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T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I - 30 dicembre 2009, n. 3330


RIFIUTI - D.L. 208/2008 - Regime transitorio ex art. 17 d.lgs. n. 36/2003 - Cessazione - 1° luglio 2009 - Entrata a regime della normativa ex d.lgs. n. 36/2003 e D.M. 3 agosto 2005 - Derogabilità dei parametri di cui al test di cessione ex D.M. 5 febbraio 98 - Regime non più operante - deroghe per specifici parametri - Limiti. In virtù di quanto previsto dall’art. 5, comma 1 bis del decreto legge n. 208 del 2008 convertito in legge n. 13 del 2009, il 30 giugno 2009 è cessato il regime transitorio di cui all’art. 17 del d. lgv. n. 36 del 2003. Pertanto dal 1°luglio 2009, con la definitiva entrata a regime della normativa di cui al d. lgv. n. 36 del 2003 (attuazione della direttiva 1999/31/CE) ed al DM 3 agosto 2005 “Definizione dei criteri di ammissibilità del rifiuto in discarica” non è più operante il previgente regime che consentiva la derogabilità dei parametri di cui al test di cessione ex DM 5 febbraio 1998 e cioè fino a 10 volte per le discariche di categoria II di tipo B. Attualmente, ai sensi dell’art. 7 del DM 3 agosto 2005 ad oggetto “Sotto categorie di discariche per rifiuti non pericolosi”, le autorità territorialmente competenti possono autorizzare anche per settori confinanti, alcune sottocategorie di discariche per rifiuti non pericolosi secondo criteri stabiliti caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche dei rifiuti, della valutazione di rischio e prevedendo deroghe per specifici parametri, tra i quali i parametri DOC, TOC e TDS. Pres. Allegretta, Est. Durante - I. s.p.a. (avv.ti Pasqualone, Sechi e Chianese) c. Regioen Puglia (avv. Lancieri). TAR PUGLIA, Bari, Sez. I - 30 dicembre 2009, n. 3330

RIFIUTI - Identificazione - Formulari e registri di carico e scarico - Caratteristiche qualitative e quantitative - Prescrizioni regionali - Obbligo di effettuare le analisi fisico-chimiche su ogni carico di rifiuti in entrata anche provenienti dal medesimo produttore nel medesimo ciclo produttivo - Sproporzione e irragionevolezza. Tutta la disciplina in materia di rifiuti (artt. 188, 190, 193 del d. lgv. n. 152 del 2006 e DM 3 agosto 2005) impone l’obbligo al produttore di identificare il rifiuto che intende smaltire e al produttore di caratterizzazione dei rifiuti che intende avviare allo smaltimento. L’identificazione deve risultare dai formulari e dai registri di carico e scarico: registri che devono essere detenuti anche dai soggetti che effettuano operazioni di trasporto o recupero o smaltimento. Tali norme obbligano il produttore ad annotare su appositi registri e formulari le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti e ad effettuare scrupolosa analisi su ciascuna tipologia di rifiuti da conferire in discarica. Analisi chimiche che devono essere eseguite dallo stesso produttore prima del conferimento in discarica ovvero dopo l’ultimo trattamento effettuato. Le predette analisi sono compiute al fine di determinare tutte le caratteristiche dei rifiuti attraverso anche la raccolta di ogni informazioni necessaria per lo smaltimento finale in condizioni di sicurezza. La ratio della normativa è, dunque, proprio quella di escludere a priori il trasporto o il recupero e lo smaltimento di rifiuti che non siano sin dall’origine specificatamente individuati nelle caratteristiche qualitative e quantitative. Fermo tanto, la prescrizione regionale che impone l’omologa su ogni lotto di entrata di rifiuti con determinato codice equivale ad imporre l’obbligo di effettuare le analisi chimico - fisiche ogni giorno su ogni carico di rifiuti in entrata anche se provenienti dallo stesso produttore e con lo stesso ciclo produttivo. Tale prescrizione imponendo a carico dell’impresa una defatigante attività giornaliera di controllo invero eccessivo e privo di concreta utilità si manifesta nella sua irragionevolezza e sproporzione rispetto al fine che intenderebbe perseguire di tutela dell’ambiente. Pres. Allegretta, Est. Durante - I. s.p.a. (avv.ti Pasqualone, Sechi e Chianese) c. Regioen Puglia (avv. Lancieri). TAR PUGLIA, Bari, Sez. I - 30/12/2009, n. 3330


