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TAR CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 30 aprile 2009, n. 381


ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni ambientaliste - Art. 13 L. n. 349/1986 - Legittimazione ad agire in giudizio - Concetto di beni o valori ambientali - Diverse accezioni di ambiente. Nell’ottica dell’art.13 della legge n.349 del 1986, la legittimazione ad agire in giudizio delle associazioni ambientaliste riconosciute con decreto del Ministero dell’Ambiente, per far valere interessi diffusi, sussiste quando l’interesse all’ambiente assume qualificazione normativa nei limiti tracciati positivamente dalla legge n. 349/86, ovvero da altre fonti legislative, intese ad identificare beni ambientali in senso giuridico: il concetto di “beni ambientali o valori ambientali”, pur in mancanza di specifiche indicazioni da parte della legislazione statale e regionale, viene riferito sia a quello di “ambiente”, quale risulta dalla disciplina relativa al paesaggio (oggetto della tutela conservativa), che a quello di “ambiente” preso in considerazione dalle norme poste a protezione contro fattori aggressivi (difesa del suolo, dell’aria, dell’acqua) ed anche a quello di “ambiente”, oggetto di disciplina urbanistica e di tutela del territorio. L’elemento unificante di tutte queste elaborazioni consiste nel fatto che l’ambiente, in senso giuridico, va considerato come un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori, quali flora, fauna, suolo, acqua, etc.., si distingue ontologicamente da questi in quanto si identifica in una realtà priva di consistenza materiale. (Fattispecie relativa all’impugnazione del “piano spiaggia” comunale). Pres. Mastrocola, Est. Anastasi - F.A.I. e altro (avv. Altilia) c. Comune di Sant'Andrea Apostolo dello Ionio (avv. Calabretta) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 30/04/2009, n. 381
 

ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni ambientaliste - Legittimazione ad agire in giudizio - Disciplina urbanistica - Art. 310, c. 1 d.lgs. n. 152/2006. L’indirizzo giurisprudenziale più restrittivo (Cons. Stato sez. IV, 9.11.2004 n. 7246) che considerava eccezionale la legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste, risulta attualmente superato in conseguenza della nuova disposizione introdotta al riguardo dall’art. 310 comma 1 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (“Norme in materia ambientale”). Ed invero, in base alla precitata disposizione, la legittimazione ad agire, anche con riferimento alla problematica sulla proponibilità delle singole censure, va valutata secondo i principi generali, per cui vanno ritenute ammissibili tutte le censure astrattamente proponibili, purché siano funzionali al soddisfacimento di uno specifico interesse ambientale, mentre non possono essere ritenute ammissibili le censure il cui accoglimento comporti l’annullamento di una parte scindibile dello strumento urbanistico, ove non sia stato evidenziato, in ricorso, un interesse ambientale connesso all’eliminazione di detta parte della disciplina urbanistica. Pres. Mastrocola, Est. Anastasi - F.A.I. e altro (avv. Altilia) c. Comune di Sant'Andrea Apostolo dello Ionio (avv. Calabretta) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 30/04/2009, n. 381

 

ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni ambientaliste - Atti d’indirizzo o di programmazione - Interesse processuale al ricorso - Contrasto con gli interessi ambientali. Nei confronti degli atti amministrativi d'indirizzo e/o di programmazione non si ravvisa, di regola, un interesse processuale al ricorso, in quanto in questo tipo di atti difetta, per sua natura, di un'immediata capacità lesiva di situazioni giuridiche soggettive. Tuttavia, quando ad agire sono associazioni ambientali per la tutela di un interesse “diffuso” e di un bene complessivamente determinato, la peculiarità dell’azione intrapresa impone la verifica in astratto di un denunziato contrasto fra un determinato criterio prescrittivo e l’interesse alla tutela di uno specifico interesse ambientale, rivolto alla cura ed alla conservazione del paesaggio o di un determinato “habitat” naturale. Non può, infatti, escludersi in astratto che le censure proposte avverso i criteri enunciati dall’atto di indirizzo comunale non siano espressamente volte a dimostrare la loro potenzialità lesiva del valore ambiente e paesaggio dei territori presi in considerazione. Pres. Mastrocola, Est. Anastasi - F.A.I. e altro (avv. Altilia) c. Comune di Sant'Andrea Apostolo dello Ionio (avv. Calabretta) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 30/04/2009, n. 381

