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T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I - 12 maggio 2009, n. 257


ENERGIA - ELETTRODOTTI - Elettrodotto posto a servizio di un’unica utenza privata - Natura di opera di interesse generale - Sussistenza - Art. 3 L. n. 166/2002 - Imposizione di servitù di elettrodotto - Diniego - Illegittimità. Le attrezzature e gli impianti relativi alla rete elettrica costituiscono opere di interesse generale, ai fini di cui all’art. 3 della L. n. 166/2002, e le stesse sono funzionali allo svolgimento di un pubblico servizio (v. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 10 giugno 2003 n. 2359), sì da risultare irrilevante il numero dei fruitori del singolo impianto, che - per il solo fatto di concorrere all’esercizio del servizio elettrico - reca in sé le caratteristiche dell’opera di pubblico interesse. Illegittimo, allora, si presenta il diniego di imposizione di servitù di elettrodotto motivato unicamente con l’inesistenza della finalità pubblica, sulla base della circostanza che l’elettrodotto è posto a servizio di un’unica utenza privata. Pres. Papiano, Est.Caso -Enel distribuzione spa (avv. Funes) c. Comune di Rivergaro (avv.ti Cavazzuti e Ferrari) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I - 12/05/2009, n. 257
 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 00257/2009 REG.SEN.
N. 00144/2008 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso n. 144 del 2008 proposto da ENEL Distribuzione S.p.A., in persona del dott. Francesco Rondi, rappresentata e difesa dall’avv. Carla Funes, dall’avv. Alessandro Meacci e dall’avv. Luigi Carbone, ed elettivamente domiciliata in Parma, p.le Boito n. 5, presso lo studio dell’avv. Stefano Vezzadini;
 

contro
 

il Comune di Rivergaro, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giorgio Cavazzuti e dall’avv. Giorgio Ferrari, e presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in Parma, borgo Riccio da Parma n. 27;
 

nei confronti di
 

Magistrali Francesca, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Manfredi ed elettivamente domiciliata in Parma, piazza Garibaldi n. 17, presso lo studio dell’avv. Eugenia Monegatti;
Magistrali Assunta, Magistrali Zita, Faccini Anna Maria, Eredi di Mazzari Luigi, Zangrandi Renzo ed Eredi di Magistrali Zita, non costituiti in giudizio;
 

per l'annullamento
 

- quanto all’atto introduttivo della lite - del provvedimento prot. n. 2354 del 4 aprile 2008, a firma del Segretario Generale del Comune di Rivergaro, avente ad oggetto “Acquisizione del diritto di servitù di elettrodotto, senza carattere di inamovibilità, relativo alla linea di bassa tensione a 0,400 Kv in cavo sotterraneo ubicata in Comune di Rivergaro, via Nuvolone, attualmente senza titolo. Applicazione ex art. 43, comma 6bis, DPR 327/2001 e s.m.i. - Allaccio utenza elettrica Sig. Zangrandi Renzo”;

- quanto all’atto di “motivi aggiunti” depositato il 22 gennaio 2009 - del provvedimento prot. n. 7967 del 17 novembre 2008, a firma del Responsabile del Servizio Espropri del Comune di Rivergaro, recante il rigetto della domanda di rilascio di provvedimento “costitutivo del diritto di servitù di elettrodotto - senza dichiarazione di inamovibilità - per la linea elettrica di bassa tensione a 0,400 KV in cavo sotterraneo ubicata in Comune di Rivergaro (PC), via Nuvolone”, ai sensi dell’art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n. 327/2001.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rivergaro e di Magistrali Francesca;

Visto l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 22 gennaio 2009;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il dott. Italo Caso;

Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 28 aprile 2009 i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 

