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CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 251
DIRITTO AMBIENTALE - Testo unico ambiente - Art. 1 Legge delega n. 308/2004 -
Criteri e principi direttivi della delega - Attribuzioni delle regioni e degli
enti locali - Principio di sussidiarietà. L’art. 1, comma 8, della legge n.
308 del 2004 prevede, tra i criteri e principi direttivi della delega, quello
per il quale «i decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel
rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia
delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle regioni e degli
enti locali, come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della
legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e
fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni
a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e del
principio di sussidiarietà». Al riguardo, va ribadito che l’interpretazione
della legge di delega di cui si tratta, tenuto conto della eterogeneità delle
fonti cui essa fa riferimento, deve basarsi sul «preminente rilievo» che, tra
loro, va riconosciuto alle fonti costituzionali, rispetto al quale il richiamo
alle fonti ordinarie è da intendersi «nel senso che esso è operante nella misura
in cui le disposizioni delle suddette fonti subcostituzionali siano coerenti con
il nuovo assetto del riparto delle competenze». In tale contesto assume
particolare importanza il riferimento, contenuto nella norma delegante, al
principio di sussidiarietà, utilizzando il quale può essere considerato
validamente operante il precedente riparto delle competenze in materia di tutela
dell’ambiente risultante tanto dalla legge n. 59 del 1997, quanto dal d.lgs. n.
112 del 1998. Pres. Amirante, Est. Saulle - Regioni Emilia-Romagna, Calabria,
Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e
Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri -
CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 251
DIRITTO DELLE ACQUE - Aree sensibili - Art. 91. D.L.vo n. 152/2006 - Duplice potere, statale e regionale, di individuazione - Coerenza con il principio di sussidiarietà. L’art. 91 del d.lgs. n. 152/2006 ha assegnato un ruolo primario alla funzione statale di individuazione delle cosiddette «aree sensibili», precedentemente riconosciuta solo alle Regioni sulla base del sistema normativo delineato dai decreti legislativi n. 112 del 1998 e n. 152 del 1999. In particolare, l’art. 80, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 112 del 1998 assegnava allo Stato compiti di «normazione generale e tecnica», nonché di «elaborazione sistematica delle informazioni e dei dati conoscitivi raccolti dalle pubbliche amministrazioni», mentre il successivo art. 81, comma 1, disponeva il conferimento «alle Regioni e agli enti locali» di «tutte le funzioni amministrative non espressamente indicate negli articoli che precedono». Inoltre, l’art. 18 del d.lgs. n. 152 del 1999 assegnava alle Regioni il potere di identificazione delle aree sensibili, prescrivendo che avvenisse, «sulla base dei criteri stabiliti nell’allegato 6» dello stesso decreto n. 152 del 1999 «e sentita l’Autorità di bacino». La scelta operata con il decreto legislativo n. 152 del 2006 è stata, invece, quella di introdurre un duplice potere di individuazione delle aree sensibili: quello statale, disciplinato ai commi 2 e 6 dell’art. 91, e quello regionale, stabilito al comma 4 del medesimo articolo, secondo il quale «le Regioni, sulla base dei criteri di cui al comma 1 e sentita l’Autorità di bacino, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, e successivamente ogni due anni, possono designare ulteriori aree sensibili ovvero individuare all’interno delle aree indicate nel comma 2 i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili». Premesso che l’ambito di intervento della norma è ascrivibile alla materia dell’ambiente, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., l’allocazione delle funzioni amministrative operata con la disposizione impugnata risulta, invero, coerente anche con il principio di sussidiarietà. Al riguardo, si rileva, infatti, che la funzione di individuazione delle aree maggiormente esposte al rischio di inquinamento deve rispondere a criteri uniformi ed omogenei, dovendo, al contempo, tener conto anche delle peculiarità territoriali sulle quali viene ad incidere. Sotto entrambi i profili, l’art. 91 offre una soluzione non costituzionalmente illegittima, posto che la citata funzione amministrativa statale di individuazione (da esercitarsi previa acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni) si affianca a quella delle Regioni le quali, oltre a poter designare a propria volta «ulteriori aree sensibili» rispetto a quelle indicate dallo Stato, possono altresì indicare, nell’ambito delle aree definite ai sensi del comma 2, i corpi idrici che, secondo propria valutazione, non possono rientrare in detta categoria. Quanto al potere statale di «reidentificazione» delle aree medesime, disciplinato al successivo comma 6, esso risulta connotato da una natura eminentemente ricognitiva a cadenza periodica, che non comporta, pertanto, alcuna modifica sostanziale dell’assetto allocativo delineato dai commi 2 e 4 che lo precedono. Pres. Amirante, Est. Saulle - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 251
DIRITTO DELLE ACQUE - Tutela quantitativa della risorsa idrica - Competenza legislativa esclusiva statale. La materia della «tutela quantitativa della risorsa idrica e della pianificazione dell’utilizzazione di essa» rientra senz’altro nella materia «tutela dell’ambiente», di competenza legislativa esclusiva statale. Pres. Amirante, Est. Saulle - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 251
DIRITTO DELLE ACQUE - Utilizzazioni in atto del medesimo corpo idrico - Censimento - Criteri ministeriali - Art. 95, c. 5 D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Art. 76 Cost. - Infondatezza. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. - dell’ 95, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006. La disposizione subordina infatti l’adozione dei criteri ministeriali finalizzati al censimento delle utilizzazioni in atto nel medesimo corpo idrico ad una «previa intesa» con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Conseguentemente, risulta assicurata la partecipazione del sistema delle autonomie regionali al procedimento di elaborazione dei criteri medesimi nella forma della codecisione paritaria, secondo i criteri indicati nella legge delega. Pres. Amirante, Est. Saulle - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 251
DIRITTO DELLE ACQUE - Restituzione delle acque - Parere del Ministero dell’Ambiente - Art. 114, c. 1 D.L.vo n. 152/2006 - Interpretazione conforme a Costituzione. Sulla base del canone dell’interpretazione conforme a Costituzione, non solo non può essere riconosciuta natura vincolante al parere del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in materia di restituzione delle acque, di cui all’art. 114, c. 1, d.lgs. n. 152/2006, ma, soprattutto, esso deve intendersi riferito alla sola funzione amministrativa e non già anche a quella normativa. Pres. Amirante, Est. Saulle - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 251
DIRITTO DELLE ACQUE - Autorità di Bacino - Organo di natura statale - Competenze - Coinvolgimento delle Regioni - Art. 96, c. 1, D.L.vo n. 152/2006 - Questione di legittimità costituzionale - Art. 76 Cost. - Infondatezza. Se è vero che le competenze della Autorità di bacino (organo, oggi, di natura statale in quanto privo di alcuna rappresentanza regionale), ex artt. 96, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, possono indirettamente avere conseguenze su ambiti materiali di competenza concorrente (come il governo del territorio), è anche vero che il coinvolgimento delle Regioni è assicurato da quanto previsto dall’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006, in base al quale è necessaria «la partecipazione dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico di cui di volta in volta si tratta, alla Conferenza istituzionale permanente (art. 63, comma 4), principale organo dell’Autorità di bacino, che assomma le vaste competenze elencate nel comma 5 dello stesso art. 63 (sentenza n. 232/2009). Non sussiste, pertanto, la denunziata violazione dell’art. 76 Cost. Pres. Amirante, Est. Saulle - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 251
DIRITTO DELLE ACQUE - Autorità di bacino - Parere - Art. 116 D.L.vo n. 152/2006 - Contrasto con i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione - Esclusione. L’art. 116 del d.lgs. n. 152 del 2006 consente allo Stato di concorrere, attraverso il parere delle Autorità di bacino al quale la Regione si deve conformare, alla determinazione di scelte fortemente incidenti sul «governo del territorio», e, più in generale, sulle politiche del territorio, di competenza regionale. Tale previsione, nondimeno, non risulta in contrasto né con i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, né con il riparto di competenze fra Stato e Regioni. Infatti, occorre considerare che i programmi di misure di tutela dei corpi idrici integrano i più ampi piani di tutela delle acque, ponendosi con essi in un rapporto di stretto collegamento. La previsione della sottoposizione di detti programmi ad una approvazione da parte dell’Autorità di bacino, dunque, risponde alla duplice necessità di demandare ad un organo idoneo - per struttura e composizione - a valutare la coerenza del quadro complessivo dell’attività di programmazione derivante dai concorrenti strumenti di pianificazione in materia di tutela delle acque, nonché di assicurare una adeguata partecipazione, al relativo procedimento di formazione, delle Regioni nel cui territorio debbono essere attuate le misure di tutela in questione. Pres. Amirante, Est. Saulle - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri - CORTE COSTITUZIONALE - 24 luglio 2009, n. 251
SENTENZA N. 251
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. 91, commi 1, lettera d), 2 e 6, 95, comma 5, prima
parte, 96, 101, comma 7, 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, 114, commi 1 e 2, e 116
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (n. 2 ricorsi), Calabria, Toscana,
Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata, con
ricorsi notificati il 24 aprile, l'8, il 12-21, il 12-27, il 12 ed il 13 giugno
2006, depositati in cancelleria il 27 aprile, il 10, il 14, il 15, il 16, il 17,
il 20, il 21 ed il 23 giugno 2006, ed iscritti ai numeri 56, 68, 69, 70, 72, 73,
74, 75, 76, 78, 79 e 80 del registro ricorsi dell'anno 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché
gli atti di intervento dell'Associazione Italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) - Onlus, e della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;
udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Maria Rita
Saulle;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per
la Regione Emilia-Romagna, Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria,
Lucia Bora e Guido Meloni per la Regione Toscana, Luigi Manzi per la Regione
Piemonte, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria, Giandomenico
Falcon per la Regione Liguria, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Vincenzo
Cocozza per la Regione Campania, Gustavo Visentini per la Regione Marche,
Alessandro Giadrossi per l'Associazione Italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) - Onlus, e l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con separati ricorsi, il primo notificato il 24 aprile 2006 e depositato il
successivo 27 aprile (registro ricorsi n. 56 del 2006), il secondo notificato il
13 giugno 2006 e depositato il successivo 16 giugno (registro ricorsi n. 73 del
2006), la Regione Emilia-Romagna ha, fra l'altro, impugnato, dapprima, l'art.
101, comma 7, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
per violazione degli artt. 76 e 117, terzo comma, della Costituzione, e,
successivamente, gli artt. 96, 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, e 114, comma 1,
del medesimo decreto legislativo, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost.
1.1. - Quanto all'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, la difesa
regionale premette che la norma impugnata «assimila alle acque reflue domestiche
gli scarichi derivanti dalle imprese agricole», includendo in esse «anche quelle
che svolgono attività di trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli,
purché tale attività, inserita con carattere di normalità e complementarietà
funzionale nel ciclo produttivo aziendale, riguardi materia prima lavorata
proveniente in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di
cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità».
Nel ricorso si evidenzia in particolare che, a differenza di quanto previsto in
precedenza dall'art. 28, comma 7, lettera c), del decreto legislativo 11 maggio
1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e
recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque
reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque
dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), il quale
fissava un «criterio certo», in quanto fondato su un «preciso rapporto minimo
tra materia prima derivante dalla propria produzione e materia prima derivante
da produzioni altrui», la disposizione impugnata ne avrebbe introdotto uno
discrezionale, imperniato sul «concetto elastico di “misura prevalente”».
L'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, pertanto, secondo la
ricorrente, provocherebbe «una riduzione del livello di tutela delle acque»,
contraddicendo i principi e i criteri direttivi fissati dall'art. 1, comma 8,
lettera a), e dal successivo comma 9, lettera b), della legge 15 dicembre 2004,
n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione
della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione),
concernenti, rispettivamente, l'obiettivo del «miglioramento della qualità
dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e
razionale delle risorse naturali», e quello di «pianificare, programmare e
attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi
idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi».
