AmbienteDiritto.it
- Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati -
Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I - 28 aprile 2009, n. 161
URBANISTICA ED EDILIZIA - Opere abusive non scorporabili - Conversione della
sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria - Specifica richiesta dell’autore
dell’abuso - Necessità - Esclusione. Allorquando la rimozione autonoma di
singole opere abusive risulta oggettivamente preclusa dalla loro non
scorporabilità rispetto alle restanti parti del fabbricato o comunque dal
concreto pericolo di dare a luogo a cedimenti o gravi deficienze strutturali
dell’immobile cui afferiscono, l’Amministrazione sia in ogni caso tenuta a
convertire la sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, anche in assenza di
una specifica richiesta o segnalazione del privato, dovendosi altrimenti
ricorrere alla più gravosa (nel caso di specie non contemplata) misura della
demolizione estesa a parti regolari del fabbricato o addirittura all’intera
costruzione. Pres. Papiano, Est. Caso - R.B. e altri (avv.ti Piave e Andreoli)
c. Comune di Fontevivo (avv.Ollari) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I -
28/04/2009, n. 161
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00161/2009 REG.SEN.
N. 00237/2007 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 237 del 2007 proposto da Restori Bruno, Restori Enrica e Restori
Gabriele, rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Piva e dall’avv. Antonio
Andreoli, e presso gli stessi elettivamente domiciliati in Parma, via XXII
Luglio n. 3;
contro
il Comune di Fontevivo, in persona
del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Ollari e presso lo
stesso elettivamente domiciliato in Parma, borgo Zaccagni n. 1;
per l'annullamento
dell’ordinanza prot. n. 5837 del 22
maggio 2007, con cui il Responsabile di Settore del Comune di Fontevivo ha
ingiunto ai ricorrenti la demolizione di opere abusive;
dell’atto prot. n. 6187 del 30 maggio 2007, con cui il Responsabile di Settore
del Comune di Fontevivo ha ingiunto ai ricorrenti il pagamento di una sanzione
pecuniaria nell’importo di € 44.210,00;
del verbale di accertamento prot. n. 14857 del 16 dicembre 2006;
della nota prot. n. 5558 del 16 maggio 2007, recante integrazione del verbale
del 16 dicembre 2006;
della relazione tecnica di accertamento prot. n. 6082 del 28 maggio 2007;
dei documenti prot. n. 6137 e n. 6138 del 29 maggio 2007, relativi alla
determinazione del valore dell’immobile prima e dopo l’intervento;
della comunicazione prot. n. 10452 del 13 settembre 2007 (a mezzo di atto di
“motivi aggiunti” depositato il 2 novembre 2007);
per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Fontevivo;
Visto l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 2 novembre 2007;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 7 aprile 2009 i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Riferiscono i ricorrenti che essi
sono comproprietari di un immobile ubicato nel Comune di Fontevivo (fg. 18 mapp.
338 e 341 del C.T.); che, a seguito di parziale crollo del fabbricato, venivano
eseguiti nell’agosto 2001 lavori di messa in sicurezza delle strutture
pericolanti e di realizzazione dell’ossatura della scala di accesso ai piani
superiori; che nel gennaio 2002 l’Amministrazione comunale rilasciava
concessione edilizia per la ristrutturazione del fabbricato; che,
successivamente, nell’assunto che i lavori eseguiti fossero difformi dal titolo
abilitativo, l’ente locale ingiungeva, per una parte delle irregolarità, la
demolizione delle opere abusive (v. ordinanza prot. n. 5837 del 22 maggio 2007,
a firma del Responsabile di Settore) e, per l’altra parte delle irregolarità, il
pagamento della sanzione pecuniaria nell’importo di € 44.210,00 (atto prot. n.
6187 del 30 maggio 2007, a firma del Responsabile di Settore).
Avverso tali atti e i verbali e accertamenti ivi richiamati hanno proposto
impugnativa gli interessati, deducendo:
1) Violazione di legge. Violazione ed erronea applicazione della legge n.
241/1990, con particolare riferimento agli artt. 7 e 10-bis. Nullità del
procedimento. Illogicità. Contraddittorietà manifesta.
