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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I - 12 maggio 2009, n. 255
URBANISTICA ED EDILIZIA - Muro di cinta - Requisiti ex art. 878 c.c. -
Sussistenza -Titolo abilitativo edilizio - Diniego in ragione dell’asserita
natura emulativa dell’intervento - Illegittimità. Ad un manufatto che
rappresenti un “minus” rispetto al muro di cinta propriamente detto ai
sensi dell’art. 878 c.c.- in quanto privo in tutto od in parte di alcune dei
requisiti ivi individuati -, ma comunque destinato ed idoneo anch’esso a
delimitare un fondo, può egualmente essere riconosciuta la funzione e l’utilità
di demarcare la linea di confine e di recingere l’immobile (v. Cass. civ., Sez. II, 25 giugno 2001 n. 8671); non è peraltro necessario il suo prolungarsi per
tutto il perimetro del confine, ben potendosi valutare utile, in relazione alle
caratteristiche dei luoghi, una recinzione circoscritta ad uno o più lati della
proprietà. A maggior ragione, in presenza dei tre requisiti prescritti, non v’è
motivo per escludere la qualificazione di “muretto di recinzione”, in difetto di
elementi inequivocabili di segno contrario, e negare il titolo abilitativo sulla
scorta dell’asserito carattere emulativo dell’intervento edilizio. Pres. Papiano,
Est.Caso - M.E. e altro (avv. Maggiorelli) c. Comune di Parma (avv. Cristini) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I -
12/05/2009, n. 255
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00255/2009 REG.SEN.
N. 00303/2007 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 303 del 2007 proposto da Morsiani Eugenio e Filippi Evelina,
rappresentati e difesi dall’avv. Enrico Maggiorelli e dall’avv. Roberto Ollari,
e presso quest’ultimo elettivamente domiciliati in Parma, borgo Zaccagni n. 1;
contro
il Comune di Parma, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso
dall’avv. Marina Cristini ed elettivamente domiciliato in Parma, presso il
Servizio Affari legali, strada Repubblica n. 1;
nei confronti di
Calzetti Pietro e Ghini Ivana, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
- quanto all’atto introduttivo della lite - del provvedimento prot. gen n.
142739 del 3 agosto 2007 (con cui il Direttore del Settore Interventi
urbanistici del Comune di Parma ha annullato la d.i.a. n. 345/07 del 7 febbraio
2007) e del provvedimento prot. n. 151917 del 27 agosto 2007 (con cui è stata
data comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio conseguente
all’annullamento della d.i.a.);
- quanto all’atto di “motivi aggiunti” depositato il 6 novembre 2007 - del
provvedimento prot. n. 176889 del 10 ottobre 2007, con cui il Direttore del
Settore Sportello unico “Impresa - Edilizia - Cittadino” del Comune di Parma, ai
sensi dell’art. 16 della legge reg. n. 23 del 2004, ha ingiunto ai ricorrenti la
rimozione delle opere abusive conseguenti all’annullamento della d.i.a.;
- quanto all’atto di “motivi aggiunti” depositato il 14 novembre 2008 - del
provvedimento prot. n. 184436 del 22 ottobre 2008, con cui il Dirigente del
Servizio Norme urbanistiche per la qualità edilizia del Comune di Parma, ai
sensi dell’art. 13 della legge reg. n. 23 del 2004, ha ingiunto ai ricorrenti la
demolizione delle opere abusive oggetto della d.i.a. annullata.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Parma;
Visti gli atti di “motivi aggiunti” depositati il 6 novembre 2007 e il 14
novembre 2008;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 28 aprile 2009 i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Riferiscono i ricorrenti che in data
7 febbraio 2007 veniva presentata al Comune di Parma una denuncia di inizio
attività (n. 345/07) per l’edificazione di “muretta di recinzione” su area di
loro proprietà e a confine con quella dei controinteressati; che in data 24
marzo 2007 veniva presentata una d.i.a. in variante, con lieve abbassamento del
muro; che con provvedimento prot. gen n. 142739 del 3 agosto 2007 il Direttore
del Settore Interventi urbanistici del Comune di Parma annullava la d.i.a. n.
345/07, rilevando come l’opera differisse da quella autorizzata dal giudice
civile in esito alla controversia a suo tempo insorta con i confinanti, come il
muro non avesse le caratteristiche di un muro di recinzione, come si trattasse
di un atto emulativo ex art. 833 cod.civ.; che con provvedimento prot. n. 151917
del 27 agosto 2007 veniva infine data comunicazione dell’avvio del procedimento
sanzionatorio conseguente all’annullamento della d.i.a.
Avverso tali atti hanno proposto impugnativa gli interessati, deducendo:
1) Violazione di legge (art. 11, comma 1, d.P.R. n. 380/2001; art. 6, comma 3,
legge reg. n. 31/2002).