INQUINAMENTO - A.I.A. - Art. 7 d.lgs. n. 59/2005 - BAT - Misure supplementari più rigorose - Imposizione - Limiti - Istruttoria - Fattispecie: limite per la fermentiscibilità della matrice organica dei rifiuti. L’art. 7, comma 1 del d. lgv. n. 59 del 2005 stabilisce che l’A.I.A. deve includere tutte le misure necessarie (migliori tecniche disponibili) per soddisfare un livello elevato di protezione dell’ambiente: tuttavia “misure supplementari più rigorose” possono essere inserite in un’A.I.A. solo laddove nel provvedimento via sia traccia della motivazione che ha indotto l’Amministrazione ad introdurre detta misura supplementare e sia stata espletata una relativa istruttoria (cfr. art. 8) (fattispecie relativa alla prescrizione di un limite per la fermentiscibilità della matrice organica - IRDP - nei rifiuti speciali non pericolosi smaltiti in discarica: detta prescrizione, benché ispirata a fini precauzionali o conservativi per soddisfare un livello elevato di protezione dell’ambiente, non è prevista dalla norma primaria né da norma regolamentare che nella materia ambientale è di competenza esclusiva dello Stato.). Pres. Allegretta, Est. Durante - I. s.p.a. (avv.ti Pasqualone, Sechi e Chianese) c. Regioen Puglia (avv. Lancieri). TAR PUGLIA, Bari, Sez. I - 30 dicembre 2009, n. 3330

INQUINAMENTO - AIA - Art. 7, c. 4 d.lgs. n. 59/2005 - Disposizioni ulteriori a garanzia del suolo e delle acque - Emissioni odorigene - Non rientrano. La previsione dell’art. 7, co. 4 del d. lgv. n. 59 del 2005, “se necessario, l’autorizzazione integrata ambientale contiene ulteriori disposizioni che garantiscono la protezione del suolo e delle acque sotterranee” non si riferisce anche alle emissioni odorigene. Pres. Allegretta, Est. Durante - I. s.p.a. (avv.ti Pasqualone, Sechi e Chianese) c. Regioen Puglia (avv. Lancieri). TAR PUGLIA, Bari, Sez. I - 30 dicembre 2009, n. 3330
 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 03330/2009 REG.SEN.
N. 00718/2009 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 718 del 2009, proposto da:
Italcave S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Bice Annalisa Pasqualone, Giampaolo Sechi e Carla Chianese, con domicilio eletto presso l’avv. Giampaolo Sechi in Bari, via Camillo Rosalba, 47/Z;
contro
la Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Lancieri, con domicilio eletto in Bari, via Piccinni, 150;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
della determinazione del Dirigente del Servizio Ecologia n. 67 del 24 febbraio 2009, nella parte in cui non prevede la deroga ai limiti di accettabilità, detta prescrizioni e limiti all’esercizio dell’attività;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il consigliere Doris Durante;
Uditi nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2009 i difensori delle parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO


La Regione Puglia, con determinazione del Dirigente del Servizio Ecologia n. 67 del 24 febbraio 2009, rilasciava in favore della Italcave s.p.a. l’autorizzazione integrata ambientale ai sensi del d. lgv. n. 59 del 2005 per l’impianto complesso di discarica per rifiuti speciali non pericolosi con annessa piattaforma di selezione e inertizzazione ubicato in Taranto contrada La Riccia Giardinello.


La società Italcave sostiene la illegittimità della suddetta determina nelle parti in cui introduce limiti immotivati e contrastanti con precedenti autorizzazioni e non prevede la deroga ai limiti di accettabilità dei rifiuti già rilasciata dalla Provincia di Taranto.


Premette di essere titolare di un’area di cava ubicata in agro di Taranto, alla località La Riccia Giardinello, ove era svolta l’attività di gestione di alcuni rifiuti speciali non pericolosi regolarmente autorizzata (l’impianto aveva ottenuto valutazione di impatto ambientale favorevole alla realizzazione e gestione con delibera G.R. n. 3498 del 31 luglio 1998; il progetto era stato approvato con decreto del Prefetto di Taranto n. 14/27/Gab. del 25 gennaio 2000 ai sensi dell’art. 27 del d. lgv. n. 22 del 5 febbraio 1997; era in possesso di autorizzazione all’esercizio dell’impianto ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 del d. lgv. n. 22 del 5 febbraio 1997 giusta determina del dirigente della Provincia di Taranto n. 33 del 27 febbraio 2004; aveva ottenuto con determina dirigenziale della Regione Puglia n. 43 del 20 febbraio 2003 ulteriore valutazione di impatto ambientale favorevole per la realizzazione di una piattaforma polifunzionale per la selezione e inertizzazione dei rifiuti a completamento e adeguamento del progetto di discarica in applicazione delle norme comunitarie sul pretrattamento per ridurre i rifiuti da avviare a smaltimento, successivamente autorizzata dalla Giunta provinciale di Taranto con delibera n. 293 del 21 ottobre 2003; con determina dirigenziale della Provincia di Taranto n. 195 del 22 dicembre 2005 era stato approvato il piano di adeguamento di cui all’art. 17, comma 4, del d. lgv. n. 36 del 2003 e da ultimo aveva ottenuto pronunciamento favorevole di valutazione di impatto ambientale n. 338 del 4 giugno 2008 per la regolarizzazione dei volumi in discarica).


