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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR PIEMONTE, Sez. I - 5 giugno 2009, n. 1563
ENERGIA - RIFIUTI - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Procedura autorizzatoria per
l’installazione di una centrale a biomasse - Definizione di biomassa - Dir.
77/2001/CE - art. 2 d.lgs. n. 387/2003 - Diversa definizione ex d.lgs. n.
152/2006 - Non pertinenza rispetto alla materia della produzione di energia
elettrica. In tema di procedura autorizzatoria prevista dall’art. 12 del
d.lgs. 387/2003 per l’installazione di una centrale elettrica a biomasse, la
definizione di “biomassa” non può che ricavarsi direttamente dall’art. 2 della
dir. 77/2001/CE di cui tale decreto legislativo è attuativo e che si occupa
specificamente di fonti energetiche rinnovabili (l’art. 2 del d.lgs. n. 387/2003
riprende peraltro testualmente la definizione di cui alla direttiva
menzionata)”. Trattasi dell’unica definizione di biomassa presente nella
legislazione italiana rilevante e congruente con la pertinente direttiva al fine
di stabilire cosa possa intendersi per biomassa nel contesto di disciplina
afferente le fonti rinnovabili di energia; essa può poi convivere con altre e
solo parzialmente coincidenti definizioni. Non del tutto pertinente è allora
l’eventualmente diversa definizione ricavabile dal d.lgs. 152/2006 e relativo
allegato X alla parte V, non dettata in attuazione specifica della direttiva in
materia di fonti rinnovabili di energia, E’ infatti pur vero che l’art. 267 co.
4 del d.lgs. 152/2006 formula espresso richiamo alla direttiva 2001/77/CE e al
d.lgs. 387/2003, ciò tuttavia avviene senza per altro modificare il contenuto di
quest’ultimo, inclusa la definizione di cui all’art. 2, che dunque continua a
sussistere; la definizione di biomassa che in tale ultima norma resta così
cristallizzata ben può definirsi “speciale” alla luce di quanto evincibile dai
considerando della direttiva; vero è allora che, se nell’allegato X del d.lgs.
152/2006 si riprende una pregressa definizione di biomassa anche non del tutto
congruente con quella evincibile dalla direttiva 77/2001, quest’ultima e solo
questa sarà la norma rilevante quando venga in causa l’applicabilità della
disciplina dettata dal d.lgs. 387/2003. D’altro canto la configurabilità come
“rifiuto” di una sostanza non esclude l’applicabilità alla medesima, in una fase
successiva, della normativa afferente le fonti di energia rinnovabili per quella
parte di “rifiuti biodegradabili” che sono infatti espressamente contemplati
dalla direttiva 77/2001 e quindi dal d.lgs. 387/2003. Pres. Bianchi, Est.
Malanetto - S. s.r.l. (avv.ti Munari, Scaparone e Blasi) c. Provincia di Asti
(avv. Marengo) e Comune di Castagnole delle Lanze (avv. Polliotto). T.A.R. PIEMONTE, Sez. I -
05/06/2009, n. 1563
RIFIUTI - Sottoprodotto - Riutilizzo certo, anche in diverso ciclo produttivo - Giurisprudenza comunitaria - Art. 183 d.lgs. n. 152/2006. Alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria, il concetto di sottoprodotto presuppone un riutilizzo certo, a prescindere dal fatto che tale riutilizzo avvenga nel medesimo o in un diverso ciclo produttivo (fattispecie relativa al cippato di legno detannizzato, utilizzato quale biomassa per la produzione di energia elettrica) Si comprende quindi il perché delle censure comunitarie ad una normativa italiana che, nella originaria versione dell’art. 183 del d.lgs. 152/2006, pareva qualificare una sostanza sottoprodotto sulla sola base della sua astratta commerciabilità o del suo potenziale valore economico; non basta infatti, come visto, che il bene possa teoricamente essere commercializzato (anche se ciò ovviamente aumenta le sue possibilità di reimpiego) occorre che esso concretamente venga destinato al reimpiego. Ancora correttamente l’ultima versione dell’art. 183 lett. p) del d.lgs. 152/2006, nel qualificare il sottoprodotto, non puntualizza che esso deve reimpiegarsi nel “medesimo” processo produttivo ma in un processo di produzione e utilizzazione preventivamente individuato e definito, quindi certo. Pres. Bianchi, Est. Malanetto - S. s.r.l. (avv.ti Munari, Scaparone e Blasi) c. Provincia di Asti (avv. Marengo) e Comune di Castagnole delle Lanze (avv. Polliotto). T.A.R. PIEMONTE, Sez. I - 05/06/2009, n. 1563
N. 01563/2009 REG.SEN.
N. 01628/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1628 del 2007, proposto da:
Silvateam New Tech Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Munari,
Paolo Scaparone, Andrea Blasi, con domicilio eletto presso l’avv.to Paolo
Scaparone in Torino, via S. Francesco D'Assisi, 14;
contro
Provincia di Asti, in persona del dirigente del servizio ambiente Angelo
Marengo, rappresentata e difesa dall'avv.to Carlo Berruti, con domicilio eletto
presso la Segreteria Tar Piemonte in Torino, corso Stati Uniti, 45;
Comune di Castagnole delle Lanze, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dall'avv.to Patrizia Polliotto, con domicilio eletto
presso l’avv.to Patrizia Polliotto in Torino, via Roma, 366;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della determinazione dirigenziale della Provincia di Asti n. 7602 del
5.10.2005, ricevuta in data 11.10.2007, con la quale è stato disposto di non
attivare le procedure previste dall'art. 12 del Dlgs. n. 387/2003 e
conseguentemente di archiviare l'istanza di autorizzazione presentata da
Silvateam New Tech s.r.l. per la costruzione e l'esercizio di un impianto di
energia elettrica alimentato a cippato di legno nel Comune di Castagnole Lanze,
nonché della nota del 5.10.2007, prot. 61691, ricevuta in data 11.10.2007, con
la quale sono state trasmesse la suddetta determinazione dirigenziale n. 7602 e
le Linee Guida;
- delle Linee Guida in materia di produzione di energia elettrica da biomasse -
indirizzi per la formazione del parere provinciale nell'ambito della Conferenza
di Servizi ex art. 12 del Dlgs. n. 387/2003 e della relativa deliberazione del
Consiglio Provinciale di Asti n. 50 del 25.9.2007 di approvazione delle
medesime, comunicate con la citata nota del 5.10.2007, prot. 61691, ricevuta in
data 11.10.2007;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compreso, per
quanto occorra, il parere tecnico formulato dall'ARPA e trasmesso alla Provincia
di Asti con note prot. 105868 del 6.8.2007, prot. 107620 del 9.8.2007 e prot.
111556 del 21.8.2007 (non noto), la nota della Provincia di Asti del 14.8.2007
prot. 52071 del 14.8.2007 con la quale la Provincia ha comunicato i motivi
ritenuti ostativi all'accoglimento dell'istanza presentata dalla ricorrente; la
nota dell'ARPA del 4.10.2007 prot. 129303 (non nota).
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Asti;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Castagnole delle Lanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 07/05/2009 la dott.ssa Paola Malanetto
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Parte ricorrente ha adito
l’intestato TAR deducendo che il Comune di Castagnole delle Lanze ha individuato
nel proprio piano di insediamenti produttivi (PIP) un’area da destinare a nuovo
insediamento denominata PIP “Valle Tanaro”, situata in prossimità del casello
autostradale; nell’aprile 2006 Silvateam s.r.l. prendeva contatti con il Comune
per rappresentare la propria intenzione di realizzare presso tale area una
centrale termoelettrica alimentata con fonti rinnovabili, e in particolare
biomasse combustibili, in specifico “cippato di legno”. In seguito a trattative
con il Comune la ricorrente otteneva l’assegnazione di un’area nella zona
produttiva PIP Valle Tanaro della superficie di 23.511 mq per la realizzazione
della centrale a biomasse “attraverso l’uso di legno di scarto naturale”; con
deliberazione del 27 febbraio 2007 il Consiglio comunale approvava all’unanimità
la convenzione “per la progettazione, realizzazione ed esercizio di una centrale
termoelettrica funzionante a legna”, nella quale il Comune si impegnava a
cooperare con la ricorrente per una pronta definizione degli ulteriori iter
amministrativi di competenza della medesima amministrazione comunale”; con
successiva deliberazione n. 19 del 14 maggio 2007, il Consiglio Comunale,
aderendo alle richieste di un “Comitato di difesa della Valle Tanaro” ,
deliberava di “sospendere l’efficacia della propria precedente delibera n. 1 del
27.2.2007 con la quale aveva approvato la bozza di convenzione tra il Comune di
Castagnole delle Lanze e la Silvateam New Tech s.r.l.” e ciò fino all’emanazione
delle “Linee Guida da parte della Provincia di Asti”. La deliberazione n. 19 del
2007 veniva impugnata con separato ricorso innanzi a questo TAR.