In sede di rilascio di permesso di costruire o di atto corrispondente
l’Amministrazione è tenuta unicamente ad accertare l’esistenza di un idoneo
titolo di godimento sull’immobile, non anche a risolvere i conflitti di
interesse con terzi soggetti. Esulava dunque dalla competenza del Comune di
Parma la tutela della posizione dei confinanti.
2) Violazione di legge (art. 2 d.P.R. n. 380/2001; art. 2, comma 1, legge reg.
n. 23/2004; artt. 10, 11 e 17 legge reg. n. 31/2002). Eccesso di potere.
La disposizione di cui all’art. 833 cod.civ. non rientra tra quelle di cui
l’Amministrazione deve vagliare il rispetto in sede di rilascio di titolo
edilizio. Altri sono i parametri che occorre accertare, così come si rileva
dalla normativa in epigrafe.
3) Violazione di legge (art. 878 cod.civ.). Eccesso di potere per travisamento
dei fatti e difetto di istruttoria.
Diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione comunale, quello
realizzato dai ricorrenti è un muro di cinta, essendo posto sul confine ed
avendo un’altezza non superiore a tre metri. Né rileva che il muro non circondi
l’intera proprietà, perché è sufficiente che esso ne delimiti anche solo una
parte.
4) Violazione di legge (artt. 878 e 904 cod.civ.). Eccesso di potere per difetto
di istruttoria.
L’Amministrazione comunale ha ritenuto il “muro” una costruzione diversa
rispetto a quella che sarebbe stata autorizzata dalla Corte d’Appello di Bologna
(sent. n. 503 del 2005) nell’ambito della controversia civile insorta con i
confinanti. In realtà, quella decisione si era limitata a qualificare come
“luci”, e non “vedute”, le aperture dei vicini, così legittimando i ricorrenti a
chiuderle, ai sensi dell’art. 904 cod.civ., e tanto essi hanno nella circostanza
fatto.
5) Violazione di legge (art. 833 cod.civ.). Eccesso di potere per errore nei
presupposti.
Per costante giurisprudenza, è emulativo l’atto che abbia il solo scopo di
nuocere o arrecare molestia ad altri e che non produca alcuna utilità per il
proprietario, condizioni che non sussistono nella fattispecie, anche per avere i
ricorrenti legittimamente esercitato il diritto ad occludere una luce aperta sul
confine del vicino.
6) Violazione dell’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 21-nonies della
legge n. 241/90.
L’annullamento d’ufficio dell’atto abilitativo tacito è stato disposto in
assenza dei presupposti di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
In particolare, nulla è indicato circa le ragioni di interesse pubblico che
avrebbero giustificato l’esercizio del potere di autotutela.
7) Violazione dell’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 21-nonies della
legge n. 241/90. Tutela dell’affidamento.
Anche ad escludere che alla d.i.a. consegui la formazione di un titolo edilizio
implicito, quello impugnato andrebbe comunque qualificato come provvedimento di
natura sanzionatoria, ed è nota la necessità di una motivazione sull’interesse
pubblico e sull’affidamento del privato quando sia trascorso un lungo lasso di
tempo dalla commissione dell’abuso.
8) Illegittimità derivata.
In via derivata è illegittimo il provvedimento con cui è stata data
comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio conseguente
all’annullamento della d.i.a.
Concludono dunque i ricorrenti per l’annullamento degli atti impugnati.
Si è costituito in giudizio il Comune di Parma, resistendo al gravame.
L’istanza cautelare dei ricorrenti veniva respinta dalla Sezione alla Camera di
Consiglio del 23 ottobre 2007 (ord. n. 224/07).
Successivamente, a seguito dell’adozione del provvedimento (prot. n. 176889 del
10 ottobre 2007) con cui il Direttore del Settore Sportello unico “Impresa -
Edilizia - Cittadino” del Comune di Parma ha ingiunto ai ricorrenti la rimozione
delle opere abusive conseguenti all’annullamento della d.i.a., i ricorrenti
hanno proposto “motivi aggiunti” (depositati il 6 novembre 2007). Fanno valere
l’illegittimità derivata del nuovo atto, ma deducono altresì la violazione
dell’ivi richiamato art. 16 della legge reg. n. 23 del 2004 - il quale prevede
la sanzione pecuniaria e non la demolizione -, e l’eccessiva brevità del termine
di 15 giorni all’uopo previsto - inferiore a quelli contemplati dall’art. 13 (90
giorni) e dall’art. 14 (120 giorni) della legge reg. n. 23 del 2004 -.
La nuova istanza cautelare dei ricorrenti veniva respinta dalla Sezione alla
Camera di Consiglio del 20 novembre 2007 (ord. n. 245/07).
