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TAR TOSCANA, Sez. II - 6 novembre 2009, n. 1586

 

RIFIUTI - Rifiuti prodotti dalle navi - Direttiva n. 2000/59/CE - D.lgs. n. 182/2003 - Costi di raccolta e gestione degli impianti di portuali di raccolta - Sistema tariffario - Obbligo di pagamento di una quota a carico di tutte le navi, a prescindere dal conferimento - Ratio della scelta legislativa - Disincentivazione degli scarichi in mare - Interpretazione conforme della normativa nazionale. La normativa comunitaria (più specificamente, l’art. 9 della direttiva n. 2000/59/CE, di cui il d.lgs. n. 182/2003 costituisce attuazione) detta un sistema tariffario, per i rifiuti prodotti dalle navi, articolato su due livelli: un primo livello, tramite cui i costi degli impianti portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti vengono posti a carico, in misura significativa, di tutte le navi che approdano nei porti dello Stato membro, a prescindere dall’effettivo uso degli impianti (art. 9, comma 2, lett. a), della direttiva); un secondo livello, con il quale la parte dei costi non coperta dal primo livello è coperta “in base ai quantitativi e ai tipi di rifiuti prodotti dalla navi effettivamente conferiti dalle navi”. La ratio di una simile scelta si coglie nel “considerando” n. 14 della direttiva de qua, dove - ferma rimanendo la messa a carico delle navi del costo degli impianti portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, in base al principio “chi inquina, paga” - al regime tariffario è affidato l’obiettivo di incentivare il conferimento dei rifiuti nei porti, invece dello scarico in mare: obiettivo che è possibile conseguire “prevedendo che tutte le navi contribuiscano ai costi di raccolta e di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi al fine di ridurre gli incentivi economici agli scarichi in mare”. Che ciò si traduca in un obbligo di pagamento almeno di una quota parte della tariffa a carico di tutte le navi, a prescindere dal conferimento, si deduce dall’ulteriore passaggio in cui il “considerando” in discorso rinvia agli Stati membri la facoltà di stabilire “se e in quale proporzione i contributi applicabili ai quantitativi di rifiuti effettivamente conferiti dalle navi debbano essere inclusi nei sistemi di recupero dei costi per l’uso degli impianti portuali di raccolta”: il che indica la scelta del Legislatore comunitario di attribuire all’effettivo conferimento dei rifiuti un ruolo al più concorrente, e non già esclusivo, nella determinazione della tariffa. In altri termini, la scelta del Legislatore comunitario di porre a carico delle navi il pagamento della quota fissa della tariffa anche ove non conferiscano i rifiuti ha un obiettivo preciso, che è quello di disincentivare sul piano economico gli scarichi in mare, nell’interesse della tutela ambientale: una finalità simile sarebbe, invece, frustrata se l’intera tariffa, e pertanto anche la quota fissa, dovesse essere pagata solamente dalle navi che conferiscono i rifiuti: basterebbe infatti evitare il conferimento per non dover pagare alcuna somma. Ciò non toglie che per talune navi occorra prevedere un regime differenziato e meno gravoso e di tale necessità si mostra ben consapevole il Legislatore comunitario, lì dove, al “considerando” n. 16 della direttiva, riconosce la possibilità, per le navi che svolgono servizio regolare con approdi frequenti e regolari, di esenzione “da taluni obblighi” della medesima (tra cui l’art. 9 della direttiva indica anche quello dell’art. 8, cioè quello del pagamento della tariffa), al fine di evitare un onere eccessivo per le parti interessate e sempreché sia dimostrato che esistono disposizioni atte a garantire il conferimento dei rifiuti ed il pagamento dei relativi contributi. In forza del criterio di interpretazione conforme, la normativa nazionale - in particolare, quella di cui al d.lgs. n. 182/2003 - va interpretata alla luce dei richiamati principi. Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis - M. s.p.a. e altri (avv. Morini) c. Ministero dei Trasporti, Capitaneria di Porto di Livorno ed Autorità Portuale di Livorno (Avv. Stato) - TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1586

