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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1585
DIRITTO URBANISTICO - Insediamenti produttivi - Trasmissione della pratica al
SUAP - Natura dello sportello unico - Modulo organizzativo e procedimentale
composito. La trasmissione della pratica al SUAP non implica recesso del
Comune dalle proprie prerogative e responsabilità, giacché lo Sportello Unico
non rappresenta un nuovo centro di competenze, ma un modulo organizzativo e
procedimentale composito, una sorta di “procedimento di procedimenti” nel quale
confluiscono gli atti e gli adempimenti facenti capo a diverse competenze, e
richiesti dalle norme in vigore perché l'insediamento produttivo possa
legittimamente essere realizzato; in questo senso, quelli che erano, in
precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno dei quali veniva adottato sulla
base di un procedimento a sé stante, diventano “atti istruttori” al fine
dell'adozione dell'unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione
dell'intervento richiesto (così Corte Cost. 23 luglio 2002, n. 376). Pres.
Nicolosi, Est. Grauso - D. s.n.c. (avv.ti Piselli e Vagnucci) c. Comune di
Pienza (avv. Golini). TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1585
DIRITTO URBANISTICO - Variante cd. “normativa” - Assoggettamento alla
disciplina prevista del l’approvazione degli strumenti di pianificazione - L.R.
Toscana n. 1/05. La variante c.d. “normativa” deve ritenersi assoggettata
alla disciplina stabilita per l’approvazione degli strumenti di pianificazione e
degli atti di governo del territorio dalla L.R. Toscana n. 1/05, la quale non
effettua alcuna distinzione tra le diverse tipologie di variante (artt. 15 co. 1
e 18 co. 1), ed anzi prevede che le norme procedurali di cui agli artt. 16 e 17
si applichino anche agli atti di governo del territorio e relative varianti
ancorché non implicanti modifiche degli strumenti di pianificazione (art. 18 co.
2-bis). Pres. Nicolosi, Est. Grauso - D. s.n.c. (avv.ti Piselli e Vagnucci) c.
Comune di Pienza (avv. Golini). TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n.
1585
AREE PROTETTE - VIA - DIRITTO URBANISTICO - Siti di interesse regionale -
Valutazione di incidenza - Rapporto con la VIA - Integrazione - Rapporto con la
variante al PRG. L’art. 5 co. 4 del D.P.R. n. 357/97 e l’art. 15 della
l.r.Toscana n. 56/00 stabiliscono che la valutazione di incidenza sui siti di
interesse regionale dei progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale
sia integrata nell’ambito della stessa VIA, ed in particolare che lo studio di
impatto ambientale contenga gli elementi relativi alla compatibilità del
progetto con le finalità di conservazione dei siti predetti. Diversamente è a
dirsi per la variante al PRG, rispetto alla quale la valutazione di incidenza
deve costituire oggetto di apposita relazione che, ai sensi dell’art. 15 co.
2-bis della citata legge regionale n. 56/00, deve confluire nella relazione di
sintesi relativa alla valutazione integrata richiesta dall’art. 16 co. 3 della
legge regionale n. 1/05 ai fini dell’approvazione degli atti di pianificazione e
di governo del territorio e delle loro varianti. Sarà dunque nell’ambito del
connesso procedimento per l’approvazione della variante che occorrerà constatare
se possa venire mutuato “sic et simpliciter” il giudizio di compatibilità
ambientale espresso in sede di VIA (che si riferisce al progetto e solo
indirettamente alla corrispondente richiesta di variante), ovvero se detto
giudizio debba essere integrato con specifico riguardo all’incidenza sui siti
interessati. Pres. Nicolosi, Est. Grauso - D. s.n.c. (avv.ti Piselli e Vagnucci)
c. Comune di Pienza (avv. Golini). TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n.