In data 19 luglio 2007 la ricorrente presentava alla Provincia di Asti la
“domanda di autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del
2003” per la realizzazione della centrale, domanda munita degli allegati tecnici
previsti dalla vigente normativa; la centrale, per la quale era prevista una
potenza termica nominale al focolare di 48,5 MWt e una potenza elettrica netta
di 13,5 MWe, è destinata ad essere alimentata con legno naturale, in particolare
cippato di legno detannizzato, segatura, cortecce e scarti di legno. Il legno
detannizzato è legno risultante da un processo industriale di estrazione del
tannino effettuato esclusivamente con aria e acqua calda. Il progetto risulta
avere un impatto ambientale positivo in quanto sito, dal punto di vista
strutturale, in prossimità del casello autostradale e destinato a produrre
energia con l’impiego di legno già proveniente da altro processo produttivo, e
dunque senza incidere sul patrimonio boschivo. La Provincia comunicava alla
ricorrente, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, i motivi
ostativi all’accoglimento dell’istanza di autorizzazione, evidenziando che non
sussistevano le condizioni per avviare il procedimento ex art. 12 del d.lgs. n.
387/2003, in quanto il cippato non rientra nella definizione di “biomassa
combustibile” di cui al d.lgs. 152/2006 poichè viene sottoposto ad un
trattamento sia meccanico che termico. La ricorrente presentava osservazioni ma
la Provincia, con argomentazioni contraddittorie, determinava di “archiviare la
domanda di autorizzazione presentata in data 19 luglio 2007, prot. 47458 della
Società Silvateam New Tech”. Con nota prot. 61691, ricevuta in data 11 ottobre
2007, la Provincia trasmetteva copia delle “Linee Guida in materia di produzione
di energia elettrica da biomasse” e della relativa deliberazione di approvazione
del Consiglio Provinciale n.50 del 25 settembre 2007. Anche tali linee guida
presentano profili di illegittimità in quanto contrastanti con gli obblighi di
diritto comunitario, poiché impediscono in fatto lo sfruttamento dell’energia
proveniente da fonti rinnovabili sul territorio della Provincia di Asti; a
seguito dell’adozione delle “Linee Guida” il Comune avviava il procedimento
volto a revocare la deliberazione n. 1 del 27 febbraio 2007, con la quale era
stata approvata la Convenzione, motivando appunto sulla scorta delle “Linee
Guida” provinciali.
Lamenta parte ricorrente l’illegittimità della determinazione n. 7602/07 per
violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 17 del d.lgs. n. 387/2003, del
d.lgs. 152/2006, dell’allegato X alla parte V del d.lgs. 152/2006, dell’art. 183
del d.lgs. 152/2006, nonché dell’art. 6 della Direttiva n. 2001/77/CE; la
violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 e comunque
l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione.
La Provincia infatti sostiene che il legno detannizzato non rientra nella
nozione di biomassa combustibile prevista dall’allegato X alla parte V del
d.lgs. 152/2006, in particolare nella sua parte II sez. 4 punto 1.d), in quanto
il legno detannizzato subisce un trattamento chimico-fisico e non meccanico; per
tali motivi non sarebbe applicabile il regime autorizzatorio previsto dall’art.
12 del d.lgs. 387/2003, letto in combinato disposto con l’art. 17 del d.lgs.
387/2003. Tali argomentazioni riprendono il contenuto del parere ARPA del 6
agosto 2007 e quanto già anticipato nella comunicazione ex art. 10 bis della l.
241/1990.
Insiste parte ricorrente che la biomassa di cui trattasi è costituita da legno
vergine tagliato a pezzi (cd. cippatura), lavato con acqua calda,
successivamente strizzato meccanicamente ed essiccato a vapore; tale trattamento
deve considerarsi esclusivamente meccanico. La qualificazione del materiale come
biomassa è evincibile dalle norme dettate dal Comitato Europeo di
Standardizzazione che definisce come “trattamento chimico” qualsiasi trattamento
con sostanze chimiche diverse da aria e acqua; a sua volta il d.lgs. 152/2006
definisce la biomassa come materiale vegetale non contaminato da inquinanti e
non individua né l’aria né l’acqua nell’elenco delle sostanza inquinanti.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, inoltre, ha chiarito che una
sostanza non può essere considerata rifiuto se viene utilizzata con certezza per
il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l’ha prodotta, senza la
necessità che essa soddisfi il fabbisogno dello stesso operatore o sia
utilizzata dal medesimo produttore; in ogni caso una sostanza non può essere
rifiuto se può essere utilizzata in termini commercialmente vantaggiosi,
rappresentando per il produttore un valore economico e non un onere. In
particolare la Comunicazione interpretativa sui rifiuti e sottoprodotti dal 21
febbraio 2007, effettuata dalla Commissione al Consiglio e al Parlamento
europei, ha chiarito che un materiale non va considerato rifiuto quando: è di
fatto utilizzabile, è il risultato di una scelta produttiva, può essere
utilizzato con ricavo o profitto; viene preparato come parte integrante del
processo di produzione del prodotto principale, ferme le caratteristiche di cui
sopra.
Tali orientamenti sono stati recepiti dall’art. 183 lett. n. del d.lgs.
152/2006.
D’altro canto una interpretazione che escluda il cippato dalle biomasse si
porrebbe in insanabile contrasto con la direttiva 2001/77/CE, che impone agli
stati membri di eliminare gli ostacoli normativi alla produzione di energia da
fonti rinnovabili e di garantire norme trasparenti, non discriminatorie e
rispettose delle nuove tecnologie.
Si contesta inoltre la illegittimità delle Linee Guida per incompetenza della
Provincia ad adottarle, nonché per violazione e falsa applicazione del d.lgs.
387/2003, artt. 10 e 12, dell’art. 29 d.lgs. 112/98, dell’art. 52 LR Piemonte
44/2000 e degli artt. 2 e 3 L.R. Piemonte n. 23/2002, nonché per violazione e
falsa applicazione della direttiva 2001/77/CE e violazione del principio
dell’effetto utile del diritto comunitario; violazione e falsa applicazione
dell’art.1 della l. n. 239/2004 e del d.lgs. 79/99. In particolare la Provincia
non ha alcuna competenza ad adottare linee guida che pregiudichino o vanifichino
l’effetto utile della normativa comunitaria e statale, restringendo le
possibilità di sfruttamento delle energie rinnovabili poiché, ai sensi dell’art.
10 d.lgs. 387/2003, le Regioni possono adottare misure per promuovere l’aumento
di consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili e non per limitarlo; la
legge regionale inoltre colloca in capo alle Regioni le funzioni amministrative
che richiedono un unitario esercizio sul territorio e consente l’adozione di
norme di indirizzo e coordinamento che incentivino le fonti rinnovabili.
Inoltre, ai sensi dell’art. 12 d.lgs. 387/2003, il procedimento autorizzatorio
per la costruzione e l’esercizio di impianti alimentati a biomasse deve essere
concentrato in seno ad una conferenza di servizi; erroneamente le linee guida
adottate partono dalla vetusta idea che lo sfruttamento delle biomasse debba
necessariamente collegarsi alla filiera agricola; se pure ciò è ovviamente
possibile, non è corretto legare lo sfruttamento di biomasse al solo specifico
settore agricolo, posto che la Commissione europea tende ad incoraggiare tutte
le possibili forme di sfruttamento delle biomasse; erroneamente dunque le linee
guida privilegiano forme di utilizzo delle biomasse provenienti per lo più dalle
risorse locali dell’agricoltura e con ricadute su quest’ultima positive in
termini di certificati verdi; esse inoltre, del tutto impropriamente, dettano
disposizioni sulla definizione di bacini di approvvigionamento ottimali e
dimensionamento degli impianti, così consentendo la realizzazione di impianti
con potenza termica di soli 7 MWt per unità territoriale e complessiva per
provincia di 50 Mwt ed impongono l’obbligo di approvvigionamento dal territorio
locale.
Tutte le suddette limitazioni, oltre ad essere prive di base normativa, non sono
giustificate da ragioni di sostenibilità ambientale, non essendo questa
valutabile in maniera generalizzata e avulsa dal singolo progetto; infine le
linee guida contengono prescrizioni di dettaglio e vincolanti circa gli impianti
ammessi e la loro localizzazione, fornendo una sorta di aprioristica valutazione
negativa di determinati impianti, ad esempio già chiarendo di privilegiare gli
impianti medio-piccoli, con ciò contravvenendo le direttive dettate dalla
Commissione Europea che incoraggia indistintamente tutte le forme di produzione
di elettricità mediante biomassa economicamente efficienti; ad esempio
l’approvvigionamento della biomassa, anche al di fuori di quello che le linee
guida considerano bacino di approvvigionamento ottimale, potrebbe dare luogo ad
un impatto ambientale positivo, così come gli impianti di grandi dimensioni
presentano vantaggi di sostenibilità economica; senza contare che la limitazione
delle fonti di approvvigionamento si pone in contrasto con le libertà
fondamentali del Trattato CE, tra cui la libera circolazione delle merci. Infine
le limitazioni di ordine geografico violano i principi vigenti in ambito OMC-WTO,
cui l’Italia aderisce.
Le Linee Guida considerano fonte di biomassa pressocchè esclusivamente il
patrimonio boschivo, il verde pubblico e l’attività agricola; ignorano invece il
considerevole numero di aziende operanti nell’industria del legno e
agroalimentare; esse appaiono illegittime anche là dove impongono che gli
impianti alimentati a biomasse garantiscano l’uso produttivo della maggior parte
del calore residuo associato alla produzione di energia elettrica, circostanza
da documentarsi con appositi contratti o accordi stipulati con aziende. Non
sussiste alcuna previsione normativa in tal senso; d’altro canto il beneficio
ambientale di questa tipologia di impianto non è di per sé vanificato
dall’eventuale impossibilità della cogenerazione; in ogni caso pare difficile,
se non impossibile, che, a livello puramente progettuale, si possano ottenere
contratti o accordi con aziende in un sito industriale di nuova realizzazione e
come tale ancora privo delle stesse aziende con cui accordarsi.
