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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR TOSCANA, Sez. II - 6 novembre 2009, n. 1586
RIFIUTI - Rifiuti prodotti dalle navi - Direttiva n. 2000/59/CE - D.lgs. n.
182/2003 - Costi di raccolta e gestione degli impianti di portuali di raccolta -
Sistema tariffario - Obbligo di pagamento di una quota a carico di tutte le
navi, a prescindere dal conferimento - Ratio della scelta legislativa -
Disincentivazione degli scarichi in mare - Interpretazione conforme della
normativa nazionale. La normativa comunitaria (più specificamente, l’art. 9
della direttiva n. 2000/59/CE, di cui il d.lgs. n. 182/2003 costituisce
attuazione) detta un sistema tariffario, per i rifiuti prodotti dalle navi,
articolato su due livelli: un primo livello, tramite cui i costi degli impianti
portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti vengono posti a
carico, in misura significativa, di tutte le navi che approdano nei porti dello
Stato membro, a prescindere dall’effettivo uso degli impianti (art. 9, comma 2,
lett. a), della direttiva); un secondo livello, con il quale la parte dei costi
non coperta dal primo livello è coperta “in base ai quantitativi e ai tipi di
rifiuti prodotti dalla navi effettivamente conferiti dalle navi”. La ratio di
una simile scelta si coglie nel “considerando” n. 14 della direttiva de qua,
dove - ferma rimanendo la messa a carico delle navi del costo degli impianti
portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, in base al
principio “chi inquina, paga” - al regime tariffario è affidato l’obiettivo di
incentivare il conferimento dei rifiuti nei porti, invece dello scarico in mare:
obiettivo che è possibile conseguire “prevedendo che tutte le navi
contribuiscano ai costi di raccolta e di gestione dei rifiuti prodotti dalle
navi al fine di ridurre gli incentivi economici agli scarichi in mare”. Che ciò
si traduca in un obbligo di pagamento almeno di una quota parte della tariffa a
carico di tutte le navi, a prescindere dal conferimento, si deduce
dall’ulteriore passaggio in cui il “considerando” in discorso rinvia agli Stati
membri la facoltà di stabilire “se e in quale proporzione i contributi
applicabili ai quantitativi di rifiuti effettivamente conferiti dalle navi
debbano essere inclusi nei sistemi di recupero dei costi per l’uso degli
impianti portuali di raccolta”: il che indica la scelta del Legislatore
comunitario di attribuire all’effettivo conferimento dei rifiuti un ruolo al più
concorrente, e non già esclusivo, nella determinazione della tariffa. In altri
termini, la scelta del Legislatore comunitario di porre a carico delle navi il
pagamento della quota fissa della tariffa anche ove non conferiscano i rifiuti
ha un obiettivo preciso, che è quello di disincentivare sul piano economico gli
scarichi in mare, nell’interesse della tutela ambientale: una finalità simile
sarebbe, invece, frustrata se l’intera tariffa, e pertanto anche la quota fissa,
dovesse essere pagata solamente dalle navi che conferiscono i rifiuti:
basterebbe infatti evitare il conferimento per non dover pagare alcuna somma.
Ciò non toglie che per talune navi occorra prevedere un regime differenziato e
meno gravoso e di tale necessità si mostra ben consapevole il Legislatore
comunitario, lì dove, al “considerando” n. 16 della direttiva, riconosce la
possibilità, per le navi che svolgono servizio regolare con approdi frequenti e
regolari, di esenzione “da taluni obblighi” della medesima (tra cui l’art. 9
della direttiva indica anche quello dell’art. 8, cioè quello del pagamento della
tariffa), al fine di evitare un onere eccessivo per le parti interessate e
sempreché sia dimostrato che esistono disposizioni atte a garantire il
conferimento dei rifiuti ed il pagamento dei relativi contributi. In forza del
criterio di interpretazione conforme, la normativa nazionale - in particolare,
quella di cui al d.lgs. n. 182/2003 - va interpretata alla luce dei richiamati
principi. Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis - M. s.p.a. e altri (avv. Morini)
c. Ministero dei Trasporti, Capitaneria di Porto di Livorno ed Autorità Portuale
di Livorno (Avv. Stato) - TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1586
RIFIUTI - D.lgs. n. 182/2003 - Rifiuti prodotti dalle navi - Tariffa -
Individuazione della sola soglia minima - Soglia massima - Valutazione
discrezionale dell’Amministrazione - Distorsioni della concorrenza - Esclusione
- Disincentivazione dello scarico in mare - Dir. 2000/59/CE. L’Allegato IV,
comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 182/2003 ha individuato solo la soglia minima
della quota fissa della tariffa e non anche quella massima, lasciando alla
valutazione discrezionale dell’Amministrazione la determinazione della
percentuale che rende congruo il rapporto tra quota fissa della tariffa e costi
complessivi, con una scelta che, in specie per le Autorità Portuali, si rivela
coerente con i margini di autonomia (su cui T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 12
giugno 2008, n. 797; id., 7 marzo 2007, n. 739) e con i poteri a queste
attribuiti dall’ordinamento; non ha provocato distorsioni della concorrenza, la
quale, anzi, viene incentivata dalla previsione solo di una soglia minima,
potendo la concorrenza stessa dispiegarsi in misura soddisfacente tramite
l’ampia possibilità, per i porti, di diversificare l’entità della quota fissa
della tariffa al di sopra della soglia minima; e, in perfetta coerenza con la
normativa comunitaria (cfr. art. 8, comma 1, lett. a), della direttiva n.
2000/59/CE), ha stabilito che la quota fissa della tariffa sia rapportata a
tutti i costi degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti, e, pertanto, non
solo ai costi di investimento, ma anche a quelli di trattamento e smaltimento
dei rifiuti. Sotto quest’ultimo profilo, vi è un evidente incentivo affinché le
navi conferiscano effettivamente i rifiuti, implicito nel rischio di pagare,
altrimenti, anche una quota parte dello smaltimento di rifiuti altrui, ma non si
può dire che ciò concretizzi un’illegittimità, giacché il tutto è finalizzato
all’obiettivo di disincentivare lo scarico in mare, nell’interesse della tutela
ambientale. Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis - M. s.p.a. e altri (avv. Morini)
c. Ministero dei Trasporti, Capitaneria di Porto di Livorno ed Autorità Portuale
di Livorno (Avv. Stato) - TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1586
N. 01586/2009 REG.SEN.
N. 00467/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso con motivi aggiunti numero di registro generale 467 del 2007,
proposto da
Memo 2000 S.p.A. e Prosper S.r.l., in persona del loro legale rappresentante pro
tempore, sig.ra Maria Grazia Salvatici, Renzo Conti S.r.l., in persona del
legale rappresentante pro tempore, sig. Renzo Conti, Naviport S.r.l., in persona
del legale rappresentante pro tempore, sig. Riccardo Lunardi, F.lli Bartoli
S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Paolo Bartoli,
Saimare Livorno S.r.l., Giorgio Gragnani S.r.l. e M.Bournique S.r.l., in persona
del loro legale rappresentante pro tempore, sig. Luca Gragnani, Austral S.r.l.
ed Antonio Conti Ag. M.Ma, in persona del loro legale rappresentante pro
tempore, sig. Antonio Conti, C.S.A. S.p.A. e Portital S.r.l., in persona del
loro legale rappresentante pro tempore, sig. Fabio Selmi, Osvaldo Bonsignori
S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Paolo Bonsignori,
Rag. Benedetti Giuseppe Ag. M.Ma, in persona del legale rappresentante pro
tempore, sig. Giuseppe Benedetti, G & L S.r.l. As Agent, in persona del legale
rappresentante pro tempore, sig. Valter Bona, Argosy S.r.l., in persona del
legale rappresentante pro tempore, sig. Nicola Chiesa, Hugo Trumpy S.r.l., in
persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Natale Cinquegrani, Atlas
S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Roberto Sambaldi,
Mediterranean Sea Agency S.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, sig. Giampiero Fancellu, Sauro Spadoni S.r.l., in persona del legale
rappresentante pro tempore, sig. Giampaolo Spadoni, Banchero Costa & C. S.p.A.,
in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Alessandro Cionini, tutti
rappresentati e difesi dall’avv. Andrea Morini e con domicilio eletto presso lo
studio dell’avv. Guido Fanfani, in Firenze, via Puccinotti n. 45
contro
Ministero dei Trasporti, Capitaneria di Porto di Livorno ed Autorità Portuale di
Livorno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti
rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di
Firenze e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Firenze, via degli
Arazzieri n. 4
nei confronti di
Labromare S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, comm.