1585
AREE PROTETTE - Zone speciali di conservazione - Zone di protezione speciale
- D.M. 17 ottobre 2007 - Delibera di Giunta regionale toscana n. 454/2008 -
Apertura e ampliamento di cave - Progetti già sottoposti a valutazione di
incidenza - Compatibilità agli strumenti di pianificazione vigenti e agli
obiettivi di conservazione. In attuazione del D.M. 17 ottobre 2007, recante
criteri minimi uniformi da adottarsi dalle Regioni per la definizione di misure
di conservazione relative alle Zone speciali di conservazione ed alle Zone di
protezione speciale, la delibera di Giunta regionale toscana n. 454 del 16
giugno 2008 nel revocare la precedente deliberazione n. 923 dell’11 dicembre
2006, a sua volta recante misure di conservazione per la tutela delle ZPS ai
sensi del D.P.R. n. 357/97, sancisce il divieto di “apertura di nuove cave e
ampliamento di quelle esistenti, ad eccezione di quelle previste negli strumenti
di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del
presente atto ivi compresi gli ambiti individuati nella Carta delle Risorse del
Piano regionale delle Attività estrattive, a condizione che risulti accertata e
verificata l'idoneità al loro successivo inserimento nelle Carte dei Giacimenti
e delle Cave e Bacini estrattivi, prevedendo altresì che il recupero finale
delle aree interessate dall'attività estrattiva sia realizzato a fini
naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di
incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali
e di settore di riferimento dell'intervento. Sono fatti salvi i progetti di cava
già sottoposti a procedura di valutazione d'incidenza, in conformità agli
strumenti di pianificazione vigenti e sempreché l'attività estrattiva sia stata
orientata a fini naturalistici e sia compatibile con gli obiettivi di
conservazione delle specie prioritarie” (Allegato A, punto 1, lett. n). L’inciso
conclusivo della disposizione condiziona la salvezza dei progetti di cava già
sottoposti a valutazione di incidenza non soltanto alla conformità agli
strumenti di pianificazione vigenti, ma anche alla compatibilità dell’attività
estrattiva con gli obiettivi di conservazione delle specie prioritarie e,
soprattutto, con l’indirizzamento dell’attività medesima a fini naturalistici.
Pres. Nicolosi, Est. Grauso - D. s.n.c. (avv.ti Piselli e Vagnucci) c. Comune di
Pienza (avv. Golini). TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1585
N. 01585/2009 REG.SEN.
N. 01786/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1786 del 2008, proposto da:
Daluema di Spennacchi M. & C. S.n.c., in persona del legale rappresentante “pro
tempore”, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pierluigi Piselli e Francesco
Vagnucci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Orsola Cortesini in
Firenze, via Lamarmora 14;
contro
Comune di Pienza, in persona del Sindaco “pro tempore”, rappresentato e difeso
dall'avv. Paolo Golini, persso il cui studio è elettivamente domiciliato in
Firenze, via Gino Capponi 26;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della nota prot. n. 6846/4580, dell'11-07-2008, con la quale il Responsabile
del Servizio del Comune di Pienza ha disposto l'archiviazione della pratica
edilizia 72/01-49/07 relativa all'istanza della ricorrente in data 31-03-2001,
volta ad ottenere l’autorizzazione al progetto di coltivazione e sistemazione
ambientale finale del sito di cava ubicato in località Pianporcino;
- della nota sopracitata, nella misura in cui con la stessa il Responsabile del
Servizio del Comune di Pienza oppone un sostanziale diniego alla richiesta di
autorizzazione al progetto di coltivazione e sistemazione ambientale finale del
sito di cava di cui sopra;
- per quanto di ragione, di ogni altro atto e/o provvedimento antecedente,
presupposto, conseguente o comunque connesso a quello impugnato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pienza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2009 il dott. Pierpaolo
Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 27 ottobre 2007, la
Daluema S.n.c. proponeva impugnazione avverso la nota in epigrafe, mediante la
quale il Comune di Pienza aveva disposto l’archiviazione del procedimento
originato dall’istanza di autorizzazione alla coltivazione della cava di inerti
ubicata in località Pian Porcino, presentata da essa Daluema il 31 marzo 2001
con contestuale richiesta di variante al PRG, e seguita nel mese di luglio dello
stesso anno dall’istanza di attivazione del procedimento di valutazione
dell’impatto ambientale.
In fatto, la società ricorrente esponeva che la commissione VIA, superando
l’iniziale parere negativo, nella seduta dell’11 agosto 2005 aveva dichiarato la
compatibilità ambientale dell’intervento, sia pure con prescrizioni. Il giudizio
di compatibilità era stato recepito nei medesimi termini dal Comune di Pienza
con la determinazione n. 149 dell’11 aprile 2006; Daluema aveva pertanto
provveduto ad adeguare il progetto originario alle prescrizioni ricevute, per
poi sollecitare, con nuova istanza del 3 ottobre 2007, la definizione della
procedura autorizzatoria, ricevendone tuttavia in risposta la comunicazione di
avvio del procedimento di archiviazione della pratica; comunicazione
autonomamente impugnata dinanzi a questo stesso tribunale, che aveva però
dichiarato l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse con sentenza
n. 5042/07, trattandosi di atto endoprocedimentale. Nell’ulteriore giudizio
promosso dalla medesima Daluema per l’annullamento delle misure di salvaguardia
adottate dal Comune di Pienza nel corso dell’approvazione del Piano Strutturale,
onde sospendere ogni determinazione sull’istanza relativa alla cava di Pian
Porcino, il TAR aveva invece accolto la domanda di sospensione cautelare (ord.
