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TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. IV - 23 aprile 2009, n. 2135


URBANISTICA ED EDILIZIA - Regione Campania - L.R. n. 15/2000 - Recupero abitativo dei sottotetti - Altezza media interna di m 2,40 - Altezza della parete minima non inferiore a m 1,40 - Interpretazione. Ai sensi della L.R. Campania n. 15/2000, come modificata dalla L. R. 28 novembre 2001, n. 19, è possibile procedere al recupero abitativo dei sottotetti, esistenti alla data della entrata in vigore delle legge, a condizione che l'edificio sia destinato in tutto o in parte alla residenza; che l'edificio in cui è ubicato il sottotetto sia stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, sia stato preventivamente sanato; e che il sottotetto abbia un'altezza media interna non inferiore a m. 2,40. In caso di soffitto non orizzontale, fermo restando le predette altezze medie, l’altezza della parete minima non può essere inferiore a metri 1,40. Il requisito dell’altezza minima media interna, fissato nella legge regionale in m. 2,40, non è un prerequisito necessariamente immanente nello status quo ante dell’immobile interessato dall’intervento, ma è una condizione di progetto, vale a dire un risultato che deve essere sussistere in esito all’intervento stesso e che può realizzarsi - come prevede lo stesso art. 3, comma 2 della legge regionale in esame - con l’abbassamento della quota dell’ultimo solaio; l’altezza di m. 1,40 non rappresenta la misura inderogabile della parete minima, ma il minimo inderogabile della altezza della parete interna, di tal che tale altezza ben può assumere altre misure oltre a quella minima, convenzionalmente fissata dal legislatore, purchè ad essa superiori. Pres. Nappi, Est. Perna - G. s.p.a. (avv.ti Allodi e Starace) c. Comune di Napoli. T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. IV - 23/04/2009, n. 2135
 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 02135/2009 REG.SEN.
N. 03576/2008 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
(Sezione Quarta)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 3576 del 2008, proposto da:
Geco S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Allodi e Aldo Starace, con domicilio eletto presso Aldo Starace in Napoli, Riviera di Chiaia, n. 207;
 

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,
 

con il ricorso principale: della disposizione dirigenziale n. 247 del 30 aprile 2008 del Comune di Napoli, recante diniego del permesso di costruire in relazione alla richiesta presentata dalla società il 14 novembre 2007 per il recupero abitativo di un sottotetto di un immobile sito in Napoli al corso Garibaldi n. 240; di tutti gli atti antecedenti, preordinati e connessi, ivi compresi il parere della Commissione edilizia espresso nella seduta del 7.2.2008 e la proposta di provvedimento del responsabile del procedimento del 24.4.2008;

con i motivi aggiunti depositati il 7 ottobre 2008: della nota del 3 dicembre 2007, a firma del tecnico che ha condotto l’istruttoria, in cui si afferma che “….considerando il calcolo con superficie e volume delimitata dal punto minimo con altezza 1,40 si determina un’altezza media di circa mt. 2.32”; della nota n. 369 del 1° febbraio 2008, a firma del Responsabile del procedimento, secondo cui “ai fini del calcolo dell’altezza media interna (che deve essere non inferiore a m. 2,40), gli spazi di altezza inferiore a m. 1,40 non vanno computati”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti i motivi aggiunti depositati dalla ricorrente in data 7 ottobre 2008;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28/01/2009 il I Referendario dott.ssa Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 

FATTO
 

Con il ricorso in epigrafe veniva impugnata, chiedendone l’annullamento siccome illegittima, la disposizione dirigenziale n. 247 del 30 aprile 2008 con cui il Comune di Napoli rigettava la domanda di permesso di costruire per il recupero abitativo di un sottotetto di un immobile sito in Napoli al Corso Garibaldi n. 240, impugnando altresì tutti gli atti presupposti, compresi il parere della Commissione edilizia espresso nella seduta del 7 febbraio 2008 e la proposta del Responsabile del procedimento del 24 aprile 2008.

Le opere oggetto della controversia consistevano, specificamente, nella creazione di sette unità abitative all’interno del sottotetto dell’immobile, previo abbassamento della quota dell’ultimo solaio, onde raggiungere il requisito dell’altezza minima media interna del sottotetto, di cui all’art. 3 della l.r. n. 15 del 28 novembre 2000.