Amerigo Cafferata, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luciano Canepa, Roberto
Righi, Matteo Pollastrini, Marina Lupo e con domicilio eletto presso lo studio
di quest’ultima, in Firenze, via B. Lupi n. 14
1) quanto al ricorso originario:
per l’annullamento
- in parte qua, dell’ordinanza del Comandante del Porto di Livorno n. 1 del 2
gennaio 2007, recante elementi di valutazione e linee guida circa il
conferimento di rifiuti da parte delle navi che scalano il Porto di Livorno;
- in parte qua, dell’ordinanza del Commissario straordinario dell’Autorità
Portuale di Livorno n. 21/Comm. dell’8 agosto 2006 contenente il Regolamento per
il servizio di raccolta, trasporto ed avviamento al recupero od allo smaltimento
dei rifiuti e dei residui del carico prodotto dalle navi che fanno scalo nel
porto di Livorno, con il relativo tariffario;
- di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o connesso
2) quanto ai motivi aggiunti depositati in data 25 luglio 2007:
per l’annullamento
in parte qua, dell’ordinanza del Presidente dell’Autorità Portuale di Livorno n.
11 del 30 maggio 2007, recante il nuovo Regolamento per il servizio di raccolta,
trasporto ed avviamento al recupero od allo smaltimento dei rifiuti e dei
residui del carico prodotto dalle navi che fanno scalo nel porto di Livorno, con
il relativo tariffario.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Trasporti, della
Capitaneria di Porto di Livorno, dell’Autorità Portuale di Livorno e della
Labromare S.r.l;
Visti i motivi aggiunti depositati il 25 luglio 2007;
Visti le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle
rispettive tesi e difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore, nell’udienza
pubblica del 18 giugno 2009, il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle
parti costituite, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Le ricorrenti espongono di essere società svolgenti attività di
agente/raccomandatario marittimo per le principali compagnie di navigazione che
fanno scalo nel porto di Livorno.
Le esponenti venivano a conoscenza dell’adozione, da parte del Comandante del
Porto di Livorno e Capo del Circondario Marittimo, dell’ordinanza n. 1/2007 – in
vigore dal 15 gennaio 2007 – recante elementi di valutazione e linee guida circa
il conferimento dei rifiuti da parte delle navi che fanno scalo nel porto di
Livorno. Questa consente di attuare l’ordinanza del Commissario straordinario
dell’Autorità Portuale di Livorno n. 21 dell’8 agosto 2006, contenente il
Regolamento relativo all’organizzazione della raccolta e gestione dei rifiuti
prodotti dalle navi e dei residui del carico nel porto di Livorno.
Facendo riferimento alla disciplina di cui all’ordinanza n. 1/2007 cit., una
delle ricorrenti (la Memo 2000 S.p.A.) presentava dichiarazione ai fini del
riconoscimento delle navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari,
per giovarsi della possibilità, prevista dall’art. 3.3 dell’ordinanza de qua, di
effettuare in forma cumulativa la notifica delle informazioni circa i rifiuti
prodotti ed i residui del carico. Altre chiedevano invece, per singoli approdi,
l’autorizzazione al conferimento di rifiuti nel porto di scalo successivo,
prevista dall’art. 4.2 dell’ordinanza.
La Capitaneria di Porto di Livorno accordava con provvedimenti formali le
deroghe ed esenzioni al conferimento richieste. Tuttavia, la concessionaria del
servizio di raccolta rifiuti, Labromare S.r.l., richiedeva alle compagnie di
navigazione rappresentate, in taluni casi, direttamente alle agenzie in altri,
per le stesse navi per cui erano state rilasciate le esenzioni/deroghe, il
pagamento delle tariffe fisse del servizio. Ciò, in quanto ai sensi dell’art. 4
dell’ordinanza n. 1/2007, nonché dell’art. 14 del Regolamento per la raccolta
dei rifiuti, insta in ogni caso a carico delle navi esentate e/o in regime di
deroga, dunque non conferenti, l’obbligo del pagamento di una tariffa fissa.
Dolendosi di siffatta disciplina ed in particolare del descritto obbligo di
pagamento, considerato del tutto illegittimo e contrastante con il d.lgs. n.
182/2003, le esponenti con il ricorso in epigrafe hanno impugnato le surriferite
ordinanze nn. 1 del 2 gennaio 2007 e 21 dell’8 agosto 2006, chiedendone
l’annullamento in parte qua.
A supporto del gravame, hanno dedotto, con un unico motivo, le seguenti censure:
- violazione del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, del d.lgs. n.
182/2003 e dell’Allegato IV (contenente criteri per la determinazione della
tariffa di cui agli artt. 8 e 10), nonché del combinato disposto degli artt. 9 e
8, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 182/2003, eccesso di potere per illogicità
manifesta e difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990,
in quanto, in base al d.lgs. n. 182/2003 l’obbligo di pagamento delle tariffe
fisse portuali può gravare soltanto sulle navi che conferiscono i rifiuti, non
anche su quelle esentate o ammesse a deroga dal conferimento, né a quelle in
servizio di linea con scali frequenti e regolari (non assoggettate all’obbligo
di conferire i rifiuti);
- incostituzionalità della disciplina contestata, sotto il profilo sia della sua
irragionevolezza, sia della manifesta disparità di trattamento, non essendo
ancorata la quota fissa della tariffa né in tutto, né in parte, alle spese di
investimento per la realizzazione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti;
- manifesta incongruità ed iniquità dell’importo della tariffa fissa, che
coprirebbe da solo gran parte dei costi degli impianti (sia di quelli di
investimento, che di quelli di trattamento e smaltimento) e sarebbe, perciò,
eccessivamente oneroso.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dei Trasporti, la Capitaneria di
Porto e l’Autorità Portuale di Livorno, depositando documentazione sui fatti di
causa.
Si è costituita in giudizio, altresì, la controinteressata Labromare S.r.l..
Successivamente alla proposizione del ricorso, l’Autorità Portuale di Livorno
adottava l’ordinanza n. 11 del 30 maggio 2007, con cui provvedeva ad abrogare
l’ordinanza n. 21/2006 ed a disciplinare ex novo la materia della raccolta e
gestione dei rifiuti, nonché dei residui del carico delle navi che fanno scalo
nel porto di Livorno. Anche tale ordinanza, nella parte in cui mantiene la
previsione di una quota di tariffa fissa, dovuta anche dalle navi che non
usufruiscono del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, è stata
impugnata dalle ricorrenti, con motivi aggiunti depositati in data 25 luglio
2007.
A supporto dei motivi aggiunti le ricorrenti, oltre a riproporre le stesse
censure già formulate con il gravame originario, hanno dedotto le doglianze:
- di incongruenza del provvedimento impugnato (relativamente alle navi esentate
o in deroga totale dall’obbligo di conferimento dei rifiuti);
- di contrasto con l’art. 7, comma 1 e 2, del d.lgs. n. 182/2003 (relativamente
alle navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari).