In relazione, poi, al sopraggiunto provvedimento (prot. n. 184436 del 22 ottobre
2008) con cui il Dirigente del Servizio Norme urbanistiche per la qualità
edilizia del Comune di Parma, invocando l’art. 13 della legge reg. n. 23 del
2004 - e così mutando il titolo del precedente provvedimento sanzionatorio -,
ingiungeva ai ricorrenti la demolizione delle opere abusive, perché ascrivibili
al “genus” delle nuove costruzioni e quindi soggette al previo rilascio del
permesso di costruire, i ricorrenti proponevano ulteriori “motivi aggiunti”
(depositati il 14 novembre 2008). Deducono:
1) Violazione di legge (art. 8 legge reg. n. 31/2002; artt. 13, 14, 15 e 16
legge reg. n. 23/2004). Eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto di
motivazione e difetto di istruttoria.
L’art. 8 della legge reg. n. 31 del 2002 qualifica le recinzioni e i muri di
cinta come interventi da sottoporre a d.i.a., non a permesso di costruire, così
come già rilevato dalla giurisprudenza in considerazione della loro natura
pertinenziale. Illegittima, dunque, è la sanzione demolitoria in luogo di quella
pecuniaria.
2) Violazione di legge (art. 7 della legge n. 241/90). Eccesso di potere per
errore nei presupposti, difetto di motivazione e difetto di istruttoria.
Essendo il nuovo provvedimento sanzionatorio il risultato di un annullamento in
autotutela del precedente atto, sarebbe stato necessario dare comunicazione di
avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato, anche con
riproposizione delle questioni già dedotte a mezzo dell’atto introduttivo della
lite.
L’istanza cautelare dei ricorrenti veniva accolta dalla Sezione alla Camera di
Consiglio del 16 dicembre 2008 (ord. n. 227/08).
All’udienza del 28 aprile 2009, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa
è passata in decisione.
DIRITTO
Realizzato un muro con il dichiarato
scopo di delimitare un lato della proprietà, i ricorrenti vedevano annullata
dall’Amministrazione comunale la corrispondente denuncia di inizio attività
(nell’assunto che non si trattasse di una recinzione ma che il manufatto fosse
unicamente preordinato a nuocere ai confinanti attraverso la chiusura di “luci”
in uso nella relativa costruzione), e poi ingiunta loro la demolizione
dell’opera abusiva (in un primo tempo per il venire meno del titolo edilizio e
in un secondo tempo per la carenza “ab initio” dell’asseritamente
necessario permesso di costruire). Deducono gli interessati l’indebita
individuazione di un limite legale legato alla tutela del diritto di proprietà
del vicino, l’ingiustificato rilievo assegnato in un simile procedimento alla
disposizione di cui all’art. 833 cod.civ., l’errata qualificazione giuridica di
un manufatto che presenterebbe in realtà i requisiti dei muri di cinta,
l’improprio richiamo ad una controversia civile il cui esito in alcun modo
avrebbe precluso l’intervento edilizio in questione, l’insussistenza nella
fattispecie dei presupposti legali per la configurazione di atti emulativi,
l’omesso accertamento del concorso delle ragioni di interesse pubblico che
consentissero di intervenire in autotutela sul titolo abilitativo tacito o
comunque di adottare sanzioni edilizie, l’illegittima assunzione della misura
demolitoria in un’ipotesi in cui l’art. 16 della legge reg. n. 23 del 2004
prevederebbe la sola sanzione pecuniaria ed in ogni caso l’avvenuta fissazione
di un termine (15 giorni) troppo breve per adempiere, la mancata considerazione
che per i “muri di cinta” opererebbe il regime della d.i.a. e non quello del
permesso di costruire, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento volto
all’annullamento d’ufficio del primo provvedimento sanzionatorio e alla sua
sostituzione con altra misura repressiva. A mezzo dell’atto introduttivo della
lite e di due distinti atti di “motivi aggiunti”, quindi, è stato richiesto
l’annullamento dei vari provvedimenti riguardanti il manufatto dei ricorrenti,
la cui natura abusiva - secondo l’Amministrazione - discenderebbe dalla mera
finalità emulativa perseguita e, per l’assenza delle caratteristiche tipiche dei
muri di recinzione, dall’omessa acquisizione del titolo abilitativo prescritto
per le “nuove costruzioni”.
Vanno innanzi tutto esaminate le doglianze proposte avverso il provvedimento di
annullamento della denuncia di inizio attività.
Alla base della determinazione comunale è l’assunto che, in difetto dei tratti
distintivi di un muro di recinzione - in quanto non esteso all’intero confine
della proprietà -, il manufatto andrebbe qualificato come mero “muro” e, di
conseguenza, rivelerebbe in sé la sola finalità di arrecare nocumento al vicino,
alla stregua degli atti emulativi di cui all’art. 833 cod.civ. In realtà, per
costante giurisprudenza (v., tra le altre, Cass. civ., Sez. II, 7 luglio 2004 n.