FATTO
 

Riferisce la società ricorrente che il sig. Renzo Zangrandi, residente nel Comune di Rivergaro, presentava istanza di allacciamento alla rete di distribuzione dell’energia elettrica in bassa tensione per uso domestici presso la propria residenza; che, accertata la necessità di realizzare un nuovo tratto di linea che consentisse la derivazione dell’energia in funzione della richiesta fornitura, l’ENEL Distribuzione S.p.A. vi provvedeva nell’autunno 2005 con un cavo sotterraneo collocato in aree private; che, promossa azione civile dalla sig.ra Francesca Magistrali - proprietaria di una parte di tali aree - per vedere rimosso l’elettrodotto in relazione alla cui collocazione non era stato prestato il consenso, veniva richiesto all’Amministrazione comunale il rilascio di provvedimento costitutivo del diritto di servitù di elettrodotto, ai sensi dell’art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n. 327 del 2001; che l’istanza dell’ENEL Distribuzione S.p.A. veniva tuttavia respinta, per l’essere l’opera un “… allacciamento a servizio di un’utenza privata …” (v. provvedimento prot. n. 2354 del 4 aprile 2008, a firma del Segretario Generale del Comune di Rivergaro).

Avverso il diniego ha proposto impugnativa la società ricorrente, in qualità di concessionaria “ex lege” del servizio pubblico di distribuzione dell’energia elettrica, deducendo:

1) Violazione di legge, per contrasto con l’art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n. 327/2001.

Dal provvedimento di diniego si evince che l’Amministrazione comunale esclude la sussistenza dei presupposti di applicazione della norma in epigrafe per la mancanza di un interesse pubblico correlato all’allacciamento del cittadino alla rete di distribuzione di energia elettrica. In r.ò,ealtà, l’elettrodotto in questione costituisce opera funzionale all’espletamento di un servizio pubblico “essenziale” (art. 1 l. n. 146/90) ed è ascrivibile agli interventi di pubblica utilità (art. 52-bis d.P.R. n. 327/2001).


2) Violazione di legge, per contrasto con l’art. 3 della legge n. 241/90. Eccesso di potere, per carente ed illogica motivazione e per sviamento.

Il diniego è fondato su di una motivazione del tutto insufficiente e inadeguata, anche alla luce dell’omessa valutazione degli interessi in conflitto (v. art. 43, comma 1, d.P.R. n. 327/2001). Illogico, poi, per quanto già detto, è il richiamo all’interesse privato perseguito dal richiedente l’allacciamento; e ciò rivela anche il vizio di sviamento, stante il cattivo uso della discrezionalità amministrativa.

3) Eccesso di potere, per travisamento dei fatti.

Il travisamento dei fatti scaturisce dalla circostanza che l’elettrodotto viene erroneamente ritenuto un semplice allacciamento a servizio di un’utenza privata. In realtà, non si tratta di un’opera che esaurisce la sua rilevanza ed utilità nella sfera privata del beneficiario della fornitura, perché esso è porzione della rete elettrica e quindi strumento del servizio pubblico di distribuzione dell’energia elettrica.

4) Violazione di legge, per contrasto con le disposizioni di legge e regolamentari attributive all’ENEL Distribuzione S.p.A. del compito di esercitare, a titolo di concessione, l’attività di distribuzione dell’energia elettrica nel territorio nazionale.

Stante l’obbligo legale a connettere alla rete elettrica tutti i soggetti che ne facciano richiesta, la società ricorrente non ha fatto altro che adempiere ad un proprio compito istituzionale (v. d.lgs. n. 79/99 e art. 38 della legge n. 340/2000). L’atto impugnato, dunque, pone ingiustificati ostacoli all’esigenza di assicurare la continuità del servizio elettrico, anche alla luce della necessaria intesa tra comuni e aziende erogatrici dei servizi per favorire la realizzazione delle relative infrastrutture.

Conclude dunque la ricorrente per l’annullamento dell’atto impugnato.

Si sono costituzione in giudizio il Comune di Rivergaro e Magistrali Francesca, resistendo al gravame.

L’istanza cautelare della ricorrente veniva accolta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 22 luglio 2008 (ord. n. 104/2008).

A seguito di ciò, riesaminata l’istanza dell’ENEL Distribuzione S.p.A., il Comune di Rivergaro la rigettava nuovamente (v. provvedimento prot. n. 7967 del 17 novembre 2008, a firma del Responsabile del Servizio Espropri).