n. 267/08), mentre la Regione Toscana, nelle more, aveva confermato la
localizzazione dell’area di cava in questione anche nel nuovo Piano Regionale
delle Attività Estrattive e di Recupero. In virtù di detti provvedimenti,
Daluema aveva nuovamente fatto richiesta al Comune di Pienza affinché volesse
rilasciare l’autorizzazione richiesta ed, in assenza di riscontri, era stata
nuovamente costretta a rivolgersi al TAR, affinché dichiarasse l’illegittimità
del silenzio serbato dall’amministrazione: proprio a ridosso dell’udienza
fissata per la trattazione del ricorso contro il silenzio, il Comune di Pienza,
con la nota qui impugnata, aveva comunicato l’avvenuta archiviazione della
pratica.
In diritto la ricorrente affidava le proprie doglianze a cinque motivi, e
concludeva per l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensiva, nonché per
la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni.
Costituitosi il Comune di Pienza, che resisteva al gravame, nella camera di
consiglio del 13 novembre 2008 la ricorrente dichiarava di rinunciare alla
domanda cautelare. Nel merito, la causa veniva discussa e trattenuta per la
decisione nella pubblica udienza del 2 luglio 2009, preceduta dal deposito di
documenti e memorie difensive.
DIRITTO
La controversia ha per oggetto la nota dell’11 luglio 2007, attraverso la quale
il Comune di Pienza ha comunicato alla ricorrente Daluema S.n.c. l’archiviazione
(“sic”) del procedimento per l’autorizzazione alla coltivazione ed alla
sistemazione ambientale finale della cava sita in località Pian Porcino,
originariamente avviato dalla ricorrente medesima con istanza del 31 marzo 2001,
successivamente rielaborata alla luce delle prescrizioni impartite in sede di
valutazione di impatto ambientale e così ripresentata – ai fini del riesame da
parte del Comune – il 3 ottobre 2007. La motivazione dell’atto impugnato,
articolata per punti, ha riguardo ai seguenti profili ostativi all’accoglimento
della pretesa: mancanza del bollo sull’istanza 3 ottobre 2007; necessità di
sottoscrizione da parte di tecnico abilitato della domanda di variante al PRG;
pregressa adozione di determinazioni conclusive negative sulla originaria
istanza del 31 marzo 2001; assenza di autorizzazione e relazione paesistica;
competenza in materia di rilascio dell’autorizzazione unica alla coltivazione
della cava riservata allo Sportello Unico per le Attività Produttive;
sottoposizione della variante al piano regolatore alla procedura disciplinata
dalla legge regionale n. 1/05 ed alla verifica di compatibilità con il Piano di
Indirizzo Territoriale e con il Piano Territoriale di Coordinamento; incidenza
dell’intervento sulla zona di protezione speciale denominata “Crete dell’Orcia e
del Formone”.
Secondo la prospettazione della ricorrente, le ragioni addotte
dall’amministrazione procedente a sostegno dell’archiviazione consentirebbero di
ravvisare nella stessa la sostanza di un provvedimento di diniego dissimulato,
ed illegittimo, frapposto alla richiesta di autorizzazione del 2001, che
l’istanza del 3 ottobre 2007 avrebbe solamente “riattivato”. Di contro, la
difesa del Comune resistente afferma che l’originaria istanza sarebbe stata a
suo tempo definita con le determinazioni di cui al verbale della conferenza di
servizi del 15 luglio 2005 ed al parere della Commissione comunale per il
paesaggio del 1 marzo 2006, non impugnate dall’interessata, mentre non
rileverebbe la conclusione, con atto dello stesso Comune in data 11 aprile 2006,
del procedimento di VIA, almeno in parte favorevole alla realizzabilità del
progetto di coltivazione della cava; nell’ottica del Comune la richiesta del
2007 implicherebbe, già nella qualificazione fornitane dall’interessata
(“richiesta di riesame”), l’avvenuta definizione del procedimento autorizzativo
originario.
