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CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, c. 2,
lett. s) Cost. - Fissazione dei livelli di tutela uniforme sul territorio
nazionale. La disciplina dei rifiuti si colloca nell’àmbito della tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri
interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il
potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale,
restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente
collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis, sentenze n. 62
del 2008). Anche nel settore dei rifiuti, accanto ad interessi inerenti in via
primaria alla tutela dell’ambiente, possono venire in rilievo interessi
sottostanti ad altre materie, per cui la «competenza statale non esclude la
concomitante possibilità per le Regioni di intervenire [...]», ovviamente nel
rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato (sentenza n. 62
del 2005, altresì, sentenze n. 247 del 2006, n. 380 e n. 12 del 2007). Pres.
Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte,
Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata
c. Presidente del Consiglio dei Ministri -
CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Art. 189, c. 1 D.L.vo n. 152/2006 - Catasto dei rifiuti - Contrasto con il riparto di competenze delineato nella legge delega - Esclusione - Contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. - Esclusione. L’articolo 189, c. 1 del D.L.vo n. 152/2006 non contrasta né con il riparto di competenze delineato nella normativa richiamata dalla legge delega ( già l’art. 18 del D.L.vo n. 22 del 1997 prevedeva, alla lettera h), che fosse di competenza dello Stato la riorganizzazione e la tenuta del Catasto nazionale dei rifiuti), né con gli artt. 117 e 118 Cost. Infatti, è evidente che, per espressa previsione normativa, il Catasto dei rifiuti intende garantire la formazione di un quadro conoscitivo unitario e costantemente aggiornato dei dati raccolti, anche ai fini della pianificazione delle attività di gestione dei rifiuti. In tal senso, quindi, le funzioni svolte da tale istituto sono prodromiche alla fissazione di livelli uniformi di tutela dell’ambiente, di esclusiva competenza statale. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Impianti di “preminente interesse nazionale” - Art. 195, c. 1, lettere f) e g) D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Art. 117 Cost - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all’art. 117 Cost. - dell’art. 195, lett. f), del D.L.vo n. 152/2006. Trattandosi di impianti di “preminente interesse nazionale”, la valutazione relativa alla loro individuazione deve necessariamente essere attribuita allo Stato, in coerenza con il principio di sussidiarietà, in vista dell’obiettivo del soddisfacimento dell’esigenza unitaria di una dislocazione strategica dei medesimi impianti sull’intero territorio nazionale. In tale prospettiva, è infondata anche la violazione del principio di leale collaborazione, tenuto conto che la norma impugnata prevede che la predetta funzione di individuazione degli impianti sia esercitata «sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» e tale forma di coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali si rivela adeguata, incidendo la predetta attività su competenze regionali (governo del territorio, tutela della salute) concorrenti, in ordine alle quali spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in riferimento alla previsione della competenza statale in tema di predisposizione di un piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale (lettera g). Tale attribuzione, infatti, non determina alcuna lesione delle sfere di competenza regionale, in quanto non impedisce alle Regioni di predisporre propri piani territoriali sulla base dei quali, peraltro, solo lo Stato può provvedere a definire - «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni» e «sentita la Conferenza unificata» - un adeguato piano nazionale. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Criteri generali differenziati per i rifiuti urbani e i rifiuti urbani e speciali - Art. 195, c. 1, lett. m) D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Art. 76 Cost - Infondatezza.Sono infondate le censure sollevate, in relazione all’art. 76 Cost., nei confronti dell’attribuzione allo Stato del compito di determinare i criteri generali differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini dell’elaborazione dei piani regionali dei rifiuti nonché le linee guida per gli ambiti territoriali ottimali (art. 195, lett. m) , D.L.vo n. 152/2006). Va infatti osservato che già l’art. 18, comma 1, lettera i), del D.L.vo n. 22 del 1997, attribuiva una simile competenza allo Stato, e che tale attribuzione è in linea con l’esigenza di una individuazione dei predetti criteri generali uniforme ed omogenea sul territorio nazionale, incidendo i medesimi sia sulla materia del governo del territorio di competenza regionale concorrente, in ordine alla quale spetta allo Stato dettare i principi fondamentali, sia sulla materia di competenza statale esclusiva della tutela dell’ambiente. A tal proposito occorre, inoltre, osservare che, non essendo possibile individuare una materia prevalente alla quale ricondurre la norma impugnata, la previsione del raggiungimento di un’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in specie ai fini della determinazione delle linee guida per la individuazione degli ambiti territoriali ottimali, costituisce adeguato strumento di attuazione del principio di leale collaborazione. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Gestione integrata - Linee guida per la definizione delle gare d’appalto per la concessione del servizio - Competenza statale - Art. 195, c. 1, lett. n) D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. La previsione della competenza statale in tema di linee guida per la definizione delle gare d’appalto per la concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti, di cui all’art. 195, lett. n) , D.L.vo n. 152/2006, non determina alcuna lesione delle sfere di competenza regionale, tenuto conto che essa, attenendo, fra l’altro, all’identificazione dei «requisiti di ammissione delle imprese e dei relativi capitolati» alle gare, costituisce esercizio della competenza statale in tema di tutela della concorrenza, e si rivela in armonia con il principio di leale collaborazione, quanto alle inevitabili interferenze con la materia dei servizi pubblici locali (alla quale deve ricondursi la disciplina del servizio di gestione integrata dei rifiuti) di competenza regionale residuale, nella parte in cui stabilisce che la determinazione delle predette linee guida deve avvenire d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Ambito territoriale ottimale - Tariffa - Riscossione - Linee guida inerenti alle forme ed ai modi della cooperazione fra gli enti locali - Competenza statale - Art. 195, c. 1, lett. o) D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Devono respingersi le censure mosse nei confronti della attribuzione allo Stato della competenza a determinare le linee guida inerenti alle forme ed ai modi della cooperazione fra gli enti locali anche con riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani ricadenti nell’ambito territoriale ottimale (all’art. 195, lett. o) , D.L.vo n. 152/2006). Si tratta, infatti, di previsione che, pur incidendo su ambiti di competenza regionale, quali quello della promozione delle forme di cooperazione fra gli enti locali e quello dei servizi pubblici locali, è finalizzata a soddisfare l’esigenza di individuazione dei criteri più idonei a garantire l’efficiente espletamento del servizio in tutto il territorio nazionale, nel pieno rispetto del principio di leale collaborazione, mediante la previsione della previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Impianti - Determinazione dei criteri generali per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione - Art. 195, c. 1, lett. p) D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. La determinazione dei criteri generali per l’individuazione delle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti, di cui all’art. 195, lett. p) del D.L.vo n. 152/2006, non risulta lesiva di alcuna competenza regionale, costituendo esercizio della competenza statale a dettare i principi fondamentali in tema di governo del territorio; il compito di adeguare le norme della parte quarta del decreto impugnato alla normativa comunitaria, di cui alla successiva lettera t), non può che spettare allo Stato, nell’esercizio delle proprie competenze. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Art. 195, c. 2, lettere b), e), l), m), n), q), s) - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Le disposizioni di cui all’art. 195, comma 2, lettere b), e), l), m), n), q) ed s), non determinano l’attribuzione impropria di competenze allo Stato, ma provvedono ad individuare gli ambiti tecnici in relazione ai quali si dà attuazione ai livelli uniformi di tutela dell’ambiente. Si tratta, infatti, di: determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani (lettera e); definizione del modello e dei contenuti del formulario e regolamentazione del trasporto dei rifiuti (lettera l); individuazione delle tipologie di rifiuti che possono essere smaltiti in discarica (lettera m); adozione di un modello uniforme del registro di cui all’art. 190 e delle modalità di tenuta dello stesso (lettera n); adozione delle norme tecniche, delle modalità e delle condizioni di utilizzo del prodotto ottenuto mediante compostaggio (lettera q); individuazione delle sostanze assorbenti e neutralizzanti, previamente sperimentate da università o istituti specializzati (lettera s). Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Piano regionale di gestione dei rifiuti - Potere sostitutivo ministeriale - Art. 199, c. 9 D.L.vo n. 152/2006 - Illegittimità costituzionale. Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 9, del D.L.vo n. 152 del 2006, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’ambiente il potere sostitutivo nel caso in cui “le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti “nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo”. Si tratta, infatti, di una ipotesi di sostituzione statale che si attiva direttamente in caso di inerzia degli enti locali in riferimento ad un ambito di competenza regionale costituito dall’attuazione del piano regionale, senza che le Regioni, competenti all’adozione del piano, siano poste nella condizione di esercitare il proprio potere sostitutivo, con conseguente lesione delle relative attribuzioni. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Poteri sostitutivi straordinari ex art. 120 D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. L’art. 120, secondo comma, Cost. prevede solo un potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da esercitarsi sulla base dei presupposti e per la tutela degli interessi ivi esplicitamente indicati, mentre lascia impregiudicata l’ammissibilità e la disciplina di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato o delle Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione con il riparto delle funzioni amministrative da essa realizzato e con le ipotesi specifiche che li possano rendere necessari. Gli interventi sostitutivi oggetto delle norme di cui agli artt. 199, c. 8 e 204, c. 3, secondo periodo non sono riconducibili all’ambito di operatività dell’art. 120 Cost., non essendo connessi ad alcuna delle ipotesi di emergenza istituzionale di particolare gravità ivi contemplate (il mancato rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, il pregiudizio per l’incolumità e la sicurezza pubblica nonché per l’unità giuridica ed economica, il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali), tali da giustificarne l’attribuzione in via esclusiva al Governo: sicché deve ritenersi priva di fondamento l’asserita lesione della predetta norma costituzionale nella parte in cui assegna esclusivamente al Governo l’esercizio del solo potere ivi previsto. Né può accogliersi la censura di violazione delle garanzie prescritte a tutela dell’ente inadempiente, in relazione a quanto previsto dall’art. 204, comma 3, secondo periodo, considerato che la norma impugnata reca modalità procedimentali finalizzate a porre il predetto ente - a sua volta operante in via sostitutiva - nelle condizioni di provvedere, evitando la sostituzione. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI- Servizio di gestione dei rifiuti - Gestioni esistenti - Esercizio del potere sostitutivo da parte del Presidente della Giunta regionale - Disciplina - Art. 204, c. 3, D.L.vo n. 152/2006 - Illegittimità costituzionale. Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 204, comma 3, del D.L.vo n. 152 del 2006, nella parte in cui disciplina l’esercizio del potere sostitutivo del Presidente della Giunta regionale in tema di gestioni esistenti del servizio di gestione dei rifiuti. Infatti, tenuto conto che è la legge regionale che, nel disciplinare l’esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni nelle materie di propria competenza, può prevedere anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali per il compimento di atti o attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente competente, è egualmente solo ad essa che spetta provvedere a regolare dettagliatamente modalità e termini di esercizio del proprio potere sostitutivo. Nella specie, la norma statale impugnata prevede un termine entro il quale i Presidenti delle Giunte regionali, in caso di inerzia delle Autorità d’ambito, devono nominare un commissario ad acta per l’adozione di provvedimenti per disporre i nuovi affidamenti del servizio di gestione dei rifiuti, nel rispetto delle disposizioni di cui alla medesima parte quarta del decreto n. 152 del 2006. Tale previsione, avendo ad oggetto la disciplina puntuale di modalità e tempi di esercizio del potere sostitutivo della Regione nei confronti degli enti locali in una materia, quella della gestione del servizi pubblico locale di gestione dei rifiuti, di competenza regionale, lede la relativa competenza legislativa regionale. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Obiettivi di riciclo e recupero dei rifiuti - Normativa regionale - Previa intesa con il Ministro dell’ambiente - Art. 205, c. 6 D.L.vo n. 152/2006 - Illegittimità costituzionale. Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 205, comma 6, del D.L.vo n. 152 del 2006, nella parte in cui assoggetta ad una previa intesa con il Ministro dell’ambiente l’adozione delle leggi con cui le Regioni possono indicare maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti. La sottoposizione a vincoli procedimentali dell’esercizio della competenza legislativa regionale in tema di individuazione di maggiori obiettivi di riciclo e recupero dei rifiuti, che la stessa norma statale attribuisce ad essa, determina evidentemente una lesione della sfera di competenza regionale. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Accordi e contratti di programma finalizzati a promuovere l’impiego di tecniche volte ad assicurare livelli più elevati di tutela ambientale - Art. 206, cc. 2 e 3 D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Artt. 117 e 118 Cost. - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.- dell’art. 206, cc. 2 e 3 D.L.vo n. 152/2006 .L’asserita violazione delle attribuzioni regionali è infatti priva di fondamento, trattandosi di un ambito normativo, quello inerente alla disciplina degli accordi e contratti di programma finalizzati a promuovere l’impiego, su tutto il territorio nazionale, di tecniche volte ad assicurare livelli più elevati di tutela dell’ambiente (mediante la promozione dell’utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale nonché del ritiro dei beni di consumo al termine del ciclo di utilità), riconducibile, in via prevalente, alla competenza statale esclusiva in tema di tutela dell’ambiente, con conseguente esclusione della necessità di forme di coinvolgimento delle autonomie territoriali. Né, d’altra parte, risulta violato l’art. 118 Cost., tenuto conto che è con la stipulazione dei predetti accordi e contratti che vengono fissati gli standard di tutela dell’ambiente connessi all’impiego delle tecniche richiamate, sicché l’attribuzione agli organi statali della relativa competenza obbedisce all’esigenza unitaria di assicurare che detti livelli siano uniformemente rispettati sull’intero territorio nazionale. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Nuovi impianti - Procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica - Art. 208, c. 10, D.L.vo n. 152/2006 - Poteri sostitutivi statali - Interpretazione. L’art. 208, c. 10 D.L.vo n. 152/2006 non interviene a disciplinare il potere sostitutivo dello Stato in caso di inerzia, nella conclusione del procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti, da parte di autorità competenti riconducibili agli enti locali, escludendo che le Regioni, titolari di proprie competenze in tema di governo del territorio e di tutela della salute, possano esercitare preventivamente il proprio potere sostitutivo. Al contrario, la norma si inserisce nell’ambito della disciplina di un articolato procedimento all’esito del quale è attribuito alla Regione il compito di approvare il progetto ed autorizzare la realizzazione e la gestione dell’impianto. Tale procedimento è puntualmente disciplinato al fine di assicurare che il rilascio dell’autorizzazione avvenga sulla base di una complessa istruttoria finalizzata a garantire, in attuazione delle indicazioni della normativa comunitaria, la regolarità della messa in esercizio dei predetti impianti «proprio in considerazione dei valori della salute e dell’ambiente che si intendono tutelare in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale» (sentenze n. 62 del 2008, n. 173 del 1998; si vedano, altresì, le sentenze n. 194 del 1993 e n. 307 del 1992). Per questo motivo - ed in considerazione della necessità che si giunga in termini di tempo ragionevoli ad una verifica relativa alla sussistenza o meno dei requisiti prescritti per la messa in opera degli impianti - la norma stabilisce che l’istruttoria, che deve svolgersi mediante convocazione di apposita conferenza dei servizi cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti ed i rappresentanti delle autorità d’ambito e degli enti locali interessati nonché con l’eventuale ausilio delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, si concluda entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda con il rilascio dell’autorizzazione o con il diniego motivato della stessa da parte dell’ente competente, e cioè della Regione. E’ perciò in sostituzione di quest’ultima - ed a protezione dei richiamati interessi costituzionali - che l’art. 208, comma 10, prescrive l’operatività dei poteri sostitutivi statali di cui all’art. 5 del D.L.vo n. 112 del 1998, senza con ciò escludere l’esercizio, da parte delle Regioni, di un proprio potere sostitutivo, inerente alle proprie competenze, in ordine all’espletamento delle singole fasi del procedimento istruttorio. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Impianti di ricerca e sperimentazione - Procedimento di autorizzazione - Art. 211, c.3, D.L.vo n. 152/2006 - Interessato - Possibilità di adire l’amministrazione centrale in caso di inerzia regionale - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. La disposizione di cui all’art. 211, c. 3 D.L.vo n. 152/2006 si colloca nell’ambito della disciplina del procedimento di autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio di impianti di ricerca e sperimentazione per il quale sono stabiliti, al ricorrere di specifiche condizioni, termini di tempo ridotti rispetto a quelli previsti per la generalità degli impianti, proprio in ragione della rilevanza degli stessi in vista della protezione dell’ambiente. Orbene, la possibilità accordata dalla norma censurata all’interessato di adire direttamente l’amministrazione centrale nell’eventualità che la Regione non abbia provveduto ad approvare il progetto o ad autorizzare la realizzazione di uno dei predetti impianti nei termini prescritti costituisce solo il riconoscimento in capo all’interessato di uno strumento di stimolo all’eventuale attivazione del potere sostitutivo statale, che non è peraltro fatto oggetto di disciplina e, comunque, non esclude, anzi impone che l’amministrazione centrale tenga conto delle motivazioni che, in sede istruttoria, hanno indotto la Regione a non emettere il provvedimento richiesto nel termine previsto, non configurandosi pertanto alcuna lesione delle competenze regionali. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
RIFIUTI - Albo nazionale dei gestori ambientali - Comitato nazionale - Sezioni regionali e provinciali - Art. 212, c. 2, D.L.vo n. 152/2006 - Riduzione dei componenti di derivazione regionale - Lesione delle sfere di competenza regionali - Insussistenza. Sia il Comitato nazionale che le sezioni regionali e provinciali - cfr. art. 212, c. 2 D.L.vo n. .152/2006 - sono organi dell’albo nazionale dei gestori ambientali, le cui competenze sono essenzialmente costituite dalla verifica della sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge per lo svolgimento delle attività di raccolta, trasporto, commercio ed intermediazione dei rifiuti, nonché di gestione degli impianti di smaltimento e di recupero degli stessi, da parte delle imprese che chiedano l’iscrizione al medesimo albo, in vista del principale obiettivo della garanzia del rispetto, da parte delle predette imprese, dei livelli omogenei di tutela dell’ambiente, in tutto il territorio nazionale. Detti organi operano, pertanto, in funzione del soddisfacimento delle predette esigenze unitarie, in un ambito riconducibile alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva statale, sicché la riduzione del numero dei componenti di derivazione regionale all’interno dei medesimi non determina alcuna lesione delle sfere di competenza regionale. Pres. Amirante, Est. Tesauro - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 249
SENTENZA N. 249
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli articoli 181, commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12; 183,
comma 1; 185, comma 1; 186; 189, commi 1 e 3; 194; 195, comma 1, lettere f), g),
l), m), n), o), p), q) e t), comma 2, lettere b), e), l), m), n), q) e s) e
comma 4; 196; 197; 199, commi 5, 8, 9 e 10; 200; 201; 202; 203; 204; 205; 206,
commi 2 e 3; 207, comma 1; 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 10, 11, 12, da 15 a 20;
209, commi da 2 a 5 e 7; 210; 211, commi da 2 a 5; 212; 214, commi 2, 3, 5 e 9;
215 e 216, commi 1, da 3 a 7 e da 10 a 15, del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni
Emilia-Romagna (n. 2 ricorsi), Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d'Aosta,
Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata, con ricorsi
notificati il 24 aprile, l'8, il 9, il 12, il 13, il 12-21 ed il 12-27 giugno
2006, depositati in cancelleria il 27 aprile, il 10, il 14, il 15, il 16, il 17,
il 20, il 21 ed il 23 giugno 2006, ed iscritti ai nn. 56, 68, 69, 70, 71, 72,
73, 74, 75, 76, 78, 79 ed 80 del registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; nonché
gli atti di intervento dell'Associazione Italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia - Onlus), della Biomasse Italia S.p.a. ed altre;
udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Giuseppe
Tesauro;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per la Regione
Emilia-Romagna, Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Lucia Bora
e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Fabio Lorenzoni per la Regione
Piemonte, Giampaolo Parodi per la Regione Valle d'Aosta, Giandomenico Falcon per
le Regioni Umbria e Liguria, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Vincenzo
Cocozza per la Regione Campania, Gustavo Visentini per la Regione Marche,
Alessandro Giadrossi per l'Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia - Onlus), e gli avvocati dello Stato Fabrizio Fedeli e Sergio
Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso, notificato il 24 aprile 2006, depositato il successivo 27
aprile, la Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 56 del 2006) ha promosso
questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), fra le quali
gli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, lettere g), h), m), q) ed u), 186,
189, comma 3, 214, commi 3 e 5, in riferimento agli artt. 11, 76, 117 e 118
della Costituzione.
In particolare, la ricorrente impugna l'art. 181, comma 7, nella parte in cui
prevede che «soggetti economici» o associazioni di categoria rappresentative dei
settori interessati, anche con riferimento ad interi settori economici e
produttivi, possano stipulare «con il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio [...] appositi accordi di programma [...] per definire i metodi di
recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di
combustibili o di prodotti», nonché per la fissazione delle modalità e degli
adempimenti amministrativi per la raccolta, per la messa in riserva, per il
trasporto dei rifiuti, per la loro commercializzazione, anche tramite il mercato
telematico, e per i controlli delle caratteristiche, come anche per la
determinazione delle caratteristiche delle materie prime secondarie, dei
combustibili e dei prodotti ottenuti nonché delle modalità volte ad assicurare
la loro tracciabilità fino all'ingresso nell'impianto di effettivo impiego.
Ad avviso della ricorrente, le richiamate disposizioni opererebbero una
«deregolamentazione mascherata del settore», in pieno contrasto con le normative
europee più volte ribadite dalle decisioni della Corte di giustizia, giacchè
introdurrebbero definizioni di smaltimento e recupero dei rifiuti non conformi
con quanto indicato all'art. 1, lettere e) ed f) della direttiva 75/442/CEE
(Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti), nonché definizioni di
sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS) non coerenti con le
indicazioni fornite dalle sentenze della Corte di giustizia europea (sentenze
C-418/97, C-419/97 - “arco”; C-9/00 - “Palin Granit C; C-114/01, “Avesta Polarit
Chrome” e, in particolare, C-457/02 “Niselli”). A ciò la ricorrente aggiunge la
considerazione che il ricorso allo strumento dell'accordo e del contratto di
programma, di cui all'art. 181, altererebbe la gerarchia delle fonti del diritto
e determinerebbe una lesione dei principi di certezza del diritto, eguaglianza,
generalità ed astrattezza delle norme, sostituendo alla disciplina generale una
serie indeterminata di accordi applicabili solo agli aderenti.
Per le stesse ragioni, sarebbero costituzionalmente illegittimi i commi 3 e 5
dell'art. 214, nella parte in cui ammettono rispettivamente lo strumento
dell'accordo “deregolatorio” per le procedure semplificate di smaltimento dei
rifiuti.
Anche l'art. 186 del decreto impugnato, nella parte in cui introduce un'ipotesi
generale di esenzione per le terre e rocce da scavo, sarebbe in contrasto con la
normativa comunitaria, come dimostrato dall'esistenza di una procedura di
infrazione avviata contro la Repubblica italiana a causa di una disposizione
analoga contenuta nella legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in
materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri
interventi per il rilancio delle attività produttive) (art. 1, comma 15).
Le norme impugnate non contrasterebbero solo con le richiamate norme comunitarie
e, quindi, con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., ma anche con l'art. 76
Cost., violando la legge delega 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per
il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia
ambientale e misure di diretta applicazione) che fissa, tra i criteri direttivi
(art. 1, comma 8), la «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie,
al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in
tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando
fenomeni di distorsione della concorrenza» (lettera e) e l'«affermazione dei
principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione
degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio “chi inquina paga”»
(lettera f). Tali violazioni determinerebbero anche una lesione delle competenze
regionali in tema di tutela dell'ambiente, di tutela della salute e di governo
del territorio, pregiudicando il corretto svolgimento delle funzioni regionali
in quelle materie.
Posto che la riforma legislativa operata dal legislatore statale, incidendo su
funzioni già attribuite alla Regione, sarebbe viziata sia per violazione della
delega che per violazione del diritto comunitario, ne risulterebbe «sconvolto»
l'assetto normativo ed amministrativo disegnato dalla legislazione regionale,
che verrebbe in molte parti abrogata dall'atto legislativo in questione, creando
uno stato di «precarietà» normativa.
Tenuto conto che spetta alla Regione, a tenore dell'art. 117, quinto comma, Cost.,
dare attuazione alle norme comunitarie e che la supremazia del diritto
comunitario deve essere garantita anche attraverso la non applicazione delle
norme legislative interne contrastanti con le norme comunitarie self executing,
la ricorrente sostiene che sarà tenuta a non applicare nel proprio territorio le
norme del decreto impugnato che risultino in contrasto con le norme ad effetto
diretto poste dal diritto comunitario derivato e dalle sentenze della Corte di
giustizia che di esso forniscono interpretazione, con il risultato di uno stato
di «incertezza normativa», non privo di preoccupanti riflessi sulla repressione
penale dei reati ambientali legati alla disciplina dei rifiuti. Tale stato di
incertezza determinerebbe gravissime conseguenze sugli interessi pubblici alla
tutela dell'ambiente, della salute e della sicurezza pubblica.
Sulla base di argomenti analoghi la Regione Emilia-Romagna censura, inoltre,
l'art. 189, comma 3, del medesimo decreto, nella parte in cui delimita
restrittivamente l'obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le
quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di attività di
raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti, esentandone le imprese
e gli enti che producono rifiuti non pericolosi.
Con tale atto la ricorrente ha chiesto, peraltro, la sospensione dell'esecuzione
delle norme impugnate, su cui la Corte, con ordinanza n. 245 del 2006, ha
pronunciato declaratoria di non luogo a provvedere.
1.2.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Emilia-Romagna, con
memoria depositata in data 14 maggio 2009, ha dichiarato di rinunciare alle
censure proposte nei confronti degli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1,
186, 189, comma 3, e 214, commi 3 e 5.
2.- Con ricorso, notificato l'8 giugno 2006, depositato il successivo 10 giugno,
la Regione Calabria (reg. ric. n. 68 del 2006) ha promosso questione di
legittimità costituzionale di numerose disposizioni del D.L.vo n. 152 del 2006,
fra le quali, gli artt. 181, commi 3, secondo periodo, e da comma 5 a comma 12,
186, 189, commi 1, secondo periodo, e 3, 195, comma 1, lettere f), g) e t),
comma 2, lettera b) (in combinato disposto con l'art. 196, comma 1, lettera m),
ed in combinato disposto con l'art. 195, comma 4, 197, comma 1, da 199 a 207,
208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12, da 15 a 20, gli artt. 210, 211, commi da 2 a
5, 212, commi 2 e 3, 214, commi 3 e 5, 215, commi 3, 4, 5 e 6, e 216, commi da 3
a 7 e da 10 a 15, in riferimento a numerosi parametri di seguito indicati.