Sotto altro profilo, osserva sempre la ricorrente, il medesimo articolo
inciderebbe negativamente anche sulle funzioni già attribuite alla Regione dalla
legislazione di settore e dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e ciò, ancora una
volta, in violazione del «preciso vincolo posto dalla legge di delega».
1.2. - Con riguardo alla asserita violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.,
la Regione Emilia-Romagna afferma che l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del
2006, potendo «provocare effetti irreversibili sul controllo dei reflui e sulla
qualità delle acque», arrecherebbe pregiudizio agli «interessi pubblici
ambientali che la Regione ha in carico, sia pure non in via esclusiva», nonché
alla tutela del territorio e della salute umana; interessi rientranti nella
competenza legislativa concorrente della Regione ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost.
1.3. - Con riguardo all'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006, la Regione
Emilia-Romagna premette che il comma 1 di tale disposizione riscrive l'art. 7
del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge
sulle acque e impianti elettrici), concernente il procedimento per il rilascio
delle concessioni di acqua pubblica.
In particolare, la ricorrente evidenzia che il nuovo testo dispone che le
domande relative sia alle grandi sia alle piccole derivazioni siano trasmesse
alle Autorità di bacino territorialmente competenti le quali, entro il termine
rispettivamente di novanta e di quaranta giorni, «comunicano il proprio parere
vincolante al competente Ufficio istruttore in ordine alla compatibilità della
utilizzazione con le previsioni del Piano di tutela, ai fini del controllo
sull'equilibrio del bilancio idrico o idrologico, anche in attesa di
approvazione del Piano anzidetto», disponendo altresì che, «decorsi i predetti
termini senza che sia intervenuta alcuna pronuncia, il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio nomina un commissario ad acta che provvede entro i
medesimi termini decorrenti dalla data della nomina».
Nel ricorso si assume che «le competenze della Regione Emilia-Romagna»
risulterebbero «concretamente incise» da tale disposizione, considerato che la
Regione avrebbe «adottato una propria disciplina procedimentale» - con la legge
regionale 21 aprile 1999, n. 3 (Riforma del sistema regionale e locale) e con il
successivo regolamento regionale 20 novembre 2001, n. 41 (Regolamento per la
disciplina del procedimento di concessione di acqua pubblica) - in attuazione
del conferimento di funzioni operato dagli artt. 86-89 del d.lgs. n.112 del
1998.
Inoltre, osserva la ricorrente, la previsione secondo la quale le nuove Autorità
di bacino esprimono sulle grandi derivazioni un parere vincolante in un termine
che passa da quaranta a novanta giorni e che, «in caso di mancata espressione
del parere medesimo, non operi più il silenzio assenso, ma si proceda alla
nomina di un commissario ad acta» che dispone di altri novanta giorni per
esprimersi comporterebbe, altresì, una «enorme dilatazione dei tempi, in […]
contrasto con gli obiettivi di semplificazione» stabiliti dall'art. 1, comma 9,
lettera b), della legge n. 308 del 2004.
1.4. - Quanto osservato con riguardo al comma 1 varrebbe, ad avviso della
Regione Emilia-Romagna, anche «in relazione agli altri commi dell'art. 96» del
d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto essi, contenendo una «disciplina analitica e
dettagliata», non rispetterebbero quanto affermato dalla Corte costituzionale -
in particolare, fra le altre, nella sentenza n. 31 del 2006 - secondo cui «alla
luce del nuovo testo dell'art. 118 Cost., dopo la riforma del titolo V della
parte II, l'attribuzione alle Regioni ed agli enti locali delle funzioni
amministrative in materia è sorretta dal principio di sussidiarietà».
Ciò posto, non sarebbe legittimo, ad avviso della Regione, che lo «Stato emani
in materia norme legislative che entrano analiticamente nel dettaglio»,
sottoponendo «l'uso dei poteri normativi che residuano alla Regione» a direttive
delle quali non sarebbero indicate «né l'autorità competente né le modalità di
emanazione», e in una materia - quella delle derivazioni d'acqua - che non
risulterebbe «contemplata nell'oggetto della delega».
Per queste ragioni, l'art. 96 si porrebbe in contrasto, «nella sua interezza»,
con gli artt. 76, 117 e 118 Cost.
1.5. - Con riguardo alle disposizioni degli artt. 104, commi 3 e 4, 113, comma
1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti misure di tutela
delle acque, la ricorrente osserva, preliminarmente, che esse risulterebbero
accomunate da una identica illegittima impostazione dei rapporti tra autonomia
legislativa e amministrativa regionale e «direzione statale».
1.6. - In particolare, quanto al citato art. 104, comma 3, esso attrarrebbe al
«livello ministeriale compiti di autorizzazione di scarichi risultanti
dall'estrazione di idrocarburi nelle unità del sottosuolo da cui sono stati
estratti», laddove l'art. 89, lettera i), del d.lgs. n. 112 del 1998 ne
prevedeva l'attribuzione alle Regioni, con conseguente violazione sia del
«riparto di attribuzioni già fissato dal legislatore statale antecedentemente
alla riforma» operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione), sia del «criterio
direttivo» stabilito al comma 8 dell'art. 1 della legge n. 308 del 2004, nel
quale sarebbe richiamato l'assetto delle competenze di cui al d.lgs. n. 112 del
1998, prescrivendone la «inderogabilità».
1.7. - Per altro verso, il comma 4 dello stesso art. 104, nella parte in cui
prescrive che «l'autorità competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata
alla verifica dell'assenza di sostanze estranee, può autorizzare gli scarichi
nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli
inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed
inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda
acquifera» risulterebbe, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, in contrasto
con l'art. 4, comma 3, della direttiva 17 dicembre 1979, n. 80/68/CEE (Direttiva
del Consiglio concernente la protezione delle acque sotterranee
dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose), che consentirebbe
agli Stati membri di autorizzare gli scarichi consistenti nella reiniezione
nella stessa falda solo «delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle
acque di infiltrazione di miniere o cave, o delle acque pompate nel corso di
determinati lavori di ingegneria civile», non anche delle acque utilizzate per
il lavaggio e la lavorazione degli inerti.
1.8. - Con riguardo all'art. 113, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, la
ricorrente premette che esso assegna alle Regioni i compiti di «disciplinare» e
di «attuare»: a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di
dilavamento provenienti da reti fognarie separate; b) i casi in cui può essere
richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate
tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni.
Tuttavia, osserva la ricorrente, l'esercizio delle predette funzioni risulta
subordinato al «previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio», realizzando in tal modo una sottoposizione della Regione, anche
nell'esercizio delle sue funzioni normative, ad ingerenze esercitate
dall'autorità amministrativa statale in violazione dell'«assetto delle
competenze posto dagli artt. 117 e 118 Cost.», nonché degli «stessi limiti
prescritti dalla legge di delega».
1.9. - Del pari, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, anche l'art. 114, comma
1, nel disciplinare la restituzione delle acque utilizzate per la produzione
idroelettrica, sottoporrebbe l'autonomia normativa regionale al «previo parere»
del suddetto Ministero, risultando perciò affetta dai medesimi vizi di
legittimità costituzionale dedotti in relazione all'art. 113.
1.10. - La Regione Emilia-Romagna (registro ricorsi n. 56 del 2006) ha, inoltre,
proposto istanza di sospensione in via cautelare dell'esecuzione dell'atto
impugnato (art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006), ai sensi dell'art. 35
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale), come sostituito dall'art. 9 della legge 5 giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
In ordine a detta istanza, questa Corte si è già pronunciata con ordinanza di
non luogo a provvedere n. 245 del 21 giugno 2006.
2. - Nei giudizi instaurati con i ricorsi della Regione Emilia-Romagna non si è
costituito il Presidente del Consiglio dei ministri a seguito della rinuncia
all'intervento specificamente deliberata dal Consiglio dei ministri nella
riunione del 9 giugno 2006.
3. - Con ricorso notificato l'8 giugno 2006 e depositato il successivo 10
giugno, la Regione Calabria (registro ricorsi n. 68 del 2006) ha impugnato, fra
gli altri, gli artt. 91, commi 2 e 6, 101, comma 7, 113, comma 1, 114, comma 1,
e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 76, 114, 117, primo
e terzo comma, e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
3.1. - Con un primo gruppo di censure, la difesa regionale deduce la violazione
del «riparto di competenze normative e amministrative» fra Stato e Regioni,
premettendo che dalla lettura dell'art. 73 del decreto legislativo impugnato, il
quale individua gli obiettivi da perseguire nella disciplina generale per la
tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee, emergerebbe la
riconducibilità della relativa disciplina ad un insieme di titoli competenziali
di diversa natura, tra i quali si dovrebbe riconoscere la prevalenza a quello
relativo al «governo del territorio», pur non mancando i richiami a quelli
relativi alla «tutela dell'ambiente» e «della salute».
3.2. - In particolare, la difesa regionale censura l'art. 116 del d.lgs. n. 152
del 2006, secondo cui «le Regioni […] integrano i Piani di tutela di cui
all'articolo 121 con i programmi di misure» che sono «sottoposti per
l'approvazione all'Autorità di bacino», la quale ultima, «qualora le misure non
risultino sufficienti a garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti», è
chiamata a individuare le cause e ad indicare «alle Regioni le modalità per il
riesame dei programmi, invitandole ad apportare le necessarie modifiche, fermo
restando il limite costituito dalle risorse disponibili».
Detta disposizione, ad avviso della Regione, rivelerebbe «l'idea di un'autonomia
regionale che viene collocata “sotto tutela” da parte di un ente» - l'Autorità
di bacino - «riconducibile, nella composizione e nelle funzioni, alla sfera di
diretta influenza dello Stato», e ciò in contrasto con gli artt. 114 e 118 Cost.
3.3. - Con un secondo gruppo di censure, la Regione Calabria lamenta la
violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché dell'art. 76 Cost., in relazione
all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, «nella parte in cui impone al
legislatore delegato il rispetto delle attribuzioni che delle Regioni e degli
enti locali sono proprie in virtù del decreto legislativo n. 112 del 1998», e
del d.lgs. n. 152 del 1999, dal momento che «la ratio inequivocabile della
disposizione redatta dal legislatore delegante» sarebbe stata «quella di
impedire ogni “ritorno indietro” rispetto alle acquisizioni già consolidate in
capo alle autonomie territoriali».
3.4. - In primo luogo, dunque, la Regione denuncia l'illegittimità
costituzionale dell'art. 91, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale
attribuisce al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la
Conferenza Stato-Regioni, il potere di emanare un decreto con il quale
individuare le «ulteriori aree sensibili» rispetto a quelle inserite nell'elenco
di cui al comma 1 del medesimo articolo.
Osserva, al riguardo, la ricorrente che la funzione concernente detta
individuazione era già stata trasferita alle Regioni dall'art. 18, comma 4, del
d.lgs. n. 152 del 1999, «in piena coerenza» con l'art. 80, comma 1, lettera n),
del d.lgs. n. 112 del 1998, che attribuiva allo Stato unicamente «la definizione
dei criteri generali per la elaborazione dei piani regionali di risanamento
delle acque».
Secondo la ricorrente, quindi, la disposizione impugnata realizzerebbe
«un'indebita riattrazione allo Stato» della competenza in ordine alla
individuazione delle «ulteriori aree sensibili», la cui illegittimità non
risulterebbe superata dalla previsione del «previo parere (oltretutto non
vincolante) in sede di Conferenza Stato-Regioni».
3.5. - Con riferimento all'art. 101, comma 7, lettera c), del d.lgs. n. 152 del
2006, la Regione Calabria rileva come esso assimili alle acque reflue domestiche
gli scarichi «provenienti da imprese [...] che esercitano anche attività di
trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con
carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo
aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente
dall'attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la
disponibilità».