Per dirimere la questione, occorre esaminare nella loro sequenza gli atti
adottati dal Comune sull’istanza presentata dalla ricorrente nel 2001, a partire
dalla menzionata determinazione della conferenza di servizi del 15 luglio 2005,
che – con decisione espressamente qualificata come “conclusiva” ai sensi
dell’art. 14-ter co. 3 della legge n. 241/90, il cui contenuto è recepito dal
successivo parere della Commissione comunale per il paesaggio del 1 marzo 2006 –
per un verso statuisce di non approvare il progetto così come presentato,
mentre, per l’altro, dà atto della necessità di rielaborare il progetto stesso e
la variante al PRG onde adeguarli alle prescrizioni ed ai rilievi svolti, per le
rispettive competenze, dall’ARPAT e dalla Regione Toscana. Il parere favorevole
all’intervento, espresso invece dalla Commissione VIA nella seduta dell’11
agosto 2005, esclude peraltro dalla compatibilità ambientale le indicazioni
progettuali relative all’ampliamento dell’area di cava ed alla collocazione
delle vasche di decantazione delle acque in area demaniale, ed è rilevante come,
nel conformarsi ad esso, il provvedimento finale della procedura di VIA, assunto
dal Comune di Pienza con determinazione dell’11 aprile 2006, allo stesso tempo
faccia proprie le determinazioni già adottate dalla conferenza di servizi in
merito alla necessità di rielaborazione del progetto, cui la pronuncia di
compatibilità ambientale viene infatti condizionata.
Al contrario di quanto sostenuto dalla società ricorrente, nessuna
contraddittorietà è dunque ravvisabile tra gli atti del Comune, dal momento che
il diniego di approvazione pronunciato dalla conferenza di servizi in sede di
rilascio di autorizzazione alla coltivazione della cava non risulta smentito dal
provvedimento conclusivo della procedura di VIA, svoltasi parallelamente, ed
anzi ne appare confermato sotto il profilo della necessità – ravvisata nell’uno
e nell’altro caso – di procedere alla revisione del progetto originale,
altrimenti inadeguato anche in ordine agli aspetti strettamente ambientali; e
poiché la definitività del diniego di approvazione, chiaramente affermata dalla
conferenza di servizi, non può oggi venire messa in discussione (la violazione
dell’art. 14-ter della legge n. 241/90, cui la ricorrente fa cenno per negare il
carattere decisorio della determinazione, avrebbe dovuto essere fatta valere a
suo tempo mediante tempestiva impugnazione), deve convenirsi sul fatto che
l’itinerario procedimentale avviato con l’istanza del 31 marzo 2001 si sia
definitivamente arrestato con il diniego del 15 luglio 2005. Il diniego,
pronunciato evidentemente allo stato degli atti, fa evidentemente salva la
facoltà della società interessata di adeguarsi alle indicazioni e prescrizioni
impartite dal Comune anche in funzione della compatibilità ambientale del
progetto, vale a dire la facoltà – sempre esercitabile, del resto – di
presentare un nuovo progetto depurato delle incongruenze rilevate
dall’amministrazione, e come tale idoneo sia a giustificare il superamento del
diniego di approvazione frattanto consolidatosi, sia a determinare l’avveramento
della condizione apposta alla pronuncia favorevole di VIA: è perciò alla stregua
dell’atto di avvio di un nuovo procedimento di approvazione che deve essere
trattata l’istanza presentata dalla società Daluema il 3 ottobre 2007, a maggior
ragione ove si consideri che il “riesame” chiesto al Comune riguarda oramai un
progetto diverso da quello del 2001, sebbene da esso derivante.