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 00381/2009 REG.SEN.
N. 00453/2008 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 453 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da
“F.A.I.- Fondo per l’Ambiente Italiano”, in persona del Direttore Generale, nonché dell’associazione ambientalista “Italia Nostra”, in persona del Presidente in carica, entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Giovanna Altilia, con domicilio eletto presso Giovanna Altilia, in Catanzaro, via San Brunone di Colonia, n.13/A;
 

contro
 

Comune di Sant'Andrea Apostolo dello Ionio, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Gerardo Andrea Calabretta, con domicilio eletto presso Gerardo Andrea Calabretta, in S.Andrea Apostolo dello Ionio, via Cassiodoro, n. 66;
 

per l'annullamento
 

- della delibera di C.C. n. 05 del 21 febbraio 2008, adottata dal Comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, con la quale sono state approvate le “Linee Guida” (con relativa relazione tecnica), per la redazione del Piano Comunale Spiaggia nonché di ogni altro atto connesso, presupposto, prodromico e consequenziale, ivi compreso, per quanto di ragione, il Piano Regolatore del Comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio e per il risarcimento dei danni patrimoniali;

-e con i motivi aggiunti notificati il 30.6.2008 e depositati il 1.7.2008: della delibera di C.C. n. 15 del 12.6.2008, con la quale è stato adottato il Piano Comunale di Spiaggia del Comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, nonché della delibera n. 5 del 21 febbraio 2008, adottata dal Comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, con la quale sono state approvate le “Linee Guida” (con relativa relazione tecnica ) per la redazione del Piano Comunale di Spiaggia e di ogni altro atto connesso, presupposto, prodromico e consequenziale per il risarcimento dei danni patiti e “patienti”.

Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sant'Andrea Apostolo dello Ionio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del giorno 27/02/2009, il cons. Concetta Anastasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 

FATTO
 

Con atto notificato in data 22.4.2008 e depositato in data 7.5.2008, le ricorrenti associazioni premettevano che il Comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio aveva approvato le “Linee Guida”, intese a determinare i criteri generali cui sarebbe dovuto essere improntato il “Piano Comunale di Spiaggia”, di imminente redazione.

A sostegno del proprio ricorso, deducevano:

-violazione di legge art. 9 Cost.- violazione e falsa applicazione artt.2,3,6,7,134, 136, 142 del D. Lgs. N.42/2004. Violazione e falsa applicazione artt. 6 e 12 L. R. n. 17/2005- violazione e falsa applicazione L. 1150/1942- Eccesso di potere- sviamento di potere- cattivo esercizio del potere- violazione Accordo di Programma Quadro Regionale- contraddittorietà fra atti della stessa amministrazione -omessa istruttoria- difetto di motivazione.

Secondo le esponenti associazioni ambientali, i criteri predisposti per la redazione del “Piano Comunale di Spiaggia” non sarebbero del tutto coerenti con le esigenze di tutela ambientale, garantite dall’art. 9 della Costituzione, in relazione ad un’area di particolare pregio paesaggistico, compresa fra il Fosso Cupido ed il Torrente Alaca, per oltre 500 ettari di territorio e circa km.3 di costa, peraltro interessata dal un parallelo procedimento, finalizzato al riconoscimento di “ zona protetta” , ai sensi della legge regionale 14.7.2003 n. 10.

In particolare, lamentavano che, con le “Linee Guida” approvate, sarebbero stati individuati parametri e zonizzazioni del territorio che, prescindendo dalla naturale vocazione degli stessi, si verrebbero a risolvere in un malcelato tentativo di operare una illegittima variante al piano regolatore generale.

Ed infatti, la costruzione indiscriminata di parcheggi, rotatorie, stabilimenti balneari, provocherebbero un grave pregiudizio per l’equilibrio floro-faunistico dell’area in oggetto, mentre il progetto di ampliamento della cosiddetta “strada borbonica”, a ridosso di un’area agricola, esorbiterebbe le finalità di cui all’art. 12 della legge regionale n. 17 del 2005 e finirebbe, in sostanza nel risolversi in un vero e proprio “escamotage” per introdurre, nella sostanza, una variante al piano regolatore generale, evitando l’intervento della Regione, in violazione delle disposizioni di cui alla legge n. 1150 del 1942.

Concludevano per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.

Con atto depositato in data 15.5.2008, si costituiva il Comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonioe, in via preliminare, eccepiva l’inammissibilità del ricorso, innanzi tutto per difetto di legittimazione attiva in capo alle ricorrenti associazioni ambientalistiche, poichè, a suo avviso, nella specie, agirebbero avverso una delibera avente carattere prettamente urbanistico, che, ai sensi dell’art. 12 della legge regionale 21.12.2005 n. 17 , avrebbe le finalità di regolamentare l’assetto urbanistico delle aree ricadenti nel demanio marittimo nonchè uno sviluppo turistico ecosostenibile .

