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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562

 

 

TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 11 novembre 2009, n. 1753


ESPROPRIAZIONE - Bene occupato dall’amministrazione - Domanda di risarcimento per equivalente monetario - Giudice - Modalità risarcitorie - Accoglimento sub specie di reintegrazione in forma specifica. La domanda di restituzione del bene occupato dall’amministrazione deve essere qualificata come richiesta di reintegrazione in forma specifica conseguente alla detenzione illecita del bene medesimo (Corte di Cassazione, sez. un., sentenza 20 marzo 2008 , n. 7442, cit.): il che evidentemente implica che, proposta la domanda di risarcimento per equivalente, e ferma l’unitarietà concettuale della domanda risarcitoria, ben può il giudice, nell’ambito delle modalità risarcitorie, accogliere la domanda medesima mediante reintegrazione piuttosto che mediante condanna alla corresponsione di un equivalente monetario. Se la condanna al risarcimento del danno per equivalente monetario non può essere pronunciata per l’inconfigurabilità di un effetto traslativo connesso alla realizzazione dell’opera, ciò non implica che la domanda risarcitoria proposta nel giudizio debba essere senz’altro rigettata, dovendosi valutare se sussistano o meno i presupposti per il suo accoglimento sub specie della reintegrazione in forma specifica (mediante restituzione del bene). Pres. Monteleone, Est.Aprile - M.P. (avv. Rubino) c. Comune di Aragona (avv. Rucireta). TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 11 novembre 2009, n. 1753

 

 

 

 

N.01753/2009 REG.SEN.
N. 05580/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 5580 del 2003, proposto da:
Mirasola Pietro, rappresentato e difeso dall'avv. Girolamo Rubino, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via G. Oberdan, n° 5;

contro

Comune di Aragona, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Rucireta, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Bellanca in Palermo, via Turati n° 5;

Per la

DOMANDA DI RISARCIMENTO DANNI PER ESPROPRIAZIONE PRIMARIA PER LAVORI DI URBANIZZAZIONE.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Aragona;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza collegiale istruttoria n° 272/2008, eseguita il 26 marzo 2009;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2009 il Referendario dott.ssa Francesca Aprile e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO


Con ricorso notificato il 14 ottobre 2003 e depositato il successivo 17 ottobre, la parte ricorrente ha chiesto risarcirsi il danno da occupazione illegittima di beni immobili di sua proprietà per effetto di occupazione d’urgenza, preordinata all’espropriazione, non seguita da provvedimento ablatorio ma dall’esecuzione dell’opera pubblica oggetto della procedura espropriativa.

Si è costituito in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune intimato, che ha eccepito la prescrizione del diritto e, in subordine, ne ha chiesto il rigetto per infondatezza, con vittoria di spese.

Con ordinanza collegiale istruttoria n. 272/2008 è stato ordinato al Comune intimato di rendere documentati chiarimenti in merito alla procedura espropriativa per cui è causa, con particolare riguardo all’esatta superficie del fondo di proprietà del ricorrente occupata sine titulo, indicando per distinte voci la superficie complessiva oggetto del decreto di occupazione d’urgenza divenuto inefficace e la specifica porzione di superficie ad oggi occupata dalle opere realizzate, con precisazione del rispettivo valore venale e produzione in giudizio dei relativi atti, ivi compreso, ove emanato, il provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art. 43 del T.U. n° 327/2001.

La predetta ordinanza è stata eseguita in data 26 marzo 2009, di talchè, stante l’intervenuta esecuzione dell’istruttoria, disposta prima della pubblicazione del precedente giurisprudenziale del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana del 18 febbraio 2009 n° 51 e stante, altresì, l’assenza di contestazione, da parte ricorrente, degli elementi accertati in sede istruttoria e versati agli atti del giudizio, questo Tribunale ha ritenuto non necessario alcun supplemento istruttorio (peraltro neanche specificamente domandato in seguito al deposito degli atti come sopra).

La causa è stata definitivamente trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 21 ottobre 2009.

