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1974-9562
T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I - 12 maggio 2009, n. 257
ENERGIA - ELETTRODOTTI - Elettrodotto posto a servizio di un’unica utenza privata
- Natura
di opera di interesse generale - Sussistenza - Art. 3 L. n. 166/2002 -
Imposizione di servitù di elettrodotto - Diniego - Illegittimità. Le
attrezzature e gli impianti relativi alla rete elettrica costituiscono opere di
interesse generale, ai fini di cui all’art. 3 della L. n. 166/2002, e le stesse
sono funzionali allo svolgimento di un pubblico servizio (v. TAR Puglia, Bari,
Sez. I, 10 giugno 2003 n. 2359), sì da risultare irrilevante il numero dei
fruitori del singolo impianto, che - per il solo fatto di concorrere
all’esercizio del servizio elettrico - reca in sé le caratteristiche dell’opera
di pubblico interesse. Illegittimo, allora, si presenta il diniego di
imposizione di servitù di elettrodotto motivato unicamente con l’inesistenza
della finalità pubblica, sulla base della circostanza che l’elettrodotto è posto
a servizio di un’unica utenza privata. Pres. Papiano, Est.Caso -Enel
distribuzione spa (avv. Funes) c. Comune di Rivergaro (avv.ti Cavazzuti e
Ferrari) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I -
12/05/2009, n. 257
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00257/2009 REG.SEN.
N. 00144/2008 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 144 del 2008 proposto da ENEL Distribuzione S.p.A., in persona
del dott. Francesco Rondi, rappresentata e difesa dall’avv. Carla Funes,
dall’avv. Alessandro Meacci e dall’avv. Luigi Carbone, ed elettivamente
domiciliata in Parma, p.le Boito n. 5, presso lo studio dell’avv. Stefano
Vezzadini;
contro
il Comune di Rivergaro, in persona
del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giorgio Cavazzuti e dall’avv.
Giorgio Ferrari, e presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in Parma, borgo
Riccio da Parma n. 27;
nei confronti di
Magistrali Francesca, rappresentata
e difesa dall’avv. Giuseppe Manfredi ed elettivamente domiciliata in Parma,
piazza Garibaldi n. 17, presso lo studio dell’avv. Eugenia Monegatti;
Magistrali Assunta, Magistrali Zita, Faccini Anna Maria, Eredi di Mazzari Luigi,
Zangrandi Renzo ed Eredi di Magistrali Zita, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
- quanto all’atto introduttivo della
lite - del provvedimento prot. n. 2354 del 4 aprile 2008, a firma del Segretario
Generale del Comune di Rivergaro, avente ad oggetto “Acquisizione del diritto di
servitù di elettrodotto, senza carattere di inamovibilità, relativo alla linea
di bassa tensione a 0,400 Kv in cavo sotterraneo ubicata in Comune di Rivergaro,
via Nuvolone, attualmente senza titolo. Applicazione ex art. 43, comma 6bis, DPR
327/2001 e s.m.i. - Allaccio utenza elettrica Sig. Zangrandi Renzo”;
- quanto all’atto di “motivi aggiunti” depositato il 22 gennaio 2009 - del
provvedimento prot. n. 7967 del 17 novembre 2008, a firma del Responsabile del
Servizio Espropri del Comune di Rivergaro, recante il rigetto della domanda di
rilascio di provvedimento “costitutivo del diritto di servitù di elettrodotto -
senza dichiarazione di inamovibilità - per la linea elettrica di bassa tensione
a 0,400 KV in cavo sotterraneo ubicata in Comune di Rivergaro (PC), via Nuvolone”,
ai sensi dell’art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n. 327/2001.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rivergaro e di
Magistrali Francesca;
Visto l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 22 gennaio 2009;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 28 aprile 2009 i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Riferisce la società ricorrente che
il sig. Renzo Zangrandi, residente nel Comune di Rivergaro, presentava istanza
di allacciamento alla rete di distribuzione dell’energia elettrica in bassa
tensione per uso domestici presso la propria residenza; che, accertata la
necessità di realizzare un nuovo tratto di linea che consentisse la derivazione
dell’energia in funzione della richiesta fornitura, l’ENEL Distribuzione S.p.A.
