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CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
ENERGIA - Misure di promozione dell’energia da fonti rinnovabili - Art. 267,
c. 4 D.L.vo n. 152/2006 - Intervento statale - Rispetto dei limiti derivanti
dalle competenze regionali in materia di produzione, trasporto e distribuzione
dell’energia e di governo del territorio. L’art. 267, c. 4, lett. a), D.L.vo
n. 152/2006 non prevede l’adozione, da parte dello Stato, di atti che si
sovrappongono alla sfera di competenza regionale e ne ledono l’autonomia
finanziaria. La disposizione in oggetto si limita infatti ad impegnare lo Stato
alla promozione dell’energia da fonti rinnovabili per mezzo di non meglio
determinate «misure», la cui natura e il cui contenuto - allorché vengano
adottate - non potranno che conformarsi all’attuale assetto delle competenze
costituzionali di Stato e Regioni. Tra queste, non vi è dubbio che spicchi la
competenza concorrente regionale in materia di produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia, mentre va esclusa la configurabilità di
una competenza residuale concernente l’assetto asseritamente locale del sistema
energetico (sentenza n. 383 del 2005); parimenti non si può escludere che le
misure “promosse” dallo Stato possano lambire l’ambito riservato al governo del
territorio, piuttosto che l’autonomia finanziaria della Regione, pur in un
contesto finalistico che parimenti attiva le competenze nazionali in tema di
tutela dell’ambiente e di tutela della concorrenza (sentenza n. 88 del 2009):
sarà, perciò, necessario che l’intervento dello Stato sia rispettoso di siffatti
limiti, anche con riguardo all’introduzione di forme di coinvolgimento della
Regione. Pres. Amirante, Est. De Siervo - Regioni Calabria, Piemonte,
Emilia-Romagna e Puglia c. Presidente del Consiglio dei Ministri -
CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
INQUINAMENTO - Impianti che producono emissioni - Regime autorizzatorio - Art. 269 D.L.vo n. 152/2006 - Competenza legislativa esclusiva statale - Commi 2, 3 e 7 - Espressione di principi fondamentali della materia ambientale. L’art. 269 del D.L.vo n. 152/2006, dopo avere enunciato, al comma 1, il principio per il quale gli impianti che producono emissioni sono soggetti, salvo specifiche eccezioni, ad un regime autorizzatorio, provvede a disciplinare, tra l’altro, il procedimento di rilascio del titolo e la sua efficacia nel tempo. Si tratta di disposizioni riguardo alle quali, accanto alla tutela dell’ambiente - finalità verso cui converge l’intero impianto del codice - possono ravvisarsi le competenze relative alla tutela della salute, in quanto potenzialmente compromessa dagli agenti inquinanti che vengono rilasciati dagli impianti, e quelle concernenti il governo del territorio, con riferimento all’installazione ed al trasferimento degli impianti sul territorio regionale. Se, tuttavia, la riconduzione della disposizione censurata alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente esclude in radice che la Regione possa contestarne il carattere dettagliato, in ogni caso i commi 2, 3 e 7 di tale disposizione, quand’anche inquadrati nella prospettiva delle competenze concorrenti sopra ricordate, appaiono espressivi di principi fondamentali della materia. In particolare, il comma 2 non tratteggia un modulo da predisporre per la presentazione delle istanze, ma determina i requisiti dai quali non è consentito prescindere in sede di domanda di autorizzazione, ciascuno dei quali finalizzato a garantire la necessaria verifica delle condizioni, determinate dal legislatore nazionale, che consentono l’installazione o il trasferimento dell’impianto; il comma 3 formula il principio per il quale l’autorità competente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione, indice una conferenza di servizi e ne scandisce le fasi, per il tramite dell’indicazione di termini rispondenti ad esigenze di semplificazione amministrativa e di celerità, anche «al fine di evitare (…) che nel territorio nazionale si creino disparità di trattamento fra impresa e impresa» (sentenza n. 101 del 1989). Per tale ragione le disposizioni ora richiamate non possono ritenersi di mero dettaglio (sentenza n. 364 del 2006). Le medesime considerazioni appena svolte concernono anche il comma 8, che, disciplinando il procedimento da osservarsi ove si intenda modificare l’impianto, appare speculare al procedimento di rilascio dell’autorizzazione e risponde alla medesima esigenza di articolare unitariamente tale attività secondo principi che assicurino l’osservanza dei criteri stabiliti dalla normativa nazionale. Il comma 7, infine, determina in quindici anni la durata dell’autorizzazione, così esprimendo un’evidente scelta di principio che sintetizza l’interesse dell’impresa a proseguire nell’attività con la necessità di una nuova verifica circa la ricorrenza delle condizioni a tal fine richieste. Pres. Amirante, Est. De Siervo - Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
INQUINAMENTO - Art. 269, c. 3 D.L.vo n. 152/2006 - Intervento sostitutivo - Autonomia decentrata - Rispetto. Nell’attuale quadro costituzionale di riparto delle competenze, e con riguardo alla norma di cui all’art. 269, c. 3, D.L.vo n. 152/2006, va osservato che essa può e deve interpretarsi in un senso rispettoso dell’autonomia decentrata, dal momento che vi si prevede espressamente che il gestore notifichi la richiesta di intervento sostitutivo all’autorità locale competente, e che, comunque, il Ministro dell’ambiente provveda, «sentito il Comune interessato». Tali adempimenti debbono ritenersi finalizzati a porre l’ente sostituito in grado di evitare la sostituzione attraverso un autonomo adempimento, ed in ogni caso di partecipare ed interloquire nel procedimento di sostituzione. Pres. Amirante, Est. De Siervo - Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
INQUINAMENTO - Rinnovo dell’autorizzazione - Art. 269, c. 7 D.L.vo n. 152/2006 - Amministrazione competente - Privazione del potere di vigilanza sull’esercizio dell’impianto - Esclusione - Corretta interpretazione della norma - Adeguamento delle prescrizioni al sopravvenire di migliori tecniche disponibili. L’art. 269, c. 7 del D.L.vo n. 152/2006, nel determinare l’arco temporale esauritosi il quale l’autorizzazione necessita di essere rinnovata, non priva l’amministrazione competente del potere di vigilare, durante tale periodo, sull’esercizio dell’impianto, allo scopo di assicurarne costantemente la corrispondenza a quanto reso possibile dall’evoluzione della migliore tecnologia disponibile e a quanto reso necessario dall’evoluzione della situazione ambientale. Un’opposta lettura renderebbe incongrua la disciplina normativa dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera rispetto ad una linea di tendenza, maturata sul terreno del diritto comunitario, volta a garantire un costante e progressivo adeguamento delle prescrizioni concernenti gli impianti inquinanti all’evoluzione tecnologica: in tema di autorizzazione integrata ambientale, l’art. 13 della direttiva 15 gennaio 2008, n. 2008/1/CE prescrive un riesame delle condizioni del titolo, ogni qual volta le migliori tecniche disponibili abbiano registrato sostanziali cambiamenti che consentano di ridurre notevolmente le emissioni senza imporre costi eccessivi. Ugualmente, l’art. 13 della direttiva 28 giugno 1984, n. 84/360/CE (Direttiva del Consiglio concernente la lotta contro l’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali), abrogata con effetto dal 30 ottobre 2007, ma vigente al tempo della promulgazione del D.L.vo n. 152 del 2006, comporta l’adozione, a livello nazionale, di misure adeguate per adattare progressivamente gli impianti esistenti alla migliore tecnologia disponibile, pur tenuto conto dell’opportunità di evitare costi eccessivi per gli impianti. Stanti tali premesse apparirebbe manifestamente irragionevole il congelamento delle condizioni dell’autorizzazione, quanto alle prescrizioni relative all’impianto, per un periodo di quindici anni, quando la sempre più rapida evoluzione della tecnologia avrebbe invece consentito, nel frattempo, di ricorrere ad adattamenti tecnici idonei ad una più efficace salvaguardia dell’ambiente, senza nel contempo implicare costi sproporzionati rispetto all’utilità conseguita. Del resto, l’esigenza di tutelare l’affidamento dell’impresa circa la stabilità delle condizioni fissate dall’autorizzazione è certamente recessiva a fronte di un’eventuale compromissione, se del caso indotta dal mutamento della situazione ambientale, del limite «assoluto e indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive» (sentenza n. 127 del 1990). Essa, inoltre, non può prevalere sul perseguimento di una più efficace tutela di tali superiori valori, ove la tecnologia offra soluzioni i cui costi non siano sproporzionati rispetto al vantaggio ottenibile: un certo grado di flessibilità del regime di esercizio dell’impianto, orientato verso tale direzione, è dunque connaturato alla particolare rilevanza costituzionale del bene giuridico che, diversamente, ne potrebbe venire offeso, nonché alla natura inevitabilmente, e spesso imprevedibilmente, mutevole del contesto ambientale di riferimento. Difatti, il solo potere dell’autorità competente a rilasciare l’autorizzazione, che viene espressamente riservato dal legislatore alla fase del rinnovo della stessa (art. 271, comma 9), attiene all’introduzione di valori limite di emissione più rigorosi, rispetto a quelli fissati dall’Allegato I alla Parte quinta del D.L.vo n. 152 del 2006, da parte della normativa regionale di cui al comma 3 dell’art. 271 e dai piani e programmi relativi alla qualità dell’aria. Pres. Amirante, Est. De Siervo - Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
