AmbienteDiritto.it
- Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati -
Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. MARCHE, Sez. I - 30 novembre 2009, n. 1441
RIFIUTI - Rifiuti speciali -Regioni - Limitazione alla libera circolazione -
Limitazioni generalizzate - Divieto - Sentenze Corte Cost. nn. 281/2000,
335/2001 e 10/2009 - Art. 199 d.lgs. n. 152/2009. La normativa statale di
riferimento (identificabile sia nell’art. 22 del D.Lgs. n. 22/1997 che nel
vigente art. 199 del D.Lgs. n. 152/2006) stabilisce che le Regioni possono
prevedere specifiche limitazioni alla libera circolazione dei rifiuti speciali,
a patto che questo sia giustificato dall’esigenza di contenere la movimentazione
di tali rifiuti (in un’ottica di prevenzione dell’inquinamento ambientale
provocato dai trasporti su gomma), nonché dalla capacità tecnico-ricettiva dei
singoli impianti, fermo restando che tali prescrizioni non debbono introdurre
limitazioni generalizzate (cfr., in questo senso,sentenze Corte Cost. nn.
281/2000, 335/2001 e 10/2009). Pres. Passanisi, Est. Capitanio - F. s.r.l. (avv.
Felici) c. Provincia di Ascoli Piceno (avv. Cavaliere), Regione Marche (avv. De
Bellis) e altri (n.c.) - TAR MARCHE, Sez. I - 30 novembre 2009, n. 1441
RIFIUTI - Smaltimento fuori regione - Emergenza rifiuti in Campania -
Normativa speciale - R.S.U. e rifiuti speciali - Previo accordo tra Commissario
delegato e Regione interessata. La normativa speciale sulla c.d. emergenza
rifiuti in Campania e segnatamente , l’art. 5, commi 1 e 3, del D.L. n.
263/2006, convertito in L. n. 290/2006 non distingue, in relazione alle
possibilità di smaltimento fuori regione, fra rifiuti solidi urbani e rifiuti
speciali, prevedendo in entrambi i casi il previo accordo fra Commissario
delegato e Regione interessata. La possibilità di smaltire fuori regione anche i
r.s.u. (per i quali vale invece ordinariamente il principio dell’autosufficienza
e quindi il divieto di smaltimento fuori regione) implica infatti un incremento
esponenziale dei quantitativi di rifiuti che affluiscono presso altre Regioni,
dei quali, normalmente, una parte (quelli speciali) potrebbe circolare
liberamente. Ma questo non è possibile in situazione di emergenza, in quanto
l’enorme incidenza dei r.s.u. impone di calibrare la capacità ricettiva degli
impianti tenendo conto, unitariamente, sia dei rifiuti solidi urbani che di
quelli speciali e questo può avvenire solo in sede di accordi fra Commissario
delegato e Regioni. Pres. Passanisi, Est. Capitanio - F. s.r.l. (avv. Felici) c.
Provincia di Ascoli Piceno (avv. Cavaliere), Regione Marche (avv. De Bellis) e
altri (n.c.) - TAR MARCHE, Sez. I - 30 novembre 2009, n. 1441
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 01441/2009 REG.SEN.
N. 00734/2007 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 734 del 2007, proposto da:
Fermo Ambiente Servizi Impianti Tecnologici Energia (A.S.I.T.E.) S.r.l.,
rappresentata e difesa dall'avv. Ranieri Felici, con domicilio eletto presso
Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia, 24;
contro
- Provincia di Ascoli Piceno, in persona del Presidente pro tempore,
rappresentata e difesa dall'avv. Carla Cavaliere, con domicilio eletto presso
Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia, 24;
- Dirigente Servizio Ambiente, Rifiuti, Energia, Acque della Provincia di Ascoli
Piceno, non costituito;
- Consiglio Regionale Marche, in persona del Presidente pro tempore, non
costituito;
- Regione Marche, rappresentata e difesa dall'avv. Pasquale De Bellis, con
domicilio eletto presso il Servizio Legale Regione Marche, in Ancona, via
Giannelli, 36;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- del provvedimento 26.6.2007, n. 2989, confermato con atto del 16.7.2007, con
cui la Provincia ha inibito alla società ricorrente la prosecuzione
dell’attività smaltimento rifiuti speciali della Regione Campania;
- del provvedimento con cui si limita l’abbancamento dei rifiuti anche speciali
nella discarica di San Biagio, unitamente al relativo provvedimento di
chiarimenti del 6.8.2007;
- del piano regionale per la gestione dei rifiuti, approvato dal Consiglio
Regionale Marche con deliberazione 15.12.1999, n. 284;
- di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Marche e della Provincia
di Ascoli Piceno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza istruttoria 8/11/2007, n. 619;
Viste le ordinanze 4/7/2008, n. 80, e 23/10/2008, n. 140;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2009 il dott. Tommaso
Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. La società ricorrente (a capitale misto pubblico-privato, del quale il Comune
di Fermo, per statuto, deve possedere sempre almeno il 51%) gestisce da tempo
una discarica di I categoria in località San Biagio del Comune di Fermo,
regolarmente autorizzata dalla Provincia di Ascoli Piceno. In data 18/4/2007,
A.S.I.T.E. stipulava con il Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali (C.I.T.E.)
