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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 21 maggio 2009, n. 3818
AGRICOLTURA - OGM - Immissione deliberata nell’ambiente - Richiesta di
autorizzazione - Protocolli tecnici di cui al d.m. 19/01/2005 - Strumenti di
conformazione preventiva - Principio di precauzione di derivazione comunitaria -
Dir. 2001/18/CEE - D.lgs. n. 224/2003. Dalla normativa comunitaria in
materia di OGM (dir. 2001/18/CEE che ha sostituito la dir.90/220/CEE), la cui
attuazione è stata affidata al d.lgs.8 luglio 2003 n.224, cui ha fatto seguito
il decreto ministeriale 19/1/2005, emerge come la richiesta di
autorizzazione all’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente
modificati (nella specie, ibridi di mais per la produzione di biocarburanti), da
parte del “notificante”, debba contenere una serie di specifiche informazioni,
il cui contenuto è riportato, per ciò che attiene alla valutazione del rischio
per l’agrobiodiversità, proprio nei protocolli tecnici di competenza
ministeriale. Non v’è dubbio, quindi, che in mancanza dei suddetti protocolli,
il notificante non è in grado di indicare nella propria domanda le informazioni
richieste ai sensi dell’art. 8, co.II°, lett. c), d.lgs. cit. e l’autorità
preposta all’esame della domanda non è posta nelle condizioni di istruire la
domanda medesima. Tale conclusione va ribadita anche in relazione alla procedura
in deroga, descritta dall’art. 5 del d.M. cit., posto che i suddetti protocolli
rappresentano, all’evidenza, l’unico parametro di riferimento anche per il
parere obbligatorio di competenza regionale (o provinciale), che non potrà che
vertere sulla idoneità del sito proposto dal notificante. Ne segue che non può
essere condivisa l’affermazione secondo cui i protocolli tecnici in questione,
essendo volti alla gestione del rischio, sarebbero necessari soltanto nel caso
in cui si presentasse, in concreto, una situazione di rischio. Al contrario, un’
interpretazione della suesposta normativa che valorizzi il principio comunitario
di precauzione, non può che indurre a ritenere i ridetti protocolli tecnici,
quali strumenti di conformazione preventiva dell’azione da intraprendere per
l’emissione deliberata nell’ambiente degli OGM, strumenti con cui dovranno
confrontarsi, sia, i soggetti notificanti, per la predisposizione della
richiesta di autorizzazione all’emissione, che, le autorità a vario titolo
competenti e coinvolte nel procedimento autorizzatorio (sia ordinario che in
deroga).
Pres. Leo, Est. Plantamura - P. s.r.l. (avv.ti Giangiacomo, Nunziata, Opilio e
Spinelli Ressi) c. Regione Lombardia (avv. Forloni). T.A.R. LOMBARDIA, Milano, Sez.IV - 21/05/2009, n.
3818
AGRICOLTURA - OGM - D.lgs n. 224/03 - Valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare - Corretta attuazione della dir. 2001/18/CEE - Principio di precauzione - Salvaguardia preventiva della salute umana e dell’ambiente. Le previsioni introdotte dal legislatore nazionale, a proposito della valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare, di cui al d.lgs. n. 224/03 sono senz’altro riconducibili all’interno dei confini disegnati dalla direttiva 2001/18/CEE: un’interpretazione corretta del testo comunitario non può infatti prescindere dalla valorizzazione del principio di precauzione e dalla considerazione del rilievo che assumono, nella medesima direttiva, la tutela della salute umana e dell’ambiente. L’emissione di OGM, quindi, non può affatto avvenire a scapito della salute umana e dell’ambiente, che, pertanto, debbono essere salvaguardati in via preventiva. Ciò significa che la previsione di una valutazione, quale quella oggetto del d.M 19/1/2005, in quanto mirata alla salvaguardia della agro biodiversità, secondo le specificazioni contenute nell’allegato al ridetto decreto, non urta contro le prescrizioni della ridetta direttiva e rappresenta una modalità non distorta di attuazione del suo scopo. Pres. Leo, Est. Plantamura - P. s.r.l. (avv.ti Giangiacomo, Nunziata, Opilio e Spinelli Ressi) c. Regione Lombardia (avv. Forloni). T.A.R. LOMBARDIA, Milano, Sez.IV - 21/05/2009, n. 3818