INQUINAMENTO - Disciplina statale - Margine di intervento regionale - Art. 271, c. 3, 4 e 9 - Art. 281, c. 10 - Presenza di rischio sanitario o di zone che richiedano particolare tutela ambientale - Regioni - Intesa con il Ministro dell’ambiente e della salute - Art. 118 Cost. - Principi di leale collaborazione. Il D.L.vo n. 152 del 2006 riconosce alle Regioni un ampio margine di intervento, al fine di conferire esecuzione e talora di rendere eventualmente più severa la disciplina statale concernente l’inquinamento atmosferico: in particolare, l’art. 271, comma 3, affida a Regioni e Province autonome la determinazione dei valori limite di emissione all’interno di quelli indicati dalla normativa nazionale; l’art. 271, comma 4, ammette l’introduzione in sede decentrata di valori limite di emissione e di prescrizioni più restrittivi rispetto agli standard statali, per mezzo dei piani e dei programmi previsti dall’art. 8 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351 (Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente), e dall’art. 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183 (Attuazione della direttiva 2002/3/CE relativa all’ozono nell’aria), purché ciò sia necessario al conseguimento dei valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell’aria. Inoltre, la disposizione da ultimo citata stabilisce che «fino alla emanazione dei suddetti programmi», continuano ad applicarsi i valori di emissione e le prescrizioni contenute nei piani di cui all’art. 4 del d.P.R. n. 203 del 1988. L’art. 271, comma 9, infine, legittima l’imposizione al singolo impianto di condizioni ancora più rigide in sede di rilascio e di rinnovo dell’autorizzazione. Il ruolo e l’ampiezza delle funzioni affidate alle Regioni vanno perciò apprezzati alla luce dell’assetto complessivo del decreto legislativo impugnato e non possono viceversa divenire oggetto, come vorrebbero le ricorrenti, di una valutazione parcellizzata sulla base di una sola tra le disposizioni di cui esso si compone. L’art. 281, comma 10, si inserisce in tale più ampio contesto di valorizzazione delle competenze regionali, aprendo un ulteriore campo di intervento alle Regioni, in presenza di situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale, ma nel contempo ne subordina la relativa azione all’intesa con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro della salute. Nel concorso della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente con quella concorrente in materia di tutela della salute, la disposizione censurata provvede ad allocare l’esercizio della funzione in sede regionale, dimostrandosi in tal modo rispettosa dell’art. 118 Cost., mentre la previsione dell’intesa agisce da strumento di raccordo idoneo a soddisfare il canone della leale collaborazione, in presenza di una concorrenza di competenze dello Stato e della Regione (sentenze n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005). Pres. Amirante, Est. De Siervo - Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
INQUINAMENTO - Impianti termici civili - Art. 282 D.L.vo n. 152/2006 - Obiettivi di prevenzione e limitazione dell’inquinamento atmosferico - Competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente - Art. 284 - Modulo di denuncia - Principio fondamentale della materia. Le disposizioni del D.L.vo n. 152 del 2006 relative agli impianti termici civili perseguono un obiettivo di prevenzione e limitazione dell’inquinamento atmosferico (art. 282) che si inquadra nell’esercizio della competenza esclusiva statale in tema di tutela dell’ambiente; quand’anche si ritenesse che ad essa si congiunga una sfera di competenza concorrente regionale, tuttavia l’art. 284, nell’imporre l’obbligo di denuncia e nel definire, tramite il rinvio all’Allegato, le modalità di tale denuncia, deve ritenersi comunque espressivo di un principio fondamentale della materia: il “modulo di denuncia”, infatti, si limita a selezionare gli elementi tecnici necessari per constatare la corrispondenza dell’impianto ai requisiti richiesti, e in tale prospettiva fa naturalmente corpo con la previsione stessa della denuncia, che verrebbe svuotata di significato ove non si accompagnasse all’indicazione di un determinato contenuto. Pres. Amirante, Est. De Siervo - Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
INQUINAMENTO - Impianti termici civili - Personale addetto alla conduzione - Art. 287, c. 1 D.L.vo n. 152/2006 - Illegittimità costituzionale - Illegittimità consequenziale dei cc. 4, 5, e 6 . Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (in materia di personale addetto alla conduzione di impianti termici civili), limitatamente alle parole «rilasciato dall’ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un corso per conduzione di impianti termici, previo superamento dell’esame finale». L’addestramento del lavoratore, per iniziativa di un soggetto pubblico e fuori dall’ordinamento universitario, finalizzato precipuamente all’acquisizione delle cognizioni necessarie all’esercizio di una particolare attività lavorativa, rientra infatti nella materia, oggetto di potestà legislativa residuale della Regione, concernente la formazione professionale (sentenze n. 425 del 2006; n. 51 e n. 50 del 2005). L’ulteriore previsione concernente la compilazione di un registro presso l’Ispettorato, acquisendo in tal modo una mera finalità notiziale, non comporta invece lesione delle attribuzioni regionali. Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere dichiarata l’illegittimità consequenziale anche del comma 4, limitatamente alle parole «senza necessità dell’esame di cui al comma 1», del comma 5, limitatamente alle parole «dall’Ispettorato provinciale del lavoro» e dell’intero comma 6, trattandosi di disposizioni intrinsecamente collegate a quella di cui al comma 1, per la parte in cui esso è stato dichiarato incostituzionale. Pres. Amirante, Est. De Siervo - Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
DIRITTO AGRARIO - INQUINAMENTO - Allevamenti di bestiame - Impianti ed attività scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico - Parte I, punto 4, lettera z) Allegato IV alla parte quinta del D.L.vo n. 152/2006. La parte I, punto 4, lettera z) dell’Allegato IV alla Parte quinta del D.L.vo n. 152/2006 non si propone, né ha per effetto, di disciplinare l’attività degli allevamenti di bestiame, o comunque di interferire con il processo di produzione di vegetali ed animali destinati all’alimentazione, che costituisce il “nocciolo duro” della materia residuale dell’agricoltura (sentenza n. 12 del 2004). Essa va invece assunta nella sola prospettiva del controllo delle emissioni in atmosfera, con riguardo ad impianti ed attività “scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico”. Pres. Amirante, Est. De Siervo - Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 250
SENTENZA N. 250
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli articoli 267, comma 4 lettere a) e c), 269, commi 2, 3, 7 e
8, 271, 281, comma 10, 283, 284 e 287 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Calabria, Piemonte,
Emilia-Romagna e Puglia con ricorsi notificati l'8, il 10 e il 13 giugno 2006,
depositati in cancelleria il 10, il 15, il 16 ed il 20 giugno 2006 ed iscritti
ai nn. 68, 70, 73 e 76 del registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché
gli atti di intervento dell'Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) - Onlus, della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;
udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Fabio
Lorenzoni per la Regione Piemonte, Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino
per la Regione Emilia-Romagna, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Alessandro
Giadrossi per l'Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF
Italia) - Onlus, e gli avvocati dello Stato Fabrizio Fedeli e Sergio Fiorentino
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con il ricorso iscritto al n. 68 del registro ricorsi del 2006, la Regione
Calabria ha impugnato il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale) nel suo complesso, nonché in relazione a numerose specifiche
disposizioni.
La ricorrente, preliminarmente, riferisce che il citato decreto costituisce
l'esercizio da parte del Governo della delega conferitagli dal Parlamento con la
legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure
di diretta applicazione). Illustra, quindi, il procedimento seguito per
l'emanazione del citato D.L.vo n. 152 del 2006, affermando come esso avrebbe
disatteso i principi ispiratori della delega e, in particolare, il principio di
leale cooperazione tra Stato, Regioni ed enti locali.
Dopo aver censurato l'illegittimità costituzionale dell'intero decreto delegato
proprio in conseguenza dei vizi del procedimento di formazione, la Regione
Calabria, impugna le singole disposizioni.
Tra queste, vengono censurati alcuni articoli inseriti nella parte quinta del
decreto, recante norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle
emissioni in atmosfera.
La ricorrente sostiene che in tale materia sussisterebbe una compenetrazione di
titoli di competenza dello Stato e delle Regioni da ravvisarsi, in via
prevalente, nella “tutela dell'ambiente”, ma anche nella “tutela della salute”.
L'esigenza di tenere in adeguato conto anche tale ultima competenza e di
garantire un ruolo di primo piano alle Regioni nella tutela dell'aria
dall'inquinamento era ben presente nella normativa anteriore al decreto
impugnato e, in particolare, nel d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle
direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in
materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di
inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della L.
16 aprile 1987, n. 183), ora abrogato dall'art. 280 del D.L.vo n. 152 del 2006.
L'art. 4 del citato d.P.R., infatti, prevedeva che tale tutela spettasse alle
Regioni che la esercitavano nell'ambito dei principi posti dalla legislazione
statale e attribuiva loro una serie di competenze.
«Anche in considerazione di questo riferimento 'storico'», la ricorrente censura
le disposizioni con le quali il legislatore delegato avrebbe introdotto una
disciplina procedimentale di estremo dettaglio non giustificata dall'esigenza di
predisporre standard di tutela uniformi.
In particolare, l'art. 269 regolerebbe il rilascio al gestore di un impianto, da
parte dell'autorità competente, dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera
in modo così dettagliato da vincolare sotto ogni profilo la legge regionale che
disciplina l'attività dell'autorità competente.
Il comma 2 della censurata disposizione individuerebbe, addirittura, lo schema
di un modulo per la presentazione delle istanze. Il comma 3 regolerebbe nel
dettaglio le attività che presiedono al rilascio dell'autorizzazione, privando
le Regioni di ogni margine di modulazione e prevedendo l'esercizio di un potere
sostitutivo da parte dello Stato senza le garanzie predisposte dall'art. 120
Cost. e senza contemplare la previa diffida ad adempiere.
Il comma 7, poi, stabilirebbe termini eccessivamente e «inutilmente» rigidi per
il rilascio dell'autorizzazione; infine, detterebbe una disciplina di estremo
dettaglio per il caso di modifiche all'impianto, vincolando in modo assoluto
l'attività normativa e amministrativa delle Regioni.
Analogamente, anche l'art. 284 regolerebbe in modo analitico la denuncia di
installazione o modifica di un impianto termico civile, privando le Regioni
della possibilità di calibrare i procedimenti in relazione alle peculiarità dei
propri territori e alle esigenze di tutela della salute degli abitanti. Ciò
determinerebbe l'illegittimità costituzionale della citata disposizione, nonché
dell'Allegato IX alla parte quinta a cui l'art. 284 rinvia e «che ne costituisce
una ulteriore specificazione».