Vengono in considerazione nel presente giudizio alcuni profili, sia sostanziali che processuali, dell’istituto della c.d. occupazione appropriativa, vale a dire della fattispecie concernente l’occupazione, da parte dell’amministrazione, di un’area di proprietà privata, in forza di un legittimo provvedimento di occupazione d’urgenza, seguita dalla realizzazione dell’opera senza però che nel rispetto dei termini di legge sia stato emanato il provvedimento espropriativo, né il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 del T.U. in materia di espropriazioni (d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).

Ritiene il collegio che le questioni dedotte nel presente giudizio debbano essere scrutinate avuto riguardo ai due principali formanti che, in un’ottica di tutela piena del cittadino, hanno da ultimo inciso sull’evoluzione della fattispecie: la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e la legislazione positiva, come da ultimo modificata anche in seguito alle note pronunce della Corte Costituzionale n° 348/2007 e n° 349/2007.

Le fonti richiamate, come ricordato dalla nota decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 2/2005, impongono che “in caso di illegittimità della procedura espropriativa e di realizzazione dell’opera pubblica, l’unico rimedio riconosciuto dall’ordinamento per evitare la restituzione dell’area è l’emanazione di un (legittimo) provvedimento di acquisizione ex articolo 43, in assenza del quale l’amministrazione non può addurre l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e quindi come impedimento alla restituzione: la realizzazione dell’opera pubblica è un fatto, e tale resta; la perdita della proprietà da parte del privato e l’acquisto in capo all’amministrazione possono conseguire unicamente all’emanazione di un provvedimento formale, nel rispetto del principio di legalità e di preminenza del diritto. In tal senso, e con le precisazioni esposte, deve convenirsi che l’istituto dell’acquisizione c.d. sanante di cui all’articolo 43, co. 1 e 2, rispetta i parametri imposti dalla Corte europea e dai principi costituzionali (...)”.

Detto risultato, che, ad avviso del Collegio, è l’unico compatibile con il quadro positivo di riferimento e con la disciplina europea del diritto di proprietà, implica che la tutela apprestata alle fattispecie di occupazione sine titulo non possa arretrare ad una soglia inferiore a quella riconosciuta dalla citata decisione dell’Adunanza Plenaria.

Ad avviso del Collegio, i punti fermi imposti dal legislatore e dalla giurisprudenza della C.E.D.U. impongono di non ravvisare, in sede interpretativa, ostacoli - legati alla natura dell’opera realizzata e agli interessi ad essa sottesi - alla restituzione del bene, al di fuori della emanazione del provvedimento di acquisizione sanante, che comunque realizza un interesse sia formale che sostanziale-patrimoniale del proprietario (Consiglio di Stato, sez. IV, decisione 3 settembre 2008 n. 4114).

Date le superiori premesse il collegio, in linea di continuità con l’orientamento giurisprudenziale amministrativo ormai consolidato (da ultimo, Consiglio di Stato, IV, 21 maggio 2007 n° 2582; IV, 30 novembre 2007 n° 6124; Tar Sicilia, Palermo, II, n° 342/2009; II, n° 51/2009; II, n. 1521/2008; III, n° 601/2008), ritiene:

a) in relazione alla giurisdizione del giudice amministrativo sulle domande di risarcimento del danno cagionato da occupazione preordinata all’espropriazione, non seguita da rituale provvedimento ablatorio, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto il danno si connette eziologicamente non ad un comportamento mero, ma ad un comportamento esecutivo di un efficace provvedimento amministrativo (il decreto di occupazione), cui non è seguito, secondo lo schema legale della fattispecie, un tempestivo provvedimento di esproprio (Corte costituzionale, sentenza n. 191 del 2006; Consiglio di Stato, A.P., decisioni n. 4 del 2005 e n. 12 del 2007; Corte di Cassazione, sez. un., sentenza 20 marzo 2008 , n. 7442, ove assume rilievo il collegamento, sia pure indiretto, della condotta lesiva con la dichiarazione di pubblica utilità; Consiglio di Stato, IV, decisioni 3 settembre 2008 n. 4112, e 6 novembre 2008, n. 5498 );