In prossimità dell’udienza di merito hanno depositato memoria difensiva la
difesa erariale, nonché (tardivamente) la difesa della controinteressata.
All’udienza del 18 giugno 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso originario si
impugnano gli atti (ordinanza del Comandante del Porto di Livorno n. 1/2007 ed
ordinanza del Commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Livorno n. 21
dell’8 agosto 2006) attraverso i quali è stato disciplinato il conferimento dei
rifiuti da parte delle navi che fanno scalo nel porto di Livorno. Con motivi
aggiunti depositati il 25 luglio 2007 si impugna, poi, l’ordinanza del
Presidente dell’Autorità Portuale di Livorno n. 11 del 30 maggio 2007, mediante
la quale, in sostituzione dell’ordinanza commissariale n. 21/2006
(contestualmente abrogata), è stata dettata la nuova disciplina del servizio di
raccolta, trasporto ed avviamento al recupero/smaltimento dei rifiuti e residui
del carico prodotti dalle navi facenti scalo nel porto di Livorno.
Iniziando l’esame dal ricorso originario, il Collegio deve anzitutto scrutinare
le molteplici eccezioni processuali sollevate dalla difesa erariale ed aventi ad
oggetto la tardività e quindi irricevibilità del suddetto gravame, nonché
l’inammissibilità per carenza di interesse ad agire per nove ricorrenti. A
queste, si deve aggiungere anche l’eccezione di sopravvenuta carenza di
interesse per l’intervenuta abrogazione dell’ordinanza commissariale n. 21/2006:
eccezione rilevabile d’ufficio ma che, in ogni caso, si desume dalla
ricostruzione dei fatti svolta dalla difesa erariale, lì dove questa sostiene
che l’ordinanza n. 1/2007 è atto meramente confermativo ed esecutivo della
summenzionata ordinanza commissariale. Pertanto, venuta meno questa, cadrebbe
anche l’atto consequenziale ed esecutivo (di per sé comunque non lesivo degli
interessi delle ricorrenti), con il corollario dell’improcedibilità del ricorso
originario.
In proposito, il Collegio, pur consapevole dell’esistenza di contrasti in
giurisprudenza e dottrina con riferimento all’ordine logico da seguire
nell’esame delle questioni processuali (a parte la priorità da accordare
all’esame della questione di giurisdizione: C.d.S., Sez. V, 28 aprile 1999, n.
497), ritiene di dover aderire all’indirizzo che accorda la precedenza all’esame
della questione di ricevibilità del ricorso. Va condiviso, infatti,
l’orientamento giurisprudenziale, per cui il profilo della tempestività del
gravame attiene regolarità della costituzione del rapporto processuale e,
perciò, la sua disamina deve logicamente precedere ogni altra questione,
processuale e di merito (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 18 settembre 2002, n.
4007; C.d.S., Sez. V, 4 dicembre 1987, n. 766).
Tanto premesso, il Collegio ritiene fondata l’eccezione di irricevibilità del
ricorso originario, perché tardivamente notificato.
Ed invero il predetto ricorso ha ad oggetto atti di portata generale ed
astratta, a contenuto normativo (per almeno uno dei quali, l’ordinanza
commissariale n. 21/2006, la natura di atto regolamentare è esplicitamente
affermata dall’atto stesso): si tratta, dunque, di atti per i quali, ove idonei
ad incidere direttamente nella sfera degli interessati e quindi immediatamente
impugnabili, il relativo termine di impugnazione decorre dal verificarsi della
loro conoscenza legale, che avviene in base alle normali forme di pubblicità
(cfr. C.d.S., Sez. IV, 17 aprile 2002, n. 2032).
Nella vicenda in esame, perciò, la decorrenza del termine di impugnativa deve
farsi decorrere dalla pubblicazione degli atti impugnati. Orbene, vero è che la
difesa erariale (onerata della relativa prova in base all’art. 2697 c.c.) non ha
fornito la rigorosa dimostrazione di tale pubblicazione, limitandosi a prendere
a riferimento la data di adozione dell’ordinanza n. 1/2007 – riferimento che,
però, non si può in alcun modo condividere – o la data della sua entrata in
vigore (15 gennaio 2007). Rispetto a quest’ultima, tuttavia, il ricorso sarebbe
tempestivo, essendo stato notificato il 16 marzo 2007 e non essendo il 2007 anno
bisestile. Nondimeno, assumendo a riferimento l’ordinanza commissariale n.
21/2006 – e sebbene manchi anche per questa la dimostrazione rigorosa della sua
pubblicazione – il gravame appare molto verosimilmente tardivo, essendo la
suddetta ordinanza commissariale entrata in vigore il 1° settembre 2006, in
epoca ben anteriore alla proposizione del gravame stesso. Questo risulta un dato
decisivo sia qualora si reputi – come fa la difesa erariale – che solo il
provvedimento commissariale sia atto lesivo (mentre l’ordinanza n. 1/2007
sarebbe un mero atto confermativo ed esecutivo, sfornito di autonoma capacità
lesiva), sia ad opinare diversamente. In ogni caso, infatti – e, dunque, anche
assumendo che l’ordinanza n. 1/2007 sia atto dotato di autonoma lesività –
rimane fermo che l’ordinanza commissariale si pone, rispetto ad essa, quale atto
presupposto direttamente lesivo, da impugnare immediatamente: la sua tardiva
impugnazione si ripercuote, quindi, sull’intero ricorso originario e ciò tanto
più che rispetto all’atto consequenziale ed applicativo (l’ordinanza n. 1/2007)
non si deduce nessun vizio autonomo, ma solamente vizi derivati dall’atto
presupposto. Le doglianze delle ricorrenti si appuntano, infatti, contro
l’obbligo (addossato dall’Autorità Portuale a carico di tutte le navi che
attraccano nel porto di Livorno, a prescindere dal fatto che conferiscano o no i
rifiuti) di pagare una quota fissa della tariffa prevista per il servizio di
raccolta e di smaltimento dei rifiuti, ossia contro un obbligo stabilito
direttamente dall’art. 15 del Regolamento allegato alla suindicata ordinanza
commissariale n. 21/2006. Donde la fondatezza dell’eccezione di tardività e
dunque di irricevibilità del gravame originario, essendo del tutto inverosimile
che l’entrata in vigore della nuova disciplina – prevista per il 1° settembre
2006, pertanto diversi mesi prima del verificarsi dei fatti di cui si dolgono le
ricorrenti – non fosse stata accompagnata da alcuna forma di pubblicità della
disciplina stessa. Altrettanto inverosimile è poi ritenere che le ricorrenti,
tutte quante per loro stessa ammissione operanti nel porto di Livorno, non
avessero avuto alcuna conoscenza della nuova regolamentazione, ormai introdotta
– come detto – da svariati mesi.
Ad ogni buon conto, oltre che irricevibile, il ricorso originario risulta
altresì improcedibile, attesa la ricordata abrogazione dell’ordinanza
commissariale n. 21/2006 ad opera della successiva ordinanza n. 11 del 30 maggio
2007. Come si è già visto, infatti, le censure si indirizzano avverso l’obbligo
di pagamento della quota di tariffa, quindi avverso l’art. 15 del Regolamento
allegato al menzionato provvedimento commissariale, mentre l’impugnazione
dell’ordinanza n. 1/2007 risulta ultronea ed in ogni caso è o inammissibile
(perché rivolta nei confronti di un atto non lesivo), o improcedibile (per la
caducazione dell’ordinanza n. 1/2007, quale atto strettamente consequenziale
all’ordinanza commissariale abrogata).
