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CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
RIFIUTI - Imballaggi - Artt. 217-226 D.L.vo n. 152/2006 - Questione di
legittimità costituzionale - Principio di leale collaborazione - Infondatezza.
E’ infondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in
riferimento al principio di leale collaborazione - degli artt. da 217 a 226 del
D.L.vo n. 152 del 2006. Le tematiche afferenti al rispetto delle procedure di
leale collaborazione esulano infatti dalla materia relativa al procedimento di
produzione normativa di rango primario (fra le ultime, sentenze n. 371 e n. 222
del 2008 e n. 401 del 2007). Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria,
Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio
dei Ministri -
CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
RIFIUTI - Imballaggi - Consorzi - Art. 223 D.L.vo n. 152/2006 - Predisposizione di uno statuto tipo - Contrasto con l’art. 118 D.L.vo n. 152/2006 - Esclusione. E’ ragionevole e non in contrasto con l’art. 118, primo comma, Cost. - il quale prevede, tra l’altro, che, al fine di assicurarne l’esercizio unitario, le funzioni amministrative possano essere conferite allo Stato - che quest’ultimo, nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, specificamente assegnata alla sua competenza legislativa esclusiva , abbia riservato ad organi centrali , con l’art. 223 del D.L.vo n. 152 del 2006, sia la predisposizione di uno schema di statuto tipo sia il controllo sul rispetto di tale schema, ed abbia, altresì, previsto, onde evitare una parcellizzazione di competenze sul territorio, che i ricordati consorzi operino su tutto il territorio nazionale (cfr. sentenza n. 235 del 2009). Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
RIFIUTI - Imballaggi - Art. 223 D.L.vo n. 152/2006 - Consorzi - Struttura unitaria a livello nazionale - Violazione dei principi di cui alla legge delega - Esclusione. L’art. 40 del D.L.vo n. 22 del 1997, nel prevedere la costituzione di «un Consorzio per ciascuna tipologia di materiale di imballaggio», evidentemente ne postulava, stante la unicità per tipo e non la pluralità, la struttura unitaria a livello nazionale, non diversamente da quanto ora, con maggiore chiarezza, prevede l’art. 223 del D.L.vo n. 152 del 2006. Nessuna privazione di attribuzioni regionali precedentemente conferite si è, pertanto, realizzata con la disposizione normativa ora in questione che, di conseguenza, non può, per tale motivo, essere ritenuta adottata in violazione della delega legislativa. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
RIFIUTI - Imballaggi - Consorzio nazionale imballaggi - Art. 224 D.L.vo n. 152/20006 - Conferimento delle funzioni amministrative a livello statale - Esercizio coordinato e unitario - Competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. La disciplina del Consorzio nazionale imballaggi, di cui all’art. 224 del D.L.vo n. 152 del 2006, per la quale nell’ambito legislativo deve riconoscersi la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», consente di rinvenire, per le ragioni già precedentemente esposte, quelle esigenze che, in puntuale attuazione delle regole della sussidiarietà, giustificano il conferimento anche delle funzioni amministrative al livello statale, per assicurarne l’esercizio coordinato e unitario. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
RIFIUTI - Consorzi nazionali di raccolta e trattamento degli oli e grassi vegetali ed animali esausti, per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene e per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati - Conferimenti di funzioni amministrative a livello statale - Esercizio coordinato e unitario - Competenza legislativa esclusiva statale - Artt. 233,234 e 236 D.L.vo n. 152/2006 - Decreto correttivo n. 4/2008 - Consorzio nazionale unico. Analogamente a quanto osservato in merito alla previsione normativa avente ad oggetto il Consorzio nazionale imballaggi, va rilevato che la disciplina relativa ai Consorzi nazionali di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti, ai Consorzi nazionali per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene e ai Consorzi nazionali per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati, per la quale nell’ambito legislativo deve riconoscersi la competenza esclusiva statale, consente di rinvenire quelle esigenze che, in puntuale attuazione delle regole della sussidiarietà, giustificano il conferimento anche delle funzioni amministrative al livello statale, per assicurarne l’esercizio coordinato e unitario. A tale proposito è il caso di osservare che, mentre il legislatore del D.L.vo n. 152 del 2006, pur affermando la necessaria dimensione nazionale dei Consorzi in discorso, aveva previsto che gli operatori della rispettiva filiera produttiva potessero costituire «uno o più consorzi» per ciascuna delle diverse tipologie di rifiuti indicati dalle predette disposizioni legislative, in sede di adozione del decreto legislativo “correttivo” n. 4 del 2008 - proprio al fine di meglio tutelare le esigenze di coordinamento che stanno alla base della scelta della dimensione nazionale dei detti Consorzi - ha espunto la facoltà di costituzione di una pluralità di Consorzi, prevedendo, invece, che, per ciascuna delle categorie di rifiuti, così come accorpate dagli articoli 233, 234 e 236 del D.L.vo n. 152 del 2006, sia costituito un solo Consorzio nazionale. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
RIFIUTI - Tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani - Art. 238 D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Art. 76 Cost. - Infondatezza - Legge delega n. 308/20004 - Riordino ed integrazione della normativa. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. - dell’art. 238 del D.L.vo n. 152 del 2006 che disciplina la nuova tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani, in sostituzione della tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del D.L.vo n. 22 del 1997. Il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 308 del 2004 attribuiva al legislatore delegato, tramite gli emanandi decreti legislativi, non solo il compito di procedere al «coordinamento» delle previgenti disposizioni, ma anche quello di provvedere al «riordino» e all’«integrazione» della normativa relativa ai settori elencati nello stesso comma 1. L’uso dei termini «riordino» e «integrazione» è sufficiente a consentire l’attuazione di interventi innovativi e non di sola ricognizione (vedi sentenza n. 225 del 2009). La volontà del legislatore delegante di innovare la disciplina preesistente è, peraltro, confermata anche dalla lettura dei princìpi e criteri direttivi indicati nei successivi commi 8 e 9 dello stesso art. 1 della legge n. 308 del 2004, molti dei quali, implicitamente o esplicitamente, presuppongono o impongono la modifica sostanziale della normativa ambientale all’epoca vigente. Con riferimento alla disciplina della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, deve aggiungersi che essa, oltretutto, costituisce attuazione diretta dell’art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004 che prevede, tra i princìpi e criteri specifici della delega stessa, quello di «assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche mediante una più razionale definizione dell’istituto». Essa è anche in linea con gli altri principi e criteri specifici quali «assicurare un’efficace azione per l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la pericolosità; […] razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni all’interno dei quali siano garantiti la costituzione del soggetto amministrativo competente, il graduale passaggio allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite procedure di evidenza pubblica». Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
RIFIUTI - Tariffa - Art. 49 decreto Ronchi - Natura della tariffa - Sentenza Corte Cost. n. 238/2009 - Riconoscimento della natura tributaria - Nuova definizione della tariffa ex art. 238 del D.L.vo n. 152/2006 - Qualificazione - Corrispettivo del servizio o tributo - Competenza legislativa esclusiva dello Stato - Fondamento. L’art. 238 del Codice dell’ambiente detta una disciplina che, pur mantenendo in parte il contenuto della normativa relativa alla tariffa di cui all’art. 49 del “decreto Ronchi”, presenta caratteristiche parzialmente diverse. A fronte dell’affermazione esplicita del legislatore delegato che, all’art. 238, ha testualmente previsto che la «tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio prestato», la natura della tariffa in esame non è ancora definita, riflettendosi sulla stessa il dibattito che si è svolto sulla tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del D.L.vo n. 22 del 1997 (cfr. sent. n. 238/2009, la quale ha riconosciuto carattere tributario alla tariffa di cui all’art. 49 del decreto Ronchi, senza però affrontare la questione della diversa “tariffa” prevista dall’art. 238 T.U. Ambiente). A prescindere dalla qualificazione da riconoscersi alla nuova tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, la relativa disciplina è comunque ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato. Invero, qualora si volesse attribuire alla tariffa natura di corrispettivo del servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani, l’art. 238 sarebbe inquadrabile nelle materie ordinamento civile, tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente, tutte rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Qualora, invece, si volesse qualificare la tariffa in esame come tributo, anche in questo caso si dovrebbe riconoscere la competenza esclusiva dello Stato, e, conseguentemente, l’impossibilità delle regioni di interferire con la legge statale che tale tariffa ha istituito. Il sistema finanziario e tributario degli enti locali è oggetto delle disposizioni dell’art. 119 della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). Peraltro fino all’attuazione da parte del legislatore statale del nuovo disegno costituzionale, si deve ritenere preclusa alle Regioni «la potestà di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali e per converso si deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative anche nel dettaglio della disciplina dei tributi locali esistenti» (sentenza n. 37 del 2004). Le sopraindicate conclusioni non vengono ad essere modificate dalla recente approvazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), posto che la citata normativa fissa principi e criteri direttivi che per mutare l’attuale impalcatura del sistema tributario hanno necessità di essere attuati attraverso un articolato percorso normativo che nella legge delega trova il suo fondamento. Va osservato, infine, che la disciplina in esame rientra anche nella materia tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la determinazione della tariffa si inserisce in un complesso assetto normativo diretto, come si evince dalla stessa legge delega, ad «assicurare un’efficace azione per l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la pericolosità», ed a «promuovere il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli stessi», «promuovere la specializzazione tecnologica delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali, al fine di assicurare la complessiva autosufficienza a livello nazionale»; «assicurare tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi per la durata dei contratti di affidamento delle attività di gestione dei rifiuti urbani» (art. 1, comma 9, lettera a, della legge delega n. 308 del 2004). Stante l’individuazione delle sopraindicate materie di competenza esclusiva statale, spetta allo Stato anche il potere regolamentare. Pertanto la forma di collaborazione individuata dal comma 6 dell’art. 238, che prevede che sia sentita la Conferenza Stato-Regioni, deve ritenersi sufficiente. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
RIFIUTI - Tariffa - Criteri di determinazione - Riferimento all’estensione dei locali utilizzati - Contrasto con il principio comunitario “chi inquina paga” - Esclusione. Dal principio comunitario “chi inquina paga” non può desumersi il divieto per gli Stati membri di istituire un tributo per la gestione dei rifiuti urbani o la preclusione di predisporre dei criteri di determinazione della tariffa che tengano conto anche dei parametri relativi all’estensione dei locali detenuti o agli indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti contaminati - Aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento - Art. 241 D.L.vo n. 152/2006 - Regolamento - Omessa previsione del coinvolgimento regionale - Illegittimità costituzionale - Parere della Conferenza Unificata. E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 241 del D.L.vo n. 152/2006, nella parte in cui non prevede che, prima dell’adozione del regolamento da esso disciplinato, sia sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del D.L.vo n. 281 del 1997. Sebbene infatti la materia della bonifica dei siti contaminati è da collocarsi nella tematica relativa alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», materia questa di esclusiva competenza statale, non può disconoscersi che, con riferimento alla bonifica delle aree adibite alla produzione agricola o all’allevamento del bestiame, lo stesso legislatore nazionale abbia riconosciuto la peculiarità dei siti in questione, dando rilevanza, proprio con la previsione di una normativa differenziata, alla specifica destinazione delle suddette aree. In tal senso si giustifica anche il coinvolgimento, nella emanazione del regolamento relativo agli interventi nelle indicate aree, sia del Ministro delle attività produttive che di quello delle politiche agricole e forestali, chiamati ad esprimere il “concerto”. Appare quindi certamente in contrasto col principio di leale collaborazione avere escluso nelle fasi del citato procedimento l’apporto partecipativo delle Regioni, cioè di quei soggetti che, rientrando la relativa materia nella loro competenza legislativa residuale, sono dotati di specifiche attribuzioni, costituzionalmente tutelate, in tema di agricoltura e zootecnia. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti contaminati - Competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente - Art. 117 Cost. - Ambiti di competenza regionale in relazione al governo del territorio e della tutela della salute - Inconfigurabilità - Artt. 239-253 D.L.vo n. 152/2006. La disciplina della bonifica dei siti contaminati va inquadrata nell’ambito della materia tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 214 del 2008). Ne consegue che gli articoli da 239 a 253 del D.L.vo n. 152 del 2006 rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato al quale spetta, anche con disposizioni di dettaglio e anche in sede regolamentare, disciplinare le procedure amministrative dirette alla prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati. Devono pertanto ritenersi infondate le rivendicazioni delle Regioni di propri ambiti di competenza in relazione al governo del territorio e alla tutela della salute, così come la rivendicazione del potere regolamentare in materia. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti contaminati - Art. 242 D.L.vo n. 152/2006 - Iter procedimentale - Responsabile dell’inquinamento - Riconoscimento di una sua discrezionalità nell’avvio del procedimento di bonifica - Esclusione. L’art. 242 del D.L.vo n. 152 del 2006, che modifica il precedente art. 17 del D.L.vo n. 22 del 1997, introduce un complesso iter diretto a porre in capo al soggetto inquinatore l’obbligo di procedere alla bonifica del sito contaminato. Tale procedimento è scandito da una prima fase che ha inizio al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare un sito, allorchè il responsabile dell’inquinamento deve mettere in opera, entro ventiquattro ore, le misure necessarie di prevenzione e deve darne immediata comunicazione, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304, comma 2, alle amministrazioni competenti. Questo primo momento è necessariamente rimesso alla volontà del responsabile dell’inquinamento perché nell’immediatezza del verificarsi dell’evento potenzialmente lesivo egli è l’unico soggetto che certamente ne è a conoscenza. A questo proposito è bene ricordare che il legislatore ha sanzionato penalmente l’omessa comunicazione del verificarsi dell’evento potenzialmente lesivo da parte del soggetto responsabile (art. 257). In ogni caso, in mancanza della comunicazione, la contaminazione dovrà emergere mediante l’attività di vigilanza e controllo delle amministrazioni competenti. Il pieno coinvolgimento delle amministrazioni competenti risulta in modo ancora più significativo nella fase successiva, in cui è previsto che esse controllino e verifichino l’attività del soggetto responsabile. Infatti, nella seconda fase, l’art. 242 prevede che il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolga, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provveda al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al Comune ed alla Provincia competenti per territorio entro quarantotto ore. Tale attività di autocertificazione è sottoposta alla verifica e al controllo degli enti locali competenti entro il ristretto termine di quindici giorni. Qualora il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione risulti invece superato, il responsabile dell’inquinamento deve immediatamente informare il Comune e la Provincia competente con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. Tutte le successive fasi della procedura di bonifica devono essere approvate dalla Regione. Il piano di caratterizzazione deve essere presentato, nei successivi trenta giorni, alle amministrazioni, nonchè alla Regione territorialmente competente e, nei trenta giorni successivi, la Regione, convocata la conferenza di servizi, «autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative». Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Entro sei mesi dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile presenta alla Regione i risultati dell’analisi di rischio. La conferenza di servizi, convocata dalla Regione a seguito dell’istruttoria svolta in contraddittorio con il soggetto responsabile - cui è dato un preavviso di almeno venti giorni - «approva il documento di analisi di rischio entro i sessanta giorni dalla ricezione dello stesso». Se gli esiti dell’analisi di rischio sono positivi, in quanto dimostrano che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento. In tal caso, la conferenza di servizi può prescrivere lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione in relazione agli esiti dell’analisi di rischio e all’attuale destinazione d’uso del sito. A tal fine, il soggetto responsabile, entro sessanta giorni dall’approvazione di cui sopra, invia alla Provincia e alla Regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono individuati i parametri da sottoporre a controllo, nonchè la frequenza e la durata del monitoraggio. Se invece sono superate le soglie di concentrazione di rischio, il soggetto responsabile sottopone alla Regione, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale. La Regione, acquisito il parere del Comune e della Provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, «approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento». La procedura descritta rende palese l’erroneità del presupposto interpretativo secondo il quale il responsabile dell’inquinamento può influire sull’esito dell’analisi di rischio e impedire l’avvio della procedura di bonifica. E’ altrettanto evidente che non vi è alcuna violazione dei principi e criteri direttivi contenuti alle lettere b) e h) del comma 8 dell’art. 1 della legge delega n. 308 del 2004 relativi al perseguimento «di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali», nonché alla «previsione di misure che assicurino l’efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali». Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
INQUINAMENTO - Bonifica dei siti contaminati - Art. 242, c. 7 D.L.vo n. 152/2006 - Competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente - Art. 117 Cost. - Responsabile dell’inquinamento - Garanzia finanziaria - Previsione di un limite massimo - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Dovendosi inquadrare la disciplina di cui all’art. 242, c. 7 del D.L.vo n. 152/2006 nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 214 del 2008), ben può il legislatore statale prevedere un limite massimo della garanzia finanziaria che le Regioni possono chiedere al responsabile dell’inquinamento, trattandosi di un livello uniforme di tutela che, nel limite massimo previsto, lascia, tra l’altro, alle amministrazioni competenti il potere di imporre la percentuale più opportuna. La disposizione in esame è peraltro pienamente conforme ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 9, lettera a), della legge n. 308 del 2004. In particolare, laddove testualmente fra tali principi è indicato quello relativo a: «incentivare il ricorso a risorse finanziarie private per la bonifica ed il riuso anche ai fini produttivi dei siti contaminati, in applicazione della normativa vigente». Essa non è, poi, certamente contraria al principio comunitario «chi inquina paga» di cui è, anzi, specifica attuazione, ed è, infine, conforme anche ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 8, lettere c), e), f) ed i), della legge delega. La garanzia finanziaria, infatti, si colloca in un momento procedimentale che si potrebbe definire “virtuoso”, perché prevede un responsabile dell’inquinamento che si è già attivato e, svolte tutte le fasi preliminari di riduzione e contenimento del danno, ha presentato all’amministrazione un progetto esecutivo che quest’ultima deve approvare. Diversamente, nell’ipotesi del responsabile dell’inquinamento che si sottrae agli obblighi previsti dall’art. 242, trova applicazione la procedura di cui all’art. 250 che prevede l’obbligo per l’amministrazione di provvedere alle operazioni di bonifica. In tale ipotesi gli strumenti di garanzia predisposti dal legislatore in favore dell’ente locale sono quelli di cui all’art. 253, primo fra tutti il privilegio speciale ex art. 2748 del codice civile sul terreno da bonificare. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
INQUINAMENTO - Bonifica di siti inquinati - Siti d’interesse nazionale - Art. 252 D.L.vo n. 152/2006 - Competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente - Art. 117 Cost. La materia nella quale deve essere inquadrata la disciplina oggetto delle disposizioni di cui all’art. 252 D.L.vo n. 152/2006, riguardante le procedure di bonifica di siti “d’interesse nazionale”, è quella della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. «La disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (sentenza n. 62 del 2008; sentenza n. 378 del 2007). Spetta infatti alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell’ambiente. In tali casi, infatti, una eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa in tema di tutela dell’ambiente, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e sproporzionata gli altri interessi confliggenti considerati dalla legge statale nel fissare i cosiddetti valori soglia (sentenza n. 246 del 2006; sentenza n. 307 del 2003)». Pertanto, anche qualora possano rilevarsi ambiti di competenza spettanti alle Regioni, deve ritenersi prevalente il citato titolo di legittimazione statale, anche in ragione della sussistenza di un interesse unitario alla disciplina omogenea di siti che travalicano l’interesse locale e regionale. È ulteriormente da porre in evidenza che la più recente giurisprudenza costituzionale in tema (sentenze n. 12 e n. 61 del 2009) sottolinea come, qualora non vi sia dubbio che lo Stato stia utilizzando la sua competenza legislativa in materia di ambiente ed ecosistema, a quest’ultimo spetti la valutazione della idoneità del livello di coinvolgimento della Regione. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Art. 252, c. 4 D.L.vo n. 152/2006 - Mancata previsione dell’intesa con la Regione competente - Violazione dei principi contenuti nella legge delega - Esclusione - Principio di sussidiarietà. L’art. 1, c. 8 della legge delega n. 308/2004 abilitava il legislatore delegato a modificare le attribuzioni già conferite alle Regioni quando la modifica fosse coerente con uno dei principi direttivi indicati nelle lettere progressive che compongono i commi 8 e 9 dell’art. 1. La mancata previsione - in seno all’art. 252, c. 4 del D.L.vo n. 152/2006 - del ricorso all’intesa con la Regione competente da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, pur prevista al comma 14 dell’art. 17 del D.L.vo n. 22/97, non configura pertanto violazione dei principi e criteri direttivi della delega. Trattandosi, infatti, della bonifica di siti (materia di competenza esclusiva statale) di interesse nazionale (siti la cui caratteristica è quella di essere portatori di un interesse che travalica quello solo regionale e locale) - la procedura prevista dalla norma censurata appare rispettosa del quadro di attribuzioni amministrative derivante dal principio di sussidiarietà (anch’esso richiamato nella delega) che costituisce un filtro necessario per il trasferimento nella nuova disciplina di quanto previsto nella precedente. Infatti, dato che requisito essenziale per la caratterizzazione di un sito come «di interesse nazionale» è che esso presenti un «particolare pregio ambientale» (lettera a), un «particolarmente elevato […] rischio sanitario e ambientale» (lettera c), un «rilevante […] impatto socio economico» (lettera d), un «rischio per i beni di interesse storico e culturale di rilevanza nazionale» (lettera e), che l’opera sia tutelata «ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (lettera b), che gli interventi si estendano al «territorio di più regioni» (lettera f), appare evidente il motivo che legittima, proprio in base al principio di sussidiarietà, il conferimento a livello statale delle attività amministrative di bonifica. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
INQUINAMENTO - Bonifica - Valorizzazione della tematica connessa alla ricerca scientifica e tecnologica - Art. 265, c. 3 D.L.vo n. 152/2006 - Mancato coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali - Illegittimità costituzionale. Le tematiche connesse alle forme di bonifica ambientale rientrano a pieno titolo nella competenza esclusiva dello Stato, essendo esse afferenti alla materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema». Tuttavia, è lo stesso legislatore nazionale che, attraverso il coinvolgimento del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di cui all’art. 265, comma 3, del D.L.vo n. 152 del 2006, ha inteso valorizzare il profilo normativo connesso con la tematica della ricerca scientifica e tecnologica, materia questa effettivamente assegnata, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., alla competenza concorrente delle Regioni. In tale ottica, onde ricondurre a legittimità costituzionale la norma, diversamente in contrasto col principio di leale collaborazione attesa la obiettiva e - dallo stesso legislatore statale - riconosciuta implicazione della materia di legislazione concorrente, è necessario prevedere che nella fase di attuazione della disposizione e, quindi, sia per ciò che riguarda l’individuazione delle forme di promozione ed incentivazione sia per ciò che riguarda la loro concreta realizzazione, debba essere previsto il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali, attraverso l’acquisizione del parere della Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del D.L.vo n. 281 del 1997. Pres. Amirante, Est. Napolitano - Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 247
SENTENZA N. 247
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli articoli da 217 a 226, da 233 a 236, da 238 a 253, 257 e
265, nonché dell'allegato 4 alla Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Calabria,
Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche con ricorsi notificati l'8,
il 13, il 12-21 ed il 12-27 giugno 2006, depositati in cancelleria il 10, il 14,
il 15, il 16 ed il 21 giugno 2006, iscritti ai nn. 68, 69, 70, 73, 74 e 79 del
registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; nonchè
gli atti di intervento dell'Associazione Italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) - Onlus e della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;
udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Paolo Maria
Napolitano;
uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Lucia
Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Fabio Lorenzoni per la Regione
Piemonte, Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per la Regione
Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon per la Regione Liguria, Gustavo Visentini
per la Regione Marche, Alessandro Giadrossi per l'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus e gli avvocati dello Stato
Fabrizio Fedeli e Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Le Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche,
ciascuna con distinto ricorso, rispettivamente contrassegnato con i numeri 68,
69, 70, 73, 74 e 79 del registro ricorsi dell'anno 2006, hanno sollevato, in via
principale, questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni
contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), in riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117, 118 e 119 della
Costituzione, nonché in relazione al principio di leale collaborazione.