La difesa regionale osserva che, nella normativa precedente, l'art. 28, comma 7,
lettera c), del d.lgs. n. 152 del 1999 prevedeva una analoga assimilazione,
«fissando, però, un preciso rapporto minimo (due terzi) tra materia prima
derivante dalla propria produzione e materia prima derivante da produzioni
altrui». Con la disposizione impugnata, invece, secondo la ricorrente, si
sarebbe sostituito il criterio certo precedentemente individuato con «un
concetto […] elastico quale è quello della “misura prevalente”», che potrebbe
«prestarsi ad una certa (anche marcata) discrezionalità applicativa», idonea a
determinare livelli di tutela meno rigorosi delle acque del corpo recettore.
Sulla base di queste argomentazioni, la Regione Calabria deduce l'illegittimità
costituzionale dell'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 per contrasto
sia con gli «obiettivi di qualità» stabiliti a livello comunitario, in
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., sia con quelli di miglioramento
dell'ambiente fissati tra i «principi e criteri direttivi generali» dall'art. 1,
comma 8, lettera a), della legge n. 308 del 2004, in violazione dell'art. 76
Cost.
3.6. - Quanto all'art. 113 del d.lgs. n. 152 del 2006, in tema di «acque
meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia», la Regione osserva che il
testo dell'articolo impugnato pur riproducendo quello dell'art. 39 del d.lgs. n.
152 del 1999, secondo il quale, «nell'ottica della prevenzione di rischi
idraulici ed ambientali, le Regioni erano chiamate a disciplinare le forme di
controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti
fognarie separate ed i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle
acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate,
siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale
autorizzazione», nondimeno introduce l'obbligo, per le Regioni, di richiedere il
parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
Ad avviso della ricorrente, detta innovazione determinerebbe sia un
«arretramento» della autonomia delle Regioni - collocandole «in una posizione di
subalternità, nell'azione di governo del territorio, rispetto alle
determinazioni di organi statali» - in violazione dei precetti contenuti nelle
legge di delega, sia un condizionamento dell'«attività legislativa delle
Regioni», in contrasto con il disposto dell'art. 117, terzo comma, Cost.
3.7. - Sulla base delle medesime argomentazioni svolte con riferimento all'art.
113, comma 1, la Regione Calabria deduce altresì l'illegittimità costituzionale
dell'art. 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006. Detta disposizione prevede
che «le Regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio, adottano apposita disciplina in materia di restituzione delle acque
utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e impianti di
potabilizzazione, nonché delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni
diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, al fine di
garantire il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui
al titolo II della parte terza del [...] decreto» legislativo n. 152 del 2006.
La difesa regionale rileva che «una previsione sostanzialmente identica era
contenuta nell'art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 1999, nel quale, però,
difettava un qualunque riferimento alla necessità di acquisire il parere del
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio». Si sarebbe, pertanto,
«nuovamente in presenza dell'introduzione di una forma di anomala “tutela” di un
organo statale nei confronti dell'ente regionale, in stridente dissonanza con le
prescrizioni della legge di delega, ma soprattutto con il quadro costituzionale
successivo alla riforma del titolo V della parte II della Costituzione».
3.8. - La Regione Calabria deduce, inoltre, che l'art. 91, comma 6, del d.lgs.
n. 152 del 206, in tema di «aree sensibili», attribuendo «al Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio il compito di provvedere, con
proprio decreto, alla reidentificazione delle aree sensibili e dei rispettivi
bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento delle aree sensibili»,
decreto da adottare «sentita la Conferenza Stato-Regioni», violerebbe il
principio di «leale cooperazione». Infatti, l'incidenza che il decreto
ministeriale avrebbe sul «governo del territorio» regionale renderebbe
indefettibile la adozione di una intesa, la quale soltanto consentirebbe alle
Regioni «di far adeguatamente valere i propri interessi».
4 - Con ricorso notificato il 12-21 giugno 2006 e depositato il successivo 14
giugno (registro ricorsi n. 69 del 2006), la Regione Toscana ha impugnato, fra
gli altri, gli artt. 91, commi 2 e 6, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del
principio di leale cooperazione.
4.1. - La Regione ricorrente osserva preliminarmente che l'art. 91, comma 1, del
citato decreto legislativo effettua una prima individuazione delle così dette
«aree sensibili», ovvero delle aree particolarmente esposte ad inquinamento. Il
comma 2, poi, demanda l'individuazione di «ulteriori aree sensibili» al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza
Stato-Regioni. Parallelamente, il comma 6 dello stesso articolo riconosce al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio il potere di procedere,
sentita la Conferenza Stato-Regioni, alla «reidentificazione» delle aree
sensibili e dei rispettivi bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento
delle aree medesime.
Ad avviso della Regione Toscana, l'ambito di intervento della norma, pur se
astrattamente riconducibile alla «materia ambiente», risulterebbe tuttavia
suscettibile di interventi legislativi regionali, in considerazione della
naturale incidenza di tale funzione sulle politiche del territorio e sulla
tutela della salute, rientranti nella competenza legislativa concorrente
regionale. Conseguentemente, secondo la ricorrente, l'art. 91, commi 2 e 6, del
d.lgs. n. 152 del 2006, «nella parte in cui non prevede che il processo
codecisionale sia garantito attraverso un'intesa fra Stato e Regioni»,
limitandosi a prescrivere un mero obbligo di sentire la Conferenza
Stato-Regioni, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost.
4.2. - Passando alle censure concernenti gli artt. 113, comma 1, e 114, comma 1,
del d.lgs. n. 152 del 2006, la Regione Toscana premette che la prima delle
suddette disposizioni prevede che, «ai fini della prevenzione dei rischi
idraulici ed ambientali, le Regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio, disciplinano e attuano le forme di controllo degli
scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie
separate nonché i casi in cui le immissioni delle acque meteoriche di
dilavamento siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa
l'eventuale autorizzazione». Quanto all'art. 114, comma 1, prosegue la
ricorrente, esso dispone che «le Regioni, previo parere del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio, adottino apposita disciplina in
materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica,
per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonché delle acque
derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed
estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il
raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al decreto medesimo».
Ad avviso della difesa regionale, le norme richiamate non chiarirebbero la
natura del «parere» statale, cosicché, ove si dovesse riconoscere allo stesso
una natura obbligatoria e vincolante, «esso si tradurrebbe in un'indebita
ingerenza dello Stato nelle determinazioni regionali finalizzate alla cura di
interessi che la Costituzione ha affidato alle Regioni medesime, in relazione al
governo del territorio», in violazione dell'art. 117 Cost.
Osserva, al riguardo, la ricorrente che «la subordinazione della potestà
legislativa o regolamentare regionale ad atti statali di natura amministrativa»
non troverebbe riconoscimento in alcuna disposizione costituzionale, risultando,
al contrario, «inibita in radice alla fonte secondaria statale la possibilità di
vincolare l'esercizio della potestà legislativa» regionale.
Le medesime argomentazioni, ad avviso della ricorrente, varrebbero anche per il
comma 1 dell'art. 114, nel quale l'attività legislativa regionale risulterebbe
indirizzata, oltre che a dettare una disciplina «nell'ambito del “governo del
territorio” (uso delle risorse idriche) e nella materia della “tutela
ambientale”, anche a tutelare interessi più propriamente attinenti alla materia
dell'“agricoltura”», materia, quest'ultima, demandata alla competenza
legislativa residuale delle Regioni.
Pertanto, secondo la Regione Toscana, la subordinazione della potestà
legislativa ad atti di natura amministrativa (tanto più trattandosi di pareri)
risulterebbe incompatibile con l'attuale riparto di competenze legislative fra
Stato e Regioni.
4.3. - La difesa regionale deduce, altresì, l'illegittimità costituzionale
dell'art. 116 del d.lgs. n. 152 del 2006 per violazione degli artt. 117 e 118
Cost. e del principio della leale collaborazione.
La ricorrente premette che la disposizione stabilisce l'iter procedurale per
l'adozione dei «programmi di misura» e «delle misure supplementari» definite
dall'allegato 11 alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006.
In base a tale previsione, rileva la ricorrente, «i programmi di misura sono
predisposti dalle Regioni e sottoposti per l'approvazione all'Autorità di bacino
(statale). Qualora l'Autorità ritenga le misure previste non sufficienti a
garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti, ne individua le cause e
indica alle Regioni le modalità per il riesame, invitandole ad apportare le
necessarie modifiche».
Ad avviso della ricorrente, la procedura in esame, pur prevedendo un
coinvolgimento dei livelli di governo regionali, chiamati a predisporre i
programmi di misura e le misure supplementari, di fatto attribuirebbe allo
Stato, attraverso l'Autorità di bacino, l'approvazione finale dei programmi e
delle misure medesime, realizzando in tal modo un'attrazione statale di funzioni
amministrative in forza di «meccanismi unilaterali di soluzione dei conflitti»,
anziché di «modelli concertativi aderenti al principio di leale collaborazione».
Pertanto, secondo la Regione Toscana, il citato art. 116, «nella parte in cui
prevede l'approvazione dei programmi e delle misure supplementari da parte
dell'Autorità di bacino», si porrebbe in contrasto con gli invocati parametri
costituzionali.
5. - Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato infondato.
5.1. - In particolare la difesa erariale osserva, quanto alle censure rivolte
nei confronti dell'art. 91, commi 2 e 6, che «il procedimento di individuazione
è procedura di accertamento e non implica (o non dovrebbe implicare) valutazioni
di discrezionalità amministrativa. Il sentire la Conferenza comporta una
legittima acquisizione di elementi ed esperienze, il concordare con essa implica
invece un inammissibile uso di discrezionalità amministrativa».
5.2. - Quanto alle censure concernenti gli artt. 113, comma 1, e 114 comma 1, ad
avviso della difesa erariale, il parere non sarebbe vincolante o lo sarebbe
«come tutti gli altri pareri che debbono essere superati da una motivazione
stringente». Le disposizioni impugnate si limiterebbero, infatti, «a porre un
principio di cautela in settori» (come quelli della disciplina delle acque
meteoriche e del recupero delle acque utilizzate per la produzione di
elettricità) nei quali, «in rapporto all'importanza degli interessi in gioco,
anche di valenza nazionale, ed alla complessità delle soluzioni in astratto
adottabili, le potestà regionali debbono essere utilizzate tenendo conto
dell'opinione di un organismo centrale».
5.3. - Quanto all'art. 116, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che «la
sottoposizione dei programmi di misure, soprattutto laddove implicano interventi
modificativi dello stato di un corso d'acqua, all'autorità di distretto non è
ragionevolmente contestabile». Si tratterebbe, semmai, «di una doglianza
“derivata” dalla precedente (contrastata) contestazione della composizione delle
autorità di distretto, quasi a voler mantenere da parte della Regione Toscana in
ogni settore una sorta di autoreferenzialità nell'ambito della regione stessa».
6. - Con ricorso notificato il 12-27 giugno 2006 e depositato il successivo 15
giugno (registro ricorsi n. 70 del 2006), la Regione Piemonte ha impugnato, fra
gli altri, gli artt. 91, commi 2 e 6, 96, 104, comma 1, 113, comma 1, 114, comma
1, e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 2, 5, 76, 97,
114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.
6.1. - La difesa regionale premette che, con riferimento alla sezione II della
parte III riguardante la tutela delle acque dall'inquinamento «anche sotto
l'aspetto degli strumenti pianificatori e gestionali», sarebbe evidente
l'interrelazione esistente fra le materie «tutela dell'ambiente» e «governo del
territorio» e di gestione dei vari settori di «attività antropiche» di
competenza concorrente e residuale della Regione. Ciò nondimeno, osserva la
ricorrente, detto settore di disciplina sarebbe stato oggetto di «significative
innovazioni», non giustificate da esigenze di coordinamento ed «anzi
apportatrici di elementi di contraddizione […] ed improntate ad un accentramento
dei compiti […] nella sede ministeriale», così determinando una «compressione
del ruolo delle Regioni e delle autonomie locali».