Essa ricorrente, entrata in vigore il d. lgv. n. 59 del 2005 di attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrale dell’inquinamento atmosferico, presentava istanza alla Regione Puglia per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A,) di cui alla suddetta normativa.


L’istanza, acquisita al protocollo regionale in data 28 febbraio 2007, riguardava le tipologie IPP 5.1, 5.3 e 5.4 e cioè gli impianti di captazione del biogas, di selezione dei rifiuti, di inertizzazione degli stessi e la discarica per rifiuti non pericolosi composta di due lotti distinti.


Il procedimento svoltosi in quattro conferenze di servizi, con l’acquisizione del parere favorevole della Provincia di Taranto espresso con le note del 17 e 22 luglio 2008, del parere favorevole dell’ARPA Puglia in ordine alla questione sulla produzione del percolato di discarica e del parere favorevole del dirigente del Servizio Gestione Rifiuti e Bonifiche del 23 gennaio 2009 relativamente al processo di inertizzazione dei rifiuti, si concludeva con la determinazione n. 67 del 2009, oggetto del ricorso in esame, relativamente ad alcune prescrizioni che la ricorrente assume gravemente limitative e lesive.
In particolare, essa ricorrente evidenzia che:
a) all’Allegato “A” punto 5.1.1 “Prescrizioni generali sul conferimento” non v’è alcun richiamo alle autorizzazioni alla accettazione dei rifiuti in deroga ai criteri di ammissibilità e precisamente fino a 10 volte i limiti della Tabella 3 dell’allegato 5 del d. lgv. n. 152 del 1999 (sino alla vigenza della proroga stabilita dal comma 1 dell’art. 17 del d. lgv. n. 36 del 2003, cioè fino al 30 giugno 2009) e fino a 3 volte i limiti riportati nella Tabella 5 del D.M. 3 agosto 2005 (autorizzazioni rilasciate con determinazione provinciale n. 195 del 2005);
b) all’Allegato “A” punto 5.1.1c, per i rifiuti a matrice organica putrescibile si prescrive che la ditta dovrà verificare prima del conferimento che l’IRDP di un campione rappresentativo del carico, prelevato secondo le metodiche UNI 10802/1999 e misurato secondo le metodiche UNI TS 11184/06, sia inferiore a 800 mg O2/kgSVh (prescrizione prevista dalla legislazione vigente solo per gli impianti di smaltimento per rifiuti urbani ovvero per quelli di biostabilizzazione e non per le discariche per rifiuti speciali non pericolosi);
c) all’Allegato A, punto1.a “Elenco CER di rifiuti per l’impianto di selezione” “ e punto 5.1.c “Elenco codici CER di rifiuti per lo smaltimento in discarica” si stabilisce testualmente che “Per i rifiuti identificati dai codici di cui al capitolo 16 e dai codici terminanti in 99, vista l’incertezza sul ciclo produttivo specifico di provenienza, sulla merceologia e le caratteristiche chimico - fisiche, si prescrive l’omologa obbligatoria per ogni lotto in entrata, proveniente dallo stesso produttore e con lo stesso ciclo produttivo, non superiore a 500 t”;
d) all’Allegato A, punto 6 “Emissioni in atmosfera”, per le sostanze odorigene si fissa il limite di 240 u.o.;
e) al punto 3, 4° capoverso, del determinato si prevede che “l’attivazione del secondo motore per il recupero energetico del biogas, potrà avvenire solamente a seguito di acquisizione di parere dell’Autorità competente, le cui eventuali prescrizioni dovranno essere rispettate dalla Società Italcave sebbene l’impianto sia gestito dalla Marco Polo Engeneering S.p.A., e considerate successivamente, con l’eventuale parere favorevole espresso come integrazione dell’autorizzazione rilasciata con il presente atto”;
f) al punto 3, 6° capoverso, del determinato si prevede che “dovrà essere effettuata idonea caratterizzazione delle aree oggetto di deposito pet coke, ai sensi di quanto previsto dal d. lgv. n. 152 del 2006, le cui risultanze dovranno essere formalmente approvate dalle Autorità competenti”.


