 2006).
Le questioni non sono fondate.
La dedotta violazione delle competenze regionali non sussiste, perché la
disciplina degli artt. 154 e 155 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela
dell'ambiente e alla tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa
esclusiva dello Stato. Attraverso la determinazione della tariffa nell'àmbito
territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato, infatti, livelli
uniformi di tutela dell'ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di
garantire la tutela e l'uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse
idriche, salvaguardando la vivibilità dell'ambiente e «le aspettative ed i
diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» e
le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144 (Tutela e
uso delle risorse idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico) e 146
(Risparmio idrico). La finalità della tutela dell'ambiente viene, inoltre, in
rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa
è diretta a recuperare. Tra tali costi il legislatore ha, infatti, incluso
espressamente quelli ambientali, da recuperare «anche secondo il principio “chi
inquina paga”» (art. 154, comma 2). I profili della tutela della concorrenza
vengono poi in rilievo perché alla determinazione della tariffa provvede
l'Autorità d'àmbito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario
della gestione e di assicurare all'utenza efficienza ed affidabilità del
servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e). Tale fine è raggiunto
determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 151 e 154,
comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua
posizione dominante (sentenze nn. 335 e 51 del 2008).
17.5. - La Regione Puglia (ricorso n. 76 del 2006) censura gli artt. 154 e 155
in riferimento all'art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché, disciplinando
la tariffa del servizio idrico integrato, inciderebbero su un «tributo di
carattere locale», «la cui determinazione spetta alle autonomie territoriali».
La questione non è fondata.
La ricorrente muove dal presupposto che la tariffa disciplinata dalle norme
censurate sia un tributo. Tale presupposto è erroneo, perché - come visto al
punto 17.2.4. - la tariffa ha natura di corrispettivo e non di tributo.
17.6. - La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura, subordinatamente
al mancato accoglimento delle censure riferite allo stesso art. 154 nel suo
complesso, i commi 2 e 3 del medesimo articolo, sostenendo che essi violano: a)
l'art. 117, sesto comma, Cost., perché prevedono poteri regolamentari che
incidono su materie diverse da quelle di competenza esclusiva statale; b) in via
ulteriormente subordinata, il principio di leale cooperazione, perché «i poteri
regolamentari ivi contemplati non prevedono, nel loro esercizio, alcun
coinvolgimento delle istanze rappresentative di regioni ed enti locali».
Le questioni non sono fondate.
La ricorrente lamenta, in sostanza, che lo Stato non ha potestà regolamentare
per la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato. Come visto al
punto 17.4., la disciplina contenuta nell'art. 154 è ascrivibile, in prevalenza,
alla tutela della concorrenza e alla tutela dell'ambiente, materie di competenza
legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che quest'ultimo ha, nella
specie, potestà regolamentare ai sensi dell'art. 117, sesto comma, Cost., senza
che vengano in rilievo esigenze di leale collaborazione.
17.7. - Oltre a censurare l'intero art. 154, la Regione Umbria (ricorso n. 72
del 2006) impugna specificamente il comma 6 di detto articolo, sul rilievo che
esso, nello stabilire che, «Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei
costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa […] per le aziende artigianali,
commerciali e industriali», víola: a) l'art. 76 Cost. e, quale parametro
interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale, stabilendo che
«Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di
riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative»
previgenti (art. 1, comma 1), non permette l'introduzione nel decreto delegato
di una disposizione «del tutto innovativa», quale è quella denunciata, dato che
l'art. 13, comma 7, della legge n. 36 del 1994 «non prevede affatto
maggiorazioni della tariffa a carico delle categorie testè indicate»; b) l'art.
117, quarto comma, Cost., perché, senza trovare «fondamento legislativo nelle
“materie” indicate nell'art. 141, comma 1», del medesimo decreto legislativo,
incide sulla potestà legislativa residuale regionale.
17.7.1. - La questione sub a) - con la quale si lamenta, in riferimento all'art.
76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata, sul presupposto
che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla
legislazione previgente - non è fondata.
Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo, perché - come già osservato
ai punti 12.5.2., 13.2.2., 14.4.1 e 16.2.1. - la legge di delegazione consente,
nel caso di specie, l'innovazione.
17.7.2. - Non è fondata neppure la questione sub b), con la quale si prospetta
la lesione delle competenze legislative esclusive regionali.