Infine le linee guida prevedono la non commutabilità della tipologia di biomassa
combustibile per almeno 10 anni dal rilascio dell’autorizzazione; anche tale
limitazione pone un termine eccessivamente lungo e non considera che l’eventuale
impiego di biomasse legnose diverse da quelle originariamente prospettate può
presentarsi ad impatto ambientale neutro.
Si è costituita la Provincia di Asti deducendo che l’impianto prospettato
nell’istanza presentata alla Provincia da Silvateam in data 19.7.2007, prot. n.
47458, prevedeva la combustione di cippato di legno detannizzato (proveniente
dal sito industriale di San Michele Mondovì, gestito dalla società Ledoga s.r.l.,
la quale realizza l’estrazione del tannino con il lavaggio di cippato di legno
combustibile e di castagno con acqua surriscaldata a 112°), cortecce e scarti di
taglialegna, segatura e taglialegna provenienti dal sito industriale di San
Michele Mondovì, e segatura, cippato e altri scarti legnosi provenienti dalla
Provincia di Asti. La Provincia chiedeva parere tecnico al Dipartimento
Provinciale ARPA Piemonte per qualificare giuridicamente il materiale utilizzato
per alimentare l’impianto; L’ARPA con note prot. n. 105868 del 6.8.2007 e n.
107620 del 9.8.2007 e n. 111556 del 21.8.2007 rispondeva affermando che “i
rifiuti consistenti in legna trattata con acqua calda per estrarre il tannino
non rientrano nella definizione di biomassa combustibile di cui all’allegato X,
parte II, Sezione 4, alla parte V del d.lgs. 152/2006, utilizzabile negli
impianti di cui ai Titoli I e II della parte V del d.lgs. citato, in quanto il
materiale non viene sottoposto ad un trattamento “esclusivamente meccanico”,
come previsto dalla normativa ambientale.
La Provincia comunicava, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, con
nota prot. 520/1 del 14.8.2007, l’intendimento di archiviare l’istanza; parte
ricorrente presentava osservazioni chiedendo di attivare la procedura di
autorizzazione ai sensi dell’art. 12 d.lgs. 387/2003; in data 17.9.2007 si
teneva un incontro con la società ricorrente e, in data 1.10.2007, udite le
controdeduzioni, la Provincia chiedeva all’Arpa di confermare il precedente
parere del 9.8.2007. L’ARPA rispondeva con nota n. 129303 del 4.10.2007 nella
quale trasmetteva il parere rilasciato dalla SC 03 “area delle attività
regionali per l’indirizzo e il coordinamento delle attività per il rischio
industriale e sviluppo compatibile” dando atto che, stante la complessità
dell’argomento, si era ritenuto anche di chiedere un chiarimento all’Ufficio
legale dell’ARPA Piemonte.
In data 3.10.2007 con nota prot. n. 128664 l’ARPA trasmetteva il parere del
responsabile SS03.01, interlocutorio, nel quale si evidenziava come la normativa
nazionale orienterebbe verso la classificazione del materiale (cippato di legno
detannizzato) quale sottoprodotto, dall’altra la giurisprudenza comunitaria e
nazionale stigmatizzerebbe il contrasto della norma italiana con il diritto
comunitario; una interpretazione precauzionale porterebbe a classificare il
materiale come sottoprodotto solo se utilizzato nell’ambito del medesimo ciclo
produttivo; in ogni caso l’ARPA dichiarava di non ritenersi competente alla
classificazione del materiale come fonte rinnovabile di energia e dunque a
valutare l’applicabilità del d.lgs. 387/2003.
La Provincia archiviava l’istanza classificando il materiale come rifiuto.
Evidenzia in particolare che il lavaggio del legno con acqua calda esclude che
il trattamento possa definirsi “esclusivamente meccanico”; l’allegato X alla
parte V del d.lgs. 152/2006, nella parte II sez. 4 lett. d), individua la
biomassa combustibile come “materiale vegetale prodotto dalla lavorazione
esclusivamente meccanica di legno vergine e costituito da cortecce, segatura,
trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati, cascami di
sughero vergine, tondelli, non contaminati da inquinanti”. Mancherebbe nel caso
di specie il requisito della lavorazione esclusivamente meccanica. D’altro canto
l’elenco delle biomasse combustibili di cui al d.p.c.m. 8.3.2002 è stato
integrato con il d.p.c.m. 8.10.2004 per inserire tra le biomasse vegetali la
sansa di oliva disoleata; tale materiale effettivamente subisce un trattamento
meccanico-fisico ma, in mancanza dell’espressa previsione resasi perciò
necessaria, non avrebbe potuto rientrare nella nozione di “trattamento
meccanico”. Il mero fatto che il legno detannizzato non risulti sottoposto ad un
trattamento inquinante, in assenza del requisito del trattamento solo meccanico,
non sarebbe dunque idoneo ad annoverare il prodotto tra le biomasse. Inoltre la
Comunicazione interpretativa della Commissione al Consiglio e al Parlamento
Europeo relativa ai rifiuti e ai sottoprodotti, del 21.2.2007, prevede la
possibilità che un materiale sia considerato sottoprodotto e non rifiuto nei
seguenti casi: legalità di utilizzo, riutilizzo certo e non eventuale, assenza
di trasformazioni preliminari al riutilizzo e riutilizzo nel corso del processo
di produzione; per tali motivi il materiale in questione, non essendo utilizzato
nel medesimo processo di produzione, non può essere considerato “sottoprodotto”.
In tal senso l’articolo 183 del d.lgs. 152/06, come modificato dal D. Lgs.
4/2008, ha visto espunta la parte del disposto normativo che qualificava i
sottoprodotti tali anche quando semplicemente “commercializzati a condizioni
economicamente favorevoli per l’impresa”, di tal che residua la sola possibilità
di utilizzare i sottoprodotti all’interno dello stesso ciclo di produzione.
Ancora il sottoprodotto è tale se non richiede alcuna operazione di recupero;
per contro il DM 5/2/98 configura le operazioni di lavaggio e cippatura come
operazioni di recupero.
Quanto al lamentato rigetto immotivato dell’istanza evidenzia parte resistente
di avere tenuto in debita considerazione le osservazioni formulate dall’istante,
che per altro si era limitata a riproporre le argomentazioni già addotte in
prima battuta; quanto alla violazione della normativa comunitaria, ed in
particolare della direttiva 2001/77/CE, afferma che destinatario della medesima
deve ritenersi lo Stato italiano, che ha provveduto al recepimento con il d.lgs.
387/2003, per cui per la Provincia si è posta solo più la questione di una
corretta interpretazione delle esclusioni previste dall’art. 17 del d.lg.
387/2003.
Difende altresì la scelta di omettere del tutto la convocazione della conferenza
di servizi in quanto ciò presuppone la previa valutazione dei requisiti di
procedibilità dell’istanza da parte del responsabile del procedimento e, solo
superato tale preliminare vaglio, deve convocarsi la conferenza di servizi.
L’esito negativo della preistruttoria da parte della Provincia ha
inevitabilmente precluso la convocazione della Conferenza di Servizi.
Quanto alle doglianze mosse avverso le “Linee Guida” evidenzia la Provincia come
il sistema decentrato ed integrato delle regioni ed enti locali in materia
energetica contempli un ruolo di programmazione sul territorio degli enti
locali; in particolare l’art. 31 del d.lgs. 112/98 attribuisce alla Province la
redazione e l’adozione dei programmi di intervento per la promozione di fonti
rinnovabili e la competenza in tema di autorizzazione alla installazione ed
all’esercizio degli impianti di produzione di energia. La legge Regione Piemonte
n. 44/2000 all’art. 3 attribuisce alle Province la competenza in ordine alla
attuazione del Piano Regionale Energetico-Ambientale, il controllo e l’uso
razionale dell’energia, il rilascio di autorizzazioni per l’installazione e
l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica, compresi gli
impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui al d.lgs. 387/03, e l’assunzione
del procedimento unico delineato dall’art. 12 del d.lgs. 387/03. In tale
contesto la Provincia ha adottato le linee guida. Esse costituiscono atto
interno alla pubblica amministrazione, che ivi esaurisce la sua portata ed è
privo di efficacia esterna e valenza immediatamente lesiva delle posizioni
giuridiche dei soggetti estranei all’amministrazione; trattasi di indicazioni
neppure vincolanti per l’amministrazione emanante, che resta libera di
modificarle in ogni momento; in ogni caso le linee guida non hanno trovato
alcuna applicazione alla ricorrente.
Sul punto il ricorso è dunque inammissibile in quanto carente del prescritto
interesse ad agire.