S.r.l. di Salerno un contratto in forza del quale l’odierna ricorrente accettava
di smaltire nel proprio impianto, a titolo oneroso, 25.000 tonnellate di rifiuti
con codice CER 19.05.01 (“Parte di rifiuti urbani e simili, non compostata”),
provenienti dagli impianti CDR FISIA ITALIMPIANTI di Caivano, Giugliano in
Campania, Pianodardine e Casalduni, e ciò nell’ambito della c.d. emergenza
rifiuti che, come è noto, ha colpito da tempo la Regione Campania e che nel
corso del 2006-2007 si era notevolmente aggravata.
Di tale accordo non venivano informati gli enti locali competenti in materia di
rifiuti, ed in particolare la Provincia di Ascoli Piceno.
A seguito di verifiche eseguite dal N.O.E. dei Carabinieri di Ancona, la
Provincia avviava il procedimento che si è concluso con l’adozione degli atti
impugnati, con i quali l’Amministrazione ha:
- diffidato A.S.I.T.E. dal ricevere ulteriori quantitativi di rifiuti
provenienti dalla Campania;
- rinnovato l’autorizzazione alla gestione della discarica, inserendo una
prescrizione ulteriore (per effetto della quale, fino al 31/12/2007, la società
può smaltire nella discarica di San Biagio rifiuti speciali assimilabili di cui
al paragrafo 1.1.1. della deliberazione del Comitato Interministeriale del
27/7/1984, ma con esclusione di quelli di provenienza extraregionale).
La Provincia ha fondato la diffida sui seguenti presupposti, non senza avere
interpellato i Commissari delegati pro tempore nominati dal Governo della
Repubblica per la gestione dell’emergenza rifiuti (i quali si sono pronunciati
per la legittimità dell’operazione):
- ai sensi dell’art. 5, comma 3, del D.L. n. 263/2006, convertito il L. n.
290/2006, i rifiuti provenienti dalla Campania possono essere smaltiti in altre
Regioni, ma previo accordo in tal senso fra il Commissario delegato e le Regioni
interessate. Nella specie, alcun accordo è intervenuto con la Regione Marche;
- la frazione umida derivante dalla selezione meccanica dei rifiuti solidi
urbani non è classificabile quale rifiuto speciale;
- in ogni caso, tali rifiuti non potrebbero essere abbancati presso la discarica
di San Biagio, a ciò ostando il Piano regionale dei rifiuti approvato dal C.R.
delle Marche con deliberazione n. 284/1999 (paragrafo 4.5.).
2. Fermo A.S.I.T.E. impugna i provvedimenti della Provincia e il presupposto
Piano Regionale dei Rifiuti approvato dal Consiglio Regionale delle Marche nel
1999 (ancora vigente, non essendo ancora scaduto all’epoca dei fatti il termine
previsto dall’art. 199 del D.Lgs. n. 152/2006 per l’adozione dei nuovi piani
regionali), nella parte in cui, per le discariche di I categoria, vieta il
conferimento di rifiuti speciali di provenienza extraregionale, deducendo i
seguenti motivi:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 182, comma 5, e 184, comma 3, let.
n), del D.Lgs. n. 152/2006;
- incostituzionalità del Piano regionale dei rifiuti, nella parte in cui pone
limiti alla libera circolazione dei rifiuti speciali;
- incompetenza della Provincia (nella parte in cui il dirigente avrebbe
modificato i criteri per l’individuazione dei luoghi e degli impianti idonei
allo smaltimento delle singole tipologie di rifiuti);
- contraddittorietà fra provvedimenti (la Provincia sostiene che nella discarica
di San Biagio non si possono conferire rifiuti speciali, ma di fatto ciò è stato
sempre consentito, almeno a far tempo dal 2003);
- nel merito, difetto di istruttoria (per quanto concerne la natura dei rifiuti
conferiti dal C.I.T.E. nella discarica di che trattasi).
