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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. IV - 23 aprile 2009, n. 2142
URBANISTICA ED EDILIZIA - Pertinenza - Nozione - Permesso di costruire.
La nozione di pertinenza quale risulta dall'art. 7 comma 2 lett. a) d.l. 23
gennaio 1982 n. 9, convertito dalla l. 25 marzo 1982 n. 94, debba essere
interpretata in modo compatibile con i principi della materia e non può quindi
valere a sottrarre al regime del permesso di costruire la realizzazione di opere
di rilevante consistenza urbanistica solo perché destinate a servizio ed
ornamento del bene principale; proprio con riferimento ad un nuovo manufatto si
afferma che il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione di
opere che, da un punto di vista edilizio ed urbanistico, si pongono come
ulteriori, in quanto occupano aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis" (Consiglio Stato sez. II, 21 febbraio 1996, n. 1895). E’ infatti
soggetta a concessione edilizia (ora permesso di costruire) ed al conseguente
rispetto delle prescrizioni urbanistiche relative al tipo d'intervento, la
realizzazione di un manufatto edilizio destinato a soddisfare esigenze non
temporanee del soggetto attuatore e, al contempo, ad alterare in modo permanente
l'assetto urbanistico di zona, indipendentemente dalla natura dei materiali
adoperati (Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2000, n. 1507; T.A.R. Campania, sez. IV,
22 febbraio 2003, n. 1398). Pres. Nappi, Est. Perna - D.P.R. (avv. Costagliola)
c. Comune di Napoli (avv.ti Accattatis Chalons D'Oranges, Andreottola, Crimaldi,
Cuomo, Pizza, Pulcini, Ricci, Tarallo, Carpentieri e Furnari).
T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. IV - 23/04/2009, n. 2142
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02142/2009 REG.SEN.
N. 00239/2005 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 239 del 2005, proposto da:
Di Palma Rosaria, rappresentata e difesa dall'avv. Michele Costagliola, con
domicilio eletto presso Michele Costagliola in Napoli, viale Gramsci n.19;
contro
Comune di Napoli, rappresentato e
difeso dagli avv.ti Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, Antonio Andreottola,
Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Giacomo Pizza, Anna Pulcini, Bruno Ricci,
Giuseppe Tarallo, Eleonora Carpentieri, Anna Ivana Furnari, con domicilio eletto
presso la sede dell’Avvocatura Municipale in Napoli, - p.zza Municipio - p.zzo
S. Giacomo;
l'annullamento della disposizione dirigenziale n. 727 dell’8/10/2004 del Comune
di Napoli, recante ordine di demolizione di opere abusive eseguite in Napoli,
alla via S. Domenico n. 118;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11/02/2009 il I ref. dott.ssa Rosa
Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in epigrafe veniva
impugnata la disposizione dirigenziale n. 727 dell’8.10.2004 con cui il Comune
di Napoli ordinava, ai sensi dell’art. 37 del d.p.r. n. 380/01, la demolizione
di opere abusive realizzate nel territorio comunale alla via San Domenico n. 118
(manufatto composto di platea in c.a. di mq. 200 con struttura in ferro e
copertura in pannelli isotermici a m. 4,00 h e tompagni in lapilcemento; vano di
mq. 8,00 adibito a bagno).
Questi i motivi di gravame proposti:
1. violazione e falsa applicazione del d.l. n. 269/2003 convertito nella legge
n. 326/2003 e della legge n. 47/1985 - eccesso di potere - violazione del giusto
procedimento - sviamento;
2. violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l.r. n. 19/01 - violazione
del d.p.r. 380/01 e della legge 241/90 - eccesso di potere - inesistenza dei
presupposti in fatto e diritto - sviamento e carente istruttoria;
3. violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.p.r. 380/01 in relazione
agli artt. 3, 6, 10, 22, 33, 36 e 37 del d.p.r. medesimo - violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 della l.r. n. 19/01 - violazione del d.p.r. 380/01
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l.r. n. 19/01 e dell’art. 6
della legge 443/2001 - violazione del giusto procedimento - eccesso di potere
per difetto di istruttoria dei presupposti e di motivazione - omessa
ponderazione della situazione contemplata - travisamento - illogicità -
contraddittorietà - perplessità - manifesta ingiustizia;
4. violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.p.r. 380/01 - eccesso di
potere - violazione del giusto procedimento - sviamento;
5. violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della legge n. 724/1994 e della
legge n. 47/1985 - violazione della legge n. 241/1990 - eccesso di potere -
violazione del giusto procedimento - sviamento;
6. violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3 della legge 241/1990;
eccesso di potere, difetto di motivazione, violazione del giusto procedimento,
sviamento;
7. violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 380/2001 e della legge n.