12459), il muro di cinta di cui all’art. 878 cod.civ. è tale se risponde a tre
imprescindibili requisiti: 1) essere isolato, nel senso che le facce di esso
emergano dal suolo e siano distaccate da ogni altra costruzione, 2) essere
destinato alla demarcazione della linea di confine ed alla separazione e
chiusura delle proprietà limitrofe, 3) avere un’altezza non superiore ai tre
metri; si tratta insomma dei muri che hanno l’obiettiva funzione di delimitare
la proprietà dai fondi adiacenti, e che sono tali, anche se carenti di taluni
dei suindicati requisiti (richiesti ai soli fini dell’esenzione dal rispetto
delle distanze legali imposte dall’art. 873 cod.civ.), perché ad un manufatto
che rappresenti un “minus” rispetto al muro di cinta propriamente detto -
in quanto privo in tutto od in parte di alcune delle caratteristiche in parola
-, ma comunque destinato ed idoneo anch’esso a delimitare un fondo, può
egualmente essere riconosciuta la funzione e l’utilità di demarcare la linea di
confine e di recingere l’immobile (v. Cass. civ., Sez. II, 25 giugno 2001 n.
8671), mentre non è necessario il suo prolungarsi per tutto il perimetro del
confine, ben potendosi valutare utile, in relazione alle caratteristiche dei
luoghi, una recinzione circoscritta ad uno o più lati della proprietà. In
presenza dei tre requisiti prescritti, dunque, non v’è a maggior ragione motivo
per negare a quello eretto dai ricorrenti la qualificazione di “muretta di
recinzione” a suo tempo adoperata nella d.i.a., e ingiustificate allora si
presentano le conclusioni dell’Amministrazione circa il carattere emulativo del
relativo intervento edilizio e la conseguente configurabilità di una limitazione
legale allo “ius aedificandi” posta a presidio del diritto di proprietà
del terzo, a fronte di un’iniziativa che, per la specifica destinazione
dell’opera a muro di confine, depone per un apprezzabile vantaggio dell’atto per
chi l’ha posto in essere (che ha così delimitato l’unico lato dell’immobile
privo di recinzione ed ha al contempo soddisfatto l’esigenza di riservatezza
correlata all’esistenza sul fondo limitrofo di “luci” qualificate dal giudice
civile come irregolari in quanto prive dei requisiti di cui all’art. 901
cod.civ.) e, pertanto, in difetto di elementi inequivocabili di segno contrario,
per l’insussistenza della mera ed esclusiva intenzione di nuocere o recare
molestia ad altri.
Di qui, assorbite le restanti doglianze, la fondatezza del ricorso introduttivo
della lite e l’annullamento degli atti ivi impugnati.
Illegittima in via derivata si presenta a questo punto l’ingiunzione di
rimozione disposta ai sensi dell’art. 16 della legge reg. n. 23 del 2004 (con
l’esplicita previsione dell’irrogazione di sanzione pecuniaria in caso di
inadempienza). Donde l’annullamento anche di questo provvedimento, in
accoglimento della censura formulata a mezzo del primo atto di “motivi
aggiunti”.
Con l’ulteriore atto di “motivi aggiunti”, infine, è stata impugnata la nuova
ingiunzione di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, assunta
dall’Amministrazione comunale in dichiarata applicazione dell’art. 13 della
legge reg. n. 23 del 2004. In particolare, si è ritenuto di dover ascrivere il
muro eretto dai ricorrenti alla categoria delle “nuove costruzioni”, soggette ad
un permesso di costruire mai nella fattispecie rilasciato, e se ne è desunta la
necessità della misura sanzionatoria in tal modo irrogata.
Ad avviso del Collegio, la circostanza che, come si è detto, il manufatto in
questione vada considerato un “muro di cinta”, e non un generico corpo di
fabbrica, priva di fondamento il provvedimento oggetto di censura. Correttamente
infatti i ricorrenti hanno richiamato la disposizione di cui all’art. 8, comma
1, della legge reg. n. 31 del 2002 laddove sottopone a denuncia di inizio
attività le “… recinzioni, i muri di cinta e le cancellate …” (lett. d), con una
prescrizione tanto chiara da non richiedere ulteriori approfondimenti.
Ne consegue l’illegittimità della nuova misura sanzionatoria e il suo
annullamento, con assorbimento degli altri capi di doglianza.
Attesa la peculiarità delle questioni esaminate, si ravvisa la sussistenza di
giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in
epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 28 aprile 2009, con
l’intervento dei Magistrati:
Luigi Papiano, Presidente
Italo Caso, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Primo Referendario
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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