b) la domanda tendente ad ottenere il risarcimento del danno mediante restituzione del bene non è soggetta ad alcun termine prescrizionale, in quanto, “l’art. 43 testualmente preclude che l’Amministrazione diventi proprietaria di un bene in assenza di un titolo previsto dalla legge” (vedi, in tal senso Consiglio di Stato, V, 21 maggio 2007, n. 258) (T.A.R. Sicilia, Palermo, II, n° 342/2009; II, n° 1521/2008, cit.; nel senso della sostanziale imprescrittibilità della domanda, si veda altresì Consiglio Stato, sez. IV, decisioni 27 giugno 2007, n. 3752, e 16 novembre 2007 n. 5830).

Ciò detto sui profili in rito, occorre valutare quale debba essere la sorte delle domande di risarcimento del danno - da perdita irreversibile del bene - per equivalente monetario.

A stretto rigore, una volta acclarato che l’illecito della P.A. non determina un fenomeno traslativo della proprietà, la domanda andrebbe rigettata, non sussistendo il presupposto della fattispecie (la perdita della proprietà del bene).

Tale soluzione, tuttavia, darebbe adito ad un deficit di tutela in contrasto con le statuizioni della giurisprudenza della C.E.D.U. volte a fornire al proprietario una tutela piena e reale, statuizioni vincolanti nel nostro ordinamento per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., secondo l’elaborazione giurisprudenziale costituzionale (vds. le già citate sentenze n° 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale).

Sul punto occorre anzitutto considerare che - come recentemente affermato in giurisprudenza - la domanda di restituzione del bene occupato dall’amministrazione deve essere qualificata come richiesta di reintegrazione in forma specifica conseguente alla detenzione illecita del bene medesimo (Corte di Cassazione, sez. un., sentenza 20 marzo 2008 , n. 7442, cit.): il che evidentemente implica che, proposta la domanda di risarcimento per equivalente, e ferma l’unitarietà concettuale della domanda risarcitoria, ben può il giudice, nell’ambito delle modalità risarcitorie, accogliere la domanda medesima mediante reintegrazione piuttosto che mediante condanna alla corresponsione di un equivalente monetario (in disparte ogni ulteriore considerazione relativa all’ambito cognitorio e decisorio del giudizio di ottemperanza).

Se la condanna al risarcimento del danno per equivalente monetario non può essere pronunciata per l’inconfigurabilità di un effetto traslativo connesso alla realizzazione dell’opera, ciò non implica che la domanda risarcitoria proposta nel giudizio debba essere senz’altro rigettata, dovendosi valutare se sussistano o meno i presupposti per il suo accoglimento sub specie della reintegrazione in forma specifica (mediante restituzione del bene).

Anzi, ad un’attenta e consapevole valutazione della responsabilità della pubblica amministrazione, emerge come è semmai il risarcimento per equivalente che può accordarsi solo qualora il danno non sia riparabile in forma specifica. La tutela dell’interesse legittimo si accompagna infatti sempre alla soddisfazione dell’interesse pubblico: solo quando interesse legittimo e interesse pubblico divergono e quando il danno non è riparabile altrimenti che in forma pecuniaria, ovvero non ricorrono le condizioni di possibilità della reintegrazione in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c., allora c’è spazio per la tutela risarcitoria per equivalente (Consiglio di Stato, IV, 29 aprile 2002, n. 2280: “Ritiene la Sezione che l’effettività della tutela del cittadino nei confronti dell’attività, provvedimentale o materiale, della pubblica amministrazione, predicata a livello costituzionale dagli artt. 24 e 113, impone di non considerare la tutela restitutoria o ripristinatoria come eventuale o eccezionale, limitata ad ipotesi residuale, ed anzi spinge a ritenere che proprio la tutela risarcitoria patrimoniale deve essere considerata sussidiaria rispetto alla prima, con la conseguenza che essa deve considerarsi praticabile solo quando quella restitutoria non possa essere conseguita con successo: anche in tale prospettiva va infatti interpretato il principio di legalità e buon andamento dell’azione amministrativa, sancito dal già ricordato art. 97 della Costituzione, in quanto l’interesse pubblico prevalente (alla conclusione dei lavori o alla realizzazione dell’opera) può invocarsi solo quando il provvedimento amministrativo sia stato legittimamente emanato, non potendo altrimenti sacrificarsi la tutela reale del cittadino all’integrità del diritto illecitamente leso”).