vi provvedeva nell’autunno 2005 con un cavo sotterraneo collocato in aree
private; che, promossa azione civile dalla sig.ra Francesca Magistrali -
proprietaria di una parte di tali aree - per vedere rimosso l’elettrodotto in
relazione alla cui collocazione non era stato prestato il consenso, veniva
richiesto all’Amministrazione comunale il rilascio di provvedimento costitutivo
del diritto di servitù di elettrodotto, ai sensi dell’art. 43, comma 6-bis, del
d.P.R. n. 327 del 2001; che l’istanza dell’ENEL Distribuzione S.p.A. veniva
tuttavia respinta, per l’essere l’opera un “… allacciamento a servizio di
un’utenza privata …” (v. provvedimento prot. n. 2354 del 4 aprile 2008, a firma
del Segretario Generale del Comune di Rivergaro).
Avverso il diniego ha proposto impugnativa la società ricorrente, in qualità di
concessionaria “ex lege” del servizio pubblico di distribuzione
dell’energia elettrica, deducendo:
1) Violazione di legge, per contrasto con l’art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n.
327/2001.
Dal provvedimento di diniego si evince che l’Amministrazione comunale esclude la
sussistenza dei presupposti di applicazione della norma in epigrafe per la
mancanza di un interesse pubblico correlato all’allacciamento del cittadino alla
rete di distribuzione di energia elettrica. In r.ò,ealtà, l’elettrodotto in
questione costituisce opera funzionale all’espletamento di un servizio pubblico
“essenziale” (art. 1 l. n. 146/90) ed è ascrivibile agli interventi di pubblica
utilità (art. 52-bis d.P.R. n. 327/2001).
2) Violazione di legge, per contrasto con l’art. 3 della legge n. 241/90.
Eccesso di potere, per carente ed illogica motivazione e per sviamento.
Il diniego è fondato su di una motivazione del tutto insufficiente e inadeguata,
anche alla luce dell’omessa valutazione degli interessi in conflitto (v. art.
43, comma 1, d.P.R. n. 327/2001). Illogico, poi, per quanto già detto, è il
richiamo all’interesse privato perseguito dal richiedente l’allacciamento; e ciò
rivela anche il vizio di sviamento, stante il cattivo uso della discrezionalità
amministrativa.
3) Eccesso di potere, per travisamento dei fatti.
Il travisamento dei fatti scaturisce dalla circostanza che l’elettrodotto viene
erroneamente ritenuto un semplice allacciamento a servizio di un’utenza privata.
In realtà, non si tratta di un’opera che esaurisce la sua rilevanza ed utilità
nella sfera privata del beneficiario della fornitura, perché esso è porzione
della rete elettrica e quindi strumento del servizio pubblico di distribuzione
dell’energia elettrica.
4) Violazione di legge, per contrasto con le disposizioni di legge e
regolamentari attributive all’ENEL Distribuzione S.p.A. del compito di
esercitare, a titolo di concessione, l’attività di distribuzione dell’energia
elettrica nel territorio nazionale.
Stante l’obbligo legale a connettere alla rete elettrica tutti i soggetti che ne
facciano richiesta, la società ricorrente non ha fatto altro che adempiere ad un
proprio compito istituzionale (v. d.lgs. n. 79/99 e art. 38 della legge n.
340/2000). L’atto impugnato, dunque, pone ingiustificati ostacoli all’esigenza
di assicurare la continuità del servizio elettrico, anche alla luce della
necessaria intesa tra comuni e aziende erogatrici dei servizi per favorire la
realizzazione delle relative infrastrutture.
Conclude dunque la ricorrente per l’annullamento dell’atto impugnato.
Si sono costituzione in giudizio il Comune di Rivergaro e Magistrali Francesca,
resistendo al gravame.
L’istanza cautelare della ricorrente veniva accolta dalla Sezione alla Camera di
Consiglio del 22 luglio 2008 (ord. n. 104/2008).
A seguito di ciò, riesaminata l’istanza dell’ENEL Distribuzione S.p.A., il
Comune di Rivergaro la rigettava nuovamente (v. provvedimento prot. n. 7967 del
17 novembre 2008, a firma del Responsabile del Servizio Espropri).
Avverso l’ulteriore diniego ha proposto “motivi aggiunti” (depositati il 22
gennaio 2009) l’interessata, richiamando le censure formulate con l’atto
introduttivo della lite, e deducendo in via autonoma:
1) Violazione di legge, per contrasto con l’art. 10-bis della legge n. 241/90.