Avverso le suddette prescrizioni limitative, la ricorrente deduce i seguenti motivi:
violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, del d. lgv. n. 59 del 2005 e dell’art. 6 del D.M. 3 agosto 2005; violazione dell’art. 4.2.3.2 della Delibera C.I. 27 luglio 1984 in relazione all’art. 17, commi 1 e 2 del d. lgv. n. 36 del 2003 e successive modifiche e integrazioni; violazione dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere sotto tutti i profili;
violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 5 e 7, co. 5 del d. lgv. n. 36 del 2003; violazione e falsa applicazione degli articoli 6 e 7 del D.M. 3 agosto 2005, norma UNI 10802/1999, norma UNI 10802/2005; norma UNI EN 12579; violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale 26 marzo 2004, n. 56; violazione dell’art. 4, co. 4 del d. lgv. n. 59 del 2005; violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, difetto assoluto di motivazione ed eccesso di potere sotto diversi profili;
violazione e falsa applicazione di legge (allegato D alla quarta parte del d. lgv. 3 aprile 2006, n. 152); violazione degli articoli 2 e 3 del D.M. 3 agosto 2005; violazione dell’art. 41 della Costituzione; violazione delle regole in materia di attribuzione del C.E.R. al materiale per cui ricorra la nozione di rifiuto; violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990; eccesso di potere per omesso apprezzamento dei presupposti di fatto; irragionevolezza e violazione del principio del minor sacrificio;
violazione e falsa applicazione dell’art. 269 del d. lgv. n. 59 del 2005; violazione dell’art. 4, del d. lgv. n. 59 del 2005 in relazione a quanto previsto nell’allegato 1, paragrafo 2.6 del d. lgv. n. 36 del 2003; violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, omesso apprezzamento dei presupposti di fatto, illogicità, ingiustizia manifesta e sviamento;
violazione e falsa applicazione della l. reg. n. 17 del 2007; incompetenza ed eccesso di potere per illogicità manifesta e travisamento;
violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990 e dell’art. 97 della Costituzione; violazione dei principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa; aggravio procedimentale; violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere sotto tutti i profili sintomatici.


La Regione Puglia, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità per carenza di interesse in relazione alla cessazione del regime transitorio in forza dell’art. 5, comma 1 bis del d.l. n. 208 del 2008 convertito con l. n. 13 del 2009 e l’infondatezza nel merito.


Le parti hanno depositato memorie difensive con cui hanno illustrato le rispettive tesi difensive ed alla pubblica udienza del 4 novembre 2009, il ricorso è stato assegnato in decisione.


Innanzi tutto va esaminata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse sollevata dalla difesa della Regione relativamente alla doglianza sulla mancata concessione della deroga ai criteri di ammissibilità: fino a 10 volte i limiti della Tabella 3 dell’allegato 5 del d. lgv. n. 152 del 1999 (sino alla vigenza della proroga stabilita dal comma 1 dell’art. 17 del d. lgv. n. 36 del 2003, cioè fino al 30 giugno 2009) e fino a 3 volte i limiti riportati nella Tabella 5 del D.M. 3 agosto 2005, già concessa con determinazione provinciale n. 195 del 2005.


L’eccezione è fondata.


In virtù di quanto previsto dall’art. 5, comma 1 bis del decreto legge n. 208 del 2008 convertito in legge n. 13 del 2009, il 30 giugno 2009 è cessato il regime transitorio di cui all’art. 17 del d. lgv. n. 36 del 2003.


Pertanto dal 1°luglio 2009, con la definitiva entrata a regime della normativa di cui al d. lgv. n. 36 del 2003 (attuazione della direttiva 1999/31/CE) ed al DM 3 agosto 2005 “Definizione dei criteri di ammissibilità del rifiuto in discarica” non è più operante il previgente regime che consentiva la derogabilità dei parametri di cui al test di cessione ex DM 5 febbraio 1998 e cioè fino a 10 volte per le discariche di categoria II di tipo B.