E’ stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento, e ciò ha impedito
agli interessati di partecipare al relativo “iter”, sacrificandone le
garanzie a tale fine previste dalla legge.
2) Violazione di legge. Violazione ed erronea applicazione del d.P.R. n.
380/2001, con particolare riferimento all’art. 33, e dell’art. 14 della legge
reg. n. 23/2004. Illogicità manifesta. Contraddittorietà tra provvedimenti dello
stesso procedimento. Erroneo presupposto di fatto.
Illegittimamente l’Amministrazione comunale ha provveduto ad irrogare la
sanzione pecuniaria nonostante l’assenza di una richiesta in tal senso da parte
dei ricorrenti, e ciò in violazione del disposto di cui all’art. 14 della legge
reg. n. 23 del 2004. Non è poi vero che gli interventi effettuati abbiano
determinato un aumento di valore dell’immobile, in quanto la scala è stata
ricostruita con lo stesso ingombro e le stesse dimensioni precedenti, e ne
risulta effettuata solo una minima traslazione. Quanto, infine, all’asserita
insuscettibilità di ripristino delle opere abusive di cui alla lett. A), si
tratta di determinazione in palese contrasto con quanto è stato disposto in sede
di ordine di demolizione, quando si è ritenuto di dovere ingiungere la rimozione
di quelle stesse opere.
3) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Carenza dei presupposti
legittimanti i provvedimenti impugnati. Erroneità manifesta. Contraddittorietà.
Difetto di istruttoria. Difetto di contraddittorio. Illogicità della
motivazione.
Gli abusi contestati non sono stati in realtà posti in essere, e non si è
determinato aumento di superficie utile o di cubatura. In effetti, la scala di
accesso ai piani superiori è stata ricostruita con lo stesso ingombro e le
stesse dimensioni precedenti al crollo, e ne risulta effettuata solo una minima
traslazione (metri 2), mentre nel sottotetto è stato semplicemente realizzato un
piccolo vano di mq. 3,5 che avrebbe dovuto diventare un servizio igienico (ma i
sanitari sono stati già rimossi e gli impianti sigillati). Quanto, poi,
all’ordine di cessazione dell’unità abitativa autonoma ricavata nel sottotetto,
va considerato che non vi è mai stata utilizzazione a fini residenziali, e che
sono stati già rimossi o disattivati alcuni degli impianti a ciò asseritamente
destinati.
4) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità e
contraddittorietà manifeste. Difetto di motivazione. Perplessità.
La misura della sanzione pecuniaria assume a riferimento la complessiva
superficie di mq. 64,75, senza tenere conto del fatto che le opere abusive o
sono state rimosse o non hanno determinato aumento di valore. Non si comprende
dunque con quali criteri l’Amministrazione abbia proceduto all’individuazione
del presunto aumento di valore dell’immobile interessato dagli interventi.
Concludono i ricorrenti per l’annullamento degli atti impugnati e per la
condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Si è costituito in giudizio il Comune di Fontevivo, resistendo al gravame.
L’istanza cautelare dei ricorrenti veniva prima respinta dalla Sezione (ord. n.
184/2007 del 24 luglio 2007) e poi respinta anche dal giudice d’appello (Cons.
Stato, Sez. IV, ord. 29 agosto 2007 n. 4471/2007).
Successivamente, avendo l’Amministrazione intimato ai ricorrenti (v.
comunicazione prot. n. 10452 del 13 settembre 2007) il pagamento, entro 15
giorni, della somma già oggetto dell’ingiunzione del 30 maggio 2007, nonché
della somma relativa alla condanna alle spese di lite della fase cautelare
disposta dal giudice d’appello (€ 1.500,00), gli interessati hanno proposto
“motivi aggiunti”. Deducono:
1) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Carenza dei presupposti
legittimanti i provvedimenti impugnati. Erroneità manifesta. Contraddittorietà.
Difetto di istruttoria. Illogicità della motivazione.