In particolare, la Regione Calabria ha impugnato, tra gli altri, gli articoli da
217 a 226 e da 233 a 236, l'art. 238 e gli articoli da 239 a 253, l'art. 265 e
l'allegato 4 alla Parte quarta del D.L.vo n. 152 del 2006; la Regione Toscana,
tra gli altri, gli articoli 238, 240, 242 e 252; la Regione Piemonte, a sua
volta, tra gli altri, l'art. 238, gli articoli 240, 242, 246 e 252; la Regione
Emilia-Romagna, tra gli altri, il solo art. 238; la Regione Liguria, tra gli
altri, l'art. 240, gli articoli 242 a 244, e gli articoli 246, 252 e 257; la
Regione Marche, infine, gli articoli 238, 240, 241, 242 e 252.
2. - La Regione Calabria deduce la complessiva illegittimità costituzionale
dell'intero Titolo II della Parte quarta del D.L.vo n. 152 del 2006 (articoli da
217 a 226), nella parte in cui, genericamente, prevede la disciplina della
gestione degli imballaggi e, più specificamente, regola i consorzi per la
gestione degli imballaggi e dei relativi rifiuti in quanto la detta disciplina
collocandosi «sul punto di intersezione tra varie competenze, di diversa natura
(tutela dell'ambiente, tutela della salute, servizi pubblici regionali e
locali)», doveva essere adottata mediante un procedimento di approvazione
rispettoso del principio della leale cooperazione.
La Regione ricorrente precisa che, anche se si ritenesse prevalente l'ambito
materiale della tutela dell'ambiente, tuttavia non sarebbe comunque stata
rispettata la naturale trasversalità di tale materia, molte essendo le
disposizioni contenute nel decreto legislativo non riconducibili a standard di
tutela uniforme. In particolare la ricorrente censura l'art. 221, commi da 4 a
9, che predispone una disciplina degli obblighi di produttori e utilizzatori
così puntuale da impedire alle Regioni di modularla, invece, in ragione delle
peculiarità del loro territorio e delle loro esigenze produttive; l'art. 222 che
prevede gli obblighi delle pubbliche amministrazioni in tema di raccolta
differenziata, in quanto la norma citata sarebbe applicabile a tutta la pubblica
amministrazione senza distinguere fra enti ed organi statali e quelli
sub-statali, così incidendo, in violazione dell'art. 117, quarto comma, della
Costituzione, sulla materia di competenza residuale regionale della
organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali;
l'art. 223 che reca, a sua volta, una normativa di dettaglio anch'essa volta non
a predisporre standard di tutela, ma a individuare strumenti e procedure per
raggiungere lo standard altrove indicato.
In via subordinata la Regione osserva anche che il comma 2 dell'art. 222 detta
una disciplina talmente minuziosa da arrivare a delineare le procedure da
seguire per il raggiungimento degli obbiettivi fissati.
L'art. 223 presenterebbe, per la ricorrente Regione, altri profili di
incostituzionalità, riferibili alla lesione dell'art. 118, primo comma, della
Costituzione.
In particolare, la previsione che i consorzi fra produttori e recuperatori
debbano essere strutturati su base nazionale e regolati da uno statuto tipo
redatto dal Ministero dell'ambiente, di concerto con quello delle attività
produttive, oltre a escludere le istanze regionali, violerebbe l'art. 76 della
Costituzione, stante il mancato rispetto dell'art. 1, comma 8, della legge di
delega 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure
di diretta applicazione), il quale impone al legislatore delegato di conformarsi
alle previsioni di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e
agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Pertanto, a parere della ricorrente, in virtù del disposto dell'art. 85 del
decreto legislativo n. 112 del 1998, il quale a sua volta rimanda all'art. 40
del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva
91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), sarebbe
ingiustificata la previsione della dimensione necessariamente nazionale dei
consorzi fra produttori e utilizzatori. La Regione lamenta anche la
«compressione dei poteri regionali» cui sarebbe inibita ogni valutazione al
momento della costituzione del consorzio e la predisposizione di strumenti
normativi atti a salvaguardarne la «serietà» e «importanza».
La Regione deduce, altresì, la illegittimità costituzionale dell'art. 224 del
D.L.vo n. 152 del 2006 nella parte in cui, rispondendo ad una logica
marcatamente centralistica in violazione del principio di sussidiarietà espresso
dall'art. 118, primo comma, della Costituzione, concentra sul solo Consorzio
nazionale imballaggi la totalità delle funzioni dalla medesima norma previste,
ovvero, in via subordinata, in quanto non consente alle Regioni di creare
analoghi Consorzi a livello regionale che esercitino, nel rispetto del principio
di sussidiarietà, le funzioni che possono essere svolte al loro livello
territoriale.
2.1. - Come si è detto la Regione Calabria solleva questione di legittimità
costituzionale anche degli articoli 233, 234, 235 e 236 del D.L.vo n. 152 del
2006, i quali rispettivamente prevedono la istituzione del Consorzio nazionale
di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti,
del Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene,
del Consorzio nazionale per la raccolta ed il trattamento delle batterie al
piombo esauste e dei rifiuti piombosi e del Consorzio nazionale per la gestione,
raccolta e trattamento degli oli minerali usati. Le citate disposizioni, a
parere della ricorrente, si porrebbero in contrasto col principio di
sussidiarietà espresso dall'art. 118, primo comma, della Costituzione,
concentrando sui Consorzi nazionali la totalità delle funzioni amministrative da
loro previste, e, in via subordinata, non consentendo alle Regioni di creare
analoghi Consorzi a livello regionale.
2.2. - La Regione Calabria censura l'art. 238, comma 6 (e commi 3, 5, 7 e 8 per
la parte in cui lo richiamano) del D.L.vo n. 152 del 2006 poiché, pur in
presenza dei molteplici titoli competenziali concernenti la gestione dei
rifiuti, attribuisce al Ministro dell'ambiente il compito di predisporre con
apposito regolamento «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite
le componenti dei costi e viene determinata la tariffa» per la gestione dei
rifiuti urbani. Tale disposizione violerebbe l'art. 117, sesto comma, della
Costituzione, assegnando allo Stato una potestà regolamentare in una materia non
di sua esclusiva competenza.
Subordinatamente la disposizione violerebbe anche il principio di leale
collaborazione prevedendo che il regolamento di cui al comma 6 sia emanato dal
Ministro dell'ambiente, di concerto con quello delle attività produttive,
sentita la Conferenza Stato-Regioni, là dove, dato il rilievo assunto dal
regolamento in questione, sarebbe necessario che la concertazione tra Stato e
Regioni si realizzi tramite una «intesa in senso forte».
2.3. - La Regione Calabria solleva, altresì, questione di legittimità
costituzionale dell'intero Titolo V della Parte quarta del D.L.vo n. 152 del
2006 (articoli da 239 a 253) che disciplina la bonifica dei siti contaminati.
Ricorda la ricorrente che la delega legislativa, contenuta nell'art. 1, comma 1,
della legge n. 308 del 2004, consentiva al Governo la emanazione di uno o più
decreti per il «riordino, coordinamento ed integrazione delle disposizioni
legislative» in vigore.
Secondo la Regione Calabria, la disciplina in esame avrebbe un carattere
profondamente innovativo rispetto a quella preesistente e ciò costituirebbe una
violazione della legge delega e dell'art. 76 Cost. con evidenti riflessi sulle
attribuzioni costituzionali delle Regioni «sia per il tipo di normativa redatta»
sia perché l'aver esorbitato dai limiti della delega avrebbe consentito allo
Stato di porre in essere norme che, qualora previste come innovative ab initio,
avrebbero necessitato, in ossequio al principio di leale collaborazione, di una
assai più rilevante partecipazione delle Regioni nella fase formativa della
legge.
In via subordinata la Regione eccepisce il contrasto di «molte delle
disposizioni contenute negli articoli da 239 a 253 del D.L.vo n. 152 del 2006»
con l'art. 117 della Costituzione. Infatti la disciplina della bonifica dei siti
contaminati coinvolge diversi titoli competenziali quali quello trasversale
della tutela dell'ambiente, quelli concorrenti del governo del territorio e
della tutela della salute nonché, almeno sotto determinati profili, quello di
competenza residuale regionale dell'agricoltura. Tuttavia, prosegue la
ricorrente, l'aspetto prevalente sembrerebbe essere quello del governo del
territorio, configurandosi la attività di ripristino della salubrità dei luoghi
come momento qualificante della azione di governo del suolo, del sottosuolo e
delle acque.
Per tali motivi la Regione Calabria ritiene in contrasto con l'art. 117 della
Cost., dato il loro carattere di norme di dettaglio, le seguenti disposizioni:
l'art. 242, che, lungi dal porre principi fondamentali, disciplina in dettaglio
le procedure operative ed amministrative di bonifica; l'art. 244, il quale
individua i comportamenti che le amministrazioni debbono tenere in caso di
superamento dei valori di concentrazione soglia; l'art. 245, che si occupa di
particolari modalità di interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
ambientale; l'art. 248, che specifica le forme dei controlli sulle opere
eseguite; l'art. 249 e l'allegato 4 alla Parte quarta, che disciplinano le
modalità semplificate di interevento nelle aree di ridotte dimensioni; l'art.
250, che disciplina le condizioni per l'intervento in via sostitutiva della
pubblica amministrazione.
Le predette disposizioni di cui agli articoli 242, 244, 245, 248 e 249,
peraltro, stante il loro carattere dettagliato, sarebbero, altresì, viziate
anche qualora si ritenesse che l'oggetto delle medesime non sia ascrivibile
all'ambito materiale prevalente del «governo del territorio» ma ad una
concorrenza di competenze; è, infatti, da escludersi che esse siano
riconducibili alla individuazione di uno standard di tutela uniforme.
2.4. - Con specifico riferimento all'art. 241, la ricorrente ritiene che la
norma, nell'attribuire al Ministro dell'ambiente, di concerto con quello delle
attività produttive, quello della salute e quello delle politiche agricole, un
potere regolamentare in una materia articolata che vede la presenza anche della
competenza residuale regionale in tema di agricoltura, violerebbe il sesto comma
dell'art. 117 della Costituzione e si porrebbe, altresì, in contrasto col
principio di leale cooperazione attesa la mancata previsione, persino, della
consultazione delle Regioni.
2.5. - La Regione Calabria deduce anche la illegittimità costituzionale dei
commi 3 e 4 dell'art. 252; quanto al primo, poiché esso, nel prevedere che la
perimetrazione dei siti di bonifica di interesse nazionale debba avvenire
«sentiti i comuni, le province, le regioni e gli altri enti locali», lederebbe
le attribuzioni costituzionali delle Regioni che, invece, sulla base della loro
più approfondita conoscenza del territorio, dovrebbero poter codecidere con lo
Stato sulla perimetrazione; quanto al secondo, poiché esso, oltre a ledere il
principio di leale cooperazione, violerebbe anche l'art. 76 della Costituzione.
Infatti, a parere della ricorrente, l'art. 1, comma 8, della legge di delega n.
308 del 2004, rinviando all'art. 85 del D.L.vo n. 112 del 1998, imporrebbe il
rispetto delle attribuzioni regionali fissate dall'art. 17 del D.L.vo n. 22 del
1997, il quale, al comma 14, prevedeva, per gli interventi di bonifica di
interesse nazionale, l'intesa con la Regione territorialmente competente.
2.6. - Da ultimo la Regione Calabria censura l'art. 265, comma 3, del D.L.vo n.
152 del 2006. Detta norma prevede che tramite un decreto ministeriale siano
individuate «le forme di promozione e di incentivazione per la ricerca e lo
sviluppo di nuove tecnologie di bonifica presso le università, nonché presso le
imprese e i loro consorzi». Secondo la rimettente la predetta disposizione
sarebbe in contrasto con l'art. 117, sesto comma, della Costituzione poiché
attribuisce allo Stato una potestà regolamentare nella materia di competenza
concorrente della ricerca scientifica. Esso violerebbe, altresì, l'art. 119
della Costituzione, prevedendo l'attribuzione di incentivi in un ambito non di
esclusiva competenza dello Stato, nonché il principio di leale cooperazione, non
contemplando alcun tipo di coinvolgimento della Regione.
2.7. - In prossimità della data fissata per la discussione del ricorso la
Regione Calabria ha depositato una memoria illustrativa nella quale si sofferma
sul perdurante interesse a coltivare il ricorso, pur in presenza delle modifiche
normative intervenute sul D.L.vo n. 152 del 2006 a seguito della entrata in
vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni
correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante
norme in materia ambientale).
Con riferimento, in particolare, alla normativa in tema di gestione degli
imballaggi la ricorrente, precisato che la normativa in discorso ha comunque
spiegato effetti già nella sua versione originaria, ribadisce che, al di là
delle modifiche ad essa apportate, spesso solo formali, permangono le censure a
suo tempo formulate quanto alla violazione dell'art. 117 della Costituzione,
dato il carattere estremamente dettagliato e puntuale della detta normativa, e
quanto alla violazione dell'art. 118 della Costituzione, stante il permanere
dell'impianto normativo basato sul carattere nazionale dei consorzi.
Anche con riferimento alla impugnazione degli articoli 233, 234 e 236 del D.L.vo
n. 152 del 2006 le novelle apportate non incidono sul contenuto della medesima;
diversamente la ricorrente prende atto della avvenuta abrogazione dell'art. 235.