Sotto altro aspetto, l’inammissibilità del ricorso discenderebbe dalla sua interposizione avverso un atto avente natura di indirizzo politico, non immediatamente lesivo di interessi giuridicamente protetti.

In fatto, precisava che il territorio costiero del Comune era stato suddiviso in tre settori, dei quali -esclusi il “settore A” (già oggetto di insediamenti e di parziale urbanizzazione, suscettibile di poter essere riqualificato soltanto mediante interventi di scarsa incidenza) ed il “settore C” (di maggiore estensione, destinato a riserva naturale)- soltanto il “settore B”, di minore estensione e destinato sostanzialmente a balneazione, sarebbe interessato dall’odierna impugnativa.

Nel merito, insisteva nel dimostrare che gli interventi previsti sarebbero finalizzati alla migliore fruibilità del bene-paesaggio, che verrebbe così valorizzato e, controdeduceva, in particolare, alle doglianze svolte dalle ricorrenti associazioni, evidenziando, in particolare, che la P.A. non potrebbe introdurre alcuna variante al Piano Regolatore Generale mediante l’adozione del “piano comunale di spiaggia”, poiché la zona interessata, costituendo area ricadente nel “demanio marittimo”, non sarebbe contemplata dal Piano Regolatore, come erroneamente ritenuto dalle ricorrenti che assumevano fosse destinata a “zona agricola”.

Infine, rilevava che il beneficio di €. 1.075.000,00 di cui all’Accordo di Programma Quadro non sarebbe finalizzato alla salvaguardia delle coste, ma sarebbe stato concesso nell’ambito del progetto di “Tutela e risanamento ambientale per il territorio della Regione Calabria”, ai fini della bonifica delle aree demaniali riguardanti i fiumi “Alaca” e “Salubro”.

Dopo aver altresì evidenziato che il provvedimento impugnato sarebbe stato assunto a seguito di congrua istruttoria -di cui, a suo avviso, si darebbe atto in sede di preambolo- concludeva per il rigetto del ricorso, con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese.

Con memoria depositata in data 21.5.2008, le ricorrenti replicavano alle eccezioni ed alle tesi svolte dal Comune di S. Andrea Apostolo dello Jonio.

Con motivi aggiunti notificati in data 30.6.2008 e depositati in data 1.7.2008, le ricorrenti associazioni impugnavano la delibera di adozione del Piano Spiaggia del Comune di S. Andrea Apostolo dello Jonio, riproponendo, sostanzialmente, gli stessi profili di censura già svolti con il ricorso introduttivo del giudizio.

Le ricorrenti associazioni ribadivano infatti, che, al di là delle mere enunciazioni di principio, il piano spiaggia non tutelerebbe adeguatamente il bene ambiente, non prevedrebbe l’impiego di materiali ecocompatibili e prevedrebbe degli interventi in area integralmente protetta, nel “Vallone Bruno”, nonché i cosiddetti “spazi verdi attrezzati”, in un’area verde altamente pregiata .

Con atto depositato in data 9 luglio 2008, il Comune intimato deduceva la carenza di interesse attuale da parte delle associazioni ricorrenti ad impugnare la delibera di adozione del Piano Spiaggia, che costituirebbe un atto non definitivo, in quanto ancora soggetto all’approvazione finale da parte della Provincia, ai sensi dell’art. 17 della l.r. n. 17 del 2005.

Nel merito, dopo aver ancora contestato le tesi svolte ex adverso, precisava altresì che i fondi stanziati dalla Regione Calabria sarebbero finalizzati alla tutela ed al risanamento ambientale in relazione alla bonifica dei fiumi Alaca a Salubro, sulla base di un progetto approvato con delibera di G.C. n. 58 del 26.9.2007, poi modificato a seguito di una proposta di realizzazione di un sistema di videosorveglianza, e, infine, a seguito della riunione del 25.2.2008, modificato con un progetto definitivo rimodulato ed approvato con la delibera di G.C. n. 39 del 12.6.2008, allegata in atti.

Inoltre, rilevava in fatto che l’indicata istanza del Sindaco del 3.5.2007, intesa a chiedere l’istituzione di un’area protetta, non sarebbe stata ratificata, come risulterebbe dall’allegata delibera di C.C. n.10/2008.