Preliminarmente, la ricorrente osserva che la gestione dei rifiuti e gli ambiti
strettamente connessi a questo settore, oggetto delle norme censurate, si
caratterizzano per un intreccio di competenze di diversa natura. Pertanto, la
necessità di un approccio basato sul concorso di competenze - «variamente
combinato, quanto a prevalenza e concorrenza, in ragione dei singoli specifici
ambiti normativi» - renderebbe costituzionalmente illegittimi, per violazione
dell'art. 117 Cost.: l'art. 181, commi da 5 a 12; l'art. 189, comma 3; gli artt.
da 199 a 207; gli artt. da 208 a 211; gli artt. 215 e 216.
Quanto al primo gruppo di norme (art. 181, commi da 5 a 12), la ricorrente
osserva che esse, disciplinando in modo dettagliato le procedure attraverso le
quali perseguire il recupero dei rifiuti, vanno molto al di là «rispetto alla
esigenza di porre standards uniformi di tutela ambientale su tutto il territorio
nazionale, non limitandosi [...] ad individuare gli orientamenti generali cui
gli operatori debbono attenersi [...], ma specificando minutamente finanche gli
strumenti in base ai quali porre in essere gli obiettivi (gli accordi di
programma) e le procedure da seguire».
Con riguardo all'art. 189, comma 3, la Regione Calabria sostiene che
l'esenzione, per alcune delle imprese e degli enti che producono rifiuti non
pericolosi, dall'obbligo di comunicazione annuale alle Camere di commercio delle
quantità e delle caratteristiche dei rifiuti oggetto di attività di raccolta,
trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti, contrasti apertamente con la
crescente esigenza di ampliare il più possibile il monitoraggio dei rifiuti
prodotti e sia quindi all'origine di un normativa irrazionale, lesiva, per ciò
stesso, dell'art. 3 Cost., oltre che delle attribuzioni costituzionali degli
enti regionali. Essa, infatti, determinerebbe una compressione dei poteri di
controllo che spettano, tra gli altri soggetti, anche alle Regioni e che sono
poteri «particolarmente caratterizzanti in un ambito incidente sulla “tutela
della salute” collettiva, certamente minacciata da una “gestione allegra” dei
rifiuti (anche se non pericolosi)».
Quanto, poi, agli artt. da 199 a 207, la ricorrente premette che essi
intervengono a disciplinare il servizio di gestione integrata dei rifiuti,
materia che si colloca nel punto di intersezione di diverse competenze normative
tra le quali, accanto alla tutela dell'ambiente, vi sono la tutela della salute
e la disciplina dei servizi pubblici regionali e locali. Posto che non è
possibile individuare un titolo di competenza in grado di prevalere sugli altri,
la Regione ritiene che sia indefettibile l'adozione di un modulo collaborativo
nella elaborazione della disciplina di tutta la materia, con conseguente
illegittimità costituzionale delle norme predette per «vizio procedurale», non
essendo state approvate a seguito di un coinvolgimento degli enti territoriali
infra-statuali in forme idonee, individuabili nell'intesa.
La Regione Calabria osserva, altresì, che, anche ove si intendesse risolvere la
concorrenza di competenze attraverso l'attribuzione alla tutela dell'ambiente di
una posizione di prevalenza, gli articoli censurati non sarebbero immuni da vizi
di legittimità costituzionale, nella misura in cui pongono una disciplina di
dettaglio, non giustificabile in relazione alla determinazione da parte dello
Stato degli standards di tutela uniformi. In particolare, sarebbero
costituzionalmente illegittimi sotto tale profilo: l'art. 199, comma 3, in tema
di contenuti dei piani regionali di gestione; l'art.199, comma 5, che reca la
disciplina dei piani di bonifica delle aree inquinate; l'art. 201, che, dettando
norme in tema di Autorità d'ambito, incide anche sulla gestione concreta
dell'attività in forme più invasive di quelle contemplate dall'art. 23 del
decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva
91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), in
violazione dell'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, il quale rinvia
all'art. 85 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59); l'art. 202, in tema
di affidamento del servizio di gestione dei rifiuti; gli artt. 203 e 204, la cui
illegittimità costituzionale deriva, come conseguenza, da quella dell'art. 202.
Ulteriori censure di illegittimità costituzionale vengono poi indicate dalla
ricorrente nei confronti delle disposizioni in esame. In specie l'art. 199,
comma 8, e l'art. 204, comma 3, secondo periodo, violerebbero l'art. 120,
secondo comma, Cost., anche alla luce di quanto previsto dall'art. 8 della legge
5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della
Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), nella parte in cui conferiscono
l'esercizio del potere sostitutivo statale nei confronti delle Regioni al
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, anziché all'organo di
vertice del Governo nazionale, come esplicitamente richiesto dall'art. 8, comma
1, della legge n. 131 del 2003; l'art. 204, comma 3, secondo periodo, poi,
sarebbe lesivo dell'art. 120, secondo comma, Cost., in ragione della totale
assenza di garanzie approntate per l'ente sostituendo; l'art. 205, comma 6,
sarebbe in contrasto con gli artt. 114 e 117 Cost., in quanto, nel prevedere la
necessità per le Regioni di legiferare a seguito di una intesa con il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, produrrebbe un anomalo vincolo
amministrativo sulla funzione legislativa regionale; i commi 2 e 3 dell'art. 206
violerebbero il principio di leale collaborazione nonché l'art. 118 Cost.,
consentendo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di stipulare
accordi e contratti di programma con soggetti pubblici e privati o con le
associazioni di categoria al fine di promuovere l'utilizzo dei sistemi di
certificazione ambientale e di attuare programmi di ritiro dei beni di consumo
al termine del loro ciclo di utilità senza coinvolgere in alcun modo le Regioni,
e ciò nonostante l'impatto che le attività previste possono avere sul territorio
di queste.
Quanto, poi, agli artt. da 208 a 211, la Regione osserva che essi, nella parte
in cui disciplinano la procedura per l'ottenimento di autorizzazione per i nuovi
impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, per il rinnovo delle
autorizzazioni, per le autorizzazioni in ipotesi particolari e per
l'autorizzazione di impianti di ricerca e sperimentazione, «sono ben lungi dal
potersi sussumere nell'ambito degli standards di tutela uniformi in materia
ambientale». In particolare, sarebbero in tale prospettiva costituzionalmente
illegittimi: l'art. 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12, da 15 a 20, in quanto
disciplina la procedura da seguire per l'autorizzazione prevista per i nuovi
impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, contemplando, fra l'altro,
termini procedimentali generali e di durata delle autorizzazioni, contenuti
specifici dell'autorizzazione, adempimenti particolari; l'art. 209, commi da 2 a
5 e 7, in tema di rinnovo delle autorizzazioni; l'art. 210 nella sua
integralità, trattandosi di norma derogatoria rispetto agli artt. 208 e 209 e
quindi estranea al concetto di standard di tutela uniforme; l'art. 211, commi da
2 a 5, che, dopo aver posto standard particolari per gli impianti di ricerca e
di sperimentazione, si sofferma a disciplinare nel dettaglio la procedura da
seguire ed il termine dell'autorizzazione.
A tali censure la ricorrente aggiunge la considerazione che l'art. 211, quanto
al comma 3, sarebbe anche lesivo degli artt. 118 e 120 Cost., nella parte in cui
stabilisce che, in caso di mancata approvazione da parte della Regione del
progetto o della relazione dell'impianto di ricerca o sperimentazione,
l'interessato può rivolgersi direttamente al Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio, ponendo nel nulla qualunque motivazione che la Regione
abbia addotto per bloccare l'attività. Tale anomalo potere di sostituzione
costituirebbe una deroga ingiustificata al principio di sussidiarietà non
ricollegabile neppure all'esercizio del potere sostitutivo contemplato dalla
Costituzione, data la totale assenza di garanzie per l'ente sostituendo.
Anche il comma 4 dell'art. 211 sarebbe costituzionalmente illegittimo sotto il
profilo della violazione dell'art. 118 Cost. e, in subordine, del principio di
leale collaborazione, dal momento che, in contrasto con il principio di
sussidiarietà, assegna direttamente al Ministro dell'ambiente la competenza ad
autorizzare impianti in caso di rischio di agenti patogeni o di sostanze
sconosciute o pericolose dal punto di vista sanitario, senza prevedere alcun
coinvolgimento delle Regioni.
Quanto, infine, agli artt. 215 e 216, la Regione Calabria sostiene - con
particolare riferimento ai commi da 3 a 6 dell'art. 215 ed ai commi da 3 a 7 e
da 10 a 15 dell'art. 216 -che essi, nella parte in cui dettano la disciplina di
procedure semplificate in tema di autosmaltimento e di operazioni di recupero,
si pongono al di là della predisposizione di standards di tutela uniformi in
materia ambientale.
Un secondo gruppo di censure viene, poi, proposto dalla Regione Calabria in
riferimento all'art. 76 Cost. sulla base del rilievo che anche la legge delega
n. 308 del 2004 assegna alle Regioni - attraverso il richiamo alle attribuzioni
regionali formalizzate nel testo costituzionale e nel decreto legislativo 31
agosto 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della l. 15
marzo 1997, n. 59) - un ruolo ben più esteso di quello che il decreto
legislativo impugnato delinea, in tal modo intendendo preservare il sistema da
normative ipertrofiche statali. In particolare, la ricorrente ritiene che sia
lesivo dell'art. 76 Cost., in riferimento all'art. 1, comma 8, della citata
legge n. 308 del 2004, l'art. 201, in quanto detta norma, nel disciplinare
l'Autorità d'ambito, «ipostatizza una certa organizzazione della gestione dei
rifiuti urbani, vincolando le Regioni in modo più incisivo di quanto previsto
all'art. 23 del decreto legislativo n. 22 del 1997, oggetto di rinvio esplicito
da parte dell'art. 85 del decreto legislativo n. 112 del 1998, il quale si era
limitato a dettare norme assolutamente generali, chiamando i livelli di governo
infra-statuali ad un'attuazione largamente discrezionale».
Ad analoghe censure si esporrebbe anche il combinato disposto degli artt. 195,
comma 2, lettera b), e 196, comma 1, lettera m), del decreto legislativo n. 152
del 2006, nella parte in cui stabilisce che è di competenza dello Stato
«l'adozione delle norme e delle condizioni per l'applicazione delle procedure
semplificate di cui agli arti. 214, 215 e 216, ivi comprese le linee guida
contenenti la specificazione della relazione da allegare alla comunicazione
prevista da tali articoli», mentre è di competenza regionale «la specificazione
dei contenuti della relazione da allegare alla comunicazione [...] nel rispetto
delle linee guida». Tali previsioni, poste a raffronto con l'art. 19 del D.L.vo
n. 22 del 1997, rivelerebbero «1'arretramento della posizione delle Regioni»,
posto che, ai sensi della lettera m) del comma 1 del predetto art. 19, la
competenza delle Regioni avrebbe dovuto riguardare «l'integralità della
definizione dei contenuti della relazione da allegare».
Il medesimo vizio di illegittimità costituzionale inficerebbe, poi, anche l'art.
197, comma 1, nella parte in cui, elencando le competenze provinciali, ne
avrebbe determinato una illegittima riduzione rispetto a quelle indicate
nell'art. 20 del D.L.vo n. 22 del 1997.
Un ulteriore gruppo di censure è poi rivolto a svariate disposizioni del D.L.vo
n. 152 del 2006, in relazione al primo comma dell'art. 117 Cost., in
considerazione del fatto che il mancato rispetto di norme comunitarie si
riverbererebbe nella lesione di attribuzioni costituzionali della Regione.
La ricorrente ritiene, infatti, che l'art. 181 del decreto in esame, nella parte
in cui disciplina gli accordi di programma, si porrebbe in contrasto con l'art.
11 della direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006, (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio, relativa ai rifiuti), che consente agli Stati membri di
dispensare dall'autorizzazione richiesta «gli stabilimenti o le imprese che
provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di
produzione» e «gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti», soltanto a
condizione che «le autorità competenti abbiano adottato per ciascun tipo di
attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le
condizioni alle quali l'attività può essere dispensata dall'autorizzazione» e
che «i tipi o le quantità di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di recupero
siano tali da rispettare le condizioni imposte all'articolo 4» della direttiva
medesima. In sostanza, l'art. 181, commi da 7 a 11, determinerebbe una
deregulation del tutto priva delle cautele predisposte a livello comunitario.
In tal modo, le predette disposizioni arrecherebbero anche un pregiudizio
diretto nei confronti delle attribuzioni costituzionali delle Regioni sotto due
distinti profili.
Sotto un primo profilo, la invalidità della disciplina nazionale per contrasto
con il diritto comunitario produrrebbe un'incertezza nei rapporti giuridici
analoga, nella sostanza, a quella evidenziata, a proposito della violazione
dell'art. 76 della Costituzione. Sotto un secondo profilo, la deregulation
imposta dalle disposizioni censurate si tradurrebbe in una deminutio della sfera
di attività disciplinabili ad opera del potere legislativo e, dunque, anche da
parte del legislatore regionale, titolare di rilevanti poteri nel settore in
parola.
Sulla base di analoghi argomenti la ricorrente sostiene anche l'illegittimità
costituzionale dei commi 3 e 5 dell'art. 214, relativi alla determinazione delle
attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure
semplificate.
Costituzionalmente illegittimo per violazione del diritto comunitario sarebbe,
poi, anche l'art. 186 del d.lgs n. 152 del 2006, nella parte in cui esclude
dalla nozione di rifiuto, in linea generale, le terre e rocce da scavo, in
contrasto con l'ampia definizione di rifiuto accolta in sede comunitaria, la
quale comprende «qualsiasi sostanza od oggetto [...] di cui il detentore si
disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi» (art. 1, lettera a, della
direttiva 2006/12/CE).
La dedotta violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., si rifletterebbe
nuovamente sulle attribuzioni costituzionali delle Regioni, «vuoi per la
situazione di incertezza ingenerata dall'antinomia fra fonte interna e fonte
comunitaria, vuoi per il fatto che l'esclusione delle terre e rocce da scavo
dalla disciplina dei rifiuti si ripercuote negativamente sul potere legislativo
regionale in materia di rifiuti, che viene limitato nella propria portata
oggettiva».
La Regione Calabria prospetta, quindi, ulteriori censure di illegittimità
costituzionale nei confronti di varie disposizioni dell'impugnato decreto
legislativo.
In particolare, la ricorrente censura una serie di disposizioni dell'impugnato
decreto per violazione del principio di leale collaborazione.
Fra queste, in primo luogo, viene impugnato l'art. 181, comma 3, secondo
periodo, nella parte in cui stabilisce che le agevolazioni per le imprese che
intendano modificare i propri cicli produttivi, per ridurre la quantità o la
pericolosità dei rifiuti prodotti ovvero per favorire il recupero di materiali,
siano erogate sulla base di modalità, tempi e procedure fissati con decreto del
Ministro delle attività produttive, «di concerto con i Ministri dell'ambiente e
della tutela del territorio, dell'economia e delle finanze e della salute». Tale
disposizione, infatti, non prevede alcun coinvolgimento delle Regioni, sebbene
la finalità delle agevolazioni renda palese l'incidenza anche su materie altre
rispetto alla tutela dell'ambiente quali, ad esempio, la tutela della salute e
l'industria, di competenza rispettivamente concorrente e residuale. Sulla base
della considerazione della sussistenza dell'indicato concorso di competenze, la
ricorrente ritiene che un primo vizio di illegittimità costituzionale della
norma in esame derivi dalla violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., in
ragione della previsione, in essa contenuta, dell'esercizio del potere
regolamentare da parte dello Stato; in subordine, la norma sarebbe comunque in
contrasto con l'art. 117 e con l'art. 119, quinto comma, Cost. e con il
principio della leale collaborazione, per la mancata previsione dell'intesa con
la Conferenza Stato-Regioni come presupposto dell'azione ministeriale.
Anche l'art. 189, comma 1, secondo periodo, del medesimo decreto legislativo
sarebbe in contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost., nonché, in subordine,
con il principio di leale collaborazione, nella parte in cui attribuisce al
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio la competenza a dettare
norme di organizzazione del Catasto dei rifiuti, omettendo ogni riferimento ad
un intervento regionale, peraltro a fortiori necessitato dalla circostanza che
le sezioni regionali del catasto hanno sede appunto presso le Regioni.
L'art. 195, comma 1, lettere f) e g), dell'impugnato decreto sarebbe, poi,
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce che spettino allo
Stato, rispettivamente, l'individuazione degli impianti di recupero e di
smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese e la definizione di un piano nazionale
di comunicazione e conoscenza ambientale. In entrambi i casi, infatti,
nonostante si faccia salvo il rispetto delle attribuzioni costituzionali delle
Regioni, si limita l'intervento delle autonomie territoriali ad un mero parere
della Conferenza unificata, anziché prescriversi, come imposto dal principio di
leale collaborazione, il raggiungimento di una intesa che orienti l'operato
degli organi statali nelle predette attività.
Ancor più evidente sarebbe - ad avviso della Regione Calabria - la violazione
dell'art. 117, sesto comma, Cost. e, in subordine, del principio di leale
collaborazione determinata dall'art. 195, comma 2, lettera b), in combinato
disposto con l'art. 195, comma 4, nella parte in cui prevede che, con un decreto
ministeriale, adottato senza alcun intervento di istanze rappresentative delle
autonomie territoriali, si adottino le norme e le condizioni per l'applicazione
delle procedure semplificate di cui agli artt. 214, 215 e 216.
L'art. 195, comma 1, lettera t), è, poi, impugnato nella parte in cui stabilisce
che spetta allo Stato «l'adeguamento della parte quarta del [...] decreto alle
direttive, alle decisioni ed ai regolamenti dell'Unione europea», in palese
violazione del quinto comma dell'art. 117 Cost., secondo il quale l'adeguamento
del diritto interno agli obblighi comunitari spetta allo Stato e alle Regioni in
relazione alle rispettive competenze.
Infine, l'art. 212, commi 2 e 3, del medesimo decreto legislativo viene
censurato in riferimento agli artt. 114 e 118 Cost., in ragione della
composizione del Comitato nazionale dell'albo dei gestori ambientali e delle
sezioni regionali e provinciali dell'albo medesimo. In particolare, il comma 2
del predetto art. 212 è censurato nella parte in cui dispone che il citato
Comitato nazionale sia composto di diciannove membri, di cui ben sette (compresi
Presidente e Vicepresidente) nominati da varie componenti del Governo e soltanto
tre dalle Regioni, rendendo in tal modo assolutamente marginale la presenza di
queste ultime, nonostante l'albo dei gestori ambientali raccolga i soggetti
abilitati a svolgere attività che hanno effetti diretti sul territorio regionale
e, soprattutto, che ricadono in ambiti di competenza regionale (sub specie di
competenze residuali - commercio ed industria - o di competenze concorrenti -
tutela della salute e governo del territorio).
Quanto al comma 3, anch'esso viene censurato per le stesse ragioni, dal momento
che le sezioni regionali e provinciali risultano composte in maniera tale da
rendere marginale il ruolo delle singole Regioni chiamate a nominare soltanto il
vicepresidente, all'interno di un collegio composto di otto membri, tra cui
anche uno designato dal Ministro dell'ambiente e del territorio.
2.1.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Calabria, con memoria del
22 aprile 2009, ribadisce l'interesse a coltivare il ricorso, con esclusione
delle censure proposte nei confronti dell'art. 207, comma 1, in riferimento alle
quali chiede che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.
3.- Con ricorso, notificato il 12-21 giugno 2006, depositato il successivo 16
giugno, anche la Regione Toscana (reg. ric. n. 69 del 2006) ha promosso
questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del D.L.vo n.
152 del 2006, fra le quali, gli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1,
lettere f) e q), 185, comma 1, 186, 189, commi 1 e 3, 195, comma 1, lettera f),
comma 2, lettere b), e), 1), m) ed s), 196, comma 1, lettera d), 199, commi 9 e
10, 201, comma 6, 202, comma 1, 203, comma 2, lettera c), 208, comma 10, 212,
commi 2 e 3, 214, commi 2 e 3, 215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4, in
riferimento agli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost. ed al principio di leale
collaborazione.
In primo luogo, la Regione Toscana impugna l'art. 181, commi da 7 a 11, e l'art.
183, comma 1, lettera q), del D.L.von. 152 del 2006, per violazione degli arti.
11, 76, 117 e 118 Cost.
In particolare, l'art. 181 è censurato nella parte in cui stabilisce che il c.d.
“recupero dei rifiuti” possa essere disciplinato mediante accordi di programma
di cui provvede a disciplinare le modalità di stipulazione, approvazione e
pubblicazione (comma 7, secondo periodo e commi da 8 a 11). A tale previsione si
collega l'art. 183, comma 1, lettera q), che definisce le c.d. materie prime
secondarie, individuate nelle sostanze o materie aventi le caratteristiche
stabilite ai sensi dell'art. 181. Tali norme - secondo la Regione Toscana - si
pongono in contrasto con la normativa comunitaria e con la legge delega, nella
parte in cui consentono che gli accordi di programma deroghino al sistema
normativo previgente (in parte trasfuso nel Testo Unico), istituendo una
contrattazione diretta tra privati ed Amministrazione statale idonea ad
escludere dal regime dei rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e
controllo tutta una serie di materiali o sostanze - tra cui le materie prime
secondarie - nonché i metodi di recupero dei rifiuti e le modalità per la
raccolta, per la messa in riserva, per il trasporto e commercializzazione dei
rifiuti, che nella legislazione vigente e nel diritto comunitario, invece, vi
sono assoggettati. Questa deregolamentazione o privatizzazione della disciplina
del recupero dei rifiuti, avendo come naturale conseguenza la sottrazione al
regime dei rifiuti di molte sostanze e materie sulla base di una mera
contrattazione, si porrebbe in evidente contrasto con la direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE, così come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE del 18 marzo
1991 (Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 75/442/CEE relativa ai
rifiuti), nella parte in cui prevede, all'art. 11, che il generale obbligo
dell'autorizzazione per lo svolgimento di attività di recupero dei rifiuti (art.
10) possa essere derogato solo «qualora le autorità competenti abbiano adottato
per ciascun tipo di attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di
rifiuti alle quali l'attività può essere dispensata dall'autorizzazione».
La Regione Toscana ritiene che, per le ragioni sopra esposte, il combinato
disposto degli artt. 181, commi da 7 a 11, e 183, comma 1, lettera q), si ponga
in contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma
8, della legge delega n. 308 del 2004 e, in particolare, con quelli di cui alle
lettere e) ed f), in precedenza richiamati.
I rilevati contrasti evidenzierebbero la violazione, da parte del predetto
combinato disposto, degli artt. 11 e 76 della Costituzione, che ridonderebbe
nella lesione delle competenze regionali in materia di valorizzazione
ambientale, di tutela della salute e di governo del territorio, dal momento che
i citati accordi di programma dovranno prevedere l'individuazione dei luoghi in
cui effettuare il recupero dei rifiuti, andando a vincolare la destinazione
urbanistica di tali siti finalizzati al recupero, senza alcun intervento da
parte delle Regioni interessate.
Analoghe censure vengono, poi, proposte dalla Regione Toscana in relazione
all'art. 183, comma 1, lettera f), nella parte in cui definisce la raccolta
differenziata come la «raccolta idonea, secondo criteri di economicità,
efficacia, trasparenza ed efficienza, a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni
merceologiche omogenee, al momento della raccolta o, per la frazione organica
umida, anche al momento del trattamento, nonché a raggruppare i rifiuti di
imballaggio separatamente dagli altri rifiuti urbani, a condizione che tutti i
rifiuti sopra indicati siano effettivamente destinati al recupero».
La norma censurata, ammettendo la possibilità di procedere al raggruppamento dei
rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, con riferimento alla frazione
organica umida, anche in un momento successivo alla raccolta, si porrebbe in
contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti nonché con la legge
delega e, quindi, conseguentemente, con gli artt. 11, 76 e 117 Cost.
La disposizione in esame, infatti, consentendo una cernita della frazione
organica umida al momento del trattamento del rifiuto, produce - ad avviso della
ricorrente - l'effetto di ottenere un compost di qualità inferiore rispetto a
quello ottenibile con la separazione della frazione organica umida al momento
della raccolta, con la prevedibile riduzione dell'appetibilità di impiego del
materiale così recuperato ed il suo conseguente afflusso in discarica o verso la
termovalorizzazione. In tal modo essa determinerebbe -prosegue la Regione - da
un lato, l'abbandono dell'attività di recupero al momento della raccolta, in
quanto meno dispendiosa in termini di risorse, dall'altro, il degradamento della
qualità dei materiali ottenuti (il c.d. compost) tale da non consentire una loro
appetibilità da parte del mercato e, quindi, tale da farli ritornare nel
circuito delle discariche e/o termovalorizzatori, in contrasto con l'obiettivo
comunitario di cui all'art. 3 della direttiva n. 75/442/CE, secondo il quale le
normative nazionali devono essere tese al recupero dei rifiuti mediante riciclo,
reimpiego o riutilizzo.
Per le stesse ragioni, la norma in esame viene ritenuta in contrasto anche con i
principi ed i criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della legge
delega n. 308 del 2004 e, in particolare, con i principi ed i criteri di cui
alle lettere e) ed f).
Le richiamate violazioni si rifletterebbero sulle competenze regionali in
materia di tutela della salute e di governo del territorio, dal momento che
l'aumento dei materiali da conferire in discarica o alla termovalorizzazione
determinerebbe evidenti pregiudizi sul potere di pianificazione delle Regioni in
tema di impianti per la gestione dei rifiuti, nonché sull'ambiente e sulla
salute dell'intera collettività.
Ulteriori censure sono poi rivolte all'art. 185, comma 1, nella parte in cui
detta i limiti al campo di applicazione della parte quarta del D.L.vo n. 152 del
2006. Tale norma, infatti, disponendo che «non rientrano nel campo di
applicazione della parte quarta del presente decreto» i rifiuti ivi elencati, si
porrebbe in contrasto con la normativa comunitaria, in specie con l'art. 2 della
direttiva n. 75/442/CEE. Quest'ultima, infatti, stabilisce che sono escluse dal
campo di applicazione della normativa sui rifiuti solo quelle tipologie di
materiali che siano espressamente oggetto di una disciplina speciale, laddove la
norma dell'impugnato decreto stabilisce che sono sottratti al regime
autorizzatorio e di controllo proprio dei rifiuti tutti quelli elencati nella
stessa, anche ove manchi o venga abrogata la specifica disciplina di legge che
ne regola la gestione.
