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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 14 dicembre 2009, n. 2565
DIRITTO URBANISTICO - Piano o
porzione di piano abusivi situati in un edificio composto da abitazioni regolari
- Acquisizione al patrimonio comunale - Proprietà esclusiva degli appartamenti
abusivi e comproprietà delle parti comuni - Sedime e area pertinenziale -
Acquisto pro quota. Qualora l’opera abusiva consista in un piano (o in una
porzione di piano) situato in un edificio composto anche da abitazioni regolari
il Comune acquisisce non un diritto di superficie ma la proprietà esclusiva
degli appartamenti abusivi e la comproprietà delle parti comuni dell’intero
edificio (come definite dall’art. 1117 c.c.). Se l’edificio era in origine di un
solo proprietario, con il provvedimento di acquisizione si forma un condominio.
Tra le parti comuni rientra anche il sedime dell’edificio, che quindi viene
acquisito pro quota, in proporzione ai millesimi dei piani oggetto del
provvedimento di acquisizione. Per quanto riguarda l’area pertinenziale vale lo
stesso principio dell’acquisto pro quota. Pres. Petruzzelli, Est. Pedron -
D.L. (avv. Orlandi) c. Comune di Almenno San Salvatore (avv. Benedetti) - TAR
LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 14 dicembre 2009, n. 2565
N. 02565/2009 REG.SEN.
N. 00054/1993 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 54 del 1993, proposto da:
DONADONI LUIGI, rappresentato e difeso dall’avv. Ferruccio Orlandi, con
domicilio eletto presso la segreteria del TAR in Brescia, via Malta 12;
contro
COMUNE DI ALMENNO SAN SALVATORE, rappresentato e difeso dall'avv. Mario
Benedetti, con domicilio presso la segreteria del TAR in Brescia, via Malta 12;
per l'annullamento
- del provvedimento del sindaco prot. n. 5280 del 4 novembre 1992, con il quale
è stato dichiarato l’acquisto gratuito al patrimonio comunale dei piani abusivi
dell’edificio posto sul mappale n. 1870 (ex 1351/b) e della relativa area
pertinenziale;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Almenno San Salvatore;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2009 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Almenno San Salvatore con provvedimento del sindaco prot. n.
5280 del 4 novembre 1992 ha dichiarato l’acquisto gratuito al patrimonio
comunale degli ultimi tre piani abusivi fuori terra dell’edificio posto sul
mappale n. 1870 (ex 1351/b) e della relativa area pertinenziale. L’immobile si
trova in via Repubblica 15 (già via Oppoli Sopra).
2. Il provvedimento di acquisizione è stato adottato sulla base dell’art. 7
comma 3 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (v. ora l’art. 31 comma 3 del DPR 6
giugno 2001 n. 380) in seguito all’inottemperanza mantenuta dal proprietario
delle opere abusive, signor Luigi Donadoni, nei confronti dell’ordinanza di
demolizione prot. n. 4139 del 26 luglio 1991. La quantificazione della
superficie è contenuta nella relazione dell’Ufficio Tecnico datata 27 ottobre
1992, nella quale si afferma che costituiscono oggetto di acquisizione gli
ultimi tre piani fuori terra e “l’intera area di pertinenza” del fabbricato
insistente sul mappale n. 1870 (quest’ultimo ha una superficie complessiva di
1.035 mq suddivisa come segue: 485,10 mq di superficie coperta e 549,90 mq di
area pertinenziale).
3. Contro il provvedimento di acquisizione il signor Donadoni ha formulato
impugnazione con atto notificato il 30 dicembre 1992 e depositato il 14 gennaio
1993. Le censure possono essere sintetizzate nei punti seguenti: (i) mancanza
del presupposto della volontaria inottemperanza all’ordine di demolizione del 26
luglio 1991; (ii) violazione dell’art. 7 comma 3 della legge 47/1985, in quanto
è stata acquisita l’intera area pertinenziale; (iii) ancora violazione dell’art.
7 comma 3 della legge 47/1985, in quanto l’acquisizione dell’area pertinenziale
sarebbe possibile solo nel caso in cui sia acquisito anche il sedime
dell’edificio.
4. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso. In
particolare per quanto riguarda la quantificazione della superficie acquisita il
Comune rinvia alla nota di trascrizione prot. n. 5426 del 6 novembre 1992
inviata alla Conservatoria dei Registri Immobiliari di Bergamo. In tale nota
viene chiesta la trascrizione a favore del Comune del seguente compendio “gli
ultimi tre piani fuori terra dell’edificio insistente sul mappale n. 1351/b, ora
1870, ivi comprese le opere interne, ubicato in fregio a via Repubblica, al
civico n. 15”. Non vi sarebbe quindi secondo la difesa comunale l’acquisizione
dell’intera superficie del mappale n. 1870 ma solo di un’area proporzionale ai
millesimi dei piani abusivi.
5. Passando all’esame del merito, con il primo motivo di ricorso il ricorrente
sostiene che l’art. 7 comma 3 della legge 47/1985 sarebbe inapplicabile perché
non si sarebbe verificato il presupposto necessario di tale norma, ossia la
volontaria inottemperanza all’ordine di demolizione del 26 luglio 1991. In
effetti questa ordinanza è stata impugnata dal ricorrente davanti al TAR Brescia
con il ricorso n. 1160/1991, ed era stata preceduta da una complessa vicenda che
aveva coinvolto anche altri soggetti.
6. Di tale vicenda è utile dare qui una sintesi per meglio inquadrare le censure
formulate dal ricorrente. L’edificazione dell’immobile in questione è iniziata
sulla base della licenza edilizia del 20 giugno 1968, nella quale erano previsti
7 piani, ma si è interrotta dopo il completamento dei primi 4 piani a causa
dell’azione di denuncia di nuova opera esperita dall’Opera Pia Rota
(proprietaria del fondo confinante) a tutela di una servitù di non edificazione.
Il contenzioso civilistico ha dilazionato l’ultimazione dei lavori, in quanto la
controversia si è conclusa solo con la sentenza di Cassazione civ. Sez. III 10
ottobre 1980 n. 2435, peraltro con esito sfavorevole al signor Donadoni. Dopo
questa pronuncia vi sono stati contatti tra le parti per giungere a una
soluzione transattiva. Nel frattempo è iniziato il conflitto con il Comune.
Quest’ultimo infatti, pur avendo concesso nel 1974 una proroga sine die della
licenza edilizia, ha poi cercato di contrastare la realizzazione degli ulteriori
3 piani dell’edificio, e ha ripetutamente negato il rilascio di titoli edilizi
relativi al completamento di tali opere, in quanto il PRG adottato nel 1977
aveva introdotto per la zona B1, in cui era stato inserito l’edificio in
questione, un limite di altezza pari a 7,5 metri. Poiché il ricorrente ha
comunque proseguito i lavori il Comune ha emesso in data 2 settembre 1977
un’ordinanza di sospensione degli stessi, seguita da un ordine di demolizione
del 7 settembre 1977. Il Comune ha poi emesso un’ordinanza di demolizione in
data 28 novembre 1978 relativamente agli ultimi 3 piani, un’analoga ordinanza in
data 28 aprile 1982, e ancora un’ordinanza con lo stesso contenuto in data 18
maggio 1983. A questo ha fatto seguito il procedimento penale per violazione
dell’ordinanza del 28 aprile 1982 e altri reati, conclusosi con la condanna del
signor Donadoni sia in primo grado sia in appello (v. App. Brescia 26 febbraio
1990 n. 212, che ha tra l’altro considerato decaduta ope legis la proroga del
1974 in conseguenza dell’adozione e dell’approvazione del PRG). La pronuncia di
appello è stata confermata (salvo l’applicazione dell’amnistia per una parte dei
reati) da Cassazione pen. Sez. VI 23 ottobre 1990 n. 2751. A questo punto è
intervenuta l’ordinanza di demolizione del 26 luglio 1991.