In ogni caso legittimamente la Provincia di Asti ha ritenuto di promuovere e
favorire la produzione di energia elettrica da biomasse provenienti
dall’agricoltura locale; le linee guida, espressamente riferite alle biomasse
legnose, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, contemplano
anche gli scarti delle industrie del legno; gli obiettivi comunitari e nazionali
in tema di incentivazioni delle energie rinnovabili devono essere attuati nel
rispetto dei principi di sostenibilità economica, ambientale e sociale degli
interventi essendo evidente che, tanto più lontane sono le fonti di
approvvigionamento, tanto maggiore sarà l’inquinamento prodotto nel trasporto,
dato che consiglia di limitare il bacino di approvvigionamento a quindi le
dimensioni degli impianti in ragione delle esigenze locali, scelte per altro
compatibili con il Piano Energetico Regionale predisposto dalla Regione Piemonte
e anche con la Strategia UE per i biocarburanti COM 34/2006; insiste infine la
Provincia sui riconosciuti vantaggi della cogenerazione; in particolare il
d.lgs. n. 20/2007, attuativo della direttiva 2004/8/CE, promuove la
cogenerazione sicchè il piano energetico ambientale della Regione Piemonte
indirizza le amministrazioni verso la massima incentivazione della cogenerazione;
il vincolo decennale di non commutabilità dell’impianto è infine finalizzato ad
impedire che impianti originariamente finalizzati all’utilizzo di fonti
rinnovabili possano essere utilizzati per soluzioni a più elevato impatto
ambientale.
Ribadita l’inammissibilità delle censure mosse avverso le linee guida, parte
resistente Provincia di Asti chiedeva respingersi il ricorso.
Si costituiva altresì il Comune di Castagnole delle Lanze il quale, dopo aver
riassunto l’iter dell’istanza presentata dalla ricorrente presso la Provincia,
esponeva che, preso atto che la Provincia aveva ritenuto di considerare il
cippato quale rifiuto e non quale biomassa, aveva adottato la deliberazione n.
19 del 14.5.2007 con la quale aveva sospeso la firma della Convenzione
precedentemente predisposta ed afferente i rapporti tra Comune e Silvateam
relativi alla centrale a biomasse, e ciò in attesa che la Provincia approvasse
le pertinenti “Linee Guida”; con successiva deliberazione n. 38 del 30.10.2007,
preso atto del provvedimento negativo emesso dalla Provincia in relazione
all’istanza di autorizzazione all’insatallazione presentata da Silvateam, il
Comune aveva revocato il perfezionamento della Convenzione con Silvateam.
Nel merito si associava alle difese della Provincia, in particolare evidenziando
come già il d.lgs. n. 22 del 5.2.1997 inquadrasse ogni residuo di lavorazione
nella categoria dei rifiuti; secondo il d.lgs. 16.3.1999 n. 79 tra le fonti
rinnovabili rientrerebbe a pieno titolo la “trasformazione in energia elettrica
di prodotti vegetali non trattati chimicamente”; il decreto n. 401 del 1999,
recante norme sulla concessione di aiuti a favore della produzione e
utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili nel settore agricolo, stabiliva
in maniera tassativa ciò che si dovesse intendere per “biomassa” elencando:
legna da ardere, residui lignocellulosici puri, sottoprodotti di coltivazioni
agricole ed ittiche, colture agricole forestali dedicate, liquami e reflui
zootecnici e acquicoli. Il d.p.c.m. 8.10.2004, in modifica del d.p.c.m.
8.3.2002, elenca in modo tassativo le biomasse combustibili all’art. 3 co. 1
lett. m) e 6 co. 1 lett. h) ed in particolare, al numero 4), include il
“materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di legno
vergine e costituito da cortecce, segatura e trucioli, chips, refili e tondelli
di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine.” Per tale ragione il
legno detannizzato non può includersi tra le biomasse. D’altro canto la stessa
Corte di Giustizia delle Comunità europee ha sempre difeso una interpretazione
ampia della nozione di rifiuto, in coerenza con gli obiettivi della direttiva
2006/12/CE e con l’art. 174, paragrafo 2, del trattato CE, che impone alla
Comunità di adottare un elevato livello di tutela ambientale. La Corte di
Giustizia ha ritenuto qualificabile come rifiuto qualsiasi sostanza di cui
l’interessato intende “disfarsi” ed ha affermato che sono le circostanze
specifiche a fare di una sostanza un rifiuto. Secondo la Corte di Giustizia può
essere inteso quale sintomo del fatto che una sostanza non sia rifiuto la
circostanza che la sua produzione sia il risultato di una deliberata scelta
produttiva, che l’imprenditore avrebbe anche potuto evitare; tuttavia occorre
che il riutilizzo del materiale avvenga nel corso del processo di produzione.
Inoltre, per il legislatore ambientale, un prodotto, per essere definito
biomassa, deve essere il risultato di una lavorazione esclusivamente meccanica e
non deve essere contaminato da inquinanti; nel caso di specie mancherebbe il
requisito della lavorazione esclusivamente meccanica.
Corretta doveva poi ritenersi la scelta della Provincia di non convocare la
conferenza di servizi, preso atto dell’esito negativo della preistruttoria e
della mancanza delle condizioni di ammissibilità della domanda.
Evidenziava infine il Comune come gli atti dal medesimo adottati in seguito al
diniego espresso dalla Provincia ne fossero necessaria conseguenza; in
particolare la deliberazione n. 19 del 14.5.2007, con la quale era stata sospesa
la firma della convenzione, la deliberazione n. 38 del 30.10.2007, con la quale
era stato revocato il perfezionamento della Convenzione con la società Silvateam,
la deliberazione n. 1 del 29.1.2008, con quale il Comune aveva revocato
l’originaria deliberazione sospendendo l’intera procedura convenzionatoria, e la
determinazione n. 18 del 27.10.2008, di revoca dell’assegnazione dei terreni,
nelle more intervenuta nell’ambito del PIP, e collegato trattenimento della
caparra, risultavano essere tutti atti dovuti alla luce delle posizioni assunte
dalla Provincia. Si associava infine alle difese della Provincia in punto
inammissibilità delle censure mosse avverso le linee guida, per non avere queste
trovato applicazione alla ricorrente, essendosi il procedimento arrestato prima.
Con memoria depositata il 24.4.2009 Silvateam ha ribadito le proprie tesi
difensive evidenziando che, in data 12.3.2008, la Commissione Europea - DG
ambiente - ha emesso, in risposta ad un quesito posto dal Consiglio Nazionale
dei Chimici italiano, il parere prot. D(2008)3842 chiarendo che il legno
risultante dal processo di estrazione del tannino è un prodotto e non un rifiuto
ed in ogni caso beneficia della disciplina dettata dalla direttiva 77/2001/CE, e
quindi, in Italia, dal d.lgs. n. 387/2003 che vi ha dato attuazione, poiché la
direttiva chiarisce che anche la parte biodegradabile dei rifiuti può essere
inclusa nella biomassa. Pertanto il legno detannizzato deve classificarsi
prodotto e non rifiuto e, anche a prescindere dalla sua qualificazione, il
medesimo può beneficiare della disciplina dalla Direttiva 77/2001/CE; nel corso
del 2008 la Commissione europea ha presentato una proposta di Direttiva volta ad
ulteriormente rafforzare lo sfruttamento di fonti rinnovabili di energia e,
nella relazione accompagnatoria della medesima, sottolinea come le maggiori
difficoltà nello sfruttamento delle biomasse derivino dagli ostacoli
amministrativi e autorizzatori frapposti in molti Stati e, in particolare come
l’Italia sia ancora lontana dagli obiettivi tanto nazionali che europei fissati
in materia.
Inoltre la direttiva 2008/98/CE del 19.11.2008, relativa ai rifiuti, ha definito
i sottoprodotti come non assimilabili ai rifiuti e quindi esclusi
dall’applicazione della direttiva medesima ed ha chiarito, codificando principi
giurisprudenziali, che una sostanza è sottoprodotto se è certo che sarà
ulteriormente utilizzata, può essere utilizzata senza alcun ulteriore
trattamento, è prodotta come parte integrante del processo di produzione, e il
suo utilizzo è legale, nel senso che rispetta tutti i requisiti prescritti per
la protezione della salute e dell’ambiente. Ne deriva l’obbligo di una
interpretazione complessivamente conforme alla disciplina comunitaria del
diritto nazionale.
Infine parte ricorrente evidenzia ulteriormente che, in data 2.3.2009, il GSE
Gestore Servizi Elettrici, in seguito ad apposita domanda presentata da
Silvateam ha qualificato l’impianto come “alimentato da fonti rinnovabili” e
quindi legittimato a beneficiare delle relative agevolazioni.
Il d.lgs. 133/2005 ha escluso dalla normativa in tema di rifiuti tutte le
biomasse avviate a combustione; anche poi a voler considerare, a fini
interpretativi, il superato d.m. 5.2.1998, citato dalle parti resistenti e
travolto dal d.lgs. 133/2005, risulta comunque che detto d.m. individua
possibili attività finalizzate all’esclusivo recupero di scarti quali lavaggio,
cernita, adeguamento volumetrico e cippatura; nel caso del legno detannizzato,
per contro, tanto il lavaggio che la cippatura, in quanto già parte integrante
del processo di estrazione del tannino, non possono ricondursi ad operazioni di
recupero né si rendono ulteriormente necessari al termine dell’unico processo
produttivo.
In ogni caso, proprio alla luce dei parametri di classificazione dei
sottoprodotti dettati dalla giurisprudenza comunitaria, il processo produttivo
di estrazione del tannino posto in essere da Ledoga s.r.l. utilizza
deliberatamente acqua surriscaldata per ottenere il tannino, quindi adotta una
scelta produttiva per poter produrre anche il cippato di legno detannizzato, il
cui reimpiego è certo in quanto ampiamente richiesto sia come combustibile sia
per le centrali a biomasse. Il suo reimpiego procura ricavi al produttore e non
necessita di alcun ulteriore trattamento né ha alcun impatto ambientale
negativo. Infine la più recente giurisprudenza comunitaria ha evidenziato
l’irrilevanza del reimpiego del sottoprodotto necessariamente nel medesimo ciclo
produttivo, fermo il rispetto delle condizioni sopra elencate.