Per le stesse ragioni, la norma in esame violerebbe anche i principi ed i
criteri direttivi di cui all'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del
2004, in ragione del contrasto, in particolare, con quelli individuati alle
lettere e) ed f).
Le dedotte violazioni sarebbero lesive delle competenze costituzionali delle
Regioni in materia di tutela dell'ambiente, della salute e del governo del
territorio, dal momento che molti rifiuti potranno, in base all'applicazione
della norma censurata, essere sottratti all'assoggettamento ai poteri di
autorizzazione, controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle Regioni
dalla normativa comunitaria e dalla legislazione nazionale previgente, con
evidenti pregiudizi per la sicurezza e la salute dell'intera collettività.
Viene, poi, censurato anche l'art. 186, nella parte in cui sottrae le c.d.
“terre e rocce da scavo” alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti, in
contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti (direttiva n.
75/442/CEE come interpretata dalla Corte di giustizia europea con le sentenze
rese nelle cause C-418/97 e C-419/97 - “arco; C-9/00 - “Palin Granit”; C-114/01,
“Avesta Polarit Chrome”; e C-457/02, “Niselli”), nonché con la legge delega n.
308 del 2004 e, quindi, con gli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost..
Inoltre, per le stesse ragioni, la norma in esame si porrebbe in contrasto anche
con i principi e criteri direttivi di cui all'art. 1, comma 8, della legge
delega n. 308 del 2004, in particolare, con quelli di cui alle lettere e) ed f)
e con quelli di cui alle lettere a), b), h) ed i), secondo i quali il nuovo
testo unico avrebbe dovuto garantire la tutela ed il miglioramento della qualità
dell'ambiente e protezione della salute umana, attraverso la previsione di
misure idonee ad assicurare l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi
ambientali, nonché assicurare una più efficace tutela in materia ambientale
anche mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del sistema
sanzionatorio.
La Regione ricorrente osserva, altresì, che la disciplina di cui all'art. 186
non è stata coordinata con il d.m. 25 ottobre 1999, n. 471 (Regolamento recante
criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il
ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del D.L.vo 5
febbraio 1997, n. 22 e successive modificazioni e integrazioni), concernente la
bonifica dei siti inquinati, decreto richiamato al terzo comma della norma, in
tal modo determinando un effetto lesivo delle competenze regionali in materia di
governo del territorio e di tutela della salute.
Ulteriori censure sono, poi, prospettate nei confronti dell'art. 189, commi 1 e
3, nella parte in cui, dettando la disciplina del c.d. Catasto dei rifiuti,
modifica il regime posto dall'art. 11 del D.L.vo n. 22 del 1997. In particolare
l'art. 189, comma 1, nella parte in cui non prevede più la necessaria audizione
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano per la riorganizzazione del citato
Catasto, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., dal momento
che, allorquando il legislatore nazionale interviene in una materia (i rifiuti)
in cui gli interessi ambientali si sovrappongono con quelli di tutela del
territorio e di tutela della salute e sicurezza della popolazione, è necessario
il coinvolgimento delle Regioni attraverso l'intesa con la Conferenza unificata.
La predetta norma violerebbe, altresì, i principi e criteri direttivi della
legge delega, nella parte in cui vincolano il legislatore delegato al rispetto
dell'assetto normativo ed amministrativo e al riparto delle competenze vigenti,
tenuto conto che la Regione Toscana ha già esercitato le funzioni ad essa
attribuite disciplinandole con legge e con strumenti di pianificazione generale
e particolare.
Anche il comma 3 del medesimo art. 189, esonerando i produttori di rifiuti non
pericolosi dall'obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le
quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di raccolta,
trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti, si porrebbe in contrasto sia con
la normativa comunitaria in materia di rifiuti - ed, in particolare, con gli
artt. 6 e 14 della direttiva n. 75/442/CEE, che richiede l'istituzione di
un'autorità competente a cui fornire le informazioni di cui all'art. 14 relative
a tutti i tipi di rifiuti senza alcuna esclusione - sia con i principi ed i
criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della
legge delega n. 308 del 2004.
Le predette violazioni determinerebbero una lesione delle competenze regionali
in materia di tutela della salute e di governo del territorio, tenuto conto che
la dispensa delle imprese e degli enti che producono rifiuti non pericolosi
dalla comunicazione annuale al Catasto dei rifiuti andrebbe ad incidere sui
poteri di autorizzazione, controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle
Regioni dal combinato disposto della normativa comunitaria e della legislazione
nazionale vigente.
Oggetto di censure è, poi, anche l'art. 195 nella parte in cui individua le
competenze dello Stato determinando un grave pregiudizio alle attribuzioni delle
Regioni, con particolare riferimento all'attività programmatoria e
pianificatoria, nonché con vanificazione della competenza regionale in materia
di tutela della salute, di governo del territorio, dei servizi pubblici e,
quindi, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
In particolare, la Regione Toscana impugna la lettera f) del comma 1 del citato
art. 195, nella parte in cui attribuisce allo Stato «l'individuazione, nel
rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni, degli impianti di
recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese» in quanto tale individuazione deve
avvenire sulla base di una mera audizione della Conferenza unificata di cui
all'art. 8 del D.L.vo n. 281 del 1997 e non già previa intesa con la Regione
interessata.
Una compressione delle competenze regionali sarebbe conseguente anche alla
previsione di cui alla lettera d) del comma 1 dell'art. 196, secondo cui spetta
alla competenza delle Regioni, «nel rispetto dei principi previsti dalla
normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ivi compresi quelli
dell'articolo 195», l'approvazione dei progetti dei nuovi impianti per la
gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione alle modifiche degli
impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all'art. 195, comma
1, lettera f). Dal combinato disposto di cui agli artt. 195, comma 1, lettera
f), e 196, comma 1, lettera d), si desumerebbe che gli impianti di recupero e di
smaltimento di preminente interesse nazionale debbano essere individuati,
localizzati e approvati direttamente dallo Stato, senza alcun coinvolgimento
della Regione, con conseguente illegittima compressione dei poteri di questa in
materia di tutela della salute e governo del territorio.
Anche le lettere b) (in tema di disciplina delle procedure semplificate), e)
(sulla determinazione dei criteri per l'assimilazione dei rifiuti speciali ai
rifiuti urbani, ai fini della raccolta e dello smaltimento), l) ( in tema di
formulario e regolamentazione del trasporto dei rifiuti), m) (in materia di
individuazione delle tipologie di rifiuti che possono essere smaltiti
direttamente in discarica) ed s) (sull'individuazione della misura delle
sostanze assorbenti e neutralizzanti di cui devono dotarsi gli impianti
destinati allo stoccaggio, ricarica, manutenzione, deposito e sostituzione di
accumulatori) dell'art. 195, comma 2, sarebbero costituzionalmente illegittime
nella parte in cui consentono allo Stato di porre norme di dettaglio in una
materia che si intreccia con materie o attribuzioni regionali, quali la tutela
della salute, i servizi pubblici e i poteri di pianificazione territoriale,
andando a comprimere e pregiudicare indebitamente il potere di pianificazione
riconosciuto alle Regioni dalle norme costituzionali e dalla pregressa
legislazione in materia ambientale, senza prevedere alcuna forma di intesa.
L'art. 199 sarebbe costituzionalmente illegittimo nella parte in cui disciplina
i piani regionali di gestione dei rifiuti e, al comma 9, prevede in capo solo
allo Stato e non anche, in via preliminare, alle Regioni, il potere sostitutivo
allorquando «le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal
piano regionale nei termini e con le modalità stabilite e tali omissioni possano
arrecare un grave pregiudizio all'attuazione del piano medesimo», in violazione
degli artt. 117 e 118 Cost., dal momento che si verte su materia che va ad
intrecciarsi con settori di competenza regionale quali la tutela della salute,
il governo del territorio e la sua pianificazione.
Anche il comma 10 dell'art. 199 del decreto in esame sarebbe, poi,
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, da un lato, individua il
contenuto dei provvedimenti sostitutivi di cui al comma 9 anche nell'ipotesi in
cui il potere sostitutivo ricade nella competenza regionale; dall'altro, nel
definire il contenuto di detti provvedimenti, non riprende la disposizione di
cui all'art. 22, comma 10, lettera c), del D.L.vo n. 22 del 1997, che consentiva
l'introduzione di sistemi di deposito cauzionale obbligatorio dei contenitori.
In tal modo il legislatore delegato, oltre a non riconoscere il potere
sostitutivo in capo alla Regione, si porrebbe in contrasto con la direttiva
comunitaria n. 75/442/CEE, così come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE,
nella parte in cui prevede, tra le finalità della normativa sui rifiuti stessi,
la prevenzione o la riduzione della produzione e nocività dei rifiuti, posto che
la previsione di un deposito cauzionale costituirebbe un ottimo deterrente
all'aumento della produzione e nocività dei predetti.
Per le medesime ragioni, l'art. 199, comma 10, si porrebbe in contrasto anche
con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della legge
n. 308 del 2004 e, in particolare, con i principi ed i criteri di cui alle
lettere e) ed f).
Da tali violazioni si desumerebbero anche lesioni delle competenze
costituzionali della Regione in materia di tutela dell'ambiente, della salute e
di governo del territorio, dal momento che la mancata previsione del potere
sostitutivo in capo alla Regione e la mancata previsione dell'obbligo di
depositi cauzionali andrebbero inevitabilmente a pregiudicare le attribuzioni
regionali in tema di controllo e pianificazione del territorio e di tutela
sanitaria.
La Regione Toscana impugna, altresì, l'art. 201, comma 6, nella parte in cui,
recando la disciplina del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani,
stabilisce che «la durata della gestione da parte dei soggetti affidatari, non
inferiore a quindici anni, è disciplinata dalle regioni in modo da consentire il
raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità», e l'art.
203 nella parte in cui, nel dettare lo schema tipo di contratto di servizio che
regola i rapporti tra le Autorità di ambito e i soggetti affidatari del servizio
integrato, stabilisce, al comma 2, lettera c), che tale contratto deve
prevedere, tra le altre cose, la durata dell'affidamento, comunque non inferiore
a quindici anni.
La previsione di una durata minima quindicennale delle gestioni integrate dei
rifiuti urbani si porrebbe in contrasto con la direttiva comunitaria n.
75/442/CEE, così come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, nella parte in
cui, all'art. 5, prevede che gli Stati membri adottino le «misure appropriate
per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento,
che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non
comportino costi eccessivi» e che «tale rete deve inoltre permettere lo
smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie
all'utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto
grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica». Secondo la Regione,
prevedere una durata quindicennale delle gestioni integrate dei rifiuti urbani,
senza alcuna precisazione in merito all'onere di tenere costantemente aggiornate
le tecnologie utilizzate per la gestione dei rifiuti, si traduce inevitabilmente
in un grave danno all'ambiente e alla sicurezza dei cittadini, in contrasto con
la citata direttiva comunitaria nonché con i principi e criteri direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge n. 308 del 2004,
e dunque in violazione delle competenze regionali in tema di tutela della salute
e di governo del territorio.
Oggetto di censure è, poi, anche l'art. 202, nella parte in cui, nel
disciplinare l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani, stabilisce al comma 1 che «l'Autorità d'ambito aggiudica il servizio di
gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e
dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all'art. 113,
comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali), nonché con riferimento all'ammontare del
corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere
tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo
modalità e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia». Tale
disposizione sarebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., perché
inciderebbe sulla competenza regionale in tema di servizi pubblici locali dotati
di rilevanza economica, rispetto ai quali lo Stato può porre solo disposizioni
di carattere generale, laddove la norma impugnata rinvia ad un decreto
ministeriale il compito di dettare una minuziosa disciplina delle procedure da
seguire per l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, senza
peraltro prevedere neppure la necessaria intesa con le Regioni.
Anche l'art. 208 dell'impugnato decreto è fatto oggetto di impugnativa da parte
della Regione Toscana nella parte in cui, disciplinando la c.d. autorizzazione
unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, al comma
10, prevede che «ove l'autorità competente non provveda a concludere il
procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica entro i termini previsti al
comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all'art. 5 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112», e cioè il potere sostitutivo dello Stato.
Così disponendo, la citata norma violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto
precluderebbe alle Regioni l'esercizio del potere di sostituirsi agli enti
locali inadempienti nelle materie di propria competenza. Nel caso di specie,
pertanto, si renderebbe necessario l'intervento sostitutivo da parte della
Regione Toscana, dal momento che in tale Regione le funzioni amministrative e i
compiti in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e di gestione dei
rifiuti, delle risorse idriche e della difesa del suolo, conferite alla Regione
dal D.L.vo n. 112 del 1998, sono state attribuite agli enti locali (Comuni e
Province), con le leggi regionali 1° dicembre 1998, n. 88 (Attribuzione agli
Enti locali e disciplina generale delle funzioni amministrative e dei compiti in
materia di urbanistica e pianificazione territoriale, protezione della natura e
dell'ambiente, tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti,
risorse idriche e difesa del suolo, energia e risorse geotermiche, opere
pubbliche, viabilità e trasporti conferite alla Regione dal D.L.vo 31 marzo
1998, n. 112), e 6 settembre 1999 n. 25 (Delimitazione degli ambiti territoriali
ottimali e disciplina delle forme di cooperazione tra Enti locali per
l'organizzazione del Servizio idrico integrato e del Servizio di gestione dei
rifiuti urbani). Né sussisterebbero esigenze unitarie tali da legittimare, ai
sensi dell'art. 118 Cost., l'attribuzione delle funzioni amministrative ad un
livello superiore rispetto ai Comuni.
Oggetto di censure è, poi, anche l'art. 212, nella parte in cui, in relazione
all'albo nazionale dei gestori ambientali, prevede, ai commi 2 e 3, un aumento
del numero dei componenti statali nel Comitato nazionale e delle organizzazioni
sindacali e delle categorie economiche relativamente alle sezioni regionali o
provinciali dello stesso albo, in contrasto con gli artt. 117 e 118 della
Costituzione. Infatti, prevedendo una diminuzione del peso dei rappresentanti
regionali in seno al Comitato nazionale e alle sezioni regionali, risulterebbero
lese le prerogative delle Regioni in materia di tutela della salute e di governo
del territorio, in considerazione delle importanti funzioni svolte dall'albo in
materia di procedure semplificate per la gestione dei rifiuti di cui agli artt.
214 e ss. del testo unico dell'ambiente, che attribuiscono alla sezione
regionale dell'albo, anziché alle Province, funzioni istruttorie ed
autorizzatorie in materia di autosmaltimento e recupero dei rifiuti.
La Regione Toscana impugna, altresì, l'art. 214 nella parte in cui, al comma 2,
prevedendo la possibilità di stipulare accordi di programma in materia di
procedure semplificate per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti nei termini
di cui all'art. 181, si porrebbe in contrasto, in primo luogo, con la normativa
comunitaria, ed in specie con l'art. 11 della direttiva n. 75/442/CEE, così come
modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE e, poi, con i principi ed i criteri
direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, alle lettere e) ed f), della legge
delega n. 308 del 2004.
Le suddette violazioni si ripercuoterebbero sulle competenze delle Regioni in
materia di tutela dell'ambiente, di tutela della salute e di governo del
territorio, dal momento che una serie di categorie di rifiuti verrebbero, con
detti accordi di programma, dispensate dall'assoggettamento ai poteri di
autorizzazione, controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle Regioni dal
combinato disposto della normativa comunitaria e della legislazione nazionale
previgente, con pregiudizi per la sicurezza dell'intera collettività. In
particolare, sarebbe evidente la lesione delle competenze pianificatorie delle
Regioni nell'ipotesi in cui gli accordi di programma prevedano l'individuazione
dei luoghi ove effettuare il recupero dei rifiuti, così vincolando la
destinazione urbanistica dei siti destinati al recupero senza alcun intervento
da parte delle Regioni interessate.
La Regione Toscana censura, infine, gli artt. 215 e 216 nella parte in cui
disciplinano le procedure semplificate con particolare riferimento alle attività
di autosmaltimento e alle operazioni di recupero, attribuendo alla sezione
regionale dell'albo nazionale dei gestori ambientali di cui all'art. 212 le
funzioni che la precedente legislazione attribuiva alle Province (artt. 32 e 33
D.L.vo n. 22 del 1997). Le disposizioni richiamate sarebbero lesive delle
competenze delle Regioni in materia di tutela della salute e di governo del
territorio dal momento che, da un lato, molti rifiuti verranno con i citati
accordi di programma dispensati dall'assoggettamento ai poteri di
autorizzazione, controllo e pianificazione dell'amministrazione regionale;
dall'altro, tale dispensa sarà autorizzata da un soggetto (l'albo) in relazione
al quale la Regione non ha alcun potere di indirizzo e controllo, essendo per
giunta stata diminuita la presenza dei propri rappresentanti in seno agli organi
direttivi dello stesso.
3.1.- Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
censure proposte dalla Regione Toscana siano dichiarare inammissibili o,
comunque, infondate.
Quanto alle censure sollevate nei confronti degli artt. 181, commi da 7 a 11, e
183, comma 1, lettera q), la difesa erariale ne deduce l'infondatezza sostenendo
che, se da un lato la normativa denunciata non può ritenersi illegittima per il
diritto comunitario in considerazione della pendenza delle relative questioni
dinanzi alla Corte di giustizia, dall'altro, l'introduzione di una disciplina
convenzionale (accordi di programma) dei rifiuti avrebbe l'effetto di rendere
responsabile del corretto utilizzo dei materiali di risulta il soggetto privato
(che stipula l'accordo), che assumerebbe la stessa responsabilità del produttore
ai sensi dell'art. 2059 codice civile.
Egualmente infondate sarebbero le censure mosse nei confronti dell'art. 183,
comma 1, lettera f), tenuto conto del fatto che tale norma si limiterebbe a
dettare delle definizioni, individuando operazioni comunque (nei fatti)
possibili, connotando il raggruppamento dei rifiuti come raccolta differenziata
solo ove raggiunga determinati standard qualitativi.
Ancora da rigettare sarebbero le censure sollevate nei confronti dell'art. 185,
comma 1, in considerazione del contenzioso pendente in sede comunitaria in
ordine alla possibilità che siano sottratti alla disciplina dei rifiuti quei
materiali che siano oggetto di disciplina speciale non solo ambientale, ma anche
dettata da esigenze sanitarie.
Anche l'esclusione delle terre e rocce da scavo dall'ambito di applicazione
della disciplina dei rifiuti non contrasterebbe con la normativa comunitaria
tenuto conto, in primo luogo, della pendenza di un contenzioso comunitario sulla
previgente disciplina, e poi anche del fatto che detta esclusione riguarderebbe
esclusivamente progetti di opere sottoposti a valutazione di impatto ambientale
(VIA), nei quali il riutilizzo dei materiali di scavo troverebbe una sua ragion
d'essere nella completezza del progetto e nell'esistenza di uno o più soggetti
responsabili della sua realizzazione.
Quanto, poi, all'art. 189, commi 1 e 3, la disciplina dettata in tema di catasto
dei rifiuti sarebbe costituzionalmente legittima, trattandosi di un ufficio
statale la cui organizzazione non potrebbe che spettare a regolamenti
d'organizzazione ministeriali; mentre l'esenzione della denuncia per rifiuti non
pericolosi costituirebbe, nel rispetto delle norme comunitarie, uno strumento
utile e praticabile per le imprese e le amministrazioni statali, atto ad evitare
un inutile onere.
In tema di individuazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti,
poi, gli artt. 195, comma 1, lettera f), comma 2, lettere b), e), 1), m) ed s),
e 196, comma 1, lettera d), nel prevedere una semplice audizione della
Conferenza unificata e non un'intesa con la Regione interessata, risponderebbero
alla esigenza, connessa al fatto che i rifiuti prodotti in una Regione spesso
vengono smaltiti in altre regioni o all'estero, di garantire le competenze
regionali attribuendo anche poteri, da esercitare sulla base di pareri puntuali
delle autorità territoriali, ad un soggetto che abbia «per evidenti ragioni di
lontananza, una prospettiva di carattere generale».
Infondate sarebbero anche le censure mosse: nei confronti dell'art. 199, commi 9
e 10, dal momento che le norme in esame non derogherebbero alla disciplina
generale del potere sostitutivo ed alla possibilità delle Regioni di regolare in
modo autonomo la sostituzione di enti locali attributari di compiti nel settore
dello smaltimento dei rifiuti; in relazione agli artt. 201, comma 6, e 203,
comma 2, lettera c), in tema di affidamenti quindicennali, posto che la
disciplina in essi contenuta avrebbe carattere dispositivo indicando solo un
principio direttivo finalizzato ad ottenere stabili gestioni; in riferimento
all'art. 202, comma 1, considerato che il potere ministeriale ivi previsto
inerisce alla determinazione dei criteri generali di gestione di un servizio
ambientale in funzione delle regole generali della concorrenza, regole non
suscettibili di differenziazione; nei confronti dell'art. 208, comma 10, in
quanto il potere sostitutivo dello Stato ivi previsto non derogherebbe alla
possibilità delle Regioni di regolare in modo autonomo la sostituzione di enti
locali titolari di compiti nel settore; in relazione all'art. 212, commi 2 e 3,
dal momento che anche le sezioni regionali dell'albo nazionale dei gestori
ambientali sarebbero uffici statali, la determinazione della cui composizione
rientra nella discrezionalità del legislatore statale. Del pari prive di
fondamento sarebbero le questioni proposte: nei confronti dell'art. 214, commi 2
e 3, in considerazione del fatto, da un lato, che l'attribuzione agli accordi di
programma del compito di definire quantità e condizioni per le attività di
smaltimento dei rifiuti non pericolosi determinerebbe l'effetto di rendere
responsabile del corretto utilizzo dei materiali di risulta il soggetto privato
(che stipula l'accordo), ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., dall'altro, quanto
alla attribuzione della medesima competenza ai decreti ministeriali, che detti
decreti sono gli strumenti tipici per la redazione della c.d. normativa tecnica
unitaria su tutto il territorio nazionale; infine nei confronti degli artt. 215,
commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4, in quanto la scelta del legislatore
statale di affidare compiti ad organi di autogoverno della stessa imprenditoria
privata, in tema di procedure semplificate, non apparirebbe del tutto
irragionevole, residuando alla Regione compiti di controllo, oltre alle altre
competenze in materia di tutela della salute e di gestione del territorio.
3.2.- Nel giudizio è intervenuta l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), la quale, sia nell'atto di intervento che nella
memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, ha chiesto che vengano
accolte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione
Toscana.
3.3.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Toscana, con memoria
depositata il 27 aprile 2009, ha dichiarato di non avere più interesse ad una
pronuncia di merito in relazione alle censure proposte nei confronti degli artt.
181, commi da 7 a 11; 183, comma 1, lettera q); 185, comma 1; 186; 189, comma 3;
195, comma 2, lettera e); 212, comma 3; 214, comma 3; 215, commi 1, 3 e 4; 216,
commi 1, 3 e 4.
4.- Con ricorso, notificato il 12-27 giugno 2006, depositato il successivo 15
giugno, la Regione Piemonte (reg. ric. n. 70 del 2006) ha promosso questione di
legittimità costituzionale di numerose disposizioni del D.L.vo n. 152 del 2006,
fra le quali gli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, 186, 194, 195, comma 1,
lettere f), l), m), n), o), q), art. 199, comma 9, artt. da 196 a 200, da 201 a
205, 212 e 214, comma 3.
In particolare, vengono in primo luogo censurati gli artt. 181, commi da 7 a 11,
e 214, comma 3, nella parte in cui disciplinano la formazione degli accordi di
programma, in violazione dei principi che regolano l'attività amministrativa, i
quali escludono la possibilità di accordi con i privati nell'ambito
dell'attività diretta alla emanazione di atti normativi, di atti amministrativi
generali, di atti di pianificazione e di programmazione, per i quali restano
ferme le particolari norme che ne regolano la formazione (artt. 11 e 13 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 recante «Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»).
Tali norme stabiliscono, peraltro, la legittimazione a concorrere
all'elaborazione dei contenuti di rilevanti discipline solo di alcune categorie
sociali, a discapito di altre, con la ritenuta conseguente violazione dei
principi di eguaglianza e certezza del diritto. Dette previsioni - ad avviso
della ricorrente - sarebbero, altresì, in contrasto con la normativa
comunitaria.
La Regione Piemonte impugna, poi, gli artt. 183, 194 e 212, nella parte in cui
introducono le nozioni di rifiuto, sottoprodotto e materia prima secondaria per
attività siderurgiche e metallurgiche, nozioni che, in contrasto con la
normativa comunitaria, restringono il campo di applicazione della disciplina sui
rifiuti, delineando una sorta di «deregolamentazione mascherata», già in passato
incorsa nei pronunciamenti negativi della Corte di giustizia (es. pronuncia
“Niselli” C 457/02 dell'11 novembre 2004).
Tali contrasti con la normativa comunitaria si rifletterebbero negativamente
sulle amministrazioni regionali e locali poste nelle condizioni di operare o in
violazione delle norme introdotte, ma nel rispetto di quelle comunitarie, ovvero
di essere esposte a pronunciamenti negativi in sede comunitaria.
Per analoghe ragioni si determinerebbe anche una violazione dei principi e
criteri direttivi della legge delega n. 308 del 2004.
Anche l'art. 186 del D.L.vo n. 152 del 2006 è, poi, censurato dalla ricorrente
per contrasto con la normativa comunitaria. Infatti, detta norma, nella parte in
cui esclude dalla normativa sui rifiuti le terre e le rocce da scavo,
ripeterebbe sostanzialmente quanto già affermato in precedenti leggi oggetto di
procedure di infrazione comunitaria avviate nei confronti dell'Italia per
contrasto con le direttive n. 75/442/CEE e n. 91/156/CEE.