Infine riguardo alla disciplina dei siti contaminati il carattere solo formale
delle modificazioni intervenute ne esclude, ad avviso della Regione ricorrente,
ricadute sul merito del ricorso.
3. - Con ricorso notificato il 12-21 giugno 2006 e depositato il 14 giugno 2006,
la Regione Toscana ha impugnato, tra l'altro, l'art. 238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e
10, l'art. 240, comma 1, lettera b), l'art. 242, commi 2, 3, 4, 5 e 7, e l'art.
252, commi 3 e 4, del D.L.vo n. 152 del 2006, per violazione degli articoli 11,
76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.
3.1. - La ricorrente censura anzitutto l'art. 238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10, in
riferimento agli articoli 117, 118 e 119 Cost.
La disposizione citata, ricorda la ricorrente, regola la tariffa per la gestione
dei rifiuti urbani: il comma 3 stabilisce che «la tariffa è determinata, entro
tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6, dalle
Autorità d'ambito ed è applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio
di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal regolamento di cui al
comma 6»; mentre i commi da 6 a 10 disciplinano le competenze attuative.
Secondo la Regione ricorrente, l'intera norma recherebbe vulnus alle competenze
regionali: in particolare, essa si porrebbe in contrasto con gli articoli 117,
118 e 119 Cost., (rinviando la difesa regionale a considerazioni analoghe a
quelle già svolte in relazione all'art. 154, il quale istituisce la tariffa del
servizio idrico e fissa i parametri per determinarla), in quanto i poteri
«riconosciuti [dalla citata disposizione] al ministero violerebbero la
competenza legislativa regionale in tema di servizi pubblici locali (cfr. le
sentenze n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006 della Corte costituzionale)», oltre
che l'autonomia finanziaria della Regione, in ragione della sua incidenza su di
un'entrata regionale, di competenza regionale.
In subordine, rileva sempre la Regione, se anche si volesse ritenere la
disciplina della presente tariffa rientrante nella competenza statale, la norma
sarebbe, comunque, censurabile, non avendo previsto l'intesa con le Regioni;
intesa necessaria tutte le volte che il legislatore nazionale interviene in una
materia come quella del caso di specie (precisamente i rifiuti), «ove gli
interessi ambientali si sovrappongono con quelli di tutela del territorio e
della tutela della salute (sentenza n. 407/2002)».
3.2. - Per quanto concerne, poi, gli articoli 240, 242 e 252, la Regione
ricorrente premette che gli stessi sono collocati nel Titolo V della Parte
quarta dell'impugnato decreto legislativo, titolo che disciplina la bonifica dei
siti contaminati.
L'art. 240, prosegue la Regione Toscana, detta, in generale, le definizioni
utili per l'applicazione delle disposizioni contenute nel Titolo V del decreto
legislativo n. 152 del 2006; in particolare, il comma 1, lettera b), riguarda
“concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)” e stabilisce in merito: «i
livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al
di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l'analisi di
rischio sito specifica, come individuati nell'Allegato 5 alla parte quarta del
presente decreto. Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato
in un'area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato
il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste
ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri
superati».
L'art. 242, invece, premette la ricorrente, riguarda le procedure operative ed
amministrative per procedere alla bonifica dei siti inquinati e stabilisce: «al
verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito,
il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le
misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con
le modalità di cui all'art. 304, comma 2» [recte: comma 1]; mentre al successivo
comma 2: «il responsabile dell'inquinamento, attuate le necessarie misure di
prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un'indagine
preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento e, ove accerti che il
livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato
superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con
apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per
territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. L'autocertificazione
conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando
le attività di verifica e di controllo da parte dell'autorità competente da
effettuarsi nei successivi quindici giorni».
Quindi, relativamente ai successivi commi 3 e 4, la ricorrente rileva che il
primo trasferisce la competenza autorizzatoria delle bonifiche dalla Regione al
Comune (in difformità da quanto previsto dall'art. 17 del D.L.vo n. 22 del
1997); ed il secondo, dispone che «sulla base delle risultanze della
caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito
specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)».
Il comma 4 prevede, inoltre, che i criteri da utilizzare per l'applicazione
della procedura di analisi di rischio sono quelli riportati nell'allegato 1 alla
Parte quarta dello stesso decreto; e stabilisce, altresì, che, entro sei mesi
dall'approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile
presenti alla Regione i risultati dell'analisi di rischio che saranno approvati
da apposita Conferenza di servizi convocata dalla Regione.
Qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la
concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle
concentrazioni soglia di rischio, prosegue la ricorrente, la Conferenza dei
servizi, con l'approvazione del documento dell'analisi del rischio, dichiara -
ai sensi del comma 5 - concluso positivamente il procedimento, potendo
prescrivere lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la
stabilizzazione della situazione riscontrata in relazione agli esiti
dell'analisi di rischio e all'attuale destinazione d'uso del sito.
Quanto stabilito, si porrebbe, a detta della ricorrente, in contrasto sia con la
normativa comunitaria in materia di rifiuti, sia con la legge delega (con
violazione, quindi, degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.).
Infatti, secondo la Regione Toscana, «l'individuata procedura operativa ed
amministrativa per la bonifica dei siti inquinati ha come naturale conseguenza
un pregiudizio derivante da un minor rigore nella tutela ambientale e una
compressione delle attribuzioni regionali in materia di tutela della salute,
nonché del governo del territorio».
Riguardo, in particolare, all'art. 242, relativamente alla parte in cui collega
l'obbligo di bonifica per il soggetto che inquina agli esiti della procedura di
analisi del rischio - svolta peraltro dallo stesso soggetto che ha inquinato (si
veda l'allegato 2 alla Parte quarta del decreto) - la stessa è, per la
ricorrente, ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi, con
conseguente possibilità, per l'inquinatore, di poter effettuare un'analisi del
rischio più favorevole ai propri interessi, evitando la successiva fase di
bonifica.
In altri termini, a detta della difesa regionale, la norma censurata demanda al
responsabile dell'inquinamento - previo svolgimento, nelle zone interessate
dalla contaminazione, di un'indagine preliminare sui parametri oggetto
dell'inquinamento - la valutazione del superamento o meno delle concentrazioni
soglia di contaminazione (CSC) e, quindi, conseguentemente, la valutazione se
provvedere al ripristino della zona contaminata (comunicandolo, con apposita
autocertificazione, sia al Comune, sia alla Provincia competenti per territorio)
ovvero, se darne immediata notizia agli stessi Enti, descrivendo, altresì, le
misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza da esso adottate.
Una tale disposizione si porrebbe, pertanto, in aperto contrasto con la
normativa comunitaria relativamente alla tutela dei suoli dall'inquinamento,
poiché si demanderebbe alla discrezionalità dell'inquinatore - a fronte
dell'inquinamento di un sito - la scelta della procedura ritenuta più adatta al
caso di specie. All'Ente pubblico competente - nel caso lo stesso dissenta
dall'analisi prodotta dal soggetto - non resterà (dopo aver espresso il proprio
parere negativo) che procedere d'ufficio alla bonifica del sito, con gravi
ripercussioni sull'erario per le ben poche probabilità di recuperare le spese
sostenute, anche in via giudiziaria; ovvero, non procedere alla bonifica, con
inevitabili e gravi ripercussioni sul territorio e sulla tutela della salute dei
cittadini.
Da qui la dedotta violazione degli articoli 117 e 118 Cost., a cui si
aggiungerebbe - sempre secondo la Regione ricorrente - anche la «compromissione»
del principio comunitario «chi inquina paga», con conseguente violazione anche
dei principi e dei criteri direttivi enunciati dall'art. 1, comma 8, della legge
di delega n. 308 del 2004 e, in particolare, di quelli di cui alle lettere e) ed
f), nonché alle lettere b) e h).
Relativamente alle prime due, le stesse - prosegue la Regione ricorrente -
enunciano i principi ai quali il nuovo testo unico avrebbe dovuto uniformarsi,
da un lato, dando «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al
fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in
tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando
fenomeni di distorsione della concorrenza»; e, dall'altro, affermando i
«principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione
degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio “chi inquina paga”».
Mentre, con riguardo ai principi stabiliti nelle lettere b) e h), gli obiettivi
da perseguire sarebbero stati altresì quelli del «conseguimento di maggiore
efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonchè certezza delle
sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell'ambiente» e la
«previsione di misure che assicurino l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi
ambientali, incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli
impianti produttivi, anche attraverso il potenziamento e il miglioramento
dell'efficienza delle autorità competenti».
Per la Regione Toscana, tali obiettivi sarebbero stati palesemente pregiudicati,
con conseguente violazione degli articoli 11 e 76 Cost., e con ripercussioni
sulle competenze costituzionali della Regione in materia di governo del
territorio e tutela della salute.
Analoghe considerazioni, secondo la ricorrente, valgono per l'art. 240, comma 1,
lettera b), nella parte in cui lo stesso prevede che, nelle ipotesi in cui «un
sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area interessata da fenomeni
antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più
concentrazioni soglia di contaminazione, per tale specifico sito tali “valori
soglia” coincidono con il valore di fondo esistente nel sito, con riferimento a
tutti i parametri superati». Difatti, stante il dettato di questa disposizione,
verrebbero a determinarsi gravi incertezze sulle modalità di rilevamento dei
valori di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento, con evidenti
gravi ripercussioni sulla tutela della salute e sul governo del territorio.
3.3. - Quindi, la Regione ritiene che analoga violazione dei parametri sopra
citati sarebbe operata anche dal comma 7 dello stesso art. 242; questa
disposizione, norma di dettaglio secondo la ricorrente, prevedendo che «con il
provvedimento […] è fissata l'entità delle garanzie finanziarie, in misura non
superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell'intervento, che devono
essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il
completamento degli interventi medesimi», impone una limitazione del quantum
della garanzia finanziaria. Pertanto, poiché consentirebbe a chi ha procurato un
inquinamento di non offrire la garanzia finanziaria integrale per la bonifica
del sito, essa sarebbe incompatibile con le competenze regionali in materia di
tutela della salute, governo del territorio e servizi pubblici, nonché in
contrasto sia con i principi comunitari di tutela ambientale (in particolare con
il principio «chi inquina paga»), sia con i già richiamati principi e criteri di
cui alle lettere e) ed f) dell'art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del
2004.
Tale previsione di un tetto massimo per le garanzie finanziarie, poi, si
porrebbe in contrasto anche con i principi direttivi di cui alle lettere c), f)
ed i) dell'art. 1, comma 8, secondo i quali il testo unico avrebbe dovuto
conformarsi a: «c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica; [...]
f) affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di
correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
“chi inquina paga”; [...] i) garanzia di una più efficace tutela in materia
ambientale anche mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del
sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena
e l'entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge».
3.4. - La Regione Toscana impugna anche l'art. 252, commi 3 e 4, del D.L.vo n.
152 del 2006, in riferimento agli articoli 117 e 118 Cost.
La Regione, preliminarmente, ricorda che tale articolo disciplina la bonifica
dei cosiddetti siti di interesse nazionale, prevedendo che, alla loro
individuazione, «si provvede con decreto del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio, d'intesa con le regioni interessate, secondo i seguenti
principi e criteri direttivi [...]» La norma stabilisce, poi, rispettivamente,
al comma 3, che ai fini della perimetrazione del sito è sufficiente sentire «i
comuni, le province, le regioni e gli altri enti locali, assicurando la
partecipazione dei responsabili nonchè dei proprietari delle aree da bonificare,
se diversi dai soggetti responsabili»; mentre, al successivo comma 4, che «la
procedura di bonifica di cui all'art. 242 dei siti di interesse nazionale è
attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio, sentito il Ministero delle attività produttive», senza alcuna
previsione di una intesa con le Regioni (come era stabilito all'art. 17, comma
14, del D.L.vo n. 22 del 1991).
La Regione ricorrente, al proposito, lamenta che la mancata previsione, nei
commi censurati, dell'intesa con la Regione ai fini della perimetrazione e
dell'approvazione dei progetti di bonifica di siti di interesse nazionale si
porrebbe in contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost., ripercuotendosi sulle
competenze costituzionali della Regione in materia di tutela della salute e
governo del territorio: la norma, infatti, così stabilendo, vincolerebbe la
destinazione urbanistica del territorio dei siti d'interesse nazionale da
bonificare, senza prevedere nessun intervento da parte delle Regioni
interessate.
3.5. - Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo
l'inammissibilità e deducendo comunque l'infondatezza delle censure.
Riguardo alla dedotta violazione dell'art. 238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10, in
riferimento agli articoli 117, 118 e 119 Cost., la difesa erariale ritiene che
questa disposizione - così come già rilevato per gli articoli 154 e 155 dello
stesso Codice, relativi all'istituzione di tariffe per i servizi idrici e di
depurazione - non verrebbe ad invadere la competenza regionale in materia di
servizi pubblici locali, con conseguente lesione dell'autonomia finanziaria e
tributaria della Regione ricorrente. La censura della Regione sarebbe, difatti,
infondata, stante la necessità che gli “elementi di base” delle tariffe «debbano
essere accertati e fissati in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale»
e determinati, pertanto, dal legislatore nazionale. La norma, comunque,
riserverebbe «alla gestione regionale delle tariffe […] ampi spazi per le
politiche locali di incentivazione e di aggravamento».
Ugualmente infondate sarebbero, per l'Avvocatura dello Stato, le censure
relative agli articoli 240, comma 1, lettera b), e 242, commi 2, 3, 4, 5, in
relazione agli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost., non solo perchè si
lamenterebbe, con «salti logici» ed in modo generico una presunta «illegittimità
comunitaria», nonché la violazione da parte del legislatore statale delle
competenze regionali in tema di tutela della salute e di governo del territorio,
ma anche perché - come testualmente afferma la difesa pubblica - «l'adozione
della cosiddetta analisi del rischio è criterio già ricorrente nella prassi
amministrativa (soprattutto commissariale) sicché vengono meno, con il carattere
innovativo della disposizione, le ragioni sostanziali di un'opposizione
preconcetta al sistema che il legislatore nazionale ha inteso generalizzare».
Anche la censura mossa dalla Regione ricorrente al comma 7 del citato articolo
242 per violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost., sarebbe infondata.
Il legislatore delegato, infatti, con la disposizione impugnata, non è venuto a
fissare un limite massimo alle garanzie finanziarie che devono essere prestate a
favore della Regione per la realizzazione e l'esercizio degli impianti previsti
dal progetto di bonifica, così violando principi comunitari (specificamente, il
principio “chi inquina paga”), né a determinare un aggravio degli oneri a carico
della finanza pubblica ed una riduzione della tutela in materia ambientale in
via indiretta. Questi, utilizzando una misura percentuale, avrebbe solamente
stabilito quali rapporti devono sussistere «tra amministrazione e privato in
sede di richiesta di garanzie, ancorando il potere pubblico ad un parametro
significativo e quindi ragionevole».
Infine, con riguardo all'art. 252, commi 3 e 4, impugnato dalla ricorrente, in
riferimento agli articoli 117 e 118 Cost., poiché non prevederebbe un'adeguata
partecipazione regionale ai fini della perimetrazione e dell'approvazione della
bonifica dei progetti dei siti di interesse nazionale, la difesa erariale
ritiene che anche le censure riferite a dette norme sarebbero non fondate.
Infatti, ferma restando - a parere dell'Avvocatura - la considerazione che
un'intesa forte sarebbe difficile da attuare concretamente e «foriera di
soluzioni spesso non trasparenti», si dovrebbe anche tener presente che «se i
siti da bonificare sono qualificati d'interesse nazionale, se le risorse sono
esclusivamente statali, l'audizione attenta nell'ambito del procedimento
amministrativo di tutti i soggetti interessati consente il raccordo con la
realtà regionale e locale, lasciando tuttavia la responsabilità unitaria
dell'intervento alla sola autorità chiamata a provvedere».
3.6. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo, relativamente agli articoli 240,
comma 1, lettera b), e 242 del D.L.vo n. 152 del 2006, l'accoglimento delle
questioni, con motivazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte dalla
ricorrente e riservandosi di ulteriormente illustrare le ragioni e i contenuti
dell'intervento.
3.7. - In prossimità dell'udienza, la Regione Toscana ha depositato memoria
nella quale - con riferimento agli articoli censurati - ribadisce l'interesse a
coltivare il ricorso, dal momento che l'intervenuto D.L.vo n. 4 del 2008,
correttivo del precedente D.L.vo n. 152 del 2006, non ha inciso l'ambito
normativo riferibile alle disposizioni in esame e non ha, quindi, apportato
significative modifiche in proposito.
La difesa regionale insiste, altresì, per l'accoglimento del ricorso proposto,
richiamandosi ai motivi di censura svolti nel medesimo.
3.8. - In prossimità dell'udienza, ha depositato memoria l'Associazione Italiana
per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, relativamente agli
articoli 240, comma 1, lettera b), e 242, commi 2, 3, 4, 5 e 7 del D.L.vo n. 152
del 2006, insistendo per l'accoglimento delle questioni.
4. - La Regione Piemonte ha impugnato, tra gli altri, gli articoli 238, 240,
242, 246 e 252 del D.L.vo n. 152 del 2006 per violazione degli articoli 3, 76,
97, 117, 118, 119 e del principio di leale collaborazione.
Quanto all'art. 238 che, come si è detto, disciplina la tariffa per la gestione
dei rifiuti urbani, la Regione Piemonte lamenta il carattere innovativo della
nuova disciplina in contrasto con quanto previsto dalla legge di delega. In
particolare rileva che l'art. 1, comma 9, lettera a), della legge di delega n.
308 del 2004, individuava il criterio di «assicurare una maggiore certezza della
riscossione della tariffa sui rifiuti urbani anche mediante una più razionale
definizione dell'istituto» mentre il D.L.vo n. 152 del 2006 non si è limitato a
modificare la preesistente disciplina della tariffa ma ha abrogato l'intero
disposto dell'art. 49 del D.L.vo n. 22 del 1997, introducendo «rilevanti
elementi innovativi circa i presupposti per l'applicazione».
Per la Regione Piemonte l'art. 238 violerebbe anche il principio comunitario
«chi inquina paga» a causa dell'introduzione di indicatori per la determinazione
della tariffa, come il richiamo ad indici reddituali, del tutto indipendenti
dalla mera produzione dei rifiuti. Inoltre altri indici, quali l'attribuzione
della giurisdizione al giudice tributario, evidenzierebbero la natura tributaria
della tariffa, con una sensibile divaricazione tra il quantum pagato e il grado
di fruizione del servizio pubblico in violazione del citato principio «chi
inquina paga» e con l'ulteriore conseguenza di accentuare la difficoltà degli
Enti regionali e locali nella programmazione e gestione dei servizi in relazione
al finanziamento degli stessi.