RIFIUTI - D.lgs. n. 182/2003 - Rifiuti prodotti dalle navi - Tariffa - Individuazione della sola soglia minima - Soglia massima - Valutazione discrezionale dell’Amministrazione - Distorsioni della concorrenza - Esclusione - Disincentivazione dello scarico in mare - Dir. 2000/59/CE. L’Allegato IV, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 182/2003 ha individuato solo la soglia minima della quota fissa della tariffa e non anche quella massima, lasciando alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione la determinazione della percentuale che rende congruo il rapporto tra quota fissa della tariffa e costi complessivi, con una scelta che, in specie per le Autorità Portuali, si rivela coerente con i margini di autonomia (su cui T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 12 giugno 2008, n. 797; id., 7 marzo 2007, n. 739) e con i poteri a queste attribuiti dall’ordinamento; non ha provocato distorsioni della concorrenza, la quale, anzi, viene incentivata dalla previsione solo di una soglia minima, potendo la concorrenza stessa dispiegarsi in misura soddisfacente tramite l’ampia possibilità, per i porti, di diversificare l’entità della quota fissa della tariffa al di sopra della soglia minima; e, in perfetta coerenza con la normativa comunitaria (cfr. art. 8, comma 1, lett. a), della direttiva n. 2000/59/CE), ha stabilito che la quota fissa della tariffa sia rapportata a tutti i costi degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti, e, pertanto, non solo ai costi di investimento, ma anche a quelli di trattamento e smaltimento dei rifiuti. Sotto quest’ultimo profilo, vi è un evidente incentivo affinché le navi conferiscano effettivamente i rifiuti, implicito nel rischio di pagare, altrimenti, anche una quota parte dello smaltimento di rifiuti altrui, ma non si può dire che ciò concretizzi un’illegittimità, giacché il tutto è finalizzato all’obiettivo di disincentivare lo scarico in mare, nell’interesse della tutela ambientale. Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis - M. s.p.a. e altri (avv. Morini) c. Ministero dei Trasporti, Capitaneria di Porto di Livorno ed Autorità Portuale di Livorno (Avv. Stato) - TAR TOSCANA, Sez .II - 6 novembre 2009, n. 1586


 

 

 

N. 01586/2009 REG.SEN.
N. 00467/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA


sul ricorso con motivi aggiunti numero di registro generale 467 del 2007, proposto da
Memo 2000 S.p.A. e Prosper S.r.l., in persona del loro legale rappresentante pro tempore, sig.ra Maria Grazia Salvatici, Renzo Conti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Renzo Conti, Naviport S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Riccardo Lunardi, F.lli Bartoli S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Paolo Bartoli, Saimare Livorno S.r.l., Giorgio Gragnani S.r.l. e M.Bournique S.r.l., in persona del loro legale rappresentante pro tempore, sig. Luca Gragnani, Austral S.r.l. ed Antonio Conti Ag. M.Ma, in persona del loro legale rappresentante pro tempore, sig. Antonio Conti, C.S.A. S.p.A. e Portital S.r.l., in persona del loro legale rappresentante pro tempore, sig. Fabio Selmi, Osvaldo Bonsignori S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Paolo Bonsignori, Rag. Benedetti Giuseppe Ag. M.Ma, in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Giuseppe Benedetti, G & L S.r.l. As Agent, in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Valter Bona, Argosy S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Nicola Chiesa, Hugo Trumpy S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Natale Cinquegrani, Atlas S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Roberto Sambaldi, Mediterranean Sea Agency S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Giampiero Fancellu, Sauro Spadoni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Giampaolo Spadoni, Banchero Costa & C. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Alessandro Cionini, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Andrea Morini e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Guido Fanfani, in Firenze, via Puccinotti n. 45


contro


Ministero dei Trasporti, Capitaneria di Porto di Livorno ed Autorità Portuale di Livorno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Firenze, via degli Arazzieri n. 4

nei confronti di

Labromare S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, comm. Amerigo Cafferata, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luciano Canepa, Roberto Righi, Matteo Pollastrini, Marina Lupo e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, in Firenze, via B. Lupi n. 14

1) quanto al ricorso originario:

per l’annullamento

- in parte qua, dell’ordinanza del Comandante del Porto di Livorno n. 1 del 2 gennaio 2007, recante elementi di valutazione e linee guida circa il conferimento di rifiuti da parte delle navi che scalano il Porto di Livorno;

- in parte qua, dell’ordinanza del Commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Livorno n. 21/Comm. dell’8 agosto 2006 contenente il Regolamento per il servizio di raccolta, trasporto ed avviamento al recupero od allo smaltimento dei rifiuti e dei residui del carico prodotto dalle navi che fanno scalo nel porto di Livorno, con il relativo tariffario;

- di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o connesso

2) quanto ai motivi aggiunti depositati in data 25 luglio 2007:

per l’annullamento

in parte qua, dell’ordinanza del Presidente dell’Autorità Portuale di Livorno n. 11 del 30 maggio 2007, recante il nuovo Regolamento per il servizio di raccolta, trasporto ed avviamento al recupero od allo smaltimento dei rifiuti e dei residui del carico prodotto dalle navi che fanno scalo nel porto di Livorno, con il relativo tariffario.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Trasporti, della Capitaneria di Porto di Livorno, dell’Autorità Portuale di Livorno e della Labromare S.r.l;
Visti i motivi aggiunti depositati il 25 luglio 2007;
Visti le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle rispettive tesi e difese;
Visti tutti gli atti della causa;
 

Nominato relatore, nell’udienza pubblica del 18 giugno 2009, il dott. Pietro De Berardinis;
 

Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO


Le ricorrenti espongono di essere società svolgenti attività di agente/raccomandatario marittimo per le principali compagnie di navigazione che fanno scalo nel porto di Livorno.