Attualmente, ai sensi dell’art. 7 del DM 3 agosto 2005 ad oggetto “Sotto categorie di discariche per rifiuti non pericolosi”, le autorità territorialmente competenti possono autorizzare anche per settori confinanti, alcune sottocategorie di discariche per rifiuti non pericolosi secondo criteri stabiliti caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche dei rifiuti, della valutazione di rischio e prevedendo deroghe per specifici parametri, tra i quali i parametri DOC, TOC e TDS.


Sta di fatto che la società ricorrente, già nel mese di luglio 2009 ha avviato il procedimento previsto dall’art. 7 del citato decreto ministeriale richiedendo l’iscrizione nella sottocategoria di cui alla lettera c) dell’art. 1 del decreto (discariche per rifiuti misti non pericolosi con elevato contenuto sia di rifiuti organici o biodegradabili che di rifiuti inorganici con recupero di biogas), richiedendo la deroga con riferimento al parametro DOC (Carbonio organico disciolto) nell’eluato ed il procedimento è in fase avanzata essendosi tenute già due conferenze di servizi.


Le circostanze rappresentate evidenziano l’attuale carenza di interesse alla decisione su tale punto della determina impugnata, atteso che il regime transitorio di cui la ricorrente usufruiva è cessato per legge e la deroga, secondo le nuove disposizioni, non potrebbe che conseguire all’esito del nuovo procedimento che integrerà il provvedimento AIA impugnato.


La ricorrente, infatti, non potrebbe trarre alcun vantaggio da una decisione ad essa favorevole che riguarderebbe un regime derogatorio non più vigente dal 30 giugno 2009.


Il ricorso, in parte qua, va pertanto dichiarato improcedibile.


Nel merito il ricorso è fondato nei limiti di cui di seguito.


Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente censura la prescrizione contenuto nell’Allegato “A” punto 5.1.1c) dell’autorizzazione A.I.A., laddove per i rifiuti a matrice organica putrescibile prescrive che “la ditta dovrà verificare prima del conferimento che l’IRDP (Indice Respirometrico Dinamico Potenziale) di un campione rappresentativo del carico, prelevato secondo le metodiche UNI 10802/1999 e misurato secondo le metodiche UNI TS 11184/06, sia inferiore a 800 mg O2/kgSVh”.


Essa sostiene che tra i requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche necessari per conseguire le finalità di cui all’art. 2 del d. lgv. n. 22 del 1997, non sarebbe contemplato l’IRDP e che non sarebbe previsto nemmeno in tutte le altre norme in materia.


La difesa della Regione richiama gli ampi poteri di cui dispone l’amministrazione in sede di rilascio di autorizzazione integrata ai sensi dell’art. 7, comma 3 del d. lgv. n. 59 del 2005.


Va al riguardo osservato che la prescrizione della verifica dell’IRDP per i rifiuti a matrice putrescibile da smaltire in una discarica di rifiuti speciali non pericolosi non è prevista da nessuna norma di settore.


Gli articoli 1, 7, comma 5, del d. lgv. n. 36 del 2003 e art. 6, commi 2 e 3 del DM 3 agosto 2005 che stabiliscono i limiti per lo smaltimento dei rifiuti a matrice organica smaltibili in una discarica di rifiuti “non pericolosi”, qual è quella della società ricorrente, stabiliscono che il TOC (Carbonio organico totale) non sia superiore al 5% e il DOC (Carbonio organico disciolto) nell’eluato non sia superiore a 80 mg/L.


La Regione, prescrivendo un limite per la fermentiscibilità della matrice organica (IRDP inferiore a 800 mgO /Kg - VSh) ha superato i limiti previsti dal legislatore per l’impianto di cui si discute, cioè di un impianto per rifiuti speciali non pericolosi, applicando ad esso le prescrizioni limitative valide solo per gli impianti di smaltimento per rifiuti urbani e più precisamente per gli impianti di biostabilizzazione.
Eppure, secondo quanto emerge dal Decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale n. 56 del 26 marzo 2004, i rifiuti con indice respirometrico dinamico (IRDP) pari a 800 mgO2/Kg VS h non sono più considerati tali, in quanto essi diventano materiale di copertura o materiale per risanamento ambientale.


Se dovesse rispettarsi tale limite, l’impianto Italcave non sarebbe più una discarica di rifiuti speciali non pericolosi, ma una discarica di materiale di copertura.


La prescrizione si manifesta irragionevole anche ove si considerino le metodiche indicate, la UNI 10802/1999 non più in vigore e la UNI TS 11184/06 inapplicabile ai rifiuti da conferire nella discarica Italcave che vengono smaltiti “tal quali” e non “preparati”.