3. Al fine di accertare la natura dei rifiuti conferiti nella discarica di San
Biagio, il Tribunale ha disposto una verificazione, i cui esiti sono contenuti
nella relazione depositata in atti in data 4/2/2008.
4. Alla pubblica udienza del 7 ottobre 2009 la causa è stata trattenuta per la
decisione di merito.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
2. Va preliminarmente osservato che, ai fini della soluzione della controversia,
non rivestono valore dirimente gli esiti della verificazione, in quanto:
- non è in discussione fra le parti la classificazione formale dei rifiuti
conferiti dal C.I.T.E. presso la discarica per cui è causa (si tratta, come
confermato dall’istruttoria, di rifiuti speciali aventi codice CER 19.05.01),
così come non può essere revocato in dubbio il fatto che essi siano il prodotto
delle operazioni di trattamento di selezione meccanica dei r.s.u., finalizzato
alla produzione di CDR;
- peraltro (e questo è risultato dalle verifiche eseguite a suo tempo dal N.O.E.
dei Carabinieri – vedasi la documentazione fotografica allegata alla memoria di
costituzione della Provincia) non è escluso che, in occasione dei singoli
trasporti, addetti ai lavori poco onesti abbiano inserito fra i rifiuti speciali
quantitativi di rifiuti solidi urbani tal quali;
- tuttavia, da un lato ciò non incide, se non a livello penale (e a tal uopo
vengono in evidenza solo responsabilità personali), sulla legittimità
complessiva dell’operazione, dall’altro si deve rilevare che, una volta che i
rifiuti sono stati triturati nell’impianto di Fermo, non è più possibile
risalire alla loro natura originaria (e anche questo risulta dalla relazione del
verificatore).
Ma questo, come si vedrà infra, non è rilevante, visto che il Tribunale ritiene
in ogni caso corretto l’operato della Provincia e della Regione Marche.
3. Vanno in primo luogo rigettati i motivi di ricorso con i quali si deduce la
violazione degli artt. 182 e 184 del D.Lgs. n. 152/2006, l’incompetenza della
Provincia e la contraddittorietà fra provvedimenti.
3.1. Per quanto riguarda la violazione delle citate norme del c.d. Codice
dell’ambiente, si tratta di questione che non riveste rilievo autonomo, in
quanto, seppure è vero che la prefata normativa pone in generale il principio
per cui i rifiuti speciali possono circolare liberamente, è altrettanto vero che
esistono altre disposizioni della legge statale che, come si vedrà, legittimano
l’operato delle Amministrazioni resistenti.
Per inciso, va osservato che la disposizione di cui all’art. 184, comma 3, let.
n), del D.Lgs. n. 152/2006 è stata abrogata dal D.Lgs. n. 4/2008, per cui la
ricomprensione fra i rifiuti speciali dei rifiuti derivanti dalle attività di
selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani è venuta meno a far tempo dalla
data di entrata in vigore del decreto “correttivo” (questo, seppure non
rileverebbe nel presente giudizio - dovendosi verificare la legittimità dei
provvedimenti impugnati in base al diritto vigente al momento della loro
adozione - implicherebbe l’impossibilità di proseguire nelle operazioni di
conferimento oggetto del presente giudizio).
3.2. E’ infondato il dedotto vizio di incompetenza della Provincia, la quale non
ha modificato in alcun modo i criteri di individuazione degli impianti idonei
allo smaltimento dei rifiuti speciali, essendosi limitata a fare applicazione
della normativa statale (L. n. 290/2006) e del Piano regionale dei rifiuti.