L'art. 267, comma 4, lettera a), contrasterebbe con gli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 119, quinto comma, Cost., nonché con il principio di leale
collaborazione. Infatti esso, nel prevedere la possibilità per il Ministro
dell'ambiente di promuovere misure atte a favorire la produzione di energia da
fonti rinnovabili e sviluppare tecnologie pulite, consentirebbe allo Stato -
oltretutto senza alcuna partecipazione regionale - di realizzare «interventi
diretti di ordine finanziario sul territorio» in materie di competenza
concorrente, quali il governo del territorio, la tutela della salute, nonché di
competenza residuale, quale la «produzione non-nazionale di energia».
È censurato, altresì, l'art. 281, comma 10, per violazione degli artt. 3, 117,
terzo comma, e 118 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, nella parte in
cui subordina all'intesa con il Ministro dell'ambiente e con il Ministro della
salute la possibilità, per le Regioni, di adottare provvedimenti generali in
presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano
particolare tutela ambientale. L'imposizione dell'intesa, secondo la ricorrente,
priverebbe le Regioni della propria responsabilità di governo del territorio e
di tutela della salute dei cittadini, accentrando in capo allo Stato compiti di
cui esso non è più titolare a seguito della costituzionalizzazione del principio
di sussidiarietà.
Infine, la Regione Calabria deduce illegittimità costituzionale dell'art. 287
per contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost. e, «a monte», con l'art. 76
Cost., in relazione all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004. La
disposizione censurata disciplina l'abilitazione del personale addetto alla
conduzione degli impianti termici civili di potenza termica superiore a 0.232
MW. In tal modo, essa sottrarrebbe alle Regioni una competenza di dettaglio
riconducibile alla materia della “tutela della salute” e della “tutela e
sicurezza del lavoro”.
Inoltre, si priverebbero le Regioni di una funzione ad esse conferita dall'art.
84, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59).
2. - Anche la Regione Piemonte, con il ricorso iscritto al n. 70 del 2006 del
registro ricorsi, ha impugnato il D.L.vo n. 152 del 2006 nel suo complesso - per
le modalità di emanazione e per l'impostazione della disciplina in esso
contenuta - nonché in relazione a singole disposizioni.
La ricorrente censura, tra l'altro, la parte quinta del decreto per violazione
degli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché per violazione
«dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza,
differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della P.A. anche sotto l'aspetto
della violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni
internazionali».
L'impostazione di tale disciplina incorrerebbe in tre rilievi. Innanzitutto,
disattenderebbe il criterio fissato dalla legge delega di operare una revisione
della normativa concernente le emissioni dei gas inquinanti in atmosfera alla
luce della disciplina comunitaria e, in particolare, della direttiva 2001/81/CE
del 23 ottobre 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici). Il decreto
rispetterebbe solo alcuni profili della normativa comunitaria e non prevedrebbe
il necessario aggiornamento delle prescrizioni e dei valori limite rispetto
all'evoluzione tecnologica. Inoltre, non sarebbe adeguatamente considerata la
relazione tra tutela ambientale e disciplina dell'energia e degli impianti
termici, che sarebbe di competenza concorrente. Infine, subirebbero una generale
compressione le competenze pianificatorie e programmatorie delle Regioni.
Con specifico riferimento alle singole disposizioni, la ricorrente censura,
innanzitutto, l'art. 267, comma 4, lettera a), del D.L.vo n. 152 del 2006, in
quanto, nel prevedere le attività volte alla adozione di misure per la
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, non contemplerebbe alcun
coinvolgimento delle Regioni.
La lettera c) del medesimo comma, inoltre, prevederebbe uno specifico utilizzo
dei “certificati verdi” non contemplato dalla legge delega che, all'art. 1,
comma 9, lettera g), n. 2), indicava solo il prolungamento del loro periodo di
validità. In tal modo, inoltre, sarebbero precluse eventuali diverse politiche
regionali incentivanti dell'uso delle fonti energetiche rinnovabili.
L'art. 269, comma 7, nell'introdurre un periodo di validità dell'autorizzazione
alle emissioni in atmosfera, ne fisserebbe una durata sproporzionata (15 anni)
la quale bloccherebbe ingiustificatamente la possibilità di un adeguamento degli
impianti in relazione al progresso tecnologico certamente più rapido.
Al contempo, non sarebbe prevista la possibilità, per l'autorità competente, di
modificare le prescrizioni dell'autorizzazione in relazione all'evoluzione delle
tecnologie, con ciò determinando una limitazione dei poteri pubblici di
controllo e di miglioramento della qualità dell'aria, in violazione del criterio
direttivo fissato dall'art. 1, comma 8, lettere d) ed h), della legge delega.
In tal modo sarebbe, altresì, pregiudicata la possibilità, per le Regioni, di
modulare l'attività amministrativa relativa al rilascio delle autorizzazioni e
ai programmi di tutela in relazione alle differenti realtà locali, in violazione
dei principi di sussidiarietà, leale collaborazione e buon andamento della p.a.
La disciplina dettata dall'art. 271 e dai relativi allegati con riguardo alla
fissazione dei valori limite di emissione degli impianti e alle prescrizioni
sarebbe del tutto carente, in quanto rinvierebbe a provvedimenti da emanarsi
successivamente all'entrata in vigore del decreto delegato. Inoltre, i valori
fissati negli allegati al decreto medesimo riproporrebbero quelli stabiliti nel
1988, da ritenere oramai del tutto superati. La loro riproposizione
vanificherebbe le attività di maggior tutela nel frattempo poste in essere dalle
Regioni, non essendo previsto che esse possano mantenere in vigore le proprie
specifiche discipline più restrittive, con ciò determinando un peggioramento
delle condizioni ambientali.
In tal modo, sarebbero del tutto trascurati i principi di differenziazione e
sussidiarietà «nella loro potenzialità evolutiva», nonché il principio di leale
collaborazione, in contrasto con la finalità di tutela dell'ambiente.
L'art. 281, comma 10, del D.L.vo n. 152 del 2006, nel subordinare il potere
delle Regioni di introdurre valori limite e prescrizioni più severi di quelli
fissati dal decreto alla previa intesa con il Ministro dell'ambiente e con il
Ministro della salute e alla condizione che «ciò risulti necessario al
conseguimento dei valori limite e dei valori bersaglio della qualità dell'aria»,
comprimerebbe ingiustificatamente la competenza delle Regioni, impedendo loro di
attuare interventi migliorativi, per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a
quelle fissate a livello statale (come previsto dalla sentenza n. 407 del 2002
di questa Corte).
La ricorrente denuncia poi gli artt. 284 e 287 per contrasto con l'art. 76 Cost.,
in quanto violerebbero il criterio direttivo posto dall'art. 9, lettera g),
della legge delega il quale poneva tra le finalità della nuova regolamentazione
quella della semplificazione e della certezza normativa. Entrambe le norme
censurate contrasterebbero, altresì, con l'art. 117, terzo comma, Cost., in
quanto introdurrebbero una disciplina di dettaglio nella materia dell'energia,
«senza peraltro pervenire ad aggiornata ed univoca regolamentazione di settore».
Infatti, nel caso di installazione o modifica di un impianto termico civile di
potenza termica nominale superiore al valore soglia, è prevista la trasmissione
di apposita denuncia all'autorità competente, perpetuandosi le disposizioni
poste dalla legge 13 luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti contro l'inquinamento
atmosferico), senza prevederne l'integrazione con quelle derivanti dalla
normativa energetica di cui al d.P.R. 26 agosto 1993, n. 412 (Regolamento
recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la
manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei
consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della L. 9 gennaio 1991,
n. 10), il quale richiede, oltre al libretto di centrale, anche la scheda
identificativa dell'impianto. Mancherebbe, inoltre, il coordinamento e
l'integrazione con il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione
della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia), che
recepisce la normativa comunitaria in materia di rendimento energetico
nell'edilizia e prevede che le Regioni legiferino in materia di certificazione
energetica e di ispezioni sugli impianti.
2.1 - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, il quale ha eccepito
l'inammissibilità del ricorso per tardività della notifica del medesimo, nonché
l'infondatezza delle censure, riservando a successive memorie la completa
illustrazione della posizione del Governo.
2.2 - È intervenuta l'Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature
(WWF Italia) - Onlus a sostegno delle censure di legittimità costituzionale
prospettate dalla Regione Piemonte. Dopo aver sostenuto l'ammissibilità del
proprio intervento nel giudizio, il WWF svolge articolate argomentazioni sulle
varie disposizioni censurate.
2.3 - Sono, altresì, intervenute ad opponendum la Società Italiana
Centrali Termoelettriche - SICET s.r.l., la Biomasse Italia s.p.a., la Ital
Green Energy s.r.l. e la ETA - Energie Tecnologie Ambiente s.p.a, in persona dei
rispettivi rappresentanti legali, «per resistere al ricorso» presentato dalla
Regione Piemonte. Tali società, dopo aver argomentato sulla propria
legittimazione ad intervenire nel giudizio, hanno contestato in modo analitico
le censure svolte dalla Regione ricorrente.
3. - La Regione Emilia-Romagna, con il ricorso iscritto al n. 73 del registro
ricorsi del 2006, ha censurato numerose disposizioni del D.L.vo n. 152 del 2006,
contestandone la legittimità costituzionale.
La ricorrente premette di aver già proposto un ricorso (il n. 56 del 2006)
avverso talune disposizioni del citato decreto per le quali riteneva urgente
chiedere la sospensione. In sede di delibera di tale ricorso, tuttavia, la
Regione si era espressamente riservata di impugnare altre disposizioni ritenute
lesive delle proprie attribuzioni costituzionali.