Infatti la norma UNI TS 11184/06 prevede un metodo di analisi che consiste nell’apporto di aria al rifiuto al fine di porre le matrici in condizioni ottimali per la crescita batterica e, quindi, l’Indice Respirometrico Dinamico Potenziale è rilevato su un rifiuto “preparato”.


Per tale ragione viene definito “potenziale” e si distingue da quello “reale” e “statico” che è proprio del rifiuto smaltito “tal quale”.


Quanto al metodo UNI 10802/1999, come rilevasi anche dalla perizia di parte ricorrente, non è vigente in quanto ritirato e sostituito dalla versione 2005.


Nella versione aggiornata non è idoneo per il campionamento dei rifiuti da sottoporre alla misura dell’indice respirometrico dinamico UNI TS 11184/06 prescritto dall’AIA. Infatti il metodo UNI TS 11184/06 per la misura dell’indice respirometrico prescrive che per il prelievo dei campioni debba essere utilizzato un altro metodo, l’UNI EN 12579.


La prescrizione, peraltro, ove applicata impedirebbe lo smaltimento di molti rifiuti classificati secondo codici che nello stesso provvedimento A.I.A. sono espressamente autorizzati e cadrebbe in palese contraddizione con la determinazione VIA dello stesso ente che con atto n. 338 del 4 giugno 2008, prescriveva solo di effettuare una campagna semestrale per la verifica degli odori e che sui rifiuti in ingresso a matrice organica putrescibile fosse previsto il controllo dell’indice respirometrico dinamico.


La predetta prescrizione, quindi, benché ispirata a fini precauzionali o conservativi per soddisfare un livello elevato di protezione dell’ambiente, non è prevista dalla norma primaria né da norma regolamentare che nella materia ambientale è di competenza esclusiva dello Stato.


Vero che, come puntualizza la difesa della Regione, l’art. 7, comma 1 del d. lgv. n. 59 del 2005 stabilisce che l’A.I.A. deve includere tutte le misure necessarie (migliori tecniche disponibili) per soddisfare un livello elevato di protezione dell’ambiente.


Ma l’art. 8, comunque, precisa che le “misure supplementari più rigorose” possono essere inserite in un’A.I.A. solo laddove nel provvedimento via sia traccia della motivazione che ha indotto l’Amministrazione ad introdurre detta misura supplementare e sia stata espletata una relativa istruttoria.


Nel caso in esame, invece, la misura supplementare è stata introdotta senza alcuna istruttoria ed a fini meramente precauzionali con provvedimento di iniziativa del dirigente.


Quanto alla circostanza evidenziata dalla difesa della Regione che la misura supplementare era necessitata dalla localizzazione dell’impianto in zona oggetto di risanamento ambientale, va osservato che trattandosi di misura eccessivamente gravosa non appare proporzionata al fine meramente precauzionale e che comunque le misure supplementari non possono essere rimesse alla decisione del dirigente in un’attività caratterizzata da lunga e laboriosa istruttoria.


Giova, poi, osservare che l’impianto Italcave già dal momento dell’approvazione del piano di adeguamento al d. lgv. n. 36 del 2003 aveva adottato, come riconosciuto anche dalla Regione Puglia, le “migliori tecniche disponibili” (BAT) intese concordemente all’art. 2, comma 1, lett. o) del d. lgv. n. 59 del 2005, come “la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire in linea di massima la base dei valori limite di emissione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso”.


Ciò non significa che tali tecniche non possano essere migliorate attraverso nuove tecnologie o misure utili ed efficaci a ridurre l’impatto di determinate attività sull’ambiente, fermo restando che, ove si tratti di misure non previste da fonte normativa, la prescrizione dell’autorità sia motivata, logica e ragionevole e frutto di valutazioni di organi tecnici.


Le considerazioni sin qui svolte evidenziano l’illegittimità della prescrizione esaminata che va annullata.


Con il terzo motivo viene gravata la prescrizione contenuta all’Allegato A, punto1.a “Elenco CER di rifiuti per l’impianto di selezione” e punto 5.1.c “Elenco codici CER di rifiuti per lo smaltimento in discarica” con la quale testualmente si dispone che “Per i rifiuti identificati dai codici di cui al capitolo 16 e dai codici terminanti in 99 si prescrive l’omologa obbligatoria per ogni lotto in entrata, proveniente dallo stesso produttore e con lo stesso ciclo produttivo, non superiore a 500 t”.


La prescrizione, secondo quanto leggesi nella nota apposta in calce, è dovuta all’incertezza sul ciclo produttivo specifico di provenienza, sulla merceologia e le caratteristiche chimico - fisiche di tali rifiuti.
Secondo la ricorrente, l’attribuzione del CER 16.xx.yy. e del CER che termina con il 99 non soffre affatto della pretesa incertezza.