6.2. - In particolare, i motivi di censura sopra evidenziati andrebbero rivolti,
in primo luogo, nei confronti dell'art. 91, commi 2 e 6, nel quale «vengono
individuate nuove competenze ministeriali, per il cui esercizio viene
genericamente sentita la Conferenza Stato-Regioni», laddove, invece, ad avviso
della ricorrente, sarebbe stato appropriato il conseguimento di un'intesa con le
Regioni territorialmente interessate.
6.3. - In secondo luogo, l'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo la
Regione Piemonte, regolerebbe con disposizioni di dettaglio «procedimenti
attinenti alla gestione del demanio idrico» che rientrerebbero nelle competenze
già trasferite alle Regioni dal d.lgs. n. 112 del 1998, «in coerenza con il
dettato dell'art. 118 della Costituzione». In tal modo, ad avviso della
ricorrente, da un lato, verrebbero private di efficacia le regolamentazioni
regionali già esistenti come, ad esempio, il d.P.G.r. 29 luglio 2003, n. 10/R
(Disciplina dei procedimenti di concessione di derivazione di acqua pubblica),
che avrebbe adeguato le procedure del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo
unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), ai principi
della semplificazione amministrativa e del coordinamento delle attività di
prelievo idrico con le pianificazioni di tutela ambientale. Dall'altro,
risulterebbero «attratte nella competenza ministeriale senza giustificato motivo
funzioni di rilievo locale, quali l'intervento per l'espressione di parere sulle
piccole derivazioni d'acqua con la nomina di un commissario ad acta da parte del
Ministro dell'ambiente».
6.4. - In terzo luogo, la Regione Piemonte deduce l'illegittimità costituzionale
dell'art. 104, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale assegnerebbe «senza
giustificato motivo» l'attribuzione «dell'autorizzazione dello scarico di acque
risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde» alla
«competenza ministeriale», anziché a quella regionale.
6.5. - Gli artt. 113, comma 1, e 114, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006
risulterebbero, del pari, illegittimi in quanto «la potestà normativa regionale
sulla disciplina delle acque meteoriche di dilavamento e sulla disciplina di
restituzione delle acque» verrebbe «inopinatamente subordinata e condizionata ad
attività amministrativa ministeriale “previo parere del Ministero
dell'ambiente”».
6.6. - Quanto agli artt. 116 e 121, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, la
difesa regionale deduce che, nella parte in cui, rispettivamente, sottopongono
«all'approvazione dell'Autorità di bacino il programma di misure integrativo del
piano di tutela di cui all'art. 121» e prevedono che le «Regioni trasmettano il
piano di tutela al Ministro dell'ambiente “per le verifiche di competenza”»,
evidenzierebbero «una logica di subordinazione delle potestà regionali di
pianificazione e programmazione […] alla supervisione ed […] al controllo di
organismi ed organi statali», in contrasto sia con il riparto costituzionale
delle competenze sia con il quadro complessivo delle rispettive attribuzioni
amministrative scaturite dal d.lgs. n. 112 del 1998.
7. - Con atto depositato in data 6 luglio 2006, si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o,
comunque, infondato, riservandosi di depositare successive memorie illustrative.
Preliminarmente, a confutazione della tesi di fondo prospettata dalla Regione
Piemonte, la difesa erariale osserva che il «cosiddetto carattere trasversale
della materia ambientale, se legittima la possibilità delle Regioni di
provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o concorrente (governo
del territorio, agricoltura, sanità, edilizia etc.) su temi che hanno riflessi
sulla materia ambientale», non costituirebbe per contro «limite alla competenza
esclusiva dello Stato a stabilire regole omogenee nel territorio nazionale per
procedimenti e competenze che attengono specificamente alla tutela dell'ambiente
ed alla salvaguardia del territorio».
In particolare, ad avviso della difesa erariale, la legislazione statale, pur
potendo tener conto delle «incidenze dirette ed indirette delle proprie leggi
sugli assetti normativi ed organizzativi delle Regioni», non risulterebbe
tuttavia «condizionata ad una intesa forte, oltretutto di difficile
perseguibilità in sede di redazione di testi normativi di notevole complessità
ed impatto».
8. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 16
giugno (registro ricorsi n. 72 del 2006), la Regione Umbria ha impugnato, fra
gli altri, gli artt. 95, comma 5, 96 e 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006,
per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
8.1. - La ricorrente premette che l'art. 95, rubricato «Pianificazione del
bilancio idrico», al comma 5 stabilisce che, «per le finalità di cui ai commi l
e 2, le Autorità concedenti effettuano il censimento di tutte le utilizzazioni
in atto nel medesimo corpo idrico sulla base dei criteri adottati dal Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, previa intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano», e che «le medesime Autorità
provvedono successivamente, ove necessario, alla revisione di tale censimento,
disponendo prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza che ciò
possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica
amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di
concessione».
Ad avviso della Regione Umbria, la materia della «tutela quantitativa della
risorsa idrica e della pianificazione dell'utilizzazione di essa» rientrerebbe
nella competenza regionale, come dimostrerebbe lo stesso d.lgs. n. 152 del 2006
il quale attribuisce alle Regioni il compito di elaborare il Piano di tutela
delle acque (art. 121, commi 2 e 5, del d.lgs. n. 152 del 2006).
La norma impugnata, dunque, introducendo la necessità di non meglio precisati
«criteri» che devono essere prefissati con decreto ministeriale - e così
modificando la disciplina dettata dall'art. 22, comma 6, d.lgs. n. 152 del 1999,
che già consentiva alle Autorità concedenti di limitare le utilizzazioni idriche
-, da un lato, paralizzerebbe l'applicabilità della norma «fino all'adozione dei
criteri in questione», dall'altro, lederebbe le competenze regionali, in
violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.
Inoltre, prosegue la ricorrente, poiché non si comprenderebbe «l'utilità» dei
menzionati criteri ministeriali, l'art. 95, comma 5, prima parte, violerebbe
altresì l'art. 76 Cost., in relazione ai principi di «economicità» e di
«semplificazione» rispettivamente fissati agli artt. 1, comma 9, e 1, comma 9,
lettera b), della legge n. 308 del 2004. Detta violazione dell'art. 76 Cost. si
tradurrebbe, ad avviso della ricorrente, «in lesione delle competenze regionali,
dato che la previsione dei criteri ministeriali costituisce un vincolo per
l'attività amministrativa regionale», interferendo, pertanto, con «l'autonomia
normativa della Regione».
8.2. - Quanto all'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006, concernente il
procedimento per il rilascio delle concessioni di acqua pubblica, la Regione
Umbria propone questioni di legittimità costituzionale identiche a quelle
sollevate dalla Regione Emilia-Romagna in riferimento agli artt. 117, 118 e 76
Cost. e riportate supra, ai paragrafi n. 1.3. e n. 1.4., segnalando, in
particolare, di aver già adottato una propria disciplina procedimentale con la
legge regionale 24 febbraio 2006, n. 5 (Piano regolatore regionale degli
acquedotti - Norme per la revisione e l'aggiornamento del Piano regolatore
generale degli acquedotti e modificazione della legge regionale 23 dicembre
2004, n. 33), in attuazione del conferimento di funzioni operato con il d.lgs.
n. 112 del 1998.
8.3. - Anche con riguardo all'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, la
Regione Umbria propone questione identica a quella sollevata dalla Regione
Emilia-Romagna e riportata supra, ai paragrafi n. 1.1. e n. 1.2.
9. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 16
giugno, la Regione Liguria ha impugnato, fra gli altri, gli artt. 91, comma 1,
lettera d), 91 comma 2, 96, 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del
2006, per violazione degli artt. 5, 76, 117 e 118 Cost.
9.1. - Quanto all'art. 91, comma 1, lettera d), che dichiara «aree sensibili» le
aree costiere «dell'Adriatico-Nord occidentale dalla foce dell'Adige al confine
meridionale del comune di Pesaro e i corsi d'acqua ad essi afferenti per un
tratto di 10 chilometri dalla linea di costa», la Regione Liguria deduce che
tale norma contrasterebbe con l'allegato 2, lettera a), della direttiva 21
maggio 1991, n. 91/271/CEE (Direttiva del Consiglio concernente il trattamento
delle acque reflue urbane), che non prevede il limite dei 10 chilometri, così
violando l'art. 117, primo comma, Cost.
Inoltre, posto che, ad avviso della ricorrente, la previsione impugnata
sottrarrebbe parte dei corsi d'acqua alla categoria delle «aree sensibili», essa
si porrebbe in contrasto anche con «l'art. 1, comma 8, lettere a), b) e f),
della legge n. 308 del 2004».
9.2. - Quanto al comma 2 del medesimo art. 91, il quale affida al Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza
Stato-Regioni, di individuare con proprio decreto «ulteriori aree sensibili»,
esso violerebbe l'art. 118, primo comma, Cost., poiché, ad avviso della Regione
Liguria, non sussisterebbero ragioni di esercizio unitario che giustifichino la
competenza statale. Anzi, con tale previsione, lo Stato si sarebbe riappropriato
di funzioni amministrative già decentrate a livello regionale, in particolare,
dall'art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 1999, nonché dal d.lgs. n. 112 del
1998 - posto che l'art. 80 di tale ultimo decreto non menzionava il poteri di
individuazione delle aree sensibili fra i «compiti di rilievo nazionale» -,
confermando così «l'impianto centralistico dell'intero decreto legislativo».
Sulla base di queste considerazioni, la norma impugnata, secondo la Regione
Liguria, determinerebbe, al contempo, la violazione dell'art. 5 Cost., il quale
impone di «“promuovere” le autonomie locali», nonché dell'art. 76 Cost., in
relazione all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, che prescrive il
rispetto delle attribuzioni delle Regioni e degli enti locali, come definite ai
sensi dell'art. 117 Cost., della legge n. 59 del 1997 e del d.lgs. n. 112 del
1998.
Inoltre, qualora si ritenessero infondate le suddette censure svolte nei
confronti dell'art. 91, comma 2, la Regione Liguria deduce, in via subordinata,
che esso risulterebbe comunque in contrasto con l'art. 118 Cost., nella parte in
cui prevede il parere della Conferenza Stato-Regioni anziché un'intesa, giacché
quest'ultima si renderebbe necessaria in base ai principi fissati da questa
Corte in relazione ai casi di «chiamata in sussidiarietà».
9.3. - Quanto all'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006, la difesa della Regione
Liguria prospetta questioni di legittimità costituzionale identiche a quelle
sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, riportate supra,
rispettivamente, ai paragrafi n. 1.3., n. 1.4. e n. 8.2.
9.4. - Quanto agli artt. 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del
2006 la difesa della Regione Liguria propone questioni identiche a quelle
sollevate dalla Regione Emila-Romagna e riportate supra ai paragrafi n. 1.8. e
n. 1.9.
10. - Con ricorso notificato il 12 giugno 2006 e depositato il successivo 17
giugno (registro ricorsi n. 75 del 2006), la Regione Abruzzo ha impugnato, fra
gli altri, l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli
artt. 76 e 117, terzo comma, Cost., proponendo questione identica a quella
sollevata dalla Regione Emila-Romagna e dalla Regione Umbria, rispettivamente
riportate supra ai paragrafi n. 1.1., n. 1.2. e n. 8.3.
10.1. - La Regione Abruzzo propone, altresì, istanza di sospensione in via
cautelare dell'esecuzione dell'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006
ritenendo sussistenti le condizioni previste le condizioni previste dall'art. 35
della legge n. 87 del 1953, come sostituito dall'art. 9 della legge n. 131 del
2003. In particolare, ad avviso della ricorrente, la disciplina introdotta
dall'articolo impugnato comporterebbe il rischio di un pregiudizio irreparabile
agli «interessi pubblici ambientali che la Regione ha in carico, sia pure non in
via esclusiva», in materia di tutela del territorio e della salute, rientranti
nelle competenze legislative concorrenti fissate dall'art. 117, terzo comma,
Cost.
11. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 20
giugno (registro ricorsi n. 76 del 2006), la Regione Puglia ha impugnato - con
contestuale istanza di sospensione in via cautelare dell'esecuzione delle
disposizioni medesime ai sensi dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953 come
sostituito dall'art. 9 della legge n. 131 del 2003 - gli artt. 91, comma 2, 101,
comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 5, 76,
117, terzo comma, e 118 Cost.
11.1. - L'art. 91 del d.lgs. n. 152 del 2006 - concernente, come si è detto, il
potere del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la
Conferenza Stato-Regioni, di individuare le cosiddette «aree sensibili», nonché,
«entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza» del
decreto legislativo in questione, di reidentificare le «ulteriori aree
sensibili» - costituirebbe, ad avviso della Regione Puglia, una previsione
illogica ed irrazionale, posto che tale funzione non potrebbe essere affidata
unicamente ad un decreto ministeriale - sia pure emanato dopo aver sentito la
Conferenza Stato-Regioni - ma dovrebbe, in ogni caso, scaturire da una effettiva
concertazione con la Regione nel cui ambito territoriale tali aree sono situate.
Al riguardo, la ricorrente segnala di aver già provveduto alla individuazione
delle aree sensibili, emanando la legge regionale 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge
quadro sulle aree protette), proprio al fine di garantire e di promuovere la
conservazione e la valorizzazione del proprio patrimonio naturale ed ambientale.
Conseguentemente, disciplinando «funzioni rientranti nelle materie attribuite
alle Regioni dall'art. 117, terzo comma, Cost., ovvero» del «governo del
territorio» e della «valorizzazione dei beni ambientali», la disposizione
impugnata si porrebbe in contrasto «con il riparto di competenze fra lo Stato e
le Regioni», nonché «con i principi generali e di adeguatezza» sanciti dagli
artt. 5 e 118 Cost., ed indicati dalla legge di delega n. 308 del 2004.
11.2. - Quanto all'art. 101 del d.lgs. n. 152 del 2006, la difesa regionale
rileva che, al comma 7, esso assimila alle acque reflue domestiche anche quelle
provenienti da imprese zootecniche ed agricole, che potrebbero essere
notevolmente inquinanti e dannose per l'ambiente. Il successivo art. 104,
inoltre, osserva ancora la ricorrente, pone il divieto di scarico diretto nelle
acque sotterranee e nel sottosuolo, introducendo però una serie di importanti
deroghe a tale divieto, che possono essere autorizzate dal Ministro
dell'ambiente, anche senza richiedere il consenso o il parere regionale.
Conseguentemente, il combinato disposto degli artt. 101, comma 7, e 104 del
d.lgs. n. 152 del 2006 introdurrebbe un «potere autorizzatorio esclusivo del
Ministro, da esercitarsi in relazione a qualsiasi ipotesi di scarico diretto di
acque reflue», nonostante che, ad avviso della Regione Puglia, un tale «potere
di controllo» non potrebbe non fondarsi in ambito regionale.
Alla luce di tali considerazioni, le disposizioni impugnate risulterebbero
anch'esse lesive, in primo luogo, dell'«assetto di competenze garantito
dell'art. 117 Cost.», in quanto non terrebbero conto «del potere normativo
regionale in materia di “governo del territorio” e di “tutela della salute”»,
che potrebbe estendersi fino a giustificare misure più rigorose di quelle
previste a livello statale, anche in considerazione della peculiarità
territoriali di ogni singola Regione.
In secondo luogo, posto che le disposizioni in questione ridurrebbero le
funzioni amministrative in precedenza attribuite alle Regioni dalla legislazione
statale di settore, esse violerebbero i «principi generali di sussidiarietà e di
valorizzazione del ruolo delle autonomie locali».
12. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 21
giugno (registro ricorsi n. 78 del 2006), la Regione Campania ha impugnato, fra
gli altri, l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli
artt. 76 e 117, primo e terzo comma, Cost.
12.1. - Con il primo motivo, la difesa regionale deduce che l'art. 101, comma 7,
del d.lgs. n. 152 del 2006 assimila alle acque reflue domestiche gli scarichi
derivanti dalle imprese agricole, includendo in queste ultime anche quelle che
svolgono attività di trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli,
purché tale attività, inserita con carattere di normalità e complementarietà
funzionale nel ciclo produttivo aziendale, riguardi materia prima lavorata
proveniente in misura prevalente dall'attività. di coltivazione dei terreni di
cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità.
La «flessibilità» del criterio introdotto dalla disposizione impugnata, secondo
la Regione Campania, comporterebbe un'impropria classificazione degli scarichi
delle imprese agricole, che esercitano anche attività di trasformazione dei
prodotti agricoli, ponendosi in contrasto sia con l'art. 1, comma 8, lettera a),
della legge n. 308 del 2004, che stabilisce l'obiettivo del «miglioramento della
qualità dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione
accorta e razionale delle risorse naturali», sia con il successivo comma 9,
lettera b), del medesimo articolo, che pone l'obiettivo di «pianificare,
programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento
dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi».
Inoltre, la medesima disposizione determinerebbe anche la violazione
dell'«ulteriore criterio» posto dalla legge n. 308 de 2004 «del rispetto delle
attribuzioni già conferite alle Regioni, giacché sin dalla legislazione di
settore e dal decreto legislativo n. 112 del 1998 queste funzioni» sarebbero
state loro «riconosciute».
13. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 21
giugno (registro ricorsi n. 79 del 2006), la Regione Marche ha impugnato, fra
gli altri, gli artt. 91, commi 2 e 6, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del
principio di leale collaborazione.
13.1. - La difesa regionale rileva, in primo luogo, che l'art. 91 del d.lgs. n.
152 del 2006 stabilisce, al comma 2, che il Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-Regioni, individua le
cosiddette «aree sensibili»; e, al comma 6, che lo stesso Ministero, sempre
sentita la Conferenza Stato-Regioni, procede alla «reidentificazione delle aree
sensibili e dei bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento delle aree»
medesime.
La Regione Marche, pur riconoscendo che l'ambito di intervento della norma
richiamata sarebbe riconducibile alla materia dell'ambiente - di competenza
legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost. - ciò nondimeno osserva che dalla individuazione delle aree sensibili
discenderebbero importanti conseguenze a livello di politiche del territorio
(come nel caso della scelta di sistemi depurativi), che atterrebbero più
propriamente alla materia del «governo del territorio» e della «tutela della
salute», rientranti nella competenza legislativa concorrente di cui all'art.
117, terzo comma, Cost.
Conseguentemente, ad avviso della difesa regionale, la previsione di un mero
obbligo statale di «sentire» la Conferenza Stato-Regioni risulterebbe
insufficiente, essendo invece necessaria l'acquisizione di una vera e propria
«intesa» con la stessa.
Ciò, soggiunge la Regione Marche, «in conformità anche con l'orientamento più
volte espresso dalla Corte costituzionale in base al quale, qualora per esigenze
di esercizio unitario vengano attratte, insieme alla funzione amministrativa,
funzioni legislative», deve essere dato il dovuto risalto alle «attività
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono
essere condotte in base al principio di lealtà» (come affermato testualmente
nella sentenza n. 303 del 2003).
Ad avviso della Regione Marche, dunque, la disposizione violerebbe gli artt. 117
e 118 Cost. «nella parte in cui non prevede che il processo codecisionale sia
garantito attraverso un'intesa fra Stato e Regioni».
13.2. - Quanto agli artt. 113 e 114 del d.lgs. n. 152 del 2006, la ricorrente
lamenta che essi subordinano la potestà normativa regionale in tema di «acque
meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia» nonché in tema di
«restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi
irrigui e in impianti di potabilizzazione», ad un previo parere del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio.
Tali disposizioni, pertanto, prevedendo la necessità di un parere statale
obbligatorio «in grado quindi di limitare o, più precisamente, subordinare lo
svolgimento» dell'attività legislativa regionale, violerebbero l'art. 117 Cost..
13.3. - La Regione Marche, inoltre, censura l'art. 116 del d.lgs. n. 152 del
2006, il quale disciplina l'iter procedurale per l'adozione dei «programmi di
misura» destinati ad integrare i piani di tutela, stabilendo che essi sono
predisposti dalla Regioni e sottoposti per l'approvazione all'Autorità di
bacino, la quale può invitare la Regione, qualora le misure non risultino
sufficienti al raggiungimento degli obiettivi, ad apportare le dovute modifiche.
La procedura in questione, secondo la ricorrente, pur prevedendo un
coinvolgimento dei livelli regionali, che predispongono i programmi,
attribuirebbe di fatto le determinazioni finali allo Stato, attraverso
l'Autorità di bacino, cui è demandata la approvazione dei programmi medesimi,
con la conseguenza che il modello procedimentale previsto non consentirebbe un
confronto paritario fra i vari interessi coinvolti, in violazione degli artt.
117 e 118 Cost., nonché del principio della leale cooperazione.
14. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 23
giugno (registro ricorsi n. 80 del 2006), la Regione Basilicata ha impugnato,
fra gli altri, l'art.101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione
dell'art. 76 Cost.
14.1. - Ad avviso della ricorrente, la disposizione, equiparando ai fini della
disciplina e delle autorizzazioni degli scarichi i reflui domestici a quelli
derivanti dalle imprese agricole, in forza di un criterio indeterminato -
prevedendo che rientrino in tale disciplina gli scarichi provenienti anche da
imprese agricole che svolgono attività di trasformazione o valorizzazione dei
prodotti agricoli, purché tale attività, inserita con carattere di normalità e
complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale, riguardi materia
prima lavorata prodotta in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei
terreni - rimetterebbe ad una valutazione discrezionale della p.a. la
inclusione, o meno, di singole fattispecie nel campo applicativo della norma,
diversamente da quanto disposto in precedenza con l'art. 28, comma 7, lettera
c), del d.lgs. n. 152 del 1999, il quale fissava invece un criterio certo di
distinzione.
Conseguentemente, ad avviso della difesa regionale, la previsione censurata,
autorizzando di fatto i produttori ad osservare livelli di trattamento meno
rigorosi rispetto al passato, si porrebbe in contrasto sia con l'art. 1, comma
8, lettera a), della legge n. 304 del 2008, che pone l'obiettivo di garantire
«il miglioramento della qualità dell'ambiente, della protezione della salute
umana all'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali», sia con il
successivo comma 9, lettera b), concernente l'obiettivo di «pianificare,
programmare ed attuare interventi diretti a garantire la tutela ed il
risanamento dei corpi idrici e superficiali e sotterranei, previa ricognizione
degli stessi».
15. - In tutti i giudizi, ad eccezione di quello introdotto dalla Regione
Calabria, è intervenuta l'Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo che la Corte accolga i ricorsi proposti
dalle citate Regioni ricorrenti.
In prossimità dell'udienza di discussione, l'Associazione ha depositato memorie
con le quali insiste nelle conclusioni già rassegnate negli atti di intervento.
16. - Nel giudizio introdotto con il ricorso della Regione Piemonte, hanno
spiegato intervento ad opponendum la Biomasse Italia S.p.a., la Società Italiana
Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l., la Ital Green Energy S.r.l e la E.T.A.
- Energie Tecnologie Ambiente S.p.a., chiedendo che la Corte costituzionale
dichiari l'inammissibilità e comunque l'infondatezza delle questioni promosse
dalla Regione Piemonte.
17. — Nell'imminenza dell'udienza pubblica tutte le Regioni, ad eccezione del
Piemonte, dell'Abruzzo e della Basilicata, hanno depositato memorie ad
integrazione delle motivazioni svolte nei ricorsi a sostegno delle singole
questioni di costituzionalità sollevate, ponendo in evidenza, fra l'altro, gli
effetti di alcune modifiche sopravvenute nelle more del presente giudizio,
riguardo ad alcune delle norme impugnate.