Concludeva per il rigetto anche dei motivi aggiunti, con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese.

Con memoria depositata in data 16.2.2009, il Comune insisteva nelle già prese conclusioni.

Alla pubblica udienza del 27 febbraio 2009, il ricorso passava in decisione.
 

DIRITTO
 

1. Con il ricorso principale, viene impugnata la delibera di C.C. n. 05 del 21 febbraio 2008, adottata dal Comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, con la quale sono state approvate le “Linee Guida” (con relativa relazione tecnica), per la redazione del Piano Comunale Spiaggia.

1.2. La difesa del Comune resistente eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione da parte delle ricorrenti associazioni ad impugnare un atto avente natura e finalità sostanzialmente urbanistiche.

Com’è noto, il problema della legittimazione di organismi esponenziali delle varie componenti sociali all’impugnativa di provvedimenti lesivi dell’interesse alla conservazione dei valori ambientali è stato oggetto di intervento legislativo al momento della istituzione del Ministero dell’Ambiente, con la legge 8 luglio 1986 n. 349, il cui art. 18 prevede che le Associazioni, individuate ai sensi del precedente art.13, possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.

Pertanto, nell’ottica dell’art.13 della precitata legge n.349 del 1986, la legittimazione ad agire in giudizio delle associazioni ambientaliste riconosciute con decreto del Ministero dell’Ambiente, per far valere interessi diffusi, sussiste quando l’interesse all’ambiente assume qualificazione normativa nei limiti tracciati positivamente dalla legge n. 349/86, ovvero da altre fonti legislative, intese ad identificare beni ambientali in senso giuridico.

Il concetto di “beni ambientali o valori ambientali” alla cui salvaguardia sono legittimate le Associazioni, pur in mancanza di specifiche indicazioni da parte della legislazione statale e regionale, viene riferito sia a quello di “ambiente”, quale risulta dalla disciplina relativa al paesaggio (oggetto della tutela conservativa), che a quello di “ambiente” preso in considerazione dalle norme poste a protezione contro fattori aggressivi (difesa del suolo, dell’aria, dell’acqua) ed anche a quello di “ambiente”, oggetto di disciplina urbanistica e di tutela del territorio.

L’elemento unificante di tutte queste elaborazioni consiste nel fatto che l’ambiente, in senso giuridico, va considerato come un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori, quali flora, fauna, suolo, acqua, etc.., si distingue ontologicamente da questi in quanto si identifica in una realtà priva di consistenza materiale.

Alla nozione di ambiente come complesso di cose che racchiude un valore collettivo costituente specifico oggetto di tutela si riferisce, in sostanza, anche l’art. 1, comma II°, della legge n. 349 del 1986 che individua le finalità attribuite all’istituito Ministero dell’Ambiente nell’assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento, ma già in precedenza, con il con il D.P.R. 616 del 1977, il legislatore, nel tentare una definizione della materia inerente la disciplina dell’uso del territorio, comprensiva della protezione dell’ambiente, ha enunciato, sia pure in via esemplificativa, il dato indiscutibile, secondo cui sul territorio insistono più interessi, tra cui quello ambientale.

Secondo un pregresso orientamento giurisprudenziale, la legittimazione attribuita dagli artt.13 e 18 della legge n.349 del 1986 alle associazioni ambientaliste non potrebbe giustificare l’impugnazione di atti avente valenza meramente urbanistica, senza che ne sia dimostrata, in concreto, la contestuale incidenza negativa su valori ambientali, per cui dovrebbe essere esclusa con riferimento ad “atti che rivelino una connotazione esclusivamente urbanistica, essendo volti soltanto ad un’utilizzazione del territorio, senza diretti riflessi sui valori ambientali” (Cons. Stato, sent. n.3878/2001), trattandosi, pur sempre, di una “legittimazione eccezionale”, che come tale, dovrebbe essere delimitata entro i perimetri fissati dalla legge, che non tollererebbe alcuna estensione in altri settori dove non si rinvenga il "danno ambientale" richiesto, come presupposto, dal comma 5 dell'art.18.

In altri termini, si ammette la legittimazione ad agire delle associazioni ambientali contro atti amministrativi a contenuto urbanistico-edilizio soltanto in riferimento alle censure con valenza ambientali”( Cons. Stato sez. IV, 9.11.2004 n. 7246).