Infatti, come già osservato al punto 17.4., la disciplina contenuta nell'art.
154 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela della concorrenza e alla tutela
dell'ambiente, cioè a materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Non sussiste, pertanto, la lamentata lesione della sfera di competenza
legislativa della Regione.
18. - La sola Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura l'art. 156, il
quale disciplina le modalità di riscossione della tariffa da parte del gestore
del servizio idrico integrato. La ricorrente deduce che tale disposizione víola
gli artt. 117 e 118 Cost., perché incide «su un aspetto di ulteriore dettaglio
rispetto a quanto previsto negli artt. 154 e 155».
La questione non è fondata.
L'attività di riscossione della tariffa rappresenta, infatti, uno dei profili
essenziali della disciplina di quest'ultima, che è a sua volta riconducibile
alle materie della tutela della concorrenza e della tutela dell'ambiente, di
esclusiva competenza legislativa statale.
19. - Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del
2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del
2006) censurano agli artt. 159 e 160, i quali istituiscono e disciplinano
l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.
19.1. - L'art. 159 è censurato: a) in riferimento all'art. 76 Cost., dalle
Regioni Calabria ed Emilia-Romagna; b) in riferimento all'art. 3 Cost., dalla
Regione Emilia-Romagna; c) in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle
Regioni Calabria, Emilia-Romagna e Marche; d) in riferimento al principio di
leale collaborazione, dalle Regioni Calabria e Toscana.
Il comma 4 dell'art. 159 è specificamente censurato dalla Regione Calabria, in
riferimento all'art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di leale
collaborazione.
L'art. 160 è censurato: a) in riferimento all'art. 76 Cost., dalle Regioni
Umbria ed Emilia-Romagna; b) in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Regione
Emilia-Romagna; c) in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni
Calabria, Umbria ed Emilia-Romagna; d) in riferimento all'art. 117, quarto
comma, Cost., dalle Regioni Toscana e Marche.
19.2. - Deve essere dichiarata cessata la materia del contendere in relazione a
tutte le questioni aventi ad oggetto gli artt. 159 e 160.
Infatti, dette disposizioni sono state abrogate dal comma 5 dell'art. 1 del
d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e non hanno mai avuto applicazione perché
l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, da esse
disciplinata, non è mai entrata in funzione, come ricordato ai punti 12.4.1. e
13.2.1.
A tale conclusione non può opporsi - come fa la ricorrente Regione Marche nella
memoria depositata in prossimità dell'udienza - che le promosse questioni
dovrebbero ritenersi trasferite sull'art. 161, comma 2, attualmente vigente e
introdotto dal comma 15 dell'art. 2 del d.lgs. n. 4 del 2008, il quale,
riformando l'art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha attribuito al Comitato per
la vigilanza sull'uso delle risorse idriche la competenza a verificare «la
corretta redazione del piano d'ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e
prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessità di modificare
le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorità
d'ambito e i gestori in particolare quando ciò sia richiesto dalle ragionevoli
esigenze degli utenti». Infatti - come osservato al punto 13.2.1. - le diversità
tra l'Autorità e il Comitato, quanto a composizione, struttura e competenze,
escludono che il contenuto precettivo delle due disposizioni sia lo stesso e, di
conseguenza, che possa trovare applicazione nel caso di specie il trasferimento
sul nuovo testo normativo delle questioni promosse.
20. - Le Regioni Umbria (ricorso n. 72 del 2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n.
73 del 2006) impugnano, rispettivamente, il comma 4 e il comma 1 dell'art. 166.
20.1. - L'art. 166, comma 1, stabilisce che: a) «I consorzi di bonifica ed
irrigazione, nell'ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e
gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l'utilizzazione in
agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti
funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti
autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di
utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che
comportino la restituzione delle acque siano compatibili con le successive
utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e
l'approvvigionamento di imprese produttive» (primo periodo); b) «L'Autorità di
bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso tale
termine, la domanda si intende accettata» (secondo e terzo periodo); c) «Per
tali usi i consorzi sono obbligati al pagamento dei relativi canoni per le
quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le
disposizioni di cui al secondo comma dell'articolo 36 del testo unico delle
disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio
decreto 11 dicembre 1933, n. 1775» (quarto periodo).
La Regione Emilia-Romagna ritiene che la disposizione víola: a) l'art. 76 Cost.
e, quale parametro interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la
quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú
decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni
legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l'introduzione nel
decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (a.2.) prevedendo, all'art.