Ciò posto, la ricorrente, dopo aver richiamato le censure svolte nel precedente
atto introduttivo avverso i vizi procedurali che inficerebbero l'intero decreto
delegato, censura alcune singole disposizioni del medesimo.
Con particolare riguardo alla parte quinta, recante norme in materia di tutela
dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera, la Regione Emilia-Romagna
sostiene che l'art. 281, nel subordinare alla previa intesa con il ministero
l'adozione di atti generali che stabiliscono valori limite di emissione e
prescrizioni più severi rispetto a quelli fissati dalla normativa statale,
invaderebbe le competenze regionali di programmazione e pianificazione. Infatti,
secondo quanto affermato dalla Corte, la tutela dell'ambiente costituirebbe un
«valore costituzionale» che delinea una “materia trasversale” in ordine alla
quale ben potrebbero manifestarsi competenze diverse di spettanza regionale. Se
compete allo Stato fissare il punto di equilibrio tra diversi interessi
costituzionalmente protetti, ciò dovrebbe avvenire con normative di principio e
non già imponendo alle Regioni l'adozione di specifici strumenti pianificatori o
di dover sottostare al nulla osta da parte dell'autorità amministrativa. Ciò
costituirebbe una indebita restrizione degli strumenti della Regione per
perseguire obiettivi di miglioramento dell'ambiente - «con indiretta violazione
dell'art. 9 Cost.» - attraverso l'esercizio delle competenze legislative e
amministrative riconosciute dalla Costituzione alle Regioni, determinando anche
una compressione delle funzioni loro attribuite dall'art. 84 del D.L.vo n. 112
del 1998.
Ciò sarebbe confermato anche dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59
(Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e
riduzione integrate dell'inquinamento), il quale, all'art. 8, consente di
prescrivere, nelle autorizzazioni integrate ambientali, misure più rigorose per
assicurare la tutela della qualità dell'aria. Inoltre le Regioni, nel rispetto
della normativa comunitaria e, in particolare, della direttiva 2001/80/CE
relativa ai grandi impianti di combustione e non ancora recepita dallo Stato,
potrebbero adottare provvedimenti volti a restringere i limiti di emissione.
La ricorrente impugna, inoltre, l'art. 287 il quale, nel disporre che il
“patentino” di cui deve essere munito il personale addetto alla conduzione di
impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW sia
rilasciato dall'Ispettorato provinciale del lavoro, contrasterebbe con l'art.
118 Cost. Esso, infatti, priverebbe le Regioni di una competenza amministrativa
ad esse conferita dall'art. 84 del D.L.vo n. 112 del 1998.
Violerebbe, inoltre, l'art. 76 Cost., in quanto disattenderebbe i limiti della
delega che prescrive il rispetto del riparto di competenze fissato dal decreto
da ultimo citato.
L'art. 287, nella parte in cui dispone che la disciplina dei corsi e degli esami
per cui è subordinato il rilascio del patentino sia stabilita con decreto
ministeriale, lederebbe l'art. 117, quarto comma, Cost. in quanto invaderebbe la
competenza residuale delle Regioni in materia di formazione professionale.
Infine, la Regione censura l'Allegato IV alla parte quinta del decreto e, in
particolare, la parte I, punto 4, lettera z), del medesimo.
Tale parte dell'allegato, infatti, nell'escludere l'autorizzazione di cui
all'art. 272 per determinati impianti, utilizzerebbe, con riguardo agli
allevanti di bestiame, un criterio irragionevole privo di alcuna relazione con
le emissioni in atmosfera. Esso, infatti, farebbe riferimento non al numero di
capi di bestiame presenti nell'azienda, ma solo alla estensione del terreno di
cui essa dispone e in cui sono utilizzati gli effluenti, comportando che anche
gli allevamenti di ingenti dimensioni, i quali producono un significativo
impatto sull'ambiente in termini di emissioni in atmosfera, non sarebbero
soggetti ad alcuna autorizzazione.
La disposizione impugnata, pertanto, contrasterebbe con gli artt. 3 e 9 Cost.,
in quanto il criterio derogatorio utilizzato sarebbe irragionevole e lesivo
degli interessi ambientali in cura alla Regione; con l'art. 76 Cost., in quanto,
per le medesime ragioni, contrasterebbe con i criteri direttivi della delega;
infine, con l'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto vanificherebbe le
politiche di tutela ambientale della Regione nell'ambito dell'agricoltura e
della zootecnia.
3.1 - Anche in tale giudizio è intervenuta l'Associazione italiana per il World
Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo che sia dichiarata
l'illegittimità delle medesime disposizioni impugnate dalla Regione
Emilia-Romagna.
4. - Anche la Regione Puglia, con ricorso iscritto al n. 76 del registro ricorsi
del 2006, ha impugnato numerose disposizioni del D.L.vo n. 152 del 2006.
Tra gli altri, la ricorrente censura l'art. 281, comma 10, il quale prevede, per
l'adozione dei piani o programmi e per il rilascio delle autorizzazioni da parte
delle Regioni o Province autonome, la necessità di un'intesa con il Ministro
dell'ambiente e con il Ministro della salute allo scopo di fissare limiti più
restrittivi alle emissioni. Tale disposizione violerebbe l'art. 76 Cost., perché
contrasterebbe con i principi e criteri direttivi della delega, nonché gli artt.
117, terzo comma, e 118 Cost. per la «assoluta preponderanza dei poteri
riconosciuti» al Ministro dell'ambiente al quale sarebbe assegnato un ruolo
preminente anche con finalità di controllo sulle competenze regionali, in
violazione del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
La Regione chiede, pertanto, che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale
di tale disposizione, previa sospensione della sua esecuzione, ai sensi
dell'art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3).
4.1 - È intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia) - Onlus, a sostegno delle censure svolte dalla
ricorrente.
5. - In prossimità dell'udienza pubblica, le Regioni Calabria, Emilia-Romagna e
Puglia, nonché il WWF, hanno depositato memorie conclusive.
Considerato in diritto
1. - Le Regioni Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia hanno impugnato
numerose disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale), tra cui l'art. 267, comma 4, lettera a) (Regioni Calabria e
Piemonte); l'art. 267, comma 4, lettera c) (Regione Piemonte); l'art. 269, commi
2, 3, 7 e 8 (Regioni Calabria e Piemonte); l'art. 271 «in relazione agli
Allegati» (Regione Piemonte); l'art. 281, comma 10 (Regioni Calabria, Piemonte,
Emilia - Romagna e Puglia); l'art. 283 (Regione Piemonte); l'art. 284 (Regioni
Calabria e Piemonte); l'art. 287 (Regioni Calabria, Piemonte ed Emilia -
Romagna); la Parte I, punto 4, lettera z), dell'Allegato IV alla Parte quinta
(Regione Emilia - Romagna); l'Allegato IX alla Parte V (Regione Calabria).
Le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 3 (Regioni Calabria ed
Emilia-Romagna), 5 (Regione Piemonte), 9 (Regione Emilia-Romagna), 76 (tutte le
ricorrenti), 114 (Regione Piemonte), 117, terzo comma (tutte le ricorrenti, con
riguardo alla Regione Regione Emilia-Romagna senza espressa indicazione), 117,
quarto comma (Regioni Calabria ed Emilia-Romagna), 118 (tutte le ricorrenti),
119, quinto comma (Regione Calabria), e 120 della Costituzione (Regione
Calabria); sono altresì evocati i principi di leale collaborazione (tutte le
ricorrenti), sussidiarietà (Regioni Calabria, Piemonte, Puglia) e buon andamento
della pubblica amministrazione (Regione Piemonte).
È opportuno riservare a separate decisioni l'esame delle censure che le
ricorrenti hanno mosso ad altre disposizioni del D.L.vo n. 152 del 2006, per
affrontare in questa sede le sole doglianze che investono, secondo quanto appena
precisato, la parte quinta del decreto impugnato, con riguardo alle norme in
materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera.
L'omogeneità della materia trattata consente la riunione del ricorsi, perché
essi siano decisi con un'unica sentenza.
2. - L'Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)
Onlus è intervenuta nei giudizi promossi dalle Regioni Emilia-Romagna, Piemonte
e Puglia.
Nel ricorso promosso dalla Regione Piemonte sono altresì intervenute Biomasse
Italia s.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche-SICET s.r.l., Ital
Green Energy s.r.l. e ETA Energie Tecnologie Ambiente s.p.a.
Questi interventi sono inammissibili.
Il giudizio di costituzionalità delle leggi promosso in via d'azione è, infatti,
configurato come svolgentesi esclusivamente tra soggetti titolari di potestà
legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di
tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre
istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via
incidentale (fra le molte sentenze n. 405 del 2008 e n. 469 del 2005).
3. - In via preliminare deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità
sollevata dall'Avvocatura dello Stato con riguardo al ricorso promosso dalla
Regione Piemonte in ragione della asserita tardività della notifica dell'atto
introduttivo. Premesso, infatti, che anche nei giudizi in via principale vige il
principio della scissione fra il momento in cui la notificazione deve intendersi
effettuata nei confronti del notificante rispetto al momento in cui essa si
perfeziona per il destinatario dell'atto (sentenze n. 300 del 2007 e n. 477 del
2002), è agevole rilevare che, nel caso di specie, la notifica è stata
effettuata tempestivamente dalla Regione, in quanto il ricorso risulta spedito a
mezzo posta in data 12 giugno 2006, e dunque nel termine di 60 giorni dalla
pubblicazione del decreto legislativo impugnato, avvenuta il 14 aprile 2006.
4. - Ancora in via preliminare, va dichiarata l'inammissibilità delle censure
formulate dalla Regione Piemonte avverso gli artt. 267, comma 4, lettera a),
269, comma 7, 271, 281, comma 10, 284 e 287 del D.L.vo n. 152 del 2006, con
riferimento agli artt. 5 e 114 Cost. e «con riguardo a principi e norme del
diritto comunitario e di convenzioni internazionali», poiché del tutto prive di
motivazione (tra le molte, sentenze n. 25 del 2008 e n. 430 del 2007).