L’inammissibilità e comunque improcedibilità dell’impugnazione dell’ordinanza
del Comandante del Porto di Livorno n. 1/2007 rende superfluo l’esame
dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva del Ministero dei Trasporti,
sollevata dalla difesa erariale sul rilievo che, nel caso di specie,
ci si trova dinanzi ad un’ipotesi di avvalimento della Capitaneria di Porto da
parte del Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 3, ultimo periodo, della l.
n. 84/1994.
Da ultimo, va esaminata anche l’eccezione di inammissibilità del gravame per
carenza di interesse, formulata dalla difesa erariale nei confronti di nove
delle ricorrenti (Saimare Livorno S.r.l., Giorgio Gragnani S.r.l., M.Bournique
S.r.l., Sauro Spadoni S.r.l., Antonio Conti Ag. M.Ma, Mediterranean Sea Agency
S.r.l., G & L S.r.l. As Agent, Atlas S.r.l., Osvaldo Bonsignori S.r.l.),
considerato che si tratta di eccezione rilevante anche ai fini
dell’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti. Sostiene sul punto la difesa
erariale che le suddette ricorrenti non avrebbero avuto sinora navi in approdo
nel porto di Livorno e che, perciò, non avrebbero alcun interesse ad agire
diretto ed attuale, a tale scopo non bastando la mera affermazione di operare
nello stesso settore delle altre ricorrenti.
Ad avviso del Collegio, la questione della sussistenza o meno dell’interesse a
ricorrere riguarda, in realtà, tutte le ricorrenti e si ricollega alla
possibilità di attribuire agli atti impugnati efficacia lesiva concreta ed
attuale. Ed invero, circoscrivendo l’esame al ricorso per motivi aggiunti,
questo ha ad oggetto l’impugnazione dell’ordinanza n. 11/2007, contenente il
nuovo Regolamento del servizio di raccolta e gestione dei rifiuti: ma per la
costante giurisprudenza (cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 17
giugno 2009, n. 4056), i regolamenti possono formare oggetto di autonoma ed
immediata impugnazione solo quando sono suscettibili di produrre, in via diretta
ed immediata, una concreta ed attuale lesione dell’interesse di un determinato
soggetto; ove, invece, la lesione derivi dall’atto di applicazione concreta, le
disposizioni regolamentari potranno essere impugnate soltanto congiuntamente al
provvedimento applicativo, poiché è soltanto questo a rendere attuale e certa la
lesione dell’interesse protetto. Nel caso di specie, pertanto, il gravame per
motivi aggiunti potrebbe esser considerato inammissibile, poiché rivolto avverso
un atto insuscettibile di causare una lesione concreta ed attuale dell’interesse
delle ricorrenti, senza l’intervento di atti applicativi (che, peraltro, non
risultano neppure impugnati: donde un secondo profilo di inammissibilità).
Il Collegio, tuttavia, non condivide tale impostazione, ritenendo l’art. 15 del
Regolamento allegato all’ordinanza n. 11/2007 direttamente lesivo degli
interessi delle ricorrenti e quindi immediatamente ed autonomamente impugnabile,
senza bisogno di attendere i relativi atti applicativi. L’art. 15 cit., infatti
(come del resto già l’art. 15 del Regolamento allegato all’ordinanza n.
21/2006), dispone che le tariffe in vigore nel porto di Livorno sono praticate
in misura fissa a tutte le navi che attraccano nel porto stesso. Le doglianze
delle ricorrenti si incentrano proprio sul fatto che il pagamento della quota
fissa della tariffa venga richiesto a tutte le navi che fanno scalo, in disparte
il conferimento o meno dei rifiuti ad opera delle stesse: è chiaro, perciò, che
la citata disposizione regolamentare, dal tenore inequivoco, ha una portata
sufficientemente precisa e puntuale, tale da determinare già di per sé
l’(ingiusta) lesione di cui si lamentano le società. Sotto questo aspetto, non
solo non occorreva attendere l’emanazione di atti applicativi (che, peraltro,
risulterebbero adottati, nei confronti delle ricorrenti, solamente in relazione
all’ordinanza commissariale n. 21/2006 e non anche all’ordinanza n. 11/2007),
ma, anzi, l’impugnazione di tali atti sarebbe superflua, venendo essi
automaticamente travolti dall’annullamento dell’atto presupposto, cioè
dell’ordinanza gravata (cd. effetto caducante, che si verifica nei confronti
dell’atto consequenziale quando l’atto annullato costituisca il suo unico
presupposto giustificativo ed antecedente procedimentale: cfr. C.d.S., Sez. VI,
22 settembre 2008, n. 4551; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 22 dicembre 2008,
n. 21416).
Da quanto appena detto si deduce che non è condivisibile l’impostazione della
difesa erariale, per la quale le ricorrenti che non hanno avuto sinora navi in
approdo nel porto di Livorno, sarebbero prive di interesse ad agire. Detta
impostazione presuppone, infatti, che l’impugnazione delle disposizioni
regolamentari gravate fosse possibile solo unitamente agli atti applicativi di
esse – cioè le richieste di pagamento da parte della concessionaria del servizio
–, con il corollario che, in tutti quei casi nei quali tali richieste di
pagamento non vi siano (ancora) state, per non aver le relative navi fatto scalo
nel porto di Livorno, mancherebbe l’interesse ad agire. Siccome, però, si è
visto che il Regolamento gravato con i motivi aggiunti (in particolare l’art. 15
di esso) è già direttamente lesivo e, come tale, autonomamente ed immediatamente
impugnabile, deve concludersi che l’asserzione delle ricorrenti, di essere
società con funzioni di agente/raccomandatario marittimo per le principali
compagnie di navigazione che fanno scalo nel porto di Livorno (asserzione non
confutata dalla difesa erariale) sia sufficiente a fondarne la legittimazione e
l’interesse ad agire. Donde l’ammissibilità, per tal via, del ricorso per motivi
aggiunti.
Va aggiunto a questo proposito che i motivi aggiunti non sono travolti dall’irricevibilità
del ricorso originario (e nemmeno lo sarebbero dalla sua improcedibilità),
potendo essi valere come autonomo ricorso, in quanto diretti nella vicenda in
esame avverso un provvedimento distinto (T.A.R. Molise, Sez. I, 9 aprile 2009,
n. 120; T.A.R. Valle d’Aosta, 11 luglio 2007, n. 89).