In quanto procedimento ad istanza di parte, l’Amministrazione comunale avrebbe
dovuto preventivamente comunicare i motivi ostativi all’accoglimento della
domanda. Ma tale adempimento è stato omesso.
2) Violazione di legge, per contrasto con l’art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n.
327/2001, in relazione all’art. 1056 e segg. cod.civ., nonché all’art. 119 e
segg. r.d. n. 1775/33. Violazione di legge, per contrasto con l’art. 3 della
legge n. 241/90. Eccesso di potere, per travisamento dei fatti, carente ed
illogica motivazione, sviamento.
Erroneamente l’Amministrazione ha escluso l’esistenza “in loco” di
apparecchiature tecnologiche riconducibili alla distribuzione di energia
elettrica, non considerando che il “contatore dei consumi” dello Zangrandi è
esso stesso un impianto avente tale natura e necessariamente collegato ad un
elettrodotto interrato. Di qui l’illegittima conclusione per cui il fondo
dominante sarebbe quello dello Zangrandi e solo lui avrebbe eventualmente titolo
alla costituzione di un diritto di servitù correlato ad utilità di natura
privata, dunque privo di connotati di interesse pubblico; in realtà, il fondo
dominante è lo stesso elettrodotto, con conseguente spettanza all’ENEL
Distribuzione S.p.A. della titolarità della servitù, a tutela di un interesse
pubblico. Quanto, poi, alla valutazione degli interessi in conflitto,
l’Amministrazione non ha tenuto conto delle esigenze rappresentate dalla
ricorrente e della sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge.
Emerge anche il vizio di sviamento, visto l’indebito riferimento al solo
interesse privato e all’asserita necessità di risolvere in tal modo questioni
che riguarderebbero unicamente le vertenze tra privati.
L’istanza cautelare della società ricorrente veniva accolta dalla Sezione alla
Camera di Consiglio del 10 febbraio 2009 (ord. n. 28/09).
All’udienza del 28 aprile 2009, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa
è passata in decisione.
DIRITTO
Al fine di sanare l’illecito
derivante dalla collocazione di un elettrodotto interrato in area di proprietà
di soggetto che non vi aveva prestato il proprio consenso e che anzi aveva
successivamente adito il giudice civile per ottenere la rimozione dell’impianto,
la società ricorrente chiedeva al Comune di Rivergaro l’emissione di un
provvedimento costitutivo di servitù ex art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n. 327
del 2001, vedendosi prima opporre un diniego motivato con la carenza del
pubblico interesse alla conservazione dell’opera (in quanto funzionale
all’allacciamento alla rete di un’unica utenza privata) e poi, a seguito della
sospensione giudiziale di tale provvedimento, un secondo diniego motivato - da
un lato - con l’inesistenza di diritti reali della richiedente sul fondo privato
che si sarebbe voluto rendere “dominante” e - dall’altro lato - con la
prevalenza dell’interesse alla tutela del diritto costituzionale alla proprietà
privata rispetto ad un interesse pubblico non assistito nella fattispecie dalle
eccezionali circostanze che dovrebbero giustificarne la speciale protezione
operata con l’istituto della c.d. “acquisizione sanante”. Lamenta, quanto al
primo provvedimento negativo, l’erronea attribuzione all’impianto della
qualificazione di opera preordinata al perseguimento di finalità prive di
rilievo pubblico, l’insufficiente ed inadeguata motivazione circa la necessaria
comparazione degli interessi in conflitto, lo sviato esercizio della funzione
amministrativa, il non corretto apprezzamento delle circostanze di fatto emerse
in sede istruttoria, l’introduzione di ingiustificati ostacoli all’esigenza di
assicurare la continuità del servizio elettrico; deduce, poi, quanto al secondo
provvedimento negativo, l’illegittimità derivata dal precedente atto, ed inoltre
la mancata comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis della legge n. 241
del 1990, l’errata conclusione per cui non emergerebbero né l’assoluta necessità
né l’urgenza di provvedere alla realizzazione dell’elettrodotto, l’omessa
considerazione che il “fondo dominante” è costituito in realtà dallo stesso
impianto e che per questo spetta alla società ricorrente la titolarità del
diritto di servitù reclamato, lo sviato esercizio della funzione amministrativa.
Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.