4.1. - Anche con riferimento alla disciplina della bonifica dei siti contaminati
la Regione Piemonte rileva la presenza di numerose innovazioni, «sia nelle
disposizioni di definizioni sia nella regolamentazione di procedure, che
modificano notevolmente l'impianto giuridico già costituito dall'art. 17 del
D.L.vo n. 22 del 1997 senza supporto nelle previsioni della legge di delega».
In particolare, a parere della ricorrente, l'art. 240 introduce una definizione
della «messa in sicurezza operativa» che, anziché consentire un'appropriata
organizzazione che contemperi l'attuazione degli interventi con la prosecuzione
dell'attività produttiva secondo un piano operativo eventualmente concordato,
finisce per procrastinare a tempo indeterminato gli interventi fino a quando
l'attività verrà dismessa.
La Regione Piemonte ritiene, inoltre, che l'art. 242 modifichi «integralmente
tutto il precedente impianto di competenze eliminando “l'incardinamento” degli
interventi in primo luogo nei comuni territorialmente interessati in violazione
del principio di sussidiarietà». Con la conseguenza che per operare secondo il
sistema prefigurato si renderebbero necessari dei mutamenti organizzativi che
paralizzerebbero l'attività. La nuova organizzazione, tra l'altro, sarebbe più
lenta e meno efficace per l'impossibilità di una verifica immediata sugli eventi
di contaminazione attuabile invece a livello comunale.
La definizione delle procedure si presenterebbe estremamente dettagliata con
difetti di coordinamento e con una complessità procedimentale senza alcuna
giustificazione finendo in definitiva per ostacolare un intervento dell'autorità
pubblica tempestivo e specifico. Vi sarebbero inoltre non poche incongruenze in
relazione alle disposizioni degli articoli 244 e 245 ed a quelle della Parte
sesta riguardanti le azioni di prevenzione e di riparazione del danno
ambientale.
L'art. 246 è censurato dalla Regione Piemonte in quanto «prevede incongruamente
il ricorso obbligatorio ad accordi di programma che i soggetti tenuti ad
eseguire gli interventi di bonifica hanno “diritto di stipulare” con
l'amministrazione competente».
Infine la Regione lamenta che, in materia di interventi di interesse nazionale,
l'art. 252 abbia eliminato l'intesa con la Regione territorialmente competente
in ordine alla definizione ed approvazione del progetto di intervento.
L'esclusione della codeterminazione con la Regione sarebbe priva di
giustificazione ed in contrasto con il principio di leale collaborazione,
considerando la natura degli interventi di interesse nazionale che riguardano
vaste porzioni territoriali ed hanno rilevante impatto socio-economico.
4.2. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia) - Onlus, concludendo nel senso dell'accoglimento del
ricorso.
4.3. - Sono, altresì, intervenuti nel giudizio la Società Italiana Centrali
Termoelettriche SICET s.r.l.; la Biomasse Italia s.p.a.; l'Ital Green Energy
s.r.l. e l'Energia Tecnologia Ambiente s.p.a., tutte quante chiedendo il rigetto
del ricorso.
5. - La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e
depositato il successivo 16 giugno, ha impugnato, tra l'altro, l'art. 238 del
citato D.L.vo n. 152 del 2006, in riferimento agli articoli 76, 117, commi
quarto e sesto, e 119, commi primo e secondo, della Costituzione.
5.1. - La ricorrente premette che, contrariamente a quanto previsto dall'art. 1,
comma 9, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004, l'art. 238 è venuto a
ridisciplinare integralmente la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani,
trasformandola anche “concettualmente”.
Infatti, prosegue la Regione ricorrente, l'articolo censurato, abrogando la
precedente disciplina contenuta nel cosiddetto «decreto Ronchi», stabilisce che
la «tassa» sui rifiuti sia, ora, «commisurata su indici quali l'estensione dei
locali detenuti e indici reddituali articolati per fasce di utenza e
territoriali» (comma 2), anzichè sul parametro della effettiva produzione dei
rifiuti, come sarebbe corrispondente al principio comunitario «chi inquina
paga»; in tal modo resterebbe del tutto in ombra la natura di «tariffa»
commisurata quale corrispettivo della prestazione di un servizio.
Inoltre, «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti
dei costi e viene determinata la tariffa» sarebbero determinati, al comma 6, da
un regolamento ministeriale da emanarsi «sentita» la Conferenza Stato-Regioni.
Pertanto, la normativa statale e, in primis, la espressa attribuzione di poteri
normativi ministeriali, sovraordinati a quelli delle Regioni (già esercitati
dalla Regione ricorrente in base a quanto disposto dalla legge regionale 6
settembre 1999, n. 25, recante «Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali
e disciplina delle forme di cooperazione tra gli Enti locali per
l'organizzazione del Servizio idrico integrato e del Servizio di gestione dei
rifiuti urbani»), viola, altresì, la competenza legislativa spettante alle
Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., «in quanto strettamente
correlata alla disciplina e alla politica dei servizi pubblici locali, nonché il
riparto della potestà regolamentare fissato dall'art. 117, sesto comma».
Il metodo tariffario - prosegue la Regione ricorrente - si deve ritenere
«componente connaturata alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica (qual è il servizio di gestione dei rifiuti)» e, come tale,
sicuramente di spettanza regionale. Conseguentemente, non sembra essere
competenza statale quella di determinare i componenti di costo della tariffa,
dal momento che la politica di regolazione e di organizzazione del servizio
pubblico locale, afferente alla gestione dei rifiuti, è demandata alla cura
regionale che, anche attraverso il metodo tariffario, può perseguire precise
scelte in materia.
A riprova del fatto che non si riscontrerebbe alcuna base costituzionale che
consenta allo Stato di avocare a sè tali determinazioni, la ricorrente ricorda
come la Corte costituzionale abbia rigettato l'impugnazione proposta dal Governo
avverso la legge regionale dell'Emilia-Romagna, disciplinante il metodo
tariffario regionale sul servizio idrico (legge regionale 14 aprile 2004, n. 7
recante «Disposizioni in materia ambientale. Modifiche ed integrazioni a leggi
regionali»), proprio in relazione alla rilevata insufficienza di argomentazioni
addotte a sostegno di una competenza statale in materia (sentenza n. 335 del
2005).
Inoltre, sempre secondo la difesa regionale, la norma denunciata non terrebbe
conto del riparto della potestà legislativa fra Stato e Regioni fissato
dall'art. 117, comma quarto, Cost., in materia di disciplina dei servizi
pubblici locali, rientrante nella competenza legislativa regionale (con
conseguente violazione dell'autonomia finanziaria e tributaria delle regioni,
garantita dall'art. 119, commi primo e secondo, Cost.), nonché - si ribadisce -
oltrepasserebbe anche l'oggetto e i limiti della delega. La disciplina
tariffaria del servizio, così ridisciplinata, difatti, non trova fondamento
nell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che si occupa della «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», non già del regime
tariffario di un servizio pubblico.
Infine, il comma 5 del citato articolo, non garantirebbe l'integrale copertura
dei costi del servizio nei primi quattro anni successivi all'emanazione del
regolamento ministeriale; ciò si rifletterebbe sull'equilibrio finanziario, sul
buon andamento e sulla qualità di servizi essenziali per la collettività.
5.2. - Nel giudizio è intervenuta l'Associazione Italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo l'accoglimento delle questioni
sollevate dalla ricorrente, ma non svolgendo alcuna deduzione sulla norma qui
censurata.
5.3. - In prossimità dell'udienza, la Regione ha depositato memoria in cui,
facendo presente la complessità della natura giuridica della tariffa per i
rifiuti, tale da coinvolgere sia tematiche di carattere tributario, sia
tematiche legate alla corrispettività della prestazione per un servizio reso,
insiste nelle censure relative tanto alla violazione della delega che alla
violazione del principio di leale collaborazione.
6. - La Regione Liguria, ha impugnato, tra gli altri, gli articoli 240, 242,
243, 244, 246, 252 e 257 del D.L.vo n. 152 del 2006 per violazione degli
articoli 3, 76, 117, e 118 della Costituzione e del principio di leale
collaborazione.
Con successivo atto depositato in data 28 aprile 2009, la Regione Liguria
«considerate anche le modifiche apportate e sulla base della delibera della
Giunta regionale 16 aprile 2009, n. 860» ha espressamente dichiarato di
rinunziare al ricorso con riferimento, fra l'altro, a tutte le norme oggetto del
presente giudizio (articoli 240, 242, 243, 244, 246, 252 e 257).
7. - La Regione Marche ha impugnato, tra gli altri, gli articoli 238, 240, 241,
242 e 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per violazione degli articoli
11, 76, 117, 118 e 119.
7.1. - Per quanto riguarda l'art. 238 la ricorrente censura l'attribuzione al
Ministero dell'Ambiente di competenze attuative, anche mediante poteri
regolamentari, in una materia quale «i servizi pubblici locali» di competenza
propria delle regioni. A tale proposito la ricorrente richiama le sentenze della
Corte costituzionale n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006.
Secondo la Regione la norma impugnata, oltre a comportare una violazione
dell'art. 117, quarto comma, Cost., incidendo «su un'entrata la cui disciplina
ricade nella competenza regionale», si porrebbe in contrasto anche con l'art.
119, primo e secondo comma, Cost., che garantisce l'autonomia finanziaria e
tributaria delle Regioni.
7.2. - La Regione Marche ritiene, altresì, che il rinvio all'approvazione di un
regolamento operato dall'art. 241 per la bonifica delle aree destinate alla
produzione agricola e all'allevamento impedisce di bonificare tali aree e di
procedere al riutilizzo delle stesse con conseguente violazione degli articoli
117 e 118 della Costituzione. In proposito la ricorrente ricorda che, sebbene
una tale disposizione fosse presente anche nel «decreto Ronchi», ad oggi non si
è avuta l'emanazione di tale regolamento, con gravi pregiudizi per la tutela
dell'ambiente, della salute e del governo del territorio.
7.3. - Le censure della Regione Marche si estendono anche agli articoli 240 e
242 che introdurrebbero disposizioni in materia di bonifica dei siti inquinati
in contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti nonché con i
criteri dettati dalla legge delega.
La nuova normativa, secondo la ricorrente, comporterebbe, oltre a un minor
rigore nella tutela ambientale, anche una compressione delle attribuzioni
regionali in materia di tutela della salute e di governo del territorio.
In particolare, la Regione contesta l'art. 242 nella parte in cui stabilisce che
la procedura di analisi del rischio, cui è subordinato l'obbligo di bonifica per
il soggetto inquinatore, sia svolta secondo le procedure descritte dall'Allegato
1 alla Parte quarta del decreto e rimessa allo stesso soggetto che ha inquinato.
In base a tale Allegato 1, infatti, l'analisi del rischio sito specifica,
finalizzata alla determinazione delle concentrazioni soglia di rischio, sarebbe
ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi, derivandone per
l'inquinatore la possibilità di effettuare un'analisi del rischio più favorevole
ai propri interessi, evitando la successiva fase di bonifica.
In altri termini, l'art. 242 demanderebbe al responsabile dell'inquinamento,
previo svolgimento, nelle zone interessate dalla contaminazione, di un'indagine
preliminare «sui parametri oggetto dell'inquinamento», la valutazione del
superamento o meno delle concentrazioni soglia di contaminazione e,
conseguentemente, la valutazione se provvedere al ripristino della zona
contaminata, oppure dare immediata notizia al comune ed alle province competenti
per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in
sicurezza di emergenza adottate.
Secondo la Regione tale disciplina si porrebbe in aperto contrasto con la
normativa comunitaria a tutela dei suoli dall'inquinamento, dal momento che, a
fronte dell'inquinamento di un sito, demanderebbe alla discrezionalità
dell'inquinatore la scelta della procedura più appropriata al caso di specie.
Sarebbero così violati il principio comunitario «chi inquina paga» nonché i
principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f),
della legge delega n. 308 del 2004.
Infine risulterebbero violati anche gli articoli 117 e 118 della Costituzione,
in quanto l'amministrazione competente, in caso di disaccordo con l'analisi
prodotta dal soggetto, sarebbe posta di fronte alla scelta di procedere
d'ufficio alla bonifica del sito, con ben poche probabilità di recuperare le
spese sostenute, anche in via giudiziaria, ovvero di non procedere alla
bonifica, con gravi ripercussioni sul territorio e sulla tutela della salute dei
cittadini.
Considerazioni analoghe varrebbero, secondo la ricorrente, anche con riferimento
all'art. 240, comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede che nelle ipotesi
in cui un sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area interessata da
fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o
più concentrazioni soglia di contaminazione «queste ultime si assumono pari al
valore di fondo esistente per tutti i parametri superati». Questa specificazione
determinerebbe gravi incertezze sulle modalità di rilevamento dei valori di
fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento, con evidenti gravi
ripercussioni sulla tutela dell'ambiente e della salute e sul governo del
territorio.
7.4. - Il comma 7 dell'art. 242 è oggetto di autonoma censura da parte della
Regione Marche in quanto, nel disciplinare le procedure operative ed
amministrative per la bonifica dei siti inquinati, prevede un limite massimo, in
misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato per l'intervento,
per l'entità della garanzia che le Regioni devono chiedere con il provvedimento
di autorizzazione alla bonifica ambientale.
Secondo la ricorrente, la previsione di un tale limite costituirebbe una norma
di dettaglio incompatibile con le competenze regionali in materia di tutela
della salute, governo del territorio e servizi pubblici in violazione degli
articoli 11, 76, 117 e 118 Cost., oltre che del principio comunitario «chi
inquina paga», dal momento che consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento
di non garantire in pieno per la bonifica del sito.
In particolare, risulterebbero violati i principi e criteri direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308
del 2004, secondo i quali il nuovo testo unico doveva, da un lato dare «piena e
coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati
livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività
dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della
concorrenza»; e, dall'altro, affermare i «principi comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali» e il principio «chi inquina paga».
Il comma 7 dell'art. 242 sarebbe in contrasto anche con i principi e criteri
direttivi di cui alle lettere c) ed i) del comma 8 dell'art. 1 della legge
delega n. 308 del 2004, secondo i quali la nuova disciplina non avrebbe dovuto
comportare maggiori oneri per la finanza pubblica ed inoltre avrebbe dovuto
assicurare una più efficace tutela in materia ambientale «anche mediante il
coordinamento e l'integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio,
amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l'entità delle
sanzioni amministrative già stabilite dalla legge».
7.5. - La ricorrente ritiene, infine, che l'art. 252, che disciplina i siti di
interesse nazionale ai fini della bonifica, nei commi 3 e 4, si ponga in
contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost. in quanto non prevede l'intesa ai
fini della perimetrazione e dell'approvazione delle procedure di bonifica,
attività che comunque si ripercuotono sulle competenze costituzionali della
Regione in materia di tutela della salute e governo del territorio. In tal senso
la Regione evidenzia che la perimetrazione e l'approvazione delle procedure di
bonifica vincolano la destinazione urbanistica dei siti di interesse nazionale
senza alcun intervento delle Regioni.
La norma citata per la sua interconnessione con profili e tematiche di
competenza regionale contrasterebbe con il principio di leale collaborazione
prevedendo un intervento del Ministero dell'ambiente, senza un contestuale
coinvolgimento delle Regioni o della conferenza Stato-Regioni, in materie quali
«tutela della salute» e «governo del territorio».
La Regione richiama in proposito la sentenza della Corte costituzionale n. 62
del 2005 con la quale si è affermato che «quando gli interventi individuati come
necessari e realizzati dallo Stato, in vista di interessi unitari di tutela
ambientale, concernono l'uso del territorio e in particolare la realizzazione di
opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo
sviluppo di singole aree, l'intreccio con la competenza regionale concorrente in
materia di governo del territorio, oltre che con altre competenze regionali,
impone che siano adottate modalità di attuazione degli interventi medesimi che
coinvolgono, attraverso opportune forme di collaborazione, le regioni sul cui
territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sentenza n.
303/2003)».
7.6. - In prossimità dell'udienza la Regione Marche ha depositato memoria con la
quale ha ulteriormente ribadito le argomentazioni esposte nel ricorso insistendo
nella richiesta di declaratoria di incostituzionalità in ordine a tutte le norme
censurate.
Considerato in diritto
1. - Le Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche,
con distinti ricorsi, rispettivamente contrassegnati con i numeri 68, 69, 70,
73, 74 e 79 del registro ricorsi dell'anno 2006, hanno sollevato, in via
principale, questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni
contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), in riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117, 118 e 119 della
Costituzione, nonché in relazione al principio di leale collaborazione.
In particolare, la Regione Calabria ha impugnato, tra gli altri, gli articoli da
217 a 226, da 233 a 236, 238, da 239 a 253 e 265, nonchè l'allegato 4 alla Parte
quarta del D.L.vo n. 152 del 2006; la Regione Toscana, tra gli altri, gli
articoli 238, 240, 242 e 252; la Regione Piemonte, a sua volta, tra gli altri,
gli articoli 238, 240, 242, 246 e 252; la Regione Emilia-Romagna, tra gli altri,
l'art. 238; la Regione Liguria, tra gli altri, gli articoli 240, da 242 a 244,
246, 252 e 257; la Regione Marche, infine, gli articoli 238, 240, 241, 242 e
252.
Le questioni concernenti le norme impugnate possono essere suddivise in quattro
gruppi: il primo, relativo agli articoli da 217 a 226 - impugnato dalla sola
Regione Calabria - attiene alla normativa in materia di gestione degli
imballaggi; il secondo gruppo - anch'esso impugnato solo dalla Regione Calabria
- comprendente gli articoli da 233 a 236, ha ad oggetto la disciplina relativa
ai Consorzi nazionali per la gestione di particolari tipi di rifiuti; il terzo
gruppo riguarda il solo art. 238, che disciplina la tariffa per la gestione dei
rifiuti urbani, ed è stato censurato da tutte le Regioni ricorrenti; il quarto
gruppo - censurato da tutte le Regioni sopraindicate, ad esclusione dell'Emilia-Romagna
- infine, concerne gli articoli da 239 a 253 che trattano la materia della
bonifica dei siti contaminati. Da ultimo è impugnato dalla sola Regione Calabria
l'art. 265, comma 3, in tema di promozione della ricerca in materia di bonifica
ambientale.
Con riferimento al ricorso proposto dalla Regione Toscana, si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla
Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità e, comunque,
per l'infondatezza delle censure.