Venendo, quindi, all’esame del merito dei motivi aggiunti, con gli stessi le
ricorrenti ripropongono le medesime doglianze avverso l’imposizione del
pagamento della quota fissa della tariffa avanzate già (avverso atto distinto)
con il gravame originario e, in più, lamentano:
a) l’incongruenza dell’art. 15 del nuovo Regolamento per la raccolta, il
trasporto e l’avviamento al recupero o smaltimento dei rifiuti (d’ora in poi:
Regolamento), giacché, per un verso, esso parrebbe appoggiare la tesi delle
ricorrenti, secondo cui in caso di non utilizzazione degli impianti portuali di
raccolta e gestione dei rifiuti, non si dovrebbe essere assoggettati ad alcuna
tariffa e nemmeno alla quota fissa. Ciò si desumerebbe dalla lettura in
combinato disposto del terzo punto dell’art. 15 cit. (lì dove viene previsto che
“alle navi che attraccano allo scopo di conferire esclusivamente i residui del
carico non verrà addebitata la quota di tariffa fissa, ma solamente quella
relativa alle quantità di prodotto consegnato all’impianto”) e del precedente
art. 14, comma 2, lett. a) (che impone l’obbligo di conferimento solamente dei
rifiuti notificati e quindi lascia intendere che una nave possa o meno conferire
i rifiuti). Ne seguirebbe una duplice tipologia di utenza, quella delle navi che
utilizzano gli impianti portuali, tenute a pagare la tariffa (sia la quota
fissa, sia la quota rapportata alla quantità dei rifiuti), e quella delle navi
che non utilizzano gli impianti portuali, cui non potrebbe essere richiesto il
pagamento di alcuna tariffa, e neppure della quota fissa. L’incongruenza
discenderebbe, tuttavia, dal fatto che l’art. 15, primo punto, cit., ripropone
esplicitamente l’obbligo di pagare la quota fissa della tariffa anche per le
navi che non usufruiscono del servizio di ritiro dei rifiuti, per esenzione o
deroga totale, sia pure (rispetto alla versione anteriore del Regolamento) con
una riduzione del 10% della stessa (disposta al quarto punto);
b) il contrasto con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 182/2003 (nonché con
l’art. 4.3 dell’ordinanza n. 1/2007), in quanto, ai sensi del combinato disposto
degli artt. 3.3 dell’ordinanza n. 1/2007 e 14, comma 2, lett. a) del
Regolamento, le navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari possono
trasmettere la notifica ogni 15 giorni se il conferimento dei rifiuti avviene in
altro scalo diverso dal porto di Livorno e rientrante tra quelli della linea
riconosciuta, ma nel contempo – dispone l’art. 14, comma 2, lett. a), cit. –
tutti i rifiuti notificati devono essere conferiti prima che la nave lasci il
porto di Livorno. Detta disciplina vanificherebbe l’esenzione delle navi in
parola dall’obbligo di conferire i rifiuti (esenzione disposta dall’art. 7,
comma 1, del d.lgs. n. 182 cit.), poiché dalla previsione della notifica ogni 15
giorni discenderebbe il suddetto obbligo di conferimento e, con questo,
l’obbligo di pagamento della tariffa. Sarebbe così violato anche l’art. 7, comma
2, del d.lgs. n. 182 cit., in base al quale la nave, che intenda proseguire
verso il successivo porto di scalo e dimostri la possibilità di raggiungerlo
senza il rischio di dover scaricare in mare i rifiuti, può derogare, previa
autorizzazione dell’Autorità marittima, all’obbligo di conferimento e, quindi,
aggiungono le società ricorrenti, non deve essere assoggettata al pagamento di
alcuna tariffa.
Il Collegio reputa necessario, per motivi di ordine logico, dare la priorità,
nell’esame delle censure, alle ultime due che si sono appena esposte: è,
infatti, palese che prima di giudicare della legittimità o meno dell’imposizione
dell’obbligo di pagamento della quota fissa della tariffa a tutte le navi che
attraccano nel porto di Livorno, anche se non conferiscono i rifiuti, e
dell’eccessiva onerosità della predetta quota fissa, occorre verificare se un
simile obbligo sussista davvero per tutte le navi, oltre che in base al vecchio
art. 15 del Regolamento (ormai abrogato), anche in base al nuovo.
In proposito, il Collegio ritiene che alla questione in esame debba essere data
risposta positiva, nel senso, cioè, dell’esistenza dell’obbligo di pagamento
sopra indicato per tutte le navi, a prescindere dal conferimento dei rifiuti,
anche ai sensi dell’art. 15 del (nuovo) Regolamento.
In argomento, infatti, la formulazione dell’art. 15 cit. è chiarissima e tale da
non lasciare dubbi, sia nella parte in cui (al primo punto) afferma che le
tariffe vigenti nel porto di Livorno sono praticate in misura fissa a tutte le
navi che attraccano nel porto, così come da situazione giornaliera redatta dalla
Capitaneria di Porto, sia nella parte in cui (al quarto punto) prevede una
riduzione tariffaria del 10%, per tutte le navi che lasciano il porto senza aver
usufruito del servizio di ritiro dei rifiuti, per effetto di esenzione o deroga
totale: ne deriva, quindi, inequivocabilmente, l’obbligo di pagamento della
quota fissa della tariffa anche per le navi che non effettuino il conferimento
dei rifiuti. Né in senso contrario depone – come pretendono le ricorrenti – il
terzo punto dell’art. 15, il quale si limita a stabilire un’esenzione dalla
quota fissa della tariffa per le navi che attraccano allo scopo esclusivo di
conferire i residui del carico, restando comunque assoggettate alla quota di
tariffa rapportata alle quantità di prodotto consegnato all’impianto: trattasi,
all’evidenza, di una previsione eccezionale di esenzione, da cui, perciò, è per
definizione impossibile desumere una regola generale di sottrazione all’obbligo
di pagamento della quota fissa per le navi che non conferiscano i rifiuti.
D’altro lato, la peculiare disciplina stabilita dal terzo punto dell’art. 15
cit. per i residui del carico si riconnette alla circostanza che l’art. 10,
comma 3, del d.lgs. n. 182/2003 (in recepimento dell’art. 10 della direttiva n.
2000/59/CE) prevede per siffatti residui un regime tariffario particolare,
addossando la tariffa alle sole navi che utilizzano gli impianti ed i servizi di
raccolta.
Nemmeno si può ravvisare alcun contrasto con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs.
n. 182/2003, il quale si limita a dettare norme in materia di modalità del
conferimento dei rifiuti da parte della nave, ma nulla prescrive circa il regime
tariffario applicabile ai rifiuti (oggetto, invece, del successivo art. 8). In
particolare, per quanto riguarda le due ipotesi previste, rispettivamente,
dall’art. 7 cit., comma 1 (esenzione dall’obbligo di conferimento dei rifiuti
per le navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari) e comma 2
(deroga a siffatto obbligo accordata alla nave che intenda proseguire verso il
successivo porto di scalo e dimostri l’effettiva possibilità di raggiungerlo
senza il rischio di dovere scaricare in mare i rifiuti), le doglianze delle
società ricorrenti, appaiono, oltre che infondate, anche di più che dubbia
ammissibilità. Ed invero, è erronea la premessa da cui muovono le ricorrenti,
per le quali l’obbligo di pagare la tariffa, anche nella quota fissa,
sussisterebbe solo a carico delle navi che conferiscono: con il ché – si
aggiunge – imporre indirettamente (tramite l’obbligo di notifica) l’obbligo di
conferimento, in violazione dei succitati commi 1 e 2 dell’art. 7, avrebbe il
significato di un’imposizione surrettizia del pagamento della tariffa anche in
casi per i quali essa non sarebbe dovuta. Ma come si è visto, l’obbligo di
pagare la quota fissa sussiste, ex art. 15 del Regolamento, anche a prescindere
dal conferimento dei rifiuti. Pertanto, è del tutto inutile dolersi dell’obbligo
di notifica, perché – comporti esso o meno l’obbligo di conferimento e, quindi,
violi o meno il regime di esenzioni e deroghe ex art. 7 cit. – in ogni caso non
è da esso che discende l’obbligo di pagare la quota fissa della tariffa: obbligo
legato, invece, al semplice approdo. Se ne desume la non lesività, per gli
interessi patrimoniali fatti valere dalle ricorrenti, delle prescrizioni
riguardanti la notifica (ed in specie, dell’art. 14, comma 2, lett. a), del
Regolamento), e la conseguente inammissibilità delle censure: censure che
comunque – va ribadito – sono altresì infondate, poiché, non contenendo l’art. 7
del d.lgs. n. 182/2003 alcuna disciplina in materia tariffaria, non si vede come
la previsione di un obbligo di pagamento della quota fissa non legato al
conferimento dei rifiuti possa contrastare con tale disposizione. In altri
termini, come già rilevato, l’art. 15 del Regolamento non viola l’art. 7 del
decreto legislativo.