N. 03818/2009 REG.SEN.
N. 02150/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2150 del 2008, proposto da:
Pioneer Hi-Bred Italia Servizi Agronomici Srl, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo
Giangiacomo, Paola Nunziata, Laura Opilio, Cristina Spinelli Ressi, con
domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Milano, via M. Buonarroti
n. 39;
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t.,
rappresentata e difesa dall' avv. Antonella Forloni ed elettivamente domiciliata
in Milano, via Fabio Filzi 22, presso la sede dell’Avvocatura Regionale;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della nota della Regione Lombardia prot. n. MI.2008.0017483, datata 7 agosto
2007, nonché,
- del decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali
datato 19.01.2005, nonché, di ogni altro atto presupposto, successivo o,
comunque, connesso;
e per la condanna della resistente Amministrazione al risarcimento del danno.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Lombardia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21/04/2009 la dr.ssa Concetta
Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
L’esponente, società operante nel
campo della produzione delle energie alternative mediante produzione di
biocarburanti, con lettera datata 20.12.2006 chiedeva al Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del Territorio (da ora anche MATT) l’autorizzazione per
l’emissione deliberata nell’ambiente di OGM (nella specie ibridi di mais) per
fini diversi dall’immissione sul mercato.
Il Ministero, con nota datata 4.01.2007, rispondeva, in sostanza, che, “vista la
normativa in corso di definizione”, ovvero, la mancanza dei “Protocolli tecnici”
e degli accordi con la Regione interessata per la individuazione del sito sul
quale effettuare le prove, la richiesta “per il momento, non potrà essere
esaminata dalla Commissione Interministeriale di Valutazione”.
Con lettera datata 13.03.2007 la ricorrente si rivolgeva alla Regione Lombardia
per richiedere l’autorizzazione alla sperimentazione nel sito privato ubicato
nei pressi di Mantova.
In assenza di risposte da parte dell’ente interpellato, la società ricorrente
diffidava, sia, il MATT, ad adottare nel termine di gg.30 i Protocolli tecnici,
che, la regione Lombardia, a porre in essere tutti gli adempimenti necessari,
tra l’altro, per l’individuazione dei siti di sperimentazione di cui all’art. 3
d.M.19.01.2005.
Entrambi gli enti interpellati fornivano risposta: la Regione, per quel che qui
rileva, comunicava che tutti gli adempimenti di propria competenza erano stati
assolti mentre non risultavano ancora approvati i Protocolli Tecnici di
competenza ministeriale; pertanto, concludeva la Regione, essendo detti
Protocolli indispensabili per la valutazione dell’adeguatezza dei siti deputati
alla sperimentazione, l’individuazione dei suddetti siti avrebbe potuto essere
effettuata solo successivamente all’emanazione dei Protocolli in questione.
L’esponente è insorta contro quest’ultima risposta della Regione Lombardia e
contro il decreto ministeriale ‘05, chiedendone l’annullamento per i motivi che
si passa, di seguito, ad illustrare:
1) violazione di legge, anche in relazione ai principi comunitari, con
particolare riguardo all’art. 1 co.2 d.M. 19.01.2005 e d.lgs.vo 224/2003. Ciò,
in quanto i Protocolli tecnici sarebbero deputati alla “gestione del rischio”
derivante dall’emissione di OGM nell’ambiente, il che sta a significare, per il
patrocinio ricorrente, che in mancanza di una situazione di rischio, non v’è
necessità dei suddetti protocolli. Nel caso di specie la ricorrente, al momento
del deposito della notifica, aveva già svolto la valutazione del rischio
ambientale escludendone la ricorrenza. Detta valutazione doveva essere oggetto
di verifica da parte dell’ANC (MATT) che si avvale della Commissione
Interministeriale di Valutazione (CIV) e, soltanto in caso di esito negativo
della verifica, avrebbe dovuto porsi un problema di gestione del rischio e,
quindi, di applicabilità dei protocolli tecnici. Invece, nel caso in esame, la
Regione non avrebbe neppure iniziato l’istruttoria sulla notifica di PIONEER, a
causa dell’assenza dei ridetti Protocolli.
2) violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 5 co.1 del
d.M. 19.01.2005 e al d.lgs. 224/03; eccesso di potere per carenza e/o
insufficienza di motivazione. Ciò, in quanto la Regione avrebbe negato
l’autorizzazione in deroga all’emissione di OGM su sito privato, sull’erroneo
presupposto che la mancata emanazione dei protocolli impedirebbe la valutazione
di idoneità dei siti.
3) violazione e/o falsa applicazione della direttiva 2001/18/CE, nonché, dei
principi generali del Trattato U.E..Ciò, in quanto il legislatore nazionale
avrebbe aggiunto, alla valutazione del rischio ambientale prevista dalla
direttiva comunitaria, una distinta valutazione, relativa al “rischio per l’agrobiodiversità,
i sistemi agrari e la filiera agroalimentare”, non consentita dalla citata
direttiva. Conseguirebbe da ciò, a mente dello stesso patrocinio, l’obbligo del
giudice nazionale di disapplicare il d.lgs.n.224 cit. (e, quindi, anche il d.M.
19.01.2005) nella parte in cui impone ai notificanti di includere, nella
notifica ex art. 8, anche la valutazione del rischio per l’agrobiodiversità
sopra esposta, con il conseguente annullamento della nota regionale qui gravata
e con l’ordine alla P.A. di procedere all’istruttoria della richiesta di
autorizzazione avanzata dall’esponente.
4) in subordine, con richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia
ai sensi dell’art. 234 T.C.E., affinché la stessa Corte si pronunci sulla
compatibilità della normativa di attuazione con la direttiva 2001/18/CE;
5) in ulteriore subordine, si solleva questione di legittimità costituzionale
dell’art. 8 co.2 lett. c) del d.lgs.n.224/2003 e del d.M. 19.01.2005, in
relazione all’art. 76 Cost., poiché il d.lgs. n.224 eccederebbe l’ambito
disegnato dalla legge delega.
Si è costituita la Regione Lombardia, contro deducendo con separata memoria alle
censure avversarie.
Alla Camera di Consiglio del 4.11.2008 le parti hanno concordato il rinvio della
decisione sulla domanda di sospensiva all’udienza che, contestualmente, è stata
fissata per il merito al 21 aprile 2009.
In prossimità della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memorie.
Alla pubblica udienza del 21 aprile 2009 la causa, previa rinuncia di parte
ricorrente alla domanda di sospensiva, è stata trattenuta dal Collegio per la
decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, rileva il Collegio
come, in mancanza di notifica dell’odierno ricorso al Ministero delle Politiche
Agricole e Forestali, in veste di “organo che ha emesso l’atto impugnato” e,
quindi, parte resistente necessaria, il ricorso stesso risulta, in parte,
inammissibile, in relazione alla domanda di annullamento diretta avverso il
predetto decreto Ministeriale.
Sempre in via preliminare, rileva il Collegio come la prospettazione di un
possibile rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, alla
Corte di Giustizia della Comunità Europea va disattesa, non ravvisandosi, come
si chiarirà meglio nel prosieguo, sulle questioni di diritto comunitario
sottoposte al Collegio, dubbi interpretativi.