Con riferimento al medesimo ricorso, nonchè a quello proposto dalle Regioni
Piemonte ed Emilia-Romagna, è, altresì, intervenuta in giudizio la Associazione
Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, sostenendo le
richieste delle parti ricorrenti.
Infine, riguardo al solo ricorso della Regione Piemonte sono intervenute,
chiedendone il rigetto, la Società Italiana Centrali Termoelettriche SICET s.r.l.;
la Biomasse Italia s.p.a.; l'Ital Green Energy s.r.l. e l'Energia Tecnologia
Ambiente s.p.a.
2. - Stante la connessione esistente tra i predetti ricorsi, i relativi giudizi
possono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia, la quale avrà
ad oggetto esclusivamente le questioni di legittimità costituzionale delle
disposizioni legislative sopra indicate, essendo riservata ad altre decisioni la
valutazione delle restanti questioni sollevate coi medesimi ricorsi dalle
sopraindicate Regioni.
2.1. - Deve, preliminarmente, darsi atto che questa Corte con la sentenza n. 225
del 2009 ha ritenuto in parte inammissibili ed in parte non fondate le questioni
di legittimità costituzionale sollevate dalle ricordate Regioni con i ricorsi
ora in esame nei riguardi dell'intero testo del d.lgs n. 152 del 2006.
Deve, inoltre, in questa sede ribadirsi l'inammissibilità degli interventi
spiegati, già dichiarata da questa Corte con la citata sentenza n. 225 del 2009,
poiché, come da sua costante giurisprudenza, nei giudizi di legittimità
costituzionale in via principale, non è ammissibile l'intervento di soggetti non
titolari di potestà legislativa, «fermi restando per i soggetti privi di tale
potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali,
di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a
questa Corte in via incidentale» (da ultimo sentenza n. 405 del 2008).
2.2. - Sempre preliminarmente, deve, altresì, darsi atto che la Regione Liguria,
con atto depositato in data 28 aprile 2009, ha dichiarato, giusta deliberazione
della Giunta regionale del 16 aprile 2009, n. 860, di rinunziare espressamente
al ricorso relativamente alle disposizioni legislative oggetto del presente
giudizio.
La mancata costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri rende non
necessaria l'accettazione della rinuncia, sicché, limitatamente a quanto dedotto
dalla Regione Liguria, può immediatamente dichiararsi la estinzione del
processo.
2.3. - Infine, riguardo ai profili di carattere preliminare, deve darsi atto
che, salvo quanto successivamente si preciserà relativamente alla impugnazione
dell'art. 235 del D.L.vo n. 152 del 2006, le modifiche normative apportate,
successivamente alla proposizione dei singoli ricorsi, al testo delle
disposizioni impugnate a seguito della entrata in vigore dei relativi decreti
legislativi correttivi, non hanno comportato alcun effetto sui presenti giudizi,
stante la loro assoluta marginalità ed avendo le Regioni, ad esclusione della
Liguria, dichiarato di insistere nelle rispettive conclusioni.
3. - Passando ad esaminare le censure formulate riguardo al primo gruppo di
norme, avente ad oggetto la disciplina della gestione degli imballaggi e dei
rifiuti di imballaggio, questa Corte osserva che la Regione Calabria ha
impugnato unitariamente le disposizioni normative contenute negli articoli che
vanno dal 217 al 226, e, in via subordinata rispetto alla precedente doglianza,
per motivi diversi e singulatim, talune delle disposizioni normative comprese
fra quelle testé citate.
3.1. - In particolare, la Regione Calabria ha censurato nella loro totalità gli
articoli da 217 a 226 del D.L.vo n. 152 del 2006, poiché essi - in ispecie là
dove disciplinano complessivamente il tema degli imballaggi, dettando le regole
applicabili ai consorzi per la gestione di questi e dei loro rifiuti -
collocandosi nel punto di intersezione fra varie competenze, parte attribuite
alle Regioni e parte attribuite allo Stato, si porrebbero in contrasto col
principio di leale collaborazione, essendo stati adottati tramite un
procedimento non rispettoso di tale principio.
La censura non è fondata.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, già ha più volte chiarito che le
tematiche afferenti al rispetto delle procedure di leale collaborazione esulano
dalla materia relativa al procedimento di produzione normativa di rango primario
(fra le ultime, sentenze n. 371 e n. 222 del 2008 e n. 401 del 2007).
3.2. - Quanto alle censure riferite a norme specifiche, la Regione Calabria ha
impugnato l'art. 221, commi da 4 a 9, del D.L.vo n. 152 del 2006, perché, là
dove si ritenesse che, nel disciplinare gli obblighi dei produttori e degli
utilizzatori degli imballaggi, la disposizione ivi contenuta sia afferente alla
materia della tutela dell'ambiente, essa, stante la naturale trasversalità di
tale materia, violerebbe le competenze delle Regioni volte alla valorizzazione
delle peculiarità del loro territorio e delle loro esigenze produttive.
La censura, data la sua genericità, è inammissibile.
La Regione ricorrente, onde consentire uno scrutinio nel merito della sua
censura, avrebbe dovuto, quantomeno, specificare quale era, a suo avviso, il
parametro costituzionale che assumeva essere stato violato e in che cosa tale
violazione si fosse realizzata, non risultando evidentemente idoneo a tal fine
l'indeterminato richiamo a competenze regionali aventi ad oggetto la
valorizzazione delle singole peculiarità territoriali e produttive.
3.3. - Parimenti inammissibili sono le censure mosse dalla Regione all'art. 222
del D.L.vo n. 152 del 2006, il quale prevede quali siano gli obblighi delle
pubbliche amministrazioni in tema di raccolta differenziata dei rifiuti di
imballaggio. Secondo la Regione la norma, in quanto applicabile a tutte le
pubbliche amministrazioni, senza differenziare fra quelle statali e quelle
sub-statali, sarebbe in contrasto con l'art. 117, quarto comma, Cost., poiché
inciderebbe sulla materia, di competenza regionale residuale, della
organizzazione amministrativa delle Regioni e dei relativi enti pubblici. In via
subordinata, sempre secondo la Regione, la disposizione sarebbe viziata in
quanto, al comma 2, detta una disciplina di carattere minuzioso, tale da non
potersi ricondurre alla fissazione di un livello, così violando la competenza
regionale.
Anche in questo caso la genericità delle due censure - dato che non è stata
indicata la materia cui specificamente assegnare la disciplina impugnata né è
stato chiarito in che modo sarebbe violata la competenza regionale - impedisce
che possa avere ingresso lo scrutinio di merito dovendo essere esclusa la loro
ammissibilità.
3.4. - Analoga conclusione vale per ciò che concerne il successivo art. 223 del
D.L.vo n. 152; infatti, anche in questo caso, la censura formulata dalla Regione
Calabria - secondo la quale la disposizione, che disciplina i consorzi nazionali
per il recupero e il riciclo degli imballaggi cui partecipano anche i produttori
degli imballaggi stessi, sarebbe caratterizzata dall'essere eccessivamente
minuziosa e tale da non essere riconducibile all'ipotesi della fissazione di un
livello uniforme - è eccessivamente generica, non essendo né indicata la materia
alla quale attribuire la normativa impugnata né chiarito in che cosa
consisterebbe la dedotta violazione della competenza regionale.
3.5. - La Regione Calabria formula, peraltro, a carico dello stesso art. 223 del
D.L.vo n. 152 del 2006, altre due censure di illegittimità costituzionale.
In base alla prima, esso, in quanto prevede che i consorzi per il recupero ed il
riciclo degli imballaggi siano strutturati su base nazionale, sarebbe in
contrasto col principio di sussidiarietà di cui all'art. 118, primo comma, Cost.,
poiché, data la struttura nazionale dei detti consorzi e il fatto che il loro
statuto debba essere approvato dal Ministro dell'ambiente sulla base di uno
schema predisposto di concerto con quello delle attività produttive,
rimarrebbero prive di considerazione e del tutto ignorate le «istanze
regionali». In base alla seconda censura, la previsione della struttura
nazionale dei ricordati consorzi violerebbe l'art. 76 Cost., dato il mancato
rispetto di quanto previsto in sede di conferimento di delega legislativa,
poichè l'art. 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il
riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia
ambientale e misure di diretta applicazione), impone al legislatore delegato di
conformarsi al contenuto del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). Quest'ultimo, a sua
volta, prevede il rispetto di quanto contenuto nel decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della
direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli
imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), che, nel disciplinare i consorzi in
materia di imballaggi, non ne imporrebbe la dimensione nazionale.
Tali censure non sono fondate.
Quanto alla prima, deve osservarsi che è ragionevole e non in contrasto con
l'art. 118, primo comma, Cost. - il quale prevede, tra l'altro, che, al fine di
assicurarne l'esercizio unitario, le funzioni amministrative possano essere
conferite allo Stato - che quest'ultimo, in una materia che è specificamente
assegnata alla sua competenza legislativa esclusiva in tema di «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», abbia riservato ad organi centrali sia la
predisposizione di uno schema di statuto tipo sia il controllo sul rispetto di
tale schema, ed abbia, altresì, previsto, onde evitare una parcellizzazione di
competenze sul territorio, che ritiene inutile e potenzialmente
controproducente, che i ricordati consorzi operino su tutto il territorio
nazionale.
Nel caso in esame, quindi, la scelta di attribuire a consorzi nazionali «le
funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell'esigenza
di assicurare che l'esercizio dei compiti […] risponda a criteri di uniformità e
unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a
zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi
ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono
difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale»
(sentenza n. 235 del 2009).
Quanto alla seconda censura, a prescindere da quanto ritenuto da questa Corte
con la citata sentenza n. 225 del 2009, in ordine alla stessa applicabilità dei
contenuti di tale decreto legislativo come criteri direttivi della delega
prevista dalla legge n. 308 del 2004, si osserva che l'art. 40 del D.L.vo n. 22
del 1997 - disposizione il cui contenuto, secondo la Regione Calabria, sarebbe
stato disatteso dal legislatore delegato del 2006, con conseguente «compressione
dei poteri regionali» - nel prevedere la costituzione di «un Consorzio per
ciascuna tipologia di materiale di imballaggio», evidentemente ne postulava,
stante la unicità per tipo e non la pluralità, la struttura unitaria a livello
nazionale, non diversamente da quanto ora, con maggiore chiarezza, prevede
l'impugnato art. 223 del D.L.vo n. 152 del 2006. Nessuna privazione di
attribuzioni regionali precedentemente conferite si è, pertanto, realizzata con
la disposizione normativa ora in questione che, di conseguenza, non può, per
tale motivo, essere ritenuta adottata in violazione della delega legislativa.
3.6. - Non fondate sono anche le due censure mosse dalla Regione Calabria
all'art. 224 del D.L.vo n. 152 del 2006, il quale reca la disciplina del
Consorzio nazionale imballaggi.
Secondo la ricorrente Regione, infatti, la concentrazione in tale Consorzio di
tutte le funzioni elencate nelle lettere da a) ad m) del comma 3 del predetto
art. 224 si porrebbe in contrasto con il principio di sussidiarietà, dovendosi
riconoscere che, essendo il livello di governo regionale quello «maggiormente
rispondente» al proficuo esercizio della attività di gestione delle ricordate
funzioni, il Consorzio nazionale dovrebbe essere affiancato da Consorzi
regionali. In via subordinata, la disposizione sarebbe, comunque, illegittima
nella parte in cui, nuovamente in violazione del principio di sussidiarietà, non
consente alle Regioni di creare propri Consorzi, i quali esercitino le funzioni
che possono essere svolte a livello regionale.
Anche in questo caso deve osservarsi che la disciplina ora in esame, per la
quale nell'ambito legislativo deve riconoscersi la competenza esclusiva statale
in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», consente di rinvenire,
per le ragioni già precedentemente esposte, quelle esigenze che, in puntuale
attuazione delle regole della sussidiarietà, giustificano il conferimento anche
delle funzioni amministrative al livello statale, per assicurarne l'esercizio
coordinato e unitario.
4. - Per ciò che concerne il secondo gruppo di norme, deve evidenziarsi che le
censure riguardanti gli articoli 233, 234 e 236 del D.L.vo n. 152 del 2006 -
aventi ad oggetto la costituzione, già parzialmente disciplinata dallo stesso
D.L.vo n. 22 del 1997 agli articoli 47 e 48, di Consorzi nazionali per la
raccolta ed il trattamento di alcune categorie particolari di rifiuti - stante
la loro sostanziale omogeneità, possono essere congiuntamente trattate.
4.1. - La Regione Calabria si duole, non diversamente da quanto aveva fatto con
riferimento all'art. 224, del fatto che il legislatore delegato, nel
disciplinare le funzioni attribuite dalle sopraindicate norme, rispettivamente,
ai Consorzi nazionali di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali
ed animali esausti, ai Consorzi nazionali per il riciclaggio di rifiuti di beni
in polietilene e ai Consorzi nazionali per la gestione, raccolta e trattamento
degli oli minerali usati, abbia concentrato in essi l'integralità delle funzioni
amministrative. Anche in questo caso, infatti, la Regione lamenta il fatto che
la struttura nazionale dei richiamati Consorzi (struttura nazionale, che, come
vedremo, è, peraltro, stata accentuata dal legislatore con l'adozione del
decreto legislativo “correttivo” 16 gennaio 2008, n. 4, recante «Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, recante norme in materia ambientale»), è tale da compromettere il principio
di sussidiarietà, essendo il livello di governo regionale quello più rispondente
al miglior esercizio delle attività disciplinate dalle norme sopraindicate;
violazione neppure emendata attraverso la previsione della possibilità della
costituzione di Consorzi regionali che possano esercitare almeno talune delle
funzioni di cui alle disposizioni impugnate a livello regionale.
Analogamente a quanto osservato in merito alla previsione normativa avente ad
oggetto il Consorzio nazionale imballaggi, questa Corte rileva che la disciplina
in esame, per la quale nell'ambito legislativo deve riconoscersi la competenza
esclusiva statale, consente di rinvenire ancora una volta quelle esigenze che,
in puntuale attuazione delle regole della sussidiarietà, giustificano il
conferimento anche delle funzioni amministrative al livello statale, per
assicurarne l'esercizio coordinato e unitario.
A tale proposito è il caso di osservare che, mentre il legislatore del D.L.vo n.
152 del 2006, pur affermando la necessaria dimensione nazionale dei Consorzi in
discorso, aveva previsto che gli operatori della rispettiva filiera produttiva
potessero costituire «uno o più consorzi» per ciascuna delle diverse tipologie
di rifiuti indicati dalle predette disposizioni legislative, in sede di adozione
del decreto legislativo “correttivo” n. 4 del 2008 - proprio al fine di meglio
tutelare le esigenze di coordinamento che stanno alla base della scelta della
dimensione nazionale dei detti Consorzi - ha espunto la facoltà di costituzione
di una pluralità di Consorzi, prevedendo, invece, che, per ciascuna delle
categorie di rifiuti, così come accorpate dagli articoli 233, 234 e 236 del
D.L.vo n. 152 del 2006, sia costituito un solo Consorzio nazionale.
4.2. - Discorso diverso, invece, va fatto per ciò che concerne la impugnazione
dell'art. 235 del D.L.vo n. 152 del 2006: tale norma che, con contenuti
sostanzialmente identici a quelli degli articoli 233, 234 e 236, dettava la
disciplina dei Consorzi nazionali per la raccolta ed il trattamento delle
batterie al piombo e dei rifiuti piombosi, è stata espressamente abrogata
dall'art. 29, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 20 novembre 2008, n.
188 (Attuazione della direttiva 2006/66/CE concernente pile, accumulatori e
relativi rifiuti e che abroga la direttiva 91/157/CEE). Di ciò dà formalmente
atto la ricorrente Regione Calabria, la quale, ponendo in luce i diversi effetti
di questa sopravvenienza normativa rispetto a quelli che, in maniera decisamente
più marginale, hanno interessato gli articoli 233, 234 e 236, ha chiaramente
manifestato, così come peraltro testualmente esplicitato in sede di discussione
orale del ricorso, di non avere più interesse all'impugnazione delle norme.
Limitatamente, perciò, alla questione di legittimità costituzionale relativa
all'art. 235 del D.L.vo n. 152 del 2006, poiché tale norma è stata espressamente
abrogata successivamente alla proposizione del ricorso della Regione Calabria e
poiché non risulta che la stessa abbia avuto applicazione, deve essere
dichiarata cessata la materia del contendere.
5. - Il terzo gruppo di questioni è sollevato, come detto, da tutte le
ricorrenti, le quali hanno impugnato l'art. 238 del D.L.vo n. 152 del 2006 che
disciplina la tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani.
5.1. - La Regione Calabria lamenta, in particolare, che il comma 6 del citato
art. 238, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell'ambiente il compito di
predisporre, con apposito regolamento, «i criteri generali sulla base dei quali
vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa» per la
gestione dei rifiuti urbani, violerebbe l'art. 117, sesto comma, Cost. e il
principio di leale collaborazione in quanto, pur in presenza di molteplici
titoli competenziali concernenti la gestione dei rifiuti, assegna allo Stato una
potestà regolamentare in una materia non di sua esclusiva competenza e prevede
che il citato regolamento del Ministro dell'ambiente sia emanato, di concerto
con quello delle attività produttive, «sentita» la Conferenza Stato-Regioni e
non «d'intesa» con quest'ultima.
5.2. - La Regione Toscana, a sua volta, impugna i commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10
dell'art. 238 del D.L.vo n. 152 del 2006, i quali, rispettivamente, nello
stabilire (comma 3) le modalità e i criteri della determinazione della tariffa
per la gestione dei rifiuti urbani, nel disciplinare le competenze attuative, e
nel riconoscere poteri normativi al Ministro dell'ambiente e del territorio e al
Ministro delle attività produttive (commi dal 6 al 10) violerebbero gli articoli
117, 118 e 119 Cost. In particolare, attraverso i vari poteri loro riconosciuti
dalle citate disposizioni, i richiamati Ministri si andrebbero «illegittimamente
a ingerire nella competenza legislativa propria delle Regioni in materia di
servizi pubblici locali, […] nonché nell'autonomia finanziaria regionale, perché
incidenti su un'entrata la cui disciplina ricad[rebb]e nella competenza
regionale» e, per altro verso, mancherebbe la previsione dell'intesa con la
Regione, che sarebbe necessaria ogni qualvolta il legislatore nazionale
interviene in una materia in cui gli interessi della tutela ambientale si
sovrappongono a quelli della tutela del territorio e della tutela della salute.