Tanto premesso vanno respinte, sia pure con le precisazioni che seguono, le
censure articolate dalla ricorrente con i primi due motivi di gravame, e rivolte
nei confronti della declinatoria di competenza che sarebbe contenuta nell’atto
impugnato, laddove quale ufficio competente a provvedere sull’istanza di
autorizzazione viene indicato il locale Sportello Unico per le Attività
Produttive: atteso, infatti, che l’istanza del 3 ottobre 2007 deve essere
considerata quale istanza nuova ed autonoma, e non quale mero atto di impulso di
un procedimento già pendente, essa avrebbe dovuto essere presentata dinanzi al
SUAP Amiata – Val d’Orcia, istituito nel 2004. Nondimeno, la trasmissione della
pratica al SUAP, disposta con l’atto impugnato, non implica recesso del Comune
dalle proprie prerogative e responsabilità, giacché lo Sportello Unico non
rappresenta un nuovo centro di competenze, ma, com’è noto, un modulo
organizzativo e procedimentale composito, una sorta di “procedimento di
procedimenti” nel quale confluiscono gli atti e gli adempimenti facenti capo a
diverse competenze, e richiesti dalle norme in vigore perché l'insediamento
produttivo possa legittimamente essere realizzato; in questo senso, quelli che
erano, in precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno dei quali veniva adottato
sulla base di un procedimento a sé stante, diventano “atti istruttori” al fine
dell'adozione dell'unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione
dell'intervento richiesto (così Corte Cost. 23 luglio 2002, n. 376). Se, allora,
la concentrazione della responsabilità procedimentale presso un unico ufficio,
per fini di semplificazione, non comporta il venire meno delle distinte
competenze facenti capo alle amministrazioni deputate alla cura degli interessi
pubblici coinvolti, nella specie l’”archiviazione” del procedimento, con
contestuale inoltro al SUAP, assume il significato più limitato di una
declinatoria (non della competenza dell’ente, ma) della responsabilità
procedimentale da parte del titolare del diverso ufficio comunale adito,
declinatoria la quale di per sé non determina alcun definitivo arresto nel corso
della procedura, il che fa dubitare della stessa configurabilità di un interesse
all’impugnazione.
Al contempo, deve escludersi che dalla trasmissione degli atti allo Sportello
Unico possa farsi discendere la conseguenza paventata dalla ricorrente, vale a
dire che occorra rinnovare la procedura per la valutazione di impatto ambientale
già favorevolmente conclusasi con la determinazione comunale n. 149 dell’11
aprile 2006. Quest’ultima, come si è visto, è dichiaratamente subordinata alla
preventiva rielaborazione del progetto e della variante al PRG secondo le
indicazioni del Comune e della Commissione VIA, risolvendosi di fatto in una
pronuncia di compatibilità condizionata, operante “ora per allora”; si aggiunga
che il termine quinquennale di efficacia della pronuncia sulla VIA è fatto
decorrere, dalla menzionata delibera n. 149/06, dal rilascio dell’autorizzazione
alla coltivazione della cava, e questo conferma l’autonomia della pronuncia
medesima dall’esito negativo della prima procedura autorizzativa, e la sua
perdurante validità ed efficacia, rimanendo affidata al Comune di Pienza, della
Provincia di Siena, dell’ARPAT e della ASL verificare che la società istante
abbia elaborato il nuovo progetto in conformità alle prescrizioni ricevute.
Quanto alla variante al PRG, a prescindere dalle prescrizioni apposte alla
pronuncia di VIA, che si riferisce in via immediata al progetto, e solo in via
mediata alla proposta di variante, è peraltro inevitabile la sottoposizione alla
disciplina introdotta dalla sopravvenuta legge regionale n. 1/05, nel cui vigore
il relativo procedimento è stato avviato (sul punto, v. anche “infra”).
Della sussistenza di un interesse al ricorso non può invece dubitarsi con
riferimento al contenuto realmente ostativo del provvedimento impugnato, che –
nella parte in cui costituisce manifestazione di quelle competenze di esclusivo
appannaggio del Comune, destinate come tali a rifluire nel procedimento unico
dinanzi al SUAP – dà luogo ad un effettivo arresto procedimentale, al di là
delle veste formale attribuita al provvedimento. Sulla scorta di tale
conclusione, consequenziale a quanto si è affermato inizialmente circa la natura
dell’atto impugnato, possono considerarsi superate le doglianze svolte dalla
ricorrente con il terzo motivo (tendenti, appunto, a far emergere il diniego
sottostante all’archiviazione), per passare al vaglio dei motivi rimanenti,
volti a censurare le ragioni addotte dal Comune a sostegno della ritenuta
inaccoglibilità dell’istanza di Daluema.
Con il quarto motivo, rubricato “Illegittimità del provvedimento nella parte in
cui fa discendere dalla mera incompletezza della documentazione presentata
l’archiviazione/diniego dell’istanza. Violazione e falsa applicazione dell’art.