Dalla relazione dell’arch. Aldo Cozzi, incaricato dai ricorrenti, emergono la
reale consistenza del manufatto e le corrette modalità di quantificazione degli
oneri che sarebbero dovuti.
2) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità manifesta.
Contraddittorietà tra atti del procedimento.
Gli interventi effettuati erano stati autorizzati dal titolo edilizio a suo
tempo rilasciato dall’Amministrazione comunale, e ciò vale anche per la scala.
Pertanto, avrebbe dovuto prima essere annullata la concessione edilizia, se
illegittima, e poi eventualmente contestata l’esecuzione delle opere.
3) Eccesso di potere. Erroneo presupposto di fatto. Illogicità e
contraddittorietà. Carenza di potere.
L’intimazione di pagamento delle spese legali è illegittima, sia perché fissa un
termine di 15 giorni per adempiere, sia perché prospetta in caso di
inadempimento l’iscrizione del debito a ruolo per il recupero coattivo - al pari
della sanzione pecuniaria - nonostante non si tratti di debito riferibile alla
procedura urbanistica.
La nuova istanza cautelare dei ricorrenti veniva prima respinta dalla Sezione (ord.
n. 238/2007 del 6 novembre 2007) e poi respinta anche dal giudice d’appello (Cons.
Stato, Sez. IV, ord. 29 gennaio 2008 n. 493/2008).
All’udienza del 7 aprile 2009, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa
è passata in decisione.
DIRITTO
Ritenuti responsabili
dell’effettuazione di opere difformi dalla relativa concessione edilizia e in
ragione di ciò destinatari, per una parte degli abusi, dell’ingiunzione di
rimozione degli stessi e, per la restante parte delle irregolarità,
dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria (€ 44.210,00), i ricorrenti
impugnano le determinazioni assunte dall’Amministrazione comunale. Lamentano
l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e il conseguente sacrificio
delle garanzie partecipative loro riconosciute dalla legge, censurano
l’irrogazione della sanzione pecuniaria nonostante l’assenza della necessaria
previa richiesta degli interessati (ai sensi dell’art. 14 della legge reg. n.
23/2004), negano la configurabilità stessa dell’aumento di valore dell’immobile
a seguito della ricostruzione di una scala di caratteristiche del tutto
corrispondenti - e solo in minima parte traslata - rispetto alla situazione di
fatto precedente, assumono contraddittorie le valutazioni operate
dall’Amministrazione quanto alla possibilità di ripristino o meno degli abusi
interessati dalla sanzione pecuniaria, adducono insussistenti le irregolarità
addebitate loro o quanto meno già autonomamente eliminate talune delle opere
oggetto dell’ordine di demolizione, si dolgono dell’erronea ed incomprensibile
parametrazione della sanzione pecuniaria alla complessiva superficie di mq.
64,75. Indi, intimato loro il pagamento di detta sanzione oltre che della somma
concernente le sopraggiunte spese di lite del giudizio cautelare d’appello, i
ricorrenti hanno proposto “motivi aggiunti”, giacché sarebbe stata indebitamente
prevista la futura iscrizione a ruolo (per il recupero coattivo) anche di spese
legali estranee alla procedura urbanistica; inoltre, non si sarebbe tenuto conto
del fatto che le opere realizzate erano conformi al titolo abilitativo e che
questo non era stato annullato in autotutela - ove illegittimo -, risultando in
ogni caso dimostrata l’erroneità degli apprezzamenti dell’Amministrazione quanto
al presunto incremento di valore dell’immobile. Di qui la richiesta di
annullamento degli atti impugnati e di risarcimento dei danni sofferti.
Muovendo dall’esame delle questioni dedotte con il ricorso introduttivo, e
seguendo l’ordine logico delle censure, rileva il Collegio come risulti innanzi
tutto infondata la doglianza relativa all’asserita carenza di comunicazione ex
art. 7 della legge n. 241 del 1990. In realtà, la difesa del Comune di Fontevivo
ha documentato che un avviso in tal senso era stato regolarmente inoltrato ai
ricorrenti con nota del 20 febbraio 2007, a mezzo di raccomandata postale (v.
doc. n. 9).