Avverso l’ulteriore diniego ha proposto “motivi aggiunti” (depositati il 22 gennaio 2009) l’interessata, richiamando le censure formulate con l’atto introduttivo della lite, e deducendo in via autonoma:

1) Violazione di legge, per contrasto con l’art. 10-bis della legge n. 241/90.

In quanto procedimento ad istanza di parte, l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto preventivamente comunicare i motivi ostativi all’accoglimento della domanda. Ma tale adempimento è stato omesso.

2) Violazione di legge, per contrasto con l’art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n. 327/2001, in relazione all’art. 1056 e segg. cod.civ., nonché all’art. 119 e segg. r.d. n. 1775/33. Violazione di legge, per contrasto con l’art. 3 della legge n. 241/90. Eccesso di potere, per travisamento dei fatti, carente ed illogica motivazione, sviamento.

Erroneamente l’Amministrazione ha escluso l’esistenza “in loco” di apparecchiature tecnologiche riconducibili alla distribuzione di energia elettrica, non considerando che il “contatore dei consumi” dello Zangrandi è esso stesso un impianto avente tale natura e necessariamente collegato ad un elettrodotto interrato. Di qui l’illegittima conclusione per cui il fondo dominante sarebbe quello dello Zangrandi e solo lui avrebbe eventualmente titolo alla costituzione di un diritto di servitù correlato ad utilità di natura privata, dunque privo di connotati di interesse pubblico; in realtà, il fondo dominante è lo stesso elettrodotto, con conseguente spettanza all’ENEL Distribuzione S.p.A. della titolarità della servitù, a tutela di un interesse pubblico. Quanto, poi, alla valutazione degli interessi in conflitto, l’Amministrazione non ha tenuto conto delle esigenze rappresentate dalla ricorrente e della sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge. Emerge anche il vizio di sviamento, visto l’indebito riferimento al solo interesse privato e all’asserita necessità di risolvere in tal modo questioni che riguarderebbero unicamente le vertenze tra privati.

L’istanza cautelare della società ricorrente veniva accolta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 10 febbraio 2009 (ord. n. 28/09).

All’udienza del 28 aprile 2009, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
 

DIRITTO
 

Al fine di sanare l’illecito derivante dalla collocazione di un elettrodotto interrato in area di proprietà di soggetto che non vi aveva prestato il proprio consenso e che anzi aveva successivamente adito il giudice civile per ottenere la rimozione dell’impianto, la società ricorrente chiedeva al Comune di Rivergaro l’emissione di un provvedimento costitutivo di servitù ex art. 43, comma 6-bis, del d.P.R. n. 327 del 2001, vedendosi prima opporre un diniego motivato con la carenza del pubblico interesse alla conservazione dell’opera (in quanto funzionale all’allacciamento alla rete di un’unica utenza privata) e poi, a seguito della sospensione giudiziale di tale provvedimento, un secondo diniego motivato - da un lato - con l’inesistenza di diritti reali della richiedente sul fondo privato che si sarebbe voluto rendere “dominante” e - dall’altro lato - con la prevalenza dell’interesse alla tutela del diritto costituzionale alla proprietà privata rispetto ad un interesse pubblico non assistito nella fattispecie dalle eccezionali circostanze che dovrebbero giustificarne la speciale protezione operata con l’istituto della c.d. “acquisizione sanante”. Lamenta, quanto al primo provvedimento negativo, l’erronea attribuzione all’impianto della qualificazione di opera preordinata al perseguimento di finalità prive di rilievo pubblico, l’insufficiente ed inadeguata motivazione circa la necessaria comparazione degli interessi in conflitto, lo sviato esercizio della funzione amministrativa, il non corretto apprezzamento delle circostanze di fatto emerse in sede istruttoria, l’introduzione di ingiustificati ostacoli all’esigenza di assicurare la continuità del servizio elettrico; deduce, poi, quanto al secondo provvedimento negativo, l’illegittimità derivata dal precedente atto, ed inoltre la mancata comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, l’errata conclusione per cui non emergerebbero né l’assoluta necessità né l’urgenza di provvedere alla realizzazione dell’elettrodotto, l’omessa considerazione che il “fondo dominante” è costituito in realtà dallo stesso impianto e che per questo spetta alla società ricorrente la titolarità del diritto di servitù reclamato, lo sviato esercizio della funzione amministrativa. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.