6 L. 241/90. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria”, la ricorrente sostiene
che le carenze documentali rilevate dal Comune – mancanza del bollo, mancanza
della firma di tecnico abilitato in calce alla richiesta di variante al PRG,
assenza dell’autorizzazione e della relazione paesistica, dell’indagine
geotecnica e della verifica di coerenza con gli statuti del PIT e del PTC, del
nulla osta a fini idraulici – costituirebbero ipotesi di irregolarità sanabili,
a fronte delle quali l’amministrazione avrebbe dovuto sollecitare l’integrazione
o i chiarimenti da parte dell’interessata. La ricorrente contesta inoltre nel
merito la correttezza dei rilievi effettuati dal Comune.
Con il quinto motivo, rubricato “Illegittimità del provvedimento nella parte in
cui fa discendere da un erroneo e/o omesso esame della documentazione presentata
l’archiviazione/diniego dell’istanza. Illegittimità per eccesso di potere sotto
i correlati profili del difetto assoluto di istruttoria, del travisamento,
dell’errore sui presupposti di fatto e di diritto. Illogicità,irragionevolezza e
contraddittorietà manifesta. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 L.
241/90”, è poi dedotta l’illegittimità della pretesa del Comune di sottoporre
alla procedura di approvazione prevista dalla legge regionale n. 1/05 la modesta
variante al PRG residuata dopo l’espunzione dal progetto dell’ipotesi di
ampliamento dell’area di cava; viene contestata, inoltre, l’affermazione del
Comune, secondo cui l’intervento proposto sarebbe incompatibile con la presenza
di due zone di protezione speciale, mancando oltretutto la relativa valutazione
di incidenza, e con gli obiettivi, le previsioni e le prescrizioni del Piano
Strutturale.
I due motivi saranno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione.
È pacifico che l’istanza di autorizzazione presentata dalla società Daluema il
31 ottobre 2007 contiene, al pari di quella risalente al 2001, la richiesta di
una contestuale variante al PRG, descritta nella relazione tecnica allegata e
consistente nella modifica delle NTA vigenti nel senso di consentire, quanto ai
contenuti del progetto di coltivazione e ripristino, la produzione di elaborati
grafici in scala da 1:500 ad 1:1000 o di maggior dettaglio, anziché in scala
1:500 o di maggior dettaglio e, quanto alla fase operativa di rimodellamento del
terreno, la formazione di pendenze non inferiori allo 0,5%, anziché all’1%, ed
il posizionamento dell’isoipsa (la curva altimetrica) inferiore ad una quota
tale da permettere il libero deflusso delle acque superficiali, anziché a quota
identica a quella originaria. Ciò posto, la circostanza che si tratti di una
variante c.d. “normativa” – peraltro direttamente incidente sull’assetto del
territorio, nella parte in cui modifica i criteri per la risistemazione del
terreno – non toglie che essa debba ritenersi assoggettata alla disciplina
stabilita per l’approvazione degli strumenti di pianificazione e degli atti di
governo del territorio dalla già citata legge regionale n. 1/05, la quale non
effettua alcuna distinzione tra le diverse tipologie di variante (artt. 15 co. 1
e 18 co. 1), ed anzi prevede che le norme procedurali di cui agli artt. 16 e 17
si applichino anche agli atti di governo del territorio e relative varianti
ancorché non implicanti modifiche degli strumenti di pianificazione (art. 18 co.
2-bis). Legittimamente il Comune, nel rimettere la pratica allo Sportello Unico,
ha ritenuto perciò necessario che il rilascio dell’autorizzazione sia preceduto
dalla definizione del parallelo procedimento per l’approvazione della variante;
ed altrettanto legittima appare l’ulteriore pretesa del Comune, circa la
necessità che la richiesta di variante sia sottoscritta da tecnico abilitato,
avendo Daluema allegato all’istanza del 2007 una relazione progettuale
sottoscritta da professionisti – un geologo ed un biologo – fra le cui
competenze tale attività non rientra, ai sensi degli artt. 31 e 41 del D.P.R. n.
328/01 (mentre non è in discussione la competenza di quei professionisti per gli
aspetti strettamente attinenti alle rispettive specialità).
Passando all’incidenza dell’intervento proposto dalla ricorrente sulla ZPS/pSIC
“Crete dell’Orcia e del Formone”, all’interno del quale l’area della cava di
Pian Porcino ricade, e sulla vicina ZPS/pSIC “Lucciolabella”, occorre ancora una
volta tenere distinto il progetto di coltivazione della cava dalla contestuale
variante al PRG. L’art. 5 co. 4 del D.P.R. n. 357/97 e l’art. 15 della l.r. n.