Quanto, poi, alla dedotta insussistenza delle irregolarità accertate, gli
elementi acquisiti in giudizio depongono per la correttezza delle conclusioni
dell’Amministrazione. Ed, in effetti, i ricorrenti non contestano che la scala
sia stata traslata rispetto alla collocazione originaria, condizione di per sé
sufficiente per inficiare la regolarità dei lavori - pur in assenza di un
aumento di superficie utile o di cubatura -, tenuto conto della classificazione
dell’immobile quale bene di interesse storico-ambientale e per questo
assoggettato agli interventi di restauro e risanamento conservativo di tipo “A”
ex art. 7 del regolamento edilizio, con conseguente divieto di modifica della
posizione di scale e murature portanti. Per la parte relativa al sottotetto,
invece, il verbale di sopralluogo del 16 dicembre 2006 riferisce della
realizzazione (non prevista dal titolo abilitativo) di un antibagno e di un
bagno completo dei relativi sanitari, della concreta adibizione a cucina del
locale che avrebbe dovuto invece essere destinato a disimpegno,
dell’installazione degli impianti di riscaldamento, idrosanitario e gas, ed
elettrico, tutte opere utili a ricavare una nuova unità abitativa, tanto da
esservi risultati presenti alcuni extracomunitari che vi alloggiavano; è noto,
d’altra parte, che il verbale di sopralluogo con cui i tecnici comunali
accertano l’avvenuta commissione di abusi edilizi è atto dotato di fede
privilegiata e, come tale, fa prova fino a querela di falso dei fatti attestati,
con la sola eccezione delle valutazioni soggettive che, per condurre in via
unicamente deduttiva a date conclusioni, non presentano le caratteristiche di
rilevamenti obiettivi (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 28 giugno 2005 n.
3434), rilevamenti obiettivi che nella fattispecie invece sussistono e sono
anche accompagnati da fotografie, esibite in giudizio, inequivocabilmente
comprovanti la circostanza che alcuni dei locali del sottotetto fossero stati
attrezzati per non consentite finalità abitative, e quindi per un indebito
incremento di cubatura.
Non è fondata neppure la censura imperniata su di una presunta contraddittorietà
di più atti del procedimento quanto agli abusi suscettibili o meno di
ripristino. Come appare evidente dalla lettura degli atti impugnati, si è prima
provveduto ad individuare tre distinti ambiti di irregolarità (scala, sottotetto
e trattamento reflui) e poi se ne è dedotta la corrispondente classificazione
in: A) lavori di ristrutturazione in totale difformità dalla concessione
edilizia rilasciata in quanto la medesima, in considerazione del vincolo di PRG,
concerneva esclusivamente un intervento gratuito di restauro e risanamento
conservativo, B) incremento delle superfici utili e della cubatura all’interno
dell’involucro esistente per trasformazione dei vani accessori del sottotetto in
abitazione, nonché aumento delle unità immobiliari a seguito dell’ulteriore
alloggio ricavato nel sottotetto in totale difformità dal progetto approvato, C)
realizzazione difforme del sistema di trattamento dei reflui derivante
dall’immobile in quanto non ispezionabile in tutti i suoi componenti; pertanto,
una volta verificata “ … l’oggettiva difficoltà del ripristino delle opere di
ristrutturazione costituite dallo spostamento del vano scala in quanto
comporterebbe la demolizione di consistenti opere strutturali …”, si è
coerentemente ritenuto di procedere all’applicazione della sanzione pecuniaria,
ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, per l’abuso di cui alla lett.
A), ovvero per la parte dei lavori concernente il rifacimento della scala,
mentre gli altri interventi sono rimasti assoggettati all’ingiunzione di
demolizione.