Quanto, poi, alle censure rivolte avverso la nota regionale con cui si comunica
la mancata espressione del parere sull’idoneità del sito individuato
dall’esponente, il Collegio reputa opportuna una breve panoramica sull’attuale
contesto normativo riguardante la materia in esame.
Dev’essere menzionata, in primo luogo, la disciplina di matrice comunitaria,
basata sulla direttiva 2001/18/CEE che, sostituendo la dir.90/220/CEE, riscrive
le regole base per l’attività di sperimentazione nell’ambiente di organismi
geneticamente modificati (OGM).
Nelle premesse della direttiva 2001/18 viene dato notevole rilievo all’attività
di controllo dei rischi derivanti dall’immissione deliberata nell’ambiente di
OGM, al fine precipuo di tutelare la salute umana e l’ambiente (5°
Considerando), specificando che, in base al Trattato UE, l'azione della Comunità
per la tutela dell'ambiente dev’essere basata sul principio dell'azione
preventiva (6° e 8° considerando).
La direttiva in esame mira, poi, a rendere più efficace e trasparente la
procedura prevista per l’autorizzazione dell’emissione deliberata nell’ambiente
e l’immissione in commercio di OGM.
Viene prevista, infatti, la necessità di “stabilire procedure e criteri
armonizzati per la valutazione, caso per caso, dei rischi potenziali derivanti
dall'emissione deliberata nell'ambiente di OGM” (18° considerando). A tal fine,
prima di ogni immissione, è richiesta la necessaria valutazione, caso per caso,
del rischio ambientale (19° consid.), valutazione sulla quale la direttiva detta
una metodologia comune, nell’Allegato II, recante i “Principi per la valutazione
del rischio ambientale” (ove si illustrano, in termini generali, l’obiettivo da
raggiungere, gli elementi da considerare, i principi generali e la metodologia
da adottare, per eseguire la valutazione di rischio ambientale, con la
puntualizzazione che:”Possono essere elaborate note tecniche orientative secondo
la procedura di regolamentazione di cui all’articolo 30, paragrafo 2, al fine di
facilitare l’attuazione e la spiegazione del presente allegato”).
Per le due attività prese in esame, emissione deliberata e immissione in
commercio, la direttiva 2001/18/CEE prevede due procedure autorizzatorie,
disciplinate, rispettivamente, nelle parti B e C .
La diversità fra le due procedure si spiega, in relazione al diverso fine per
cui viene compiuta l’emissione di OGM nell’ambiente: la parte B riguarda,
infatti, i rilasci compiuti per fine diverso dall’immissione in commercio
(quindi, ad es., per la ricerca); la parte C, invece, attiene al rilascio per
l’immissione in commercio.
Concetto importante che trova la sua definizione nella direttiva è quello di
“notifica”, con cui si intende la presentazione all’Autorità competente di uno
Stato membro, delle informazioni prescritte dalla direttiva. Altro concetto di
rilievo è, come già accennato, quello di “valutazione del rischio ambientale”,
che allude alla valutazione - condotta a norma dell’allegato II cit. - dei
rischi per la salute umana e per l’ambiente, diretti o indiretti, immediati o
differiti, che possono essere connessi all’emissione deliberata nell’ambiente o
all’immissione in commercio di OGM.
Le informazioni di cui all’allegato II cit., peraltro, sono state integrate - in
base alla decisione della Commissione della C.E. del 24 luglio 2002 - da note
orientative, che forniscono linee guida dettagliate per descrivere gli
obiettivi, i principi e la metodologia da seguire per facilitare i rispettivi
compiti dei notificanti e delle autorità competenti, “in modo da realizzare una
valutazione del rischio ambientale completa ed adeguata”.
La direttiva, infatti, introduce la regola per cui è compito di chi intende
procedere all’emissione deliberata nell’ambiente di un OGM, di dovere
“notificare” all’Autorità competente la relativa richiesta, con le informazioni
di cui all’allegato III°, accompagnata dalla valutazione del rischio ambientale
(VRA), con le informazioni di cui all’allegato II°, concernente quel particolare
OGM.