Viene, inoltre, impugnato dalla Regione Piemonte l'art. 195 nella parte in cui
stabilisce, al comma 1, lettera f), l'accentramento a livello ministeriale delle
attività pianificatorie nell'individuazione degli impianti di recupero e
smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese, individuazione che avviene «sentita la
Conferenza Stato-Regioni», senza intesa della stessa e delle singole Regioni
interessate dagli interventi in programma. In tal modo le Regioni sarebbero
escluse dall'esercizio dell'attività pianificatoria sul territorio di propria
competenza in merito agli impianti di recupero e smaltimento di preminente
interesse nazionale, per la cui localizzazione non è prevista alcuna forma di
partecipazione alla decisione statale, in evidente violazione delle competenze
regionali in materia di governo del territorio e, indirettamente, in materia di
tutela della salute.
Anche le disposizioni di cui al comma 1, lettere 1), n), e q), del medesimo art.
195 -che riguardano, rispettivamente, l'individuazione degli obiettivi di
qualità dei servizi, le linee guida per la definizione delle gare d'appalto e
dei capitolati, i criteri per l'organizzazione della raccolta differenziata -
sarebbero riconducibili, in quanto riferite al sistema di gestione dei servizi
relativi ai rifiuti, alla competenza legislativa regionale in tema di servizi
pubblici locali, nonché alla potestà organizzativa degli enti gestori. Esse
sarebbero, pertanto, costituzionalmente illegittime, da un lato, in relazione
all'individuazione degli obiettivi di qualità, non essendo prevista in ordine ad
essi alcuna forma di partecipazione né delle Regioni né delle autonomie locali;
dall'altro, in relazione agli altri aspetti, in quanto non sarebbe evocabile il
solo titolo di competenza statale in tema di tutela della concorrenza. Tale
materia sarebbe, infatti, riferibile solo alle disposizioni di carattere
generale che disciplinano l'affidamento dei servizi nei limiti degli strumenti
di intervento disposti in una relazione «ragionevole e proporzionata rispetto
agli obiettivi attesi». Essa inoltre si intreccerebbe con una pluralità di altri
interessi, come, nel caso in esame, con quelli inerenti alla disciplina del
servizio pubblico locale di gestione dei rifiuti.
Le disposizioni di cui al comma 1, lettere m) ed o), del medesimo art. 195,
nella parte in cui attribuiscono al Ministero dell'ambiente il compito di
definire i criteri generali per l'elaborazione dei piani regionali e degli
ambiti territoriali ottimali e le linee guida per la cooperazione fra enti
locali, nonché i criteri per le aree non idonee (lettera p), sarebbero
costituzionalmente illegittime per contrasto con i principi di sussidiarietà e
di leale collaborazione, in quanto determinerebbero un accentramento di poteri a
livello ministeriale non sorretto dalla legge di delega e non giustificato da
esigenze di trattamento unitario degli interessi coinvolti.
I medesimi rilievi vengono proposti nei confronti della «speculare dettagliata
disciplina posta agli articoli da 196 a 200».
Viene, inoltre, censurato l'art. 199, comma 9, nella parte in cui prevede un
potere sostitutivo del Ministro dell'ambiente per le omissioni rispetto ai
contenuti del piano regionale, in contrasto con l'art. 120 Cost., con i principi
costituzionali di sussidiarietà e leale collaborazione nonché di omogeneità ed
unicità di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma
della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), oltre
che con il principio di ragionevolezza, affidando ad un soggetto diverso
dall'ente regionale titolare della programmazione il potere di intervenire per
garantire l'adempimento degli obblighi previsti dagli atti di programmazione
regionale.
Anche gli artt. da 201 a 204 determinerebbero, poi, una illegittima compressione
della sfera di competenza delle Regioni e degli enti locali, nella parte in cui
disciplinano l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani
e l'utilizzazione delle gestioni esistenti, ponendo disposizioni dettagliate ed
autoapplicative nella materia dei servizi pubblici locali nonché
dell'organizzazione amministrativa degli enti a cui compete la gestione del
servizio, peraltro in violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza
rispetto agli obiettivi attesi. In particolare, quanto alla previsione di cui al
comma 6 dell'art. 201, in tema di durata della gestione da parte dei soggetti
affidatari «non inferiore a quindici anni», la ricorrente ne rileva il contrasto
con l'intento di introdurre elementi di concorrenzialità ed apertura del mercato
dei servizi pubblici di gestione dei rifiuti e con quello di adeguare la
disciplina delle gestioni alle diverse realtà territoriali ed imprenditoriali
regionali, con conseguente compressione della sfera di autonomia decisionale
delle Regioni e degli enti locali.
La Regione Piemonte impugna, infine, per i medesimi motivi, l'art. 205 in
relazione all'art. 183, comma 1, lettera f), che contiene la definizione di
raccolta differenziata e l'individuazione delle misure per incrementare la
medesima, in contrasto con gli obiettivi di raggiungimento di specifiche
percentuali di raccolta stabiliti in base al D.L.vo n. 22 del 1997 nella
programmazione regionale e nei piani gestionali del servizio e, quindi, con gli
obiettivi di tutela ambientale.
4.1.- Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
censure proposte dalla Regione Piemonte siano dichiarare inammissibili o
comunque infondate.
La difesa erariale osserva, in linea preliminare, che il carattere trasversale
della materia della tutela dell'ambiente, se da un lato legittima la possibilità
delle Regioni di provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o
concorrente in relazione a temi che hanno riflessi sulla materia ambientale,
dall'altro non costituisce limite alla competenza esclusiva dello Stato a
stabilire regole omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze
che attengono alla tutela dell'ambiente ed alla salvaguardia del territorio.
4.2.- Nel giudizio è intervenuta l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), che, sia con l'atto di intervento che con la
memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, ha chiesto che vengano
accolte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione
Piemonte. Sono, altresì, intervenute la Biomasse Italia s.p.a, la Società
Italiana Centrali Termoelettriche, la Ital Green Energy s.r.l. e la Energie
Tecnologie Ambiente s.p.a., chiedendo, invece, che la Corte ne dichiari
l'inammissibilità e/o l'infondatezza.
5.- Con ricorso, notificato il 9 giugno 2006, depositato il successivo 15
giugno, la Regione Valle d'Aosta (reg. ric. n. 71 del 2006) ha promosso
questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del D.L.vo n.
152 del 2006, fra le quali gli artt. 202 e 203. In particolare, la Regione
impugna, in primo luogo, l'art. 202 nella parte in cui, -stabilendo che
«1'Autorità d'ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie,
in conformità al criterio di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché con riferimento all'ammontare del
corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere
tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo
modalità e termini definiti con decreto del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia» -
violerebbe la competenza legislativa residuale di cui all'art. 117, quarto
comma, Cost., nonché la competenza primaria di cui all'art. 2, lettera b), ed
all'art. 3, lettera o), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4
(Statuto speciale per la Valle d'Aosta), in materia di “ordinamento degli enti
locali”, attribuendo ad un regolamento ministeriale il compito di definire
modalità e termini di un procedimento per l'affidamento di un servizio pubblico
locale.
La richiamata norma violerebbe, conseguentemente, i principi inerenti ai
rapporti fra fonti statali e fonti regionali, i quali escludono l'operatività
delle fonti regolamentari statali nelle materie di competenza regionale, tra le
quali va incluso l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani.
La ricorrente sostiene, inoltre, che anche i commi da 2 a 6 del medesimo art.
202, nonché l'art. 203, che disciplina lo schema tipo di contratto di servizio,
recherebbero una disciplina estremamente dettagliata ed autoapplicativa, lesiva
delle attribuzioni della Regione, non riferibile alla competenza esclusiva
statale in tema di tutela della concorrenza, né alla competenza statale di cui
alla lettera s) del secondo comma dell'art. 117 Cost., posto che la materia dei
rifiuti è tale da coinvolgere una pluralità di attribuzioni regionali, lese
dalle disposizioni legislative impugnate.
Per le predette ragioni, la Regione Valle d'Aosta impugna le citate disposizioni
nella parte in cui ledono le attribuzioni regionali in materia ambientale,
igienico-sanitaria ed urbanistica, di fatto svuotando la competenza residuale
della Regione in materia di servizi pubblici locali, basata sugli artt. 117,
quarto comma, Cost., e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), oltre a
comprimere la competenza regionale primaria in tema di “ordinamento degli enti
locali” di cui all'art. 2, lettera b), dello statuto speciale.
5.1.- Nel giudizio è intervenuta l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), chiedendo che vengano accolte le questioni di
legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Valle d'Aosta.
5.2.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione ricorrente ha depositato
memoria (in data 5 maggio 2009), con la quale ha dichiarato di insistere per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nel ricorso.
6.- Con ricorso, notificato il 13 giugno 2006, depositato il successivo 16
giugno, la Regione Umbria (reg. ric. n. 72 del 2006) ha promosso questione di
legittimità costituzionale di numerose disposizioni del D.L.vo n. 152 del 2006,
fra le quali degli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, lettere g), h), m),
n), q) ed u), 186, 189, comma 3, 195, comma 1, 202, comma 6, e 214, commi 3 e 5.
In primo luogo, la ricorrente impugna l'art. 181, comma 7, nella parte in cui
disciplina gli accordi di programma, operando una «deregolamentazione mascherata
del settore», in pieno contrasto con le normative europee più volte ribadite
dalle decisioni della Corte di giustizia.
A ciò la ricorrente aggiunge la considerazione che il ricorso allo strumento
dell'accordo e del contratto di programma, di cui all'art. 181, altererebbe la
gerarchia delle fonti del diritto e determinerebbe una lesione dei principi di
certezza del diritto, eguaglianza, generalità ed astrattezza delle norme,
sostituendo alla disciplina generale una serie indeterminata di accordi
applicabili solo agli aderenti.
Per le stesse ragioni, sarebbero costituzionalmente illegittimi i commi 3 e 5
dell'art. 214, nella parte in cui ammettono rispettivamente lo strumento
dell'accordo “deregolatorio” per le procedure semplificate di smaltimento dei
rifiuti e richiamano il d.m. 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non
pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli
articoli 31 e 33 del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22) per la fase transitoria, in
attesa della fissazione delle nuove regole.
Anche l'art. 186 del decreto impugnato, nella parte in cui introduce un'ipotesi
generale di esenzione per le terre e rocce da scavo, sarebbe in contrasto con la
normativa comunitaria, come dimostrato dall'esistenza di una procedura di
infrazione avviata contro la Repubblica italiana a causa di una disposizione
analoga contenuta nella legge n. 443 del 2001 (art. 1, comma 15).
Le norme impugnate non contrasterebbero solo con le richiamate norme comunitarie
e quindi, con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., ma anche con l'art. 76
Cost., violando la legge delega n. 308 del 2004 che fissa, tra i criteri
direttivi (art. 1, comma 8), la «piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie […]» (lettera e) e l'«affermazione dei principi comunitari di
prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei
danni ambientali e del principio “chi inquina paga”» (lettera f). Tali
violazioni determinerebbero anche una lesione delle competenze regionali in tema
di tutela dell'ambiente, di tutela della salute e di governo del territorio,
pregiudicando il corretto svolgimento delle funzioni regionali in quelle
materie.
Posto che spetta alla Regione, a tenore dell'art. 117, quinto comma, Cost., dare
attuazione alle norme comunitarie e che la supremazia del diritto comunitario,
confortata dalla sentenza n. 170 del 1984, deve essere assicurata anche
attraverso la disapplicazione delle norme legislative interne contrastanti con
le norme comunitarie self executing, la ricorrente sostiene di non dover
applicare nel proprio territorio le norme del decreto impugnato che risultino in
contrasto con le norme ad effetto diretto poste dal diritto comunitario derivato
e dalle sentenze della Corte di giustizia che di esso forniscono
interpretazione, con il risultato di uno stato di «gravissima incertezza
normativa» non privo di preoccupanti riflessi sulla repressione penale dei reati
ambientali.
Sulla base di argomenti analoghi la Regione Umbria censura, inoltre, l'art. 189,
comma 3, nella parte in cui delimita restrittivamente l'obbligo di comunicare
annualmente alle Camere di commercio le quantità e le caratteristiche
qualitative dei rifiuti oggetto di attività di raccolta, trasporto, recupero e
smaltimento dei rifiuti, esentandone le imprese e gli enti che producono rifiuti
non pericolosi.
La Regione Umbria censura, altresì, l'art. 195, comma 1, nella parte in cui
definisce i compiti riservati allo Stato in materia di rifiuti dopo la riforma
costituzionale di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, riscrivendo
l'art. 18 del D.L.vo n. 22 del 1997, in maniera tale da comprimere le competenze
regionali. In particolare, la lettera m) del predetto comma 1 dell'art. 195
assegna allo Stato «la determinazione di criteri generali, differenziati per i
rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini dell'elaborazione dei piani
regionali di cui all'art. 199 con particolare riferimento alla determinazione,
d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, delle linee guida per la
individuazione degli Ambiti territoriali ottimali, da costituirsi ai sensi
dell'art. 200 e per il coordinamento dei piani stessi».
In tal modo essa sarebbe illegittima, nella sua prima parte, per il fatto di
prevedere un atto di indirizzo e coordinamento in una materia regionale, la cui
legittimità - dopo la riforma costituzionale del 2001 - deve ritenersi esclusa
dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L. cost. 18 ottobre 2001,
n. 3). Inoltre, tale atto non sarebbe adottato previa intesa con la Conferenza
Stato-Regioni ma solo previo parere, con violazione del principio di leale
collaborazione che, in relazione agli atti di indirizzo, richiede il
coinvolgimento “forte” della Conferenza.
Anche la seconda parte della citata norma sarebbe illegittima, oltre che per le
suddette ragioni, per violazione della legge delega, posto che essa introduce,
innovando, il potere dello Stato di dettare linee-guida per la perimetrazione
degli ambiti territoriali ottimali ed indebolisce il ruolo delle Regioni (art.
1, comma 8, della legge n. 308 del 2004), con conseguente menomazione delle
competenze regionali.
Del pari sarebbe costituzionalmente illegittima la previsione, di cui alla
lettera o) del comma 1 dell'art. 195, nella parte in cui attribuisce allo Stato
«la determinazione, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, delle linee-guida
inerenti le forme ed i modi della cooperazione fra gli enti locali, anche con
riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani ricadenti nel
medesimo ambito territoriale ottimale, secondo criteri di trasparenza,
efficienza, efficacia ed economicità». Si tratterebbe di una competenza aggiunta
all'elenco delle funzioni attribuite allo Stato dal D.L.vo n. 22 del 1997, in
violazione dei criteri di delega legislativa e con evidente lesione delle sfere
di competenza regionale residuale in tema di tariffazione dei servizi pubblici
locali, nonché nella promozione delle forme di cooperazione tra gli enti locali.
La Regione Umbria censura, infine, l'art. 202, comma 6, nella parte in cui
stabilisce che «il personale che, alla data del 31 dicembre 2005 o comunque otto
mesi prima dell'affidamento del servizio, appartenga alle amministrazioni
comunali, alle aziende ex municipalizzate o consortili e alle imprese private,
anche cooperative, che operano nel settore dei servizi comunali per la gestione
dei rifiuti sarà soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro,
al passaggio diretto ed immediato al nuovo gestore del servizio integrato dei
rifiuti, con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e
individuali in atto» ed aggiunge che, «nel caso di passaggio di dipendenti di
enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese private,
anche cooperative al gestore del servizio integrato dei rifiuti urbani si
applica [...] la disciplina del trasferimento del ramo d'azienda di cui
all'articolo 2112 del codice civile». Tale norma, oltre a sollevare dubbi di
legittimità costituzionale in relazione agli artt. 42 e 43 Cost. ed
all'autonomia imprenditoriale privata, lederebbe, ad avviso della ricorrente,
l'autonomia finanziaria degli enti locali, in quanto il soggetto gestore
scaricherà i costi derivanti dal trasferimento coatto sull'ente locale o
aumentando la tariffa o richiedendo un intervento finanziario ai soci (fra i
quali lo stesso ente locale).
6.1.- Nel giudizio è intervenuta l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), chiedendo, sia nell'atto di intervento che
nella memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, che vengano
accolte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione
Umbria.
6.2.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Umbria, con memoria
depositata in data 6 maggio 2009, ha dichiarato di rimettere alla valutazione di
questa Corte ogni decisione circa la eventuale declaratoria di cessazione della
materia del contendere in ordine alle censure proposte nei confronti degli artt.
181, commi da 7 a 11; 183, comma 1, lettere g), h), m), n), q) ed u); 186; 189,
comma 3; 214, commi 3 e 5.
7.- Con un secondo ricorso, notificato il 13 giugno 2006, depositato il
successivo 16 giugno, la Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 73 del 2006) ha
promosso questione di legittimità costituzionale di numerose altre disposizioni
del D.L.vo n. 152 del 2006, fra le quali degli artt. 195, comma 1, lettere f),
g), n), ed o) e 2, 200, 201, 202, commi 1 e 4, 203, 204, comma 3, 207, comma 1,
214, comma 9, 215.
La Regione premette di aver già impugnato, in separato ricorso, gli artt. 181,
commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, chiedendone la sospensione in
considerazione del rischio di danni gravi ed irreparabili all'interesse pubblico
alla tutela dell'ambiente, all'ordinamento giuridico nazionale e regionale
nonché ai diritti dei cittadini alla salute e alla salubrità dell'ambiente.
Ritiene, tuttavia, che altre disposizioni della parte quarta del decreto
legislativo n. 152 del 2006 siano costituzionalmente illegittime ed in
particolare, in primo luogo, l'art. 195, commi 1 e 2, nella parte in cui
definisce i compiti riservati allo Stato in materia di rifiuti dopo la riforma
costituzionale di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, riscrivendo
l'art. 18 del D.L.vo n. 22 del 1997, in maniera tale da comprimere le competenze
regionali. In specie, nella lettera f) del citato comma 1, l'art. 195 si occupa
degli impianti di smaltimento e stabilisce che è riservata allo Stato
l'individuazione degli impianti di smaltimento e di recupero di preminente
interesse nazionale. In tal modo la citata norma - secondo la ricorrente -
determina l'attrazione in sussidiarietà allo Stato delle funzioni di
coordinamento per una più idonea localizzazione degli impianti di recupero e di
smaltimento, in violazione del principio di leale collaborazione, non essendo
prevista la previa intesa della Conferenza unificata, ma solo il previo parere.
Anche la lettera g) del richiamato art. 195, comma 1, nella parte in cui riserva
allo Stato «la definizione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle
Regioni, di un piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale [...]
sentita la Conferenza unificata» sarebbe in contrasto con i principi ed i
criteri della delega legislativa oltre che con il principio di leale
collaborazione, posto che si tratterebbe di una competenza statale aggiuntiva
rispetto a quelle di cui al D.L.vo n. 22 del 1997, e che essa si risolverebbe in
una funzione di coordinamento delle attività di tutela dell'ambiente svolte
dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali, per l'elaborazione della quale
dovrebbe essere prescritto un adeguato coinvolgimento di Regioni ed enti locali.
Analoghe censure vengono poi rivolte alla lettera n) del comma 1 dell'art. 195,
nella parte in cui attribuisce allo Stato «la determinazione, relativamente
all'assegnazione della concessione del servizio per la gestione integrata dei
rifiuti, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, delle linee-guida per la
definizione delle gare d'appalto ed in particolare dei requisiti di ammissione
delle imprese e dei relativi capitolati, anche con riferimento agli elementi
economici relativi agli impianti esistenti». La ricorrente sostiene che la
predetta disposizione sia costituzionalmente illegittima non solo perché
aggiunge una competenza statale all'elenco di cui al D.L.vo n. 22 del 1997,
violando i limiti della delega, ma anche perché assegna allo Stato compiti
normativi di tipo regolamentare in una materia, quella dei servizi pubblici
locali, di competenza legislativa regionale residuale.
La ricorrente ritiene, pertanto, che la previsione di un simile potere statale
appare lesiva anche dei canoni di ragionevolezza, proporzionalità ed
adeguatezza, che costituiscono limite all'intervento del legislatore statale in
materia di servizi pubblici locali in nome della tutela della concorrenza: non
sarebbero infatti identificabili le ragioni per le quali sia necessario attrarre
al centro, in sussidiarietà, funzioni lato sensu normative che avrebbero l'unico
scopo di rendere omogenei criteri di formulazione dei bandi di gara che invece
andrebbero modulati in considerazione della specificità delle concrete
situazioni, nel pieno rispetto delle regole generali stabilite dalla
legislazione comunitaria, statale e regionale.
Egualmente, la lettera o) del citato comma 1 dell'art. 195, nella parte in cui
attribuisce allo Stato «la determinazione, d'intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, delle linee guida inerenti le forme ed i modi della cooperazione
fra gli enti locali, anche con riferimento alla riscossione della tariffa sui
rifiuti urbani ricadenti nel medesimo ambito territoriale ottimale, secondo
criteri di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità», individuerebbe
una competenza aggiunta all'elenco delle funzioni attribuite allo Stato dal
D.L.vo n. 22 del 1997, in violazione dei criteri e dei principi direttivi della
delega, con una conseguente invasione delle sfere di competenza regionali in
materia di tariffazione dei servizi pubblici locali e di promozione delle forme
di collaborazione tra gli enti locali.
La Regione Emilia-Romagna impugna, altresì, gli artt. 200, 201 e 203, nella
parte in cui disciplinano il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani,
attraverso l'individuazione di ambiti territoriali ottimali e l'istituzione di
Autorità di ambito, cui vengono assegnate le funzioni relative
all'organizzazione, all'affidamento ed al controllo del servizio di gestione
integrata dei rifiuti, la formulazione del contratto di servizio tra ambiti
territoriali ottimali (da qui in avanti: ATO) e gestore. Tali norme vengono
contestate in quanto recanti disposizioni di dettaglio su una materia, quella
del servizio pubblico locale di gestione dei rifiuti urbani, di competenza
regionale residuale.
Anche l'art. 202, commi 1 e 4, in tema di aggiudicazione del servizio di
gestione integrata dei rifiuti da parte dell'Autorità d'ambito, sarebbe lesivo
della competenza regionale residuale in tema di servizi pubblici locali.
In particolare, il comma 4 del predetto art. 202 determinerebbe una lesione
dell'art. 117, quarto e sesto comma, Cost., nella parte in cui, prevedendo il
conferimento in comodato, ai gestori aggiudicatari del servizio, degli impianti
e delle altre dotazioni patrimoniali in proprietà degli enti locali, senza
prevedere l'accollo al gestore degli oneri e della passività, lederebbe le
attribuzioni comunali ed il principio di equilibrio finanziario, non consentendo
ai Comuni di stabilire un canone a carico del gestore con cui recuperare i costi
relativi agli investimenti effettuati.
La ricorrente censura, inoltre, l'art. 204, comma 3, nella parte in cui regola,
attraverso meccanismi particolarmente complessi e macchinosi, l'esercizio del
potere sostitutivo del Presidente della Giunta regionale in tema di gestioni
esistenti del servizio di gestione dei rifiuti. Tale previsione, infatti,
costituisce, secondo la ricorrente, una invasione della sfera di competenza
residuale della Regione in tema di servizi pubblici locali, tenuto conto che in
essa sono fatte oggetto di disciplina le attività regionali di vigilanza, di
controllo e di sostituzione dei soggetti incaricati dei servizi pubblici locali.
Anche l'art. 207, comma 1, è poi impugnato dalla Regione Emilia-Romagna, nella
parte in cui attribuisce all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti il compito di “garantire” e “vigilare” in merito all'osservanza dei
principi ed al perseguimento delle finalità di cui alla parte quarta del
presente decreto, con particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia,
all'economicità ed alla trasparenza del servizio.
Detta previsione sarebbe costituzionalmente illegittima, in primo luogo, perché
essa attribuirebbe all'Autorità di vigilanza il compito di operare in materia di
servizi pubblici locali, in aperta violazione della competenza regionale
residuale; poi, perché l'attrazione al centro delle funzioni amministrative
regionali, in assenza di giustificati motivi, costituirebbe violazione del
principio di sussidiarietà; ancora, in quanto la centralizzazione di tali
funzioni segnerebbe un ulteriore eccesso di delega, risolvendosi
nell'attribuzione allo Stato di una competenza nuova rispetto all'elenco di cui
al D.L.vo n. 112 del 1998.
L'art. 214, comma 9, è inoltre impugnato nella parte in cui estende alle
denunce, alle comunicazioni ed alle domande disciplinate dalle precedenti norme
di semplificazione sulle procedure gli istituti della dichiarazione di inizio di
attività e del silenzio assenso, di cui ai novellati artt. 19 e 20 della legge
n. 241 del 1990. In tal modo, secondo la ricorrente, il legislatore statale
interverrebbe in un ambito procedimentale riservato alla disciplina regionale,
come dimostrato dalla legge generale sul procedimento amministrativo che,
all'art. 19, stabilisce che «le disposizioni della presente legge si applicano
ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni
statali e degli enti pubblici regionali» e che «le regioni e gli enti locali,
nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla
presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del
cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai
principi stabiliti dalla presente legge».
Inoltre, il meccanismo introdotto da tale disposizione creerebbe una situazione
di assoluta incertezza ed impossibilità di svolgere controlli efficaci ex post,
interferendo con l'esercizio delle funzioni poste a carico delle amministrazioni
regionali e locali, con grave pregiudizio per gli interessi ambientali e di
tutela della salute gravanti sulla Regione. Da qui la denunciata illegittimità
costituzionale della predetta norma per violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost.
E', infine, censurato l'art. 215, nella parte in cui attribuisce all'albo
nazionale dei gestori ambientali, sezione regionale, competenze relative
all'iscrizione delle imprese che effettuano la comunicazione di inizio di
attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi nel luogo di produzione dei
rifiuti stessi (c.d. autosmaltimento), alla verifica dei presupposti e alla
vigilanza sul rispetto delle norme tecniche.
La ricorrente sostiene che, in tal modo, la citata norma violerebbe i criteri ed
i principi direttivi della legge delega - che impone al legislatore di mantenere
il riparto delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo
delineato dalla normativa vigente - in quanto attribuisce al citato albo
nazionale funzioni spettanti, in base all'art. 32 del D.L.vo n. 22 del 1997,
alle Province le quali vedrebbero così ridimensionato il loro ruolo, in
violazione altresì del riparto delle competenze amministrative fissato dal
D.L.vo n. 112 del 1998.
7.1.- Nel giudizio è intervenuta l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), chiedendo che vengano accolte le questioni di
legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Emilia-Romagna.
7.2.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione, con memoria del 6 maggio
2009, ha dichiarato di conservare l'interesse al ricorso, insistendo per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nello stesso.