Quanto all’impugnativa delle linee guida parte ricorrente ne afferma in
principalità la non applicabilità alla propria istanza di autorizzazione, in
quanto presentata diversi mesi prima della loro adozione, prendendo anche atto
del fatto che, nelle proprie difese, la stessa Provincia le qualifica non
vincolanti; in ogni caso insiste per l’immediata lesività e quindi annullabilità
di quelle prescrizioni che paiono puntuali e vincolanti, là dove ad esempio
impongono di utilizzare biomasse di una determinata provenienza; in ogni caso
ribadisce l’assunto per cui la Provincia potrebbe incentivare e promuovere lo
sviluppo di fonti rinnovabili e non ostacolarlo. Ribadisce inoltre
l’inadeguatezza di un sistema di valutazione aprioristica dell’impatto
ambientale dell’impianto, considerata l’impossibilità di affermare a priori e in
astratto che tale impatto sia sempre minore qualora le biomasse provengano
dall’agricoltura locale; evidenzia per contro i pregi dell’impianto proposto;
ribadisce la frizione tra l’impostazione evincibile dalle linee guida
provinciali e la libera circolazione delle merci di cui all’art. 28 del Trattato
CE, in quanto impedirebbero a biomasse di provenienza comunitaria (in
particolare molta biomassa è prodotta nei paesi scandinavi) di essere utilizzata
negli impianti della Provincia di Asti; insiste per l’accoglimento del ricorso
con annullamento anche delle linee guida.
DIRITTO
I presupposti in fatto della
presente vertenza sono pacifici tra le parti: è infatti pacifico che Silvateam
New Tech s.r.l. ha presentato alla Provincia di Asti istanza per ottenere, ai
sensi dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003, l’autorizzazione ad installare una
centrale a biomasse nel Comune di Castagnole delle Lanze; la ricorrente
prospetta nel progetto di alimentare la centrale in particolare con cippato di
legno detannizzato. Le parti concordemente affermano che tale cippato di legno
deriva da un processo di estrazione del tannino portato a termine attraverso il
solo impiego di acqua e aria calda; il cippato di legno di castagno viene
successivamente lavato con acqua surriscaldata a 112° e poi strizzato
meccanicamente ed essiccato mediante vapore. E altresì pacifico che nessun
additivo chimico è utilizzato nel processo produttivo e che il cippato residuo
altro non è che cippato di legno privato del tannino.
Per una corretta impostazione della causa occorre prendere le mosse dal diritto
comunitario di cui il d.lgs. 387/2003 è diretta attuazione, ossia la direttiva
77/2001/CE, finalizzata a promuovere lo sfruttamento di fonti di energia
rinnovabili.
Il diniego oggetto principale della presente impugnativa afferisce in
particolare al procedimento di autorizzazione unica all’installazione della
centrale a biomasse semplificato ex lege con il modulo della conferenza di
servizi come previsto dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003; la Provincia ha ritenuto
di non attivare neppure il procedimento formulando un negativo vaglio
preliminare di ammissibilità dell’istanza in quanto il cippato non sarebbe
qualificabile biomassa bensì rifiuto.
Il primo parametro interpretativo utilizzabile per l’intelligenza del
significato di una norma nazionale di diretta derivazione comunitaria è
ovviamente la normativa comunitaria stessa, per la necessità imprescindibile di
garantire la primazia del diritto comunitario, il suo effetto utile, nonché di
interpretare la normativa nazionale in senso conforme alle regole di cui
costituisce attuazione; scorretta risulterebbe l’inversione dell’iter logico
procedendo ad esempio secondo la centralità della sola legge nazionale magari
letta, con una vera inversione di gerarchia delle fonti, alla luce di parametri
normativi secondari quali i decreti ministeriali che ne devono costituire
attuazione e non ostacolo.
La direttiva 77/2001/CE evidenzia, nei considerando introduttivi, la
preoccupazione che la politica comunitaria di incentivazione della produzione
energetica da biomasse non vanifichi l’altrettanto fondamentale politica
comunitaria di “gestione” dei rifiuti; tuttavia il nono considerando della
direttiva specifica: “la definizione di biomassa utilizzata nella presente
direttiva lascia impregiudicato l'utilizzo di una definizione diversa nelle
legislazioni nazionali per fini diversi da quelli della presente direttiva.”
L’articolo 2 lett. b) della direttiva definisce biomassa: “b) "biomassa" la
parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti
dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura
e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti
industriali e urbani”.
Dall’insieme dei due assunti, che in sé riassumono il cuore della presente
vicenda, si evincono due fondamentali considerazioni: è “fisiologico” che la
problematica dei rifiuti e quella delle biomasse si intersechino, al punto che
nella definizione di “biomassa” dettata dalla direttiva 77/2001 entra tout court
la parte biodegradabile dei rifiuti; d’altro canto è “fisiologico” che nel
sistema coesistano più definizioni di biomassa, dettate nel contesto di diverse
discipline, magari tutte di derivazione comunitaria, tant’è che la direttiva
77/2001 si preoccupa espressamente di fare salve le eventuali preesistenti e
diverse definizioni di biomassa.
Ne risulta di immediata evidenza la possibile inutilità di tentare la
ricostruzione di un’unica e universalmente valida definizione di biomassa,
proprio perché tale tentativo si scontrerebbe con la molteplicità di definizioni
prevista e tollerata dal sistema.
Diviene allora preliminarmente necessario comprendere a quale fine e in quale
contesto la definizione di biomassa deve essere ricostruita, per poter procedere
all’individuazione della giusta definizione. Ne deriva infine la fisiologica
possibilità che, ciò che in un determinato contesto è soltanto un “rifiuto”, in
un altro possa assumere il valore di fonte rinnovabile di energia.
Ora è evidente che, là dove si verta in tema di procedura autorizzatoria
prevista dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003 per l’installazione di una centrale
elettrica a biomasse, non potrà che definirsi la biomassa alla luce della
definizione che si ricava direttamente dalla direttiva 77/2001/CE di cui tale
decreto legislativo è attuativo e che si occupa specificamente di fonti
energetiche rinnovabili; quindi verrà in considerazione la definizione dettata
dall’art. 2 della direttiva.
In sede definitoria anche l’art. 2 del d.lgs. 387/2003 riprende testualmente la
direttiva e stabilisce “.. per biomassa si intende: la parte biodegradabile dei
prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze
vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la
parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.
Questa è, si ribadisce, l’unica definizione di biomassa presente nella
legislazione italiana rilevante e congruente con la pertinente direttiva al fine
di stabilire cosa possa intendersi per biomassa nel contesto di disciplina
afferente le fonti rinnovabili di energia, che qui interessa; essa, come
chiarito nei considerando della direttiva di cui è attuazione, può poi convivere
con altre e solo parzialmente coincidenti definizioni.
Non del tutto pertinente è allora l’eventualmente diversa definizione ricavabile
dal d.lgs. 152/2006 e relativo allegato X alla parte V (ovvero dal d.p.c.m.
8.3.2002, come modificato dal d.p.c.m 8.10.2004, in tema di “disciplina delle
caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini
dell'inquinamento atmosferico, nonche' delle caratteristiche tecnologiche degli
impianti di combustione”, dal contenuto sostanzialmente sovrapponibile
all’allegato X del d.lgs. 152/2006), non dettata in attuazione specifica della
direttiva in materia di fonti rinnovabili di energia e dunque tale da scontare
il possibile equivoco di presupporre diverse definizioni di biomassa. E’ infatti
pur vero che l’art. 267 co. 4 del d.lgs. 152/2006 formula espresso richiamo alla
direttiva 2001/77/CE e al d.lgs. 387/2003, ciò tuttavia avviene senza per altro
modificare il contenuto di quest’ultimo, inclusa la definizione di cui all’art.
2, che dunque continua a sussistere; la definizione di biomassa che in tale
ultima norma resta così cristallizzata ben può definirsi “speciale” alla luce di
quanto evincibile dai considerando della direttiva; vero è allora che, se
nell’allegato X del d.lgs. 152/2006 si riprende una pregressa definizione di
biomassa anche non del tutto congruente con quella evincibile dalla direttiva
77/2001, per le ragioni già esposte, quest’ultima e solo questa sarà la norma
rilevante quando venga in causa l’applicabilità della disciplina promozionale
dettata dal d.lgs. 387/2003. D’altro canto la configurabilità come “rifiuto” di
una sostanza non esclude l’applicabilità alla medesima, in una fase successiva,
della normativa afferente le fonti di energia rinnovabili per quella parte di
“rifiuti biodegradabili” che sono infatti espressamente contemplati dalla
direttiva 77/2001 e quindi dal d.lgs. 387/2003.
Se quanto sopra si ritiene valido ai fini del coordinamento del significato di
disposizioni tutte di pari rango a maggior ragione ovviamente nessuna
vanificazione della portata delle definizione di cui all’art. 2 del d.lgs.
387/2003 potrà derivare dai vari d.p.c.m. prima menzionati.