In questo senso, è irrilevante altresì il contenuto dell’autorizzazione n. 3919/GEN
del 13/7/2007 rilasciata dalla Provincia ad A.S.I.T.E., sia perché, come
correttamente eccepito dalla ricorrente, essa è posteriore rispetto al primo dei
provvedimenti impugnati, sia perché in parte qua essa si limita a ribadire una
previsione di legge (art. 17, comma 1, D.Lgs. n. 36/2003, come modificato dalla
L. n. 296/2006) e una prescrizione del Piano regionale dei rifiuti del 1999.
3.3. Né, infine, sussiste alcuna contraddittorietà fra provvedimenti, visto che:
- per un verso, il fatto che la P.A. abbia commesso un errore in passato non la
legittima a perseverare nell’errore;
- per altro verso, il divieto di cui al paragrafo 4.5. del Piano regionale dei
rifiuti riguarda solo quelli di provenienza extra-regionale (e non è stato
provato che i rifiuti conferiti a San Biagio dal 2003 avessero tale
provenienza).
4. Passando quindi ad esaminare il punto centrale della controversia, a giudizio
del Collegio l’operato delle Amministrazioni resistenti trova legittimazione in
due differenti fonti normative, l’una riveniente dal D.Lgs. n. 152/2006 (e in
precedenza dal D.Lgs. n. 22/1997), l’altra dalla legislazione speciale in
materia di emergenza rifiuti nella Regione Campania.
4.1. Partendo dalle disposizioni del Codice dell’Ambiente, si deve rilevare
l’infondatezza della tesi di A.S.I.T.E. nella parte in cui, richiamandosi alla
giurisprudenza della Corte Costituzionale (da ultimo, la sentenza n. 10 del
2009), sostiene che le Regioni non possono introdurre alcuna limitazione alla
libera circolazione dei rifiuti speciali, pena la violazione del criterio di
riparto delle competenze fra Stato e enti locali.
Il Tribunale non ritiene di poter condividere tali asserzioni, o, meglio, esse
non sono decisive in questa sede, per le ragioni che si vanno ad esporre.
Seppure è innegabile che la società ricorrente ha correttamente riportato
l’orientamento della Corte Costituzionale, si deve tuttavia rilevare che la
normativa statale di riferimento (identificabile, come detto, sia nel D.Lgs. n.
22/1997 che nel vigente D.Lgs. n. 152/2006) abilita le Regioni a prevedere
limitazioni alla libera circolazione dei rifiuti speciali. Ed infatti, sia
l’art.22 del c.d. decreto Ronchi, sia l’art. 199 del D.Lgs. n. 152/2006, nel
disciplinare i piani regionali di gestione del ciclo dei rifiuti, stabiliscono
che tali atti debbono prevedere, fra le altre cose “…il complesso delle attività
e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti
urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e
autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di
ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200, nonché ad
assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di
produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti…”.
A tal proposito va prima di tutto osservato che, alla data di adozione dei
provvedimenti impugnati, non era ancora scaduto il termine fissato dall’art.
199, comma 7, D.Lgs. n. 152/2006 per l’adozione dei nuovi piani regionali e che,
per espressa previsione normativa, quelli vigenti conservano efficacia.
Pertanto, sotto questo profilo, il Piano regionale delle Marche, approvato dal
Consiglio Regionale con deliberazione n. 284/1999, era pienamente applicabile
dalla Provincia di Ascoli Piceno.
In secondo e decisivo luogo, poiché è la stessa normativa statale a stabilire
che le Regioni possono prevedere specifiche limitazioni alla libera circolazione
dei rifiuti speciali, a patto che questo sia giustificato dall’esigenza di
contenere la movimentazione di tali rifiuti (in un’ottica di prevenzione
dell’inquinamento ambientale provocato dai trasporti su gomma), nonché dalla
capacità tecnico-ricettiva dei singoli impianti, fermo restando che tali
prescrizioni non debbono introdurre limitazioni generalizzate.
Ed è proprio questo il motivo che ha indotto la Corte Costituzionale a
dichiarare l’illegittimità di leggi regionali che avevano introdotto divieti
alla circolazione dei rifiuti speciali.
Si pensi, ad esempio, all’art. 18, comma 1, della L.R. Piemonte n. 59/1995 (il
quale vietava il conferimento in tutti gli impianti piemontesi di qualsivoglia
rifiuto proveniente da fuori regione), che la Consulta ha dichiarato
incostituzionale con la sentenza n. 281 del 2000; oppure all’art. 16, comma 4,
della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 65/1988 (avente contenuto analogo alla norma
piemontese e dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 335 del 2001).