Muovendo dall’esame delle censure inerenti il primo dei due provvedimenti di
diniego, occorre innanzi tutto occuparsi dell’eccezione imperniata
sull’inammissibilità di tali doglianze perché relative ad atto che sarebbe
meramente confermativo di un precedente diniego non impugnato (v. memorie
difensive delle controparti). In realtà - osserva il Collegio - il provvedimento
amministrativo ha natura confermativa quando, senza acquisizione di nuovi
elementi di fatto e senza alcuna nuova valutazione, tiene ferme le statuizioni
anteriormente adottate, mentre l’effettuazione di un’ulteriore istruttoria,
anche per la sola verifica dei fatti o per un rinnovato apprezzamento degli
stessi, fa sì che il mantenimento dell’assetto degli interessi già disposto
presenti carattere di nuovo provvedimento, poiché esprime un diverso esercizio
del medesimo potere (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2008 n.
797); nella circostanza, come è evidente, si tratta addirittura dell’esercizio
di un potere diverso - prima quello relativo alla dichiarazione di pubblica
utilità di un’opera per l’avvio del procedimento ablativo ordinario ed ora
quello relativo alla c.d. “acquisizione sanante” ex art. 43 del d.P.R. n. 327
del 2001 -, sicché il rinvio all’esito di una pregressa istruttoria, ove pure
non rivelasse un rinnovato apprezzamento delle risultanze della stessa, appare
comunque inidoneo a palesare l’identità di determinazioni che, per attenere a
funzioni differenti, non possono che essere autonome l’una dall’altra. Donde
l’infondatezza dell’eccezione.
Nel merito, si tratta di verificare se correttamente l’Amministrazione comunale
abbia fatto derivare l’inapplicabilità dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001,
per carenza del requisito della destinazione del bene a finalità di interesse
pubblico, dalla circostanza che l’elettrodotto è posto a servizio di un’unica
utenza privata.
Prevede la disposizione in esame, per quel che rileva nella presente
controversia, che “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza
un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del
valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica
utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e
che al proprietario vadano risarciti i danni” (comma 1) e che “ai sensi
dell’articolo 3 della legge 1° agosto 2002, n. 166, l’autorità espropriante può
procedere, ai sensi dei commi precedenti, disponendo, con oneri di esproprio a
carico dei soggetti beneficiari, l’eventuale acquisizione del diritto di servitù
al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni,
autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di
interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia”
(comma 6-bis). Orbene, non può essere contestato che le attrezzature e gli
impianti relativi alla rete elettrica costituiscano opere di interesse generale
e che le stesse siano funzionali allo svolgimento di un pubblico servizio (v.
TAR Puglia, Bari, Sez. I, 10 giugno 2003 n. 2359), sì da risultare irrilevante
il numero dei fruitori del singolo impianto, che - per il solo fatto di
concorrere all’esercizio del servizio elettrico - reca in sé le caratteristiche
dell’opera di pubblico interesse. Illegittimo, allora, si presenta il diniego di
imposizione di servitù di elettrodotto motivato unicamente con l’inesistenza
della finalità pubblica, senza la necessaria valutazione delle altre condizioni
richieste dalle legge.
Viene a questo punto in rilievo la questione di legittimità costituzionale
dedotta dalla controinteressata, la quale denuncia il contrasto dell’art. 43 del
d.P.R. n. 327 del 2001 con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, e quindi la violazione dell’art. 117
Cost. Sul punto, tuttavia, la Sezione si è già pronunciata per la manifesta
infondatezza (v. sent. n. 9 del 14 gennaio 2009) - e il Collegio non ravvisa
motivi per discostarsene -, alla luce di quella giurisprudenza amministrativa
che ha avuto modo di rilevare come l’istituto dell’«acquisizione sanante»
rispetti i parametri imposti dalla Corte europea di Strasburgo (v. Cons. Stato,
Ad. plen., 29 aprile 2005 n. 2), e come anche quest’ultima, con decisione
risalente al 22 giugno 2006 (causa Ucci contro Repubblica Italiana), abbia
condiviso le conclusioni del giudice interno a proposito dell’ammissibilità del
nuovo istituto se applicato nella rigorosa interpretazione in quella sede
indicata, non anche se lo si intendesse quale mera codificazione della figura di
creazione giurisprudenziale in precedenza considerata (v., da ultimo, Cons.
Stato, Sez. IV, 27 novembre 2008 n. 5856).