Accertata, quindi, l’esistenza, ai sensi dell’art. 15 del Regolamento,
dell’obbligo di pagamento della quota fissa della tariffa a carico di tutte le
navi che fanno scalo nel porto di Livorno, anche di quelle che non conferiscono
rifiuti, si tratta adesso di sindacare la legittimità o meno della previsione di
un simile obbligo, alla stregua delle doglianze dedotte nel gravame.
Al riguardo, le ricorrenti sostengono che il predetto obbligo contrasterebbe in
toto con la ratio e con il contenuto del d.lgs. n. 182/2003 – e sarebbe perciò
illegittimo – desumendo detta illegittimità dai seguenti elementi:
- l’allegato IV al d.lgs. n. 182 cit. (recante i criteri per la determinazione
della tariffa del servizio rifiuti) avrebbe suddiviso l’utenza in due tipologie,
quella della navi che utilizzano gli impianti di recupero e/o smaltimento dei
rifiuti e quella delle navi che non li utilizzano, con il corollario che la
quota fissa della tariffa dovrebbe gravare solo sulle navi che conferiscono i
rifiuti e non sulle navi che non li conferiscono;
- nello stesso senso deporrebbe anche l’art. 3 del d.lgs. n. 182/2003, che
esclude dal proprio ambito di applicazione le navi militari da guerra ed
ausiliarie e le altre navi possedute o gestite dallo Stato, se impiegate solo
per servizi statali a fini non commerciali;
- tenore identico alla clausola escludente di cui all’ora visto art. 3 avrebbe
l’esenzione dall’obbligo di conferimento dei rifiuti dettata dall’art. 7, comma
1, del d.lgs. n. 182 cit. per le navi in servizio di linea con scali frequenti e
regolari; l’esenzione, consentendo il conferimento in altro porto tra quelli
compresi nella linea, a scelta del Comandante, avrebbe il fine di evitare esose
duplicazioni, favorire la concorrenza e stimolare l’efficienza gestionale (e,
quindi, comporterebbe l’esenzione, altresì, dal pagamento di qualsiasi tariffa,
anche per la sola quota fissa);
- la conferma di ciò si leggerebbe nell’art. 6, comma 4, del decreto
legislativo, ai sensi del quale le navi in servizio di linea, con scali
frequenti e regolari, possono effettuare la notifica contenente le informazioni
sui rifiuti in forma cumulativa all’Autorità marittima del porto di scalo presso
il quale conferiscono i rifiuti prodotti dalla nave ed i residui del carico, con
ciò riconoscendosi ancora più esplicitamente la possibilità di queste navi di
conferire i rifiuti in uno solo dei porti di approdo, a loro scelta;
- a riprova del principio per cui la quota fissa della tariffa dovrebbe gravare
solo su chi conferisce i rifiuti e non anche su chi non li conferisce,
militerebbe pure la possibilità di deroga all’obbligo di conferimento prevista
dal già ricordato art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 182/2003: disposizione da cui
sarebbe desumibile la preclusione di lasciare il porto senza conferire i rifiuti
per le navi autorizzate a conferirli altrove e che, però, non abbiano più
disponibilità sufficiente per stoccarli;
- al principio de quo si ispirerebbe anche l’art. 8, comma 3, del decreto
legislativo, il quale, sempre per le navi in servizio di linea con scali
frequenti e regolari, demanda alle Autorità competenti (non di un singolo porto)
la fissazione di specifici criteri per determinare la tariffa, presupponendo che
il pagamento di questa avvenga a favore di un solo porto.
A sostegno della tesi che vuole il pagamento della quota fissa della tariffa
anche da parte delle navi che non conferiscono i rifiuti non potrebbero –
secondo le ricorrenti – addursi né l’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 182/2003, né
il comma 1, lett. a), dell’Allegato IV al predetto decreto legislativo:
- non l’art. 8, comma 1, perché se è vero che in base a detto articolo gli oneri
dell’impianto portuale di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi sono coperti
da tariffa a carico delle navi che approdano nel porto, ciò non può intendersi
nel senso che siano tenute al pagamento tutte le navi, indistintamente. Ad
opinare diversamente, infatti, si addosserebbero a tutte le navi, tra gli altri,
gli oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti (oneri,
invece, non contemplati da altre disposizioni per le navi escluse e/o esentate).
Sicché – rilevano le ricorrenti – si arriverebbe all’assurda conclusione che le
uniche navi escluse sarebbero le navi che entrano in porto senza approdarvi;
- non il comma 1, lett. a), dell’Allegato IV, giacché la previsione, ivi
contenuta, di una quota fissa della tariffa, indipendente dall’effettivo
utilizzo degli impianti portuali di raccolta, non può essere intesa nel senso di
considerarne dovuto il pagamento pure da parte delle navi che non utilizzino gli
impianti: infatti, il medesimo comma limita la portata della disposizione al
caso di conferimento dei rifiuti prodotti dalla nave di cui all’art. 7, in tal
modo confermando che tutte e due le quote di tariffa si applicano nei soli casi
in cui non vi sia esenzione o deroga dall’obbligo di conferimento. Dunque, la
norma mirerebbe ad evitare che le navi non esentate o non ammesse a deroga – le
quali, tuttavia, si trovino a non utilizzare gli impianti – paghino, oltre al
costo dell’impianto a loro disposizione, il costo di un servizio (quello di
smaltimento dei rifiuti) di cui non usufruiscono, perché i rifiuti non li hanno
conferiti.
In definitiva, secondo le società ricorrenti, il sistema tariffario congegnato
dal d.lgs. n. 182/2003 si articolerebbe in tre ipotesi: 1) quella delle navi
esentate dall’obbligo del conferimento, le quali non pagherebbero alcuna
tariffa; 2) quella delle navi tenute al conferimento, ma che non conferiscono,
tenute al pagamento della sola quota fissa; 3) quella delle navi che
conferiscono e che, perciò, sono tenute a pagare ambedue le quote della tariffa.
Una simile articolazione del sistema non solamente si desumerebbe dal dettato
normativo, ma sarebbe anche il frutto di un’interpretazione rispondente ai
precetti costituzionali e, quindi, doverosa. Infatti, così si eviterebbe che le
navi a lungo percorso
siano costrette ad accollarsi spese fisse in misura sproporzionata, subendo
costi spropositati perché commisurati alla frequenza degli scali, anziché ai
rifiuti prodotti (e per giunta per scali visitati assai di rado): in caso
contrario, invece, la norma contrasterebbe con il principio di ragionevolezza
(art. 3 Cost.), essendo irragionevole creare una categoria di navi esenti
dall’obbligo di conferimento, per poi assoggettarle al pagamento della quota
fissa, al pari delle navi che conferiscono. Ciò che, per di più, sarebbe sintomo
di illegittimità costituzionale anche sotto il profilo della manifesta disparità
di trattamento.
Così descritto questo gruppo di doglianze, osserva il Collegio che sul punto le
ricorrenti incorrono nell’errore di interpretare la normativa di riferimento
come se questa avesse ricollegato l’obbligo di pagare la quota fissa della
tariffa al conferimento dei rifiuti. Al contrario, la normativa comunitaria di
settore (più specificamente, l’art. 9 della direttiva 27 novembre 2000, n.
2000/59/CE: direttiva di cui il d.lgs. n. 182/2003 costituisce attuazione) detta
un sistema tariffario, per i rifiuti prodotti dalle navi, articolato su due
livelli: un primo livello, tramite cui i costi degli impianti portuali di
raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti vengono posti a carico, in
misura significativa, di tutte le navi che approdano nei porti dello Stato
membro, a prescindere dall’effettivo uso degli impianti (art. 9, comma 2, lett.
a), della direttiva); un secondo livello, con il quale la parte dei costi non
coperta dal primo livello è coperta “in base ai quantitativi e ai tipi di
rifiuti prodotti dalla navi effettivamente conferiti dalle navi”. Alla luce di
un simile dettato, e tenuto conto del principio di interpretazione conforme, che
obbliga il giudice nazionale a dare un’interpretazione ed un’applicazione del
diritto nazionale che sia conforme alle prescrizioni del diritto comunitario (v.