Per la medesima ragione, è palesemente inammissibile l'impugnazione, sempre da
parte della Regione Piemonte, dell'art. 283, che viene meramente indicato tra le
disposizioni oggetto di ricorso, senza che ne consegua lo svolgimento di alcuna
censura.
Il ricorso della Regione Piemonte è, inoltre, inammissibile quanto
all'impugnazione dell'art. 271 «in relazione agli Allegati», poiché tale
disposizione non è espressamente indicata tra le norme che la Giunta regionale,
per mezzo di apposita delibera, ha ritenuto di sottoporre al controllo di questa
Corte, adempiendo al proprio onere a tale riguardo (sentenze n. 98 del 2007 e n.
533 del 2002): il generico riferimento all'intera Parte quinta del D.L.vo n. 152
del 2006, contenuto in tale delibera, assume, infatti, il necessario grado di
determinatezza ai fini dell'individuazione dell'oggetto delle censure (sentenza
n. 367 del 2007) solo grazie allo «specifico rilievo» subito dopo riservato
all'elenco delle disposizioni oggetto di doglianza, tra le quali non figurano né
l'art. 271 né gli allegati. Tale disposizione risulta pertanto selezionata dalla
difesa tecnica della Regione, anziché dall'organo politico a ciò preposto.
Parimenti, le censure proposte dalla Regione Emilia-Romagna avverso l'art. 287
sono ammissibili con esclusivo riguardo al comma 1 di tale disposizione, al
quale soltanto si riferisce, espressamente, la delibera della Giunta regionale.
Infine, sono inammissibili, in quanto basate su parametri che non attengono al
riparto delle competenze tra Stato e Regioni (tra le molte, sentenze n. 216 del
2008 e n. 116 del 2006), le censure svolte dalla Regione Piemonte avverso l'art.
269, comma 7, con riguardo al “principio di buon andamento della pubblica
amministrazione”; dalla Regione Calabria avverso l'art. 281, comma 10, con
riferimento all'art. 3 Cost.; dalla Regione Emilia Romagna avverso il medesimo
art. 281, comma 10, con riferimento all'art. 9 Cost.; ancora dalla Regione
Emilia-Romagna avverso la Parte I, punto 4, lettera z), dell'Allegato IV alla
Parte quinta, con riferimento nuovamente agli artt. 3 e 9 della Costituzione: in
nessuno di tali casi la parte ricorrente provvede ad illustrare in modo
specifico per quale via la denunciata lesione di tali parametri costituzionali
si risolva in una menomazione delle proprie competenze.
4.1. - Tale conclusione va ribadita con riguardo alle censure regionali basate
sull'art. 76 Cost., le quali a propria volta richiedono, per essere ammissibili,
che la lamentata violazione dei principi e dei criteri direttivi enunciati dalla
legge delega, da parte del legislatore delegato, sia suscettibile di comprimere
le attribuzioni regionali (sentenza n. 503 del 2000).
Detto requisito di ammissibilità non è soddisfatto dal ricorso della Regione
Piemonte nella parte avente ad oggetto l'art. 267, comma 4, lettera c). La
disposizione stabilisce che i certificati verdi maturati a fronte di energia
prodotta ai sensi dell'art. 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239
(Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto
delle disposizioni vigenti in materia di energia), «possono essere utilizzati
per assolvere all'obbligo di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 16
marzo 1999, n. 79, solo dopo che siano stati annullati tutti i certificati verdi
maturati dai produttori di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili così
come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n.
387 del 2003».
La ricorrente contesta che tale disposizione ecceda i limiti imposti dall'art.
2, comma 9, lettera g), n. 2, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al
Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in
materia ambientale e misure di diretta applicazione), il quale avrebbe
consentito il solo prolungamento fino a dodici anni del periodo di validità dei
certificati verdi, e non l'introduzione di «una modalità di utilizzo» di essi.
Tuttavia, la censura non si accompagna alla necessaria indicazione della
specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di
tale lesione, sicché essa va ritenuta inammissibile, a prescindere
dall'intervenuta abrogazione dell'art. 1, comma 71, della legge n. 239 del 2004
da parte dell'art. 1, comma 1120, della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -
legge finanziaria 2007).
Il medesimo vizio di inammissibilità colpisce la censura mossa, ai sensi
dell'art. 76 Cost., dalla Regione Piemonte con riguardo agli artt. 284 e 287 in
tema di impianti termici, sulla base del rilievo per cui tali disposizioni
tradirebbero le esigenze di «semplificazione e certezza normativa» imposte dalla
legge delega. La suddetta doglianza, oltre ad avere carattere generico,
nuovamente manca di configurare una lesione della sfera di competenza regionale:
il mero richiamo all'omesso coordinamento della norma impugnata con il decreto
legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE
relativa al rendimento energetico nell'edilizia), in tema di rendimento
energetico nell'edilizia non vale a chiarire per quale ragione la pretesa lacuna
formale potrebbe menomare le attribuzioni regionali.
Priva di motivazione, e pertanto inammissibile, è l'impugnazione, da parte della
Regione Emilia-Romagna, della Parte I, punto 4, lettera z), dell'Allegato IV
alla Parte quinta per violazione dell'art. 76 Cost., motivata dalla asserita
lesione degli «interessi ambientali in cura alla Regione» e dal contrasto con i
principi direttivi fissati dalla legge di delega: la mancata specificazione di
quali principi enunciati dal legislatore delegante sarebbero stati violati
impedisce di scrutinare il merito della censura.
Parimenti inammissibile è, infine, l'impugnazione, da parte della Regione
Puglia, dell'art. 281, comma 10, in riferimento all'art. 76 Cost., atteso che la
ricorrente non indica quali «principi generali richiamati dalla legge delega»
sarebbero stati violati nel caso di specie.
5. - Passando ad esaminare il merito delle censure, vengono innanzitutto in
considerazione quelle relative all'art. 267, comma 4, lettera a), il quale
stabilisce che, al fine di promuovere l'impiego di energia elettrica prodotta da
fonti rinnovabili, «potranno essere promosse dal Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio di concerto con i Ministri delle attività produttive e per
lo sviluppo e la coesione territoriale misure atte a favorire la produzione di
energia elettrica tramite fonti rinnovabili ed al contempo sviluppare la base
produttiva di tecnologie pulite, con particolare riferimento al Mezzogiorno».
La Regione Calabria sostiene che tale disposizione consentirebbe allo Stato di
realizzare «interventi diretti di ordine finanziario» sul territorio regionale,
in violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost., nonché della competenza
concorrente regionale in materia di governo del territorio e di tutela della
salute (art. 117, terzo comma, Cost.) e di quella residuale in materia di
«produzione non nazionale di energia» (art. 117, quarto comma, Cost.); peraltro,
il difetto «di ogni coinvolgimento regionale» comporterebbe, altresì, la lesione
del principio di leale cooperazione.
A propria volta, la Regione Piemonte lamenta il mancato «coinvolgimento
esplicito» dell'istanza regionale nella determinazione del contenuto di tali
misure.
Le questioni non sono fondate.
Esse si basano, infatti, sull'erroneo presupposto interpretativo per il quale la
disposizione censurata prevederebbe l'adozione, da parte dello Stato, di atti
che si sovrappongano alla sfera di competenza regionale e ne ledano l'autonomia
finanziaria. Tale lettura non è in alcun modo confortata dalla lettera della
disposizione oggetto di ricorso, che si limita ad impegnare lo Stato alla
promozione dell'energia da fonti rinnovabili per mezzo di non meglio determinate
«misure», la cui natura e il cui contenuto - allorché vengano adottate - non
potranno che conformarsi all'attuale assetto delle competenze costituzionali di
Stato e Regioni.
Tra queste, non vi è dubbio che spicchi la competenza concorrente regionale in
materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, mentre
la Corte ha già escluso la configurabilità di una competenza residuale
concernente l'assetto asseritamente locale del sistema energetico (sentenza n.
383 del 2005); parimenti non si può escludere che le misure “promosse” dallo
Stato possano lambire l'ambito riservato al governo del territorio, piuttosto
che l'autonomia finanziaria della Regione, pur in un contesto finalistico che
parimenti attiva le competenze nazionali in tema di tutela dell'ambiente e di
tutela della concorrenza (sentenza n. 88 del 2009): sarà, perciò, necessario che
l'intervento dello Stato sia rispettoso di siffatti limiti, anche con riguardo
all'introduzione di forme di coinvolgimento della Regione. In tal modo
interpretata, la disposizione impugnata si sottrae alle censure sopra esposte.
6. - L'art. 269 disciplina l'autorizzazione di cui debbono munirsi gli impianti
che producono emissioni in atmosfera. La Regione Calabria impugna i commi 2, 3,
7 ed 8 di tale disposizione, che viene censurata anche dalla Regione Piemonte,
ma con riferimento al solo comma 7.
Con una prima doglianza, che investe tutti i commi impugnati, la Regione
Calabria lamenta che essi recherebbero norme di dettaglio nelle materie della
tutela della salute e del governo del territorio, ove, ai sensi dell'art. 117,
terzo comma, Cost., è riservata allo Stato la sola determinazione dei principi
fondamentali.
La questione non è fondata.