Fuorvianti a fini interpretativi si ritengono poi i richiami al d.m. 5.2.1998
relativo alla “individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle
procedure semplificate di recupero” effettuati dalle amministrazioni resistenti;
basti pensare che, a tacer d’altro, il d.m. 5.2.1998 al punto 9.2 annovera tra i
“rifiuti di legno e sughero” gli “scarti di legno e sughero, imballaggi di
legno” provenienti dalla lavorazione del “legno vergine” e descrive le
caratteristiche del rifiuto come “legno vergine in scarti di diverse dimensioni
e segatura, con possibili presenze di polveri di natura inerte”. A seguire
allora fino in fondo le suggestioni interpretative mosse dalle parti resistenti
sulla scorta di questo argomento, e considerando il d.m. parametro
interpretativo idoneo ad escludere l’utilizzabilità quale “biomassa-fonte di
produzione energetica” le sostanze ivi indicate, si potrebbe arrivare alla
conclusione paradossale che i semplici scarti di legno vergine, sulla cui
idoneità a costituire biomasse nulla hanno da eccepire le amministrazioni
resistenti, essendo annoverati ad altri fini quali “rifiuti” al punto 9.2. del
d.m. in questione non possono costituire biomassa per l’alimentazione di una
centrale elettrica.
Ragioni di confusione interpretativa, per altro, sono state indotte dallo stesso
legislatore italiano con alcuni passaggi incerti del d.lgs. 387/2003; con tale
decreto legislativo, infatti, in prima battuta, nell’ambito del “regime
riservato alle fonti energetiche rinnovabili” sono stati inseriti anche rifiuti
che, a differenza di quelli biodegradabili citati dalla direttiva 77/2001/CE,
certamente non possono rientrarvi secondo la direttiva; l’originaria versione
dell’art. 17 del d.lgs. 387/2003, infatti, ammetteva a trattamento “similare” a
quello delle fonti rinnovabili sic et simpliciter i “rifiuti, ivi
compresa la loro frazione non biodegradabile e i combustibili derivanti da
rifiuti”. In tal senso disponeva il co. 1 dell’art. 17 del d.lgs. 387/2003; esso
è stato oggetto di attenzione anche da parte della Comunità Europea per
l’evidente scorretta trasposizione della direttiva ed è poi stato abrogato
dall'articolo 1, comma 1120 lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
Dell’originario articolo 17 sopravvive oggi il solo co. 2 che, in particolare
alla lett. c), esclude dal regime riservato alle fonti rinnovabili “i prodotti
energetici che non rispettano le caratteristiche definite nel decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, e successive modifiche ed
integrazioni.”
Su tale esclusione nuovamente appuntano la loro attenzione le amministrazioni
resistenti evidenziando come il d.m. 8.3.2002, già citato, ha sul punto
contenuto identico all’allegato X alla parte quinta del d.lgs. 152/2006, nella
sua parte II, sez, 4 lett. d); in particolare in tali norme si definisce
biomassa combustibile “il materiale vegetale prodotto dalla lavorazione
esclusivamente meccanica di legno vergine e costituito da cortecce, segatura,
trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di
sughero vergine, tondelli non contaminati da inquinanti.”
Il rinvio innanzitutto non può essere correttamente compreso avulso dal contesto
originario in cui era stato previsto, cioè una disposizione che “assimilava”
alle fonti energetiche rinnovabili tutti i rifiuti, anche non biodegradabili,
poi procedendo ad escluderne quelli privi di determinate caratteristiche.
In ogni caso già si è visto come, ai fini per cui è causa, non possa rilevare
l’eventuale più restrittiva definizione di biomassa ricavabile dal d.lgs.
152/2006; né il rinvio al d.p.c.m. potrebbe restringere la nozione di biomassa
desunta direttamente dalla direttiva e correttamente recepita dall’art. 2 del
d.lgs. 387/2003. Anche allora leggendo la disposizione dell’art. 17 d.lgs.
387/2003 come oggi residua, non può non evidenziarsi che una eventuale
definizione ricavabile dal combinato disposto della legge e del d.p.c.m.
8.3.2002 (per di più anteriore al d.lgs. 387/2003) in termini restrittivi o
contraddittori rispetto alla definizione legislativa di cui all’art. 2 del
d.lgs. 387/2003, letterale trasposizione del disposto della normativa
77/2001/CE, non potrebbe che soccombere, prima ancora per la gerarchia tra le
norme nazionali, interpretate in senso conforme al diritto comunitario, che per
la necessità di disapplicare la disposizione nazionale eventualmente
contrastante con la direttiva comunitaria.
Risulta a questo punto in parte superfluo valutare se il cippato di legno
detannizzato possa o meno rientrare nel concetto di sottoprodotto di cui
all’art. 183 del d.lgs. 152/2006, come modificato dal d.lgs. 4/2008, e con ciò
sfuggire comunque all’inquadramento quale rifiuto, concetto da leggersi a sua
volta alla luce delle disposizioni e della giurisprudenza comunitaria di cui è
precipitato; ciò perché, come già più volte evidenziato, secondo la direttiva
77/2001/CE, e quindi il d.lgs. 387/2003, anche veri e propri “rifiuti”, purchè
biodegradabili, sono certamente suscettibili di utilizzazione quali biomasse in
centrali di produzione di energia.
Per completezza, tuttavia, e considerato che le amministrazioni resistenti
evidenziano come la direttiva 77/2001/CE precisi, nei considerando, l’esigenza
di coordinarsi con la politica comunitaria in materia dei rifiuti, si procede
all’analisi di questo ulteriore profilo per il quale comunque pare più
persuasiva la tesi di parte ricorrente.
Il concetto di “sottoprodotto” è un concetto elaborato dalla giurisprudenza
comunitaria formatasi in tema di rifiuti; anche in questo caso la disposizione
espressa dal legislatore italiano non può essere compresa se non sulla scorta
della normativa comunitaria da cui trae origine.
Le parti sono in contrasto in particolare circa un requisito del sottoprodotto
che sarebbe necessario secondo il diritto comunitario e che mancherebbe al
cippato in questione, quello del “reimpiego nel medesimo ciclo produttivo”. La
Corte di Giustizia ha enucleato anche una serie di altri requisiti dei
sottoprodotti dei quali non si può seriamente dubitare che sussistano in
relazione al cippato di legno detannizzato per cui è causa: esso deriva da un
processo produttivo che non è principalmente destinato a produrlo (infatti il
prodotto principale è il tannino estratto), è destinato alla riutilizzazione
(nel contesto per cui è causa la riutilizzazione è per forza certa, poiché il
cippato viene in considerazione non sul fronte di chi deve eventualmente
disfarsene ma sul fronte di chi già lo ha acquistato per utilizzarlo quale fonte
di energia nella centrale, quindi è identificata, certa ed attuale la sua
riutilizzazione), non occorrono trasformazioni preliminari, poiché, come
pacifico in causa, il trattamento con acqua e aria calda del legno vergine,
privo di qualsivoglia additivo chimico, produce contestualmente il tannino e il
cippato di legno detannizzato il quale, per essere utilizzato come combustibile,
non necessita più di alcun tipo di trattamento.
Il contrasto tra le parti in causa si appunta invece, come detto,
principalmente, sul concetto di reimpiego nel “medesimo ciclo produttivo”.
Al riguardo la giurisprudenza comunitaria ha subito un’evoluzione il cui punto
di svolta viene fissato normalmente nella causa C 235-02 Saetti e Freudiani,
ordinanza del 15.1.2004, in cui la Corte ammette che il reimpiego del
sottoprodotto può attenere ad un ciclo produttivo diverso; quindi nella sentenza
8.9.2005, in causa C 416-02 Commissione delle Comunità Europee contro Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, la Corte statuisce che i
sottoprodotti possono essere riutilizzati per il fabbisogno di operatori
economici diversi da quelli che li hanno prodotti. Si riporta il passo
significativo: “In determinate situazioni, un bene, un materiale o una materia
prima che deriva da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è
principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto
un sottoprodotto, del quale l’impresa non cerca di «disfarsi» ai sensi dell’art.
1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare
o commercializzare a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo,
senza operare trasformazioni preliminari. Non vi è, in tal caso, alcuna
giustificazione per assoggettare alle disposizioni della detta direttiva, che
sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni,
materiali o materie prime che, dal punto di vista economico, hanno valore di
prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali,
sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti, a condizione che tale
riutilizzo non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e
nel corso del processo di produzione. La Corte ha così giudicato che detriti o
sabbia di scarto da operazioni di arricchimento di minerale provenienti dallo
sfruttamento di una miniera sfuggono alla qualifica di rifiuti ai sensi della
direttiva 75/442 quando il detentore li utilizzi legalmente per il necessario
riempimento delle gallerie della detta miniera e fornisca garanzie sufficienti
sull’identificazione e sull’utilizzazione effettiva di queste sostanze (v., in
questo senso, sentenza 11 settembre 2003, causa C 114/01, AvestaPolarit Chrome,
Racc. pag. I 8725, punto 43). La Corte ha anche dichiarato che non costituisce
un rifiuto ai sensi della detta direttiva il coke da petrolio prodotto
volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze
combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con
certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di
altre industrie (ordinanza 15 gennaio 2004, causa C- 235/02, Saetti e Frediani,
Racc. pag. I, 1005, punto 47). Come afferma giustamente il governo del Regno
Unito nella sua memoria di intervento, gli effluenti di allevamento possono,
alle medesime condizioni, sfuggire alla qualifica di rifiuti, se vengono
utilizzati come fertilizzanti dei terreni nell’ambito di una pratica legale di
spargimento su terreni ben individuati e se lo stoccaggio del quale sono oggetto
è limitato alle esigenze di queste operazioni di spargimento. Contrariamente a
quanto sostenuto dalla Commissione, non occorre limitare quest’analisi agli
effluenti d’allevamento utilizzati come fertilizzanti sui terreni che
appartengono allo stesso stabilimento agricolo che li ha prodotti. Infatti, come
la Corte ha già giudicato, una sostanza può non essere considerata un rifiuto ai
sensi della direttiva 75/442 se viene utilizzata con certezza per il fabbisogno
di operatori economici diversi da chi l’ha prodotta (v., in questo senso,
ordinanza Saetti e Frediani, cit., punto 47).”