In conclusione, assorbite le restanti doglianze, il ricorso introduttivo della
lite risulta meritevole di accoglimento - nei termini specificati -, con
conseguente annullamento del provvedimento prot. n. 2354 del 4 aprile 2008.
Venendo al vaglio delle questioni sollevate in sede di impugnativa del secondo
provvedimento di diniego, il Collegio valuta utile richiamare preliminarmente
talune considerazioni a suo tempo formulate dalla Sezione in occasione della
risoluzione di una controversia concernente l’applicazione dell’art. 43 del
d.P.R. n. 327 del 2001 (v. sent. n. 9 del 14 gennaio 2009). Nella circostanza,
alla luce dei precedenti giurisprudenziali in materia, si osservava che, avendo
l’istituto in esame una finalità di sanatoria di situazioni in cui si è
realizzata la compressione del fondamentale diritto di proprietà in assenza
delle legittime procedure espropriative, risulta essenziale accertare - quale
condizione basilare per la misura ablativa - che l’interesse pubblico non possa
essere soddisfatto in altro modo che con la definitiva acquisizione del bene al
patrimonio pubblico, sicché di tanto occorre dare esauriente motivazione
attraverso la prevista valutazione degli interessi in conflitto, e cioè ponendo
in luce le ragioni dell’interesse alla realizzazione dell’opera, dando conto dei
motivi ostativi al ricorso alla procedura ordinaria, illustrando la situazione
di assoluta necessità a che l’immobile sia acquisito nello stato in cui si
trova, evidenziando l’entità della trasformazione da questo subita e lo spreco
di risorse pubbliche che deriverebbe dalla sua restituzione al proprietario,
giustificando in conclusione l’eccezionale rilevanza dell’interesse pubblico
rispetto a quello privato, a sua volta da intendere non come interesse alla
utilizzazione del bene per scopi personali, quanto piuttosto come interesse alla
difesa del diritto di proprietà, onde la valutazione non può essere compiuta tra
l’utilità effettiva che il privato ricava o intende ricavare dal bene e quella a
favore della collettività, ma tra la tutela del diritto costituzionale alla
proprietà privata e il particolare beneficio che l’acquisizione reca
all’interesse pubblico (v. Cons. giust. amm. Reg. Sic. 29 maggio 2008 n. 490);
la motivazione dell’atto, pertanto, deve dimostrare che la sottrazione del bene
all’ente che se ne è appropriato senza titolo idoneo produrrebbe il sacrificio
di rilevanti interessi pubblici non altrimenti suscettibili di soddisfacimento o
quanto meno li pregiudicherebbe in modo tanto grave da comportare un
considerevole danno per la collettività, così giustificandone la prevalenza su
quello privato.
In tale quadro normativo e giurisprudenziale ben si comprende come
l’Amministrazione comunale, a fronte dell’oggettiva possibilità di tracciati
diversi e quindi della sussistenza di soluzioni alternative alla scelta
localizzativa prescelta, abbia ritenuto non ricorrente il requisito
dell’assoluta necessità del mantenimento dell’elettrodotto nella sua attuale
collocazione. L’ente, invero, ha prima genericamente addotto l’impraticabilità
di una diversa ubicazione sulla base della “… inesistenza di qualsiasi
condizione tecnico-funzionale …” a tal fine richiesta (v. domanda presentata il
18 marzo 2008), e ha poi ammesso la percorribilità di soluzioni alternative,
anche se con disagi di vario tipo ed oneri finanziari o impatto ambientale
maggiori, peraltro non documentati (v. memoria difensiva depositata il 14 luglio
2008); se, però, il potere acquisitivo in questione ha natura “eccezionale” e
non può dunque risolversi in un mero succedaneo della procedura ordinaria, è
insufficiente addurre a suo fondamento che il tracciato prescelto è il più
adeguato allo scopo e che altre soluzioni sarebbero meno convenienti sotto il
profilo dei costi o meno agevoli nella fase di realizzazione - se non si prova
che simili circostanze determinino anche un effettivo e grave impedimento alla
cura dell’interesse pubblico oggetto di tutela -, perché ciò vale nel caso
dell’iter ordinario, non quando occorre intervenire in via di sanatoria su
situazioni di illecito. Era in definitiva onere della società ricorrente
dimostrare, con dati documentali inequivocabili, che l’interesse pubblico
perseguito si presentava in concreto suscettibile di soddisfacimento solo e
soltanto a mezzo della scelta localizzativa effettuata - per difettare
alternative idonee -, mentre a tanto non si è provveduto neppure in giudizio,
accreditando le conclusioni dell’Amministrazione comunale circa l’insussistenza
di un’assoluta necessità di conservazione dell’impianto nella sua attuale sede.