241/1990; eccesso di potere, sviamento, violazione del giusto procedimento;
8. violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 380/2001 e della legge n.
241/1990; eccesso di potere - erronea valutazione dei presupposti in fatto e in
diritto - carenza assoluta di motivazione;
9. eccesso di potere - difetto di motivazione.
Si costituiva in giudizio per resistere al ricorso l’Amministrazione intimata,
chiedendone il rigetto nel merito siccome infondato.
All’Udienza dell’11 febbraio 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Nell’esame delle censure proposte
con il gravame in epigrafe il Collegio affronterà le questioni secondo un ordine
logico, procedendo alla trattazione congiunta delle censure che presentano
profili di connessione, affinità o complementarietà sul piano concettuale.
Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 32, comma 28
del d.l. n. 269/2003 (conv. nella legge n. 326/2003) e 44 della legge n.
47/1985, in forza dei quali in pendenza del termine per la presentazione delle
domande di sanatoria edilizia è preclusa all’Amministrazione l’adozione di
qualsivoglia misura sanzionatoria dell’abuso, laddove l’ordinanza di demolizione
gravata sarebbe stata adottata in data 8 ottobre 2004 e dunque prima dello
spirare del termine per la presentazione della domanda di condono edilizio
fissato per il giorno 10 dicembre 2004.
La censura non ha pregio.
Osserva il Collegio che dai verbali di sopralluogo redatti dagli agenti di
polizia municipale dell’U.O.S.A.E., di cui l’ultimo n. 34872/11239/ED del
4.8.2004, richiamato nell’atto impugnato, emerge che in data 3 agosto 2004 tutte
le opere risultavano ancora al grezzo. Ne consegue che l’intervento in questione
veniva chiaramente eseguito dopo il 31.3.2003, e quindi ben oltre il termine
entro il quale secondo il disposto della legge n. 326/2003, invocata dalla
ricorrente, le opere abusive avrebbero dovevano essere ultimate per risultare
astrattamente ammissibili alla procedura di condono edilizio. Legittimamente
pertanto l’Amministrazione intimata adottava l’ordinanza di demolizione
impugnata, nonostante che alla data dell’8 ottobre 2004 pendessero ancora i
termini per la presentazione della domanda di condono, trattandosi nella specie
di interventi edilizi manifestamente non ammissibili alla procedura di condono
per il difetto del presupposto previsto dalla legge n. 326/2003.
Con il secondo e il terzo motivo la ricorrente contesta che le opere in
questione costituiscano un intervento di nuova edificazione, rappresentando
viceversa un intervento di natura manutentiva o pertinenziale o tutt’al più di
ristrutturazione edilizia, consistente nella mera esecuzione, su un preesistente
manufatto, di modesti interventi volti a migliorarne la funzionalità, mediante
un modestissimo incremento di volume e superficie (circa 15 mq.) e la
realizzazione di vano w.c. posto all’interno. I descritti interventi, a dire
della ricorrente, non sarebbero assoggettati al rilascio di permesso di
costruire ma a mera denunzia di inizio attività, il cui difetto comporterebbe
pertanto l’applicazione della sanzione pecuniaria e non già di quella
demolitoria, disposta con l’ordinanza gravata.
Le doglianze non hanno pregio.