Muovendo dall’esame delle censure inerenti il primo dei due provvedimenti di diniego, occorre innanzi tutto occuparsi dell’eccezione imperniata sull’inammissibilità di tali doglianze perché relative ad atto che sarebbe meramente confermativo di un precedente diniego non impugnato (v. memorie difensive delle controparti). In realtà - osserva il Collegio - il provvedimento amministrativo ha natura confermativa quando, senza acquisizione di nuovi elementi di fatto e senza alcuna nuova valutazione, tiene ferme le statuizioni anteriormente adottate, mentre l’effettuazione di un’ulteriore istruttoria, anche per la sola verifica dei fatti o per un rinnovato apprezzamento degli stessi, fa sì che il mantenimento dell’assetto degli interessi già disposto presenti carattere di nuovo provvedimento, poiché esprime un diverso esercizio del medesimo potere (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2008 n. 797); nella circostanza, come è evidente, si tratta addirittura dell’esercizio di un potere diverso - prima quello relativo alla dichiarazione di pubblica utilità di un’opera per l’avvio del procedimento ablativo ordinario ed ora quello relativo alla c.d. “acquisizione sanante” ex art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 -, sicché il rinvio all’esito di una pregressa istruttoria, ove pure non rivelasse un rinnovato apprezzamento delle risultanze della stessa, appare comunque inidoneo a palesare l’identità di determinazioni che, per attenere a funzioni differenti, non possono che essere autonome l’una dall’altra. Donde l’infondatezza dell’eccezione.

Nel merito, si tratta di verificare se correttamente l’Amministrazione comunale abbia fatto derivare l’inapplicabilità dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, per carenza del requisito della destinazione del bene a finalità di interesse pubblico, dalla circostanza che l’elettrodotto è posto a servizio di un’unica utenza privata.

Prevede la disposizione in esame, per quel che rileva nella presente controversia, che “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni” (comma 1) e che “ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° agosto 2002, n. 166, l’autorità espropriante può procedere, ai sensi dei commi precedenti, disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia” (comma 6-bis). Orbene, non può essere contestato che le attrezzature e gli impianti relativi alla rete elettrica costituiscano opere di interesse generale e che le stesse siano funzionali allo svolgimento di un pubblico servizio (v. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 10 giugno 2003 n. 2359), sì da risultare irrilevante il numero dei fruitori del singolo impianto, che - per il solo fatto di concorrere all’esercizio del servizio elettrico - reca in sé le caratteristiche dell’opera di pubblico interesse. Illegittimo, allora, si presenta il diniego di imposizione di servitù di elettrodotto motivato unicamente con l’inesistenza della finalità pubblica, senza la necessaria valutazione delle altre condizioni richieste dalle legge.

Viene a questo punto in rilievo la questione di legittimità costituzionale dedotta dalla controinteressata, la quale denuncia il contrasto dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e quindi la violazione dell’art. 117 Cost. Sul punto, tuttavia, la Sezione si è già pronunciata per la manifesta infondatezza (v. sent. n. 9 del 14 gennaio 2009) - e il Collegio non ravvisa motivi per discostarsene -, alla luce di quella giurisprudenza amministrativa che ha avuto modo di rilevare come l’istituto dell’«acquisizione sanante» rispetti i parametri imposti dalla Corte europea di Strasburgo (v. Cons. Stato, Ad. plen., 29 aprile 2005 n. 2), e come anche quest’ultima, con decisione risalente al 22 giugno 2006 (causa Ucci contro Repubblica Italiana), abbia condiviso le conclusioni del giudice interno a proposito dell’ammissibilità del nuovo istituto se applicato nella rigorosa interpretazione in quella sede indicata, non anche se lo si intendesse quale mera codificazione della figura di creazione giurisprudenziale in precedenza considerata (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 27 novembre 2008 n. 5856).