L'art. 269, dopo avere enunciato, al comma 1, il principio per il quale gli
impianti che producono emissioni sono soggetti, salvo specifiche eccezioni, ad
un regime autorizzatorio, provvede a disciplinare, tra l'altro, il procedimento
di rilascio del titolo e la sua efficacia nel tempo. Si tratta di disposizioni
riguardo alle quali, accanto alla tutela dell'ambiente - finalità verso cui
converge l'intero impianto del codice - possono ravvisarsi le competenze
relative alla tutela della salute, in quanto potenzialmente compromessa dagli
agenti inquinanti che vengono rilasciati dagli impianti, e quelle concernenti il
governo del territorio, con riferimento all'installazione ed al trasferimento
degli impianti sul territorio regionale: del resto, non si è mai dubitato del
ruolo particolarmente significativo che la stessa legislazione nazionale ha
attribuito alle Regioni ai fini del contrasto dell'inquinamento atmosferico, fin
dagli artt. 101 e 102 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega
di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382), e successivamente in forza
del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779,
82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria,
relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli
impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della L. 16 aprile 1987, n. 183),
ora abrogato dall'art. 280 del D.L.vo n. 152 del 2006, con i limiti ivi
indicati. Tale ruolo trova conferma nella conservazione, in capo alla Regione o
all'ente da essa indicato, del potere di rilasciare l'autorizzazione prevista
dall'art. 269 (art. 268, comma 1, lettera o).
Se, tuttavia, la riconduzione della disposizione censurata alla competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente esclude in radice che
la Regione possa contestarne il carattere dettagliato, in ogni caso i commi
impugnati di tale disposizione, quand'anche inquadrati nella prospettiva delle
competenze concorrenti sopra ricordate, appaiono espressivi di principi
fondamentali della materia: secondo tale linea di giudizio questa Corte ha già
riconosciuto che le corrispondenti disposizioni del d.P.R. n. 203 del 1988
determinavano i soli «presupposti minimali» per il rilascio del titolo, né la
normativa oggetto dell'odierno controllo di costituzionalità si discosta da
siffatto limite.
In particolare, il comma 2 non tratteggia, come vorrebbe la ricorrente, «un
modulo da predisporre per la presentazione delle istanze», ma determina i
requisiti dai quali non è consentito prescindere in sede di domanda di
autorizzazione, ciascuno dei quali finalizzato a garantire la necessaria
verifica delle condizioni, determinate dal legislatore nazionale, che consentono
l'installazione o il trasferimento dell'impianto; il comma 3 formula il
principio per il quale l'autorità competente, ai fini del rilascio
dell'autorizzazione, indice una conferenza di servizi e ne scandisce le fasi,
per il tramite dell'indicazione di termini rispondenti ad esigenze di
semplificazione amministrativa e di celerità, anche «al fine di evitare (…) che
nel territorio nazionale si creino disparità di trattamento fra impresa e
impresa» (sentenza n. 101 del 1989).
Per tale ragione le disposizioni ora richiamate non possono ritenersi di mero
dettaglio (sentenza n. 364 del 2006).
Le medesime considerazioni appena svolte concernono anche il comma 8, che,
disciplinando il procedimento da osservarsi ove si intenda modificare
l'impianto, appare speculare al procedimento di rilascio dell'autorizzazione e
risponde alla medesima esigenza di articolare unitariamente tale attività
secondo principi che assicurino l'osservanza dei criteri stabiliti dalla
normativa nazionale.
Il comma 7, infine, determina in quindici anni la durata dell'autorizzazione,
così esprimendo un'evidente scelta di principio che sintetizza l'interesse
dell'impresa a proseguire nell'attività con la necessità di una nuova verifica
circa la ricorrenza delle condizioni a tal fine richieste.
6.1. - La Regione Calabria impugna, poi, il solo comma 3 dell'art. 269, in
relazione all'art. 120 Cost., poiché esso, in assenza della diffida ad
adempiere, consentirebbe al Ministro dell'ambiente di sostituirsi alla
competente autorità locale nel rilascio dell'autorizzazione, quando, scaduti i
termini assegnati alla prima per provvedere, l'interessato ne faccia espressa
richiesta, senza assicurare idonee garanzie procedimentali all'ente sostituito.
La questione non è fondata.
Occorre, innanzitutto, rilevare che la censura si incentra non già sulla
configurazione del potere sostitutivo in sé, ma sul preteso difetto di siffatte
garanzie. Per tale ragione, non è necessario in questa sede interrogarsi sulla
effettiva applicabilità dell'art. 120 Cost. al potere sostitutivo previsto dalla
disposizione impugnata, posto che tale norma costituzionale attiene
all'esercizio straordinario di tale funzione da parte del Governo, mentre
«lascia impregiudicata l'ammissibilità e la disciplina di altri casi di
interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o
regionale» (sentenza n. 43 del 2004): infatti, in entrambi i casi, la legge è
tenuta ad apprestare congrue garanzie procedimentali per l'esercizio del potere
sostitutivo, in conformità al principio di leale collaborazione, sicché, pur
prescindendo dall'espresso richiamo dell'art. 120 Cost. operato dalla
ricorrente, la censura deve ritenersi comunque rivolta a contestare la carenza
di tali garanzie.
Sotto questa prospettiva, un analogo meccanismo sostitutivo, regolato dall'art.
7 del d.P.R. n. 203 del 1988, è già stato ritenuto da questa Corte non
contrastante con la Costituzione con la citata sentenza n. 101 del 1989.
Nell'attuale quadro costituzionale di riparto delle competenze, e con riguardo
alla disposizione censurata, va ugualmente osservato che essa può e deve
interpretarsi in un senso rispettoso dell'autonomia decentrata, dal momento che
vi si prevede espressamente che il gestore notifichi la richiesta di intervento
sostitutivo all'autorità locale competente, e che, comunque, il Ministro
dell'ambiente provveda, «sentito il Comune interessato». Tali adempimenti
debbono ritenersi finalizzati a porre l'ente sostituito in grado di evitare la
sostituzione attraverso un autonomo adempimento, ed in ogni caso di partecipare
ed interloquire nel procedimento di sostituzione.
6.2. - La Regione Piemonte impugna il solo comma 7 dell'art. 269, nella parte in
cui stabilisce un'efficacia temporale dell'autorizzazione di quindici anni
ritenuta «assolutamente sproporzionata» alla luce dell'accelerato «processo di
rinnovamento tecnologico degli impianti», senza nel contempo disciplinare il
potere decentrato, originariamente attributo dall'art. 11 del d.P.R. n. 203 del
1988, di modificare le prescrizioni dell'autorizzazione in seguito
all'evoluzione della migliore tecnologia disponibile, nonché all'evoluzione
della situazione ambientale.
Sarebbero così compromesse le attribuzioni regionali in punto di rilascio del
titolo, in violazione dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione. Per
altro profilo, la ricorrente denuncia la difformità della disposizione impugnata
rispetto ai principi e criteri direttivi enunciati dalla legge delega (art.1,
comma 8, lettere d ed h), in quanto essa comporterebbe «una limitazione e non un
accrescimento dei poteri pubblici di controllo e degli obiettivi generali di
miglioramento della qualità dell'aria attraverso l'adozione delle migliori
tecnologie disponibili».
Le censure non sono fondate, giacché si basano su un erroneo presupposto
interpretativo.
La ricorrente muove, infatti, dal convincimento secondo cui il legislatore
delegato, nel determinare l'arco temporale esauritosi il quale l'autorizzazione
necessita di essere rinnovata, avrebbe nel contempo e per ciò stesso privato
l'amministrazione competente del potere di vigilare, durante tale periodo,
sull'esercizio dell'impianto, allo scopo di assicurarne costantemente la
corrispondenza a quanto reso possibile dall'evoluzione della migliore tecnologia
disponibile e a quanto reso necessario dall'evoluzione della situazione
ambientale.
Tale lettura, senza venire imposta dalla lettera della disposizione impugnata,
renderebbe incongrua la disciplina normativa dell'autorizzazione alle emissioni
in atmosfera rispetto ad una marcata linea di tendenza, maturata sul terreno del
diritto comunitario, volta a garantire un costante e progressivo adeguamento
delle prescrizioni concernenti gli impianti inquinanti all'evoluzione
tecnologica: in tema di autorizzazione integrata ambientale (la quale, pur
sostituendosi all'autorizzazione di cui all'art. 269, ai sensi dell'art. 267,
comma 3, concerne anch'essa la tutela, tra l'altro, dall'inquinamento
atmosferico), l'art. 13 della direttiva 15 gennaio 2008, n. 2008/1/CE, che ha
sostituito l'analogo art. 13 della direttiva 24 settembre 1996, n. 96/61/CE
(Direttiva del Consiglio sulla prevenzione e la riduzione integrate
dell'inquinamento), prescrive un riesame delle condizioni del titolo, ogni qual
volta le migliori tecniche disponibili abbiano registrato sostanziali
cambiamenti che consentano di ridurre notevolmente le emissioni senza imporre
costi eccessivi.
Ugualmente, l'art. 13 della direttiva 28 giugno 1984, n. 84/360/CE (Direttiva
del Consiglio concernente la lotta contro l'inquinamento atmosferico provocato
dagli impianti industriali), abrogata con effetto dal 30 ottobre 2007, ma
vigente al tempo della promulgazione del D.L.vo n. 152 del 2006, comporta
l'adozione, a livello nazionale, di misure adeguate per adattare
progressivamente gli impianti esistenti alla migliore tecnologia disponibile,
pur tenuto conto dell'opportunità di evitare costi eccessivi per gli impianti.
Stanti tali premesse, ed entro un contesto normativo finalizzato ad assicurare
un adeguato grado di tutela dell'ambiente, apparirebbe manifestamente
irragionevole il congelamento delle condizioni dell'autorizzazione, quanto alle
prescrizioni relative all'impianto, per un periodo di quindici anni, quando la
sempre più rapida evoluzione della tecnologia avrebbe invece consentito, nel
frattempo, di ricorrere ad adattamenti tecnici idonei ad una più efficace
salvaguardia dell'ambiente, senza nel contempo implicare costi sproporzionati
rispetto all'utilità conseguita. Del resto, l'esigenza di tutelare l'affidamento
dell'impresa circa la stabilità delle condizioni fissate dall'autorizzazione è
certamente recessiva a fronte di un'eventuale compromissione, se del caso
indotta dal mutamento della situazione ambientale, del limite «assoluto e
indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana
e dell'ambiente in cui l'uomo vive» (sentenza n. 127 del 1990). Essa, inoltre,
non può prevalere sul perseguimento di una più efficace tutela di tali superiori
valori, ove la tecnologia offra soluzioni i cui costi non siano sproporzionati
rispetto al vantaggio ottenibile: un certo grado di flessibilità del regime di
esercizio dell'impianto, orientato verso tale direzione, è dunque connaturato
alla particolare rilevanza costituzionale del bene giuridico che, diversamente,
ne potrebbe venire offeso, nonché alla natura inevitabilmente, e spesso
imprevedibilmente, mutevole del contesto ambientale di riferimento.