Secondo un diverso orientamento, invece, vi sarebbe una “inscindibilità” tra la materia urbanistica e quella ambientale, per cui la suddivisione tra ambiente ed urbanistica verrebbe a risolversi, in sostanza, in un “equivoco culturale ancor prima che giuridico” (T.A.R. Veneto, Sez. III, 28.10.2002 n. 6118), che non tollererebbe un criterio tradizionale di riparto di competenze mediante un approccio che ne ignora le peculiarità: in primis quella di essere una specie di contenitore nel cui ambito è dato ritrovare i più vari beni tutelabili dall’ordinamento, essendo evidente, infatti, che con lo strumento urbanistico si possa e debba tutelare anche il bene ambiente o paesaggio.

Ad avviso del Collegio, l’indirizzo giurisprudenziale più restrittivo (Cons. Stato sez. IV, 9.11.2004 n. 7246) che considerava eccezionale la legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste, risulta attualmente superato in conseguenza della nuova disposizione introdotta al riguardo dall’art. 310 comma 1 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (“Norme in materia ambientale”), che così recita:

“I soggetti di cui all'articolo 309, comma 1, [Le regioni, le province autonome e gli enti locali, anche associati, nonché le persone fisiche o giuridiche] sono legittimati ad agire, secondo i principi generali, per l'annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale”.

Ed invero, in base alla precitata disposizione, la legittimazione ad agire, anche con riferimento alla problematica sulla proponibilità delle singole censure, va valutata secondo i principi generali, per cui vanno ritenute ammissibili tutte le censure astrattamente proponibili, purché siano funzionali al soddisfacimento di uno specifico interesse ambientale, mentre non possono essere ritenute ammissibili le censure il cui accoglimento comporti l’annullamento di una parte scindibile dello strumento urbanistico, ove non sia stato evidenziato, in ricorso, un interesse ambientale connesso all’eliminazione di detta parte della disciplina urbanistica.

Ciò premesso, nella specie, anche a voler applicare i criteri più restrittivi, elaborati dalla risalente giurisprudenza per l’ammissibilità della legittimazione attiva delle associazioni ambientaliste, si deve ritenere l’ammissibilità della presente impugnativa, posto che il complesso unico motivo di censura si rivolge nei confronti di un intervento che, in tesi, viene ritenuto lesivo e compressivo del bene ambientale, inteso nella sua integralità, stante la denunciata aggressione alla spiaggia ed alla vegetazione circostante, senza che possa valere ad escluderla il rilievo secondo cui le autorità legislativamente preposte alla tutela del bene ambientale non abbiano adottato provvedimenti di vincolo sui territori oggetto della pianificazione, in quanto la legittimazione come sopra definita ha proprio lo scopo non tanto di ampliare la platea dei soggetti titolari di interesse alla censura dell’atto amministrativo “ex parte subiecti”, quanto quello di consentire, “ex parte obiecti”, una più ampia tutela del bene ambientale, anche laddove le autorità preposte alla sua protezione non siano capaci di garantirla.

Del resto, il “piano di spiaggia” costituisce, in sostanza, una sorta di strumento urbanistico attuativo, con cui l’ente locale si propone non tanto di disciplinare l’attività di normale utilizzazione edificatoria del territorio comunale, quanto piuttosto gli usi compatibili e consentiti dei tratti di spiaggia e, quindi, di demanio marittimo ricadenti nel proprio territorio.

Pertanto, l’eccezione di difetto di legittimazione ad agire, sollevata dalla parte resistente, va respinta nei sensi sopra precisati.

1.3. La difesa del Comune di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio deduce altresì l’inammissibilità della presente impugnativa avverso la delibera di C.C. n. 5 del 21.2.2008, in quanto interposta avverso un atto di indirizzo politico di carattere generale, come tale insuscettibile di determinare lesioni concrete di interessi.

Com’è noto, l'impugnativa richiede la sussistenza dell'interesse al ricorso, quale condizione dell'azione, che s'incardina in capo al soggetto titolare della posizione sostanziale solo quando l'atto da gravare lede immediatamente la sua posizione giuridica, cosicchè, dall'azione giudiziaria, fruttuosamente intrapresa, il ricorrente possa ricavarne un vantaggio concreto ed immediato.

Nei confronti degli atti amministrativi d'indirizzo e/o di programmazione non si ravvisa, di regola, un interesse processuale al ricorso, in quanto in questo tipo di atti difetta, per sua natura, di un'immediata capacità lesiva di situazioni giuridiche soggettive: tale sembra la delibera di C.C. n. 5 del 2008, corredata dal una relazione, impugnata nel caso in esame, che si limita a prescrivere ai propri uffici i criteri generali per la redazione del piano di spiaggia, senza prendere in considerazione, direttamente o indirettamente, un bene individuato in modo preciso e concreto, appartenente a soggetto determinato o, comunque, determinabile, ma riferendosi, magari, a luoghi individuati per grandi linee.