In particolare, le difese regionali osservano che l'art. 101, comma 7, è stato
modificato ad opera dell'art. 2, comma 8, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4
(Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n.
152, recante norme in materia ambientale), e che, tuttavia, tale ius
superveniens, estendendo ulteriormente la possibilità di assimilazione dei
reflui domestici a quelli provenienti da determinate categorie di imprese,
avrebbe non solo confermato ma addirittura aggravato le ragioni di censura
svolte sulla formulazione originaria della norma in questione.
Quanto alla ulteriore modifica che ha investito l'art. 104, comma 3, ad opera
dell'art. 7, comma 6, del d.lgs. 16 marzo 2009, n. 30 (Attuazione della
direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee
dall'inquinamento e dal deterioramento), il quale ha restituito alle Regione il
potere di autorizzazione dello scarico di acque risultanti dall'estrazione di
idrocarburi nelle unità del sottosuolo da cui sono stati estratti, le difese
regionali osservano di aver interesse comunque a che la Corte si pronunci sulla
norma contenuta nella formulazione precedente, posto che essa ha avuto
applicazione.
Considerato in diritto
1. - Le Regioni Emilia-Romagna (con due distinti ricorsi), Calabria, Toscana,
Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata, hanno
proposto in via principale, tra l'altro, questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 91, 95, 96, 101, 104, 113, 114 e 116 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in riferimento agli artt. 2,
5, 76, 97, 114, 117, 118, 119, 120 della Costituzione, nonché al principio di
leale collaborazione.
Le Regioni Puglia, Emilia-Romagna ed Abruzzo hanno, altresì, chiesto la
sospensione dell'efficacia, la prima, degli artt. 91, 101, comma 7, e 104 del
d.lgs. n. 152 del 2006, la seconda e la terza, del solo art. 101, comma 7, del
medesimo decreto legislativo.
1.1. - In particolare, le ricorrenti hanno prospettato le seguenti censure:
la Regione Emilia-Romagna ha impugnato gli artt. 96, comma 1, 101, comma 7, 104
commi 3 e 4, 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, per
violazione degli artt. 76, 117, 118 Cost;
la Regione Calabria ha impugnato gli artt. 91, commi 2 e 6, 101, comma 7, 113,
comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli
artt. 76, 114, 117, primo e terzo comma, e 118 Cost. e del principio di leale
collaborazione;
la Regione Toscana ha impugnato gli artt. 91, commi 2 e 6, 113, comma 1, 114,
comma 1, e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 117 e 118
Cost. e del principio di leale collaborazione;
la Regione Piemonte ha impugnato gli artt. 91, commi 2 e 6, 96, 104, comma 3,
113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione
degli artt. 2, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119, 120 Cost., nonché del principio di
leale collaborazione;
la Regione Umbria ha impugnato gli artt. 95, comma 5, 96, comma 1, e 101, comma
7, del d.lgs. del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 76, 117,
118 Cost.;
la Regione Liguria ha impugnato gli artt. 91, comma 1, lettera d), 91 comma 2,
96, comma 1, 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, per
violazione degli artt. 5, 76, 117 e 118 Cost.;
la Regione Abruzzo ha impugnato l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006,
per violazione degli artt. 76 e 117, terzo comma, Cost.;
la Regione Puglia ha impugnato gli artt. 91, comma 2, 101, comma 7, e 104 del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 5, 76, 117, terzo comma, e
118 Cost.;
la Regione Campania ha impugnato l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del
2006, per violazione degli artt. 76 e 117, primo e terzo comma, Cost.;
la Regione Marche ha impugnato gli artt. 91, commi 2 e 6, 113, comma 1, 114,
comma 1, e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 117, 118
Cost. e del principio di leale collaborazione;
la Regione Basilicata ha impugnato l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del
2006, per violazione dell'art. 76 Cost.
2. - In ragione della loro connessione oggettiva, i ricorsi devono essere
riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia.
3. - Riservate a separate decisioni le ulteriori questioni di legittimità
costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi, in via preliminare occorre
premettere che questa Corte, con ordinanza letta nell'udienza pubblica del 5
maggio 2009 e allegata alla presente sentenza, ha dichiarato inammissibile
l'intervento in giudizio dell'Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) - Onlus, della Biomasse Italia S.p.a., della Società
Italiana Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l., della Ital Green Energy S.r.l.
e della E.T.A. Energie Tecnologie Ambiente S.p.a., in applicazione
dell'orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui il giudizio
di costituzionalità in via principale si svolge «esclusivamente fra soggetti
titolari di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale
potestà i mezzi di tutela dello loro posizioni soggettive, anche costituzionali,
di fronte a questa Corte in via incidentale» (da ultimo sentenza n. 405 del
2008).
4. - Preliminarmente, devono essere esaminati i profili di inammissibilità delle
censure prospettate.
5. - In primo luogo, va dichiarata la inammissibilità delle questioni di
legittimità sollevate dalla Regione Piemonte nei confronti degli artt. 91, 96,
104, comma 3, 113, comma 1, e 114, comma 1, 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, in
riferimento agli artt. 2, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119, 120 Cost., nonché al
principio di leale collaborazione.
Tutte le censure richiamate risultano affette dal medesimo vizio di genericità,
in quanto non sorrette da un'autonoma e specifica motivazione in relazione a
ciascuno dei numerosi parametri costituzionali, di volta in volta,
indistintamente invocati.
6. - Deve essere dichiarata la inammissibilità anche della questione di
legittimità costituzionale, sollevata dalla sola Regione Liguria, dell'art. 91,
comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 117,
primo comma, e 76 Cost., nella parte in cui qualifica come «aree sensibili» le
aree costiere «dell'Adriatico-Nord occidentale dalla foce dell'Adige al confine
meridionale del comune di Pesaro e i corsi d'acqua ad essi afferenti per un
tratto di 10 chilometri dalla linea di costa».
Secondo la ricorrente, tale previsione, da un lato, violerebbe la lettera a)
dell'allegato 2, della direttiva 21 maggio 1991, n. 91/271/CEE (Direttiva del
Consiglio concernente il trattamento delle acque reflue urbane), la quale non
prevede tale limite; dall'altro, si porrebbe in contrasto con i principi e i
criteri direttivi stabiliti dall'art. 1, comma 8, lettere a), b) e f), della
legge n. 308 del 2004, sottraendo parte dei corsi d'acqua alla categoria delle
cosiddette «aree sensibili».
Al riguardo, è sufficiente rilevare che la norma è inidonea a produrre alcun
tipo di effetto sul territorio della Regione Liguria.
Conseguentemente tale censura è inammissibile per difetto di interesse al
ricorso.
7. - Del pari inammissibile, per genericità della motivazione posta a fondamento
dei prospettati profili di illegittimità costituzionale, è la censura sollevata
dalla Regione Liguria nei confronti dell'art. 91, comma 2, del d.lgs. n. 152 del
2006, in riferimento all'art. 118 Cost.
Infatti, la ricorrente si è limitata a dedurre, in relazione a tale specifico
parametro, che «non sussistono ragioni di esercizio unitario che giustifichino
la competenza statale».
Al riguardo va ribadito che, come costantemente affermato da questa Corte, «nel
giudizio di legittimità costituzionale in via principale l'esigenza di una
adeguata motivazione dell'impugnazione si pone in termini anche più pregnanti
che in quello in via incidentale (ex plurimis: sentenze n. 428, n. 120 e n. 2
del 2008; n. 430 del 2007)», cosicché «la mancata esplicitazione delle
argomentazioni, anche minime, atte a suffragare la censura proposta è causa di
inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata» (così sentenza n.
38 del 2007).
8. - Per lo stesso motivo deve essere dichiarata la inammissibilità della
censura sollevata dalla medesima Regione Liguria nei confronti del successivo
art. 96, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.
9. - Anche le questioni di legittimità costituzionale proposte dalle Regioni
Emilia-Romagna ed Umbria nei confronti del medesimo art. 96, comma 1, del d.lgs.
n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., sono inammissibili,
perché del tutto generiche.
In entrambi i casi, infatti, le ricorrenti non hanno fornito alcuna
specificazione né in ordine al motivo della dedotta illegittimità della
lamentata «sovrapposizione» della disciplina statale a quella regionale, né in
ordine alle ragioni della ipotizzata violazione del principio di sussidiarietà.
10. - Deve essere dichiarata l'inammissibilità anche delle censure sollevate nei
confronti dell'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, dalle Regioni
Emilia-Romagna, Calabria, Umbria, Abruzzo, Campania, Basilicata, in riferimento
agli artt. 117, primo e terzo comma, e 76 Cost., quest'ultimo in relazione alla
asserita violazione degli obiettivi di «miglioramento della qualità
dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e
razionale delle risorse naturali», nonché di «pianificare, programmare e attuare
interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici
superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi»; obiettivi fissati
dall'art. 1, comma 8, lettera a), e dalla lettera b) del successivo comma 9
della legge di delega n. 308 del 2004.
In particolare, ad avviso delle ricorrenti, l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n.
152 del 2006 - il quale assimila alle acque reflue domestiche gli scarichi
derivanti dalle imprese agricole, includendo in tale categoria anche quelle che
svolgono attività di trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli,
purché tale attività riguardi materia prima lavorata proveniente in misura
prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni - determinerebbe un
peggioramento del livello di protezione dell'ambiente, con particolare riguardo
alle caratteristiche di qualità delle acque del corpo recettore.
Ciò in violazione sia del riparto di competenze fra Stato e Regioni di cui
all'art. 117 Cost., sia dell'art. 76 Cost. per contrasto - oltre che con gli
«obiettivi di qualità» stabiliti a livello comunitario - con i menzionati
principi e i criteri direttivi della legge di delega n. 308 del 2004.
Al riguardo, va osservato che, con riferimento all'art. 117 Cost., le ricorrenti
si sono limitate a dedurre in maniera assertiva la lesione delle proprie
attribuzioni costituzionali, senza alcuna specifica individuazione delle
medesime.
Con riferimento all'art. 76 Cost., le singole censure si fondano su una pretesa
riduzione delle proprie attribuzioni derivante dall'ipotizzato carattere
peggiorativo, per la tutela dei corpi idrici recettori, della misura introdotta
con l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 rispetto a quella
precedentemente contemplata dall'art. 28, comma 7, lettera c), del d.lgs. 11
maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e
recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque
reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque
dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), decreto
da considerarsi indirettamente richiamato dalla legge di delega n. 308 del 2004.
Tuttavia, anche sotto questo aspetto, non risulta assolto l'onere di precisare
adeguatamente quali attribuzioni costituzionali delle Regioni, ad avviso delle
ricorrenti, risulterebbero lese dalla previsione censurata; ciò a prescindere
dall'interpretazione della norma di delega con riferimento al richiamo del
precedente decreto legislativo (sentenza n. 225 del 2009).
10.1. - Ad identiche conclusioni deve pervenirsi nei riguardi della censura
formulata dalla Regione Calabria in merito al medesimo art. 101, comma 7, per
contrasto, oltre che con gli artt. 117, terzo comma, e 76 Cost. (in relazione ai
quali valgono le medesime considerazioni appena svolte), anche con l'art. 117,
primo comma, Cost.
La Regione, infatti, si è limitata, sotto tale ultimo profilo, a dedurre
genericamente la violazione di non meglio specificati «obiettivi di qualità»
stabiliti a livello comunitario.
11. - Risultano inammissibili anche le censure prospettate dalla Regione
Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117 e 76 Cost. - quest'ultimo in
relazione all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 -, nei confronti
dell'art. 104, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
11.1. - La norma impugnata, in deroga al divieto generale di «scarico diretto
nelle acque sotterranee e nel sottosuolo» stabilito al comma 1 della medesima
disposizione, attrae al livello ministeriale la possibilità di autorizzare «lo
scarico di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unità
geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti, oppure in
unità dotate delle stesse caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto
idrocarburi, indicando le modalità dello scarico».