1, comma 8, che la fonte delegata debba rispettare, tra l'altro, le attribuzioni
regionali e degli enti locali stabilite dal d. lgs. n. 112 del 1998, preclude
l'attribuzione a livello statale di funzioni amministrative in contrasto con gli
artt. 88 e 89 del medesimo decreto legislativo; b) l'art. 117, quarto comma,
Cost., in quanto, prevedendo «una forma di silenzio-assenso da parte
dell'Autorità di bacino per l'utilizzo delle acque», incide sulle materie, di
potestà legislativa residuale delle Regioni, dell'«agricoltura» e dei «lavori
pubblici d'interesse regionale», illegittimamente disciplinando il procedimento
amministrativo in tali materie, «come è reso evidente dallo stesso art. 29,
commi 1 e 2, della legge statale n. 241 del 1990, legge generale sul
procedimento amministrativo»; c) l'art. 118, primo comma, Cost., in quanto,
prevedendo «l'affidamento della competenza decisionale ad un organo non
appartenente alla regione», lede le competenze amministrative di detto ente
territoriale, in difetto di «una fondata ragione di attrazione a livello
statale» e, in ogni caso, dell'«imprescindibile concorso regionale come da
sentenza 303/2003 Corte cost.».
20.1.1. - La questione sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento
all'art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata sul
presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto
alla legislazione previgente - non è fondata.
Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo, perché - come già osservato
ai punti 12.5.2., 13.2.2., 14.4.1, 16.2.1. e 17.7.1. - la legge di delegazione
consente, nel caso di specie, l'innovazione.
20.1.2. - La questione sub a.2.) è inammissibile, perché generica.
La ricorrente evoca a parametro l'art. 76 Cost., affermando che la norma
denunciata víola la legge di delegazione, perché non rispetta le attribuzioni
regionali e degli enti locali disciplinate dagli artt. 88 e 89 del d.lgs. n. 112
del 1998. Tali disposizioni hanno un contenuto eterogeneo, in quanto prevedono
dettagliati elenchi di attribuzioni il cui rapporto con le attribuzioni dei
consorzi di bonifica avrebbe dovuto essere chiarito e specificato dalla
ricorrente. Quest'ultima, invece, non individua quali tra dette attribuzioni
siano state violate, né chiarisce le ragioni dell'affermata violazione. Non
individua, quindi, in modo sufficientemente specifico il denunciato eccesso di
delega. E ciò a prescindere da ogni considerazione circa l'applicabilità del
d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione (su
cui, sentenza n. 225 del 2009).
20.1.3. - Con la questione sub b), la ricorrente lamenta, in riferimento
all'art. 117, quarto comma, Cost., che la norma censurata reca una disciplina
del procedimento amministrativo in materie di competenza legislativa residuale
regionale. In particolare, oggetto della doglianza è il fatto che l'eventuale
«utilizzazione delle acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che
comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive
utilizzazioni» da parte dei consorzi di bonifica ed irrigazione sia sottoposta
all'autorizzazione dell'Autorità di bacino, che non è un ente regionale.
La questione non è fondata.
L'autorizzazione dell'Autorità di bacino è connessa alla funzione di difesa del
suolo svolta da tale ente (disciplinata dai precedenti artt. 62 e 63), perché è
diretta a verificare che gli usi delle acque d'irrigazione regolati dalla norma
censurata ne consentano l'effettiva restituzione e la successiva utilizzazione.
Sotto tale profilo, l'intervento autorizzatorio dell'Autorità di bacino mira a
garantire la realizzazione delle finalità, riconducibili alla tutela
dell'ambiente ed espresse, in particolare, dall'art. 63, comma 5, lettere b) e
c), della difesa del suolo, della lotta alla desertificazione, della tutela
delle acque e gestione delle risorse idriche, del controllo sull'impatto delle
attività umane sullo stato delle acque (sentenza n. 232 del 2009). La
disposizione denunciata attiene, dunque, alla materia della tutela
dell'ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
20.1.4. - Con la questione sub c), la ricorrente lamenta, in riferimento
all'art. 118, primo comma, Cost., che la norma censurata reca una disciplina del
procedimento amministrativo in materie di competenza legislativa residuale
regionale. In particolare, oggetto della doglianza è il fatto che l'eventuale
«utilizzazione delle acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che
comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive
utilizzazioni» da parte dei consorzi di bonifica ed irrigazione sia sottoposta
all'autorizzazione dell'Autorità di bacino, che non è un ente regionale.