A sostegno di tale assunto essa deposita perizia tecnica a firma del prof. Laricchiuta che spiega come i rifiuti con detti codici sono oggettivamente ben definiti e non vi è alcuna incertezza sulla loro provenienza. Alla perizia è allegata tabella nella quale sono definiti i rifiuti ed è individuata la loro provenienza.


La difesa della Regione insiste sulla incertezza del ciclo produttivo di tali rifiuti ovvero sull’alta probabilità di maggiori disomogeneità all’interno di uno stesso lotto di rifiuti catalogati con codici terminanti in 99 e, quindi, sulla ragionevolezza della prescrizione che trova fonte nella disposizione dell’art. 7, comma 3 del d. lgv. n. 59 del 2005 che consente all’autorità che rilascia l’autorizzazione integrata anche di applicare, ad impianti localizzati in una data area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità ambientale.


Deve osservarsi in proposito che tutta la disciplina in materia di rifiuti (artt. 188, 190, 193 del d. lgv. n. 152 del 2006 e DM 3 agosto 2005) impone l’obbligo al produttore di identificare il rifiuto che intende smaltire e al produttore di caratterizzazione dei rifiuti che intende avviare allo smaltimento.


L’identificazione deve risultare dai formulari e dai registri di carico e scarico: registri che devono essere detenuti anche dai soggetti che effettuano operazioni di trasporto o recupero o smaltimento.


Ne consegue che l’assunto regionale secondo il quale i codici CER 16 xxxx e xxxx99 non sarebbero esattamente identificabili in quanto di provenienza incerta si scontra con le rigide previsioni imposte dal legislatore in materia di rifiuti.


Tali norme, come si è detto obbligano il produttore ad annotare su appositi registri e formulari le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti e ad effettuare scrupolosa analisi su ciascuna tipologia di rifiuti da conferire in discarica. Analisi chimiche che devono essere eseguite dallo stesso produttore prima del conferimento in discarica ovvero dopo l’ultimo trattamento effettuato. Le predette analisi sono compiute al fine di determinare tutte le caratteristiche dei rifiuti attraverso anche la raccolta di ogni informazioni necessaria per lo smaltimento finale in condizioni di sicurezza.
La ratio della normativa è, dunque, proprio quella di escludere a priori il trasporto o il recupero e lo smaltimento di rifiuti che non siano sin dall’origine specificatamente individuati nelle caratteristiche qualitative e quantitative.


Fermo tanto, va osservato che la prescrizione regionale con l’imposizione su ogni lotto di entrata di rifiuti con codice CER 16xxxx e xxxx99 equivale ad imporre l’obbligo di effettuare le analisi chimico - fisiche ogni giorno su ogni carico di rifiuti in entrata anche se provenienti dallo stesso produttore e con lo stesso ciclo produttivo.


Tale prescrizione imponendo a carico dell’impresa una defatigante attività giornaliera di controllo invero eccessivo e privo di concreta utilità si manifesta nella sua irragionevolezza e sproporzione rispetto al fine che intenderebbe perseguire di tutela dell’ambiente.


Alla luce di quanto rappresentato appare evidente l’irragionevolezza della prescrizione imposta della “omologa per ogni lotto di entrata” dei rifiuti con codice CER 16xxxx e xxxx99, che va pertanto annullata.


Quanto al richiamo del difensore della Regione sugli ampi poteri conferiti dall’art. 7, comma 3 del d. lgv. n. 59 del 2005, all’amministrazione che rilascia l’autorizzazione, va osservato anche in questo caso che le misure supplementari non possono essere introdotte dal dirigente e che, comunque, non appaiono coerenti con l’intero sistema di catalogazione dei rifiuti.


Ugualmente va accolto il gravame relativamente alla disposizione di cui al punto 6 dell’Allegato A (“Emissioni in atmosfera”) che fissa per le sostanze odorigene il limite di 240 u.o..


Deve osservarsi in proposito che il metodo della “olfattometria dinamica” imposto dalla Regione non indica la fonte (norma o di natura regolamentare o linee guida) che imponga un limite alle emissioni odorigene, né tanto meno indica come effettivamente deve essere condotta l’analisi.


La prescrizione è, quindi, priva di supporto giuridico e frutto di mera discrezionalità dell’ente.