8.- Con ricorso (reg. ric. n. 75 del 2006), depositato in cancelleria il 17
giugno 2006, la Regione Abruzzo ha proposto questione di legittimità
costituzionale, in via principale, previa sospensione, fra gli altri degli artt.
181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3 e 214, commi 3 e 5 del
D.L.vo n. 152 del 2006.
In particolare, la ricorrente sostiene che gli artt. 181, commi da 7 a 11,
nonché 183, comma 1 e 186, 189, comma 3, e 214, commi 3 e 5, opererebbero una
deregolamentazione «mascherata» del settore, in pieno contrasto con la normativa
comunitaria, più volte interpretata dalle decisioni della Corte di giustizia.
Verrebbero, infatti, in tal modo definiti lo smaltimento ed il recupero dei
rifiuti in maniera non conforme con quanto indicato nella direttiva n.
75/442/CEE (art. 1, lettere e ed f), nonché verrebbero fornite altrettante
definizioni di sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS) ancora una
volta non coerenti con le indicazioni fornite dalle citate sentenze della Corte
di giustizia europea (punto 1).
Le norme in questione, con il pretesto di una semplificazione amministrativa,
finirebbero per ridurre l'area di applicazione della disciplina dei rifiuti e
per eliminare i controlli, attraverso una ridefinizione delle sostanze soggette
a regolamentazione ed una «deregolamentazione» della disciplina dei metodi di
recupero dei rifiuti, sostituita da procedure «contrattate».
In questo contesto, il ricorso allo strumento degli accordi di programma
previsti dall'art. 181 determinerebbe la sostituzione di una «fonte» contrattata
alla disciplina normativa, alterando la gerarchia delle fonti del diritto e
ledendo i principi di certezza del diritto, uguaglianza, generalità ed
astrattezza delle norme.
Per le stesse ragioni risulterebbero costituzionalmente illegittimi anche i
commi 3 e 5 dell'art. 214, nella parte in cui ammettono lo strumento
dell'accordo «deregolatorio» per le procedure semplificate di smaltimento di
rifiuti e in cui richiamano il d.m. 5 febbraio 1998 per la fase transitoria.
Anche nel caso dell'art. 186, nella parte in cui reca una generale ipotesi di
esenzione per le terre e rocce da scavo rispetto all'applicazione della parte
quarta del decreto, sarebbe palese il contrasto con la normativa comunitaria,
trattandosi di un'esclusione generalizzata, analoga a quella contenuta nella
legge n. 443 del 2001, oggetto di una procedura di infrazione contro lo Stato
italiano.
La Regione Abruzzo, inoltre, precisa che le norme impugnate non contrasterebbero
solo con le richiamate norme comunitarie, e, per ciò stesso, con l'art. 11 e con
l'art. 117, primo comma Cost., ma anche indirettamente con l'art. 76 Cost., in
quanto contrarie ai criteri direttivi della legge delega n. 308 del 2004, che
all'art. 1, comma 8, prevede la «piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie […]» (lettera e), e 1'«affermazione dei principi comunitari di
prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei
danni ambientali e del “chi inquina paga”» (lettera f).
Le norme in oggetto, poi, finirebbero per ledere direttamente le competenze
costituzionali della Regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della
salute e governo del territorio, pregiudicando il corretto svolgimento delle
funzioni regionali in quelle materie. Ciò in quanto la materia «rifiuti» si
collocherebbe in un contesto, in cui gli interessi ambientali si sovrappongono a
quelli della tutela del territorio, nonché della tutela igienico-sanitaria e
della sicurezza della popolazione. Sicché, non potrebbe riconoscersi allo Stato
il titolo a legiferare senza limiti in base alla competenza riconosciutagli
dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Le norme in oggetto, nella sostanza, sconvolgerebbero l'attento assetto
normativo e amministrativo disegnato dalla legislazione regionale, che verrebbe
in molte parti abrogata dall'atto legislativo in questione.
La Regione, dunque, che a tenore dell'art. 117, quinto comma, Cost., avrebbe
anche il compito di dare attuazione diretta alle norme comunitarie, si
troverebbe, in adempimento di un preciso obbligo giuridico, a non applicare nel
proprio territorio le norme del decreto impugnato che risultino in contrasto con
le norme ad effetto diretto poste dal diritto comunitario derivato e dalle
sentenze della Corte di giustizia che di esso forniscono l'interpretazione, con
gravissime conseguenze sugli interessi pubblici alla tutela dell'ambiente, della
salute e della sicurezza pubblica.
Analoghe considerazioni varrebbero, a giudizio della ricorrente, anche con
riferimento all'art. 189, comma 3, che riguarda l'obbligo di comunicare
annualmente alle Camere di commercio le quantità e le caratteristiche
qualitative dei rifiuti oggetto di attività di raccolta, trasporto, recupero e
smaltimento di rifiuti e l'esenzione delle imprese ed enti che producono rifiuti
non pericolosi. L'ambito di applicazione di tale obbligo verrebbe infatti
delimitato restrittivamente, esentando le imprese e gli enti che producono
rifiuti non pericolosi.
8.1.- E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), la quale, con atto depositato il 28 agosto 2006
e con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, ha chiesto
l'accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
9.- Con ricorso, depositato in cancelleria il 23 giugno 2006 (reg. ric. n. 80
del 2006), la Regione Basilicata ha proposto questione di legittimità
costituzionale, in via principale, fra gli altri degli artt. 181, commi da 7 a
11 e 183, comma 1 del D.L.vo n. 152 del 2006.
Quanto all'art. 181, comma da 7 a 11, nonché all'art. 183, comma 1, la Regione
Basilicata ritiene che il ricorso allo strumento della stipulazione di accordi e
contratti di programma opererebbe una sostituzione non consentita di una fonte
contrattata ad una disciplina normativa, con l'effetto di produrre una
alterazione delle fonti.
Tali norme determinerebbero una diretta violazione delle competenze regionali,
dal momento che la disciplina dei rifiuti avrebbe riflessi normativi sulla
materia dell'ambiente, del governo del territorio, della tutela
igienico-sanitaria e della sicurezza della popolazione.
Peraltro, le attività di recupero dovrebbero svolgersi sui territori delle
Regioni, senza che sia stata prevista da parte del legislatore delegato una
forma di partecipazione di queste ultime ai processi decisionali di definizione
ed esecuzione del contenuto degli accordi.
Il legislatore delegato avrebbe dunque violato la legge delega n. 308 del 2004
che, all'art. 1, comma 8, ha previsto il rispetto delle competenze per materia
delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle Regioni e degli
enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 Cost., della legge n. 59 del
1997 e del D.L.vo n. 112 del 1998.
9.1.- E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), la quale, con atto depositato il 6 settembre
2006 e nella memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, ha chiesto
l'accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
10.- Con ricorso depositato in cancelleria il 21 giugno 2006 (reg. ric. n. 78
del 2006), la Regione Campania ha proposto questione di legittimità
costituzionale, in via principale, previa sospensione, fra gli altri, degli artt.
181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3 e 214, commi 3 e 5, del
D.L.vo n. 152 del 2006.
Quanto all'art. 181, comma da 7 a 11, nonché all'art. 183, comma 1, la Regione
Campania ritiene che il ricorso allo strumento della stipulazione di accordi e
contratti di programma opererebbe una sostituzione non consentita di una fonte
contrattata ad una disciplina normativa, con l'effetto di produrre una
alterazione delle fonti, peraltro in pieno contrasto con le normative europee,
come più volte interpretate dalle decisioni della Corte di giustizia.
Verrebbero, infatti, in tal modo definiti lo smaltimento ed il recupero dei
rifiuti in maniera non conforme con quanto indicato nella direttiva n.
75/442/CEE (art. 1, lettere e ed f), nonchè fornite altrettante definizioni di
sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS) ancora una volta non coerenti
con le indicazioni fornite dalle sentenze della Corte di giustizia europea.
Le norme in questione, con il pretesto di una semplificazione amministrativa,
finirebbero per ridurre l'area di applicazione della disciplina dei rifiuti e
per eliminare i controlli, attraverso una ridefinizione delle sostanze soggette
a regolamentazione restrittiva ed una «deregolamentazione» della disciplina dei
metodi di recupero dei rifiuti, sostituita da procedure «contrattate».
Per le stesse ragioni risulterebbero costituzionalmente illegittimi anche i
commi 3 e 5 dell'art. 214, nella parte in cui ammettono lo strumento
dell'accordo «deregolatorio», per le procedure semplificate di smaltimento di
rifiuti, ed allorchè richiamano il d.m. 5 febbraio 1998 per la fase transitoria.
Anche nel caso dell'art. 186 - nella parte in cui reca una generale ipotesi di
esenzione per le terre e rocce da scavo, rispetto all'applicazione della parte
quarta del decreto in esame - sarebbe palese il contrasto con la normativa
comunitaria, trattandosi di un'esclusione generalizzata, analoga a quella
contenuta nella legge n. 443 del 2001, oggetto di una procedura di infrazione
contro lo Stato italiano.
La Regione Campania, inoltre, precisa che le norme impugnate non
contrasterebbero solo con le richiamate norme comunitarie e, per ciò stesso, con
l'art. 11 e con l'art. 117, primo comma, Cost., ma anche indirettamente con
l'art. 76 Cost., in quanto contrarie ai criteri direttivi della citata legge
delega, che all'art. 1, comma 8, prevede la «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie […]» (lettera e), e l'«affermazione dei principi
comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli
inquinamenti e dei danni ambientali e del “chi inquina paga”» (lettera f).
Le norme in oggetto, poi, finirebbero per ledere direttamente le competenze
costituzionali della Regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della
salute e governo del territorio, pregiudicando il corretto svolgimento delle
funzioni regionali in quelle materie. Ciò in quanto la materia «rifiuti» si
collocherebbe in un contesto in cui gli interessi ambientali si sovrappongono a
quelli della tutela del territorio, nonché della tutela igienico-sanitaria e
della sicurezza della popolazione. Sicché, non potrebbe riconoscersi allo Stato
il titolo a legiferare “senza limiti” in base alla competenza riconosciutagli
dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Analoghe considerazioni varrebbero, a giudizio della ricorrente, anche con
riferimento all'art. 189, comma 3, che riguarda l'obbligo di comunicare
annualmente alle Camere di commercio le quantità e le caratteristiche
qualitative dei rifiuti oggetto di attività di raccolta, trasporto, recupero e
smaltimento (c.d. MUD, ossia il «modello unico» introdotto dalla legge 25
gennaio 1994, n. 70 recante «Norme per la semplificazione degli adempimenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza pubblica, nonché per l'attuazione
del sistema di ecogestione e di audit ambientale») e la disposta esenzione delle
imprese ed enti che producono rifiuti non pericolosi.
10.1. - E' intervenuta in giudizio l'Associazione Italiana per il World Wide
Fund for Nature (WWF Italia - Onlus), la quale, con atto depositato il 31 agosto
2006 e con successiva memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, ha
chiesto l'accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
10.2.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione, con memoria del 5 maggio
2009, ha dichiarato di conservare l'interesse al ricorso, insistendo per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nello stesso.
11.- La Regione Liguria, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 (reg. ric. n.
74 del 2006), e depositato il 16 giugno 2006, ha proposto questione di
legittimità costituzionale, in via principale, fra gli altri, degli artt. 181,
comma da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, e 205, comma 2, del D.L.vo n.
152 del 2006.
Quanto all'art. 181, comma da 7 a 11, nonché all'art. 183, comma 1, la Regione
ritiene che il ricorso allo strumento della stipulazione di accordi e contratti
di programma opererebbe una sostituzione non consentita di una fonte contrattata
ad una disciplina normativa, con l'effetto di produrre una alterazione delle
fonti, peraltro in pieno contrasto con le normative europee, più volte
interpretate dalle decisioni della Corte di giustizia.
Verrebbero, infatti, in tal modo definiti lo smaltimento ed il recupero in
maniera non conforme con quanto indicato nella direttiva n. 751/442/CEE (art. 1,
lettere e) e f)), nonchè fornite altrettante definizioni di sottoprodotto e di
materia prima secondaria (MPS) ancora una volta non coerenti con le indicazioni
fornite dalle sentenze della Corte di giustizia europea.
Le norme in questione, con il pretesto di una semplificazione amministrativa,
finirebbero per ridurre l'area di applicazione della disciplina dei rifiuti e
per eliminare i controlli, attraverso una ridefinizione delle sostanze soggette
a regolamentazione restrittiva ed una «deregolamentazione» della disciplina dei
metodi di recupero dei rifiuti, sostituita da procedure «contrattate».
Per le stesse ragioni risulterebbero costituzionalmente illegittimi anche i
commi 3 e 5 dell'art. 214, nella parte in cui ammettono lo strumento
dell'accordo «deregolatorio», per le procedure semplificate di smaltimento di
rifiuti, ed allorchè richiamano il d.m. 5 febbraio 1998 per la fase transitoria.
Anche nel caso dell'art. 186 - nella parte in cui reca una generale ipotesi di
esenzione per le terre e rocce da scavo, rispetto all'applicazione della parte
quarta del decreto in esame - sarebbe palese il contrasto con la normativa
comunitaria, trattandosi di un'esclusione generalizzata, analoga a quella
contenuta nella legge n. 443 del 2001, oggetto di una procedura di infrazione
contro lo Stato italiano.
Quanto, poi, all'art. 205, che disciplina le misure per incrementare la raccolta
differenziata, la ricorrente sostiene che detta norma costituirebbe una norma di
dettaglio in materia di competenza regionale, con violazione dell'art. 117,
quarto comma, Cost.
11.1.- E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), chiedendo l'accoglimento delle questioni
sollevate dalla ricorrente.
11.2.- Con memoria depositata il 28 aprile 2009, la Regione Liguria, in
considerazione delle modifiche apportate al decreto legislativo impugnato, ha
formalmente rinunciato al ricorso, per la parte che qui interessa, in relazione
agli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3 e 205, comma 2.
12.- Con ricorso depositato in cancelleria il 21 giugno 2006 (reg. ric. n. 79
del 2006), la Regione Marche ha proposto questione di legittimità
costituzionale, in via principale, fra gli altri, degli artt. 181, commi 7, 8,
9, 10 e 11; 183, comma 1, 185, comma l; 186; 189, commi 1 e 3; 195, commi 1,
lettera f), comma 2, lettere b), e), 1), m) e s); 196, comma 1, lettera d); 199,
commi 9 e 10; 201, comma 6; 202, comma 1; 203, comma 2, lettera c); 208, comma
10; 212, commi 2 e 3; 214, commi 2 e 3; 215, commi 1, 3 e 4; 216, commi 1, 3 e 4
del D.L.vo n. 152 del 2006.
Quanto all'art. 181, commi da 7 a 11, nonché all'art. 183, comma 1, la Regione
Marche sostiene che tali disposizioni opererebbero una deregolamentazione
«mascherata» del settore, in pieno contrasto con le normative europee, con
conseguente violazione degli arti. 11, 76, 117 e 118 Cost.
Gli accordi di programma, infatti, consentirebbero, in materia di rifiuti, di
derogare al sistema normativo previgente, istituendo una contrattazione diretta
tra soggetti economici ed amministrazione statale, idonea ad escludere dal
regime dei rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e di controllo
tutta una serie di materiali o sostanze - fra le quali le materie prime
secondarie - che nella legislazione vigente e nel diritto comunitario (direttiva
n. 75/442/CEE, così come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE) vi sarebbero
assoggettati.
Per tali ragioni, a giudizio della ricorrente, le norme contenute nei commi 7,
8, 9, 10 e 11 dell'art. 181, si porrebbero in contrasto anche con i principi e
criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308
del 2004 e, in particolare con quelli indicati alle lettere e) ed f).
In tale contesto, la denunciata violazione degli artt. 11 e 76 Cost. si
ripercuoterebbe anche sulle competenze costituzionali della Regione, dal momento
che la materia dei rifiuti si colloca in una zona in cui si intersecano gli
aspetti tipicamente ambientali, di competenza dello Stato e gli aspetti di
tutela del territorio, di tutela igienico-sanitaria e di sicurezza della
popolazione, di competenza regionale.
La ricorrente censura, in particolare, l'art. 183, comma 1, lettera f), del
D.L.vo n. 152 del 2006, il quale, nel definire la «raccolta differenziata»,
contemplerebbe la possibilità di procedere al raggruppamento dei rifiuti urbani
in frazioni merceologiche omogenee, anche con riferimento alla frazione organica
umida, in momento successivo alla raccolta, in contrasto con la normativa
comunitaria in materia nonché con la legge delega e, quindi, con gli artt. 11,
76 e 117 della Cost.
La disciplina esaminata, oltre a violare gli artt. 11 e 76 Cost., determinerebbe
un'illegittima compressione delle competenze costituzionali della Regione in
materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute e governo del territorio,
dal momento che, aumentando i materiali da conferire in discarica o alla
termovalorizzazione, provocherebbe un pregiudizio al potere di programmazione
delle Regioni, a detrimento della sicurezza e salute della popolazione.
Anche l'art. 185, comma 1, violerebbe gli artt. 11, 76 e 117 Cost., trattandosi
di norma che limita il campo di applicazione della parte quarta del D.L.vo n.
152 del 2006, escludendovi anche alcuni tipi di rifiuti che, a norma della
disciplina comunitaria, per poter essere sottratti alla normativa sui rifiuti,
avrebbero dovuto essere assoggettati a specifiche discipline di settore.
Di qui il contrasto anche con i principi e criteri direttivi individuati
dall'art. 1, comma 8, alle lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004.
Anche in relazione all'art. 186, nella parte in cui sottrae le terre e rocce da
scavo alla disciplina dei rifiuti, sarebbe palese il contrasto con la normativa
comunitaria e con i criteri dettati dal legislatore attraverso la legge n. 308
del 2004, in specie alle lettere e) ed f), con conseguente lesione degli artt.
11, 76 e 117 Cost.
Le richiamate violazioni si ripercuoterebbero in modo lesivo sulle competenze
costituzionali della Regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della
salute e governo del territorio.
Anche l'art. 189, commi 1 e 3, in materia di catasto dei rifiuti, si porrebbe in
contrasto sia con i principi e criteri della legge delega n. 308 del 2004, sia
con le attribuzioni regionali di cui agli artt. 117 e 118 Cost., nonché con le
direttive comunitarie.
La ricorrente deduce, ancora, l'illegittimità dell'art. 195, comma 1, lettera
f); comma 2, lettere b), e),1), m) e s), nonché dell'art. 196, comma 1, lettera
d), per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La disciplina che risulterebbe dal combinato disposto degli artt. 195 e 196,
infatti, produrrebbe una notevole limitazione dell'autonomia regolamentare delle
Regioni, in violazione degli artt. 117 e 118 della Cost.
In particolare, il pregiudizio dell'autonomia regionale si renderebbe manifesto
in relazione all'attività di programmazione del «ciclo» rifiuti, con conseguente
pregiudizio dell'autonomia regionale in materia di tutela dell'ambiente, della
salute, di governo del territorio e di gestione dei servizi pubblici.
Le censure, di costituzionalità riguardano, in primo luogo, la disposizione
contenuta nella lettera f) del comma 1 dell'art. 195, nella parte in cui
attribuisce allo Stato «l'individuazione, nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle Regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo
sviluppo del Paese». Tale individuazione, a giudizio della Regione Marche,
avverrebbe sulla base di una «mera audizione» della Conferenza unificata di cui
all'art. 8, D.L.vo n. 281 del 1997, e non previa intesa con la Regione
interessata, che costituirebbe il provvedimento più idoneo a garantire il
rispetto delle prerogative regionali.
Analoga limitazione delle attribuzioni regionali determinerebbe l'art. 196,
comma 1, lettera d), che riconosce in capo alla «competenza delle regioni, nel
rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del
presente decreto, ivi compresi quelli di cui all'articolo 195 [...] d),
l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche
pericolosi e l'autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, fatte
salve le competenze statali di cui all'art. 195, comma 1, lettera f)». Ciò in
quanto dal combinato disposto delle citate disposizioni risulterebbe che gli
impianti di recupero e di smaltimento d'interesse nazionale possono essere
individuati ed approvati direttamente dallo Stato senza alcun coinvolgimento
delle Regioni, ancora una volta comprimendo illegittimamente le funzioni di
queste in materia di salute, ambiente e governo del territorio.
Illegittime sarebbero pure le disposizioni contenute nelle lettere b), e), 1),
m) e s) dell'art. 195, comma 2, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Si tratterebbe di un'elencazione di competenze in favore dello Stato che
consentirebbe al medesimo di porre norme di dettaglio in materie connesse con le
attribuzioni regionali in tema di tutela della salute, di gestione di servizi
pubblici, di pianificazione e programmazione del territorio. Ciò fino al punto
di pregiudicare il potere di programmazione e disciplina riconosciuto invece
alle Regioni, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La ricorrente censura, poi, l'art. 199, commi 9 e 10, per violazione degli artt.
11, 76, 117 e 118 Cost.
La norma in esame disciplina i piani regionali di gestione dei rifiuti,
attribuendo al solo Stato ed in particolare al Ministro dell'ambiente il potere
sostitutivo nel caso in cui «le autorità competenti non realizzino gli
interventi previsti dal piano regionale nei termini e con le modalità stabiliti
e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all'attuazione del piano
medesimo».
Tale previsione - quanto al comma 9 - sarebbe in contrasto con gli artt. 117 e
118 Cost., poiché, trattandosi di potere da esercitare rispetto ad enti locali e
su materie di competenza regionale, esso avrebbe dovuto essere riconosciuto, in
via preliminare, alle Regioni.
Contrasterebbe, poi, con gli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost. anche il successivo
comma 10, poiché, da un lato, individuerebbe il contenuto dei provvedimenti
sostitutivi anche nell'ipotesi in cui il potere sostitutivo sia di competenza
regionale; dall'altro, nell'individuare tale contenuto, non richiamerebbe la
disposizione di cui all'art. 22, comma 10, lettera c), del D.L.vo n. 22 del
1997, che consentiva l'introduzione di sistemi di deposito cauzionale
obbligatorio dei contenitori.
Tale disposizione sarebbe, dunque, in contrasto anche con la direttiva
comunitaria n. 75/442/CEE (come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE), nella
parte in cui prevede, tra le finalità che la normativa sui rifiuti deve
perseguire, la prevenzione o la riduzione della produzione e nocività dei
medesimi. La soppressione della costituzione di un deposito cauzionale, che pur
rappresentava un deterrente all'aumento della produzione e della nocività dei
rifiuti, rappresenterebbe un motivo di lesione e compressione dell'autonomia
finanziaria delle Regioni, con incidenza diretta sulle risorse economiche di cui
queste potranno disporre.
L'art. 199, comma 10, si porrebbe dunque anche in contrasto con i principi e
criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della
legge delega n. 308 del 2004, secondo cui la normativa italiana avrebbe dovuto
uniformarsi a quella comunitaria.
Sarebbe, infatti, evidente che la violazione dei criteri di delega si ripercuote
in questo caso sulle competenze costituzionali della Regione in materia di
tutela dell'ambiente, tutela della salute e governo del territorio, con
conseguente violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L' art. 201, comma 6, del decreto impugnato violerebbe, poi, gli artt. 11, 76,
117, 118 Cost., nella parte in cui, in tema di servizio di gestione integrata
dei rifiuti urbani, stabilisce che la durata dell'affidamento del servizio non
debba essere inferiore a quindici anni. Tale previsione violerebbe, infatti,
apertamente la disciplina contenuta nella citata direttiva comunitaria n.
75/442/CEE (come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE), la quale, all'art.
5, impone agli Stati membri di adottare le «misure appropriate per la creazione
di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto
delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi
eccessivi» e che «tale rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti
in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all'utilizzazione dei
metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione
dell'ambiente e della salute pubblica».
La concessione di un'autorizzazione per la durata di quindici anni, al
contrario, non consentirebbe di perseguire il descritto obiettivo di tenere
conto delle tecnologie più aggiornate e di utilizzare i metodi più idonei a
garantire un alto grado di protezione ambientale e della salute pubblica.
Per le medesime ragioni l'art. 201, comma 6, contrasterebbe anche con i principi
e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308
del 2004 e, in particolare, con quelli di cui alle lettere e) ed f), in
violazione degli artt. 11 e 76 Cost.
Quanto all'art. 202, comma 1, in materia di affidamento del servizio di gestione
integrata dei rifiuti urbani, la Regione Marche ne deduce la violazione degli
artt. 117 e 118 Cost. L'affidamento del servizio da parte dell'Autorità d'ambito
sulla base delle modalità e nei termini definiti con un decreto ministeriale
determinerebbe, infatti, la violazione delle competenze regionali, dal momento
che le norme ad esse relative saranno necessariamente di dettaglio e non di
carattere generale, come invece dovrebbe essere nel caso di competenza
concorrente Stato-Regione.
La Regione Marche, inoltre, censura per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118
Cost., anche l'art. 208, comma 10, in materia di c.d. autorizzazione unica per i
nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
La disposizione prevede che «ove l'autorità competente non provveda a concludere
il procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica entro i termini previsti
al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all'art. 5 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
Il potere sostitutivo ivi previsto contrasterebbe con gli artt. 117 e 118 Cost.
in quanto lederebbe il potere delle Regioni di sostituirsi agli enti
inadempienti nelle materie di propria competenza. Il caso esaminato sarebbe,
appunto, fra questi, trattandosi di materia che va ad intrecciarsi con altre di
competenza regionale quali, ad esempio, la tutela della salute e il governo del
territorio.
Anche l'art. 212, commi 2 e 3, in materia di albo nazionale dei gestori
ambientali, contrasterebbe con gli artt. 117 e 118 Cost., nella parte in cui
stabilisce un aumento del numero dei componenti a favore del Ministero per
quanto concerne il comitato nazionale ed a favore delle organizzazioni sindacali
e delle categorie economiche relativamente alle sezioni regionali o provinciali
dell'albo, con una contestuale riduzione dei componenti di nomina regionale.
Tali disposizioni, infatti, a giudizio della ricorrente, attraverso la riduzione
della rappresentanza regionale, violerebbero le prerogative attribuite alle
Regioni in materie ad esse attribuite dalla normativa costituzionale (tutela
dell'ambiente, della salute e governo del territorio), in quanto i
rappresentanti delle Regioni non avrebbero la possibilità di condizionare la
definizione delle linee guida in materia di smaltimento e recupero dei rifiuti.
Viene, altresì, dedotta l'illegittimità costituzionale dell'art. 214, commi 2 e
3, nella parte in cui prevede la possibilità di stipulare accordi di programma
per la disciplina delle procedure semplificate, per violazione degli artt. 11,
76, 117 e 118 Cost.