Come detto, in linea con le statuizioni dell’Adunanza Plenaria n° 2/2005, l’unico ostacolo a tale pronunzia restitutoria è dato dall’emanazione del provvedimento di cui all’art. 43 del T.U. 08 giugno 2001 n° 327, che, nel caso in esame, non risulta essere stato adottato (pur avendo l’amministrazione comunale, in sede di chiarimenti in data 19 marzo 2009, attestato essere “allo studio un eventuale provvedimento di acquisizione sanante”).

Non rimane allora, verificata la ricostruzione in fatto del caso concreto, anche tenendo conto degli esiti dell’esecuzione dell’ordinanza istruttoria, che accogliere la domanda nei sensi che seguono, secondo l’indirizzo dominante nella giurisprudenza amministrativa.

La determinazione dell’importo dovuto dall’amministrazione intimata dipende dall’esercizio o meno del potere di acquisizione sanante, non potendosi effettuare in questa sede di cognizione una valutazione di merito riservata al Comune.

Per tale ragione, il collegio ritiene di fissare un termine perentorio affinché l’amministrazione valuti se disporre l’acquisizione delle aree del proprietario, con il conseguente risarcimento del danno ai sensi dell’art. 43 del testo unico sugli espropri (salva la possibilità della restituzione della disponibilità degli immobili).

Attesa la complessità del caso e in applicazione dell’art. 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998, su espressa domanda in tal senso articolata in ricorso, il collegio dispone che:

a) entro il termine di novanta giorni (decorrente dalla comunicazione o dalla previa notifica della presente decisione), il Comune intimato e la parte ricorrente possono addivenire ad un accordo, per quantificare l’entità del danno e il valore del bene che verrà trasferito in capo al Comune con tale atto convenzionale;

b) in mancanza di accordo nel termine di cui sopra, entro i successivi sessanta giorni il Comune potrà emanare un formale e motivato provvedimento di restituzione del bene, previa riduzione in pristino, con l’indicazione dell’ammontare del risarcimento per l’illegittima occupazione, oppure emanare un provvedimento di acquisizione ex art. 43 T.U. espropriazioni, in cui si individui il risarcimento da corrispondere al ricorrente, ai sensi del comma 6 dello stesso articolo, che non potrà essere inferiore al valore di mercato del bene occupato (art. 37 e ss. del T.U. espropriazioni, come modificati in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007), maggiorato di interessi moratori.

Per la quantificazione del danno, anche nel caso di emanazione dell’atto di acquisizione ex art. 43, l’Amministrazione darà applicazione alle disposizioni vigenti alla data della medesima quantificazione, senza dare rilievo all’art. 55 del testo unico (il cui contenuto precettivo è venuto meno con la sentenza della Corte Costituzionale n. 349 del 2007).

Qualora il Comune intimato e la parte ricorrente non addivengano ad un accordo e il Comune neppure adotti un atto formale volto all’acquisizione (o alla restituzione: Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 3 settembre 2008 n. 4114) dell’area in questione, decorsi i termini sopra indicati, la parte ricorrente potrà chiedere a questo Tribunale l’esecuzione della presente decisione, per l’adozione delle misure consequenziali (rientrando nei poteri del giudice dell’ottemperanza la nomina di un commissario ad acta e la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti, per la valutazione dei fatti che hanno condotto alla medesima fase del giudizio).

Per le ragioni fin qui esposte, il ricorso deve essere accolto, nei sensi sopra precisati.

Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla natura della controversia e alla parziale novità di alcune delle questioni dedotte, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Sezione II, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe, nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Nicolo' Monteleone, Presidente

Cosimo Di Paola, Consigliere

Francesca Aprile, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE                                                  IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO



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