Ad avviso della ricorrente, tale previsione risulterebbe in contrasto con gli
artt. 76 e 117 Cost., in quanto determinerebbe una riduzione delle attribuzioni
amministrative regionali, posto che, in precedenza, ai sensi degli artt. 86-89
del d.lgs. n. 112 del 1998, il potere di autorizzare tale tipo di scarico
spettava alla Regione.
11.2. - Preliminarmente all'esame della questione, va rilevato che, nelle more
del presente giudizio, l'art. 104, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 è stato
modificato ad opera dell'art. 7, comma 6, del d.lgs. 16 marzo 2009, n. 30
(Attuazione della direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque
sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento), il quale ha restituito alle
Regioni il potere di autorizzazione dello scarico di acque risultanti
dall'estrazione di idrocarburi nelle unità del sottosuolo in cui erano presenti.
Come correttamente osservato dalla difesa regionale, nonostante la natura
satisfattiva del citato ius superveniens, non è cessata la materia del
contendere sulla questione, tenuto conto che, per la natura di dettaglio della
disposizione in esame, non può escludersi che, limitatamente al periodo della
sua vigenza, essa abbia avuto concreta applicazione.
Pertanto, questa Corte si deve pronunciare sulla formulazione dell'art. 104,
comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, antecedente alla citata modifica normativa
e vigente al momento dell'instaurazione del presente giudizio.
11.3. - Sebbene non sia intervenuta la cessazione della materia del contendere
per le ragioni innanzi precisate, tuttavia deve ritenersi che la ricorrente non
abbia interesse alla impugnazione, in quanto la norma, nella sua originaria
formulazione, ha assicurato il coinvolgimento regionale attraverso il meccanismo
dell'intesa, oltre che con il «con il Ministro delle attività produttive», anche
con le Regioni interessate.
Di qui la inammissibilità della censura per difetto di interesse.
12. - Altrettanto inammissibile è la questione sollevata dalla sola Regione
Emilia-Romagna relativamente all'art. 104, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006,
nella parte in cui prevede la possibilità di autorizzare «gli scarichi nella
stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli
inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed
inerti naturali».
In particolare, la Regione deduce, al riguardo, la violazione dell'art. 4 della
direttiva 17 dicembre 1979, n. 80/68/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la
protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze
pericolose), il quale consentirebbe agli Stati membri di autorizzare gli
scarichi consistenti nella reiniezione nella stessa falda solo «delle acque
utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave,
o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile».
A prescindere dall'omessa indicazione del parametro costituzionale che si
ritiene violato, la censura è inammissibile per l'indeterminatezza della
motivazione, in quanto la ricorrente non ha specificato quali attribuzioni
regionali verrebbero lese in dipendenza della violazione della suddetta
disciplina comunitaria.
13. - Parimenti inammissibile è la questione proposta dalla Regione Calabria nei
confronti dell'art. 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt.
114 e 118 Cost., posto che sotto entrambi i profili essa risulta motivata sulla
base di considerazioni del tutto generiche in ordine al presunto carattere
teleologico della disposizione censurata.
14. - Ancora, va esclusa la ammissibilità della questione di legittimità
costituzionale sollevata dalla Regione Puglia nei confronti del combinato
disposto degli artt. 101, comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, in
riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., in quanto la ricorrente, oltre a non
fornire alcuna specifica argomentazione in ordine alla pretesa violazione del
principio di sussidiarietà e della «valorizzazione del ruolo delle autonomie
locali», adduce a sostegno della ipotizzata lesione dell'art. 117 Cost. una
motivazione indeterminata e, con rifermento all'art. 101, comma 7, del d.lgs. n.
152 del 2006, anche intrinsecamente contraddittoria.
La Regione, invero, si duole del fatto che la legislazione statale detti livelli
di tutela ambientale meno rigorosi rispetto a quelli previgenti e al contempo ne
afferma il contrasto con la propria sfera di potestà legislativa nelle materie
del «governo del territorio» e «della tutela della salute», nelle quali, sempre
secondo la ricorrente, sarebbe consentito al legislatore regionale di introdurre
misure più rigorose di quelle statali.
La ricorrente, dunque, non si fa carico di argomentare in ordine alle ragioni
dell'asserito contrasto tra i contenuti normativi delle disposizioni impugnate
(in combinato disposto fra loro) e la affermata competenza legislativa regionale
di dettare livelli di tutela più elevati.
15. - A questo punto è possibile passare ad esaminare i profili di merito delle
rimanenti censure prospettate dalle Regioni ricorrenti.
16. - Considerato che numerose tra le questioni proposte, sollevate in
riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., risultano argomentate sulla base
della violazione dei principi e criteri direttivi fissati dall'art. 1, comma 8,
della legge n. 308 del 2004, appare opportuno, prima di esaminare i singoli
profili di censura, precisarne la portata ed il contenuto.
In particolare, il menzionato art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004
prevede, tra i criteri e principi direttivi della delega, quello per il quale «i
decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei principi e
delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni
statali, nonché delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come
definite ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo
1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le
norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto
speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di
sussidiarietà».
16.1. - Al riguardo, va ribadito che l'interpretazione della legge di delega di
cui si tratta, tenuto conto della eterogeneità delle fonti cui essa fa
riferimento, deve basarsi sul «preminente rilievo» che, tra loro, va
riconosciuto alle fonti costituzionali, rispetto al quale il richiamo alle fonti
ordinarie è da intendersi «nel senso che esso è operante nella misura in cui le
disposizioni delle suddette fonti subcostituzionali siano coerenti con il nuovo
assetto del riparto delle competenze». In tale contesto assume particolare
importanza il riferimento, contenuto nella norma delegante, al principio di
sussidiarietà, utilizzando il quale può essere considerato validamente operante
il precedente riparto delle competenze in materia di tutela dell'ambiente
risultante tanto dalla legge n. 59 del 1997, quanto dal d.lgs. n. 112 del 1998.
Ciò comporta che la valutazione di conformità a Costituzione delle nuove
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, oggetto di impugnazione regionale, deve
essere condotto, alla luce dell'insieme dei criteri direttivi della delega
legislativa (sentenze n. 225 e n. 232 del 2009).
16.2. - Dalle considerazioni che precedono discende che non è sufficiente, al
fine di ritenere illegittima una disposizione del d.lgs. n. 152 del 2006 per
contrasto con i principi enunciati dall'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del
2004, la mera deduzione dell'effetto riduttivo delle attribuzioni regionali
della disciplina posta dal d.lgs. n. 152 rispetto a quella contenuta nel d.lgs.
n. 112 del 1998, ma è necessario specificare in quale ambito il suddetto effetto
si è prodotto.
17. - Devono essere dichiarate non fondate le questioni di legittimità
costituzionale sollevate nei confronti dell'art. 91, commi 2 e 6, del d.lgs. n.
152 del 2006, dalla Regione Calabria - in riferimento agli artt. 117, 118 e 76
Cost. e al principio di leale collaborazione -, dalla Regione Toscana - in
riferimento agli artt. 117 e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione -,
dalla Regione Liguria (con riguardo al solo comma 2) - in riferimento agli artt.
5 e 76 Cost. -, dalla Regione Puglia (con riguardo al solo comma 2) - in
riferimento agli artt. 5, 76, 117, terzo comma, e 118 Cost. -, nonché dalla
Regione Marche, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.
La disposizione impugnata prevede che spetta al Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-Regioni, l'individuazione di
«ulteriori aree sensibili» (comma 2), nonché, con cadenza quadriennale, il
parallelo potere di «reidentificazione delle aree sensibili e dei rispettivi
bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento delle aree medesime» (comma
6).
Le ricorrenti deducono, in primo luogo, la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.,
nonché del principio di leale collaborazione, in quanto, posto che dalla
individuazione delle aree territoriali - che richiedono una tutela particolare
ed ulteriore - qualificate «aree sensibili», discenderebbe un'incisione diretta
sulle politiche del governo del territorio (oltre che sulla materia della tutela
della salute), le relative funzioni dovrebbero essere rimesse ad un decreto
ministeriale da adottarsi non semplicemente «sentita» la Conferenza
Stato-Regioni, bensì previa acquisizione di una vera e propria «intesa». Ciò al
fine di garantire una effettiva concertazione con la Regione nel cui ambito
territoriale tali aree sono specificamente situate.
In secondo luogo, per le ricorrenti, la disposizione impugnata violerebbe
altresì l'art. 76 Cost., per contrasto con i principi e i criteri direttivi di
cui all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, poiché realizzerebbe
un'indebita riattrazione allo Stato della competenza concernente la
individuazione delle «ulteriori aree sensibili»; funzione già trasferita alle
Regioni dall'art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 1999.
Ad avviso della Regione Liguria, inoltre, detta allocazione in capo allo Stato
«di funzioni amministrative già decentrate a livello regionale» rappresenterebbe
una «“marcia indietro” nel processo autonomistico» in violazione anche dell'art.
5 Cost.
17.1. - A parte l'evidente inconferenza del richiamo all'art. 5 Cost., deve
osservarsi, con riferimento agli altri profili di illegittimità costituzionale
dedotti, che la disposizione censurata ha assegnato un ruolo primario alla
funzione statale di individuazione delle cosiddette «aree sensibili»,
precedentemente riconosciuta solo alle Regioni sulla base del sistema normativo
delineato dai decreti legislativi n. 112 del 1998 e n. 152 del 1999.
In particolare, l'art. 80, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 112 del 1998
assegnava allo Stato compiti di «normazione generale e tecnica», nonché di
«elaborazione sistematica delle informazioni e dei dati conoscitivi raccolti
dalle pubbliche amministrazioni», mentre il successivo art. 81, comma 1,
disponeva il conferimento «alle Regioni e agli enti locali» di «tutte le
funzioni amministrative non espressamente indicate negli articoli che
precedono».
Inoltre, l'art. 18 del d.lgs. n. 152 del 1999 assegnava alle Regioni il potere
di identificazione delle aree sensibili, prescrivendo che avvenisse, «sulla base
dei criteri stabiliti nell'allegato 6» dello stesso decreto n. 152 del 1999 «e
sentita l'Autorità di bacino».
17.2. - La scelta operata con il decreto legislativo n. 152 del 2006 è stata,
invece, quella di introdurre un duplice potere di individuazione delle aree
sensibili: quello statale, disciplinato ai commi 2 e 6 della disposizione
impugnata, e quello regionale, stabilito al comma 4 del medesimo articolo,
secondo il quale «le Regioni, sulla base dei criteri di cui al comma 1 e sentita
l'Autorità di bacino, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte
terza del presente decreto, e successivamente ogni due anni, possono designare
ulteriori aree sensibili ovvero individuare all'interno delle aree indicate nel
comma 2 i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili».
17.3. - Premesso che l'ambito di intervento della norma censurata è ascrivibile
alla materia dell'ambiente, attribuita alla competenza legislativa esclusiva
dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
l'allocazione delle funzioni amministrative operata con la disposizione
impugnata risulta, invero, coerente anche con il principio di sussidiarietà.
Al riguardo, si rileva, infatti, che la funzione di individuazione delle aree
maggiormente esposte al rischio di inquinamento deve rispondere a criteri
uniformi ed omogenei, dovendo, al contempo, tener conto anche delle peculiarità
territoriali sulle quali viene ad incidere.
Sotto entrambi i profili, la disposizione impugnata offre una soluzione non
costituzionalmente illegittima, posto che la citata funzione amministrativa
statale di individuazione (da esercitarsi previa acquisizione del parere della
Conferenza Stato-Regioni) si affianca a quella delle Regioni le quali, oltre a
poter designare a propria volta «ulteriori aree sensibili» rispetto a quelle
indicate dallo Stato, possono altresì indicare, nell'ambito delle aree definite
ai sensi del comma 2, i corpi idrici che, secondo propria valutazione, non
possono rientrare in detta categoria.