Sta di fatto che per le determinazioni analitiche devono essere adottati metodi ufficiali riconosciuti a livello nazionale o internazionale e, come si è detto, per l’indice odorigeno non vi è alcun limite nazionale o europeo.


Quanto al riferimento contenuto nella memoria difensiva della Regione ad alcuni sistemi del German Engineering Institute, detti sistemi non possono ritenersi ufficiali perché non pubblicati né sulla gazzetta ufficiale italiana, né su analoghi mezzi di pubblicità europei, a parte che detti sistemi sembra si riferiscano alle emissioni odorigene convogliate e non a quelle diffuse quali sono quelle dell’impianto Italcave.


La previsione dell’art. 7, co. 4 del d. lgv. n. 59 del 2005, “se necessario, l’autorizzazione integrata ambientale contiene ulteriori disposizioni che garantiscono la protezione del suolo e delle acque sotterranee” non pare riferirsi anche alle emissioni odorigene.


Quanto alla dettagliata esposizione fatta sul punto dalla difesa della Regione, essa costituisce integrazione difensiva, come tale inammissibile.


Va, comunque, considerato che il valore limite indicato nel provvedimento A.I.A. non può essere nemmeno il risultato della riduzione del 20% della concentrazione degli inquinanti a seguito dell’applicazione della l. reg. n. 7 del 1999, in quanto questa riduzione è prevista per gli inquinanti emessi dai camini e non può applicarsi in via analogica per quelli presenti nell’aria.


La prescrizione in conclusione va annullata in quanto la norma regionale non contiene alcun riferimento alla misura della olfattometria dinamica ed è, comunque priva del riferimento alla quantità d’aria, sicché è nella sostanza generica.


In ordine alla prescrizione di cui al punto 3, 4° capoverso, del determinato in base al quale “l’attivazione del secondo motore per il recupero energetico del biogas, potrà avvenire solamente a seguito di acquisizione di parere dell’Autorità competente, le cui eventuali prescrizioni dovranno essere rispettate dalla Società Italcave sebbene l’impianto sia gestito dalla Marco Polo Engeneering s.p.a., e considerate successivamente, con l’eventuale parere favorevole espresso come integrazione dell’autorizzazione rilasciata con il presente atto”, essa non ha contenuto lesivo.


Con detta prescrizione, la Regione, come dalla stessa precisato, ha unicamente inteso recepire nell’A.I.A. le future eventuali prescrizioni della Provincia di Taranto, che è l’ente competente al rilascio dell’autorizzazione per l’attivazione del secondo motore.


Intesa in tal senso, la prescrizione che pure non poteva entrare nel provvedimento A.I.A., non produce alcun effetto lesivo sicché sulla relativa censura dedotta con il quinto motivo di ricorso non v’è luogo a provvedere.


Con il sesto motivo di ricorso, è gravato il punto 3, 6° capoverso, del determinato in cui si prevede che per il nuovo lotto da realizzarsi nell’ex deposito di Pet Coke “dovrà essere effettuata idonea caratterizzazione delle aree…, ai sensi di quanto previsto dal d. lgv. n. 152 del 2006, le cui risultanze dovranno essere formalmente approvate dalle Autorità competenti”.


La società lamenta in particolare che la prescrizione sarebbe ripetitiva dell’approvazione del piano di caratterizzazione già effettuato dalla società e approvato dal Ministero dell’Ambiente all’esito della conferenza dei servizi tenutasi in data 11 febbraio 2003 alla quale partecipava anche la Regione che esprimeva parere favorevole.


Invero, la caratterizzazione è procedura diversa dall’approvazione del piano di caratterizzazione, e trova ragione nel fatto che l’area in questione ha “ospitato” ingenti quantità di pet coke dopo la data dell’11 febbraio 2003.


La prescrizione è quindi giustificata dalla previsione normativa e dalle particolari vicende che hanno contrassegnato l’area in questione, sicché deve ritenersi legittimamente imposta e la relativa doglianza va respinta.


In conclusione, il ricorso va dichiarato improcedibile rispetto alla omessa previsione della deroga ai limiti di accettabilità dei rifiuti, va respinto per quanto riguarda l’obbligo della caratterizzazione de lotto da realizzarsi nell’ex deposito di Pet Coke. Per il resto va accolto e vanno annullate le prescrizioni sub b), c) e d).


Le spese di giudizio, in ragione dell’esito della causa, vanno compensate tra le parti.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, sezione prima, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie parzialmente.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Corrado Allegretta, Presidente
Doris Durante, Consigliere, Estensore
Giuseppina Adamo, Consigliere


L'ESTENSORE                            IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/12/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO



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