Corte giustizia CE, grande sezione, 29 gennaio 2008, n. 275; T.A.R. Lombardia,
Brescia, Sez. I, 9 dicembre 2008, n. 1727), si deve concludere che tutti i dubbi
interpretativi formulati dalle ricorrenti sono privi di fondamento: infatti, la
normativa nazionale – in particolare, quella di cui al d.lgs. n. 182/2003 – va
interpretata in senso conforme all’art. 9 della direttiva n. 2000/59/CE.
Disposizione, questa, che indiscutibilmente ricollega una quota parte della
tariffa per il servizio rifiuti al mero dato dell’approdo della nave nel porto,
“a prescindere dall’effettivo uso degli impianti”.
La ratio di una simile scelta del Legislatore comunitario si coglie – come
correttamente evidenzia la difesa erariale – nel “considerando” n. 14 della
direttiva de qua, dove – ferma rimanendo la messa a carico delle navi del costo
degli impianti portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, in
base al principio “chi inquina, paga” – al regime tariffario è affidato
l’obiettivo di incentivare il conferimento dei rifiuti nei porti, invece dello
scarico in mare: obiettivo che è possibile conseguire “prevedendo che tutte le
navi contribuiscano ai costi di raccolta e di gestione dei rifiuti prodotti
dalle navi al fine di ridurre gli incentivi economici agli scarichi in mare”.
Che ciò si traduca in un obbligo di pagamento almeno di una quota parte della
tariffa a carico di tutte le navi, a prescindere dal conferimento, si deduce
dall’ulteriore passaggio in cui il “considerando” in discorso rinvia agli Stati
membri la facoltà di stabilire “se e in quale proporzione i contributi
applicabili ai quantitativi di rifiuti effettivamente conferiti dalle navi
debbano essere inclusi nei sistemi di recupero dei costi per l’uso degli
impianti portuali di raccolta”: il che, per il Collegio, indica la scelta del
Legislatore comunitario di attribuire all’effettivo conferimento dei rifiuti un
ruolo al più concorrente, e non già (come pretendono le ricorrenti) esclusivo,
nella determinazione della tariffa.
In altri termini, la scelta del Legislatore comunitario di porre a carico delle
navi il pagamento della quota fissa della tariffa anche ove non conferiscano i
rifiuti ha un obiettivo preciso, che è quello di disincentivare sul piano
economico gli scarichi in mare, nell’interesse della tutela ambientale: una
finalità simile sarebbe, invece, frustrata se si accedesse alla soluzione
interpretativa proposta dalle ricorrenti, perché se l’intera tariffa, e pertanto
anche la quota fissa, dovesse essere pagata solamente dalle navi che
conferiscono i rifiuti, basterebbe evitare il conferimento per non dover pagare
alcuna somma. Ma, in tal modo, è evidente che si finirebbe per incentivare gli
scarichi in mare dei rifiuti, pervenendo ad un risultato chiaramente
incompatibile con la disciplina comunitaria. Ciò non toglie che per talune navi
occorra prevedere un regime differenziato e meno gravoso e di tale necessità si
mostra ben consapevole il Legislatore comunitario, lì dove, al “considerando” n.
16 della direttiva, riconosce la possibilità, per le navi che svolgono servizio
regolare con approdi frequenti e regolari, di esenzione “da taluni obblighi”
della medesima (tra cui l’art. 9 della direttiva indica anche quello dell’art.
8, cioè quello del pagamento della tariffa), al fine di evitare un onere
eccessivo per le parti interessate e sempreché sia dimostrato che esistono
disposizioni atte a garantire il conferimento dei rifiuti ed il pagamento dei
relativi contributi. Calando quest’ultimo principio nel caso di specie, si
tratta, quindi, di vedere se la riduzione tariffaria prevista dall’art. 15 del
Regolamento (10%) possa o no rappresentare idonea attuazione del principio
stesso: ma la questione, a questo punto, attiene non più all’an debeatur, ma al
quantum debeatur (aspetto che forma oggetto del successivo gruppo di censure e
che, perciò sarà esaminato più oltre).
Peraltro, la ricostruzione ermeneutica avanzata dalle società ricorrenti, in
disparte la sua difformità rispetto alla disciplina comunitaria, a ben vedere
non trova conforto nemmeno nell’interpretazione letterale, né in quella
logico-sistematica, del d.lgs. n. 182/2003: ed invero quest’ultimo non prevede
in alcuna sua parte la categoria delle navi che, sebbene obbligate al
conferimento dei rifiuti, di fatto poi non li conferiscano, tant’è che – come
correttamente rileva la difesa erariale – le ricorrenti non sono in grado di
addurre esempi di una simile categoria. Del resto (come ancora condivisibilmente
eccepito dalla difesa erariale), il comandante della nave che, pur tenuta al
conferimento dei rifiuti, non li conferisca, viola l’obbligo di cui all’art. 7,
comma 1, del d.lgs. n. 182 cit., venendo per detta ragione sanzionato ai sensi
dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo de quo.
Da quanto esposto si ricava, in definitiva, l’infondatezza del gruppo di
doglianze sin qui analizzate, come, del resto, confermato dalla giurisprudenza
che si è occupata della questione (cfr. Cass. civ., Sez. III, 4 febbraio 2004,
n. 2065, la quale ha sottolineato il carattere innovativo della disposizione
contenuta nel comma 1, lett. a) e b), dell’Allegato IV al d.lgs. n. 182/2003, lì
dove, nel prevedere il regime tariffario applicabile ai rifiuti prodotti dalle
navi, impone anche l’onere di una quota fissa, indipendentemente dall’effettivo
utilizzo degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti).
Venendo, ora, all’esame delle censure concernenti la determinazione degli
importi della quota fissa della tariffa da parte del Regolamento, va premesso
che siffatti importi sono elencati nel tariffario ad esso allegato: tariffario,
dal quale si ricava che gli importi previsti per il caso della consegna dei
rifiuti (differenziati a seconda del tipo di nave e del t.s.l.), sono ridotti
del 10% per le navi in deroga totale o in esenzione, in applicazione – come già
visto – di quanto prescrive il quarto punto dell’art. 15 del Regolamento.
Sul punto, le società ricorrenti lamentano, anzitutto, che l’Allegato IV del
d.lgs. n. 182/2003, nello stabilire che la quota fissa della tariffa,
indipendente dall’effettivo utilizzo degli impianti portuali di raccolta, copra
almeno il 35% dei costi “di cui all’art. 8, comma 1”, e che la restante quota
venga commisurata a quantità e tipo dei rifiuti prodotti e conferiti, nulla dica
sulla percentuale che rende congruo il rapporto. La norma, inoltre, non limita
la quota fissa alla sola parte dei costi relativi agli investimenti necessari
per la realizzazione degli impianti: al contrario, attraverso il rinvio all’art.
8, comma 1, mostra che la quota fissa della tariffa è commisurata sia ai costi
di realizzazione, sia agli altri costi (tra cui, in specie, quelli per il
trattamento e lo smaltimento dei rifiuti). Ad avviso delle società, ciò comporta
conseguenze abnormi e distorsive:
- perché le navi devono sostenere costi anche dello smaltimento di rifiuti che
non hanno conferito;
- perché viene distorta la concorrenza fra impianti, essendo fortemente
attenuata la convenienza a non conferire dove i costi sono maggiori;
- perché si incentiva la cattiva gestione economica degli impianti, potendone il
gestore scaricare i costi, attraverso la quota fissa, sulle navi, senza che
queste possano sottrarvisi evitando di conferire i rifiuti.