Altro motivo di censura prospetta l’invalidità della sanzione pecuniaria perché
irrogata senza la previa istanza del privato, in violazione del disposto
dell’art. 14, comma 2, della legge reg. n. 23 del 2004 (“… lo Sportello unico
per l’edilizia, su richiesta motivata dell’interessato presentata a seguito
della avvenuta sospensione dei lavori, irroga una sanzione pecuniaria pari al
doppio dell’aumento del valore dell’immobile conseguente alla realizzazione
delle opere … qualora accerti, con apposita relazione tecnica, l’impossibilità
della rimozione o demolizione delle opere abusive, in relazione al pregiudizio
strutturale e funzionale che sarebbe arrecato alle parti residue dell’immobile
…”). Ritiene tuttavia il Collegio che, indipendentemente dall’applicabilità o
meno (“ratione temporis”) della normativa invocata, allorquando la
rimozione autonoma di singole opere abusive risulta oggettivamente preclusa
dalla loro non scorporabilità rispetto alle restanti parti del fabbricato o
comunque dal concreto pericolo di dare a luogo a cedimenti o gravi deficienze
strutturali dell’immobile cui afferiscono, l’Amministrazione sia in ogni caso
tenuta a convertire la sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, anche in
assenza di una specifica richiesta o segnalazione del privato, dovendosi
altrimenti ricorrere alla più gravosa, e in questo caso non contemplata, misura
della demolizione estesa a parti regolari del fabbricato o addirittura
all’intera costruzione.
Quanto, ancora, all’addotta insussistenza di un reale aumento di valore
dell’immobile quale effetto del mero spostamento della scala, e quanto
all’asserita incomprensibilità dei criteri seguiti dall’Amministrazione
nell’operazione di quantificazione rapportata alla superficie di mq. 64,75, il
Collegio osserva come l’analitica descrizione dei conteggi a tale scopo
effettuati sia contenuta nelle note comunali prot. n. 6137 e prot. n. 6138 del
29 maggio 2007 (v. docc. n. 16 e n. 17), con la determinazione del costo di
produzione al mq. ragguagliata al dicembre 2006 e alle variate condizioni di
vetustà e di stato di conservazione risultanti dall’intervento di
ristrutturazione, il tutto infine commisurato alla superficie corrispondente
alla parte del fabbricato interessata dall’irregolare traslazione del vano
scala. Non si tratta dunque di criteri oscuri o illogici, perché tengono conto -
in linea con il disposto normativo - del valore finale della componente
dell’immobile in cui è stato commesso l’abuso non eliminabile e lo confrontano
con il valore precedente, senza che acquisti rilievo la misura in cui l’illecito
edilizio abbia in concreto concorso all’incremento di valore, il quale rileva in
sé, quale parametro legale di determinazione della sanzione pecuniaria.
Le restanti doglianze sono state proposte a mezzo di “motivi aggiunti”, il cui
esame è però impedito dal tardivo deposito del relativo atto presso il giudice
adito, sì da doversi dichiara fondata l’eccezione di inammissibilità in tal
senso formulata dalla difesa dell’Amministrazione. A fronte della notificazione
effettuata in data 24 settembre 2007 al difensore domiciliatario dell’ente
locale, il deposito in giudizio avrebbe dovuto intervenire entro i successivi
trenta giorni, ai sensi dell’art. 21, comma 2, della legge n. 1034 del 1971, e
risulta invece avvenuto solo il 26 ottobre 2007; né la decorrenza del termine
può ricondursi alla successiva ulteriore notificazione al domicilio reale
dell’Amministrazione, essendo la prima notificazione di per sé sufficiente allo
scopo e quindi idonea a completare la fattispecie a tale fine prevista dalla
legge (circa la ritualità della notificazione dei “motivi aggiunti” presso il
domicilio eletto dalla parte intimata v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 11
ottobre 2007 n. 5354).
In conclusione, il ricorso va in parte respinto e in parte dichiarato
inammissibile.
Le spese di giudizio seguono in parte la soccombenza dei ricorrenti - e vengono
liquidate come da dispositivo -, rimanendo per il resto compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in
epigrafe, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile .
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite,
nella misura complessiva di € 3.000,00 (tremila/00) - oltre agli accessori di
legge -, compensandole per il resto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 7 aprile 2009, con
l’intervento dei Magistrati:
Luigi Papiano, Presidente
Italo Caso, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Primo Referendario
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/04/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
AmbienteDiritto.it
- Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati -
Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it