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CORTE COSTITUZIONALE - 29 ottobre 2009, n. 290
URBANISTICA ED EDILIZIA - Regione Marche - Articolo unico L.r. n. 11/2008 -
Interpretazione autentica della L.r. n. 23/2004 - Vincoli ex art. 32, c. 27,
lett. d), L. n. 269/2003 - Vincolo relativo - Interventi condonabili -
Ampliamento dei limiti applicativi della sanatoria - Governo del territorio -
Illegittimità costituzionale. L’articolo unico della legge regionale delle
Marche n. 11 del 2008, tramite una asserita “interpretazione autentica”
dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 23 del 2004,
stabilisce che i vincoli previsti dall'art. 32, comma 27, lettera d), del
decreto-legge n. 269 del 2003 hanno effetto impediente, solo se “comportino
inedificabilità assoluta”: in tal modo il legislatore regionale intende rendere
condonabili gli interventi in area vincolata ai sensi della citata norma statale
quando il vincolo abbia carattere meramente relativo. E’ già stato riconosciuto
che “solo alla legge statale compete l'individuazione della portata massima del
condono edilizio straordinario” (sentenza n. 70 del 2005; sentenza n. 196 del
2004), sicché la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti
applicativi della sanatoria eccede la competenza concorrente della Regione in
tema di governo del territorio, di cui al terzo comma dell'art. 117 della
Costituzione. Va pertanto dichiarata la illegittimità costituzionale, per
violazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio,
limitatamente alle parole “ed all'articolo 32, comma 27, lettera d), della legge
24 novembre 2003, n. 326 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell'andamento dei conti pubblici)”. Pres. Amirante, Est.De Siervo -
Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Marche - CORTE
COSTITUZIONALE - 6 novembre 2009, n. 290
SENTENZA N. 272
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell'articolo 1 (recte: unico), della legge della Regione Marche
27 maggio 2008, n. 11 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge
regionale 29 ottobre 2004, n. 23 “Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi”),
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4 e
il 6 agosto 2008, depositato in cancelleria il 12 agosto 2008 ed iscritto al n.
44 del registro ricorsi 2008.
Visto l'atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio
dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 4 agosto 2008 e depositato il successivo 12
agosto (reg. ric. n. 44 del 2008) il Presidente del Consiglio dei ministri ha
sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione
Marche 27 maggio 2008, n. 11 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della
legge regionale 29 ottobre 2004, n. 23 “Norme sulla sanatoria degli abusi
edilizi”), in riferimento agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettere
l) e s), della Costituzione, nonché alla violazione di “norme statali di
principio”.
La legge impugnata si compone di una sola disposizione, recante “interpretazione
autentica” dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 29
ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi), con cui le
Marche hanno esercitato la propria potestà legislativa in relazione alla
disciplina del c.d. condono edilizio previsto dall'art. 32 del decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e a seguito della sentenza n. 196 del 2004
di questa Corte.
In particolare, l'art. 2, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 23 del
2004 vieta di sanare opere abusive rientranti nelle tipologie indicate
dall'Allegato I al decreto-legge n. 269 del 2003 quando esse siano in contrasto
con i vincoli comportanti inedificabilità di cui all'art. 33 della legge 28
febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e di
cui all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003,
imposti prima della realizzazione delle opere.
La disposizione impugnata stabilisce che tale ultima previsione normativa deve
essere interpretata nel senso che i vincoli di cui all'art. 33 della legge n. 47
del 1985 ed all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003
impediscono la sanatoria delle opere abusive solo qualora comportino
inedificabilità assoluta e siano imposti prima delle esecuzione delle opere.
2. – Con la prima censura il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 117,
primo comma e secondo comma, lettera l), della Costituzione, poiché la
disposizione impugnata, pur formalmente indirizzata ad interpretare una norma
regionale, in realtà pretenderebbe di imporre un'interpretazione della normativa
statale di cui all'art. 33 della legge n. 47 del 1985 e di cui all'art. 32,
comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003. Invece, il potere di
interpretare autenticamente una disposizione normativa spetterebbe al solo
“soggetto cui risale la disposizione interpretata”.
La Regione, esorbitando dalle proprie competenze, avrebbe così anche violato “il
limite territoriale”, consentendo che la medesima norma statale possa
diversamente venire interpretata da Regione a Regione.
Con la seconda censura il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione, e delle norme statali di
principio concernenti la materia, poiché la disposizione impugnata avrebbe leso
la esclusiva competenza statale in materia di tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali e avrebbe ecceduto i limiti della
competenza regionale.