5.3. - L'art. 238 è impugnato anche dalla Regione Piemonte, che lamenta la
violazione dell'art. 76 Cost. in quanto la norma sarebbe in contrasto con il
principio e il criterio direttivo fissato dall'art. 1, comma 9, lettera a),
della legge delega n. 308 del 2004, secondo il quale si deve «assicurare una
maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani anche
mediante una più razionale definizione dell'istituto».
Secondo la Regione Piemonte il legislatore, in violazione della legge delega,
non si sarebbe limitato a modificare la preesistente disciplina della tariffa,
ma avrebbe abrogato l'intero disposto dell'art. 49 del D.L.vo n. 22 del 1997
che, precedentemente, la disciplinava, introducendo «rilevanti elementi
innovativi circa i presupposti per l'applicazione».
Inoltre, risulterebbe violato anche il principio comunitario «chi inquina paga»,
contenuto nel trattato istitutivo della Comunità europea e nella direttiva
75/442/CEE, perché alcuni indici, quali l'attribuzione della giurisdizione al
giudice tributario (art. 3-bis della legge n. 248 del 2005), l'introduzione di
indicatori sganciati dalla mera produzione dei rifiuti e l'inserimento di un
richiamo ad indici reddituali, evidenzierebbero la natura tributaria della
tariffa, con una sensibile divaricazione tra il quantum pagato e il grado di
fruizione del servizio pubblico, con l'ulteriore conseguenza di accentuare la
difficoltà degli enti regionali e locali nella programmazione e gestione dei
servizi in relazione al finanziamento degli stessi.
5.4. - Analoghe censure vengono svolte dalla Regione Emilia Romagna secondo la
quale l'art. 238 violerebbe l'art. 76 Cost., in quanto - abrogando la precedente
disciplina contenuta nel cosiddetto «decreto Ronchi» e stabilendo che la «tassa»
sui rifiuti sia ora «commisurata su indici quali l'estensione dei locali
detenuti e indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali»
(comma 2), anziché sul parametro della effettiva produzione dei rifiuti, secondo
il principio comunitario «chi inquina paga» - eccederebbe i limiti della delega
(ex art. 1, comma 9, lettera a, della legge delega n. 308 del 2004).
A parere della Regione Emilia-Romagna, la norma in esame violerebbe anche gli
articoli 117, quarto e sesto comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., nella
parte in cui stabilisce che «i criteri generali sulla base dei quali vengono
definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa» (comma 5) siano
determinati da un regolamento ministeriale da emanarsi «sentita» la Conferenza
Stato-Regioni (comma 6).
5.5. - L'art. 238, infine, è censurato anche dalla Regione Marche perché, nel
disciplinare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani e le competenze
attuative mediante poteri regolamentari attribuiti al Ministro dell'ambiente,
violerebbe l'art. 117, quarto comma, Cost., che riserva alle Regioni la
disciplina dei servizi pubblici locali, e l'art. 119, primo e secondo comma,
Cost., che garantisce l'autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni
incidendo «su un'entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale».
6. - La questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna relativamente ai commi
5 e 6 dell'art. 238 del D.L.vo 152 del 2006 è inammissibile.
Nella delibera della Giunta, infatti, viene censurato l'art. 238 limitatamente
ai commi 1 e 2.
Per giurisprudenza costante di questa Corte, la mancata corrispondenza tra le
norme impugnate con il ricorso e quelle oggetto della delibera di autorizzazione
all'impugnazione ne determina l'inammissibilità (sentenza n. 387 del 2008;
sentenze nn. 64 e 275 del 2007).
7. - Le restanti censure - sollevate dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte,
Emilia-Romagna e Marche - relative all'art. 238 del D.L.vo n. 152 del 2006 che
disciplina, come si è detto, la nuova tariffa per la gestione dei rifiuti solidi
urbani, in sostituzione della tariffa di igiene ambientale di cui all'art. 49
del D.L.vo n. 22 del 1997, non sono fondate.
7.1. - La prima delle censure innanzi riportate, relativa alla asserita
violazione dell'art. 76 Cost., per avere il Governo adottato in sede di
decretazione legislativa delegata una disciplina innovativa e non meramente
ricognitiva, come avrebbe imposto la legge delega, non è fondata.
Con altra pronuncia di questa Corte (n. 225 del 2009) si è già precisato che il
comma 1 dell'art. 1 della legge n. 308 del 2004 attribuiva al legislatore
delegato, tramite gli emanandi decreti legislativi, non solo il compito di
procedere al «coordinamento» delle previgenti disposizioni, ma anche quello di
provvedere al «riordino» e all'«integrazione» della normativa relativa ai
settori elencati nello stesso comma 1. L'uso dei termini «riordino» e
«integrazione» è sufficiente a consentire l'attuazione di interventi innovativi
e non di sola ricognizione (vedi sentenza n. 225 del 2009).
La volontà del legislatore delegante di innovare la disciplina preesistente è,
peraltro, confermata anche dalla lettura dei princìpi e criteri direttivi
indicati nei successivi commi 8 e 9 dello stesso art. 1 della legge n. 308 del
2004, molti dei quali, implicitamente o esplicitamente, presuppongono o
impongono la modifica sostanziale della normativa ambientale all'epoca vigente.
Con riferimento alla disciplina della tariffa per la gestione dei rifiuti
urbani, deve aggiungersi che essa, oltretutto, costituisce attuazione diretta
dell'art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004 che
prevede, tra i princìpi e criteri specifici della delega stessa, quello di
«assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti
urbani, anche mediante una più razionale definizione dell'istituto». Essa è
anche in linea con gli altri principi e criteri specifici quali «assicurare
un'efficace azione per l'ottimizzazione quantitativa e qualitativa della
produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la
pericolosità; […] razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei
rifiuti solidi urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di
adeguate dimensioni all'interno dei quali siano garantiti la costituzione del
soggetto amministrativo competente, il graduale passaggio allo smaltimento
secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite procedure
di evidenza pubblica».
7.2. - La questione relativa alla rivendicazione della competenza legislativa
delle Regioni a regolamentare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani non
è fondata.
Deve, innanzitutto, tenersi presente che l'art. 238 del Codice dell'ambiente
detta una disciplina che, pur mantenendo in parte il contenuto della normativa
relativa alla tariffa di cui all'art. 49 del “decreto Ronchi”, presenta
caratteristiche parzialmente diverse.
A fronte dell'affermazione esplicita del legislatore delegato che, all'art. 238,
ha testualmente previsto che la «tariffa costituisce il corrispettivo per lo
svolgimento del servizio prestato», la natura della tariffa in esame non è
ancora definita, riflettendosi necessariamente sulla stessa il dibattito che si
è svolto sulla tariffa di igiene ambientale di cui all'art. 49 del D.L.vo n. 22
del 1997. La precedente giurisprudenza di legittimità riteneva, infatti,
prevalente la natura impositiva della tariffa di igiene ambientale, negando che
essa potesse costituire il corrispettivo di una prestazione liberamente
richiesta, e affermando, invece, che essa costituiva una forma di finanziamento
del servizio pubblico attraverso l'imposizione dei relativi costi sull'area
sociale che da tali costi ricavava, nel suo insieme, un beneficio (Cass. civ.,
sez. V, sent. n. 17526 del 2007; Cass. civ., sez. I, sent. n. 5297 del 2009).
È opportuno, al riguardo, evidenziare che solo con la recente sentenza n. 238
del 2009 si è posto fine alla incertezza interpretativa sulla natura della
“tariffa” di cui all'art. 49 del “decreto Ronchi”, chiarendone, alla luce delle
risultanze cui la Corte di legittimità era pervenuta, il carattere tributario,
ma non si è affrontata, in quanto estranea all'oggetto di tale giudizio, la
questione della natura della diversa “tariffa” prevista dall'art. 238 del Codice
dell'ambiente.
In questa sede, deve sottolinearsi che, a prescindere dalla qualificazione da
riconoscersi alla nuova tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, la relativa
disciplina è comunque ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato.
Infatti, tanto se la si qualifichi come corrispettivo per il servizio reso,
quanto se la si ritenga un'imposizione di tipo tributario, non è possibile
ricondurla ad alcun titolo competenziale regionale.
Invero, qualora si volesse attribuire alla tariffa natura di corrispettivo del
servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani, l'art. 238 sarebbe inquadrabile
nelle materie ordinamento civile, tutela della concorrenza e tutela
dell'ambiente, tutte rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
A tale proposito, questa Corte ha già affermato che la determinazione delle
tariffe dei servizi pubblici affidati in concessione, «allorchè si renda
necessario intervenire sui meccanismi contrattuali tra concessionario, da un
lato, e imprese e utenti, dall'altro, ponendo limiti all'autonomia
contrattuale», rientra nella materia dell'ordinamento civile (sentenza n. 51 del
2008). A ciò si aggiunga che la disciplina della tariffa presenta anche, come si
è avuto modo di sottolineare nella citata sentenza, aspetti relativi alla tutela
della concorrenza, perché alla sua determinazione provvede l'Autorità d'ambito,
con la finalità di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione
del servizio e di assicurare all'utenza efficienza ed affidabilità. Tale
affermazione è ulteriormente confermata dall'art. 1, comma 9, lettera a), della
legge n. 308 del 2004 che, come già dianzi osservato, pone tra i principi e
criteri specifici della delega quelli di attuare «il graduale passaggio allo
smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite
procedure di evidenza pubblica; […nonché quelli di…] assicurare tempi certi per
il ricorso a procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie
e nazionali e definire termini certi per la durata dei contratti di affidamento
delle attività di gestione dei rifiuti urbani».
Qualora, invece, si volesse qualificare la tariffa in esame come tributo, anche
in questo caso si dovrebbe riconoscere la competenza esclusiva dello Stato, e,
conseguentemente, l'impossibilità delle regioni di interferire con la legge
statale che tale tariffa ha istituito.
Il sistema finanziario e tributario degli enti locali è oggetto delle
disposizioni dell'art. 119 della Costituzione, come novellato dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione). Peraltro, questa Corte ha già affermato che, fino
all'attuazione da parte del legislatore statale del nuovo disegno
costituzionale, si deve ritenere preclusa alle Regioni «la potestà di legiferare
sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali e per converso si
deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare
norme modificative anche nel dettaglio della disciplina dei tributi locali
esistenti» (sentenza n. 37 del 2004).
È opportuno precisare che le sopraindicate conclusioni non vengono ad essere
modificate dalla recente approvazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega
al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell'articolo 119
della Costituzione), posto che la citata normativa fissa principi e criteri
direttivi che per mutare l'attuale impalcatura del sistema tributario hanno
necessità di essere attuati attraverso un articolato percorso normativo che
nella legge delega trova il suo fondamento.
Va osservato, infine, che la disciplina in esame rientra anche nella materia
tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in
quanto la determinazione della tariffa si inserisce in un complesso assetto
normativo diretto, come si evince dalla stessa legge delega, ad «assicurare
un'efficace azione per l'ottimizzazione quantitativa e qualitativa della
produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la
pericolosità», ed a «promuovere il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche
utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli
stessi», «promuovere la specializzazione tecnologica delle operazioni di
recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali, al fine di assicurare la
complessiva autosufficienza a livello nazionale»; «assicurare tempi certi per il
ricorso a procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e
nazionali e definire termini certi per la durata dei contratti di affidamento
delle attività di gestione dei rifiuti urbani» (art. 1, comma 9, lettera a,
della legge delega n. 308 del 2004).
7.3. - Le questioni relative alla violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost.,
sollevate perché l'art. 238, pur in presenza dei molteplici titoli competenziali
concernenti la gestione dei rifiuti, assegna alla Stato una potestà
regolamentare, nonché per la violazione del principio di leale collaborazione,
in quanto per l'emanazione del regolamento non è prevista l'intesa con la
Conferenza Stato-Regioni, non sono fondate.
Stante l'individuazione delle sopraindicate materie di competenza esclusiva
statale tanto se si attribuisca alla tariffa la natura di corrispettivo quanto
se le si riconosca la natura di tributo, spetta comunque allo Stato anche il
potere regolamentare. Pertanto la forma di collaborazione individuata dal comma
6 dell'art. 238, che prevede che sia sentita la Conferenza Stato-Regioni, deve
ritenersi sufficiente. Tra l'altro, il regolamento fissa solo i criteri generali
sulla base dei quali devono essere definite le componenti dei costi e deve
essere determinata la tariffa, mentre la sua determinazione finale spetta alle
autorità d'ambito di cui all'art. 201 del D.L.vo n. 152 del 2006, che dovranno
tener conto anche, ai sensi del comma 2, dei parametri relativi agli «indici
reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali».
7.4. - Infine, in riferimento alla violazione del principio comunitario «chi
inquina paga», deve escludersi che da tale principio possa desumersi il divieto
per gli Stati membri di istituire un tributo per la gestione dei rifiuti urbani
o la preclusione di predisporre dei criteri di determinazione della tariffa che
tengano conto anche dei parametri relativi all'estensione dei locali detenuti o
agli indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali.
8. - Il quarto gruppo di norme censurate riguarda il titolo V della Parte quarta
del D.L.vo n. 152 del 2006 che disciplina la bonifica dei siti contaminati.
8.1. - In particolare, la Regione Calabria reitera la propria lamentela circa il
carattere innovativo degli articoli da 239 a 253 del D.L.vo n. 152 del 2006 in
violazione dell'art. 76 Cost., in quanto la delega legislativa era finalizzata
solo al «riordino, coordinamento ed integrazione delle disposizioni legislative»
in vigore. Inoltre, a parere della Regione Calabria, il Governo avrebbe
esorbitato dai limiti della delega, ponendo in essere norme che, «qualora
previste ab origine come innovative, avrebbero richiesto un'assai più rilevante
partecipazione delle Regioni nella loro fase formativa».
In via subordinata, la Regione Calabria lamenta che «molte disposizioni
contenute negli articoli da 239 a 253» del D.L.vo n. 152 del 2006
contrasterebbero con l'art. 117 Cost. in quanto nella diversità dei titoli
competenziali interessati sarebbe prevalente la materia del “governo del
territorio”.
La Regione Calabria ha, altresì, impugnato l'art. 241 del D.L.vo n. 152 del 2006
il quale prevede che il regolamento relativo agli interventi di bonifica,
ripristino e messa in sicurezza, nonché a quelli di emergenza delle aree
contaminate destinate alla produzione agricola e all'allevamento, sia adottato
con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con quelli delle attività
produttive e delle politiche agricole e forestali. La ricorrente si duole del
fatto che viene attribuito ad organi centrali un potere regolamentare in un
ambito nel quale, oltre al concorso di diverse competenze trasversali e
concorrenti, è riscontrabile la presenza della materia dell'«agricoltura» di
competenza residuale regionale. Viene, quindi, lamentata sia la violazione
dell'art. 117, sesto comma, Cost., proprio a causa della allocazione in sede
ministeriale del potere regolamentare, sia del principio di leale
collaborazione, il quale sarebbe leso dal fatto che, in una materia in cui è
coinvolta la loro competenza residuale, non è prevista neppure la partecipazione
delle Regioni nel procedimento di formazione del citato regolamento.
La Regione impugna anche: l'art. 242 del D.L.vo n. 152 del 2006, nella parte in
cui regola con norme di dettaglio le procedure operative e amministrative per
l'esecuzione delle opere di bonifica; l'art. 244 del D.L.vo n. 152 del 2006,
nella parte in cui specifica i comportamenti che le amministrazioni debbono
assumere in caso di superamento dei valori di concentrazione soglia; l'art. 245
del D.L.vo n. 152 del 2006, nella parte in cui si occupa delle modalità degli
interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale; l'art. 248
del D.L.vo n. 152 del 2006, nella parte in cui specifica le forme di controllo
sulle opere eseguite; l'art. 249 e l'allegato 4 alla Parte quarta del D.L.vo n.
152 del 2006, nella parte in cui disciplinano le modalità semplificate di
intervento nelle aree di ridotte dimensioni; l'art. 250 del D.L.vo n. 152 del
2006, nella parte in cui si occupa delle condizioni per l'intervento sostitutivo
della pubblica amministrazione.
Le citate disposizioni, a parere della Regione, violerebbero l'art. 117 Cost. in
quanto, nella diversità dei titoli competenziali interessati, sarebbe prevalente
la materia “governo del territorio” dal momento che il ripristino delle
condizioni di salubrità dei siti si configura come attività qualificante del
governo del suolo, del sottosuolo e delle acque.
In via ulteriormente subordinata, gli articoli 242, 244, 245, 248, e 249 del
D.L.vo n. 152 del 2006, dato il loro carattere di norme di dettaglio, sarebbero
in contrasto con l'art. 117 Cost., sussistendo una concorrenza di materie in
senso stretto e non essendo possibile individuare una materia prevalente di
competenza esclusiva dello Stato.
Infine, la Regione Calabria censura anche l'art. 252, commi 3 e 4, del D.L.vo n.
152 del 2006 nella parte in cui prevede, al comma 3, che la perimetrazione dei
siti di interesse nazionale soggetti a bonifica avvenga “sentiti” gli enti
territoriali e, al comma 4, nella parte in cui non prevede l'intesa sebbene essa
fosse prevista dal comma 14 dell'art. 17 del D.L.vo n. 22 del 1997, al cui
rispetto era vincolato il legislatore delegato ai sensi dell'art. 1, comma 8,
della legge di delega n. 308 del 2004, il quale rinvia all'art. 85 del D.L.vo n.
112 del 1998.
8.2. - La Regione Toscana impugna l'art. 242, commi 2, 3, 4 e 5, del citato
D.L.vo n. 152 del 2006, in combinato disposto con l'art. 240, comma 1, lettera
b), in riferimento agli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.
Secondo quest'ultima ricorrente, le norme citate, che disciplinano le procedure
amministrative ed operative per la bonifica dei siti inquinati, demanderebbero,
in caso di contaminazione di un sito, alla discrezionalità dell'inquinatore
l'obbligo di bonifica, rimettendo alla sua volontà la scelta della procedura più
adatta al caso di specie, in violazione dei principi e criteri direttivi fissati
dall'art. 1, comma 8, lettere b), e), f), ed h), della legge delega n. 308 del
2004, nonché del principio comunitario «chi inquina paga».