In linea con l’orientamento della giurisprudenza, ritiene il Collegio che la
nozione di pertinenza quale risulta dall'art. 7 comma 2 lett. a) d.l. 23 gennaio
1982 n. 9, convertito dalla l. 25 marzo 1982 n. 94, debba essere interpretata in
modo compatibile con i principi della materia e non puo' quindi valere a
sottrarre al regime del permesso di costruire la realizzazione di opere di
rilevante consistenza urbanistica solo perche' destinate a servizio ed ornamento
del bene principale; proprio con riferimento ad un nuovo manufatto si afferma
che il rapporto pertinenziale non puo' esonerare dalla concessione di opere che,
da un punto di vista edilizio ed urbanistico, si pongono come ulteriori, in
quanto occupano aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis"
(Consiglio
Stato sez. II, 21 febbraio 1996, n. 1895). E’ infatti soggetta a concessione
edilizia (ora permesso di costruire) ed al conseguente rispetto delle
prescrizioni urbanistiche relative al tipo d'intervento, la realizzazione di un
manufatto edilizio destinato a soddisfare esigenze non temporanee del soggetto
attuatore e, al contempo, ad alterare in modo permanente l'assetto urbanistico
di zona, indipendentemente dalla natura dei materiali adoperati (Cons. Stato,
sez. V, 20 marzo 2000, n. 1507; T.A.R. Campania, sez. IV, 22 febbraio 2003, n.
1398);
Applicando tali principi al caso di specie, osserva il Collegio che i lavori
eseguiti dalla Di Palma non sono affatto urbanisticamente indifferenti, come si
pretenderebbe dalla interessata, avendo la stessa realizzato un manufatto
composto di platea in cemento armato di mq. 200 con struttura in ferro e
copertura in pannelli isotermici a m. 4,00 di altezza e tompagni in lapilcemento
oltre a vano di mq. 8,00 adibito a bagno; l’intervento in questione ha dunque
indiscutibilmente determinato la realizzazione di nuovi consistenti volumi, con
nuovo carico urbanistico, nuova volumetria e dunque trasformazione dell’assetto
del territorio soggetto a permesso di costruire e non già - non rilevando a tal
fine il collegamento funzionale con la res principalis - a semplice denuncia di
inizio attività.
Le esaminate doglianze vanno dunque disattese.
Con il quarto mezzo si censura l’illegittimità dell’atto impugnato anche sotto
l’ulteriore profilo secondo cui lo stesso non conterrebbe la minima indicazione
dell’area di sedime e di quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe
a quella in questione, che sarà acquisita di diritto gratuitamente al patrimonio
comunale nell’ipotesi di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione.
La censura non è condivisibile.
Per consolidata giurisprudenza, seguita anche dalla Sezione, l'individuazione
dell'area di pertinenza della "res abusiva" non deve necessariamente compiersi
al momento dell'emanazione dell'ingiunzione di demolizione, bensì nel
provvedimento successivo con il quale viene accertata l'inottemperanza e si
procede all'acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune ai sensi
dell'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (T.A.R. Toscana, sez. III, 4
febbraio 1995, n. 3; T.A.R. Campania, sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 614).
L’individuazione della superficie dell'area di sedime da acquisire in caso
d'inottemperanza, dunque, deve essere contenuta nell'atto d'acquisizione, a pena
d'illegittimità di quest'ultimo, costituendo esso il titolo per l'immissione in
possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari (Cons. Stato,
sez. V, 6 settembre 1999, n. 1015).
Con il quinto mezzo si denuncia la violazione degli artt. 38 e 44 della legge
47/1985, come richiamati dall’art. 39 della legge n. 724/1994, ai sensi dei
quali l’Amministrazione non può adottare ovvero portare ad esecuzione alcun
provvedimento sanzionatorio concernente opere per le quali sia stata presentata
domanda di sanatoria edilizia, fino alla definizione della pratica stessa.
Deduce infatti la ricorrente che su parte della struttura oggetto della gravata
ordinanza penderebbe domanda di condono edilizio a suo tempo presentata ex art.
39 della legge n. 724/1994 e non ancora esitata; in relazione a tale parte
dell’immobile, dunque, l’atto gravato sarebbe illegittimo.