Questi i motivi dedotti con il gravame:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 quinquies e 21 nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241; violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 21 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380; violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 della legge regionale n. 19 del 28 novembre 2001;

2. violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. c), della legge regionale n. 15 del 28 novembre 2000; motivazione falsa ed erronea; difetto di istruttoria e dei presupposti; travisamento; violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost.; contraddittorietà; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis della legge 241/90; violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380; violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge regionale n. 19 del 28 novembre 2001.

Si costituiva in giudizio per resistere al ricorso l’Amministrazione intimata, chiedendone il rigetto nel merito siccome infondato.

Con motivi aggiunti del 7 ottobre 2008, venivano successivamente impugnate:

- la nota del 3 dicembre 2007, a firma del tecnico che aveva condotto l’istruttoria, in cui si afferma che “….considerando il calcolo con superficie e volume delimitata dal punto minimo con altezza 1,40 si determina un’altezza media di circa mt. 2.32”; - la nota n. 369 del 1° febbraio 2008, a firma del Responsabile del procedimento, secondo cui “ai fini del calcolo dell’altezza media interna (che deve essere non inferiore a m. 2,40), gli spazi di altezza inferiore a m. 1,40 non vanno computati”.

La ricorrente deduceva i seguenti vizi, con l’unico articolato motivo:

- violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge regionale n. 15 del 28 novembre 2000; istruttoria carente e perplessa; contraddittorietà; illogicità manifesta; motivazione falsa ed erronea; eccesso di potere per difetto dei presupposti; travisamento.

All’Udienza del 28 gennaio 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
 

DIRITTO
 

Si prescinde dall’esame delle pur pregevoli censure, di ordine formale e procedimentale, dedotte con il primo motivo di ricorso, per concentrare la disamina sulle questioni, di evidente rilievo sostanziale e di manifesta fondatezza, agitate con il secondo mezzo e, in modo più specifico, con i motivi aggiunti, che per ragioni di connessione logica il Collegio tratterà congiuntamente.

Osserva preliminarmente il Collegio che la richiesta di permesso di costruire avanzata dalla GECO era finalizzata al recupero abitativo di un sottotetto, ai sensi della legge regionale n. 15/2000, con la creazione di sette unità abitative all’interno di esso, previo abbassamento della quota dell’ultimo solaio, come espressamente consentito dal comma 2 dell’art. 3 della legge regionale, al fine di raggiungere il requisito dell’altezza minima media interna del sottotetto, fissata in metri 2,40 dal comma 1, lett. c) dello stesso art. 3.

Orbene, a dire della ricorrente, l’intervento previsto - di abbassamento della quota dell’ultimo solaio - mirava proprio a consentire il raggiungimento dell’altezza minima media interna del sottotetto, che non poteva essere inferiore a m. 2,40, e tale condizione risultava rispettata per tutte le unità abitative da realizzare all’interno del sottotetto, l’altezza interna risultando sempre pari (per l’unità abitativa n. 3) o superiore (per le altre sei unità abitative) a m. 2,40, calcolata secondo i parametri indicati nell’art. 3 comma 1 lett. c) della l.r. n. 15/2000 (“ dividendo il volume interno lordo per la superficie interna lorda”).

Pertanto, con il secondo mezzo l’odierna deducente avversa, sia quanto concisamente affermato dall’Amministrazione nell’atto gravato, secondo cui l’intervento non è autorizzabile in quanto l’altezza media interna risulta inferiore alla minima stabilita dalla stessa legge regionale in m. 2,40, sia quanto espresso dalla Commissione edilizia nella seduta del 7 febbraio 2008, che aveva espresso “parere contrario in quanto l’intervento è in contrasto con l’art. 3, comma c) della legge regionale n. 15/2000, e difatti nel progetto l’altezza minima viene portata in alcuni casi da m. 1,06 a m. 1,80 per ottenere il minimo della media dell’altezza pari a m. 2,40”.

Con riferimento a tale ultimo profilo, poi, deduce la ricorrente che il requisito dell’altezza minima media interna non è un requisito che deve preesistere all’intervento di recupero ma, viceversa, è una condizione di progetto che può essere raggiunta, ad esempio, con l’abbassamento della quota di solaio, come appunto previsto nel progetto allegato dalla società alla richiesta di permesso di costruire.