56/00 stabiliscono che la valutazione di incidenza sui siti di interesse
regionale dei progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale sia
integrata nell’ambito della stessa VIA, ed in particolare che lo studio di
impatto ambientale contenga gli elementi relativi alla compatibilità del
progetto con le finalità di conservazione dei siti predetti. Ne discende, in
prima approssimazione, che la valutazione di incidenza del progetto di
coltivazione della cava di Pian Porcino deve presumersi adeguatamente svolta in
seno alla procedura di VIA conclusasi con la determinazione comunale n. 149/06,
e della cui perdurante validità ed efficacia si è detto in precedenza, di modo
che per questo profilo non appaiono corrette le radicali affermazioni dell’atto
impugnato in ordine alla mancanza della valutazione.
Diversamente è a dirsi per la variante al PRG, rispetto alla quale la
valutazione di incidenza deve costituire oggetto di apposita relazione che, ai
sensi dell’art. 15 co. 2-bis della citata legge regionale n. 56/00, deve
confluire nella relazione di sintesi relativa alla valutazione integrata
richiesta dall’art. 16 co. 3 della legge regionale n. 1/05 ai fini
dell’approvazione degli atti di pianificazione e di governo del territorio e
delle loro varianti. Sarà dunque nell’ambito del connesso procedimento per
l’approvazione della variante che occorrerà constatare se possa venire mutuato
“sic et simpliciter” il giudizio di compatibilità ambientale espresso in sede di
VIA (che, lo si ripete, si riferisce al progetto e solo indirettamente alla
corrispondente richiesta di variante), ovvero se detto giudizio debba essere
integrato con specifico riguardo all’incidenza sui siti interessati, anche alla
luce di quello che si dirà più avanti; fermo restando che l’eventuale esclusione
dell’area di cava dal perimetro del pSIC n. 97 compete alla Regione, e non al
Comune, al contrario di quanto sostenuto nella relazione progettuale della
ricorrente.
Rimane, a questo punto, da verificare se il rilascio dell’autorizzazione alla
coltivazione della cava sia impedita, per la sua incidenza sulle ZPS, dagli atti
normativi intervenuti successivamente alla conclusione del procedimento di VIA.
In attuazione del D.M. 17 ottobre 2007, recante criteri minimi uniformi da
adottarsi dalle Regioni per la definizione di misure di conservazione relative
alle Zone speciali di conservazione ed alle Zone di protezione speciale, la
delibera di Giunta regionale toscana n. 454 del 16 giugno 2008 – pubblicata il
25 giugno 2008 e pertanto in vigore al momento dell’adozione del provvedimento
impugnato – nel revocare la precedente deliberazione n. 923 dell’11 dicembre
2006, a sua volta recante misure di conservazione per la tutela delle ZPS ai
sensi del D.P.R. n. 357/97, sancisce il divieto di “apertura di nuove cave e
ampliamento di quelle esistenti, ad eccezione di quelle previste negli strumenti
di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del
presente atto ivi compresi gli ambiti individuati nella Carta delle Risorse del
Piano regionale delle Attività estrattive, a condizione che risulti accertata e
verificata l'idoneità al loro successivo inserimento nelle Carte dei Giacimenti
e delle Cave e Bacini estrattivi, prevedendo altresì che il recupero finale
delle aree interessate dall'attività estrattiva sia realizzato a fini
naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di
incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali
e di settore di riferimento dell'intervento. Sono fatti salvi i progetti di cava
già sottoposti a procedura di valutazione d'incidenza, in conformità agli
strumenti di pianificazione vigenti e sempreché l'attività estrattiva sia stata
orientata a fini naturalistici e sia compatibile con gli obiettivi di
conservazione delle specie prioritarie” (Allegato A, punto 1, lett. n). Come si
vede, l’inciso conclusivo della disposizione condiziona la salvezza dei progetti
di cava già sottoposti a valutazione di incidenza – e, per le ragioni esposte,
al novero di tali progetti è ascrivibile quello di Daluema – non soltanto alla
conformità agli strumenti di pianificazione vigenti, ma anche alla compatibilità
dell’attività estrattiva con gli obiettivi di conservazione delle specie
prioritarie e, soprattutto, con l’indirizzamento dell’attività medesima a fini
naturalistici, caratteristica che il progetto in questione “ictu oculi” non
possiede, e che non ha neppure costituito materia di indagine in sede di
valutazione di incidenza, non essendo in quel momento richiesta; e, del resto,
la stessa ricorrente rivendica di aver indirizzato a fini naturalistici non
l’attività estrattiva nel suo complesso, ma la sola sistemazione finale della
cava (pag. 29 dell’atto introduttivo), riconoscendo così implicitamente
l’assenza del requisito richiesto per l’apertura della cava dalla sopravvenuta
delibera n. 454/08.