L'Avvocatura premette che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, non
compete alle Regioni la rimozione dei limiti di ampiezza del condono edilizio
individuati dal legislatore statale, anche con riguardo alla tipologia di opere
abusive non suscettibili di sanatoria: la disposizione impugnata avrebbe,
invece, l'effetto di “rendere inapplicabili, nel territorio della Regione”
l'insieme dei divieti di sanatoria previsti dall'art. 32, comma 27, lettera d),
del decreto-legge n. 269 del 2003, con riguardo “ai vincoli di inedificabilità
diversi da quelli assoluti”, compromettendo il livello di tutela delle aree
vincolate approntato dal legislatore nazionale; sarebbe pertanto “evidente,
oltre la violazione di norme statali di principio, l'invasione della sfera di
potestà legislativa esclusiva statale”.
Né sarebbe richiamabile, in senso contrario, quanto deciso da questa Corte con
la sentenza n. 49 del 2006, relativa all'art. 3, comma 1, della legge della
Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di
illeciti edilizi), posto che tale ultima disposizione non è stata ritenuta
costituzionalmente illegittima, secondo l'Avvocatura, in quanto, diversamente
dalla legge della Regione Marche oggetto di ricorso, si sarebbe limitata a
ribadire il divieto di sanatoria per i casi di inedificabilità assoluta, senza
escludere le ulteriori ipotesi previste dalla legislazione statale.
3. – Si è costituita in giudizio la Regione Marche, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato infondato.
La Regione osserva, quanto alla censura relativa all'art. 117, primo comma e
secondo comma, lettera l), della Costituzione, che la disposizione impugnata,
espressiva della competenza regionale in materia di governo del territorio,
recherebbe l'interpretazione autentica non già della normativa statale, ma di
quella regionale concernente i limiti della sanatoria, affinché la legislazione
regionale “non possa essere interpretata in maniera difforme dalle stesse norme
statali nella opzione ermeneutica ivi espressamente prevista”.
In altri termini, la norma censurata non avrebbe l'effetto di vanificare i
limiti alla sanatoria imposti dalla normativa statale, ma si limiterebbe a
precisare, in pieno accordo con la legislazione nazionale, che “non si può
prescindere dai vincoli imposti dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985 che
esclude dalla sanatoria le opere abusive in contrasto con i vincoli che
comportino inedificabilità assoluta”, escludendo invece il carattere impediente
dei vincoli che non comportino tale inedificabilità.
Ciò, peraltro, non equivarrebbe ad ammettere la condonabilità dell'opera in ogni
altro caso, poiché l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 23
del 2004 esclude comunque la sanatoria, quando essa non abbia conseguito il
parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo nei casi e nei
limiti di cui all'art. 32 della legge n. 47 del 1985, oppure quando non sia
stata accordata la disponibilità di concessione onerosa dell'area di proprietà
dello Stato o degli enti pubblici territoriali.
Risolutiva sarebbe, in tal senso, la sentenza n. 49 del 2006 di questa Corte,
che avrebbe escluso l'illegittimità costituzionale di disposizione analoga a
quella oggi impugnata, ovvero dell'art. 3, comma 1, della legge della Regione
Lombardia n. 31 del 2004: a seguito di tale sentenza, anche la giurisprudenza
amministrativa, a parere della difesa regionale, avrebbe circoscritto il divieto
di sanatoria in area vincolata alla sola ricorrenza di un vincolo di
inedificabilità assoluta, purché anteriore alla realizzazione dell'opera.
Venendo poi alla censura relativa all'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, la Regione Marche contesta che la disciplina del condono edilizio
abbia attinenza con la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela
dell'ambiente: in ogni caso, la disposizione censurata “non ha come presupposto
(tanto meno come risultato) il fine di ampliare la portata della sanabilità
degli abusi edilizi nelle aree sottoposte a vincolo, ma non fa altro che
attenersi” a quanto già disposto dalla normativa statale in materia: tale
previsione sarebbe poi corrispondente a quanto stabilito da altre normative
regionali.
4. – In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Marche ha depositato
memoria, chiedendo che il ricorso sia dichiarato in parte inammissibile ed in
parte infondato.
La Regione prende atto che con la sentenza n. 54 del 2009 e con l'ordinanza n.
150 del 2009 questa Corte avrebbe riconosciuto che la normativa regionale non ha
il “potere di vanificare” i vincoli presidiati dall'art. 32, comma 27, lettera
d), del decreto-legge n. 269 del 2003, quand'anche non comportanti
inedificabilità assoluta.