La Regione Toscana, ritiene, anche, che l'art. 242, comma 7, del D.L.vo n. 152
del 2006, limitando il quantum delle garanzie finanziarie che devono essere
prestate in favore della Regione per la corretta esecuzione ed il completamento
degli interventi medesimi «in misura non superiore al cinquanta per cento del
costo stimato dell'intervento», sarebbe incompatibile con le competenze
regionali nelle seguenti materie: tutela della salute, governo del territorio, e
servizi pubblici; sarebbe, altresì, in contrasto sia con i principi comunitari
di tutela ambientale - in particolare con il principio «chi inquina paga» - sia
con i già richiamati principi e criteri direttivi di cui alle lettere e) ed f),
dell'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004, oltre che con i
principi e criteri direttivi di cui alle lettere c), f) ed i) del citato comma
8. Tutto ciò in violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.
Infine, è impugnato l'art. 252, commi 3 e 4, del citato D.L.vo n. 152 del 2006,
il quale disciplina i cosiddetti «siti di interesse nazionale» ai fini della
bonifica, in quanto esso non prevede un'adeguata partecipazione regionale nella
fase della perimetrazione e dell'approvazione dei progetti per la bonifica di
tali siti.
8.3. - La Regione Piemonte impugna, in relazione all'art. 76 Cost., gli articoli
240, 242, 246 e 252 del D.L.vo n. 152 del 2006 perché, essendo innovativi, si
porrebbero in contrasto con i principi e i criteri direttivi fissati dalla legge
delega n. 308 del 2004.
La Regione sopraindicata ritiene che l'art. 240 del citato decreto, nella parte
in cui introduce una definizione della «messa in sicurezza operativa che anziché
consentire un'appropriata organizzazione […delle operazioni da effettuare…]
finisce per procrastinare a tempo indeterminato gli interventi fino a quando
l'attività verrà dismessa», sia del tutto irragionevole e che l'art. 242, nel
modificare «integralmente tutto il precedente impianto di competenze eliminando
l'incardinamento degli interventi in primo luogo nei comuni territorialmente
interessati», oltre ad essere anch'esso del tutto irragionevole, violi il
principio di sussidiarietà di cui all'art. 118 Cost.
Inoltre, a parere della ricorrente e con riferimento all'art. 246, sarebbe del
tutto incongruo prevedere il ricorso obbligatorio ad accordi di programma che i
soggetti tenuti ad eseguire gli interventi di bonifica hanno «diritto di
stipulare» con l'amministrazione competente.
La Regione Piemonte censura, infine, l'art. 252 del D.L.vo n. 152 del 2006 nella
parte in cui, modificando le competenze in materia di interventi sui siti di
interesse nazionale, non prevede un'adeguata partecipazione delle Regioni.
8.4. - La Regione Marche impugna, a sua volta, l'art. 240, comma 1, lettera b),
del D.L.vo n. 152 del 2006, per violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118
Cost.
Secondo la Regione, aver previsto che, nelle ipotesi in cui un sito
potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area interessata da fenomeni
antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più
concentrazioni soglia di contaminazione, «queste ultime si assumono pari al
valore di fondo esistente per tutti i parametri superati», determina gravi
incertezze sulle modalità di rilevamento dei valori di fondo e,
conseguentemente, sui valori di riferimento, ponendosi in contrasto con la
normativa comunitaria a tutela dei suoli dall'inquinamento e con i principi e
criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della
legge delega n. 308 del 2004, con evidenti gravi ripercussioni sulla tutela
dell'ambiente e della salute e sul governo del territorio.
La Regione Marche censura anche l'art. 241, per violazione degli articoli 117 e
118 Cost., perché nel prevedere il cosiddetto “regolamento aree agricole”
rimanderebbe a tempo indeterminato l'applicazione della disciplina della
bonifica delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento,
impedendo di bonificare tali aree e di procedere al riutilizzo delle stesse, con
grave pregiudizio per la tutela dell'ambiente, della salute e del governo del
territorio.
L'art. 242, commi 2, 3, 4 e 5, è, poi, impugnato dalla Regione Marche nella
parte in cui subordina l'obbligo di bonifica, per il soggetto inquinatore, alla
procedura di analisi del rischio che sarebbe ancorata a parametri del tutto
incerti e non oggettivi, per violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.
Secondo la Regione, sarebbero violate «le attribuzioni regionali in materia di
tutela della salute e del governo del territorio in quanto l'inquinatore potrà
effettuare un'analisi del rischio più favorevole ai propri interessi, evitando
la successiva fase di bonifica». Inoltre, demandare alla discrezionalità
dell'inquinatore la scelta della procedura più appropriata sarebbe in contrasto
con la normativa comunitaria a tutela dei suoli e con i principi e criteri
direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega
n. 308 del 2004.
La Regione Marche ritiene ancora che l'art. 242, comma 7, nella parte in cui
prevede che le garanzie finanziarie, nel caso di provvedimento di autorizzazione
alla bonifica ambientale, debbano essere prestate in misura non superiore al
cinquanta per cento del costo stimato per l'intervento, violerebbe gli articoli
76, 117 e 118 Cost.
In particolare, la disposizione impugnata costituirebbe una «norma di dettaglio
incompatibile con le competenze regionali» in materia di tutela della salute, di
governo del territorio e di disciplina dei servizi pubblici e si porrebbe in
contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8,
lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004, dal momento che
consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento di non garantire in pieno la
bonifica del sito, nonché contrasterebbe con i principi e criteri direttivi di
cui alle lettere c) ed i) del comma 8 dell'art. 1 della legge delega n. 308 del
2004, secondo i quali la nuova disciplina non avrebbe dovuto comportare maggiori
oneri per la finanza pubblica ed, inoltre, avrebbe dovuto assicurare una più
efficace tutela in materia ambientale.
La ricorrente impugna anche l'art. 252, commi 3 e 4, del D.L.vo n. 152 del 2006,
in quanto non prevede l'intesa ai fini della perimetrazione e dell'approvazione
delle procedure di bonifica dei siti di interesse nazionale, attività che,
comunque, si ripercuotono sulle competenze costituzionali della Regione in
materia di tutela della salute e governo del territorio.
9. - Preliminarmente devono dichiararsi inammissibili, per genericità, le
censure svolte dalla Regione Calabria, in via subordinata, in riferimento
all'art. 117 Cost., relativamente agli articoli da 239 a 253 e dalla Regione
Piemonte relativamente agli articoli 240, 242, 246 e 252.
Le ricorrenti avrebbero dovuto indicare con precisione quali delle disposizioni
contenute negli articoli censurati ritenessero lesive delle proprie prerogative,
stante anche il loro contenuto non omogeneo, e avrebbero dovuto esporre in modo
più analitico le ragioni dell'impugnazione non limitandosi a invocare
genericamente la lesione dei parametri evocati. La Regione Piemonte avrebbe
dovuto dedurre la violazione di proprie competenze costituzionalmente garantite
mentre, in alcuni casi (articoli 240 e 246) non indica neanche il parametro
costituzionale violato.
9.1. - Le questioni sollevate dalla Regione Marche in relazione agli articoli
240, comma 1, lettera b), e all'art. 241 sono inammissibili.
La prima delle censure è del tutto generica, limitandosi la Regione a lamentare
la violazione dei parametri evocati senza tuttavia specificare le ragioni della
lesione delle proprie competenze costituzionalmente garantite.
La seconda censura relativa all'art. 241, che disciplina la bonifica delle aree
destinate alla produzione agricola e all'allevamento, è inammissibile perché il
petitum è oscuro e incerto. Dal tenore della censura sembrerebbe ricavarsi la
volontà della Regione di ottenere l'immediata applicabilità della disciplina
della bonifica anche ai siti contaminati a destinazione agricola senza attendere
l'emanazione del regolamento. Tuttavia la ricorrente non chiarisce perché il
rinvio, effettuato dalla disposizione, alla potestà regolamentare del Governo
(in materia di competenza legislativa esclusiva statale) violerebbe le proprie
competenze costituzionalmente garantite.
9.2. - Sempre in via preliminare, si deve evidenziare che le norme oggetto della
presente impugnazione, ad eccezione dell'art. 242, comma 4, non hanno subito
modificazioni a seguito dell'entrata in vigore del D.L.vo n. 4 del 2008. La
modifica dell'art. 242, comma 4, intervenuta ad opera dell'art. 2, comma 43-bis,
del D.L.vo n. 4 del 2008, è del tutto ininfluente ai fini del presente ricorso.
9.3. - La censura formulata dalla Regione Calabria, relativamente all'art. 241
del D.L.vo n. 152 del 2006 è fondata, limitatamente al profilo relativo alla
dedotta violazione del principio di leale collaborazione.
Osserva, infatti, questa Corte che, sebbene - come meglio si dirà in seguito -
la materia della bonifica dei siti contaminati è da collocarsi, come si è anche
di recente deciso, nella tematica relativa alla «tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema», materia questa di esclusiva competenza statale, non può
disconoscersi che, con riferimento alla bonifica delle aree adibite alla
produzione agricola o all'allevamento del bestiame, lo stesso legislatore
nazionale abbia riconosciuto la peculiarità dei siti in questione, dando
rilevanza, proprio con la previsione di una normativa differenziata, alla
specifica destinazione delle suddette aree. In tal senso si giustifica anche il
coinvolgimento, nella emanazione del regolamento relativo agli interventi nelle
indicate aree, sia del Ministro delle attività produttive che di quello delle
politiche agricole e forestali, chiamati ad esprimere il “concerto”.
Dato che, nel delineare il procedimento volto alla adozione del regolamento de
quo, si è ritenuto opportuno valorizzare le implicazioni che la bonifica di tali
siti ha con la materia dell'agricoltura, appare certamente in contrasto col
principio di leale collaborazione avere escluso nelle fasi del citato
procedimento l'apporto partecipativo delle Regioni, cioè di quei soggetti che,
rientrando la relativa materia nella loro competenza legislativa residuale, sono
dotati di specifiche attribuzioni, costituzionalmente tutelate, in tema di
agricoltura e zootecnia.
Ritiene questa Corte che adeguato strumento di coinvolgimento di tali
istituzioni sia quello di prevedere che il regolamento in questione sia emanato
dal Ministro dell'ambiente non soltanto di concerto con quelli delle attività
produttive e delle politiche agricole e forestali, ma anche sentita la
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse
comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città
ed autonomie locali), essendo questo il luogo giuridico istituzionalmente
preposto ai momenti di concertazione fra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali.
È evidente che la acquisizione di tale parere dovrà precedere il concerto degli
altri organi statali.
9.4. - Le restanti censure non sono fondate.
Quanto alla violazione dell'art. 76 Cost. da parte degli articoli da 239 a 253
del D.L.vo n. 152 del 2006 dedotta dalla Regione Calabria, già si è osservato al
precedente punto 7.1. che la legge delega consentiva, ed anzi in certi casi
imponeva, la adozione di una nuova disciplina anche sostanzialmente innovativa
rispetto alla precedente.
Questa Corte ha già inquadrato la disciplina della bonifica dei siti contaminati
nell'ambito della materia tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 214 del 2008). Ne consegue che le norme in
esame rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato al quale
spetta, anche con disposizioni di dettaglio e anche in sede regolamentare,
disciplinare le procedure amministrative dirette alla prevenzione, riparazione e
bonifica dei siti contaminati.
Devono pertanto ritenersi infondate le rivendicazioni delle Regioni di propri
ambiti di competenza in relazione al governo del territorio e alla tutela della
salute, così come la rivendicazione del potere regolamentare in materia.
9.5. - Le censure relative all'art. 242, commi 2, 3, 4, e 5, svolte dalle
Regioni Marche e Toscana non sono fondate.
Le ricorrenti compiono una errata ricostruzione della disciplina introdotta
dalle norme in oggetto dalla quale fanno discendere un potere discrezionale del
soggetto inquinatore. In realtà l'art. 242, che modifica il precedente art. 17
del D.L.vo n. 22 del 1997, introduce un complesso iter diretto a porre in capo
al soggetto inquinatore l'obbligo di procedere alla bonifica del sito
contaminato.
Tale procedimento è scandito da una prima fase che ha inizio al verificarsi di
un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare un sito, allorchè il
responsabile dell'inquinamento deve mettere in opera, entro ventiquattro ore, le
misure necessarie di prevenzione e deve darne immediata comunicazione, ai sensi
e con le modalità di cui all'art. 304, comma 2, alle amministrazioni competenti.
Questo primo momento è necessariamente rimesso alla volontà del responsabile
dell'inquinamento perché nell'immediatezza del verificarsi dell'evento
potenzialmente lesivo egli è l'unico soggetto che certamente ne è a conoscenza.
A questo proposito è bene ricordare che il legislatore ha sanzionato penalmente
l'omessa comunicazione del verificarsi dell'evento potenzialmente lesivo da
parte del soggetto responsabile (art. 257). In ogni caso, in mancanza della
comunicazione, la contaminazione dovrà emergere mediante l'attività di vigilanza
e controllo delle amministrazioni competenti.
Il pieno coinvolgimento delle amministrazioni competenti risulta in modo ancora
più significativo nella fase successiva, in cui è previsto che esse controllino
e verifichino l'attività del soggetto responsabile. Infatti, nella seconda fase,
l'art. 242 prevede che il responsabile dell'inquinamento, attuate le necessarie
misure di prevenzione, svolga, nelle zone interessate dalla contaminazione,
un'indagine preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento e, ove accerti
che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato
superato, provveda al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con
apposita autocertificazione, al Comune ed alla Provincia competenti per
territorio entro quarantotto ore. Tale attività di autocertificazione è
sottoposta alla verifica e al controllo degli enti locali competenti entro il
ristretto termine di quindici giorni.
Qualora il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione risulti invece
superato, il responsabile dell'inquinamento deve immediatamente informare il
Comune e la Provincia competente con la descrizione delle misure di prevenzione
e di messa in sicurezza di emergenza adottate.
Tutte le successive fasi della procedura di bonifica devono essere approvate
dalla Regione. Il piano di caratterizzazione deve essere presentato, nei
successivi trenta giorni, alle amministrazioni, nonchè alla Regione
territorialmente competente e, nei trenta giorni successivi, la Regione,
convocata la conferenza di servizi, «autorizza il piano di caratterizzazione con
eventuali prescrizioni integrative». Sulla base delle risultanze della
caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito
specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Entro sei mesi dall'approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto
responsabile presenta alla Regione i risultati dell'analisi di rischio. La
conferenza di servizi, convocata dalla Regione a seguito dell'istruttoria svolta
in contraddittorio con il soggetto responsabile - cui è dato un preavviso di
almeno venti giorni - «approva il documento di analisi di rischio entro i
sessanta giorni dalla ricezione dello stesso».
Se gli esiti dell'analisi di rischio sono positivi, in quanto dimostrano che la
concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle
concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l'approvazione
del documento dell'analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il
procedimento. In tal caso, la conferenza di servizi può prescrivere lo
svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione
della situazione in relazione agli esiti dell'analisi di rischio e all'attuale
destinazione d'uso del sito. A tal fine, il soggetto responsabile, entro
sessanta giorni dall'approvazione di cui sopra, invia alla Provincia e alla
Regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono
individuati i parametri da sottoporre a controllo, nonchè la frequenza e la
durata del monitoraggio.
Se invece sono superate le soglie di concentrazione di rischio, il soggetto
responsabile sottopone alla Regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione
del documento di analisi di rischio, il progetto degli interventi di bonifica o
di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori
misure di riparazione e di ripristino ambientale. La Regione, acquisito il
parere del Comune e della Provincia interessati mediante apposita conferenza di
servizi e sentito il soggetto responsabile, «approva il progetto, con eventuali
prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento».
La procedura ora descritta rende palese l'erroneità del presupposto
interpretativo delle ricorrenti, secondo il quale il responsabile
dell'inquinamento può influire sull'esito dell'analisi di rischio e impedire
l'avvio della procedura di bonifica. È, anche in questo caso, opportuno
sottolineare che l'art. 257 sanziona penalmente il soggetto che cagiona
l'inquinamento «se non provvede alla bonifica in conformità al progetto
approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli
articoli 242 e seguenti».
Inoltre, è altrettanto evidente che non vi è alcuna violazione dei principi e
criteri direttivi contenuti alle lettere b) e h) del comma 8 dell'art. 1 della
legge delega n. 308 del 2004 relativi al perseguimento «di maggiore efficienza e
tempestività dei controlli ambientali», nonché alla «previsione di misure che
assicurino l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali».
9.6. - Parimenti infondate sono le censure dalle Regioni Toscana e Marche
rivolte all'art. 242, comma 7, nella parte in cui prevede un limite massimo,
pari al cinquanta per cento del costo dell'intervento, per ciò che riguarda le
garanzie finanziarie che devono essere prestate in favore della Regione per la
corretta esecuzione ed il completamento degli interventi di bonifica al momento
dell'approvazione del relativo progetto.
Dovendosi inquadrare la disciplina in esame nell'ambito della competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 214 del 2008), ben
può il legislatore statale prevedere un limite massimo della garanzia
finanziaria che le Regioni possono chiedere al responsabile dell'inquinamento,
trattandosi di un livello uniforme di tutela che, nel limite massimo previsto,
lascia, tra l'altro, alle amministrazioni competenti il potere di imporre la
percentuale più opportuna.
Quanto alla presunta violazione della legge delega, la disposizione in esame è
pienamente conforme ai principi e criteri direttivi di cui all'art. 1, comma 9,
lettera a), della legge n. 308 del 2004. In particolare, laddove testualmente
fra tali principi è indicato quello relativo a: «incentivare il ricorso a
risorse finanziarie private per la bonifica ed il riuso anche ai fini produttivi
dei siti contaminati, in applicazione della normativa vigente». Essa non è, poi,
certamente contraria al principio comunitario «chi inquina paga» di cui è, anzi,
specifica attuazione, ed è, infine, conforme anche ai principi e criteri
direttivi di cui all'art. 1, comma 8, lettere c), e), f) ed i), della legge
delega.
La garanzia finanziaria, infatti, si colloca in un momento procedimentale che si
potrebbe definire “virtuoso”, perché prevede un responsabile dell'inquinamento
che si è già attivato e, svolte tutte le fasi preliminari di riduzione e
contenimento del danno, ha presentato all'amministrazione un progetto esecutivo
che quest'ultima deve approvare. Diversamente, nell'ipotesi del responsabile
dell'inquinamento che si sottrae agli obblighi previsti dall'art. 242, trova
applicazione la procedura di cui all'art. 250 che prevede l'obbligo per
l'amministrazione di provvedere alle operazioni di bonifica. In tale ipotesi gli
strumenti di garanzia predisposti dal legislatore in favore dell'ente locale
sono quelli di cui all'art. 253, primo fra tutti il privilegio speciale ex art.
2748 del codice civile sul terreno da bonificare.