Difatti, il solo potere dell'autorità competente a rilasciare l'autorizzazione,
che viene espressamente riservato dal legislatore alla fase del rinnovo della
stessa (art. 271, comma 9), attiene all'introduzione di valori limite di
emissione più rigorosi, rispetto a quelli fissati dall'Allegato I alla Parte
quinta del D.L.vo n. 152 del 2006, da parte della normativa regionale di cui al
comma 3 dell'art. 271 e dai piani e programmi relativi alla qualità dell'aria.
La disposizione censurata non deve, pertanto, essere interpretata, come ritiene
invece la ricorrente, nel senso che essa reca un divieto, per l'autorità
competente al rilascio dell'autorizzazione, di modificare, durante il periodo
quindicennale di validità del titolo, le prescrizioni della stessa concernenti
gli impianti, in base all'evoluzione della migliore tecnologia disponibile e
della situazione ambientale: entro tali limiti, la questione avente ad oggetto
l'art. 269, comma 7, non è fondata.
7. - L'art. 281, comma 10, impugnato da tutte le ricorrenti, stabilisce che
«fatti salvi i poteri stabiliti dall'articolo 271 in sede di adozione dei piani
e dei programmi ivi previsti e di rilascio dell'autorizzazione, in presenza di
particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano una
particolare tutela ambientale, le Regioni e le Province autonome, con
provvedimento generale, previa intesa con il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e con il Ministro della salute, per quanto di competenza,
possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le
condizioni di costruzione o di esercizio degli impianti, più severi di quelli
fìssati dagli allegati al presente titolo, purché ciò risulti necessario al
conseguimento del valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell'aria».
La Regione Calabria ritiene lesi gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., poiché
la Regione sarebbe stata «spogliata della (propria) responsabilità di governo
del territorio e della salute dei consociati».
La Regione Piemonte lamenta che si sia compressa la possibilità di interventi
regionali di carattere migliorativo dei livelli statali.
La Regione Emilia-Romagna stima lesi gli artt. 117 e 118 Cost., poiché la
necessità dell'intesa restringe i poteri della Regione di tutelare l'ambiente,
anche derogando in melius ai livelli determinati dallo Stato. Tali poteri
sarebbero stati riconosciuti dall'art. 84 del D.L.vo n. 112 del 1998, dall'art.
8 del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della
direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate
dell'inquinamento), e dalla direttiva comunitaria n. 2001/80/CE del 23 ottobre
2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la
limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dai
grandi impianti di combustione), in tema di grandi impianti di combustione.
La Regione Puglia, la quale avanza anche istanza di sospensione della
disposizione in esame, deduce la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118
Cost., con riferimento anche al principio di sussidiarietà, a causa «della
assoluta preponderanza dei poteri riconosciuti al Ministro dell'ambiente».
Le questioni non sono fondate.
Il D.L.vo n. 152 del 2006 riconosce alle Regioni un ampio margine di intervento,
al fine di conferire esecuzione e talora di rendere eventualmente più severa la
disciplina statale concernente l'inquinamento atmosferico: in particolare,
l'art. 271, comma 3, affida a Regioni e Province autonome la determinazione dei
valori limite di emissione all'interno di quelli indicati dalla normativa
nazionale; l'art. 271, comma 4, ammette l'introduzione in sede decentrata di
valori limite di emissione e di prescrizioni più restrittivi rispetto agli
standard statali, per mezzo dei piani e dei programmi previsti dall'art. 8 del
decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351 (Attuazione della direttiva 96/62/CE
in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente), e
dall'art. 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183 (Attuazione della
direttiva 2002/3/CE relativa all'ozono nell'aria), purché ciò sia necessario al
conseguimento dei valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell'aria.
Inoltre, la disposizione da ultimo citata stabilisce che «fino alla emanazione
dei suddetti programmi», continuano ad applicarsi i valori di emissione e le
prescrizioni contenute nei piani di cui all'art. 4 del d.P.R. n. 203 del 1988.
L'art. 271, comma 9, infine, legittima l'imposizione al singolo impianto di
condizioni ancora più rigide in sede di rilascio e di rinnovo
dell'autorizzazione.
Il ruolo e l'ampiezza delle funzioni affidate alle Regioni vanno perciò
apprezzati alla luce dell'assetto complessivo del decreto legislativo impugnato
e non possono viceversa divenire oggetto, come vorrebbero le ricorrenti, di una
valutazione parcellizzata sulla base di una sola tra le disposizioni di cui esso
si compone.
L'art. 281, comma 10, si inserisce in tale più ampio contesto di valorizzazione
delle competenze regionali, aprendo un ulteriore campo di intervento alle
Regioni, in presenza di situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano
una particolare tutela ambientale, ma nel contempo ne subordina la relativa
azione all'intesa con il Ministro dell'ambiente e con il Ministro della salute.
Nel concorso della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela
dell'ambiente con quella concorrente in materia di tutela della salute, la
disposizione censurata provvede ad allocare l'esercizio della funzione in sede
regionale, dimostrandosi in tal modo rispettosa dell'art. 118 Cost., mentre la
previsione dell'intesa agisce da strumento di raccordo idoneo a soddisfare il
canone della leale collaborazione, in presenza di una concorrenza di competenze
dello Stato e della Regione (sentenze n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005).
Quanto alla normativa richiamata dalla Regione Emilia-Romagna, mentre la
ricorrente omette di indicare quale funzione già prevista dall'art. 84 del
D.L.vo n. 112 del 1998 le sarebbe stata sottratta dalla disposizione censurata,
sono da ritenersi male evocati sia l'art. 8 del D.L.vo n. 59 del 2005, che
concerne il diverso istituto dell'autorizzazione integrata ambientale (art. 267,
comma 3), sia la direttiva n. 2001/80/CE relativa alle emissioni di inquinanti
originati dai grandi impianti di combustione: non si vede, infatti, né è
specificato dalla ricorrente, quale sia il margine di sovrapposizione che possa
intercorrere tra tali norme ed il potere regolato dall'art. 281, comma 1, e ciò
a prescindere dal pur decisivo rilievo per il quale le modalità dell'intervento
regionale ben possono essere distintamente modulate dal legislatore, a seconda
del peculiare ambito materiale cui esso si riferisce.
8. - L'art. 284 disciplina la denuncia di installazione o di modifica di
impianti termici civili di potenza superiore al valore di soglia, stabilendo che
essa vada trasmessa all'autorità competente mediante il modulo riportato nella
Parte I dell'Allegato IX alla Parte quinta del D.L.vo n. 152 del 2006.
La Regione Calabria impugna tale disposizione, che giudica dettagliata, perché
lesiva della competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute,
estendendo la censura all'Allegato IX alla Parte quinta, in quanto «oggetto di
rinvio» da parte dell'art. 284: è pertanto da ritenere che tale estensione
concerna la sola porzione dell'Allegato concernente il “modulo di denuncia”.
Anche la Regione Piemonte censura la disposizione in esame riconducendola,
invece, alla competenza concorrente in materia di energia e sostenendone, a
propria volta, il carattere dettagliato.
Le questioni non sono fondate.
Le disposizioni del D.L.vo n. 152 del 2006 relative agli impianti termici civili
perseguono un obiettivo di prevenzione e limitazione dell'inquinamento
atmosferico (art. 282) che si inquadra nell'esercizio della competenza esclusiva
statale in tema di tutela dell'ambiente; quand'anche si ritenesse che ad essa si
congiunga una sfera di competenza concorrente regionale, come sostenuto dalle
ricorrenti, tuttavia l'art. 284, nell'imporre l'obbligo di denuncia e nel
definire, tramite il rinvio all'Allegato, le modalità di tale denuncia, deve
ritenersi comunque espressivo di un principio fondamentale della materia: il
“modulo di denuncia”, infatti, si limita a selezionare gli elementi tecnici
necessari per constatare la corrispondenza dell'impianto ai requisiti richiesti,
e in tale prospettiva fa naturalmente corpo con la previsione stessa della
denuncia, che verrebbe svuotata di significato ove non si accompagnasse
all'indicazione di un determinato contenuto.
9. - L'art. 287 prevede che il personale addetto alla conduzione di impianti
termici civili di potenza superiore ad una certa soglia debba munirsi di un
patentino di abilitazione rilasciato dall'Ispettorato provinciale del lavoro, al
termine di un corso e previo superamento dell'esame finale: presso ciascun
Ispettorato è compilato ed aggiornato un registro degli abilitati. Il comma 6 di
tale disposizione aggiunge che la disciplina dei corsi e degli esami, nonché
delle revisioni dei patentini, sia determinata con decreto del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, trovando attualmente applicazione il decreto
ministeriale 12 agosto 1968.
Le Regioni Calabria ed Emilia-Romagna eccepiscono la violazione dell'art. 76
Cost., poiché il legislatore delegato, così operando, non avrebbe osservato
l'obbligo di conformarsi, tra l'altro, alle attribuzioni regionali regolate dal
D.L.vo n. 112 del 1998, secondo quanto stabilito dall'art. 1, comma 8, della
legge delega n. 308 del 2004.