Tuttavia, poiché nel caso di specie, ad agire sono associazioni ambientali per la tutela di un interesse “diffuso” e di un bene complessivamente determinato, la peculiarità dell’azione intrapresa impone la verifica in astratto di un denunziato contrasto fra un determinato criterio prescrittivo e l’interesse alla tutela di uno specifico interesse ambientale, rivolto alla cura ed alla conservazione del paesaggio o di un determinato “habitat” naturale.

E nella specie, in astratto, non può escludersi che le censure proposte avverso i criteri enunciati dall’atto di indirizzo comunale non siano espressamente volte a dimostrare la loro potenzialità lesiva del valore ambiente e paesaggio dei territori presi in considerazione, come meglio si vedrà in sede di disamina nel merito delle questioni.

Pertanto, avuto riguardo alla peculiare natura dell’interesse “diffuso” dedotto in giudizio, l’eccezione va rigettata.

1.4. Con l’unico motivo, le esponenti associazioni ambientali deducono che i criteri predisposti per la redazione del “Piano Comunale di Spiaggia” non sarebbero del tutto coerenti con le esigenze di tutela ambientale, garantite dall’art. 9 della Costituzione, in relazione ad un’area di particolare pregio paesaggistico, compresa fra il Fosso Cupido ed il Torrente Alaca, per oltre 500 ettari di territorio e circa km.3 di costa, peraltro interessata dal un parallelo procedimento, finalizzato al riconoscimento di “ zona protetta” , ai sensi della legge regionale 14.7.2003 n. 10.

In particolare, lamentano che, con le “Linee Guida” approvate, sarebbero stati individuati para-metri e zonizzazioni del territorio che, prescindendo dalla naturale vocazione degli stessi, si verrebbero a risolvere in un malcelato tentativo di operare una illegittima variante al piano regolatore generale.

Ed infatti, la costruzione indiscriminata di parcheggi, rotatorie, stabilimenti balneari, provocherebbero un grave pregiudizio per l’equilibrio floro-faunistico dell’area in oggetto, mentre il progetto di ampliamento della cosiddetta “strada borbonica”, a ridosso di un’area agricola, esorbiterebbe le finalità di cui all’art. 12 della legge regionale n. 17 del 2005 e finirebbe, in sostanza nel risolversi in un vero e proprio “escamotage” per introdurre, nella sostanza, una variante al piano regolatore generale, evitando l’intervento della Regione, in violazione delle disposizioni di cui alla legge n. 1150 del 1942.

Com'è noto, con riferimento agli strumenti generali di pianificazione, trova applicazione il comma 2 dell'art.3 della legge 7.8.1990 n. 241, che esclude dall'obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale (nel cui novero rientra lo strumento urbanistico generale).

Coerentemente, si è affermato che: a) le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione del piano costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (cfr. ex plurimis, Cons. St. IV, n. 2639/00; n. 664/02; n. 121/99); b) le scelte discrezionali dell'amministrazione non necessitano di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico- discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso (cfr. Cons. Stato, AP. , n. 24/99; IV Sez., n. 2639/00; n. 245/00; n. 1943/99; n. 887/95), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni(Cons. St., Sez. VI n. 173/02; Sez. VI n. 6917/02; Sez. IV n. 2899/02).

Nella specie, oggetto di pianificazione sono le aree facenti parte del lido del mare e della spiaggia, riconducibili alla categoria dei beni demaniali, ai sensi dell’art 822 c.c., riservati all’uso pubblico, e, in particolare, ai cosiddetti “usi del mare”, che comprendono la balneazione, il godimento dello “habitat marino” e delle bellezze naturali in genere, quale proiezione del diritto di usufruire di una gradevole qualità della vita, in qualche modo espressione del diritto alla salute, tutelato ai sensi dell’art 32 della Cost..

L’utilità che dal godimento dell’ambiente che ciascuna persona può ritrarre, non tanto di natura economica, quanto di natura ”spirituale ed estetica” (Corte di Cass., Sez. II 6.2.1962 n. 266) rende quanto mai necessaria l’introduzione di una tutela, nella duplice direzione della conservazione del bene -come riaffermazione della sua intangibilità- nonché della garanzia del godimento pieno ed incondizionato a favore dei singoli componenti della collettività, non solo come “uti cives”, ma addirittura come “uti homine” , a non utilizzare strutture offerte da terzi, che intendono ritrarre utilità economiche dall’offerta dei vari servizi.