Con i motivi aggiunti, successivamente spiegati, vengono impugnate le note dell’Amministrazione intimata del 3 dicembre 2007 e del 1° febbraio 2008, le quali pervengono a determinare l’altezza media interna del sottotetto considerando il volume e la superficie a partire da un’altezza della parete minima pari a m. 1,40.

A tal proposito, la parte ricorrente richiama il disposto dell’art. 3, comma 2, della l.r. n. 15/2000, per il quale “in caso di soffitto non orizzontale, fermo restando le predette altezze medie, l’altezza della parete minima non può essere inferiore a metri 1,40...”; deduce che l’altezza di m. 1,40 non rappresenta la misura inderogabile della parete minima, ai fini dell’assentibilità del progetto di recupero di un sottotetto, bensì soltanto la misura minima che la parete può avere; ne inferisce che la parete minima possa avere anche un’altezza diversa rispetto a metri 1,40 purché superiore; conclude nel senso dell’avvenuto rispetto della normativa regionale da parte del progetto dalla stessa GECO presentato, che contempla l’altezza della parete minima pari a m. 1,58, sottolineando, per converso, l’erroneità della tesi comunale, che nel calcolo dell’altezza media interna del sottotetto è partita da un’altezza minima teorica di m. 1,40 e non da quella effettiva di m. 1,58.

Le esposte censure sono meritevoli di adesione.

Osserva il Collegio che, ai sensi della legge regionale n. 15/2000, come modificata dalla L. R. 28 novembre 2001, n. 19, è invero possibile procedere al recupero abitativo dei sottotetti, esistenti alla data della entrata in vigore delle legge, a condizione che l'edificio sia destinato in tutto o in parte alla residenza; che l'edificio in cui è ubicato il sottotetto sia stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, sia stato preventivamente sanato; e che il sottotetto abbia un'altezza media interna non inferiore a m. 2,40 (negli edifici siti al di sopra dei 600 metri sul livello del mare è ammessa una riduzione dell'altezza media sino a metri 2,20). In caso di soffitto non orizzontale, fermo restando le predette altezze medie, l’altezza della parete minima non può essere inferiore a metri 1,40.

Il recupero abitativo dei sottotetti può essere ottenuto anche attraverso opere edilizie di ristrutturazione e, in proposito, la normativa regionale consente, ai fini del raggiungimento dell'altezza media, anche l'abbassamento dell'ultimo solaio e la conseguente modifica della quota d'imposta dello stesso, a condizione che non si incida negativamente sulla statica e sul prospetto dell'edificio, nonché sui requisiti minimi di abitabilità dei locali sottostanti, di cui al decreto del Ministro della Sanità del 5 luglio 1975 (cfr. Tar Campania, IV, n. 6184 del 26-05-2006).

Orbene, dall’esame della documentazione agli atti e in particolare del progetto presentato dalla GECO, risulta la conformità del progetto alle disposizioni normative sin qui in rassegna.

Difatti, conformemente alla linea interpretativa sostenuta dalla difesa della società, ritiene il Collegio che il requisito dell’altezza minima media interna, fissato nella legge regionale in m. 2,40, non è un prerequisito necessariamente immanente nello status quo ante dell’immobile interessato dall’intervento, ma è una condizione di progetto, vale a dire un risultato che deve essere sussistere in esito all’intervento stesso e che può realizzarsi - come prevede lo stesso art. 3, comma 2 della legge regionale in esame - con l’abbassamento della quota dell’ultimo solaio.

E sotto il descritto profilo, il progetto redatto dalla società si appalesa rispettoso del dettato normativo, in quanto lo stesso progetto prevedeva, appunto, l’abbassamento della quota dell’ultimo solaio, consentendo, da un lato, il raggiungimento dell’altezza minima media interna del sottotetto, pari a m. 2,40, in tutte le unità abitative da realizzare all’interno del medesimo, dall’altro il rispetto dei requisiti di abitabilità dei locali sottostanti in conseguenza dell’abbassamento dell’ultimo solaio.

Del pari meritevole di adesione è la interpretazione data dall’odierna deducente , più specificamente, al disposto dell’art. 3, comma 2, della l.r. n. 15/2000, nella parte in cui stabilisce che “l’altezza della parete minima non può essere inferiore a metri 1,40”.