In secondo luogo, le società ricorrenti contestano che, nel concreto, il sistema
di tariffe fisse dettato dal Regolamento impugnato sarebbe manifestamente
incongruo ed iniquo, sia negli importi previsti per l’ipotesi di consegna dei
rifiuti, sia in quelli stabiliti per le navi in deroga o in esenzione. A tale
conclusione arrivano sulla base delle seguenti motivazioni:
1) perché si tratterebbe degli importi più elevati applicati nei porti italiani,
inclusi quelli a caratura internazionale;
2) perché, considerato il numero di approdi annuo nel porto, detti importi
arriverebbero a garantire la copertura non del 35%, ma addirittura dell’84% dei
costi degli impianti, ponendo a carico anche delle navi non utilizzatrici
(esentate o in deroga) una parte in quota percentuale quasi assoluta dei costi
sopportati (e non un mero contributo, come voluto dalla direttiva comunitaria).
Ad avviso del Collegio, le doglianze ora esposte si appalesano, prima ancora che
infondate, almeno parzialmente inammissibili.
Invero, per una prima parte le doglianze si indirizzano direttamente avverso
l’Allegato IV, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 182/2003, ma non sfociano in
alcuna specifica censura di incostituzionalità, né tantomeno in alcuna censura
di violazione del diritto comunitario (a parte un generico richiamo alla
distorsione della concorrenza). La mancata esplicita indicazione dei vizi
dedotti e delle norme (nel caso di specie, le norme costituzionali) che si
assumono violate, costituisce, per giurisprudenza costante, causa di
inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi (T.A.R. Campania, Salerno,
Sez. II, 6 maggio 2008, n. 1344). Si è osservato, infatti, che nel giudizio
amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il
profilo sotto il quale il vizio viene dedotto ed indicare tutte quelle
circostanze da cui si possa desumere che il vizio denunciato effettivamente
sussiste, pena l’inammissibilità, per genericità, della censura proposta (T.A.R.
Lazio, Roma, Sez. II, 19 marzo 2007, n. 2388).
Va detto, al riguardo, che anche a voler ipotizzare – sulla base di un peraltro
discutibile intervento officioso di integrazione e specificazione – che il
profilo di incostituzionalità lamentato sia quello dell’irragionevolezza della
normativa de qua (in violazione dell’art. 3 Cost.), si tratterebbe in ogni caso
di doglianza infondata. Il Legislatore nazionale, infatti:
a) ha individuato solo la soglia minima della quota fissa della tariffa e non
anche quella massima, lasciando alla valutazione discrezionale
dell’Amministrazione la determinazione della percentuale che rende congruo il
rapporto tra quota fissa della tariffa e costi complessivi, con una scelta che,
in specie per le Autorità Portuali, si rivela coerente con i margini di
autonomia (su cui T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 12 giugno 2008, n. 797; id.,
7 marzo 2007, n. 739) e con i poteri a queste attribuiti dall’ordinamento;
b) non ha provocato distorsioni della concorrenza, la quale, anzi, viene
incentivata dalla previsione solo di una soglia minima, potendo la concorrenza
stessa dispiegarsi in misura soddisfacente tramite l’ampia possibilità, per i
porti, di diversificare l’entità della quota fissa della tariffa al di sopra
della soglia minima;
c) in perfetta coerenza con la normativa comunitaria (cfr. art. 8, comma 1,
lett. a), della direttiva n. 2000/59/CE), ha stabilito che la quota fissa della
tariffa sia rapportata a tutti i costi degli impianti portuali di raccolta dei
rifiuti, e, pertanto, non solo ai costi di investimento (come infondatamente
pretendono le ricorrenti), ma anche a quelli di trattamento e smaltimento dei
rifiuti.
Sotto quest’ultimo profilo, vi è un evidente incentivo affinché le navi
conferiscano effettivamente i rifiuti, implicito nel rischio di pagare,
altrimenti, anche una quota parte dello smaltimento di rifiuti altrui, ma non si
può dire che ciò concretizzi l’illegittimità di cui si lamentano le società,
giacché il tutto è finalizzato – come già visto – all’obiettivo di
disincentivare lo scarico in mare, nell’interesse della tutela ambientale.
Quanto, infine, all’eccessiva onerosità del sistema tariffario stabilito dal
provvedimento gravato, va in primo luogo osservato che, secondo la
giurisprudenza, nell’esercizio dei poteri di determinazione della tariffa, la
P.A. gode di un’ampia discrezionalità, rispetto alla quale il sindacato
giurisdizionale è limitato ai soli casi di manifesta illogicità o
irragionevolezza (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 6 aprile 2005, n. 1371) o
iniquità (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 30 maggio 1988, n. 185).
Tanto premesso, ad avviso del Collegio le censure delle ricorrenti sono
inammissibili e, comunque, infondate.
Ciò, innanzitutto perché esse investono tutto il sistema tariffario dettato dal
Regolamento e pertanto anche la fattispecie della quota fissa di tariffa pagata
dalle navi che conferiscono i rifiuti (cfr., nella tabella, la quota fissa
prevista per la consegna dei rifiuti). Ma per queste navi, che pagano la tariffa
integrale, comprensiva anche della quota rapportata ai rifiuti conferiti, manca
qualunque interesse a dolersi dell’eccessivo peso percentuale che, sul totale
della tariffa dovuta, ha la quota fissa, essendo casomai da contestare l’importo
eccessivo, in assoluto, della tariffa. Donde l’inammissibilità, sotto questo
profilo, delle censure.
Quanto, invece, alle navi esentate o ammesse a derogare all’obbligo di
conferimento, in disparte la genericità della doglianza insita nel dire che la
tariffa è troppo “cara”, nel ricorso originario (dove è contenuto il
ragionamento sull’eccessiva onerosità) manca, ovviamente, qualunque riferimento
alla riduzione tariffaria prevista per le navi in parola dal nuovo Regolamento
(abrogativo dell’ordinanza impugnata con il ricorso originario e gravato con i
motivi aggiunti). Nel riprodurre la doglianza in sede di motivi aggiunti, le
società ricorrenti hanno svalutato la portata della riduzione, giudicandola
insignificante: il Collegio reputa, però, che un simile giudizio sia totalmente
erroneo, perché, a tacer d’altro, la riduzione de qua (pari al 10%) toglie
valore alle argomentazioni sull’eccessivo peso della quota fissa della tariffa
formulate dalle suindicate società. Almeno per le navi esentate o in deroga,
infatti, non si potrà più in alcun modo sostenere che la quota fissa copra circa
l’80% dei costi totali. Ciò, senza trascurare che, comunque, in valori assoluti,
quali si leggono nella tabella degli importi allegata al Regolamento, una
riduzione del 10% appare piuttosto significativa e tale da costituire un equo
contemperamento tra l’interesse a non gravare eccessivamente le navi in discorso
(come vuole la stessa direttiva) e l’interesse, anche per queste navi, ad
evitare che scarichino in mare, nuocendo all’ambiente marino. Di qui
l’infondatezza, per tal verso, delle censure.
In definitiva, mentre il ricorso originario è tardivo e, quindi, irricevibile,
quello per motivi aggiunti è in parte inammissibile e nella restante parte
infondato, nei termini che si sono illustrati.
Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare le spese, attesa la
complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Toscana, Seconda Sezione, così definitivamente pronunciando sul
ricorso e sui motivi aggiunti indicati in epigrafe, dichiara irricevibile il
ricorso originario, dichiarando in parte inammissibile e per la restante parte
respingendo quello per motivi aggiunti.
Compensa le spese.
Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del 18 giugno 2009, con
l’intervento dei Magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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