Nella specie, dall’esame dell’atto impugnato, considerati i contenuti molto generali delle sue previsioni, non emergono, nel complesso, macroscopiche illogicità ed irrazionalità o previsioni in contrasto con disposizioni normative programmatiche o direttamente cogenti né con le finalità ed i limiti posti dalla legge regionale n. 17 del 2005, che costituisce il più specifico parametro normativo di riferimento.

Un punto molto delicato, nell’ottica complessiva del provvedimento impugnato, è quello in cui, con riferimento al “settore B”, si dispone: “appare opportuno creare due poli dove concentrare l’urbanizzazione: uno nella zona immediatamente a nord del Fosso Cupido e l’altro in corrispondenza della foce del Vallone Bruno. In entrambi è necessario individuare aree a parcheggio, spazi a verde per verde attrezzato e per lo sport. Inoltre è indispensabile realizzare la strada di collegamento viario tra i due poli sull’attuale pista di collegamento con aree a parcheggio lungo il suo sviluppo, per come previsto anche dall’art. 6, comma 2 b della l.r. 17/2005 : in tali aree sarà possibile realizzare punti di ristoro a piccole dimensioni (chiosco bar)”.

Ed invero, in sede esecutiva, occorrerà determinare in modo molto rigoroso i limiti dell’urbanizzazione possibile alla foce del Vallone Bruno, tenendo conto delle fasce di rispetto, della naturale vocazione dell’area nonché di tutti i vincoli ed i limiti derivanti dalla legislazione di riferimento, in modo da cercare di armonizzare al massimo la composizione dei contrapposti interessi coinvolti, tenendo sempre conto che le opere da realizzare non devono mai in concreto esorbitare la loro esclusiva funzione di migliorare e potenziare la fruibilità delle coste ed il godimento da parte della collettività, nel rispetto del fondamentale bene dell’ambiente (art.9 Cost.), direttamente connesso con il bene della salute (art. 32 Cost.): il che, in concreto, presuppone l’impiego di materiali ecocompatibili, la rigorosa valutazione dell’impatto ambientale delle opere sotto svariati profili (visivo, acustico, estetico, etc..), un adeguato rapporto fra spiagge libere e spiagge da assegnare in concessione -che, in ipotesi potrebbe anche superare il limite minimo imposto dalla legge regionale n. 17 del 2005- senza mai accordare prevalenza all’interesse economico dei privati rispetto a questi beni fondamentali per la collettività.

Appare, inoltre, particolarmente delicato il previsto ampliamento della “strada borbonica”: in relazione a tale questione, le doglianze svolte non risultano particolarmente corredate di elementi e dati certi, in ordine all’entità ed alle caratteristiche di tale previsto ampliamento, che, comunque, trattandosi di un bene storico, va sempre tutelato, a prescindere dall’esistenza o meno di un apposito vincolo e non può essere oggetto di interventi tali da stravolgerne le caratteristiche costruttive e la sua armonizzazione con i paesaggi in cui si snoda.

Conseguentemente, siffatto intervento non può non aver luogo tenendo conto delle eventuali prescrizioni del P.I.R. in materia nonché della sua compatibilità con le previsioni dello strumento urbanistico generale, senza che possa, in alcun caso, risolversi in un “escamotage” per dar luogo ad una non consentita “variante essenziale” al piano regolatore generale vigente, eludendo l’intervento della Regione, come temuto dalle associazioni ricorrenti.

Ed infatti, l’ampliamento di una strada non può essere considerato “sic et simpliciter” un intervento sussumibile nelle previsioni di cui all’art.6 comma 1, lettera f, della legge regionale n. 17 del 2005, che prevede “l'obbligo per i Comuni, in sede di adozione del Piano di cui al successivo articolo 12, di assicurare gli accessi al mare, la presenza di servizi minimi sia sulle aree in concessione che su quelle libere, la realizzazione dei percorsi di cui al successivo articolo 15, comma 2”.

Ciò posto, ritiene, comunque, il Collegio che le censure svolte, non particolarmente supportate da dati certi e specifici, non possono essere accolte.

In conclusione, il ricorso si appalesa infondato.