L’evoluzione giurisprudenziale è il risultato fisiologico di una modalità di
procedere casistica tipica della Corte di Giustizia che va progressivamente
enucleando i distinguo attinenti fattispecie concrete. Anche le più recenti
pronunce della Corte di Giustizia riassumo e ribadiscono l’iter logico percorso
e l’approdo già evidenziato.
Nella sentenza CGCE 18.12.2007 in causa C 195-05 Commissione contro Repubblica
italiana (identica la sentenza 18.12.2007 in causa C 263-05 Commissione contro
Repubblica italiana): “38 La Corte ha precisato, da un lato, che l’esecuzione di
una delle operazioni di smaltimento o di recupero di cui agli allegati II A o II
B alla direttiva non consente di per sé di qualificare come rifiuto una sostanza
o un oggetto trattato in tale operazione (v. in tal senso, in particolare,
sentenza Niselli, cit., punti 36 e 37) e, dall’altro, che la nozione di rifiuti
non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e gli oggetti
suscettibili di riutilizzazione economica (v., in tal senso, in particolare,
sentenza 25 giugno 1997, cause riunite C 304/94, C 330/94, C 342/94 e C 224/95,
Tombesi e a., Racc. pag. I 3561, punti 47 e 48). Il sistema di sorveglianza e di
gestione istituito dalla direttiva intende infatti riferirsi a tutti gli oggetti
e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore
commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero
o di riutilizzo (v., in particolare, sentenza 18 aprile 2002, causa C 9/00,
Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I
3533; in prosieguo: la sentenza «Palin Granit», punto 29). 39 Tuttavia, emerge
altresì dalla giurisprudenza della Corte che, in determinate situazioni, un
bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di estrazione o
di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire
non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca
di «disfarsi» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva, ma che intende
sfruttare o commercializzare - altresì eventualmente per il fabbisogno di
operatori economici diversi da quello che l’ha prodotto - a condizioni ad esso
favorevoli, in un processo successivo, a condizione che tale riutilizzo sia
certo, non richieda una trasformazione preliminare e intervenga nel corso del
processo di produzione o di utilizzazione (v., in tal senso, sentenze Palin
Granit, cit., punti 34 36; 11 settembre 2003, causa C 114/01, AvestaPolarit
Chrome, Racc. pag. I 8725, punti 33 38; Niselli, cit., punto 47, nonché 8
settembre 2005, causa C 416/02, Commissione/Spagna, Racc. pag. I 7487, punti 87
e 90, e causa C 121/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I 7569, punti 58 e 61).
40 Pertanto, oltre al criterio relativo alla natura o meno di residuo di
produzione di una sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale
sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un secondo
criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della
direttiva. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza di cui
trattasi, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità
di tale riutilizzo è alta. In un’ipotesi del genere la sostanza in questione non
può più essere considerata un onere di cui il detentore cerchi di «disfarsi»,
bensì un autentico prodotto (v. citate sentenze Palin Granit, punto 37, e
Niselli, punto 46). 41 Tuttavia, se per tale riutilizzo occorrono operazioni di
deposito che possono avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per
il detentore ed essere potenzialmente fonte di quel danno per l’ambiente che la
direttiva mira specificamente a limitare, esso non può essere considerato certo
ed è prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicché la sostanza di cui
trattasi deve essere considerata, in via di principio, come rifiuto (v., in tal
senso, citate sentenze Palin Granit, punto 38, e AvestaPolarit Chrome, punto
39).”
Sul punto pare ulteriormente opportuno chiarire, riportando sempre la citata
pronuncia che: “42 L’effettiva esistenza di un «rifiuto» ai sensi della
direttiva va pertanto accertata alla luce del complesso delle circostanze,
tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne
l’efficacia (v. citate sentenze ARCO Chemie Nederland e a., punto 88, e KVZ
retec, punto 63, nonché ordinanza 15 gennaio 2004, causa C 235/02, Saetti e
Frediani, Racc. pag. I 1005, punto 40).”
Emerge cioè dalla disciplina comunitaria l’esigenza, richiamata anche dalle
parti resistenti, da una parte di non restringere eccessivamente il concetto di
rifiuto e di farne una applicazione conforme al principio comunitario di
precauzione, onde evitare facili elusioni della relativa disciplina; d’altro
canto di evolversi alla luce dell’implemento delle conoscenze e delle
tecnologie; basti pensare che la stessa direttiva 77/2001/CE all’articolo 6
precisa che gli stati membri valutano il vigente quadro legislativo e
regolamentare in tema di fonti energetiche rinnovabili allo scopo di “garantire
che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie e tengano
pienamente conto delle particolarità delle varie tecnologie per le fonti
energetiche rinnovabili”, con espresso richiamo all’evoluzione e varietà della
tecnologia.
Nelle pronunce riportate e qui rilevanti si accentua il criterio “soggettivo” di
individuazione del rifiuto ancorato alla necessità/intenzione o meno del
titolare di “disfarsene” rispetto al criterio “oggettivo” di mera e rigida
catalogazione delle categorie dei rifiuti.
Ora è pur vero che, come evidenziato dalle parti resistenti, i considerando
della direttiva 77/2001/CE, richiamano l’attenzione degli stati membri sulla
normativa in materia di “gestione” dei rifiuti, di cui riconoscono la
preminenza, ed in particolare ribadiscono che la politica di incentivazione
delle fonti di energia rinnovabili non può vanificare la politica di corretta
gestione dei rifiuti; vero è anche che il coordinamento delle due politiche non
si realizza ipotizzando, come sembra emergere dalla difese delle parti
resistenti, una reciproca esclusione tra il concetto di biomassa fonte di
energia rinnovabile e il concetto di rifiuto, posto che ciò è da subito smentito
dalla stessa direttiva 77/2001/CE.
Il coordinamento delle due politiche meglio si comprende come possibile nella
sua dinamica se si considera il concetto “soggettivo”di rifiuto ricavabile dalla
giurisprudenza comunitaria che può garantire e spiegare la coesistenza parallela
delle due politiche. A tal fine sono illuminanti le considerazioni dell’avvocato
generale Jan Mazák presentate il 22 marzo 2007 nelle conclusioni in causa C
195/05 Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana: “36 Il
problema connesso con il tentativo di definire il termine «rifiuti» nasce dal
fatto che si tratta di una nozione molto relativa. Consideriamo comunemente
«rifiuti» le sostanze o i materiali che non vogliamo più perchè hanno perduto la
loro utilità o, più in generale, il loro valore, ovvero che, per qualche
ragione, non hanno mai avuto un valore per noi. In ogni caso, proprio perché il
valore dei materiali e degli oggetti non è «intrinseco» ad essi ma, per così
dire, dipende dalle considerazioni di chi li detiene, non esiste in pratica una
sostanza che possa essere considerata generalmente ed in ogni circostanza un
rifiuto… La questione di stabilire se una determinata sostanza sia un rifiuto
deve essere piuttosto risolta alla luce del complesso delle circostanze.”
Ora è evidente che, quando la giurisprudenza comunitaria apprezza l’importanza
del reimpiego certo di un sottoprodotto per qualificarlo tale, ha ben presente
che un “sottoprodotto” astrattamente utilizzabile in un qualche ciclo produttivo
potrebbe concretamente non trovare accesso a quel ciclo, perché chi lo produce
non riesce ad indirizzarvelo e così si trova con un bene che, potenzialmente è
suscettibile di riutilizzazione economica, ma nel concreto diviene per lui un
problema di cui disfarsi; è chiaro tuttavia che tutte queste considerazioni
hanno pregio se si ha riguardo al produttore del bene che non sia neppure
utilizzatore del medesimo, poiché se egli direttamente se ne avvale azzera
sostanzialmente il rischio che il bene resti inutilizzato; ed è perciò che nelle
prime enucleazioni del concetto di sottoprodotto la Corte di Giustizia ha
escluso dalla disciplina dei rifiuti ciò che il produttore dei medesimi riusciva
a reimpiegare direttamente. Analogo ragionamento, tuttavia, potrà applicarsi al
riutilizzatore, anche diverso dal produttore, una volta che il bene sarà entrato
nel suo ciclo produttivo; è evidente che colui che ha acquistato il
“sottoprodotto”già lo ha con certezza destinato alla riutilizzazione e quindi,
quantomeno in capo a costui, il problema del reimpiego sarà nuovamente azzerato.