A giudizio della Regione Marche, la previsione di tali accordi nella materia
delle citate procedure semplificate si pone in contrasto con la normativa
comunitaria in materia di rifiuti, nonché con la legge delega e,
conseguentemente, con gli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
Tali accordi, infatti, consentirebbero di derogare al sistema normativo
previgente, istituendo una contrattazione diretta tra privati ed amministrazione
statale idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e dalle relative procedure di
autorizzazione e controllo una serie di materiali o sostanze, che nella
legislazione vigente e nel diritto comunitario invece vi sono assoggettati, in
contrasto con la direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, come modificata dalla
direttiva n. 91/156/CEE.
Per gli stessi motivi, poi, l'art. 214, comma 3, inoltre, si pone in contrasto
con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e)
ed f), della legge delega n. 308 del 2004.
Infine, la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale degli artt.
215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4, per violazione degli artt. 117 e 118
Cost.
Tali articoli, nel disciplinare le procedure semplificate di trattamento dei
rifiuti con riferimento alle attività di auto-smaltimento ed alle operazioni di
recupero, attribuiscono alla sezione regionale dell'albo nazionale dei gestori
ambientali le funzioni che la precedente legislazione attribuiva alle Province (artt.
32 e 33 del D.L.vo n. 22 del 1997).
A giudizio della ricorrente, tale scelta di sottrarre alla competenza
provinciale la tenuta ed il controllo delle comunicazioni di inizio delle
attività di smaltimento e recupero dei rifiuti nelle procedure semplificate
sarebbe del tutto irrazionale ed illogica, in quanto l'attribuzione del potere
di controllo a un soggetto e il potere sanzionatorio ad un altro soggetto, non
potrebbe certo soddisfare alcuna esigenza di semplificazione. Per tale via, la
disciplina di cui agli artt. 215 e 216 del testo unico violerebbe gli artt. 117
e 118 Cost. sottraendo alla Regione «importanti funzioni in materia di tutela
della salute e del governo del territorio».
12.1.- E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), la quale, con atto depositato il 6 settembre
2006 e con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, ha chiesto
l'accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
12.2.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione, con memoria del 5 maggio
2009, ha dichiarato di conservare l'interesse al ricorso, insistendo per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nello stesso.
13.- Con ricorso depositato in cancelleria il 20 giugno 2006 (reg. ric. n. 76
del 2006), la Regione Puglia ha proposto questione di legittimità
costituzionale, in via principale, previa sospensione, fra gli altri degli artt.
181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3 e 214, commi 3 e 5 del
D.L.vo n. 152 del 2006.
In particolare, con riguardo all'art. 181, la ricorrente assume che tale norma
realizzi in realtà una vera e propria deregolamentazione della materia,
affidando l'intera disciplina del recupero dei rifiuti ad accordi di programma,
privi dei caratteri della generalità ed astrattezza. Tale strumento negoziale
viene, poi, richiamato dall'art. 214, comma 3, per le procedure semplificate in
materia di smaltimento dei rifiuti non pericolosi, che quindi risulterebbero
attribuite all'esclusiva competenza del Ministro dell'ambiente. Non solo: tale
articolo, al comma 5, farebbe anche espresso rinvio al d.m. del 5 febbraio 1998,
di cui si prevede un'applicabilità in via transitoria, malgrado tale decreto
fosse stato all'origine di una procedura d'infrazione dinanzi alla Corte di
giustizia europea, conclusasi con la sentenza di condanna dello Stato italiano
del 7 ottobre 2004 - C103/02.
Sarebbe, pertanto, evidente che le Regioni, alle quali la legislazione statale
precedente, ed in particolare il D.L.vo n. 22 del 1997, aveva riconosciuto
potestà regolamentare in materia, sia pure nell'ambito dei principi generali
fissati dallo Stato, risulta completamente esautorate di ogni potere nell'ambito
del recupero dei rifiuti e delle citate procedure semplificate, non essendo
peraltro prevista alcuna forma di partecipazione o di consenso regionale alla
stipulazione dei suddetti accordi.
Ad avviso della Regione, poi, l'art. 183, comma 1, escluderebbe espressamente
dall'applicazione delle disposizioni di cui alla parte quarta del decreto i
sottoprodotti delle imprese (comprese le ceneri di pirite e le polveri di ossido
di ferro), sottraendo in tal modo alcuni materiali altamente inquinanti al
regime di autorizzazioni e controlli previsto dalla legislazione precedente.
Analogamente, il successivo art. 186 stabilisce che le terre e le rocce da
scavo, nonché i residui della lavorazione della pietra non costituiscono rifiuti
e sono, perciò, «esclusi, dall'ambito di applicazione della parte quarta del
presente decreto», anche se contaminati, purché non contengano una
concentrazione di inquinanti superiore a determinati limiti massimi.
La ricorrente assume, poi, anche che il comma 3 dell'art. 189, imponendo
l'obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantità e le
caratteristiche qualitative dei rifiuti unicamente ai produttori di «rifiuti
pericolosi», finirebbe per esonerare da tale obbligo coloro che producono
rifiuti non pericolosi, oltre che gli imprenditori agricoli con un volume di
affari annuo non superiore ad ottomila curo.
Il complesso di queste disposizioni si tradurrebbe, dunque, in una sostanziale
riduzione delle garanzie imposte a tutela dell'ambiente e del territorio dalla
normativa comunitaria e statale di recepimento, le quali prescrivevano in
materia di rifiuti una disciplina più rigorosa.
Le disposizioni censurate, quindi, violerebbero gli artt. 76, 117 e 118 Cost.,
tenuto conto proprio della limitazione alle numerose e pregnanti competenze
riconosciute alle Regioni nella materia in questione, nonché del contrasto con i
principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega n. 308 del 2004.
La Regione Puglia, infine, ha chiesto, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 131
del 2003 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla
l. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), la sospensione dell'esecuzione delle norme
impugnate, la cui entrata in vigore non è stata differita di centoventi giorni
rispetto alla pubblicazione, e quindi, fra gli altri, degli artt.: 181, 183,
186, 189, 214 in considerazione del rischio di un pregiudizio irreparabile
all'interesse pubblico ed ai diritti della popolazione regionale.
13.1.- E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia - Onlus), la quale, con atto depositato il 28 agosto 2006
e con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, ha chiesto
l'accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
13.2.- In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione, con memoria del 5 maggio
2009, ha dichiarato di rinunciare alle censure proposte nei confronti degli artt.
181, commi da 7 a 11; 183, comma 1; 186; 189, comma 3; 214, comma 3. Ha
dichiarato, viceversa di conservare interesse alle censure relative agli art.
214, comma 5, insistendo per l'accoglimento delle questioni proposte.
Considerato in diritto
1.- Con i ricorsi indicati in epigrafe, le Regioni Calabria, Toscana, Piemonte,
Valle d'Aosta, Umbria, Emilia-Romagna, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania,
Marche e Basilicata hanno complessivamente impugnato, per la parte che qui
interessa e ognuna con specifico riferimento a taluno di essi, gli articoli 181,
commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12; 183, comma 1; 185, comma 1; 186; 189, commi
1 e 3; 194; 195, commi 1, lettere f), g), l), m), n), o), p), q) e t), comma 2,
lettere b), e), l), m), n), q) e s) e comma 4; 196; 197; 199, commi 5, 8, 9 e
10; 200; 201; 202; 203; 204; 205; 206, commi 2 e 3; 207, comma 1; 208, commi 3,
4, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 15-20; 209, commi 2-5 e 7; 210; 211, commi 2-5; 212,
214, commi 2, 3, 5 e 9; 215 e 216, commi 1, 3-7, 10-15, del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (di qui in avanti:
Codice dell'ambiente), in riferimento agli artt. 3, 11, 42, 43, 76, 97, 114,
117, 118, 119 e 120 Cost., nonché all'art. 2, lettera b), dello statuto speciale
per la Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4) ed ai
principi di ragionevolezza, leale collaborazione, sussidiarietà ed adeguatezza.
Le norme impugnate hanno ad oggetto la disciplina della gestione dei rifiuti.
Stante la loro connessione oggettiva, i suddetti ricorsi devono essere riuniti
ai fini di un'unica pronuncia.
2.- Preliminarmente, va riservata ad altre pronunce la decisione delle ulteriori
questioni di legittimità costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi.
Devono, inoltre, essere dichiarati inammissibili gli interventi in giudizio sia
dell'Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia - Onlus),
che di Biomasse Italia s.p.a, Società Italiana Centrali Termoelettriche, Ital
Green Energy s.r.l., ed Energie Tecnologie Ambiente s.p.a., in applicazione del
principio secondo cui il giudizio di legittimità costituzionale in via
principale deve svolgersi «esclusivamente fra soggetti titolari di potestà
legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i mezzi di
tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre
istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via
incidentale» (ex multis sentenza n. 405 del 2008).
Ancora in via preliminare, va dichiarata l'inammissibilità delle censure
sollevate dalla Regione Umbria con riferimento all'art. 195, comma 1, lettere m)
ed o), ed all'art. 202, comma 6, non essendo indicate nella delibera di
autorizzazione ad impugnare della Giunta regionale.
3.- Successivamente alla proposizione dei ricorsi, alcune delle disposizioni
censurate sono state in parte modificate ed in parte abrogate dal decreto
legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, (Ulteriori disposizioni correttive del D.L.vo
3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), dall'art.
4-quinquies del decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171 (Misure urgenti per il
rilancio competitivo del settore agroalimentare), convertito, con modificazioni,
dalla legge 30 dicembre 2008, n. 205, e dall'art. 20, comma 10-sexies, del
decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a
famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi
il quadro strategico nazionale), nel testo introdotto dalla legge di conversione
28 gennaio 2009, n. 2.
Alla luce delle predette sopravvenienze legislative, alcune Regioni in parte
hanno rinunciato ad alcune censure, in parte hanno dichiarato la propria carenza
di interesse alla pronuncia.
In particolare, la Regione Emilia-Romagna, con memoria del 14 maggio 2009, in
riferimento al ricorso n. 56 del 2006, ha rinunciato all'impugnazione degli artt.
181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, 214, commi 3 e 5.
La Regione Liguria ha rinunciato a tutte le censure relative alla parte quarta
del testo unico, con memoria del 28 aprile 2009.
La Regione Puglia ha dichiarato di rinunciare alle proprie censure, ad eccezione
di quelle inerenti all'art. 214, comma 5, con memoria del 5 maggio 2009.
La Regione Calabria, con memoria del 22 aprile 2009, ha chiesto una pronuncia di
cessazione della materia del contendere in relazione all'art. 207, comma 1.
La Regione Toscana, con memoria del 27 aprile 2009, ha dichiarato di non avere
interesse alla pronuncia, in relazione agli artt. 181, commi da 7 a 11, 183,
comma 1, lettere q) ed f), 185, comma 1, 186, 189, comma 3, 195, comma 2,
lettera e), 212, comma 3, 214, commi 2 e 3, 215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1,
3 e 4.
Le restanti Regioni, con separate memorie, hanno insistito nel richiedere la
pronuncia di illegittimità costituzionale. La Regione Umbria si è rimessa alla
Corte, in relazione alla valutazione della cessazione della materia del
contendere, con riferimento agli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1,
lettere g), h), m), n), q) ed u), 186, 189 comma 3, 214, commi 3 e 5.
4.- Preliminare rispetto anche ad una eventuale pronuncia di cessazione della
materia del contendere è l'esame dei profili di ammissibilità delle censure
proposte.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della dichiarazione di
cessazione della materia del contendere, è necessario che le norme abrogate non
abbiano prodotto effetti durante il periodo della loro vigenza (ex multis,
sentenze n. 74 del 2009, n. 439 e n. 289 del 2008), non essendo sufficiente che
esse siano state in via transitoria in vigore.
Nel caso in esame, alcune delle disposizioni impugnate, di seguito più
specificamente indicate, risultano essere state in vigore fino alle successive
modifiche ed integrazioni.
Escludendo, pertanto, che la sola vigenza delle norme, poi abrogate o modificate
in misura rilevante, nel periodo transitorio, sia indice della loro avvenuta
applicazione, occorre verificare, in concreto, se sussistono i presupposti per
una declaratoria di cessazione della materia del contendere.
5.- Molteplici sono le censure formulate dalle ricorrenti con riferimento alla
pretesa violazione di norme delle direttive comunitarie in materia di rifiuti -
e quindi alla violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., da un lato, e
dell'art. 76 Cost., dall'altro - poiché la legge delega avrebbe individuato, fra
i principi e criteri direttivi, quello della «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie».
Questa Corte ha, in più occasioni, ribadito il principio secondo cui non sono
ammissibili le censure prospettate dalle Regioni rispetto a parametri
costituzionali diversi dalle norme che operano il riparto di competenze con lo
Stato, qualora queste non si risolvano in lesioni delle competenze regionali
stabilite dalla Cost. (fra le tante: sentenze n. 190 e n. 326 del 2008).
Pertanto, le censure dedotte con riferimento alla normativa comunitaria, senza
adeguata motivazione circa l'asserita lesione delle proprie sfere di competenza,
vanno dichiarate inammissibili, restando impregiudicato il potere-dovere delle
amministrazioni regionali di non applicare le norme incompatibili con le
disposizioni di direttive comunitarie provviste di effetto diretto, alla stregua
di una costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 170 del 1984 e n.
168 del 1991).
6.- In particolare, viene censurato l'art. 181, commi da 7 a 11 (Regione
Umbria), anche in combinato con l'art. 183, comma 1, lettera q) (Regioni Marche
e Toscana), nonché in combinato con l'art. 183, comma 1 (Regioni Abruzzo,
Liguria, Puglia, Campania e Basilicata) o con l'art. 214, commi 2, 3 e 5
(Regione Piemonte; Regione Umbria, con esclusivo riferimento al comma 3
dell'art. 214), nella parte in cui si pone in contrasto con la direttiva n.
75/442/CEE, la quale stabilisce che l'obbligo generale dell'autorizzazione per
le attività di recupero dei rifiuti possa essere derogato solo allorché «le
autorità competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attività norme generali
che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali
l'attività può essere dispensata dall'autorizzazione» (Regioni Abruzzo, Liguria,
Puglia, Campania e Basilicata, Marche e Toscana).
Del pari si deduce la violazione dell'art. 76 Cost., con riferimento all'art. 1,
comma 8, della legge delega 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il
riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia
ambientale e misure di diretta applicazione), il quale prevede la «piena e
coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati
livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività
dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della
concorrenza» (lettera e), e l'«affermazione dei principi comunitari di
prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei
danni ambientali e del “chi inquina paga”» (lettera f).
Le norme hanno ad oggetto la possibilità di disciplinare con accordi di
programma i metodi di recupero dei rifiuti (art. 181, commi da 7 a 11; anche in
combinato con l'art. 183 ed in combinato disposto con l'art. 183, comma 1, che
contiene le definizioni di rifiuto, raccolta differenziata, deposito temporaneo,
sottoprodotto, materia prima secondaria), nonché l'accesso alle cosiddette
procedure semplificate (artt. 214, commi 2, 3 e 5) e si porrebbero in contrasto
con la normativa comunitaria (e quindi con la legge delega), nella misura in cui
determinerebbero una deregolamentazione dell'attività di recupero e gestione dei
rifiuti, diversamente da quanto disposto dalle direttive n. 75/442/CEE come
modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, secondo cui tale semplificazione
sarebbe possibile solo fissando norme generali, che determinino i tipi e le
quantità di rifiuti.
Le ricorrenti denunciano la violazione delle competenze regionali in materia di
tutela del territorio, di tutela igienico-sanitaria e di sicurezza della
popolazione, con motivazioni generiche o assertive, con conseguente manifesta
inammissibilità delle questioni.
6.1.- Le questioni concernenti l'individuazione dei materiali sottratti alla
disciplina dei rifiuti (terre e rocce da scavo: art. 186; emissioni costituite
da effluenti gassosi, scarichi idrici, rifiuti radioattivi, ed altri materiali
tassativamente indicati: art. 185, comma 1 - Marche e Toscana, Calabria,
Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia e Campania), nonché la definizione di
talune operazioni, quali la “raccolta differenziata” (art. 183, comma 1, lettera
f) - Marche e Toscana), oltre che della nozione di sottoprodotto e materia prima
secondaria per attività metallurgiche (artt. 183, 194 e 212 - Piemonte), sono
prospettate in riferimento alla normativa comunitaria, senza tuttavia addurre
una sufficiente motivazione circa le modalità attraverso le quali la dedotta
lesione ridonderebbe sulle sfere di competenza regionale. Gli argomenti spesi,
per un verso sono generici, per l'altro non attengono al riparto delle
competenze, perché ancorati ad un situazione di “incertezza” normativa ovvero
all'irragionevolezza delle soluzioni adottate, sicché essi non sfuggono alla
declaratoria di inammissibilità.
6.2.- L'art. 189, comma 3, che esonera talune imprese o enti che producono
rifiuti non pericolosi dall'obbligo di comunicazione annuale alle Camere di
commercio di quantità e caratteristiche dei rifiuti medesimi, è censurato con
riferimento agli artt. 6 e 14 della direttiva n. 75/442/CEE, che imporrebbero
l'istituzione di un'autorità competente a cui fornire le predette informazioni,
in ordine a tutti i tipi di rifiuti (Calabria, Umbria, Liguria, Toscana,
Campania, Abruzzo, Puglia e Marche).
Anche in questo caso, alla valutazione nel merito della compatibilità
comunitaria osta l'inammissibilità della questione, in quanto la motivazione in
ordine alla lesione della competenza regionale è generica, essendosi le
ricorrenti limitate ad affermare che la dispensa dalla comunicazione annuale al
Catasto dei rifiuti andrebbe ad incidere sui poteri di autorizzazione, controllo
e pianificazione propri delle Regioni.
6.3.- La questione proposta in relazione all'art. 199, comma 10 (Marche, Toscana
e Piemonte), il quale, individuando il contenuto dei provvedimenti sostitutivi
del Ministro dell'ambiente, non contemplerebbe più (come viceversa l'art. 10,
lettera c, del D.L.vo n. 22 del 1997) la costituzione di un deposito cauzionale,
riguarda l'asserito contrasto con le finalità perseguite dalle direttive
comunitarie di prevenzione e riduzione della produzione e nocività dei rifiuti.
Le argomentazioni sottese alle censure risultano, ancora una volta, generiche e
non consentono, quindi, di affrontare il merito, non potendosi che dichiararne
l'inammissibilità.
6.4.- Allo stesso modo, deve dichiararsi l'inammissibilità della questione
proposta in riferimento all'art. 201, comma 6, e 203, comma 2, lettera c)
(Marche e Toscana), nella parte in cui impongono una durata non inferiore a
quindici anni per la gestione del servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani da parte dei soggetti affidatari, in contrasto con l'obiettivo
comunitario di tenere conto delle tecnologie più aggiornate e di utilizzare i
metodi più idonei a garantire un alto grado di protezione ambientale e della
salute pubblica. Anche in questo caso, infatti, non si dà conto dell'incidenza
di tale violazione sulle sfere di competenza regionali.
7.- Nello stesso ambito vanno collocate quelle censure, che attengono ad altri
parametri non relativi al riparto delle competenze, in riferimento alle quali
non sono forniti argomenti a sostegno della incidenza della pretesa violazione
degli stessi sulle sfere di attribuzione regionali.
Si tratta delle questioni sollevate dalle Regioni Umbria e Piemonte con riguardo
agli artt. 181, commi da 7 a 11, e 214, comma 3 e 5, evocando i principi che
regolano l'attività amministrativa, nonché quelli di eguaglianza e certezza del
diritto, generalità ed astrattezza delle norme, senza allegare alcuna
motivazione. A giudizio delle ricorrenti, infatti, i principi invocati
escluderebbero la possibilità di prevedere accordi con i privati, nell'ambito
dell'attività diretta alla emanazione di atti normativi ed amministrativi
generali, non consentendo alcuna alterazione della gerarchia delle fonti del
diritto, senza tuttavia che sia contestata alcuna lesione delle competenze o
funzioni riservate dalla Costituzione alle Regioni.
Ancora sotto il medesimo profilo, risulta inammissibile la censura rivolta dalla
Regione Emilia-Romagna nei confronti dell'art. 214, comma 9, nella parte in cui
estende alle denunce, alle comunicazioni ed alle domande disciplinate dalle
precedenti norme di semplificazione sulle procedure gli istituti della
dichiarazione di inizio di attività e del silenzio assenso, di cui ai novellati
artt. 19 e 20 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), per violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost.
Si deduce, a tal proposito, che la norma in esame, violando i richiamati
principi di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione, delineerebbe
una situazione di assoluta incertezza ed impossibilità di svolgere controlli
efficaci ex post, intervenendo in un ambito procedimentale riservato alla
disciplina regionale. In questo caso è evidente come la ricorrente non fornisca
alcun argomento atto a dimostrare la pretesa interferenza con l'esercizio delle
funzioni attribuite alle amministrazioni regionali e locali.
8.- Altro gruppo di censure inammissibili concerne tutte quelle ipotesi in cui
le ricorrenti, prospettando la questione di legittimità costituzionale in
relazione ad alcune norme, dal contenuto del tutto eterogeneo, non hanno
specificato i termini entro i quali le singole disposizioni di riferimento
abbiano violato i parametri costituzionali invocati. In questo caso, infatti, la
carenza di ogni collegamento fra le argomentazioni svolte in ricorso e le
singole disposizioni normative non consente alla Corte di procedere ad una
verifica di compatibilità costituzionale funzionale alla pronuncia caducatoria
richiesta.
8.1.- La Regione Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale
degli artt. da 196 a 200, in quanto tali norme determinerebbero una compressione
delle potestà regionali in ordine alla definizione degli indirizzi ed
all'organizzazione del sistema di governo delle attività di gestione dei
rifiuti, nonché delle funzioni provinciali di programmazione e coordinamento
delle politiche gestionali nel proprio ambito territoriale, in contrasto con il
principio di sussidiarietà, il quale impone che gli interventi siano rapportati
alla dimensione territoriale degli interessi ed all'individuazione del livello
ottimale di allocazione delle diverse funzioni, nonché con il principio di
differenziazione che impone di adattare gli interventi di tutela e di
organizzazione ai diversi contesti territoriali.
Le censure sono manifestamente inammissibili, in quanto coinvolgono in maniera
indifferenziata gli artt. da 196 a 200, senza che l'asserita illegittima
compressione delle potestà regionali - in tema di definizione degli indirizzi
delle attività di gestione dei rifiuti - sia specificata, quantomeno sotto il
profilo della necessità di adattamento degli interventi sui diversi contesti
territoriali.
8.2.- Analogamente deve concludersi per la questione sollevata dalla Regione
Calabria, con riguardo all'art. 197, comma 1, nella parte in cui contiene
l'elenco delle competenze provinciali. Anche in questo caso, infatti, le norme
censurate sono esaminate in maniera indifferenziata, senza che venga in alcun
modo specificato come le singole disposizioni contrastino con il parametro
costituzionale indicato.
8.3.- Inammissibili sono pure le questioni sollevate dalle Regioni Calabria,
Toscana, Marche, Piemonte, Emilia-Romagna e Valle D'Aosta con riferimento agli
artt. 200, 201, 202 e 203, nella parte in cui disciplinano il servizio di
gestione integrata dei rifiuti urbani, attraverso l'individuazione di ambiti
territoriali ottimali e l'istituzione di Autorità di ambito, cui vengono
assegnate le funzioni relative all'organizzazione, all'affidamento ed al
controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti e la formulazione del
contratto di servizio.
Le norme impugnate violerebbero l'art. 117 Cost. e l'art. 2, lettera b), dello
statuto speciale della Regione Valle d'Aosta, in quanto inciderebbero,
attraverso disposizioni di dettaglio, su materie di competenza regionale, quale
quella del servizio pubblico locale di gestione dei rifiuti urbani, di
competenza regionale residuale.
Si tratta evidentemente di una censura generica, in quanto rivolta ad una serie
di norme, anche eterogenee, senza individuare in che modo ed in quali parti esse
ledano la richiamata competenza regionale.
8.4.- A conclusioni non dissimili deve pervenirsi in relazione alla questione,
sollevata dalla Regione Calabria, inerente agli artt. 208, commi 3, 4, 6, 8, 9,
11, 12, da 15 a 20, 209, commi da 2 a 5 e 7, 210 e 211, commi da 2 a 5, nella
parte in cui disciplinerebbero in maniera troppo dettagliata la procedura per
l'autorizzazione per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti,
per il rinnovo delle autorizzazioni, per le autorizzazioni in casi particolari e
per l'autorizzazione di impianti di ricerca e sperimentazione. Non essendo,
infatti, contestato dalla ricorrente il titolo dello Stato a legiferare, non
risulta in alcun modo specificato in che parte e come sia lesa la competenza
regionale, del resto solo assertivamente richiamata.
8.5.- Da ultimo, nello stesso ambito va collocata la censura, sollevata dalla
Regione Calabria, in riferimento agli artt. da 199 a 207, non approvati a
seguito di un coinvolgimento degli enti territoriali infra-statuali, nella parte
in cui intervengono a disciplinare il servizio di gestione integrata dei
rifiuti, in violazione del principio di leale collaborazione. E', infatti,
evidente la genericità della questione, non essendo individuate, nel coacervo
delle disposizioni richiamate, le singole norme che incidono sulle competenze
legislative regionali in riferimento alle quali sarebbe stata necessaria
l'intesa.
9.- Alcune questioni devono ugualmente essere dichiarate inammissibili, in
quanto le ricorrenti, pur individuando con precisione la norma impugnata, non
forniscono una motivazione sufficiente in ordine alla fondatezza delle censure.
In questo caso, infatti, difettano i requisiti minimi che consentano l'esame del
merito delle questioni, rendendo quindi impossibile ogni controllo di
costituzionalità.
9.1.- In primo luogo, viene in rilievo la censura proposta dalla Regione
Calabria sull'art. 181, commi da 5 a 12, in riferimento all'art. 117 Cost., che,
regolando in modo dettagliato le procedure attraverso le quali perseguire il
recupero dei rifiuti, mediante il riutilizzo, il reimpiego, il riciclaggio ed
altre forme di recupero, recherebbe una disciplina «largamente ultronea rispetto
alla esigenza di porre standards uniformi di tutela ambientale su tutto il
territorio nazionale, non limitandosi […] ad individuare gli orientamenti
generali cui gli operatori debbono attenersi […], ma specificando minutamente
finanche gli strumenti in base ai quali porre in essere gli obiettivi (gli
accordi di programma) e le procedure da seguire». La censura appare prima facie
generica, in quanto la ricorrente non contesta la competenza statale a
disciplinare la materia, ma solo l'eccessivo dettaglio della disciplina, senza
però fornire alcun argomento a sostegno della pretesa lesione delle proprie
sfere di competenza.