2.1. La difesa del Comune resistente deduce l’inammissibilità dell’impugnativa svolta con motivi aggiunti avverso la delibera di C.C. n. 15 del 12.6.2008 di adozione del piano spiaggia, in quanto interposta avverso un atto avente natura endoprocedimentale, ancora da sottoporre all’approvazione da parte della Provincia.

L’art. 13 della legge regionale Calabria 21.12.2005 n. 17, con i commi I° e II°, stabilisce:

“1. Il Consiglio comunale, previo parere non vincolante delle organizzazioni sindacali di categoria più rappresentantive a livello regionale, entro il termine perentorio di 90 giorni dalla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dei PIR, provvede, nell'ambito della pianificazione urbanistica del proprio territorio ed in piena coerenza con il PIR, all'adozione o all'adeguamento, se già provvisti, del PCS e relativo regolamento di attuazione.

2. L'Amministrazione provinciale competente territorialmente approva il PCS, previa verifica della rispondenza con gli obiettivi e gli indirizzi dei PIR.”.

Il successivo art. 14 , in tema di “Norme di salvaguardia”, stabilisce:

“1. Dalla data di entrata in vigore dei PIR e fino all'entrata in vigore del PCS, formato ed adeguato secondo le prescrizioni ed indicazioni dei PIR, non possono essere rilasciate nuove concessioni ed il Sindaco è tenuto a sospendere ogni determinazione sulle domande di rinnovo delle concessioni esistenti in contrasto con le previsioni e prescrizioni dello stesso PIR.

2. Per quanto non disposto dalla presente norma si osservano le norme contenute nel Codice della navigazione e relativo regolamento di esecuzione.”

Dall’esame delle precitate disposizioni normative, emerge che lo strumento di pianificazione territoriale previsto, chiamato “piano comunale di spiaggia”, è assoggettato ad uno schema di formazione, in qualche modo improntato sul modulo procedimentale stabilito per la formazione del piano regolatore in generale: infatti esso risulta costituito da un “provvedimento complesso”, nel quale confluiscono l’atto di adozione da parte del Comune e l’atto finale di approvazione da parte di un ente locale sovraordinato (nella specie: la Provincia in luogo della Regione), con la previsione di “misure di salvaguardia”, nelle more del procedimento.

Conseguentemente, si può richiamare, nel caso di specie, l’orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento alla formazione del piano regolatore generale, che è anch’esso un atto complesso, formato dalla volontà di due amministrazioni (nella specie il Comune competente ad adottarlo e la Provincia competente ad approvarlo), dalla cui mera adozione scaturiscono effetti giuridici vincolanti per i terzi (misure di salvaguardia per il piano regolatore e per il piano di spiaggia).

In particolare, è stato precisato che, avendo l'atto di adozione del piano regolatore effetti autonomi ed immediati rispetto all'atto di approvazione, che costituisce un atto formalmente e sostanzialmente nuovo rispetto al piano adottato, i due atti possono essere impugnati autonomamente e distintamente, con la conseguenza che la mancata impugnazione dell’atto di adozione non comporta preclusione o decadenza del diritto di ricorso avverso il piano approvato e che la mancata impugnazione del piano approvato non comporta cessazione di interesse al ricorso già proposto avverso l’atto di adozione (a meno che l'atto di approvazione non comporti modifiche delle prescrizioni e previsioni impugnate, il che non risulta, nella fattispecie, essersi verificato).

Pertanto, l’eccezione va rigettata.

2.2. Nel merito, avendo le associazioni ricorrenti proposto le identiche doglianze già svolte con il ricorso principale, si possono anche in questa sede richiamare le medesime considerazioni già svolte in sede di disamina delle censure svolte con il ricorso principale.

Pertanto, anche questa impugnativa non può essere accolta.

3. Va altresì rigettata la domanda di risarcimento danni, peraltro proposta in modo molto generico ed in carenza di alcun elemento probatorio di supporto.

In conclusione, sia il ricorso che i motivi aggiunti si appalesano infondati e vanno rigettati.

Considerato che le doglianze svolte, se adeguatamente sviluppate e specificate nel merito delle questioni, potrebbero tradursi in validi apporti collaborativi in sede di approvazione del piano spiaggia, appare opportuno disporre l’integrale compensazione delle spese e degli onorari del presente giudizio.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Catanzaro - Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso d cui in epigrafe, lo rigetta.

Rigetta anche i motivi aggiunti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 27/02/2009 con l'intervento dei Magistrati:

Cesare Mastrocola, Presidente

Concetta Anastasi, Consigliere, Estensore

Giovanni Ruiu, Primo Referendario

IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/04/2009

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO



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