7. In definitiva il ricorrente ha proseguito e ultimato i lavori dell’edificio
(ossia i 3 piani mancanti rispetto alla licenza edilizia del 1968) nonostante i
divieti reiterati e gli ordini di demolizione del Comune. Nella lunga sequenza
di provvedimenti repressivi acquista valore decisivo l’ultimo degli ordini di
demolizione (l’ordinanza del 26 luglio 1991), che riassume la posizione finale
del Comune in rapporto a tutti gli approfondimenti precedenti. Tale
provvedimento è stato impugnato con il ricorso n. 1160/1991. La fase cautelare è
stata sfavorevole al ricorrente: il TAR Brescia con ordinanza cautelare 15
novembre 1991 n. 625 ha respinto la domanda di sospensione, e il Consiglio di
Stato Sez. V con ordinanza 28 maggio 1993 n. 843 ha respinto l’appello contro
tale decisione. La controversia non ha potuto arrivare a una definizione nel
merito, in quanto il TAR Brescia ha dichiarato perento il ricorso con decreto
presidenziale 30 giugno 2003 n. 930. Il ricorrente ha fatto opposizione contro
il decreto di perenzione ma la domanda di reiscrizione a ruolo è stata respinta
con ordinanza 2 febbraio 2004 n. 7. Pronunciandosi sull’appello contro questa
decisione il Consiglio di Stato Sez. IV con ordinanza 7 settembre 2004 n. 5784
ha adottato un dispositivo di reiezione osservando però che sia l’ordinanza
demolitoria del Comune oggetto di impugnazione sia le pronunce del TAR Brescia
(decreto presidenziale n. 930/2003, ordinanza n. 7/2004) dovevano ritenersi
sospese ex lege fino alla scadenza del termine per la presentazione della
domanda di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 commi 25 e 32 del DL 30
settembre 2003 n. 269, ossia fino al 10 dicembre 2004, ovvero fino al
completamento dell’esame della pratica di condono nel caso di presentazione
della relativa domanda.
8. Poiché non risulta che il ricorrente abbia presentato domanda di condono, dal
10 dicembre 2004 si deve ritenere consolidata la pronuncia di perenzione del
ricorso n. 1160/1991, la quale a sua volta rende definitiva l’ordinanza di
demolizione del 26 luglio 1991. Il dies a quo per l’esecuzione di tale ordinanza
risulta quindi spostato dalla data di notifica del provvedimento (27 luglio
1991) al 10 dicembre 2004. Decorsi 90 giorni da quest’ultima data (il tempo
dell’adempimento volontario) si realizza il presupposto per l’acquisizione
gratuita delle opere abusive al patrimonio comunale. A cascata risulta
consolidato anche il provvedimento del 4 novembre 1992, oggetto del presente
ricorso, con il quale è stata dichiarata l’acquisizione.
9. Il fatto che l’inottemperanza sia successiva al provvedimento di acquisizione
delle opere abusive, il quale dovrebbe basarsi sull’accertamento
dell’inottemperanza, costituisce un paradosso solo apparente. In realtà quando
il provvedimento di acquisizione è stato adottato il termine di 90 giorni
fissato dall’ordinanza di demolizione del 26 luglio 1991 (che non è stata
sospesa né dal TAR Brescia né dal Consiglio di Stato – v. sopra al punto 7) era
ormai ampiamente scaduto. La sopravvenienza della disciplina sul condono ha
determinato una remissione in termini, in quanto grazie alla sospensione ex lege
dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali e della loro esecuzione (art.
44 della legge 47/1985) è stata data al ricorrente la possibilità di sanare (in
tutto o in parte) la situazione o in alternativa di rimuovere spontaneamente le
opere abusive rinunciando alla prospettiva del condono ma evitando la perdita
della proprietà. Trattandosi di conseguenze direttamente collegate alla
normativa sul condono non era necessaria l’adozione di alcun provvedimento da
parte del Comune. Parimenti, una volta scaduto inutilmente sia il termine di
presentazione della domanda di condono sia quello di adempimento spontaneo
dell’ordine di demolizione, l’effetto sospensivo della normativa sul condono è
cessato automaticamente cristallizzando la condizione giuridica del bene abusivo
nello stato in cui si trovava in precedenza. Anche in questo caso quindi non era
necessario che il Comune intervenisse nuovamente adottando un ulteriore
provvedimento di acquisizione delle opere abusive.