La censura non ha pregio in quanto l’ordine di demolizione ha ad oggetto
esclusivamente il nuovo manufatto, costruito dall’interessata in aderenza al
manufatto preesistente e non già le opere abusive in precedenza realizzate e
fatte oggetto dell’istanza di condono presentata ai sensi della richiamata legge
n. 724/1994 e ancora pendente.
Giova precisare che dal verbale di sopralluogo degli agenti di polizia
municipale dell’U.O.S.A.E., n. 34872/11239/ED del 4.8.2004, sopra richiamato, le
nuove opere risultano inequivocabilmente essere state eseguite “in aderenza a un
preesistente manufatto di circa mq. 80, oggetto di lavori di ordinaria e
straordinaria manutenzione non assentiti..” Il richiamo operato dalla ricorrente
alle norme sulla sospensione dei procedimenti sanzionatori in pendenza delle
domande di condono edilizio è dunque inconferente posto che, nel caso di specie,
non c’è coincidenza alcuna tra le opere oggetto della pregressa istanza di
sanatoria in attesa di definizione, e quelle, successive, oggetto dell’ordinanza
di demolizione impugnata con il gravame in epigrafe.
A completamento della disamina, è appena il caso di osservare che il richiamo
fatto dalla difesa di parte ricorrente alla pendenza di una istanza di condono
sull’immobile de quo, lungi dall’evidenziare un motivo di illegittimità del
provvedimento gravato, pone in luce un ulteriore profilo di illiceità
dell’attività edilizia posta in essere dalla parte, tenuto conto che le nuove
opere, oltre che essere state abusivamente realizzate, sono state eseguite in
aderenza al preesistente manufatto, già oggetto di abusi edilizi e quindi
interessato da domanda di condono, con violazione, pertanto, del disposto
dell’art. 21, comma 3, del regolamento edilizio del Comune di Napoli.
A norma di tale disposizione, infatti, per gli edifici costruiti anteriormente
alla entrata in vigore della legge n. 765/1967, non possono essere consentiti
gli interventi di nuova costruzione, ampliamento, recupero o demolizione di
edifici esistenti nel caso in cui le opere di cui si chiede l’esecuzione
determinino modifiche di parti dell’edificio abusivamente realizzate, anche se
oggetto di richiesta di sanatoria non ancora esitata o rigettata.
Orbene, con la sua attività edificatoria la parte ricorrente ha determinato un
sicuro ampliamento dell’originario manufatto, già interessato da interventi
abusivi oggetto della pratica di condono edilizio pendente, con ciò modificando
lo stato dei luoghi con una attività vietata, appunto, dal regolamento comunale.
Anche il quinto mezzo è pertanto destituito di fondamento giuridico.
Con il sesto e il settimo motivo parte ricorrente denuncia violazioni di ordine
formale e procedimentale, deducendosi con il primo di essi che il provvedimento
impugnato conterrebbe nella motivazione il generico rinvio all’istruttoria
compiuta, senza che i relativi atti fossero peraltro messi nella disponibilità
della ricorrente, con conseguente illegittimità dell’ordinanza per violazione
dell’art. 3, comma 3, della legge n. 241/90.
La doglianza non è suscettibile di adesione, considerato che il provvedimento
gravato non reca una motivazione per relationem, come parrebbe ritenere la
ricorrente invocando il richiamato art. 3, comma 3, esprimendo di contro in
chiaro e compiutamente le ragioni di fatto e di diritto del provvedimento e
l’iter procedurale seguito. In ogni caso gli atti in questione erano disponibili
su richiesta della interessata, e non consta che essi siano stati oggetto di
richiesta o che, richiesti, siano stati negati presso l’Ufficio comunale. La
censura va dunque disattesa.
Con il settimo motivo si denuncia la mancata comunicazione all’interessata
dell’avvio di procedimento e del nome del responsabile, a norma dell’art. 7
della legge n. 241/1990.
Le doglianze non sono condivisibili.
In caso di ordine di demolizione delle opere abusive non è invero necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, l. n. 241 del 1990.
Si tratta, infatti, di atto dovuto e rigorosamente vincolato, sicché non sono
richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario (ex plurimis: T.A.R.