9.2.- A medesima conclusione si perviene con riguardo agli artt. 181, commi da 7
a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, e 214, commi 3 e 5, che, a giudizio delle
Regioni Puglia, Abruzzo e Campania, disciplinano la materia «rifiuti»,
collocandosi in un contesto in cui si sovrappongono agli interessi regionali di
tutela del territorio, nonchè di tutela igienico-sanitaria e di sicurezza della
popolazione, sconvolgendo l'assetto normativo ed amministrativo disegnato dalla
legislazione regionale, che verrebbe in molte parti abrogata. Lo stesso vale per
gli artt. 199, comma 5, nella parte in cui reca una disciplina dettagliata in
merito ai piani di bonifica delle aree inquinate, 215, commi 3 e 6, e 216, commi
da 3 a 7 e da 10 a 15, nella parte in cui dettano la disciplina di procedure
semplificate in tema di auto smaltimento e di operazioni di recupero, censurati
dalla Regione Calabria. In tutti questi casi l'asserita violazione dell'art. 117
Cost.viene motivata assumendo, in maniera del tutto apodittica, la lesione delle
competenze costituzionali della Regione in materia di tutela dell'ambiente,
tutela della salute e governo del territorio.
9.3.- Infine, inammissibile - perché del tutto priva di motivazione - risulta la
questione sollevata dalle Regioni Calabria, Piemonte e Valle d'Aosta, con
riferimento agli artt. 203 e 204, come conseguenza della pretesa illegittimità
costituzionale dell'art. 202.
10.- L'esame delle questioni per le quali non può pervenirsi ad una pronuncia di
merito deve proseguire in riferimento a quelle censure che attengono alla
denuncia di meri inconvenienti di fatto, derivanti dall'applicazione delle norme
impugnate e, appunto perché tali, inidonei a configurare un contrasto della
disposizione impugnata con il parametro costituzionale invocato.
Si tratta delle questioni inerenti all'art. 205 in relazione all'art. 183, comma
1, lettera f), ed all'art. 205, comma 2, sollevate rispettivamente dalle Regioni
Piemonte e Liguria, in riferimento al fatto che, identificando nella raccolta
differenziata anche operazioni di separazione che avvengono durante la
lavorazione del rifiuto, determinerebbero un fittizio incremento delle
percentuali di raccolta differenziata senza un sostanziale miglioramento,
ponendosi, irragionevolmente, in contrasto con gli obiettivi di tutela
ambientale, «risultando svilite le realtà territoriali e programmatorie già
impostate a criteri di maggiore efficienza, con detrimento delle attività
amministrative locali nel loro buon andamento». E' evidente dunque, come le
difficoltà applicative evidenziate non siano assolutamente sufficienti, neanche
in astratto, a determinare la denunciata lesione.
11.- Può a questo punto affrontarsi l'esame delle questioni che consentono una
valutazione di merito.
Va premesso, sul punto, che la disciplina dei rifiuti si colloca, per
giurisprudenza di questa Corte, nell'àmbito della tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e
competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di
fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, restando
ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente
collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis, sentenze n. 62
del 2008).
Pertanto, anche nel settore dei rifiuti, accanto ad interessi inerenti in via
primaria alla tutela dell'ambiente, possono venire in rilievo interessi
sottostanti ad altre materie, per cui la «competenza statale non esclude la
concomitante possibilità per le Regioni di intervenire [...]», ovviamente nel
rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato (sentenza n. 62
del 2005, altresì, sentenze n. 247 del 2006, n. 380 e n. 12 del 2007).
La disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di tale competenza
esclusiva dello Stato, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le
Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per
cui queste ultime non possono in alcun modo peggiorare il livello di tutela
ambientale stabilito dallo Stato (sentenza n. 378 del 2007).
La disciplina dei rifiuti, peraltro, in quanto rientrante principalmente nella
tutela dell'ambiente e, dunque, in una materia che, per la molteplicità dei
settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di
pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali. Di conseguenza,
ogniqualvolta sia necessario verificare, come nella specie, la legittimità
costituzionale di norme statali che abbiano disciplinato il fenomeno della
gestione dei rifiuti, è necessario valutare se l'incidenza della normativa sulle
materie regionali immediatamente contigue sia tale da compromettere il riparto
costituzionale di cui al titolo V della parte II della Costituzione, oltre il
limite della adeguatezza, rispetto alla citata finalità di fissazione dei
livelli di tutela uniformi.
12.- Ciò premesso in via generale, viene in rilievo l'esame delle singole
questioni, in relazione alle quali andrà anche valutata la possibile cessazione
della materia del contendere, in riferimento alla persistenza o meno
dell'interesse alla pronuncia, alla stregua della giurisprudenza costituzionale
sopra richiamata.
La Regione Calabria impugna l'art. 181, comma 3, secondo periodo, nella parte in
cui stabilisce che le agevolazioni per le imprese che intendano modificare i
propri cicli produttivi, per ridurre la quantità o la pericolosità dei rifiuti
prodotti, ovvero per favorire il recupero di materiali, siano erogate sulla base
di modalità, tempi e procedure fissati con decreto del Ministro delle attività
produttive, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del
territorio, dell'economia e delle finanze e della salute. La norma violerebbe in
primo luogo il principio di leale collaborazione, non prevedendo alcun
coinvolgimento delle Regioni, ed in specie l'intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, sebbene la finalità delle agevolazioni renda palese l'incidenza
anche su materie diverse rispetto alla tutela dell'ambiente, quali, ad esempio,
la tutela della salute e l'industria, di competenza regionale rispettivamente
concorrente e residuale.
La disposizione impugnata si porrebbe, altresì, in contrasto con gli artt. 117,
sesto comma, e 119, Cost., in ragione della previsione, in essa contenuta,
dell'esercizio del potere regolamentare da parte dello Stato, in materie non
riconducibili alla competenza esclusiva statale.
Va al riguardo osservato, in via preliminare, che l'art. 181 è stato sostituito
dall'art. 2, comma 18, del D.L.vo n. 4 del 2008, che ha determinato
l'abrogazione della disposizione censurata e, quindi, della previsione delle
agevolazioni alle imprese che intendano modificare i propri cicli produttivi,
per ridurre la quantità o la pericolosità dei rifiuti prodotti, ovvero per
favorire il recupero di materiali.
Orbene, è necessario tener conto del fatto che, nel tempo di vigenza della
disposizione impugnata, non risultano essere stati adottati provvedimenti di
competenza esclusiva statale, previsti dalla norma quali presupposti per
l'erogazione delle agevolazioni gravanti sul Fondo speciale rotativo per
l'innovazione tecnologica, di cui agli artt. 14 e seguenti della legge 17
febbraio 1982, n. 46. Tale evenienza è di per sé sola idonea a dimostrare come
non si siano concretamente prodotti effetti durante il periodo di vigenza,
sicché la richiamata abrogazione, evidentemente satisfattiva, consente di
giungere ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere.
13.- La Regione Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell'art. 189, comma 1, nella parte in cui detta la disciplina del cosiddetto
Catasto dei rifiuti, per violazione dell'art. 76, Cost., perché in contrasto con
i principi e criteri direttivi della legge delega, nella parte in cui vincola il
legislatore delegato al rispetto dell'assetto normativo ed amministrativo
vigente. La ricorrente, in proposito, assume, peraltro, di avere già esercitato
le funzioni ad essa attribuite, disciplinandole con legge e con strumenti di
pianificazione generale e particolare.
Ad avviso della Regione Calabria, inoltre, la stessa norma sarebbe in contrasto
con l'art. 117, sesto comma, Cost., nonché con il principio di leale
collaborazione, poiché attribuirebbe al Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio la competenza a dettare norme di organizzazione del Catasto dei
rifiuti, omettendo ogni riferimento ad un intervento regionale, peraltro a
fortiori necessitato dalla circostanza che le Sezioni regionali del Catasto
hanno sede, appunto, presso le Regioni.
Le Regioni Toscana e Marche, poi, deducono la violazione, da parte della
medesima norma, anche degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto il legislatore
nazionale non avrebbe previsto il coinvolgimento delle Regioni attraverso
l'intesa con la Conferenza unificata, in una materia in cui gli interessi
ambientali si sovrappongono con quelli di tutela del territorio, nonché di
tutela della salute e sicurezza della popolazione.
Le questioni non sono fondate.
Quanto alla dedotta violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo dell'eccesso
di delega, va osservato che, contrariamente all'assunto delle ricorrenti, già
l'art. 18 del D.L.vo n. 22 del 1997 prevedeva, alla lettera h), che fosse di
competenza dello Stato «la riorganizzazione e la tenuta del Catasto nazionale
dei rifiuti». Pertanto la norma censurata non contrasta né con il riparto di
competenze delineato nella normativa richiamata dalla legge delega, né con gli
artt. 117 e 118 Cost. Infatti, è evidente che, per espressa previsione
normativa, il Catasto dei rifiuti intende garantire la formazione di un quadro
conoscitivo unitario e costantemente aggiornato dei dati raccolti, anche ai fini
della pianificazione delle attività di gestione dei rifiuti. In tal senso,
quindi, le funzioni svolte da tale istituto sono prodromiche alla fissazione di
livelli uniformi di tutela dell'ambiente, di esclusiva competenza statale.
14.- Le Regioni Marche e Toscana hanno, poi, impugnato gli artt. 195, comma 1,
lettera f); comma 2, lettere b), e), l), m) e s), e 196, comma 1, lettera d);
quanto alle altre ricorrenti, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato l'art. 195,
comma 1, lettere f), g), n)¸ o), mentre il Piemonte, oltre alle lettere f), l),
m), n), o) e q), ha censurato anche la lettera p); infine la Regione Calabria ha
impugnato l'art. 195, comma 1, lettere f), g) e t), e comma 2, lettera b) in
combinato disposto con l'art. 195, comma 4, e la Regione Umbria ha censurato
l'art. 195, comma 1, lettera m) ed o).
Si tratterebbe di norme che attribuiscono allo Stato «l'individuazione, nel
rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, degli impianti di
recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese», nonché di una serie di altre
competenze, che consentirebbero al medesimo di emanare norme di dettaglio in
materie connesse con le attribuzioni regionali in tema di tutela della salute,
di gestione di servizi pubblici, di pianificazione e programmazione del
territorio, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Secondo le Regioni Calabria, Toscana e Piemonte sarebbe violato, altresì, il
principio di leale collaborazione, in quanto le norme per l'individuazione degli
impianti di interesse nazionale, nonostante facciano salvo il rispetto delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni, limiterebbero l'intervento delle
autonomie territoriali ad un mero parere della Conferenza unificata, anziché
prevedere il raggiungimento di una intesa che orienti l'operato degli organi
statali nelle predette attività.
Non solo, ma a giudizio della Regione Emilia-Romagna, le disposizioni in oggetto
violerebbero anche l'art. 76 Cost. e le attribuzioni regionali, delineando una
serie di competenze ulteriori, rispetto a quelle attribuite allo Stato dal
D.L.vo n. 22 del 1997, in violazione dei criteri di delega legislativa e con
evidente lesione delle sfere di competenza regionale residuale in tema di
tariffazione dei servizi pubblici locali, nonché di promozione delle forme di
cooperazione tra gli enti locali.
La Regione Piemonte, poi, ne deduce la contrarietà ai principi di sussidiarietà,
differenziazione e di leale collaborazione, i quali impongono che gli interventi
in materia siano rapportati alla dimensione territoriale degli interessi e
all'individuazione del livello ottimale di allocazione delle diverse funzioni.
La Regione Umbria, ancora, con riferimento alle lettere m) ed o), ne assume la
contrarietà con gli artt. 117 e 118 Cost., per il fatto di prevedere un atto di
indirizzo e coordinamento in una materia regionale, la cui legittimità - dopo la
riforma costituzionale del 2001 - dovrebbe ritenersi esclusa.
La Regione Calabria, poi, invoca il parametro costituzionale dell'art. 117,
quinto comma, Cost., in ragione del quale l'adeguamento del diritto interno agli
obblighi comunitari spetterebbe allo Stato ed alle Regioni in relazione alle
rispettive competenze, sicchè nella specie l'adeguamento alla normativa
comunitaria sui rifiuti non potrebbe che essere realizzata attraverso leggi
regionali.
La Regione Piemonte, da ultimo, richiama, sebbene implicitamente, l'art. 117,
quarto comma, Cost. ed in subordine il principio di leale collaborazione, in
quanto, avendo le norme impugnate ad oggetto il sistema di gestione dei servizi
relativi ai rifiuti, sarebbero riconducibili alla competenza legislativa
regionale in tema di servizi pubblici locali, nonché alla potestà organizzativa
degli enti gestori, e comunque non contemplerebbero alcuna forma di
partecipazione né delle Regioni né delle autonomie locali.
La Regione Toscana, con memoria del 27 aprile 2009, ha dichiarato di non avere
più interesse ad una pronuncia di merito in relazione alle censure proposte nei
confronti dell'art. 195, comma 2, lettera e), in quanto la richiamata
disposizione è stata prima sostituita dall'art. 2, comma 26, lettera a), del
D.L.vo n. 4 del 2008 e poi ulteriormente modificata dall'art. 5, comma 2, dalla
legge n. 205 del 2008, di conversione del d.l. n. 171 del 2008 (Misure urgenti
per il rilancio competitivo del settore agroalimentare), in senso pienamente
satisfattivo.
Tuttavia, la constatazione del significativo lasso di tempo nel quale la
disposizione censurata è stata in vigore insieme alla considerazione
dell'immediata precettività della stessa non consentono di ritenere che di essa
non sia stata fatta applicazione ed impediscono di giungere ad una pronuncia di
cessazione della materia del contendere.
Nel merito, le questioni, unitariamente trattate per l'analogia del tessuto
normativo censurato, non sono fondate.
Le norme impugnate riguardano, quanto all'art. 195, comma 1: l'individuazione
degli impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale
(lettera f); il piano nazionale di comunicazione e di conoscenza ambientale
(lettera g); i criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i
rifiuti speciali, ai fini dell'elaborazione dei piani regionali e la
determinazione delle linee-guida per gli ambiti territoriali ottimali (lettera
m); le linee guida per la definizione delle gare d'appalto per l'assegnazione
della concessione del servizio per la gestione integrata dei rifiuti (lettera
n); le linee guida inerenti le forme e i modi della cooperazione fra gli enti
locali anche con riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani
ricadenti nell'ambito territoriale ottimale (lettera o).
Occorre precisare a tal proposito che, quanto alle lettere f) e g), il
legislatore ha espressamente previsto una clausola di “salvezza” «nel rispetto
delle attribuzioni costituzionali delle regioni», oltre ad una necessaria
interlocuzione con la Conferenza unificata. Allo stesso modo, per le lettere m),
n) ed o), si impone un'intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
In primo luogo, quanto alla disciplina dell'individuazione degli impianti di
recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale (lettera f), non
risulta violata la competenza regionale in tema di «approvazione dei progetti di
nuovi impianti per la gestione dei rifiuti e l'autorizzazione alle modifiche
degli impianti esistenti» di cui all'art. 19, comma 1, del D.L.vo n. 22 del
1997, avendo quest'ultimo ad oggetto, in armonia con l'art. 117 Cost., i soli
impianti territorialmente localizzati e non quelli di «preminente interesse
nazionale». Sicché priva di fondatezza appare la censura relativa alla
violazione dell'art. 76 Cost.
Inoltre, proprio per il fatto che si tratta di impianti di «preminente interesse
nazionale», la valutazione relativa alla loro individuazione deve
necessariamente essere attribuita allo Stato, in coerenza con il principio di
sussidiarietà, in vista dell'obiettivo del soddisfacimento dell'esigenza
unitaria di una dislocazione strategica dei medesimi impianti sull'intero
territorio nazionale. In tale prospettiva, è infondata anche la dedotta
violazione del principio di leale collaborazione, tenuto conto che la norma
impugnata prevede che la predetta funzione di individuazione degli impianti sia
esercitata «sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281» e tale forma di coinvolgimento delle Regioni
e degli enti locali si rivela adeguata, incidendo la predetta attività su
competenze regionali (governo del territorio, tutela della salute) concorrenti,
in ordine alle quali spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in riferimento alle censure proposte nei
confronti della previsione della competenza statale in tema di predisposizione
di un piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale (lettera g). Tale
attribuzione, infatti, non determina alcuna lesione delle sfere di competenza
regionale, in quanto non impedisce alle Regioni di predisporre propri piani
territoriali sulla base dei quali, peraltro, solo lo Stato può provvedere a
definire - «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni» e
«sentita la Conferenza unificata» - un adeguato piano nazionale.
Del pari infondate sono le censure sollevate, in relazione all'art. 76 Cost.,
nei confronti dell'attribuzione allo Stato del compito di determinare i criteri
generali differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini
dell'elaborazione dei piani regionali dei rifiuti nonché le linee guida per gli
ambiti territoriali ottimali (lettera m). Va infatti osservato, a tal proposito,
che già l'art. 18, comma 1, lettera i), del D.L.vo n. 22 del 1997, attribuiva
una simile competenza allo Stato, e che tale attribuzione è in linea con
l'esigenza di una individuazione dei predetti criteri generali uniforme ed
omogenea sul territorio nazionale, incidendo i medesimi sia sulla materia del
governo del territorio di competenza regionale concorrente, in ordine alla quale
spetta allo Stato dettare i principi fondamentali, sia sulla materia di
competenza statale esclusiva della tutela dell'ambiente. A tal proposito
occorre, inoltre, osservare che, non essendo possibile individuare una materia
prevalente alla quale ricondurre la norma impugnata, la previsione del
raggiungimento di un'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in specie ai fini
della determinazione delle linee guida per la individuazione degli ambiti
territoriali ottimali, costituisce adeguato strumento di attuazione del
principio di leale collaborazione.
Anche la previsione della competenza statale in tema di linee guida per la
definizione delle gare d'appalto per la concessione del servizio di gestione
integrata dei rifiuti (lettera n), poi, non determina alcuna lesione delle sfere
di competenza regionale, tenuto conto che essa, attenendo, fra l'altro,
all'identificazione dei «requisiti di ammissione delle imprese e dei relativi
capitolati» alle gare, costituisce esercizio della competenza statale in tema di
tutela della concorrenza, e si rivela in armonia con il principio di leale
collaborazione, quanto alle inevitabili interferenze con la materia dei servizi
pubblici locali (alla quale deve ricondursi la disciplina del servizio di
gestione integrata dei rifiuti) di competenza regionale residuale, nella parte
in cui stabilisce che la determinazione delle predette linee guida deve avvenire
d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
Sulla base dei medesimi argomenti devono, infine, respingersi le censure mosse
nei confronti della attribuzione allo Stato della competenza a determinare le
linee guida inerenti alle forme ed ai modi della cooperazione fra gli enti
locali anche con riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani
ricadenti nell'ambito territoriale ottimale (lettera o). Si tratta, infatti, di
previsione che, pur incidendo su ambiti di competenza regionale, quali quello
della promozione delle forme di cooperazione fra gli enti locali e quello dei
servizi pubblici locali, è finalizzata a soddisfare l'esigenza di individuazione
dei criteri più idonei a garantire l'efficiente espletamento del servizio in
tutto il territorio nazionale, nel pieno rispetto del principio di leale
collaborazione, mediante la previsione della previa intesa con la Conferenza
Stato-Regioni.
Le medesime censure sono, poi, rivolte da alcune ricorrenti anche in relazione
alla previsione dell'attribuzione allo Stato della competenza ad indicare i
criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla
localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti (lettera p), nonché ad
adeguare la parte quarta del decreto in esame alle direttive, alle decisioni ed
ai regolamenti dell'Unione europea (lettera t). Anche in tal caso deve giungersi
ad una pronuncia di infondatezza, considerato che, da un lato, la determinazione
dei criteri generali per l'individuazione delle caratteristiche delle aree non
idonee alla localizzazione degli impianti non risulta lesiva di alcuna
competenza regionale, costituendo esercizio della competenza statale a dettare i
principi fondamentali in tema di governo del territorio (lettera p), dall'altro,
il compito di adeguare le norme della parte quarta del decreto impugnato alla
normativa comunitaria non può che spettare allo Stato, nell'esercizio delle
proprie competenze.
Alle medesime conclusioni deve pervenirsi con riguardo alle censure sollevate
dalle Regioni Calabria, Marche e Toscana con riferimento all'art. 195, comma 2,
lettere b), e), l), m), n), q) ed s), variamente impugnate, anche in combinato
con l'art. 195, comma 4, e con l'art. 196, comma 1, lettera m), poiché si tratta
di norme che non determinano l'attribuzione impropria di competenze allo Stato,
ma provvedono ad individuare gli ambiti tecnici in relazione ai quali si dà
attuazione ai livelli uniformi di tutela dell'ambiente.
Si tratta, infatti, di: determinazione dei criteri qualitativi e
quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello
smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani (lettera e); definizione del
modello e dei contenuti del formulario e regolamentazione del trasporto dei
rifiuti (lettera l); individuazione delle tipologie di rifiuti che possono
essere smaltiti in discarica (lettera m); adozione di un modello uniforme del
registro di cui all'art. 190 e delle modalità di tenuta dello stesso (lettera
n); adozione delle norme tecniche, delle modalità e delle condizioni di utilizzo
del prodotto ottenuto mediante compostaggio (lettera q); individuazione delle
sostanze assorbenti e neutralizzanti, previamente sperimentate da università o
istituti specializzati (lettera s).
Quanto, in particolare, alla lettera b), in tema di adozione di norme e
condizioni per l'applicazione delle procedure semplificate di cui agli artt.
214, 215 e 216, impugnata anche in combinato con l'art. 195, comma 4, e con
l'art. 196, comma 1, lettera m) - indipendentemente dalla compatibilità
comunitaria di tali procedure - l'asserita violazione delle attribuzioni
regionali è manifestamente priva di fondamento, trattandosi di un ambito
normativo riconducibile, in via prevalente, alla competenza statale esclusiva in
tema di tutela dell'ambiente, con conseguente esclusione della necessità di
qualunque forma di coinvolgimento delle autonomie territoriali.
15.- Le Regioni Toscana, Marche e Piemonte hanno, inoltre, impugnato l'art. 199,
comma 9, nella parte in cui attribuisce allo Stato ed in particolare al Ministro
dell'ambiente il potere sostitutivo nel caso in cui «le autorità competenti non
realizzino gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti
«nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un
grave pregiudizio all'attuazione del piano medesimo». A giudizio delle
ricorrenti tale norma sarebbe in contrasto con gli artt. 117, 118 e 120 Cost.,
avendo ad oggetto l'esercizio del potere sostitutivo dello Stato rispetto ad
enti locali e su materie di competenza regionale, in ambiti cioè nei quali esso
avrebbe dovuto essere riconosciuto, in via preliminare, alle Regioni.
La questione è fondata.
Questa Corte ha da tempo affermato che deve desumersi da quanto previsto
dall'art. 118 Cost. - il quale attribuisce in via di principio ai Comuni, in
tutte le materie, le funzioni amministrative, ma riserva la possibilità che
esse, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, ai livelli
territoriali di governo di dimensioni più ampie - anche la previsione di
«eccezionali sostituzioni di un livello ad un altro di governo per il compimento
di specifici atti o attività, considerati dalla legge necessari per il
perseguimento degli interessi unitari coinvolti, e non compiuti tempestivamente
dall'ente competente» (sentenza n. 43 del 2004). In questa prospettiva, si è
anche precisato che non può farsi discendere dall'art. 120, secondo comma, Cost.
una riserva a favore della legge statale di ogni disciplina del potere
sostitutivo, dovendosi viceversa riconoscere che «la legge regionale,
intervenendo in materie di propria competenza e nel disciplinare, ai sensi
dell'art. 117, terzo e quarto comma, e dell'art. 118, primo e secondo comma,
Cost., l'esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni, preveda
anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti
o attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte
dell'ente competente, al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero
compromessi dall'inerzia o dall'inadempimento medesimi» (sentenza n. 43 del
2004).
La norma impugnata, nella specie, prevede l'intervento sostitutivo dello Stato
nel caso in cui le autorità competenti (Comuni, Province e, per quanto attiene
ai rifiuti urbani, le c.d. Autorità d'ambito, alle quali partecipano
necessariamente gli enti locali) non realizzino gli interventi di cui al piano
regionale di gestione dei rifiuti, nei termini e con le modalità ivi stabilite,
con grave pregiudizio per l'attuazione dello stesso. Si tratta, dunque, di una
ipotesi di sostituzione statale che si attiva direttamente in caso di inerzia
degli enti locali in riferimento ad un ambito di competenza regionale costituito
dall'attuazione del piano regionale, senza che le Regioni, competenti
all'adozione del piano, siano poste nella condizione di esercitare il proprio
potere sostitutivo, con conseguente lesione delle relative attribuzioni.
16.- La Regione Calabria ha, inoltre, impugnato gli artt. 199, comma 8, e 204,
comma 3, secondo periodo, nella parte in cui conferiscono l'esercizio del potere
sostitutivo statale nei confronti delle Regioni, rispettivamente in tema di
approvazione o adeguamento del piano regionale di gestione dei rifiuti (art.
199, comma 8) ed in tema di disposizione di nuovi affidamenti per la gestione
del servizio di gestione integrata dei rifiuti (art. 204, comma 3) al Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, anziché all'organo di vertice del
Governo nazionale, e (in specie l'art. 204, comma 3) non pongono garanzie per
l'ente sostituendo, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 120, secondo
comma, Cost.
La questione non è fondata.
A partire dalla sentenza n. 43 del 2003, questa Corte ha precisato che l'art.
120, secondo comma, Cost. «prevede solo un potere sostitutivo straordinario, in
capo al Governo, da esercitarsi sulla base dei presupposti e per la tutela degli
interessi ivi esplicitamente indicati, mentre lascia impregiudicata
l'ammissibilità e la disciplina di altri casi di interventi sostitutivi,
configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad
organi dello Stato o delle Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione
con il riparto delle funzioni amministrative da essa realizzato e con le ipotesi
specifiche che li possano rendere necessari».