La questione non è fondata.
Infatti, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 232 del 2009, le
esigenze unitarie connesse alla rilevanza ambientale delle funzioni di difesa
del suolo e tutela della risorsa idrica giustificano l'attribuzione della
funzione autorizzatoria proprio all'Autorità di bacino, che è l'ente nel quale
si concentrano le piú rilevanti competenze in materia.
20.2. - L'art. 166, comma 4, stabilisce che «Il contributo di cui al comma 3 [e
cioè il contributo che deve essere versato al consorzio da “chiunque, non
associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o
acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con
l'uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura”] è determinato
dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle
modalità di versamento».
La Regione Umbria sostiene che la disposizione víola: a) l'art. 76 Cost., perché
«per le ragioni già sopra piú volte evidenziate», la disposizione è innovativa e
«sprovvista di copertura nella legge n. 308/2004»; b) l'art. 117, quarto comma,
Cost., perché, se interpretata «come riferentesi anche agli enti locali», le cui
attribuzioni costituzionali ben possono essere tutelate dalla Regione, incide
sulla competenza legislativa residuale regionale, che la stessa Regione Umbria
afferma di avere già esercitato, nel caso di specie, «con l'approvazione
dell'art. 12» della legge regionale 23 dicembre 2004, n. 30 (Norme in materia di
bonifica); c) gli artt. 3 e 41 Cost., perché determina «una illegittima
compressione dell'autonomia negoziale (non importa qui se privata o
pubblicistica) degli enti locali, che si vedono costretti a subire
unilateralmente le decisioni di un soggetto quale il Consorzio di bonifica, non
ad essi sovraordinato»; d) l'art. 119 Cost., perché, se interpretata secondo
quanto indicato al punto precedente, incide sull'autonomia finanziaria degli
enti locali.
20.2.1. - La questione sub a) - con la quale si lamenta, in riferimento all'art.
76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata sul presupposto
che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla
legislazione previgente - non è fondata.
In primo luogo va osservato che la disposizione censurata non è innovativa. Già
la legge n. 36 del 1994 - i cui princípi fondamentali sono assunti dalla legge
di delegazione (art. 1, comma 9, lettera b) quali criteri direttivi - prevedeva,
all'art. 27, comma 3, un principio analogo a quello stabilito dalla norma
censurata, e cioè che «Chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed
irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di
scarichi, anche se depurati e compatibili con l'uso irriguo, provenienti da
insediamenti di qualsiasi natura, deve contribuire alle spese consortili in
proporzione al beneficio ottenuto». In particolare, la norma censurata, nel
tener fermo il suddetto principio, si limita a specificare che il contributo «è
determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore».
In secondo luogo, comunque, il ricorso muove da un presupposto interpretativo
erroneo, perché la legge di delegazione consente, nel caso di specie,
l'innovazione, come già osservato, da ultimo, al punto 20.1.1.
20.2.2. - Con la questione sub b), la ricorrente afferma che la norma censurata,
nell'attribuire al consorzio interessato la determinazione del contributo
consortile in esame, víola la competenza legislativa residuale regionale a
disciplinare gli enti locali e, dunque, l'art. 117, quarto comma, Cost.
Anche tale questione non è fondata.
La norma censurata integra, quanto alla determinazione dell'ammontare, la
disciplina del contributo di cui al precedente comma 3, il quale stabilisce che,
nel caso in cui un soggetto «non associato ai consorzi di bonifica ed
irrigazione» utilizzi canali consortili o acque irrigue come recapito di
scarichi (anche se depurati e compatibili con l'uso irriguo), provenienti da
insediamenti di qualsiasi natura, resta «fermo» l'obbligo del «rispetto della
disciplina della qualità delle acque», quale regolata dalla parte terza del
medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, e l'utilizzatore è tenuto, in proporzione alla
portata di acqua scaricata, a contribuire alle spese sostenute dal consorzio.
Tale normativa è diretta, oltre che a salvaguardare la qualità delle acque ed a
garantire l'equilibrio idrico e ambientale del comprensorio consortile, anche e
soprattutto ad acquisire un'entrata patrimoniale che consenta di far fronte alle
spese consorziali necessarie per il perseguimento delle finalità di bonifica e
di irrigazione cui sono istituzionalmente deputati i consorzi medesimi.