In conclusione, assorbite le restanti doglianze, il ricorso introduttivo della lite risulta meritevole di accoglimento - nei termini specificati -, con conseguente annullamento del provvedimento prot. n. 2354 del 4 aprile 2008.

Venendo al vaglio delle questioni sollevate in sede di impugnativa del secondo provvedimento di diniego, il Collegio valuta utile richiamare preliminarmente talune considerazioni a suo tempo formulate dalla Sezione in occasione della risoluzione di una controversia concernente l’applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 (v. sent. n. 9 del 14 gennaio 2009). Nella circostanza, alla luce dei precedenti giurisprudenziali in materia, si osservava che, avendo l’istituto in esame una finalità di sanatoria di situazioni in cui si è realizzata la compressione del fondamentale diritto di proprietà in assenza delle legittime procedure espropriative, risulta essenziale accertare - quale condizione basilare per la misura ablativa - che l’interesse pubblico non possa essere soddisfatto in altro modo che con la definitiva acquisizione del bene al patrimonio pubblico, sicché di tanto occorre dare esauriente motivazione attraverso la prevista valutazione degli interessi in conflitto, e cioè ponendo in luce le ragioni dell’interesse alla realizzazione dell’opera, dando conto dei motivi ostativi al ricorso alla procedura ordinaria, illustrando la situazione di assoluta necessità a che l’immobile sia acquisito nello stato in cui si trova, evidenziando l’entità della trasformazione da questo subita e lo spreco di risorse pubbliche che deriverebbe dalla sua restituzione al proprietario, giustificando in conclusione l’eccezionale rilevanza dell’interesse pubblico rispetto a quello privato, a sua volta da intendere non come interesse alla utilizzazione del bene per scopi personali, quanto piuttosto come interesse alla difesa del diritto di proprietà, onde la valutazione non può essere compiuta tra l’utilità effettiva che il privato ricava o intende ricavare dal bene e quella a favore della collettività, ma tra la tutela del diritto costituzionale alla proprietà privata e il particolare beneficio che l’acquisizione reca all’interesse pubblico (v. Cons. giust. amm. Reg. Sic. 29 maggio 2008 n. 490); la motivazione dell’atto, pertanto, deve dimostrare che la sottrazione del bene all’ente che se ne è appropriato senza titolo idoneo produrrebbe il sacrificio di rilevanti interessi pubblici non altrimenti suscettibili di soddisfacimento o quanto meno li pregiudicherebbe in modo tanto grave da comportare un considerevole danno per la collettività, così giustificandone la prevalenza su quello privato.

In tale quadro normativo e giurisprudenziale ben si comprende come l’Amministrazione comunale, a fronte dell’oggettiva possibilità di tracciati diversi e quindi della sussistenza di soluzioni alternative alla scelta localizzativa prescelta, abbia ritenuto non ricorrente il requisito dell’assoluta necessità del mantenimento dell’elettrodotto nella sua attuale collocazione. L’ente, invero, ha prima genericamente addotto l’impraticabilità di una diversa ubicazione sulla base della “… inesistenza di qualsiasi condizione tecnico-funzionale …” a tal fine richiesta (v. domanda presentata il 18 marzo 2008), e ha poi ammesso la percorribilità di soluzioni alternative, anche se con disagi di vario tipo ed oneri finanziari o impatto ambientale maggiori, peraltro non documentati (v. memoria difensiva depositata il 14 luglio 2008); se, però, il potere acquisitivo in questione ha natura “eccezionale” e non può dunque risolversi in un mero succedaneo della procedura ordinaria, è insufficiente addurre a suo fondamento che il tracciato prescelto è il più adeguato allo scopo e che altre soluzioni sarebbero meno convenienti sotto il profilo dei costi o meno agevoli nella fase di realizzazione - se non si prova che simili circostanze determinino anche un effettivo e grave impedimento alla cura dell’interesse pubblico oggetto di tutela -, perché ciò vale nel caso dell’iter ordinario, non quando occorre intervenire in via di sanatoria su situazioni di illecito. Era in definitiva onere della società ricorrente dimostrare, con dati documentali inequivocabili, che l’interesse pubblico perseguito si presentava in concreto suscettibile di soddisfacimento solo e soltanto a mezzo della scelta localizzativa effettuata - per difettare alternative idonee -, mentre a tanto non si è provveduto neppure in giudizio, accreditando le conclusioni dell’Amministrazione comunale circa l’insussistenza di un’assoluta necessità di conservazione dell’impianto nella sua attuale sede.