Nella specie, gli interventi sostitutivi oggetto delle norme impugnate non sono
riconducibili all'ambito di operatività dell'art. 120 Cost., non essendo
connessi ad alcuna delle ipotesi di emergenza istituzionale di particolare
gravità ivi contemplate (il mancato rispetto degli obblighi internazionali e
comunitari, il pregiudizio per l'incolumità e la sicurezza pubblica nonché per
l'unità giuridica ed economica, il rispetto dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali), tali da giustificarne
l'attribuzione in via esclusiva al Governo: sicché deve ritenersi priva di
fondamento l'asserita lesione della predetta norma costituzionale nella parte in
cui assegna esclusivamente al Governo l'esercizio del solo potere ivi previsto.
Né può, comunque, accogliersi la censura di violazione delle garanzie prescritte
a tutela dell'ente inadempiente, in relazione a quanto previsto dall'art. 204,
comma 3, secondo periodo, considerato che, al di là della inconferenza del
parametro invocato, la norma impugnata reca modalità procedimentali finalizzate
a porre il predetto ente - a sua volta operante in via sostitutiva - nelle
condizioni di provvedere, evitando la sostituzione.
17.- La Regione Calabria censura, altresì, l'art. 204, comma 3, anche nella
parte in cui disciplina l'esercizio del potere sostitutivo del Presidente della
Giunta regionale in tema di gestioni esistenti del servizio di gestione dei
rifiuti: tale norma, ad avviso della ricorrente, determinerebbe una invasione
della sfera di competenza residuale della Regione in tema di servizi pubblici
locali, intervenendo a disciplinare le attività regionali di vigilanza,
controllo e sostituzione dei soggetti incaricati dei servizi pubblici locali, in
violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost.
La questione è fondata.
A tal proposito occorre ricordare che, tenuto conto che è la legge regionale
che, nel disciplinare l'esercizio di funzioni amministrative di competenza dei
Comuni nelle materie di propria competenza, può prevedere anche poteri
sostitutivi in capo ad organi regionali per il compimento di atti o attività
obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell'ente
competente, è egualmente solo ad essa che spetta provvedere a regolare
dettagliatamente modalità e termini di esercizio del proprio potere sostitutivo.
Nella specie, la norma statale impugnata prevede un termine entro il quale i
Presidenti delle Giunte regionali, in caso di inerzia delle Autorità d'ambito,
devono nominare un commissario ad acta per l'adozione di provvedimenti per
disporre i nuovi affidamenti del servizio di gestione dei rifiuti, nel rispetto
delle disposizioni di cui alla medesima parte quarta del decreto n. 152 del
2006.
Tale previsione, avendo ad oggetto la disciplina puntuale di modalità e tempi di
esercizio del potere sostitutivo della Regione nei confronti degli enti locali
in una materia, quella della gestione del servizi pubblico locale di gestione
dei rifiuti, di competenza regionale, lede la relativa competenza legislativa
regionale.
18.- Ancora la Regione Calabria propone questione di legittimità costituzionale
nei confronti dell'art. 205, comma 6, nella parte in cui, prevedendo che le
Regioni possano indicare maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti
tramite apposita legge, previa intesa con il Ministro dell'ambiente, produrrebbe
un anomalo vincolo amministrativo sulla funzione legislativa regionale, in
violazione degli artt. 114 e 117 Cost.
La questione è fondata.
La sottoposizione a vincoli procedimentali dell'esercizio della competenza
legislativa regionale in tema di individuazione di maggiori obiettivi di riciclo
e recupero dei rifiuti, che la stessa norma statale impugnata attribuisce ad
essa, determina evidentemente una lesione della sfera di competenza regionale,
posto che questa Corte ha già affermato che l'esercizio dell'attività
legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione (sentenza n. 159 del
2008).
19.- Ulteriore questione di legittimità costituzionale è promossa dalla Regione
Calabria in relazione all'art. 206, commi 2 e 3. La ricorrente sostiene che tale
norma, nella parte in cui prevede che il Ministro dell'ambiente possa stipulare
accordi e contratti di programma con soggetti pubblici e privati per promuovere
l'utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale e di attuazione dei
programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilità,
senza alcun coinvolgimento delle Regioni, violi il principio di leale
collaborazione, nonché l'art. 118 Cost., tenuto conto dell'impatto che le
attività previste possono avere sul territorio di queste.
La questione non è fondata.
L'asserita violazione delle attribuzioni regionali è priva di fondamento,
trattandosi di un ambito normativo, quello inerente alla disciplina degli
accordi e contratti di programma finalizzati a promuovere l'impiego, su tutto il
territorio nazionale, di tecniche volte ad assicurare livelli più elevati di
tutela dell'ambiente (mediante la promozione dell'utilizzo dei sistemi di
certificazione ambientale nonché del ritiro dei beni di consumo al termine del
ciclo di utilità), riconducibile, in via prevalente, alla competenza statale
esclusiva in tema di tutela dell'ambiente, con conseguente esclusione della
necessità di forme di coinvolgimento delle autonomie territoriali.
Né, d'altra parte, risulta violato l'art. 118 Cost., tenuto conto che è con la
stipulazione dei predetti accordi e contratti che vengono fissati gli standard
di tutela dell'ambiente connessi all'impiego delle tecniche richiamate, sicché
l'attribuzione agli organi statali della relativa competenza obbedisce
all'esigenza unitaria di assicurare che detti livelli siano uniformemente
rispettati sull'intero territorio nazionale.
20.- La Regione Emilia-Romagna ha impugnato l'art. 207, comma 1, nella parte in
cui attribuisce allo Stato, in specie all'Autorità di vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti, il compito di garantire e vigilare in merito
all'osservanza dei principi e del perseguimento delle finalità di cui alla parte
quarta del decreto, con particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia,
all'economicità ed alla trasparenza del servizio.
A parere della ricorrente detta norma violerebbe: l'art. 117, quarto comma, Cost.,
in quanto l'Autorità opererebbe in materia di servizi pubblici locali, in aperta
violazione della competenza regionale residuale; l'art. 76 Cost e le
attribuzioni regionali ivi richiamate, in quanto l'attribuzione alla predetta
Autorità delle suindicate funzioni sarebbe avvenuta in violazione della legge di
delega, risolvendosi nel riconoscimento in capo allo Stato di una competenza
“nuova” rispetto all'elenco di cui al D.L.vo n. 112 del 1998, in una materia,
quella dei servizi pubblici locali, di competenza regionale residuale; l'art.
118 Cost., perché l'attrazione al centro delle funzioni amministrative
regionali, in assenza di giustificati motivi, costituirebbe violazione del
principio di sussidiarietà.
Va al riguardo osservato, in via preliminare, che l'art. 207, comma 1, è stato
abrogato dall'art. 1, comma 5, del decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284
(Disposizioni correttive e integrative del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, recante
norme in materia ambientale). In considerazione di tale intervenuta abrogazione,
satisfattiva delle pretese avanzate, la ricorrente, con memoria depositata in
data 6 maggio 2009, ha chiesto una pronuncia di cessazione della materia del
contendere.
Orbene, tenuto conto del fatto che, nel limitato periodo di vigenza della norma
impugnata, non risulta che ad essa sia stata data applicazione, e che - come
sostenuto dalla medesima ricorrente - l'intervenuta abrogazione della stessa è
pienamente satisfattiva, deve dichiararsi cessata la materia del contendere.
21.- Le Regioni Marche e Toscana hanno, poi, promosso questione di legittimità
costituzionale dell'art. 208, comma 10, nella parte in cui, in materia di
autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei
rifiuti, prevede che, «ove l'autorità competente non provveda a concludere il
procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica entro i termini previsti al
comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all'art. 5 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112». Le ricorrenti ritengono che detta norma
violi gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto escluderebbe il potere delle Regioni
di sostituirsi agli enti inadempienti in materie di propria competenza, quali
quelle del governo del territorio e della tutela della salute, interferenti con
la tutela dell'ambiente.
La questione non è fondata, nei termini di seguito precisati.
La censura muove, infatti, da un erroneo presupposto interpretativo, secondo il
quale la norma impugnata interverrebbe a disciplinare il potere sostitutivo
dello Stato in caso di inerzia, nella conclusione del procedimento di rilascio
dell'autorizzazione unica per i nuovi impianti, da parte di autorità competenti
riconducibili agli enti locali, escludendo che le Regioni, titolari di proprie
competenze in tema di governo del territorio e di tutela della salute, possano
esercitare preventivamente il proprio potere sostitutivo.
Al contrario, la norma impugnata si inserisce nell'ambito della disciplina di un
articolato procedimento all'esito del quale è attribuito alla Regione il compito
di approvare il progetto ed autorizzare la realizzazione e la gestione
dell'impianto. Tale procedimento è puntualmente disciplinato al fine di
assicurare che il rilascio dell'autorizzazione avvenga sulla base di una
complessa istruttoria finalizzata a garantire, in attuazione delle indicazioni
della normativa comunitaria, la regolarità della messa in esercizio dei predetti
impianti «proprio in considerazione dei valori della salute e dell'ambiente che
si intendono tutelare in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale»
(sentenze n. 62 del 2008, n. 173 del 1998; si vedano, altresì, le sentenze n.
194 del 1993 e n. 307 del 1992). Per questo motivo - ed in considerazione della
necessità che si giunga in termini di tempo ragionevoli ad una verifica relativa
alla sussistenza o meno dei requisiti prescritti per la messa in opera degli
impianti - la norma stabilisce che l'istruttoria, che deve svolgersi mediante
convocazione di apposita conferenza dei servizi cui partecipano i responsabili
degli uffici regionali competenti ed i rappresentanti delle autorità d'ambito e
degli enti locali interessati nonché con l'eventuale ausilio delle Agenzie
regionali per la protezione dell'ambiente, si concluda entro centocinquanta
giorni dalla presentazione della domanda con il rilascio dell'autorizzazione o
con il diniego motivato della stessa da parte dell'ente competente, e cioè della
Regione. E' perciò in sostituzione di quest'ultima - ed a protezione dei
richiamati interessi costituzionali - che l'art. 208, comma 10, prescrive
l'operatività dei poteri sostitutivi statali di cui all'art. 5 del D.L.vo n. 112
del 1998, senza con ciò escludere l'esercizio, da parte delle Regioni, di un
proprio potere sostitutivo, inerente alle proprie competenze, in ordine
all'espletamento delle singole fasi del procedimento istruttorio.
22.- L'art. 211, comma 3, è impugnato dalla Regione Calabria, per violazione
degli artt. 118 e 120 della Cost. Tale norma, a parere della ricorrente, nella
parte in cui stabilisce che, in caso di mancata approvazione o autorizzazione da
parte della Regione, nei termini di tempo prescritti, del progetto o della
realizzazione di un impianto di ricerca o sperimentazione, l'interessato può
rivolgersi direttamente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio,
porrebbe nel nulla qualunque motivazione che la Regione abbia addotto per
bloccare l'attività, con una deroga ingiustificata al principio di sussidiarietà
non ricollegabile neppure all'esercizio del potere sostitutivo contemplato in
Costituzione, data la totale assenza di garanzie per l'ente sostituendo.
La questione non è fondata.
Anche in tal caso, la disposizione impugnata si colloca nell'ambito della
disciplina del procedimento di autorizzazione alla realizzazione ed
all'esercizio di impianti di ricerca e sperimentazione per il quale sono
stabiliti, al ricorrere di specifiche condizioni, termini di tempo ridotti
rispetto a quelli previsti per la generalità degli impianti, proprio in ragione
della rilevanza degli stessi in vista della protezione dell'ambiente. Orbene, la
possibilità accordata dalla norma censurata all'interessato di adire
direttamente l'amministrazione centrale nell'eventualità che la Regione non
abbia provveduto ad approvare il progetto o ad autorizzare la realizzazione di
uno dei predetti impianti nei termini prescritti costituisce solo il
riconoscimento in capo all'interessato di uno strumento di stimolo all'eventuale
attivazione del potere sostitutivo statale, che non è peraltro fatto oggetto di
disciplina e, comunque, non esclude, anzi impone che l'amministrazione centrale
tenga conto delle motivazioni che, in sede istruttoria, hanno indotto la Regione
a non emettere il provvedimento richiesto nel termine previsto, non
configurandosi pertanto alcuna lesione delle competenze regionali.
23.- Le Regioni Marche, Toscana e Calabria impugnano l'art. 212, commi 2 e 3, in
materia di composizione dell'albo nazionale dei gestori ambientali. Tali
disposizioni vengono censurate nella parte in cui, prevedendo un aumento del
numero dei componenti del comitato nazionale a favore del Ministero
dell'ambiente (comma 2), e di quelli delle sezioni regionali o provinciali
dell'albo, a favore delle organizzazioni sindacali e delle categorie economiche
(comma 3), con contestuale riduzione dei componenti di nomina regionale,
determinerebbero una violazione degli artt. 114 (Calabria) 117 e 118 Cost. Ad
avviso delle ricorrenti, attraverso la riduzione della rappresentanza regionale,
le citate disposizioni finirebbero per ledere le prerogative regionali nelle
materie della tutela dell'ambiente, della tutela della salute e del governo del
territorio, in quanto in tal modo i rappresentanti delle Regioni non avrebbero
la possibilità di condizionare la definizione delle linee guida in materia di
smaltimento e recupero dei rifiuti.
La Regione Toscana, con memoria depositata in data 27 aprile 2009, ha dichiarato
di non avere più interesse ad una pronuncia di merito in ordine alle censure
svolte nei confronti del comma 3 dell'art. 212, in quanto quest'ultimo è stato
modificato dall'art. 2, comma 30, del D.L.vo n. 4 del 2008 in senso pienamente
satisfattivo delle richieste regionali, con eliminazione della più ampia
rappresentanza delle organizzazioni sindacali e delle categorie economiche in
seno alle sezioni regionali e provinciali.
Sulla base di analoghe argomentazioni la Regione Marche, in relazione alla
predetta disposizione, con memoria depositata il 5 maggio 2009, ha chiesto che
venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, anche tenuto conto
della mancata applicazione medio tempore della disposizione in esame.
In via preliminare occorre considerare che l'art. 212, comma 3, è stato
modificato dal citato dall'art. 2, comma 30, del D.L.vo n. 4 del 2008 e che tale
modifica risulta pienamente satisfattiva delle richieste regionali, in quanto a
seguito di essa i componenti di designazione regionale costituiscono la
maggioranza in seno ai predetti organi. La disposizione censurata, peraltro, non
ha potuto avere medio tempore applicazione, in ragione del fatto che lo stesso
art. 212, al comma 4, ha attribuito, in via transitoria, le funzioni del
comitato nazionale e delle sezioni regionali del nuovo albo nazionale dei
gestori ambientali, rispettivamente, al comitato nazionale e alle sezioni
regionali del vecchio albo in vigore fino alla scadenza del mandato, ma solo
alla specifica condizione che tali organismi fossero «integrati dai nuovi
componenti individuati ai sensi, rispettivamente, del comma 2, lettera l), e del
comma 3, lettere e) ed f), nel rispetto di quanto previsto dal comma 16» e che
tale integrazione, demandata ad un decreto ministeriale, non è mai avvenuta.
Deve, pertanto, dichiararsi cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni aventi ad oggetto l'art. 212, comma 3.
Le questioni proposte nei confronti dell'art. 212, comma 2, non sono fondate.
Sia il Comitato nazionale che le sezioni regionali e provinciali sono organi
dell'albo nazionale dei gestori ambientali, le cui competenze sono
essenzialmente costituite dalla verifica della sussistenza dei requisiti
prescritti dalla legge per lo svolgimento delle attività di raccolta, trasporto,
commercio ed intermediazione dei rifiuti, nonché di gestione degli impianti di
smaltimento e di recupero degli stessi, da parte delle imprese che chiedano
l'iscrizione al medesimo albo, in vista del principale obiettivo della garanzia
del rispetto, da parte delle predette imprese, dei livelli omogenei di tutela
dell'ambiente, in tutto il territorio nazionale. Detti organi operano, pertanto,
in funzione del soddisfacimento delle predette esigenze unitarie, in un ambito
riconducibile alla materia della tutela dell'ambiente, di competenza esclusiva
statale, sicché la riduzione del numero dei componenti di derivazione regionale
all'interno dei medesimi non determina alcuna lesione delle sfere di competenza
regionale, neanche con riferimento alla richiamata definizione delle linee guida
in materia di smaltimento e recupero dei rifiuti, tenuto conto che tale
definizione non rientra fra i compiti dell'albo.
24.- La Regione Emilia-Romagna impugna l'art. 215, nella parte in cui
attribuisce all'albo nazionale dei gestori ambientali, sezione regionale,
competenze relative all'iscrizione delle imprese che effettuano la comunicazione
di inizio di attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuato nel
luogo di produzione dei rifiuti stessi (cosiddetto autosmaltimento), alla
verifica dei presupposti e alla vigilanza sul rispetto delle norme tecniche.
Tale disposizione, a parere della ricorrente, contrasterebbe con l'art. 76 Cost.
in quanto violerebbe i criteri e principi direttivi della legge di delega - che
impone al legislatore di mantenere il riparto delle funzioni amministrative tra
i diversi livelli di governo delineato dalla normativa vigente - attribuendo al
citato albo nazionale funzioni spettanti alle Province in base all'art. 32 del
D.L.vo n. 22 del 1997, le quali vedrebbero in tal modo ridimensionato il loro
ruolo, in violazione altresì del riparto delle competenze amministrative fissato
dal D.L.vo n. 112 del 1998.
Le Regioni Toscana e Marche promuovono, infine, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4, nella
parte in cui, dettando disposizioni con riferimento alle attività di
auto-smaltimento ed alle operazioni di recupero, attribuiscono alla sezione
regionale dell'albo nazionale dei gestori ambientali le funzioni che la
precedente legislazione attribuiva alle province (artt. 32 e 33 del D.L.vo n. 22
del 1997), e sottraggono, quindi, alla competenza provinciale la tenuta ed il
controllo delle comunicazioni di inizio delle attività di smaltimento e recupero
dei rifiuti nelle procedure semplificate.
Tali norme sarebbero, pertanto, in contrasto con l'art. 117 Cost., perché
sottrarrebbero alla Regione importanti funzioni in materia di tutela della
salute e di governo del territorio.
La Regione Emilia-Romagna, con memoria del 6 maggio 2009, in relazione alle
censure proposte nei confronti dell'art. 215, ritiene che sia cessata la materia
del contendere a seguito delle modifiche apportate alla citata disposizione
dall'art. 2, commi da 33 a 35, del D.L.vo n. 4 del 2008, che ha allocato
nuovamente in capo alle Province le competenze che erano state attribuite
all'albo nazionale dei gestori ambientali.
Sulla base di analoghe argomentazioni, la Regione Toscana dichiara di non avere
più interesse ad una pronuncia di merito e la Regione Marche ritiene che sia
cessata la materia del contendere in relazione alle censure svolte nei confronti
degli artt. 215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4, a seguito delle
modifiche apportate dal citato art. 2, commi da 33 a 38, del D.L.vo n. 4 del
2008, integralmente satisfattive delle doglianze prospettate.
A tal riguardo occorre osservare che le modifiche apportate dal suddetto art. 2,
commi 33-38, del D.L.vo n. 4 del 2008, alle norme impugnate risultano
effettivamente idonee a soddisfare le richieste delle Regioni ricorrenti, in
quanto provvedono ad attribuire nuovamente alle Province le competenze che le
norme impugnate avevano loro sottratto in favore della sezione regionale
dell'albo. Anche in tale caso si deve, altresì, rilevare che le disposizioni
impugnate non hanno potuto avere medio tempore applicazione, tenuto conto che lo
stesso art. 212, al comma 4, ha attribuito, in via transitoria, le funzioni del
Comitato nazionale e delle sezioni regionali del nuovo albo nazionale dei
gestori ambientali, rispettivamente, al Comitato nazionale e alle sezioni
regionali del vecchio albo, in vigore fino alla scadenza del mandato, ma solo
alla specifica condizione che tali organismi fossero «integrati dai nuovi
componenti individuati ai sensi, rispettivamente, del comma 2, lettera l), e del
comma 3, lettere e) ed f), nel rispetto di quanto previsto dal comma 16» e che
tale integrazione, demandata ad un decreto ministeriale, non è mai avvenuta:
sicché deve escludersi che le funzioni previste dalle norme oggetto di censura
siano mai transitate in capo alle sezioni regionali del vecchio albo a danno
delle Province, che ne erano titolari ai sensi degli artt. 32 e 33 del D.L.vo n.
22 del 1997.
Sulla base dei richiamati argomenti deve, pertanto, dichiararsi cessata la
materia del contendere in riferimento alle questioni proposte nei confronti
degli artt. 215 e 216, commi 1, 3 e 4.
25.- Avendo la Corte deciso il merito dei ricorsi, restano assorbite le istanze
di sospensione formulate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse, nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), dalle Regioni Calabria, Toscana,
Emilia-Romagna, Piemonte, Valle d'Aosta, Umbria, Abruzzo, Basilicata, Campania,
Marche, Puglia e Liguria;
dichiara inammissibile l'intervento spiegato nei giudizi indicati in epigrafe
dalla Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature - (WWF Italia -
Onlus), e da Biomasse Italia s.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche -
SICET s.r.l., Ital Green Energy S.r.l. ed E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente
s.p.a.;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 199, comma 9, del D.L.vo n.
152 del 2006, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell'ambiente il potere
sostitutivo nel caso in cui «le autorità competenti non realizzino gli
interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti «nei termini e
con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio
all'attuazione del piano medesimo»;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 204, comma 3, del D.L.vo n.
152 del 2006, nella parte in cui disciplina l'esercizio del potere sostitutivo
del Presidente della Giunta regionale in tema di gestioni esistenti del servizio
di gestione dei rifiuti;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 205, comma 6, del D.L.vo n.
152 del 2006, nella parte in cui assoggetta ad una previa intesa con il Ministro
dell'ambiente l'adozione delle leggi con cui le Regioni possono indicare
maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
195, comma 1, lettere m) ed o), e dell'art. 202, comma 6, del D.L.vo n. 152 del
2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 119 Cost., dalla
Regione Umbria;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 181,
commi da 7 a 11, anche in combinato con l'art. 183, comma 1, lettere f) e q),
nonché in combinato con l'art. 183, comma 1, e con l'art. 214, commi 2, 3 e 5,
del d. lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 11, 76 e 117
della Costituzione, dalle Regioni Umbria, Marche, Toscana, Abruzzo, Liguria,
Puglia, Campania, Basilicata e Piemonte, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
183, comma 1, 185, comma 1, 186, 194 e 212 del d. lgs. n. 152 del 2006,
proposte, in riferimento agli artt. 11, 76 e 117 della Costituzione, dalle
Regioni Marche, Toscana, Calabria, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia,
Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 189,
commi 1 e 3, del D.L.vo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 11,
76 e 117 della Costituzione, dalle Regioni Calabria, Umbria, Liguria, Toscana,
Campania, Abruzzo, Puglia e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 199,
comma 10, del D.L.vo n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 11, 76
e 117 della Costituzione, dalle Regioni Marche, Toscana e Piemonte, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 201,
comma 6, e 203, comma 2, lettera c), del D.L.vo n. 152 del 2006, proposte, in
riferimento agli art. 11, 76 e 117 della Costituzione, dalle Regioni Marche e
Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
181, commi da 7 a 11, e 214, commi 3, 5 e 9, del D.L.vo n. 152 del 2006,
proposte, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione, dalle
Regioni Umbria, Piemonte ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. da
196 a 200, 197, comma 1, 200, 201, 202, 203, 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12,
15-20, 209, commi 2-5 e 7, 210 e 211, commi 2-5, da 199 a 207, del D.L.vo n. 152
del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione,
all'art. 2, lettera b), dello statuto speciale per la Regione Valle d'Aosta
(legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4), nonché al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Calabria, Toscana, Marche, Piemonte,
Emilia-Romagna, Valle D'Aosta, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
181, commi 5-12, 181, commi 7-11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, 199, comma 5,
203 e 204, 214, commi 3 e 5, 215, commi 3 e 6, 216, commi 3-7 e 10-15, del
D.L.vo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento all'art. 117 della
Costituzione, dalle Regioni Puglia, Abruzzo, Campania, Calabria, Valle d'Aosta e
Piemonte, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 205
in relazione all'art. 183, comma 1, lettera f), e dell'art. 205, comma 2, del
D.L.vo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 114 e 117
della Costituzione, dalle Regioni Piemonte e Liguria, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di
legittimità costituzionale dell'art. 181, comma 3, secondo periodo, del D.L.vo
n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 117, sesto comma, e 119
della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di
legittimità costituzionale dell'art. 207, comma 1, del D.L.vo n. 152 del 2006,
proposta, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione, dalle
Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di
legittimità costituzionale dell'art. 212, comma 3, del D.L.vo n. 152 del 2006,
proposta dalle Regioni Marche, Toscana e Calabria, in riferimento agli artt.
114, 117 e 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 215 e dell'art. 216, commi 1, 3 e 4, del
D.L.vo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76 e 117 della
Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 189,
comma 1, del D.L.vo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117
e 118 della Costituzione, dalle Regioni Calabria, Toscana e Marche, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 195,
comma 1, lettere f), g), l), m), n)¸ o), p), q) e t); comma 2, lettere b), e),
l), m), n), q) ed s), comma 4, e dell'art. 196, comma 1, lettere d) ed m), del
D.L.vo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 ed al
principio di leale collaborazione, dalle Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna,
Piemonte, Calabria ed Umbria, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 199,
comma 8, e 204, comma 3, secondo periodo, del D.L.vo n. 152 del 2006, proposte,
in riferimento all'art. 120, secondo comma, della Costituzione, dalla Regione
Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 206,
commi 2 e 3, del D.L.vo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento al principio
di leale collaborazione nonché all'art. 118 della Costituzione, dalla Regione
Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 208,
comma 10, del D.L.vo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117 e
118 della Costituzione, dalle Regioni Marche e Toscana, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 211,
comma 3, del D.L.vo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 118 e
120 della Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondate le questione di legittimità costituzionale dell'art. 212,
comma 2, del D.L.vo n. 152 del 2006, proposte dalle Regioni Marche, Toscana e
Calabria, in riferimento agli artt. 114, 117 e 118 della Costituzione, con i
ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 16 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.
Il Cancelliere
F.to: MILANA
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1974-9562
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