Quanto al potere statale di «reidentificazione» delle aree medesime,
disciplinato al successivo comma 6, esso risulta connotato da una natura
eminentemente ricognitiva a cadenza periodica, che non comporta, pertanto,
alcuna modifica sostanziale dell'assetto allocativo delineato dai commi 2 e 4
che lo precedono.
18. - Deve essere respinta, altresì, la censura sollevata, in riferimento agli
artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla sola Regione Umbria nei confronti dell'art. 95,
comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, in base al quale è assegnato alle «Autorità
concedenti» il potere di effettuare «il censimento di tutte le utilizzazioni in
atto nel medesimo corpo idrico sulla base dei criteri adottati dal Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, previa intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano», nonché quello di procedere, «ove
necessario», alla «revisione» del censimento medesimo.
Secondo la ricorrente, la disposizione censurata avrebbe modificato la
disciplina dettata dall'art. 22, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 1999, che già
consentiva alle medesime Autorità concedenti di limitare le utilizzazioni
idriche, così violando non solo le competenze regionali (in contrasto con gli
artt. 117 e 118 Cost.), ma anche i principi di «economicità» e «semplificazione»
dettati dall'art. 1, comma 9, lettera b), della legge n. 308 del 2004, in
violazione dell'art. 76 Cost.
18.1. - In primo luogo, risulta erronea la premessa posta a base dei profili di
censura svolti con riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., secondo la quale la
materia della «tutela quantitativa della risorsa idrica e della pianificazione
dell'utilizzazione di essa» andrebbe ascritta ad una (non meglio precisata)
competenza legislativa concorrente regionale, dal momento che essa rientra
senz'altro nella materia «tutela dell'ambiente».
18.2. - In secondo luogo, anche a prescindere dalla genericità del ricorso in
ordine alla dedotta «lesione delle competenze regionali» ad opera della
disposizione impugnata, deve osservarsi, in relazione alla asserita violazione
dell'art. 76 Cost. - per contrasto con l'incipit dell'art. 1, comma 9, nonché
con la lettera b) del medesimo comma 9, della legge n. 308 del 2004 -, che la
disposizione impugnata subordina l'adozione dei criteri ministeriali in
questione ad una «previa intesa» con la Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
Conseguentemente, risulta assicurata la partecipazione del sistema delle
autonomie regionali al procedimento di elaborazione dei criteri medesimi nella
forma della codecisione paritaria.
19. - Del pari non fondate sono le censure sollevate nei confronti degli artt.
113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006.
19.1. - La prima delle disposizioni impugnate assegna alle Regioni i compiti di
«disciplinare» e/o di «attuare»: a) le «forme di controllo degli scarichi di
acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate»; b) «i
casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di
dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a
particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione». La seconda
disposizione prevede che le «Regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente
e della tutela del territorio, adottano apposita disciplina in materia di
restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi
irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonché delle acque derivanti da
sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di
idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento degli
obiettivi di qualità di cui al titolo II della parte terza del presente
decreto».
Entrambe le previsioni violerebbero, per le Regioni Emilia-Romagna e Liguria,
gli artt. 76, 117 e 118 Cost.; per la Regione Calabria, gli artt. 76 e 117 Cost.;
per le Regioni Toscana e Marche, l'art. 117 Cost..
Ad avviso delle ricorrenti, infatti, tali previsioni, pur attribuendo alle
Regioni la competenza a disciplinare le forme di controllo degli scarichi in
questione, subordinerebbero il relativo procedimento normativo ad un «parere»
del Ministro.
19.2. - Invero - nonostante la formulazione ambigua delle norme in questione,
nelle quali vengono indistintamente accomunate funzioni normative e
amministrative - non può essere condivisa la tesi prospettata dalle ricorrenti e
fatta oggetto delle censure, secondo cui la competenza normativa attribuita alle
Regioni risulterebbe, in entrambi i casi, illegittimamente condizionata al
previo parere del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.
Sulla base del canone dell'interpretazione conforme a Costituzione, infatti, non
solo non può essere riconosciuta natura vincolante al parere in argomento, ma,
soprattutto, esso deve intendersi riferito alla sola funzione amministrativa e
non già anche a quella normativa.
19.3. - In considerazione della natura non vincolante del parere, infine, deve
escludersi che la norma censurata determini alcuna sostanziale riduzione del
potere amministrativo ad esso condizionato, con conseguente infondatezza anche
delle questioni proposte in relazione a profili di illegittimità attinenti alla
violazione degli artt. 118 e 76 Cost.
20. - Restano da esaminare le questioni di legittimità costituzionale
concernenti gli artt. 96, comma 1, e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, tutte
incentrate, prevalentemente, sul ruolo rivestito dall'Autorità di bacino
territorialmente competente nell'ambito dei procedimenti amministrativi
rispettivamente regolati dalle disposizioni impugnate e sulla asserita
illegittimità di esso in riferimento sia all'art. 76 Cost. (per contrasto sia
con gli obiettivi di semplificazione posti dall'art. 1, comma 9, lettera b,
della legge n. 308 del 2004, e con quelli di mantenimento delle attribuzioni
regionali già delegate dal d.lgs. n. 112 del 1998) sia, più in generale, per
violazione del riparto di competenze stabilito dall'art. 117 Cost., nonché dei
principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Le questioni non sono fondate.
20.1. - In particolare, quanto al citato art. 96, comma 1, le Regioni Umbria,
Emilia-Romagna e Liguria lamentano che la previsione determinerebbe un aggravio
del procedimento di concessione di acqua pubblica, perché subordina il rilascio
della concessione al parere vincolante della Autorità di bacino (organo, oggi,
di natura statale in quanto privo di alcuna rappresentanza regionale), così
menomando il potere già spettante alle Regioni ai sensi degli artt. 86-89 del
d.lgs. n. 112 del 1998, in violazione dell' att. 76.
20.2. - Sul punto, occorre richiamare quanto già affermato da questa Corte con
la sentenza n. 232 del 2009, secondo cui «se è vero […] che le competenze di
tale nuovo organismo possono indirettamente avere conseguenze su ambiti
materiali di competenza concorrente (come il governo del territorio), è anche
vero che il coinvolgimento delle Regioni è assicurato» da quanto previsto
dall'art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006, in base al quale è necessaria «la
partecipazione dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome il cui
territorio è interessato dal distretto idrografico di cui di volta in volta si
tratta, alla Conferenza istituzionale permanente (art. 63, comma 4), principale
organo dell'Autorità di bacino, che assomma le vaste competenze elencate nel
comma 5 dello stesso art. 63».
Inoltre, la redistribuzione delle competenze amministrative operata dalla norma
impugnata risulta coerente, per i motivi già illustrati (supra, paragrafo n.
16.1.), con l'attuazione dei criteri direttivi della legge di delega n. 308 del
2004.
Non sussiste, pertanto, la denunziata violazione dell'art. 76 Cost.
20.3. - Quanto all'art. 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, le Regioni Toscana e
Marche lamentano che tale norma, pur attribuendo loro la competenza a
predisporre i «programmi di misure» - ossia di quelle misure reputate necessarie
per la tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico -, subordinandone
l'efficacia alla approvazione alla Autorità di bacino medesima (non
sufficientemente rappresentativa degli interessi regionali), di fatto
affiderebbe il vero potere decisionale in ordine ad esse a detto organo, in
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
20.4. - Si osserva, al riguardo, che la normativa impugnata consente, in
effetti, allo Stato di concorrere, attraverso il parere delle Autorità di bacino
al quale la Regione si deve conformare, alla determinazione di scelte fortemente
incidenti sul «governo del territorio», e, più in generale, sulle politiche del
territorio, di competenza regionale.
Tale previsione, nondimeno, per gli stessi motivi evidenziati in relazione
all'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006 e coerentemente con quanto già affermato
da questa Corte con la sentenza n. 232 del 2009, non risulta in contrasto né con
i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, né con il riparto di
competenze fra Stato e Regioni.
Infatti, occorre considerare che i programmi di misure di tutela dei corpi
idrici integrano i più ampi piani di tutela delle acque, ponendosi con essi in
un rapporto di stretto collegamento.
La previsione della sottoposizione di detti programmi ad una approvazione da
parte dell'Autorità di bacino, dunque, risponde alla duplice necessità di
demandare ad un organo idoneo - per struttura e composizione - a valutare la
coerenza del quadro complessivo dell'attività di programmazione derivante dai
concorrenti strumenti di pianificazione in materia di tutela delle acque, nonché
di assicurare una adeguata partecipazione, al relativo procedimento di
formazione, delle Regioni nel cui territorio debbono essere attuate le misure di
tutela in questione.
21. - Deve dichiararsi, infine, non luogo a provvedere sulle istanze di
sospensione avanzate, rispettivamente, dalla Regione Puglia, nei confronti degli
artt. 91, 101, comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, e dalla Regione
Abruzzo, nei confronti del solo art. 101, comma 7, del medesimo decreto
legislativo, essendo stato deciso il merito dei ricorsi.
Quanto alla istanza di sospensione in via cautelare proposta dalla Regione
Emilia-Romagna, questa Corte si è già pronunciata con ordinanza di non luogo a
provvedere n. 245 del 2006.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse in via principale nei confronti del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) dalle Regioni Emilia-Romagna,
Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche,
Basilicata con i ricorsi indicati in epigrafe;
1) dichiara inammissibili gli interventi della Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus (nei giudizi promossi dalle
Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia,
Campania, Marche e Basilicata con i ricorsi indicati in epigrafe), della
Biomasse Italia S.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche - SICET
S.r.l., della Ital Green Energy S.r.l e della E.T.A. Energie Tecnologie Ambiente
S.p.a. (nel giudizio promosso dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in
epigrafe);
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
91, commi 2 e 6, 96, 104, comma 3, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs.
n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 2, 5, 76, 97, 114, 117,
118, 119, 120 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
91, comma 1, lettera d), 91 comma 2, e 96, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006,
proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Liguria,
con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
96, comma 1, 101, comma 7, e 104, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006,
proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione
Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
96, comma 1, e 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in
riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso
indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
101, comma 7, e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli
artt. 76, 114, 117, primo e terzo comma, e 118 Cost., dalla Regione Calabria,
con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art.
101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76
e 117 Cost., dalle Regioni Umbria, Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
8) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.
101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento all'art. 76
Cost., dalla Regione Basilicata, con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
101, comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli
artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., dalla Regione Puglia, con il ricorso
indicato in epigrafe;
10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.
91, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 5,
76, 117 e 118 Cost., dalle Regioni Liguria e Puglia, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
11) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.
91, commi 2 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt.
76, 117 e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni
Calabria, Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
12) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
95, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 76,
117 e 118 Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;
13) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.
96, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento all'art. 76
Cost., dalle Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Liguria, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
14) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in
riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna,
Liguria, Calabria, Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
15) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.
116 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117 e 118
Cost. e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Toscana e Marche,
con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 16 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.
Il Cancelliere
F.to: MILANA
Allegato:
ordinanza letta all'udienza del 5 maggio 2009
ORDINANZA
Considerato che il presente giudizio
di costituzionalità delle leggi, promosso in via di azione, è configurato come
svolgentesi esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, in
quanto avente ad oggetto questioni di competenza normativa, fermi restando, per
i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni
soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed
eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (sentenze nn.
405 del 2008 e 469 del 2005).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento
spiegato nei giudizi indicati in epigrafe dalla Associazione Italiana per il
World Wide Fund for Nature - ONLUS e da Biomasse Italia S.p.a., Società Italiana
Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l., Ital Green Energy S.r.l. ed E.T.A.
Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a.
F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente
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