Basti pensare, infine, all’ultima sentenza della Consulta richiamata da
A.S.I.T.E. (la n. 10 del 2009), avente ad oggetto la L.R. Puglia n. 29/2007, la
quale, all’art. 3, comma 1, stabiliva che i rifiuti speciali pericolosi e non
pericolosi di provenienza extraregionale potevano essere smaltiti in impianti
pugliesi solo nel caso in questi fossero contemporaneamente quelli più
appropriati e quelli più vicini ai luoghi di produzione dei rifiuti stessi.
Questa disposizione introduceva un’indebita restrizione alla circolazione dei
rifiuti speciali provenienti da fuori regione, in quanto consentiva la ricezione
dei rifiuti speciali solo se l’impianto interessato (e più appropriato dal punto
di vista tecnico in ragione del trattamento da riservare alla singola tipologia
di materiale) fosse anche il più vicino dal punto di vista geografico al bacino
di provenienza dei rifiuti stessi: è evidente che una tale prescrizione -
seppure motivata dall’esigenza di limitare i trasporti su gomma - era
potenzialmente fonte di differenziazioni rigide, illogiche e basate sul mero
fattore geografico.
Va peraltro osservato che, al punto 10 della motivazione della sentenza n. 10
del 2009, la Corte afferma che l’art. 182 del D.Lgs. n. 152/2006, pur esprimendo
preferenza per una rete di impianti che consenta di smaltire i rifiuti il più
vicino possibile al luogo di produzione, ammette anche opzioni differenti
(mentre la norma pugliese dichiarata incostituzionale prevedeva solo la prima
opzione), dal che la Consulta trae la conseguenza che è illegittima una norma
regionale che impedisca ai rifiuti di provenienza extraregionale l’accesso ad
uno degli impianti della rete. Tuttavia, la Corte non ha adeguatamente
considerato che l’art. 199, let. d), impone alle Regioni, in sede di adozione
dei Piani di gestione dei rifiuti, di prevedere misure volte ad “…assicurare lo
smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al
fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti…”. Quindi, la
legge statale, per il tramite dei Piani regionali, consente anche limitazioni
alla libera circolazione dei rifiuti speciali, a patto che tali limitazioni non
si risolvano in divieti indiscriminati e non sorretti da adeguata motivazione.
Nella specie, il Piano regionale delle Marche del 1999 vieta alle sole
discariche di I categoria la ricezione di rifiuti speciali provenienti da fuori
regione, il che, oltre ad essere giustificato da ragioni inerenti l’idoneità e
la capacità degli impianti (nel caso della discarica di San Biagio, vi sono
delle prescrizioni, risalenti al 2002 e al 2005 e mai impugnate dalla
ricorrente, che impongono di riservare ai rifiuti del bacino almeno il 75% della
capacità ricettiva, e questo nell’ottica dell’autosufficienza. Tale limite, come
rilevato dal N.O.E. dei Carabinieri, risultava superato al momento dei controlli
che hanno dato luogo ai provvedimenti impugnati), è del tutto coerente con le
previsioni della legge statale.
Tra l’altro, sarebbe palesemente irrazionale ammettere che le Regioni debbono,
nell’ambito della pianificazione relativa ai rifiuti prodotti nel proprio
territorio, limitare la movimentazione dei rifiuti speciali (perché questo è uno
dei principi sanciti dall’art. 199 del Codice dell’Ambiente), mentre analoghi
limiti non potrebbero essere imposti con riferimento a rifiuti della medesima
tipologia di provenienza extra regionale.
Si tratterebbe di una conseguenza assurda, che oltretutto penalizzerebbe proprio
le Regioni più virtuose, le quali dovrebbero subire le conseguenze della mancata
o insufficiente pianificazione posta in essere da altre Regioni.
E a riprova di quanto appena detto, la Regione Marche, richiestane espressamente
dalla Regione Campania, aveva consentito l’abbancamento di rifiuti in un altro
impianto, quello di Corinaldo (provincia di Ancona), mentre in passato (maggio
2004) analoga disponibilità era stata espressa proprio per la discarica di San
Biagio (vedasi le note della Regione n. 134528 del 29/6/2007 e n. 161575 del
7/8/2007 , depositate dalla Provincia in allegato alla memoria di costituzione).