Tanto è sufficiente a sorreggere il diniego opposto dall’Amministrazione
comunale all’ente elettrico, e rende di conseguenza superfluo l’esame delle
censure proposte avverso gli altri capi di motivazione. Per costante
giurisprudenza, infatti, in caso di diniego fondato su più ragioni
giustificatrici tra loro autonome, il provvedimento amministrativo si presenta
legittimo quando anche solo una di esse risulti esente da vizi (v., tra le
altre, Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 2007 n. 6732).
Quanto, poi, al dedotto vizio di sviamento - che si assume rivelato dal
reiterarsi del diniego e dal ricorso a nuove e pretestuose motivazioni (quale la
dichiarata impossibilità di risolvere questioni di carattere meramente
privatistico) -, osserva il Collegio come in simili casi occorra l’allegazione
di elementi probatori univoci, dai quali emerga la divergenza dall’atto dalla
sua funzione tipica, ovvero il concreto perseguimento di finalità diverse da
quelle cui dovrebbe essere preordinato l’esercizio del potere. Difettano invece
nella fattispecie elementi significativi in tal senso, anche e soprattutto alla
luce del capo di motivazione incentrato sulla «valutazione degli interessi in
conflitto», che si è visto essere frutto di un corretto apprezzamento degli
elementi istruttori acquisiti al procedimento, oltre che di per sé idoneo a
sorreggere il diniego, indipendentemente dalla validità o meno delle altre
ragioni giustificatrici contenute nell’atto e dagli eventuali illegittimi
obiettivi che le hanno ispirate.
Quanto, infine, alla denunciata carenza del c.d. “preavviso di rigetto” ex art.
10-bis della legge n. 241 del 1990, va richiamato quel condivisibile
orientamento (v. TAR Lombardia, Brescia, 20 agosto 2008 n. 862) per cui il
difetto di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento di
un’istanza è assimilabile all’assenza di comunicazione di avvio del
procedimento, in quanto entrambi gli atti, seppur con riferimento a due distinte
sub-fasi procedurali, hanno lo scopo di permettere un effettivo confronto tra
l’Amministrazione e i privati anteriormente all’adozione di un provvedimento
negativo, in modo che non siano trascurati elementi istruttori utili per la
decisione finale; con la conseguenza che l’identità della funzione permette di
affermare che anche la mancanza della comunicazione ex art. 10-bis incide sulla
validità dell’atto conclusivo nei soli limiti previsti dall’art. 21-octies,
comma 2, della legge n. 241 del 1990, ossia qualora si sia determinato un
deficit istruttorio. La circostanza allora che la società ricorrente, come si è
visto, non ha addotto in giudizio nessun nuovo elemento di fatto astrattamente
suscettibile di incidere sul requisito della «assoluta necessità» della
realizzazione dell’elettrodotto secondo le modalità contestate, ad avviso del
Collegio, evidenzia che le eventuali osservazioni dell’interessata nulla
avrebbero aggiunto al quadro istruttorio finale, sì da doversi concludere nel
senso che il “… contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato …” (art. 21-octies, comma 2, seconda parte, della
legge n. 241 del 1990), norma che va interpretata in modo estensivo includendovi
anche la figura del c.d. “preavviso di rigetto” (v., tra le altre, TAR
Basilicata 27 novembre 2008 n. 901).
In conclusione, il ricorso per “motivi aggiunti” va respinto.
Attesa la peculiarità delle questioni esaminate, e tenuto anche conto della
reciproca soccombenza delle parti, si ravvisa la sussistenza di giusti motivi
per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in
epigrafe, così provvede:
- accoglie il ricorso introduttivo della lite, nei sensi di cui in motivazione,
e - per l’effetto - annulla il provvedimento prot. n. 2354 del 4 aprile 2008;
- respinge il ricorso per “motivi aggiunti”.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 28 aprile 2009, con
l’intervento dei Magistrati:
Luigi Papiano, Presidente
Italo Caso, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Primo Referendario
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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