Per tale via, in piena coerenza con l’approccio precauzionale della direttiva de
qua, chi vuole dare luogo ad un’emissione di OGM deve, in sostanza, dimostrare
l’assenza di rischi per la salute e l’ambiente dell’emissione stessa (cfr. art.
4 dir.2001/18 sugli obblighi di carattere generale gravanti sui singoli Stati
membri).
Naturalmente, le informazioni scientifiche allegate alla domanda dovranno, poi,
essere sottoposte al controllo pubblico delle autorità competenti, che dovranno
esaminarne la sufficienza, la congruenza e la validità esprimendo, all’esito di
tale valutazione, la propria risposta scritta (si prevede, in particolare, la
possibilità per l’autorità di richiedere ulteriori informazioni al notificante,
ovvero, la possibilità per gli Stati membri di consultare il pubblico e, se
opportuno, determinati gruppi in merito all'emissione deliberata proposta).
In Italia, l’attuazione della suesposta direttiva è stata affidata al d.lgs.8
luglio 2003 n.224, che ha individuato nel Ministero dell’Ambiente e della tutela
del Territorio (MATT) l’autorità nazionale competente in materia (art.2). Il
decreto si occupa, sia, del contenuto della notifica (art.8), che, della
valutazione del rischio ambientale (allegato II parte D). Esso introduce, poi,
nell’ambito delle informazioni che debbono essere ricomprese nella notifica,
quella attinente “la valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi
agrari e la filiera agroalimentare, in conformità alle prescrizioni stabilite
dal decreto di cui al comma 6” (così art. 8 cit. co.II° lett. c).
Detto comma, dal canto suo, statuisce che: “Con decreto del Ministro delle
politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, sono definite, entro 60 giorni dall'entrata in
vigore del presente decreto, le prescrizioni ai fini della valutazione del
rischio di cui al comma 2, lettera c).”
Alla suddetta previsione ha fatto seguito il decreto ministeriale datato
19/1/2005 che, dal canto suo, ha demandato al Ministero delle Politiche Agricole
e Forestali (MPAF) la definizione, con proprio decreto, dei Protocolli tecnici
operativi per la gestione del rischio delle singole specie GM (art. 1 co.II°).
Si tratta di “schede che individuano le caratteristiche della specie
considerata, le modalità operative e le misure da adottare all'atto
dell'emissione deliberata di OGM, volte alla tutela dell'agrobiodiversità, dei
sistemi agrari e della filiera agroalimentare” (art.2).
Lo stesso decreto prevede, poi, all’art. 3, che chiunque intenda effettuare
un’emissione deliberata di OGM nell’ambiente, per fine diverso dall’immissione
sul mercato, debba conformarsi alle indicazioni contenute nei suddetti
protocolli tecnici (comma I°); indi, prevede che Regioni e Province autonome
provvedano a: “a) designare entro 90 giorni dalla pubblicazione del presente
decreto l'Autorità regionale o provinciale competente; b) individuare, entro 6
mesi dalla designazione dell'Autorità regionale o provinciale competente, previo
accordo con i proprietari e gestori di cui all'art. 2, lettera d), comma 1, i
siti del proprio territorio utilizzabili per la sperimentazione indicando, se
del caso, restrizioni motivate per specifici organismi e/o siti di rilascio; c)
stabilire tariffe che il notificante è tenuto a versare per l'utilizzo dei siti
di proprietà o gestiti direttamente; d) trasmettere all'Autorità nazionale
competente i risultati ed ogni ulteriore informazione derivante dai controlli
effettuati anche su propria iniziativa.”.