Ciò, a parere della difesa regionale, non può peraltro comportare
l'illegittimità costituzionale della norma impugnata con riferimento ai vincoli
tutelati dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985, poiché essi non sarebbero
oggetto di ricorso. Se, invece, si ritenesse che la censura investe anche tale
parte della disposizione impugnata, essa sarebbe in ogni caso del tutto carente
di motivazione e dovrebbe ritenersi pertanto inammissibile.
La Regione aggiunge che la norma impugnata deve comunque ritenersi, quanto ai
vincoli di cui all'art. 33 della legge n. 47 del 1985, del tutto conforme alla
disciplina statale, giacché essi, in forza di quest'ultima, già rileverebbero
solo se implicanti inedificabilità assoluta.
Venendo alle censure svolte dal ricorrente con riguardo ai vincoli di cui
all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, la Regione
eccepisce anzitutto l'inammissibilità della doglianza basata sull'art. 117,
primo e secondo comma, lettera l), della Costituzione, per una duplice ragione.
Anzitutto, tali parametri non sarebbero indicati nella relazione del Ministro
per i rapporti con le Regioni, cui rinvia la delibera governativa che ha
autorizzato la proposizione del ricorso. In secondo luogo, il ricorso avrebbe
omesso ogni motivazione in ordine alle ragioni per cui l'art. 117, primo comma,
Cost. debba ritenersi violato e avrebbe altresì omesso di indicare quale titolo
di competenza statale, tra quelli individuati dall'art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. sia posto a fondamento della censura e per quali motivi.
Parimenti inammissibile dovrebbe ritenersi la censura basata sulla violazione di
“norme statali di principio”, giacché il ricorrente non provvede a precisare a
quale materia di propria competenza tali norme dovrebbero venire ascritte.
Infine, quanto alla censura fondata sull'art. 117, secondo comma, lettera s),
della Costituzione, la Regione Marche ritiene, sulla base sia della relazione
ministeriale sopra richiamata, sia del ricorso, che essa debba ritenersi
circoscritta alla competenza esclusiva statale in materia di “beni culturali e
paesaggistici”, questi ultimi da individuarsi sulla base dell'art. 134 del
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai
sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), con esclusione della più
ampia competenza in materia di tutela dell'ambiente. Ne conseguirebbe che
un'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata
potrebbe riguardare i soli vincoli concernenti i beni paesistici, con
esclusione, invece, dei vincoli relativi agli interessi idrogeologici e delle
falde acquifere, nonché ai parchi e alle aree protette.
Né sarebbe consentita una dichiarazione di illegittimità costituzionale in via
consequenziale con riguardo a questi ultimi, poiché “una volta che la norma
legislativa impugnata sia stata dichiarata incostituzionale per violazione di un
determinato parametro (…) non è in alcun modo possibile l'applicazione della
illegittimità consequenziale a norme che si pongono in contrasto con parametri
diversi”.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di
legittimità costituzionale della legge della Regione Marche 27 maggio 2008, n.
11 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge regionale 29 ottobre
2004, n. 23 “Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi”), in riferimento agli
artt. 117, primo comma e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione,
nonché alla violazione di “norme statali di principio”.
La legge impugnata si compone di una sola disposizione, recante “interpretazione
autentica” dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 29
ottobre 2004, n. 23, con la quale la Regione ha esercitato la propria potestà
legislativa in relazione alla disciplina del c.d. condono edilizio previsto
dall'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, ed a seguito della sentenza
n. 196 del 2004 di questa Corte.
La disposizione impugnata stabilisce che l'art. 2, comma 1, lettera a), della
legge regionale n. 23 del 2004 deve essere interpretato nel senso che i vincoli
di cui all'art. 33 della legge n. 47 del 1985 ed all'art. 32, comma 27, lettera
d), del decreto-legge n. 269 del 2003 impediscono la sanatoria delle opere
abusive solo qualora comportino inedificabilità assoluta e siano imposti prima
delle esecuzione delle opere.
2. – Con una prima censura, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 117,
primo comma e secondo comma, lettera l), Cost., poiché la disposizione censurata
pretenderebbe di interpretare autenticamente la normativa statale recata
dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985 e dall'art. 32, comma 27, lettera d)
della legge n. 326 del 2003 (recte: dall'art. 32, comma 27, lettera d), del
decreto-legge n. 269 del 2003).
La Regione Marche ha eccepito l'inammissibilità di tale doglianza, anzitutto
perché il ricorso non specificherebbe minimamente sotto quale profilo verrebbero
lesi i parametri costituzionali sopra enunciati, ed inoltre perché la relazione
ministeriale allegata alla delibera con cui il Consiglio dei ministri ha
autorizzato la proposizione del ricorso menziona il solo art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione.
2.1. – Entrambe le eccezioni di inammissibilità non sono fondate.