Dal combinato disposto dei citati commi 3 e 4, risulta una disciplina di tale
entrata analoga, quanto a caratteristiche e finalità, a quella degli ordinari
contributi consorziali previsti dagli artt. 864 ed 860 del codice civile. Tale
speciale entrata, infatti, pur applicandosi a soggetti non associati ai consorzi
- e cioè a soggetti passivi diversi da quelli obbligati al pagamento dei
suddetti ordinari contributi -, è obbligatoriamente dovuta ex lege, senza che
abbia rilevanza l'accordo tra parti, ed è diretta, al pari del contributo
ordinario, ad attuare il concorso del soggetto passivo alle spese delle opere
consortili, realizzate per finalità pubbliche. Tale prelievo rientra, dunque,
nella nozione di tributo delineata dalla giurisprudenza di questa Corte (ex
plurimis, sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008). Ne consegue
che esso ha la medesima natura tributaria dei menzionati ordinari contributi
consorziali (affermata, per questi ultimi, dal diritto vivente: ex plurimis,
Cassazione, n. 27075 e n. 8751 del 2008, n. 14934 del 2005, n. 521 del 2002;
sezioni unite, n. 2275 del 2008, n. 16404 del 2007, n. 10703 del 2005 e n. 2852
del 1992). In particolare, è un tributo statale, in quanto è istituito e
disciplinato con legge dello Stato, il quale, attraverso la norma censurata, ben
può affidarne la quantificazione alla determinazione discrezionale dei consorzi.
La sua disciplina è, conseguentemente, riconducibile alla materia di competenza
esclusiva statale del «sistema tributario […] dello Stato», di cui all'art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., e non a quella evocata dalla ricorrente.
20.2.3. - Con la questione sub c), la ricorrente lamenta, in riferimento agli
artt. 3 e 41 Cost., che il contributo previsto dalla norma censurata - in quanto
imposto obbligatoriamente anche agli enti locali territoriali non associati al
consorzio, i quali utilizzino, per gli scarichi, impianti consortili -
irragionevolmente sottrae alla libera contrattazione tra le parti (consorzio ed
enti locali territoriali ad esso non associati) la determinazione dell'indennità
dovuta al consorzio, cosí “comprimendo” indebitamente l'autonomia negoziale e,
quindi, finanziaria degli enti locali utilizzatori degli impianti, a tali enti
garantita dagli evocati parametri costituzionali.
La questione non è fondata.
Infatti, la ricorrente, nel formulare le suddette censure, muove dall'erronea
implicita premessa che il contributo previsto dalla norma censurata costituisca
una prestazione imposta non avente natura tributaria. L'erroneità di tale
premessa discende dalle considerazioni sopra svolte in relazione alla precedente
questione. Infatti, il contributo in esame ha natura assimilabile a quella del
contributo ordinariamente dovuto dagli associati al consorzio e, pertanto, ha
anch'esso natura di tributo, istituito e disciplinato dalla legge statale, con
la conseguenza che il suo pagamento si impone a tutti gli utilizzatori degli
impianti consortili, siano essi soggetti comuni od enti locali, senza che
sussista alcuna «compressione dell'autonomia negoziale» degli enti locali
stessi.
20.2.4. - Per le stesse ragioni appena esposte, non è fondata la questione sub
d), con cui si deduce, in riferimento all'art. 119 Cost., che la disposizione
impugnata, se interpretata come nella precedente censura sub b), incide
illegittimamente sull'autonomia finanziaria degli enti locali.
Infatti, la natura tributaria statale del contributo in esame comporta che la
disciplina di questo va ricondotta alla materia del «sistema tributario […]
dello Stato», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., di
competenza esclusiva statale, senza che possa determinarsi alcuna lesione
dell'autonomia finanziaria degli enti locali.
21. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) denuncia l'art. 172,
comma 2, in combinato con l'art. 147, comma 2, sul rilievo che esso - nel
prevedere che «In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis
dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l'Autorità
d'ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del
presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza» - víola
l'art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, in quanto, «venendo
[…] ad insistere in una realtà che - normata dalla legge Galli e dalle leggi
regionali di settore - ammetteva invece anche la possibilità di piú gestioni
all'interno del medesimo ambito», «nell'ipotesi di scadenze differenziate a
seguito del termine di cui all'art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267/2000»,
realizza «la situazione paradossale della inapplicabilità della gestione unica,
ovvero della lesione dei diritti dei gestori con scadenze differenziate».
Deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.
Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza, infatti, la ricorrente
rileva di non avere piú interesse alle questioni relative agli artt. 147, comma
2, lettera b), e 172, comma 2, perché tali norme richiedevano il requisito
dell'unicità della gestione, sostituito, per effetto dell'art. 2, comma 13, del
d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello dell'unitarietà della gestione, già
previsto - a suo avviso - dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla
legislazione regionale.
Come già osservato al punto 11, trova, pertanto, applicazione l'orientamento di
questa Corte secondo cui, nel giudizio principale, quando la parte ricorrente,
pur non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il sopraggiunto venir meno
delle ragioni della controversia e la parte resistente non è costituita - come
nel caso di specie - o non si oppone, deve essere dichiarata la cessazione della
materia del contendere.
22. - - Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70
del 2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) denunciano l'art. 176,
comma 1. Ad avviso delle ricorrenti, la disposizione - nello stabilire che «Le
disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie
di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi
dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione» - víola l'art. 117, terzo comma,
Cost., perché: a) la qualificazione di tutte le disposizioni di cui alla parte
terza del d.lgs. n. 152 del 2006 come “di principio” appare arbitraria ed
illegittima, in quanto prescinde dai concreti contenuti delle disposizioni,
ancorché di dettaglio in materie di competenza concorrente, nonché dal rispetto
dei criteri di riparto delle competenze di cui all'art. 117 Cost. (ricorsi n. 68
e n. 73 del 2006); b) «il legislatore statale […] non si è limitato a dettare
principi fondamentali, ma ha demandato alla propria normativa anche le misure di
dettaglio». (ricorso n. 70 del 2006).
Le questioni sono inammissibili, perché generiche.
Infatti, con la questione sub a), si lamenta che il legislatore statale avrebbe
illegittimamente qualificato come princípi norme di dettaglio, senza specificare
quali siano tali norme di dettaglio; con la questione sub b), si sostiene che il
legislatore ha illegittimamente adottato norme di dettaglio, senza specificare,
anche in questo caso, quali siano tali norme.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse, nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale) dalle Regioni Emilia-Romagna, Calabria,
Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e
Basilicata;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 148, comma 3, del d.lgs. n.
152 del 2006, nella parte in cui prevede che «I bilanci preventivi e consuntivi
dell'Autorità d'ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad
apposito albo, istituito presso la sede dell'ente»;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 135,
comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all'art. 117,
quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 136
del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all'art. 119 Cost., dalla
Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 141,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento al principio di
leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 144,
145 e 146 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76,
117, quarto comma, e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla
Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 146,
comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 117,
sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli
da 147 a 158 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento al principio
di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 2, lettera b), anche in
combinato con l'art. 172, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 3, 76 e 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Emilia
Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 148
del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118,
Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 148,
comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede l'obbligo di
trasmissione dei «bilanci preventivi e consuntivi dell'Autorità d'ambito e loro
variazioni», promossa, in riferimento all'art. 117 Cost., dalla Regione
Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione di
legittimità costituzionale dell'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006,
promossa, in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost., dalla Regione
Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 148,
comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 3 Cost.,
dalle Regioni Piemonte e Umbria, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 148,
comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 76 Cost.,
dalle Regioni Piemonte, Umbria e Liguria, in riferimento all'art. 117 Cost.,
dalle Regioni Calabria e Piemonte, in riferimento all'art. 117, quarto comma,
Cost., dalle Regioni Toscana, Umbria e Liguria, in riferimento all'art. 118 Cost.,
dalla Regione Piemonte, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 149,
commi da 1 a 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento agli artt.
117 e 118 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 149, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006,
promosse, in riferimento all'art. 76 Cost., per la parte riferita alle
competenze dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, dalle
Regioni Umbria e Liguria, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle
Regioni Umbria e Liguria, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., per
la parte riferita alle competenze dell'Autorità di vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti, dalle Regioni Toscana e Marche, in riferimento all'art.