Tanto è sufficiente a sorreggere il diniego opposto dall’Amministrazione comunale all’ente elettrico, e rende di conseguenza superfluo l’esame delle censure proposte avverso gli altri capi di motivazione. Per costante giurisprudenza, infatti, in caso di diniego fondato su più ragioni giustificatrici tra loro autonome, il provvedimento amministrativo si presenta legittimo quando anche solo una di esse risulti esente da vizi (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 2007 n. 6732).

Quanto, poi, al dedotto vizio di sviamento - che si assume rivelato dal reiterarsi del diniego e dal ricorso a nuove e pretestuose motivazioni (quale la dichiarata impossibilità di risolvere questioni di carattere meramente privatistico) -, osserva il Collegio come in simili casi occorra l’allegazione di elementi probatori univoci, dai quali emerga la divergenza dall’atto dalla sua funzione tipica, ovvero il concreto perseguimento di finalità diverse da quelle cui dovrebbe essere preordinato l’esercizio del potere. Difettano invece nella fattispecie elementi significativi in tal senso, anche e soprattutto alla luce del capo di motivazione incentrato sulla «valutazione degli interessi in conflitto», che si è visto essere frutto di un corretto apprezzamento degli elementi istruttori acquisiti al procedimento, oltre che di per sé idoneo a sorreggere il diniego, indipendentemente dalla validità o meno delle altre ragioni giustificatrici contenute nell’atto e dagli eventuali illegittimi obiettivi che le hanno ispirate.

Quanto, infine, alla denunciata carenza del c.d. “preavviso di rigetto” ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, va richiamato quel condivisibile orientamento (v. TAR Lombardia, Brescia, 20 agosto 2008 n. 862) per cui il difetto di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento di un’istanza è assimilabile all’assenza di comunicazione di avvio del procedimento, in quanto entrambi gli atti, seppur con riferimento a due distinte sub-fasi procedurali, hanno lo scopo di permettere un effettivo confronto tra l’Amministrazione e i privati anteriormente all’adozione di un provvedimento negativo, in modo che non siano trascurati elementi istruttori utili per la decisione finale; con la conseguenza che l’identità della funzione permette di affermare che anche la mancanza della comunicazione ex art. 10-bis incide sulla validità dell’atto conclusivo nei soli limiti previsti dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, ossia qualora si sia determinato un deficit istruttorio. La circostanza allora che la società ricorrente, come si è visto, non ha addotto in giudizio nessun nuovo elemento di fatto astrattamente suscettibile di incidere sul requisito della «assoluta necessità» della realizzazione dell’elettrodotto secondo le modalità contestate, ad avviso del Collegio, evidenzia che le eventuali osservazioni dell’interessata nulla avrebbero aggiunto al quadro istruttorio finale, sì da doversi concludere nel senso che il “… contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato …” (art. 21-octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990), norma che va interpretata in modo estensivo includendovi anche la figura del c.d. “preavviso di rigetto” (v., tra le altre, TAR Basilicata 27 novembre 2008 n. 901).

In conclusione, il ricorso per “motivi aggiunti” va respinto.

Attesa la peculiarità delle questioni esaminate, e tenuto anche conto della reciproca soccombenza delle parti, si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:

- accoglie il ricorso introduttivo della lite, nei sensi di cui in motivazione, e - per l’effetto - annulla il provvedimento prot. n. 2354 del 4 aprile 2008;

- respinge il ricorso per “motivi aggiunti”.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 28 aprile 2009, con l’intervento dei Magistrati:

Luigi Papiano, Presidente

Italo Caso, Consigliere, Estensore

Emanuela Loria, Primo Referendario

IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/05/2009

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO
 



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