Infine, per quanto di rilievo in relazione all’odierno ricorso, va richiamato
l’art. 5 del d.M. in questione il quale statuisce che:
”1. Nelle more dell'individuazione dei siti da parte delle regioni e province
autonome, l'Autorità nazionale competente, sulla base della valutazione tecnica
espressa dalla Commissione interministeriale di valutazione (CIV) di cui
all'art. 6 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224 e sulla base del parere
obbligatorio espresso dall'Autorità regionale o provinciale competente, valuterà
l'idoneità del sito proposto dal notificante.
2. L'autorizzazione ad effettuare la sperimentazione in siti diversi da quelli
indicati nell'art. 3, comma 1, lettera a), potrà essere rilasciata dall'Autorità
nazionale competente sulla base di una richiesta motivata presentata dal
notificante, della valutazione tecnica espressa dalla CIV nella quale è
riportato il parere obbligatorio dell'Autorità regionale e provinciale
competente della regione interessata e purché sia garantita nel corso degli anni
la tracciabilità delle diverse pratiche colturali predisposte.”
Tanto premesso, in relazione al panorama normativo vigente, devono essere ora
esaminate nel merito le doglianze di parte riferite alla nota regionale
impugnata.
Sui motivi di ricorso nn.1) e 2).
L’esponente assume la contrarietà della risposta regionale a quanto prescritto
nelle citate fonti comunitarie e nazionali, atteso che queste ultime non
condizionerebbero affatto l’esame della notifica alla presenza dei protocolli
tecnici, né nella procedura “ordinaria” e tantomeno in quella “in deroga”.
I motivi sono infondati.
Dalla normativa sopra riferita emerge come la richiesta di autorizzazione da
parte del “notificante” debba contenere una serie di specifiche informazioni, il
cui contenuto è riportato, per ciò che attiene alla valutazione del rischio per
l’agrobiodiversità, proprio nei protocolli tecnici di competenza ministeriale.
Non v’è dubbio, quindi, che in mancanza dei suddetti protocolli, il notificante
non è in grado di indicare nella propria domanda le informazioni richieste ai
sensi dell’art. 8, co.II°, lett. c), d.lgs. cit. e l’autorità preposta all’esame
della domanda non è posta nelle condizioni di istruire la domanda medesima. Tale
conclusione va ribadita anche in relazione alla procedura in deroga, descritta
dall’art. 5 del d.M. cit., posto che i suddetti protocolli rappresentano,
all’evidenza, l’unico parametro di riferimento anche per il parere obbligatorio
di competenza regionale (o provinciale), che non potrà che vertere sulla
idoneità del sito proposto dal notificante.
È utile, in tal senso, riportare alcune delle prescrizioni contenute
nell’allegato al decreto ministeriale 2005, per comprendere come la valutazione
rimessa alla regione (o alla provincia) non possa, comunque, prescindere dai
Protocolli in questione, chiamati a dare attuazione, in relazione a ciascun
O.G.M., alle prescrizioni medesime.
Si legge, così, nel predetto allegato, alla lett. C, tra le “Informazioni
necessarie” richieste “allo scopo di effettuare una valutazione del rischio che
sia concretamente riferita all'area di emissione”, che “devono essere acquisite
informazioni di base riguardanti il territorio con riferimento all'impatto sul
settore agricolo.” In particolare, è previsto che: ”L'analisi delle
caratteristiche ambientali, agronomiche e socioeconomiche del territorio dovrà
riportare, almeno, le seguenti informazioni:
distribuzione delle coltivazioni e degli allevamenti presenti nel territorio in
esame, con particolare riguardo alle specie interfeconde con l'organismo oggetto
di sperimentazione. …;
presenza e distribuzione di siti di conservazione di risorse genetiche autoctone
di interesse agrario; presenza nell'area di coltivazioni o allevamenti di
pregio, anche se di specie non affini (tipiche, DOP, IGP, biologiche ecc.);
presenza nel territorio in esame di aree naturali protette, di aree critiche e
sensibili di qualunque natura;