117, quarto comma, Cost., dalle Regioni Toscana e Marche, in riferimento a non
precisati parametri costituzionali, dalla Regione Calabria, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 149,
comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 76 Cost.,
per la parte non riferita alle competenze dell'Autorità di vigilanza sulle
risorse idriche e sui rifiuti, dalle Regioni Umbria e Liguria, in riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost., per la parte non riferita alle competenze
dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, dalla Regione
Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 150
del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all'art. 117 Cost., dalla
Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 150,
in combinato con l'art. 170, comma 3, lettera i), del d.lgs. n. 152 del 2006,
promossa, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Piemonte, con
il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 150,
in combinato con l'art. 170, comma 3, lettera i), del d.lgs. n. 152 del 2006,
promossa, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., dalla Regione
Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 150, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006,
promosse, in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, quarto comma, Cost., dalla
Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 150,
comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76 e
117, secondo, quarto e sesto comma, Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso
n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 151
e 153 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 117 Cost.,
dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 153,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 76 e
117, quarto comma, Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006,
promosse, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119, primo e secondo
comma, Cost., dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 3 Cost.,
dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Toscana, Abruzzo e
Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt.
154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all'art. 76 Cost.,
dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui ai punti 17.2.2. e 17.2.3. del
Considerato in diritto, promosse, in riferimento all'art. 76 Cost., dalle
Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria, Abruzzo e Campania, con
i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154
e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 17.2.4. del Considerato in
diritto, promosse, in riferimento all'art. 76 Cost., dalle Regioni
Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria, Abruzzo, Campania e Basilicata,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154
e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117 e 118
Cost., dalla Regione Calabria e, in riferimento all'art. 119, primo e secondo
comma, Cost., dalla Regione Puglia, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154
e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'artt. 117, quarto
comma, Cost. dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Toscana,
Umbria, Abruzzo, Puglia, Campania e Basilicata, in riferimento all'art. 119,
primo e secondo comma, Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del
2006), Calabria, Toscana, Umbria, Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 154
del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 17.2.2. del Considerato in diritto,
promossa, in riferimento all'art. 76 Cost., dalla Regione Basilicata, con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 154
del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui ai punti 17.2.2. e 17.2.3. del Considerato in
diritto, promosse, in riferimento all'art. 76 Cost., dalla Regione Liguria, con
il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate la questione di legittimità costituzionale dell'art. 154
del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 17.2.4. del Considerato in diritto,
promossa, in riferimento all'art. 76 Cost., e le questioni di legittimità
costituzionale dello stesso art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119, primo e secondo comma, Cost.,
dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 154,
commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 117,
sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 154,
comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76 e
117, quarto comma, Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 156
del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.,
dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 159 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse,
in riferimento all'art. 76 Cost., dalle Regioni Calabria ed Emilia-Romagna
(ricorso n. 73 del 2006), in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Regione
Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento agli artt. 117 e 118
Cost., dalle Regioni Calabria, Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) e Marche,
in riferimento al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria e
Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 159, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006,
promosse, in riferimento all'art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di
leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 160 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse,
in riferimento all'art. 76 Cost., dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna
(ricorso n. 73 del 2006), in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Regione
Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento agli artt. 117 e 118
Cost., dalle Regioni Calabria, Umbria ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del
2006), in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost., dalle Regioni Toscana e
Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 166,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 20.1.2. del Considerato in
diritto, promossa, in riferimento all'art. 76 Cost., dalla Regione
Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate la questione di legittimità costituzionale dell'art. 166,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 20.1.1. del Considerato in
diritto, promossa, in riferimento all'art. 76 Cost., e le questioni di
legittimità costituzionale dello stesso art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del
2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma,
Cost. dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 166,
comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 41,
76, 117, quarto comma, e 119 Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione di
legittimità costituzionale dell'art. 172, comma 2, in combinato con l'art. 147,
comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all'art. 3 Cost.,
dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 176,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 117,
terzo comma, Cost., dalle Regioni Calabria, Piemonte ed Emilia-Romagna (ricorso
n. 73 del 2006), con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 16 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.
Il Cancelliere
F.to: MILANA
Allegato:
ordinanza letta all'udienza del 5 maggio 2009
ORDINANZA
Considerato che il presente giudizio
di costituzionalità delle leggi, promosso in via di azione, è configurato come
svolgentesi esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, in
quanto avente ad oggetto questioni di competenza normativa, fermi restando, per
i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni
soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed
eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (sentenze nn.
405 del 2008 e 469 del 2005).
per questi motivi
la corte costituzionale
dichiara inammissibile l'intervento spiegato nei giudizi indicati in epigrafe
dalla Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature - ONLUS e da
Biomasse Italia S.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l.,
Ital Green Energy S.r.l. ed E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a.
F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente
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