4.2. Tuttavia, laddove tali argomenti non dovessero essere ritenuti sufficienti,
il Collegio ritiene che anche la normativa speciale sull’emergenza rifiuti in
Campania, ed in particolare il D.L. n. 263/2006, convertito in L. n. 290/2006,
contiene disposizioni che legittimano l’operato della Provincia di Ascoli
Piceno.
In effetti, l’art. 5, ai commi 1 e 3, stabilisce che “…Fino alla cessazione
dello stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione
Campania, per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani o speciali non pericolosi
provenienti dalle attività di selezione, trattamento e raccolta dei rifiuti
solidi urbani, che potranno essere destinati in via eccezionale fuori regione,
sono utilizzate e messe in sicurezza le discariche già autorizzate o realizzate
dal Commissario delegato-prefetto di Napoli…” e che “Il Commissario delegato può
disporre, d'intesa con le regioni interessate, lo smaltimento ed il recupero
fuori regione, nella massima sicurezza ambientale e sanitaria, di una parte dei
rifiuti prodotti…”.
Come si vede, la normativa speciale sulla c.d. emergenza rifiuti in Campania (la
quale, in parte qua, non può non derogare alla normativa ordinaria, se non altro
perché la portata dell’emergenza è tale, sia dal punto di vista quantitativo che
qualitativo, da non consentire l’applicazione delle regole ordinarie sulla
pianificazione del ciclo dei rifiuti) non distingue, in relazione alle
possibilità di smaltimento fuori regione, fra rifiuti solidi urbani e rifiuti
speciali, prevedendo in entrambi i casi il previo accordo fra Commissario
delegato e Regione interessata.
Questo è del tutto comprensibile, in quanto:
- in primo luogo, la possibilità di smaltire fuori regione anche i r.s.u. (per i
quali, come riconosce la stessa ricorrente, vale invece ordinariamente il
principio dell’autosufficienza e quindi il divieto di smaltimento fuori regione)
implica un incremento esponenziale dei quantitativi di rifiuti che affluiscono
presso altre Regioni (anche perché, oggettivamente, la Campania è una regione
molto popolosa), dei quali, normalmente, una parte (quelli speciali) potrebbe
circolare liberamente. Ma questo non è possibile in situazione di emergenza, in
quanto l’enorme incidenza dei r.s.u. impone di calibrare la capacità ricettiva
degli impianti tenendo conto, unitariamente, sia dei rifiuti solidi urbani che
di quelli speciali e questo può avvenire solo in sede di accordi fra Commissario
delegato e Regioni;
- a voler opinare diversamente, si avrebbe l’inammissibile conseguenza per cui
la politica di gestione dei rifiuti (soprattutto in un periodo storico in cui
stanno venendo al pettine in molte Regione i nodi legati all’esaurimento delle
vecchie discariche, alla carenza di un’adeguata pianificazione ed all’ancora
insufficiente percentuale di raccolta differenziata) è nelle mani dei singoli
gestori degli impianti. La vicenda che occupa il Tribunale è al riguardo
emblematica: A.S.I.T.E., senza perlomeno avvisare nessuno degli enti preposti al
settore, ha deciso, in base ad autonome valutazioni di natura imprenditoriale,
di abbancare un consistente quantitativo di rifiuti provenienti dalla Campania,
superando anche i vincoli imposti dalla Regione e dalla Provincia in sede di
pianificazione (e, a quanto è dato capire dall’esame degli atti, nemmeno il
C.I.T.E. aveva avvisato dell’operazione i commissari delegati pro tempore, i
quali si sono trovati in una posizione di estremo imbarazzo, dovendo a
posteriori giustificare alla Regione Marche la legittimità del conferimento).
5. Per tutte le suesposte ragioni, il ricorso va respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese fra
le parti costituite
Va invece confermata la statuizione assunta dal Tribunale con l’ordinanza n.
80/2008, a proposito delle spese per la verificazione, le quali sono
definitivamente addossate alla società ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche respinge il ricorso in
epigrafe.
Spese di giudizio compensate.
Spese relative alla verificazione (già liquidate con le ordinanze n. 80/2008 e
n. 140/2008) a carico della società ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Luigi Passanisi, Presidente
Gianluca Morri, Primo Referendario
Tommaso Capitanio, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
AmbienteDiritto.it
- Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati -
Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it