Se si dovessero applicare al caso di specie i principi così enucleati non
potrebbe che osservarsi che, al limite, il problema di stabilire se il cippato
di legno possa in certi casi assumere la veste di “rifiuto” si porrebbe nel
ciclo produttivo dalla Ledoga s.r.l., non certo in quello della Silvateam che lo
ha acquistato e certamente e direttamente lo reimpiega.
Ciò ancora spiega il perché di quella giurisprudenza solo apparentemente
distonica rispetto a quanto qui si sostiene, citata dalle parti resistenti, ed
in particolare delle statuizioni della Cassazione penale nella sentenza
11.4.2007 n. 14557, che ha ampiamente richiamato la sentenza della Corte di
Giustizia Niselli in causa C 457/02, ricordando come un sottoprodotto per essere
tale deve essere riutilizzato con certezza; il giudice si occupava di una
fattispecie in cui erano stati abbandonati per diversi mesi alcuni metri cubi di
residui di imballaggi e nella quale il responsabile dell’abbandono si difendeva
sostenendo che essi erano destinati al reimpiego, cosa in effetti accaduta a
notevole distanza di tempo. Replica in tal caso la Suprema Corte che “la
circostanza che la società avesse intenzione di rivendere i materiali a terzi
produttori per un eventuale riutilizzo non basta per far perdere agli stessi la
qualità di rifiuto. Ciò perché anche l'art. 14, comma 2, per escludere la
qualità di rifiuto, richiede che il riutilizzo produttivo della sostanza sia
oggettivamente certo ed effettivo, e tale non può dirsi nel caso di specie, in
cui le sostanze - peraltro non tutte riutilizzabili "tal quali" - giacevano in
deposito incontrollato da circa sei mesi/un anno di tempo”; ciò che in
definitiva mancava nel caso in questione, seguendo i parametri della
giurisprudenza comunitaria, era la certezza del reimpiego. Così ancora si
comprende il perché delle censure comunitarie ad una normativa italiana che,
nella originaria versione dell’art. 183 del d.lgs. 152/2006, pareva qualificare
una sostanza sottoprodotto sulla sola base della sua astratta commerciabilità o
del suo potenziale valore economico; non basta infatti, come visto, che il bene
possa teoricamente essere commercializzato (anche se ciò ovviamente aumenta le
sue possibilità di reimpiego) occorre che esso concretamente venga destinato al
reimpiego. Ancora correttamente l’ultima versione dell’art. 183 lett. p) del
d.lgs. 152/2006, nel qualificare il sottoprodotto, non puntualizza che esso deve
reimpiegarsi nel “medesimo” processo produttivo ma in un processo di produzione
e utilizzazione preventivamente individuato e definito, quindi certo.
Resta il fatto che, nel caso che qui occupa, ancor più se si considera il
destino del “sottoprodotto” dal punto di vista del diretto riutilizzatore, quale
è Silvateam, non vi è alcuna incertezza o indeterminatezza nel reimpiego del
cippato di legno; ciò dà anche ragione del perché la direttiva 77/2001 si
dichiari contemporaneamente necessariamente conforme alla politica comunitaria
della gestione dei rifiuti e pur tuttavia inserisca direttamente i rifiuti
biodegradabili tra le possibili fonti di energia rinnovabile, chiaro essendo
che, una volta che l’eventuale rifiuto biodegradabile di un ciclo produttivo,
utilizzabile come combustibile in altro ciclo produttivo, sia pervenuto al certo
riutilizzatore (fermi gli ulteriori parametri, ad esempio in tema di emissioni
degli impianti, dettati dalla normativa sulle energie rinnovabili) esce dal
ciclo di gestione dei rifiuti ed entra in quello di produzione di energia.
Parte ricorrente si è vista contestare, in astratto, la non appartenenza del
cippato di legno detannizzato alle fonti idonee ad alimentare centrali a
biomasse; alla luce della pertinente normativa dettata dalla direttiva
77/2001/CE e dal d.lgs. 387/2003 nonché della citata giurisprudenza comunitaria
si ritiene di aver dimostrato che tale conclusione è radicalmente errata;
addirittura pare corretto nel caso di specie, alla luce della giurisprudenza
comunitaria, qualificare il cippato quale sottoprodotto, almeno quando il
medesimo sia pervenuto al riutilizzatore Silvateam e così appalesi il suo certo
reimpiego. E’ congruente con tali conclusioni la risposta fornita al quesito
posto dall’Ordine Nazionale dei chimici dalla Commissione Europea - direzione
ambientale - in data 12.3.2008 prodotta sub. doc. 16 di parte ricorrente; in
essa, ribadito che si tratta di una “opinione” della Commissione non vincolante
legalmente dal punto di vista interpretativo, si afferma tuttavia, alla luce
della giurisprudenza della Corte di Giustizia, che il cippato soddisfi i
requisiti del sottoprodotto (by-product) in quanto: il metodo di estrazione del
tannino è frutto di una deliberata scelta produttiva, il reimpiego del legno è
certo, il legno è già pronto per il reimpiego senza necessità di ulteriori
processi, l’uso del cippato è legale.
Devono pertanto trovare accoglimento le domande di annullamento della
determinazione dirigenziale della Provincia di Asti n. 7602 del 5 ottobre 2007
con la quale è stata preliminarmente negata l’attivazione delle procedure
previste dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 per la costruzione ed esercizio di
un impianto di energia elettrica alimentato a cippato di legno, nonché di ogni
altro atto presupposto connesso e conseguente. Non occorre alcun formale
annullamento dei meri pareri acquisiti presso diversi organi, anche impugnati in
ricorso, semplicemente espressione di attività consultiva e non vincolante e
comunque sintomatici della complessità della vicenda e dello sforzo in ogni caso
compiuto dalla Provincia per un corretto inquadramento della questione.
Parte ricorrente contesta inoltre le “Linee guida in materia di produzione di
energia elettrica da biomasse - indirizzi per la formazione del parere
provinciale nell’ambito della Conferenza di servizi ex art. 12 del d.lgs. n.
387/2003” e la relativa deliberazione del Consiglio Provinciale n. 50 del 25
settembre 2007 di approvazione delle medesime.
La stessa parte ricorrente, nella memoria depositata in data 24.4.2009,
asserisce tuttavia che le medesime non le sarebbero opponibili/applicabili
essendo la sua istanza alla Provincia stata inoltra in epoca antecedente
all’approvazione delle Linee Guida. La circostanza è vera e pacifica ed appalesa,
nelle stesse difese di cui al ricorso, il difetto di interesse ad agire in
relazione a tale tipo di impugnativa così come contestato dalle amministrazioni
resistenti; queste ultime rilevano inoltre che si tratta di meri atti di
indirizzo non vincolanti, né mai direttamente applicati all’istanza della
ricorrente che, essendo stata ritenuta in limine improcedibile, non ha neppure
attinto il vaglio di merito che le linee guida dovrebbero servire ad
indirizzare.
Per tali ragioni il ricorso sul punto deve dichiararsi inammissibile.
Parte ricorrente evidenzia come taluni punti delle linee guida paiano vincolanti
per l’esito della valutazione e come tali già immediatamente lesivi; in termini
generali si può osservare che non può negarsi in radice una competenza ad
emanare linee guida sul punto prevista dalla legge statale e regionale in capo
alla Provincia; tale competenza è però finalizzata ad una funzione di
“promozione” ed incentivazione della produzione di energia tramite biomasse;
qualora tale competenza venisse esercitata per porre vincoli più stringenti di
quelli dettati dalla normativa nazionale, ed in conflitto con la medesima, con
il paradossale risultato di ostacolare e non di incentivare la politica di
matrice comunitaria e nazionale in tema di produzione energetica da biomasse,
essa sarebbe certamente priva di qualsivoglia supporto normativo; altro è dire
che l’ente locale, in una politica promozionale, possa privilegiare sul proprio
territorio determinate soluzioni rispetto ad altre, pur sempre autorizzabili e
possibili, così limitandosi ad esercitare un scelta e selezione
nell’applicazione di eventuali incentivi da sé medesimo posti, altro è pensare
che l’ente possa ad esempio proporre una “sua” definizione di biomassa in
contrasto con quella statale e di derivazione comunitaria, ovvero, ad esempio,
sempre in contrasto con la ratio semplificatrice del modulo della conferenza di
servizi previsto a fini autorizzatori dal d.lgs. 387/2003, procedere ad una
“rimoltiplicazione” delle autorizzazioni e dei passaggi burocratici. Resta il
fatto che, nel caso di specie, le linee guida non hanno trovato alcuna concreta
applicazione all’istanza presentata dalla ricorrente, e risultano pure
astrattamente inapplicabili ratione temporis, ragione per cui da una parte non è
dato comprendere come verranno intese e concretamente applicate, dall’altra il
ricorso manca sul punto della concretezza ed attualità dell’interesse ad agire
che lo dovrebbe suffragare.
Stante la novità e complessità della vertenza sussistono giusti motivi per
compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Piemonte - sezione prima -
Accoglie il ricorso nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto
annulla la determinazione dirigenziale della Provincia di Asti n. 7602 del
5.10.2007 ed ogni altro atto presupposto connesso e consequenziale; dichiara
inammissibile il ricorso limitatamente alla impugnazione delle “Linee Guida”
approvate con deliberazione del Consiglio Provinciale n. 50 del 25.9.2007.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 07/05/2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Franco Bianchi, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Primo Referendario
Paola Malanetto, Referendario, Estensore
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/06/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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