Denunciano invece il carattere dettagliato della norma la Regione Piemonte, con
conseguente lesione della competenza concorrente in materia di energia, e la
Regione Calabria, con riguardo alle competenze ripartite in materia di tutela
della salute e tutela e sicurezza del lavoro.
Infine, la Regione Emilia-Romagna lamenta, con riguardo al comma 1, la
violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., poiché la disposizione
impugnata inciderebbe sulla competenza regionale residuale in materia di
formazione professionale.
La Corte osserva che la previsione, imposta dalla norma censurata, di consentire
la conduzione di impianti termici civili, di potenza superiore al valore di
soglia, al solo personale maggiorenne abilitato, non si esaurisce certamente in
un aspetto di mero dettaglio della normativa dettata «ai fini della prevenzione
e della limitazione dell'inquinamento atmosferico» (art. 282, comma 1), ma ne
costituisce piuttosto un cardine, dal momento che affida tale compito solo a chi
disponga di una formazione professionale che lo renda idoneo a prevenire, e
comunque a gestire nel migliore dei modi, gli effetti pregiudizievoli per
l'ambiente e la salute che potrebbero derivare sia da un errore umano, sia da un
guasto tecnico: la riconducibilità di tale scelta normativa alle materie della
tutela dell'ambiente e della tutela della salute, quest'ultima quanto
all'articolazione di un principio fondamentale, rendono perciò infondate le
censure delle Regioni Calabria e Piemonte che ne contestano il carattere
dettagliato.
Altro è, invece, ciò che segue all'introduzione di tale generale previsione, per
quanto in particolare attiene all'attribuzione all'Ispettorato provinciale del
lavoro del compito di rilasciare il patentino di abilitazione, all'esito di un
corso e del superamento di un esame finale.
Tale funzione, originariamente disciplinata dall'art. 16 della legge 13 luglio
1966, n. 615 (Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico), era stata da
ultimo prevista dall'art. 84, lettera b), del D.L.vo n. 112 del 1998, il quale
aveva conferito alle Regioni il «rilascio dell'abilitazione alla conduzione di
impianti termici civili compresa l'istituzione dei relativi corsi di
formazione».
Ciò posto, questa Corte rileva che l'addestramento del lavoratore, per
iniziativa di un soggetto pubblico e fuori dall'ordinamento universitario,
finalizzato precipuamente all'acquisizione delle cognizioni necessarie
all'esercizio di una particolare attività lavorativa, rientra nella materia,
oggetto di potestà legislativa residuale della Regione, concernente la
formazione professionale (sentenze n. 425 del 2006; n. 51 e n. 50 del 2005),
sicché appare fondata la censura mossa dalla Regione Emilia-Romagna alla luce
degli artt. 117, quarto comma, e 118 della Costituzione.
La disposizione censurata, infatti, pretende illegittimamente di allocare presso
lo Stato una funzione amministrativa in materia riservata alla competenza
regionale (sentenze n. 166 del 2008 e n. 43 del 2004), e nel contempo di
disciplinare, in rapporto ad essa, le modalità della formazione professionale
per mezzo dei corsi di abilitazione e del conseguente esame (art. 287, comma 1).
Si deve, pertanto, dichiarare l'illegittimità costituzionale di tale comma 1
della disposizione impugnata, nella sola parte in cui esso invade quella
regionale, ossia limitatamente alle parole «rilasciato dall'ispettorato
provinciale del lavoro, al termine di un corso per conduzione di impianti
termici, previo superamento dell'esame finale».
L'ulteriore previsione concernente la compilazione di un registro presso
l'Ispettorato, acquisendo in tal modo una mera finalità notiziale, non comporta
lesione delle attribuzioni regionali.
Benché l'impugnativa della ricorrente sia ammissibile con riguardo al solo comma
1 dell'art. 287, tuttavia, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
87, questa Corte deve provvedere a dichiarare l'illegittimità consequenziale
anche del comma 4, limitatamente alle parole «senza necessità dell'esame di cui
al comma 1», del comma 5, limitatamente alle parole «dall'Ispettorato
provinciale del lavoro» e dell'intero comma 6, trattandosi di disposizioni
intrinsecamente collegate a quella di cui al comma 1, per la parte in cui esso è
stato dichiarato incostituzionale.
Restano assorbite le censure relative all'art. 76 Cost.
10. - La parte I, punto 4, lettera z), dell'Allegato IV alla Parte quinta,
impugnato dalla Regione Emilia-Romagna, colloca tra gli impianti e attività in
deroga di cui all'art. 272, comma 1, gli allevamenti di bestiame con riferimento
all'estensione dei terreni su cui si esercita l'utilizzazione agronomica degli
effluenti, anziché, come vorrebbe la ricorrente, con riferimento «al numero dei
capi ospitati».
La Regione sostiene che con ciò sarebbe stata lesa la propria competenza
residuale in materia di agricoltura e zootecnia, nell'esercizio della quale
sarebbe permesso perseguire «obiettivi di migliore qualità dell'aria e di minore
impatto delle attività dell'industria zootecnica su di essa»: in tale direzione,
sarebbe necessario attribuire importanza al numero dei capi ospitati, per
evitare che allevamenti ad alto potenziale inquinante sfuggano al regime
autorizzatorio.
La censura non è fondata.
La premessa da cui muove il rilievo della ricorrente, ovvero che la disposizione
impugnata cada nell'ambito materiale dell'agricoltura, è erronea.
È evidente, infatti, che la norma non si propone, né ha per effetto, di
disciplinare l'attività degli allevamenti di bestiame, o comunque di interferire
con il processo di produzione di vegetali ed animali destinati
all'alimentazione, che costituisce il “nocciolo duro” della materia residuale
dell'agricoltura (sentenza n. 12 del 2004). Essa va invece assunta nella sola
prospettiva del controllo delle emissioni in atmosfera, con riguardo ad impianti
ed attività «scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico»:
in tale ottica, la competenza invocata dalla ricorrente nel caso di specie
appare del tutto inidonea a giustificare un qualsivoglia intervento legislativo
regionale in materia. La questione, alla luce del parametro costituzionale
prescelto, è perciò non fondata.
11. - Poiché la Corte ha deciso il merito del ricorso, non vi è luogo a
procedere in ordine alla istanza di sospensione formulata dalla ricorrente
Regione Puglia.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna,
Puglia e Calabria;
dichiara inammissibile l'intervento in giudizio dell'Associazione italiana per
il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, della Biomasse Italia s.p.a.,
della Società Italiana Centrali Termoelettriche-SICET s.r.l., della società Ital
Green Energy s.r.l. e della società ETA Energie Tecnologie Ambiente s.p.a.;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 287, comma 1, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), limitatamente
alle parole «rilasciato dall'ispettorato provinciale del lavoro, al termine di
un corso per conduzione di impianti termici, previo superamento dell'esame
finale»;
dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
l'illegittimità costituzionale dell'art. 287, comma 4, del D.L.vo n. 152 del
2006, limitatamente alle parole «senza necessità dell'esame di cui al comma 1»;
dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità
costituzionale dell'art. 287, comma 5, del D.L.vo n. 152 del 2006, limitatamente
alle parole «dall'Ispettorato provinciale del lavoro»;
dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità
costituzionale dell'art. 287, comma 6, del D.L.vo n. 152 del 2006;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
267, comma 4, lettera a), 269, comma 7, 271, 281, comma 10, 284 e 287 del D.L.vo
n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 5 e 114 della Costituzione
e «con riguardo a principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni
internazionali», dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 267,
comma 4, lettera c), del D.L.vo n. 152 del 2006, promossa in relazione all'art.
76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 269,
comma 7, del D.L.vo n. 152 del 2006, promossa, in relazione al «principio di
buon andamento della pubblica amministrazione», dalla Regione Piemonte con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 271
«in relazione agli allegati», del D.L.vo n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento ai principi di sussidiarietà e leale cooperazione, dalla Regione
Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 281,
comma 10, D.L.vo n. 152 del 2006, promosse rispettivamente, dalla Regione
Calabria in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Regione
Emilia-Romagna in riferimento all'art. 9 della Costituzione e dalla Regione
Puglia in riferimento all'art. 76 della Costituzione, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 283
del D.L.vo n. 152 del 2006 promosse, con riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97,
114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e ai principi di leale
collaborazione e di sussidiarietà, dalla Regione Piemonte con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
284 e 287 del D.L.vo n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all'art. 76 della
Costituzione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 287,
commi 2, 3, 4, 5 e 6, del D.L.vo n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli
artt. 76, 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione
Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della Parte I,
punto 4, lettera z), dell'Allegato IV alla Parte quinta, del D.L.vo n. 152 del
2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9 e 76 della Costituzione, dalla
Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 267, comma 4, lettera a), del D.L.vo n. 152
del 2006, promosse, in riferimento all'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni
Calabria e Piemonte con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 267,
comma 4, lettera a), del D.L.vo n. 152 del 2006, promossa, in riferimento
all'art. 119, quinto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 269,
commi 2, 3, 7 e 8, del D.L.vo n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all'art.
117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 269,
comma 3, del D.L.vo n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all'art. 120 della
Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 269,
comma 7, del D.L.vo n. 152 del 2006, promosse, in riferimento ai principi di
sussidiarietà e leale collaborazione nonché all'art. 76 della Costituzione,
dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 281,
comma 10, del D.L.vo n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117,
terzo comma, e 118 della Costituzione, dalle Regioni Calabria, Piemonte,
Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 284
del D.L.vo n. 152 del 2006 promossa, in riferimento all'art. 117, terzo comma,
della Costituzione, dalle Regioni Calabria e Piemonte, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'Allegato IX
alla Parte quinta del D.L.vo n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all'art.
117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della parte I,
punto 4, lettera z), dell'Allegato IV alla Parte quinta del D.L.vo n. 152 del
2006, promossa, in riferimento all'art. 117, quarto comma, della Costituzione,
dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 16 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.
Il Cancelliere
F.to: MILANA
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