Ritiene, infatti, a tal proposito il Collegio che tale altezza non rappresenti la misura inderogabile della parete minima, ma il minimo inderogabile della altezza della parete interna, di tal che tale altezza ben può assumere altre misure oltre a quella minima, convenzionalmente fissata dal legislatore, purchè ad essa superiori. Con la conseguenza, come dedotto dalla ricorrente, che deve ritenersi ammessa la possibilità che la parete minima abbia anche un’altezza diversa, purchè superiore, a m. 1,40: è questo il caso contemplato nel progetto della GECO, che prevedeva un’altezza della parete minima pari a mt. 1,58.

Di questo dato fattuale, affermato dalla società e non contestato dal Comune intimato, si dava anzi atto nella nota del tecnico comunale del 3 dicembre 2007 - gravata con i motivi aggiunti in esame - laddove si affermava che “nel progetto per ottenere l’altezza media utile si considera la superficie lorda e la volumetria ricavata con l’altezza minima pari a m. 1,58 e destinando tutta la superficie al di sotto di tale misura come zona di deposito”.

Ne discende che, essendo la altezza minima della parete interna, in concreto, pari a m. 1,58 - e non a m. 1,40 - è al dato concreto ed effettivamente previsto nel progetto dell’interessata, e non già alla misura minima nozionale prevista dal legislatore, che doveva farsi riferimento per il calcolo del volume interno lordo ai fini della determinazione dell’altezza media interna del sottotetto, e verificarne la liceità rispetto al limite di m. 2,40 posto dal legislatore.

Una siffatta interpretazione appare più logica e aderente al dato reale, mentre nessun aggancio interpretativo la disposizione in esame potrebbe offrire a sostegno della tesi avversa, la quale oltretutto porterebbe ad un calcolo fondato su elementi non aderenti alla realtà e quindi arbitrari: la norma parla infatti di spazi di altezza inferiore al minimo e non di spazi di altezza inferiore a m. 1,40, onde il calcolo ai fini della determinazione dell’altezza media interna andava eseguito in relazione alla concreta soluzione progettuale prescelta.

Seguendo la interpretazione che il Collegio ritiene preferibile, pertanto, l’altezza media dei locali per cui è causa risultava pari o superiore a m. 2,40, come richiesto dalla legge in esame.

La soluzione progettuale presentata dalla società ricorrente si dimostrava quindi coerente con il dato normativo, risultando - alla luce della interpretazione ritenuta corretta dal Collegio - rispettosa del limite di m. 2,40 in tutte le unità abitative da realizzare all’interno del sottotetto. Inoltre, osserva il Collegio per completezza, il progetto presentato dalla GECO, come riconosciuto dal tecnico comunale nella sopra richiamata nota, prevedeva altresì la chiusura degli spazi inferiori all’altezza della parete minima (pari a m. 1,58) e la loro inutilizzabilità a fini abitativi. Di conseguenza, anche sotto tale ulteriore profilo il progetto era conforme all’art. 3, comma 1, lett. c) della legge regionale, ove si chiarisce che “gli eventuali spazi di altezza inferiore al minimo, da non computarsi ai fini del calcolo dell’altezza media interna, devono essere chiusi mediante opere murarie o arredi fissi e ne può essere consentito l’uso come spazio di servizio destinato a guardaroba e a ripostiglio..”

Alla luce delle considerazioni svolte, le esaminate censure sono tutte meritevoli di adesione, mentre errate appaiono le determinazioni cui perveniva il Comune di Napoli, che dunque adottava un provvedimento di diniego illegittimo.

Il ricorso è pertanto fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento della disposizione dirigenziale impugnata e obbligo dell’Amministrazione di ripronunciarsi sulla richiesta di permesso di costruire presentata dalla società ricorrente.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
 

P.Q.M.
 

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 3576/2008 proposto da GECO S.P.A., e corredato dei motivi aggiunti del 7 ottobre 2008, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la disposizione dirigenziale n. 247/2008 del Comune di Napoli.

Condanna il Comune di Napoli al pagamento nei confronti della ricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida complessivamente in euro 1.000,00 (=mille/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 28/01/2009 con l'intervento dei Magistrati:

Luigi Domenico Nappi, Presidente

Leonardo Pasanisi, Consigliere

Rosa Perna, Primo Referendario, Estensore

IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/04/2009

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO



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