Campania Napoli, sez. VII, 12 dicembre 2007, n. 16226; T.A.R. Sicilia Palermo,
sez. III, 13 settembre 2005, n. 1537; T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 10 luglio
2004, n. 4974 e da ultimo, seppur sotto altro profilo, Consiglio Stato, sez. IV,
12 settembre 2007 , n. 4827). In particolare, il procedimento repressivo degli
abusi edilizi, in quanto integralmente disciplinato dalla legge speciale e da
questa rigidamente vincolato, non richiede la previa comunicazione di avvio ai
destinatari dell'atto finale, per cui l'omessa comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7 l. 241/1990 non costituisce vizio dell'ordinanza di
demolizione (T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 13 agosto 2007, n. 900).
Quanto poi alla mancata indicazione del responsabile del procedimento, essa è
surrogata ex lege dagli artt. 4 e 5 della legge n. 241/1990 che individua tale
responsabile nel dirigente del Servizio, in assenza di altre indicazioni;
difatti, secondo l’orientamento della giurisprudenza, l'eventuale omissione
della comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento e
dell'ufficio in cui poter prendere visione degli atti, non è tale da incidere
sulla legittimità del procedimento finale, risolvendosi piuttosto in una mera
irregolarità. In tal caso si considera responsabile del procedimento il
funzionario preposto alla competente unità organizzativa (Cons. Stato, sez. VI,
6 maggio 1999, n. 597; T.A.R. Friuli V.G. 9 dicembre 1996, n. 1241; T.A.R.
Sicilia, sez. II, 30 novembre 1996, n. 1730; T.A.R. Campania, sez. IV, 5
febbraio 2002, n. 691, 18 marzo 2002, n. 1413, 14 giugno 2002, n. 3490).
Le allegate omissioni non sono dunque censurabili e non determinano
l’illegittimità dell’atto gravato, adottato in esito al procedimento
sanzionatorio de quo.
Per completezza d’argomentazione si osserva che in ogni caso, ai sensi dell’art.
21 octies della legge n. 241/1990, il provvedimento impugnato, ove pure ritenuto
violativo delle norme sul procedimento amministrativo, non sarebbe comunque
annullabile, trattandosi di provvedimento vincolato il cui contenuto non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato dalla competente
Amministrazione. Le esaminate censure non sono dunque meritevoli di adesione.
Con l’ottavo e il nono mezzo, infine, la deducente censura il difetto di
motivazione dell’atto gravato nonché la mancata valutazione dell’interesse
pubblico.
Quanto alla prima censura, osserva il Collegio che il lamentato difetto di
motivazione non sussiste, in quanto l’atto risulta sufficientemente motivato con
riferimento all’abusività dell’opera e al tipo di intervento posto in essere,
oltre che con riguardo alla circostanza che i lavori in questione erano
successivi alla data del 31.3.2003.
Per ciò che concerne le ragioni di pubblico interesse sottese al provvedimento
impugnato, la cui carenza viene dedotta con il nono mezzo, va rilevato che il
provvedimento che ordina la demolizione di manufatti abusivi è atto dovuto in
presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi
abusivamente (fra le tante, C.d.S., VI, 28 giugno 2004, n. 4743) e dunque non
abbisogna di congrua motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico
alla rimozione dell’abuso, la quale è in re ipsa, consistendo nel
ripristino dell’assetto urbanistico violato, e ciò neanche quando sia adottato a
distanza di anni dalla realizzazione dell'abuso (T.A.R. Campania, sez. IV, 4
luglio 2001, n. 3071; 13 giugno 2002, n. 3485; 4 febbraio 2003, n. 617; 20
ottobre 2003, n. 12962).
Anche le esposte doglianze vanno dunque disattese.
Conclusivamente, tutto quanto sopra esposto e considerato, il gravame in
epigrafe si appalesa del tutto infondato e deve dunque essere rigettato.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Campania, Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso
n.239/2005 proposto da LA PALMA Rosaria, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Comune
di Napoli, che liquida forfetariamente in euro 1.000,00 (=mille).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 11/02/2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Luigi Domenico Nappi, Presidente
Leonardo Pasanisi, Consigliere
Rosa Perna, Primo Referendario, Estensore
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/04/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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