10. Con il secondo e il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione
dell’art. 7 comma 3 della legge 47/1985 con riferimento al sedime e all’area
pertinenziale dell’edificio. Da un lato il ricorrente afferma che essendo
abusivi solo gli ultimi 3 piani il Comune non poteva acquisire il sedime
dell’edificio e quindi neppure l’area di pertinenza dello stesso. Dall’altro il
ricorrente sostiene che il Comune avrebbe oltrepassato il limite dei suoi poteri
annettendo al proprio patrimonio l’intera area pertinenziale e non soltanto la
quota corrispondente ai millesimi dei piani abusivi. Questi argomenti non
possono essere condivisi.
11. Qualora l’opera abusiva consista in un piano (o in una porzione di piano)
situato in un edificio composto anche da abitazioni regolari il Comune
acquisisce non un diritto di superficie ma la proprietà esclusiva degli
appartamenti abusivi e la comproprietà delle parti comuni dell’intero edificio
(come definite dall’art. 1117 c.c.). Se l’edificio era in origine di un solo
proprietario, con il provvedimento di acquisizione si forma un condominio. Tra
le parti comuni rientra anche il sedime dell’edificio, che quindi viene
acquisito pro quota, in proporzione ai millesimi dei piani oggetto del
provvedimento di acquisizione. Per quanto riguarda l’area pertinenziale vale lo
stesso principio dell’acquisto pro quota. Peraltro in questo caso occorre tenere
presente che in base all’art. 7 comma 3 della legge 47/1985 l’acquisizione deve
essere limitata allo spazio necessario per la realizzazione di opere analoghe a
quelle abusive, e quindi non sempre è possibile per l’amministrazione comunale
estendere la comproprietà all’intera area pertinenziale del condominio. Nel
ricorso in esame tuttavia, considerato il modesto sviluppo dell’area
pertinenziale in rapporto alle dimensioni del lotto (v. sopra al punto 2), non
vi sono dubbi sul fatto che l’acquisizione pro quota possa comprendere tutta la
superficie.
12. Nonostante la formulazione letterale della relazione dell’Ufficio Tecnico
richiamata nel provvedimento di acquisizione (v. sopra al punto 2) non si
ritiene che il Comune abbia voluto acquisire la proprietà esclusiva dell’area
pertinenziale. Se questo fosse il risultato perseguito dal Comune vi sarebbe un
indebito arricchimento, in quanto verrebbe meno il rapporto di proporzionalità
rispetto all’ablazione principale avente ad oggetto i piani abusivi, e sarebbe
attribuita alla porzione di edificio acquisita dal Comune una posizione
dominante all’interno del condominio. Nello specifico tuttavia questa situazione
illegittima non si è verificata, come dimostra la nota di trascrizione (v. sopra
al punto 4), nella quale non è contenuta alcuna precisazione sulla proprietà
dell’area pertinenziale. Interpretando la nota di trascrizione coerentemente con
le considerazioni svolte sopra al punto 11 si deve quindi ritenere che il Comune
abbia intavolato non la proprietà ma la comproprietà dell’intera area
pertinenziale, per una quota corrispondente ai millesimi dei piani abusivi
acquisiti, lasciando inalterati per il resto i diritti dominicali del
ricorrente. Qualora fosse necessario chiarire documentalmente questa situazione
giuridica il ricorrente potrà ottenere dal Comune e far annotare un apposito
atto di specificazione. Resta ferma la facoltà delle parti di regolare
diversamente i rispettivi interessi sciogliendo consensualmente (in tutto o in
parte) la comproprietà dell’area pertinenziale.
13. In conclusione, ferme le osservazioni esposte sopra al punto 12, il ricorso
deve essere respinto. La complessità della vicenda consente l’integrale
compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione staccata di
Brescia, Sezione I, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Le spese sono integralmente compensate tra le parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/12/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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