Quanto alla mancata corrispondenza tra i parametri costituzionali selezionati
dalla relazione ministeriale e quelli posti dall'Avvocatura generale dello Stato
a fondamento del ricorso, va premesso che proprio siffatta relazione denuncia
l'illegittimo carattere interpretativo che caratterizzerebbe la disposizione
regionale impugnata, allorché afferma che “l'interpretazione di disposizioni
statali può essere disposta solo ad opera di leggi statali”.
Se pertanto non vi sono dubbi sulla chiarezza di tale rilievo di
costituzionalità e sulla sua motivazione essenziale, va rammentato che la
giurisprudenza di questa Corte ha più volte riconosciuto all'Avvocatura generale
dello Stato una larga autonomia tecnica nella più puntuale indicazione dei
parametri del giudizio, dal momento “che la delibera governativa di impugnazione
della legge e l'allegata relazione ministeriale a cui si faccia rinvio devono
contenere l'indicazione delle disposizioni impugnate e la ragione
dell'impugnazione medesima, seppur anche solo in termini generali”, mentre
eventualmente spetta all'Avvocatura generale dello Stato la più puntuale
indicazione dei parametri del giudizio, giacché la discrezionalità della difesa
tecnica ben può integrare una solo parziale individuazione dei motivi di censura
(sentenze n. 365 e n. 98 del 2007,
e n. 533 del 2002).
La univocità della censura è tale da poter escludere la sussistenza
dell'ulteriore profilo di inammissibilità denunciato dalla Regione, con riguardo
alla motivazione, che si assume mancare, in ordine alla pertinenza dei parametri
invocati. Infatti, una volta acclarato che il ricorso ha ben individuato il
nucleo essenziale della censura, su cui si può esercitare il diritto di difesa
della parte resistente, l'eventuale inconferenza dei parametri costituzionali
ritualmente indicati, rispetto al contenuto sostanziale della doglianza,
costituisce non già motivo di inammissibilità, ma piuttosto di infondatezza.
2.2. – Nel merito, la questione non è fondata.
In primo luogo, la censura si basa sull'erroneo presupposto per il quale oggetto
dell'interpretazione autentica del legislatore regionale sarebbero norme
statali, quando invece la disposizione censurata espressamente incide su una
precedente norma regionale, che pur rinvia a disposizioni di leggi statali. È
evidente, perciò, che non queste ultime, ma la prima sia stata interpretata
autenticamente dalla disposizione impugnata.
Altro è chiedersi, invece, se per tale via la Regione abbia ecceduto i limiti
della propria competenza legislativa: infatti, come precisato da questa Corte
con la sentenza n. 232 del 2006, la potestà di interpretazione autentica spetta
a chi sia titolare della funzione legislativa nella materia cui la norma è
riconducibile, sicché la via per negare la competenza regionale di natura
interpretativa dovrebbe consistere nell'individuare siffatta materia e nel
contestare che la disciplina legislativa di essa spetti alla Regione.
Sotto questo profilo, palesemente inconferente è dunque il richiamo che il
ricorrente opera agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettera l), Cost.
3. – Con una seconda censura, la parte ricorrente lamenta che la disposizione
impugnata, nell'attribuire rilievo impediente della sanatoria ai soli vincoli
previsti dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003
che comportino inedificabilità assoluta, si sarebbe posta in contrasto con le
“norme statali di principio” che disciplinano la materia e con la competenza
esclusiva attribuita allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Va premesso che, come correttamente posto in rilievo dalla difesa regionale,
tale doglianza, diversamente dalla prima, si intende circoscritta alla sola
previsione normativa, recata dalla disposizione impugnata, concernente i vincoli
di cui all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003,
posto che nessun argomento viene impiegato in ricorso per contestare, sotto tale
profilo, la legittimità costituzionale della previsione concernente invece la
natura dei vincoli previsti dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985.
Ciò detto, secondo la Regione Marche occorrerebbe delimitare ulteriormente la
censura ai soli vincoli, tra quelli indicati dal precitato art. 32, comma 27,
lettera d), relativi ai “beni culturali e paesaggistici”, posto che su di essi
soltanto si incentrerebbe il ricorso.
In senso contrario si può agevolmente osservare che, nel contesto logico del
ricorso e della stessa delibera ministeriale, l'indicazione della competenza in
tema di beni “paesaggistici” (espressione che, non a caso, non appartiene alla
lettera dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.) abbia il più generale
significato di richiamare la competenza statale in materia di tutela
dell'ambiente, come è confermato dal titolo del paragrafo 2 del ricorso, ove si
fa espresso riferimento alla tutela ambientale.