10. - Riguardo, poi, all'art. 252 del D.L.vo n. 152 del 2006 - che regola le
procedura di bonifica di una particolare categoria di siti inquinati, i
cosiddetti siti «d'interesse nazionale», ai quali il legislatore ha ritenuto
opportuno dedicare una disciplina, diversa da quella ordinaria, proprio in
considerazione della loro peculiare caratteristica di essere portatori di quello
che è stato qualificato un «interesse nazionale», il quale, in quanto tale,
travalica l'ambito locale e regionale - esso è stato impugnato dalle Regioni
Calabria, Toscana, Piemonte, e Marche in riferimento agli articoli 117 e 118
Cost., e anche in riferimento al principio di leale collaborazione.
10.1. - In particolare, la Regione Piemonte censura l'art. 252 D.L.vo n. 152 del
2006 nella parte in cui, modificando le competenze in materia di interventi di
bonifica dei siti di interesse nazionale, viola il principio di leale
collaborazione perchè elimina l'intesa con la Regione territorialmente
competente in ordine alla definizione ed approvazione del progetto
dell'intervento.
Della generica impugnazione della norma in relazione alla dedotta violazione
dell'art. 76 Cost. si è già trattato nel precedente punto 9.
L'esclusione della codeterminazione con la Regione, secondo la ricorrente,
sarebbe priva di giustificazione ed in contrasto con il principio di leale
collaborazione, considerando la natura degli interventi di interesse nazionale,
che riguardano vaste porzioni territoriali ed hanno rilevante impatto
socio-economico, anche in considerazione del fatto che le norme della legge n.
426 del 1998, tuttora vigente, stabiliscono che per detti interventi siano le
Regioni ad attribuire il finanziamento, che incongruamente esse dovrebbero
disporre su progetti che non hanno esaminato ed approvato.
10.2. - Le Regioni Calabria, Toscana e Marche impugnano, invece, i commi 3 e 4
del citato articolo. L'uno, disciplina i criteri in base ai quali attuare la
perimetrazione del sito di interesse nazionale (fase ulteriore rispetto a quella
prevista dai precedenti commi 1 e 2 [non impugnati] consistente
nell'individuazione del sito, la cui competenza spetta al Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, che provvede con decreto, d'intesa con le Regioni
interessate), alla quale si provvede «sentiti i Comuni, le Province, le Regioni
e gli altri Enti locali, assicurando la partecipazione dei responsabili nonché
dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili».
Il comma successivo, poi, introduce disposizioni in tema di bonifica di questi
siti, prevedendo che la procedura sia la stessa che è prevista dall'art. 242
D.L.vo 152 del 2006, attribuendone, altresì, la competenza al Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio - sentito il Ministero per le
attività produttive - il quale può avvalersi, eventualmente, «dell'Agenzia per
la protezione dell'ambiente per i servizi tecnici (APAT), dell'Istituto
superiore di sanità e dell'E.N.E.A, nonché di altri soggetti qualificati
pubblici o privati».
Le ricorrenti lamentano che le disposizioni in oggetto non coinvolgono
adeguatamente le Regioni, in quanto, non prevedendo l'intesa con esse ai fini
della perimetrazione del sito e/o dell'approvazione della bonifica dei siti di
interesse nazionale, si porrebbero in contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost.,
anche in riferimento al principio di leale collaborazione.
Tale mancata previsione di adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni,
dunque, secondo le ricorrenti, lederebbe le competenze costituzionali
riconosciute alle stesse in materia di governo del territorio e tutela della
salute, nonchè, per la Regione Toscana, «vincolerebbe la destinazione
urbanistica del territorio dei siti d'interesse nazionale da bonificare, senza
nessun intervento da parte delle Regioni interessate».
10.3. - La Regione Calabria ha, poi, censurato l'art. 252, limitatamente al
comma 4, anche in riferimento all'art. 76 Cost., atteso che tale disposizione -
stabilendo che «la procedura di bonifica di cui all'art. 242 dei siti di
interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività produttive»,
senza alcuna previsione di una intesa con la Regione territorialmente competente
- si porrebbe in contrasto, oltre che con il principio di leale collaborazione,
anche con l'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004.
Esso, rinviando all'art. 85 del D.L.vo n. 112 del 1998, imporrebbe al
legislatore delegato il rispetto della attribuzioni regionali fissate dal comma
14 dell'art. 17 del D.L.vo n. 22 del 1997, e, conseguentemente, per gli
interventi di bonifica di interesse nazionale, l'intesa con la Regione
territorialmente competente. La violazione dell'art. 76 da parte del legislatore
delegato, pertanto, a parere della Regione ricorrente, ridurrebbe le competenze
delle Regioni rispetto a quelle loro attribuite dalla precedente legislazione.
Data la loro stretta connessione, le suindicate questioni di legittimità
costituzionale, con riferimento ai citati parametri, possono essere esaminate in
modo congiunto.
10.4. - Le questioni non sono fondate.
10.5. - In relazione alla dedotta violazione degli articoli 117 e 118 Cost., in
quanto sarebbero state lese le prerogative regionali in materia di governo del
territorio e tutela della salute, nonché del principio di leale collaborazione,
occorre sottolineare che la materia nella quale deve essere inquadrata la
disciplina oggetto delle disposizioni censurate è quella della tutela
dell'ambiente, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., come del resto già affermato, riguardo allo
specifico tema di cui trattasi, da questa Corte con la sentenza n. 214 del 2008.
In tale sentenza, infatti, questa Corte, affrontando il tema della bonifica dei
siti contaminati, dopo le modifiche introdotte dal D.L.vo n. 152 del 2006, ha
precisato che «la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una
competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla disciplina che le
Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per
cui queste ultime non possono in alcun modo derogare il livello di tutela
ambientale stabilito dallo Stato (sentenza n. 62 del 2008; sentenza n. 378 del
2007). Spetta infatti alla disciplina statale tener conto degli altri interessi
costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell'ambiente. In tali
casi, infatti, una eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa in
tema di tutela dell'ambiente, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e
sproporzionata gli altri interessi confliggenti considerati dalla legge statale
nel fissare i cosiddetti valori soglia (sentenza n. 246 del 2006; sentenza n.
307 del 2003)».
Pertanto, anche qualora possano rilevarsi ambiti di competenza spettanti alle
Regioni, deve ritenersi prevalente il citato titolo di legittimazione statale,
anche in ragione della sussistenza di un interesse unitario alla disciplina
omogenea di siti che travalicano l'interesse locale e regionale.
Inoltre, ad ulteriore conferma dell'infondatezza delle censure mosse dalle
Regioni ricorrenti alle disposizioni in esame, occorre osservare che dalla
lettura delle stesse emerge chiaramente il coinvolgimento delle Regioni nelle
varie fasi della procedura.
Infatti, il comma 2 dell'art. 252 (non impugnato dalle ricorrenti) prevede
l'intesa con le Regioni interessate da parte del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio per l'emanazione del decreto ai fini dell'individuazione
dei siti di interesse nazionale che devono essere bonificati; il comma 3
stabilisce, a sua volta, ai fini della perimetrazione del sito, una
partecipazione procedimentale estesa a più soggetti - anche se limitata
all'espressione di un parere - rispetto a quella prevista per l'individuazione
del sito (alla quale, come detto, partecipano solo il Ministro dell'ambiente e
le Regioni interessate), con il coinvolgimento anche dei Comuni, delle Province,
delle Regioni e la partecipazione dei responsabili nonché dei proprietari delle
aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili.
Al comma 4, poi, la nuova normativa ha introdotto la possibilità che il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio possa avvalersi dell'APAT,
delle ARPA regionali, dell'Istituto superiore di sanità, nonché di altri
soggetti pubblici (anche regionali) e privati, facendo sì che la Regione sia
coinvolta nei procedimenti di bonifica dei siti di interesse nazionale, cui è
interessata per territorio.
È ulteriormente da porre in evidenza che la più recente giurisprudenza
costituzionale in tema (sentenze n. 12 e n. 61 del 2009) sottolinea come,
qualora non vi sia dubbio che lo Stato stia utilizzando la sua competenza
legislativa in materia di ambiente ed ecosistema, a quest'ultimo spetti la
valutazione della idoneità del livello di coinvolgimento della Regione. Nel caso
di specie la forma di collaborazione individuata dalle disposizioni censurate
non appare inadeguata, così da non giustificare la pretesa della Regione del
ricorso all'intesa in tutte le fasi della procedura.
10.6. - Parimenti infondata è la censura formulata dalla Regione Calabria sulla
base dell'asserita violazione dell'art. 76 Cost., in quanto l'art. 252, comma 4,
del D.L.vo n. 152 non contempla il ricorso all'intesa con la Regione
territorialmente competente da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio, sebbene essa fosse prevista al comma 14 dell'art. 17 del D.L.vo
n. 22 del 1997, al cui rispetto era vincolato il legislatore delegato ai sensi
dell'art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004, il quale rinvia
all'art. 85 del D.L.vo n. 112 del 1998.
A tale riguardo, deve osservarsi che questa Corte, con la sentenza n. 225 del
2009, nell'affrontare in via generale e preliminare identica questione, ha già
ritenuto che «la contestuale menzione, accanto alla legge n. 59 del 1997 ed al
D.L.vo n. 112 del 1998, dell'art. 117 Cost. (che, al secondo comma, attribuisce
allo Stato la competenza esclusiva in tema di «tutela dell'ambiente») e del
flessibile principio di sussidiarietà (che, ai sensi dell'art. 118 Cost.,
consente allo Stato - competente per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema -
di riservare a sé le funzioni amministrative in siffatta materia tutte le volte
in cui sussista l'esigenza di un loro esercizio unitario) esclude che possa
riconoscersi, come invece assunto dalla Regione [ricorrente], carattere di
intangibilità alle predette norme ordinarie. Se così non fosse, la pretesa
immodificabilità della distribuzione delle funzioni amministrative in materia
ambientale nel D.L.vo n. 112 del 1998 impedirebbe l'attuazione di gran parte dei
principi indicati subito dopo nello stesso comma 8 e nel successivo comma 9.
Pertanto i criteri indicati nell'incipit dell'art. 1, comma 8, della legge n.
308 del 2004 debbono essere valutati e coordinati alla luce degli ulteriori
criteri espressi dalla legge di delega, nel senso che il legislatore delegato
era abilitato a modificare le attribuzioni già conferite alle Regioni quando la
modifica fosse coerente con uno dei principi direttivi indicati nelle lettere
progressive che compongono i commi 8 e 9 dell'art. 1. Ad esempio, se
l'attuazione di una direttiva comunitaria rendeva necessario, in coerenza con il
principio di sussidiarietà, uno spostamento, nel settore interessato, delle
funzioni amministrative, la riallocazione poteva legittimamente essere disposta
dal legislatore delegato anche presso il livello statale».
Nel caso in esame, dalla lettura della attuale disciplina emerge, come già
evidenziato, il coinvolgimento delle Regioni in significative fasi della
procedura (coinvolgimento che prevede anche il ricorso alla procedura sfociante
nell'intesa ai fini dell'individuazione dei siti di interesse nazionale che
devono essere bonificati).
Pertanto, anche sulla base di tali argomenti, non deve ritenersi sussistente la
violazione dei principi e criteri direttivi della delega, in quanto -
trattandosi, nel caso di specie, della bonifica di siti (materia di competenza
esclusiva statale) di interesse nazionale (siti la cui caratteristica è, come
già evidenziato, quella di essere portatori di un interesse che travalica quello
solo regionale e locale) - la procedura prevista dalla norma censurata appare
rispettosa del quadro di attribuzioni amministrative derivante dal principio di
sussidiarietà (anch'esso richiamato nella delega) che costituisce un filtro
necessario per il trasferimento nella nuova disciplina di quanto previsto nella
precedente. Infatti, dato che requisito essenziale per la caratterizzazione di
un sito come «di interesse nazionale» è che esso presenti un «particolare pregio
ambientale» (lettera a), un «particolarmente elevato […] rischio sanitario e
ambientale» (lettera c), un «rilevante […] impatto socio economico» (lettera d),
un «rischio per i beni di interesse storico e culturale di rilevanza nazionale»
(lettera e), che l'opera sia tutelata «ai sensi del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42» (lettera b), che gli interventi si estendano al «territorio
di più regioni» (lettera f), appare evidente il motivo che legittima, proprio in
base al principio di sussidiarietà richiamato dalla legge delega, il
conferimento a livello statale delle attività amministrative di bonifica.
11. - Infine, la sola Regione Calabria ha impugnato, ritenendolo in contrasto
sia con l'art. 117, sesto comma, Cost., sia con l'art. 119 Cost., sia, ancora,
col principio di leale collaborazione, l'art. 265, comma 3, del D.L.vo n. 152
del 2006.
Tale disposizione, ad avviso della Regione ricorrente, nel prevedere che il
Ministro dell'ambiente, di concerto con quelli dell'istruzione, università e
ricerca e delle attività produttive, individui con proprio decreto le forme di
promozione e di incentivazione per la ricerca e per lo sviluppo di nuove
tecnologie di bonifica presso le università e presso le imprese e i loro
consorzi, lederebbe l'art. 117, sesto comma, Cost., in quanto attribuirebbe ad
organi dello Stato centrale competenze regolamentari nella materia della ricerca
scientifica, attribuita alla competenza concorrente di Stato e Regioni, e l'art.
119 Cost. in quanto, senza che ne sussistano le condizioni, prevederebbe forme
di incentivazioni in un ambito materiale non di esclusiva competenza dello
Stato.
Essa lederebbe, da ultimo, anche il principio di leale collaborazione, non
essendo contemplato, nel procedimento di individuazione delle predette forme di
promozione e incentivazione, alcun coinvolgimento delle Regioni.
Mentre le prime due censure non sono fondate, la terza, è, invece, fondata.
Già si è detto che le tematiche connesse alle forme di bonifica ambientale
rientrano a pieno titolo nella competenza esclusiva dello Stato, essendo esse
afferenti alla materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema». Risulta,
pertanto, evidente come sia fallace il ragionamento posto a base della
impugnazione, dato che si fonda sull'erroneo presupposto che la materia
implicata dalla disposizione legislativa ora in questione non sia di esclusiva
competenza dello Stato ma, essendo quella della ricerca scientifica e
tecnologica, appartenga alla competenza concorrente delle Regioni.
Alla erroneità del presupposto consegue l'infondatezza delle due questioni di
legittimità costituzionale che su di esso si basano.
Riguardo, invece, alla dedotta violazione del principio di leale collaborazione
vale, in sostanza, quanto già osservato con riferimento all'art. 241, anch'esso
impugnato con riferimento al medesimo parametro.
Anche in questo caso, infatti, è lo stesso legislatore nazionale che, attraverso
il coinvolgimento del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca,
ha inteso valorizzare il profilo normativo connesso con la tematica della
ricerca scientifica e tecnologica, materia questa effettivamente assegnata, ai
sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., alla competenza concorrente delle
Regioni.
In tale ottica, peraltro conformemente alla giurisprudenza di questa Corte
(sentenza n. 133 del 2006), onde ricondurre a legittimità costituzionale la
norma, diversamente in contrasto col principio di leale collaborazione attesa la
obiettiva e - dallo stesso legislatore statale - riconosciuta implicazione della
materia di legislazione concorrente, è necessario prevedere che nella fase di
attuazione della disposizione e, quindi, sia per ciò che riguarda
l'individuazione delle forme di promozione ed incentivazione sia per ciò che
riguarda la loro concreta realizzazione, debba essere previsto il coinvolgimento
delle Regioni e degli Enti locali.
A tal fine, questa Corte ritiene che lo strumento idoneo sia, anche in questo
caso, quello dell'acquisizione, in sede procedimentale, anteriormente alla
espressione del concerto dei Ministri dell'istruzione e delle attività
produttive, del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del D.L.vo
n. 281 del 1997.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunce la decisione sull'impugnazione delle altre
disposizioni contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale);
dichiara inammissibili gli interventi spiegati dall'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, dalla Società italiana Centrali
Termoelettriche SICET s.r.l., dalla Biomasse Italia s.p.a., dall'Ital Green
Energy s.r.l. e dall'Energia Tecnologia Ambiente s.p.a.;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 241 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui non
prevede che, prima dell'adozione del regolamento da esso disciplinato, sia
sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del D.L.vo n. 281 del 1997;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 265, comma 3, del decreto
legislativo n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede che, prima
dell'adozione del decreto ministeriale da esso disciplinato, sia sentita la
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del D.L.vo n. 281 del 1997;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli
da 217 a 226 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento
al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria con il ricorso in
epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 221,
commi da 4 a 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata dalla Regione
Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 222
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all'art. 117
della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 223
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all'art. 117
della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 223
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli
76 e 118, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso
in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 224
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all'art. 118
della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli
233, 234 e 236 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in
riferimento all'art. 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il
ricorso in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere relativamente al giudizio sulla
questione di legittimità costituzionale dell'art. 235 del decreto legislativo n.
152 del 2006, sollevata dalla Regione Calabria, in riferimento all'art. 118
della Costituzione, con il ricorso in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 238,
commi 5 e 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento
agli articoli 117, commi quarto e sesto, e 119, commi primo e secondo, della
Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 238
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli
11, 76, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Marche e,
limitatamente ai commi 1 e 2, anche dalla Regione Emilia-Romagna con i ricorsi
in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli
da 239 a 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006 sollevata, in riferimento
all'art. 117 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli
da 239 a 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento
all'art. 76 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in
epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 240
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all'art. 3
della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 240,
comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in
riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117 e 118, della Costituzione, dalla
Regione Marche con il ricorso in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli
240, 242, 246 e 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il
ricorso in epigrafe;
dichiara estinto il giudizio relativo alle questioni di legittimità
costituzionale degli articoli 240, 242, 243, 244, 246, 252 e 257 del decreto
legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 76, 117
e 118 della Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 241
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento agli articoli
117 e 118, della Costituzione, dalla Regione Marche con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 241
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all'art. 117,
sesto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in
epigrafe;
dichiara inammissibile le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 242
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli
3 e 118 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 242
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all'art. 117
della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 242,
commi 2, 3, 4 e 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, in combinato
disposto con l'art. 240, comma 1, lettera b), del medesimo decreto legislativo,
sollevate, in riferimento agli articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione,
dalla Regione Toscana con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 242,
commi 2, 3, 4 e 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in
riferimento agli articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione
Marche con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 242,
comma 7, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli
articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche,
con i ricorsi in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli
242, 244, 245, 248, 249, 250 e dell'allegato 4 alla Parte quarta del decreto
legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all'art. 117 della
Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 246
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento a non
determinate attribuzioni costituzionali, dalla Regione Piemonte con il ricorso
in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 252
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli
76, 117 e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalle
Regioni Calabria, Toscana, Piemonte e Marche con i ricorsi in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 265,
comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli
articoli 117, sesto comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Calabria con
il ricorso in epigrafe
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 16 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.
Il Cancelliere
F.to: MILANA
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