presenza di colture e allevamenti sperimentali di altro tipo, di produzioni da
seme, di vivai ecc.; presenza nel territorio di giardini storici o giardini
pubblici con presenza di piante di rilevante interesse storico-culturale e/o
ambientale;
caratteristiche chimico-fisiche e biologiche del suolo;
presenza di falda, suo andamento e profondità; sistemi prevalenti di gestione
degli agroecosistemi (gestione della flora infestante, gestione della difesa
fitosanitaria, modalità di concimazione e di irrigazione);
tipologia di gestione degli allevamenti più diffusa (livello di naturalità,
ecc.);
caratteristiche climatiche (temperature medie ed escursioni termiche, umidità in
rapporto alle stagioni, andamento termopluviometrico annuo, venti prevalenti,
con forza e direzione, ecc.); precedente uso del sito, con particolare riguardo
alle sperimentazioni di OGM e alle colture interfeconde con essi;
presenza nell'area di artropodofauna utile e altri antagonisti naturali
potenzialmente suscettibili a prodotti genici specifici degli OGM; livello e
tipologia di antropizzazione dell'area (densità di popolazione, assetto
urbanistico, presenza di aree artigianali-industriali, ecc.) e vie di trasporto
antropico di eventuali materiali di moltiplicazione o di inquinamento genetico
(strade, ferrovie, aeroporti e altre infrastrutture);
aspetti sociali ed economici del territorio rilevanti per la valutazione del
rischio (attività economiche prevalenti collegate all'agricoltura, molo
dell'agricoltura, fatturato a livello nazionale e regionale della produzione
oggetto di sperimentazione) con particolare riferimento alla componente agraria
e zootecnica delle filiere.”.
Ad ulteriore riprova della necessità della previa adozione dei suddetti
Protocolli, possono, poi, addursi le prescrizioni in concreto adottate dal
Ministero, nei Protocolli trasmessi alla Conferenza Permanente per i rapporti
tra lo Stato le Regioni e le Province autonome (cfr. all. n. 1 parte resistente,
di cui a nota P.d.C.M. 23.10.2008) ove, a proposito della specie agraria “mais”,
sono fornite dettagliate indicazioni a proposito della identificazione dell’area
di rilascio, della sua delimitazione, delle distanze, dell’isolamento, ecc.,
tutte preordinate alla valutazione dell’idoneità del sito sotto il profilo della
tutela dell’agrobiodiversità, dei sistemi agrari e della filiera agroalimentare.
Consegue da ciò, come non colga nel segno l’affermazione di parte ricorrente,
secondo cui i protocolli tecnici in questione, essendo volti alla gestione del
rischio, sarebbero necessari soltanto nel caso in cui si presentasse, in
concreto, una situazione di rischio.
Al contrario, un’ interpretazione della suesposta normativa che valorizzi il
principio comunitario di precauzione, non può che indurre a ritenere i ridetti
protocolli tecnici, quali strumenti di conformazione preventiva dell’azione da
intraprendere per l’emissione deliberata nell’ambiente degli OGM, strumenti con
cui dovranno confrontarsi, sia, i soggetti notificanti, per la predisposizione
della richiesta di autorizzazione all’emissione, che, le autorità a vario titolo
competenti e coinvolte nel procedimento autorizzatorio (sia ordinario che in
deroga).
Sul terzo motivo.
Richiamando le suesposte considerazioni, il Collegio non può che disattendere
anche la richiesta, sottesa al predetto motivo, di disapplicazione del d.lgs.
224/03, per presunto contrasto con la direttiva 2001/18/CE, atteso che,
un’interpretazione corretta del testo comunitario non può prescindere, come già
accennato, dalla valorizzazione del principio di precauzione e dalla
considerazione del rilievo che assumono, nella medesima direttiva, la tutela
della salute umana e dell’ambiente. In tale ottica, non si può che giungere alla
conclusione per cui, le previsioni introdotte dal legislatore nazionale, a
proposito della valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari
e la filiera agroalimentare, sono senz’altro riconducibili all’interno dei
confini disegnati dalla direttiva 2001/18/CEE.