Il motivo della distinzione operata dalla Regione è perciò insussistente, con
l'effetto che la legittimità costituzionale della disposizione impugnata va
apprezzata con riguardo all'intero contenuto precettivo della normativa statale
cui essa indirettamente rinvia.
Il parametro con il quale misurare tale legittimità è costituito, anzitutto,
dall'art. 117, terzo comma, Cost. in punto di “governo del territorio”, invocato
dal ricorrente per mezzo del richiamo alle “norme statali di principio” che
disciplinano la materia del condono edilizio.
In senso contrario, la difesa regionale eccepisce la inammissibilità della
censura poiché nella relazione ministeriale allegata alla delibera del Consiglio
dei ministri che ha autorizzato la proposizione del ricorso e nel ricorso stesso
dell'Avvocatura generale sarebbe assente “qualsiasi indicazione circa il titolo
di competenza legislativa statale che dovrebbe consentire a tali norme di
principio di imporsi come limite al legislatore regionale”.
Peraltro, fermo quanto precisato in precedenza in ordine all'autonomia tecnica
dell'Avvocatura nel selezionare i motivi di ricorso, non sussiste dubbio che le
norme statali di principio asseritamente derogate siano quelle deducibili dalla
normativa del c.d. condono edilizio approvato con il decreto-legge n. 269 del
2003, e dalla normativa di cui al decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191 (Interventi
urgenti per il contenimento della spesa pubblica), adottato a seguito della
sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte: ma se non è dubitabile – come
riconosce la stessa difesa regionale – che la fondamentale materia nella quale
opera il suddetto condono sia il “governo del territorio”, appare evidente che a
questa sono da riferire le “norme statali di principio” che si asseriscono
violate dal rinnovato esercizio del potere legislativo regionale.
L'eccezione di inammissibilità va pertanto respinta.
4. – La norma oggetto di ricorso, tramite una asserita “interpretazione
autentica” dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 23 del
2004, stabilisce che i vincoli previsti dall'art. 32, comma 27, lettera d), del
decreto-legge n. 269 del 2003 hanno effetto impediente, solo se “comportino
inedificabilità assoluta”; l'ulteriore riferimento alla necessità che essi siano
imposti prima dell'esecuzione delle opere è conforme a quanto affermato dallo
stesso art. 32, comma 27, lettera d): in tal modo il legislatore regionale
intende rendere condonabili gli interventi in area vincolata ai sensi della
citata norma statale quando il vincolo abbia carattere meramente relativo.
Questa Corte ha già riconosciuto che “solo alla legge statale compete
l'individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario”
(sentenza n. 70 del 2005; sentenza n. 196 del 2004), sicché la legge regionale
che abbia per effetto di ampliare i limiti applicativi della sanatoria eccede la
competenza concorrente della Regione in tema di governo del territorio.
Nello specifico, disposizioni regionali analoghe a quella oggetto del presente
giudizio sono già state reputate costituzionalmente illegittime (sentenza n. 54
del 2009), ovvero si sono sottratte alla declaratoria di illegittimità
costituzionale solo in quanto ritenute in via interpretativa compatibili con i
vincoli di inedificabilità relativa salvaguardati dall'art. 32, comma 27,
lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 (sentenza n. 49 del 2006).
Infatti, è pacifico che la normativa statale più volte richiamata imponga
l'osservanza di vincoli di carattere relativo, cui il legislatore regionale non
può apportare alcuna deroga (ordinanza n. 150 del 2009): al contrario, la
disposizione censurata ha l'effetto inequivocabile di vanificare siffatti limiti
ed incorre per tale ragione nel denunciato vizio di legittimità costituzionale.
Va pertanto dichiarata la illegittimità costituzionale, per violazione dei
principi fondamentali in materia di governo del territorio, di cui al terzo
comma dell'art. 117 della Costituzione, dell'articolo 1 (recte: unico) della
legge regionale delle Marche n. 11 del 2008, limitatamente alle parole “ed
all'articolo 32, comma 27, lettera d), della legge 24 novembre 2003, n. 326
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici)”.
5. – Resta assorbita la censura prospettata in riferimento all'art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità
costituzionale dell'articolo 1 (recte: unico) della legge della Regione Marche
27 maggio 2008, n. 11 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge
regionale 29 ottobre 2004, n. 23 “Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi”),
limitatamente alle parole “ed all'articolo 32, comma 27, lettera d), della legge
24 novembre 2003, n. 326 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell'andamento dei conti pubblici)”;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1
(recte: unico) della legge della Regione Marche 27 maggio 2008, n. 11, sollevata
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe, in
riferimento agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettera l), della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 2 novembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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