Al di là dell’erroneo richiamo all’abrogata delibera n. 923/06 (mentre è
corretto il rinvio al D.M. del 2007), risulta dunque corretta la determinazione
del Comune di non dare corso, per quanto di propria competenza, al procedimento
autorizzativo; né coglie nel segno l’affermazione secondo cui quella di Pian
Porcino non potrebbe considerarsi cava “nuova”, in senso contrario deponendo sia
le norme tecniche di attuazione della variante al PRG approvata in adeguamento
al PRAE del 1995, ove Pian Porcino è così qualificata, sia la stessa relazione
progettuale del settembre 2007 allegata dalla ricorrente alla propria istanza di
“riesame”, dalla quale emerge chiaramente come, allo stato, l’area interessata
dalla cava in progetto sia destinata alla coltivazione (pag. 27). Non giova
invece soffermarsi sulla coerenze dell’intervento proposto dalla ricorrente con
le previsioni contenute nel Piano Strutturale del Comune, annullate da questo
stesso tribunale – nella parte in cui statuiscono l’incompatibilità
dell'apertura della cava di Pian Porcino con la tutela delle risorse essenziali
e sospendono ogni determinazione in merito al rilascio dei provvedimenti
autorizzativi richiesti – con sentenza n. 739 del 30 aprile 2009, la quale allo
stato fa cadere il presupposto normativo del contrasto affermato
dall’amministrazione resistente.
Venendo, infine, al problema dell’autorizzazione paesaggistica (l’area di cava è
soggetta a vincolo ai sensi dell’art. 1 della legge n. 431/85 ed, ora, dell’art.
142 D.Lgs. n. 42/04, stante la prossimità del fiume Orcia ed è, inoltre,
collocata all’interno di un’area protetta di interesse regionale, come risulta
anche dalla relazione di progetto della ricorrente, pagg. 5 e 6), la ricorrente
sostiene che essa non sarebbe dovuta, ai sensi dell’art. 146 ult. co. del D.Lgs.
n. 42/04 cit., nel testo originario, e ciò sul presupposto che l’istanza di
autorizzazione presentata nel 2007 debba qualificarsi come “riassunzione”
dell’iniziale istanza del 2003. Venuta meno, per i motivi inizialmente esposti,
tale necessaria premessa, la disciplina applicabile “ratione temporis” non può
che essere quella vigente al momento dell’emanazione del provvedimento
impugnato, vale a dire l’art. 146 come sostituito dall’art. 2 del D.Lgs. n.
63/08, il cui comma quattordicesimo stabilisce che le disposizioni in materia di
autorizzazione paesaggistica si applicano anche alle istanze concernenti le
attività di coltivazione di cave e torbiere, se incidenti, come nella specie, su
beni paesaggistici; ed anche a voler ritenere applicabile la normativa vigente
al momento della presentazione dell’istanza, cioè il medesimo art. 146, ma nel
testo introdotto dall’art. 16 del D.Lgs. n. 157/06, l’autorizzazione sarebbe
comunque dovuta, sia pure con modalità differenti (previa valutazione della
competente Soprintendenza, su richiesta del Ministero dell’ambiente).
Anche il rilievo comunale circa la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica
finisce dunque per risultare corretto, giustificandosi anche in relazione a tale
dato l’arresto procedimentale frapposto alla ricorrente. Non appare invece
ostativa la mancanza del nulla osta a fini idraulici, pure evidenziata dal
Comune, non essendosene ancora attualizzata la necessità, così come non riveste
valenza ostativa la mancanza del bollo sull’istanza, che rappresenta, in
definitiva, l’unica irregolarità sanabile della procedura.
In forza di tutte le considerazioni che precedono, ed avuto riguardo alla
accertata legittimità pressoché di tutte le ragioni, fra loro indipendenti,
addotte dall’amministrazione a fondamento dell’atto impugnato, la domanda di
annullamento proposta dalla società ricorrente deve essere respinta, e con essa
la domanda accessoria di risarcimento dei danni. Le spese di lite seguono la
soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sezione II,
definitivamente pronunciando, respinge le domande proposte, e condanna la
società ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in
complessivi euro 3.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali,
nonché I.V.A. e C.P.A., come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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