Non è, pertanto, condivisibile la considerazione espressa dal patrocinio
ricorrente, a proposito dell’inadeguato recepimento della direttiva comunitaria
dal parte dello Stato italiano, atteso che, lo “scopo” dichiarato della
direttiva in questione non è quello di armonizzare le normative nazionali a
tutto vantaggio della libera circolazione dei beni, come adombra di credere il
predetto patrocinio, ma, quello reso palese dall’art. 1 della direttiva stessa,
secondo cui: “Nel rispetto del principio precauzionale, la presente direttiva
mira al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative degli Stati membri e alla tutela della salute umana e
dell'ambiente quando:
- si emettono deliberatamente nell'ambiente organismi geneticamente modificati a
scopo diverso dall'immissione in commercio all'interno della Comunità,
- si immettono in commercio all'interno della Comunità organismi geneticamente
modificati come tali o contenuti in prodotti.”.
L’emissione di OGM, quindi, non può affatto avvenire a scapito della salute
umana e dell’ambiente, che, pertanto, debbono essere salvaguardati in via
preventiva. Ciò significa che la previsione di una valutazione, quale quella
oggetto del d.M. più volte citato, in quanto mirata alla salvaguardia della agro
biodiversità, secondo le specificazioni contenute nell’allegato al ridetto
decreto, non urta contro le prescrizioni della ridetta direttiva e rappresenta
una modalità non distorta di attuazione del suo scopo.
Anche il terzo motivo di ricorso si appalesa, quindi, infondato, mentre, va
disattesa la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Sulla questione di legittimità costituzionale.
Rileva il Collegio come erroneamente parte ricorrente prospetta l’eccesso di
delega da parte del d.lgs.n.224/03, avendo come parametro di riferimento la
stessa direttiva comunitaria 2001/18/CEE. In realtà, l’eccesso lamentato sarebbe
configurabile soltanto qualora, nella stessa legge comunitaria di delega (L.
1.03.2002 n.39), il legislatore nazionale avesse posto dei criteri direttivi
incompatibili con la previsione, da parte del legislatore nazionale, della
valutazione del rischio per l’agrobiodiversità di che trattasi.
Così, tuttavia, non è stato, posto che la legge comunitaria 2001 ha sic et
simpliciter delegato il governo ad attuare la direttiva, richiedendo la
piena conformità della normativa di attuazione con le prescrizioni contenute
nelle direttive comunitarie.
Ebbene, richiamando le considerazioni poc’anzi espresse, a proposito del terzo
motivo di ricorso, il Collegio non ritiene affatto di dover ravvisare, nella
valutazione del rischio di cui si occupa il più volte cit. d.M.’05, una deroga
alla disciplina posta dalla direttiva, né reputa che la valutazione medesima
fuoriesca dai confini disegnati dalla direttiva 2001 in questione, per il
raggiungimento dello scopo che la stessa impone agli Stati membri di perseguire.
Per le su-estese considerazioni, la questione di legittimità prospettata da
parte ricorrente in relazione all’art. 76 Cost. si appalesa manifestamente
infondata.
Conclusivamente, il Collegio ritiene che il ricorso in epigrafe indicato debba
essere, in parte, dichiarato inammissibile e, per il resto, respinto.
Analogamente dev’essere respinta la domanda risarcitoria, in assenza dei
presupposti di cui all’art. 2043 c.c., primo fra tutti quello dell’illegittimità
del provvedimento regionale qui gravato.
La novità e la complessità delle questioni trattate inducono, nondimeno, il
Collegio a ritenere sussistenti giusti motivi per la compensazione integrale
delle spese di lite fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale della Lombardia, decidendo sul ricorso in epigrafe così statuisce:
- lo dichiara in parte inammissibile e, per il resto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21/04/2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Laura Marzano, Referendario
Concetta Plantamura, Referendario, Estensore
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/05/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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