Le esponenti venivano a conoscenza dell’adozione, da parte del Comandante del Porto di Livorno e Capo del Circondario Marittimo, dell’ordinanza n. 1/2007 – in vigore dal 15 gennaio 2007 – recante elementi di valutazione e linee guida circa il conferimento dei rifiuti da parte delle navi che fanno scalo nel porto di Livorno. Questa consente di attuare l’ordinanza del Commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Livorno n. 21 dell’8 agosto 2006, contenente il Regolamento relativo all’organizzazione della raccolta e gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico nel porto di Livorno.

Facendo riferimento alla disciplina di cui all’ordinanza n. 1/2007 cit., una delle ricorrenti (la Memo 2000 S.p.A.) presentava dichiarazione ai fini del riconoscimento delle navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari, per giovarsi della possibilità, prevista dall’art. 3.3 dell’ordinanza de qua, di effettuare in forma cumulativa la notifica delle informazioni circa i rifiuti prodotti ed i residui del carico. Altre chiedevano invece, per singoli approdi, l’autorizzazione al conferimento di rifiuti nel porto di scalo successivo, prevista dall’art. 4.2 dell’ordinanza.

La Capitaneria di Porto di Livorno accordava con provvedimenti formali le deroghe ed esenzioni al conferimento richieste. Tuttavia, la concessionaria del servizio di raccolta rifiuti, Labromare S.r.l., richiedeva alle compagnie di navigazione rappresentate, in taluni casi, direttamente alle agenzie in altri, per le stesse navi per cui erano state rilasciate le esenzioni/deroghe, il pagamento delle tariffe fisse del servizio. Ciò, in quanto ai sensi dell’art. 4 dell’ordinanza n. 1/2007, nonché dell’art. 14 del Regolamento per la raccolta dei rifiuti, insta in ogni caso a carico delle navi esentate e/o in regime di deroga, dunque non conferenti, l’obbligo del pagamento di una tariffa fissa.

Dolendosi di siffatta disciplina ed in particolare del descritto obbligo di pagamento, considerato del tutto illegittimo e contrastante con il d.lgs. n. 182/2003, le esponenti con il ricorso in epigrafe hanno impugnato le surriferite ordinanze nn. 1 del 2 gennaio 2007 e 21 dell’8 agosto 2006, chiedendone l’annullamento in parte qua.

A supporto del gravame, hanno dedotto, con un unico motivo, le seguenti censure:

- violazione del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, del d.lgs. n. 182/2003 e dell’Allegato IV (contenente criteri per la determinazione della tariffa di cui agli artt. 8 e 10), nonché del combinato disposto degli artt. 9 e 8, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 182/2003, eccesso di potere per illogicità manifesta e difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, in quanto, in base al d.lgs. n. 182/2003 l’obbligo di pagamento delle tariffe fisse portuali può gravare soltanto sulle navi che conferiscono i rifiuti, non anche su quelle esentate o ammesse a deroga dal conferimento, né a quelle in servizio di linea con scali frequenti e regolari (non assoggettate all’obbligo di conferire i rifiuti);

- incostituzionalità della disciplina contestata, sotto il profilo sia della sua irragionevolezza, sia della manifesta disparità di trattamento, non essendo ancorata la quota fissa della tariffa né in tutto, né in parte, alle spese di investimento per la realizzazione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti;

- manifesta incongruità ed iniquità dell’importo della tariffa fissa, che coprirebbe da solo gran parte dei costi degli impianti (sia di quelli di investimento, che di quelli di trattamento e smaltimento) e sarebbe, perciò, eccessivamente oneroso.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dei Trasporti, la Capitaneria di Porto e l’Autorità Portuale di Livorno, depositando documentazione sui fatti di causa.

Si è costituita in giudizio, altresì, la controinteressata Labromare S.r.l..

Successivamente alla proposizione del ricorso, l’Autorità Portuale di Livorno adottava l’ordinanza n. 11 del 30 maggio 2007, con cui provvedeva ad abrogare l’ordinanza n. 21/2006 ed a disciplinare ex novo la materia della raccolta e gestione dei rifiuti, nonché dei residui del carico delle navi che fanno scalo nel porto di Livorno. Anche tale ordinanza, nella parte in cui mantiene la previsione di una quota di tariffa fissa, dovuta anche dalle navi che non usufruiscono del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, è stata impugnata dalle ricorrenti, con motivi aggiunti depositati in data 25 luglio 2007.

A supporto dei motivi aggiunti le ricorrenti, oltre a riproporre le stesse censure già formulate con il gravame originario, hanno dedotto le doglianze:

- di incongruenza del provvedimento impugnato (relativamente alle navi esentate o in deroga totale dall’obbligo di conferimento dei rifiuti);

- di contrasto con l’art. 7, comma 1 e 2, del d.lgs. n. 182/2003 (relativamente alle navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari).

In prossimità dell’udienza di merito hanno depositato memoria difensiva la difesa erariale, nonché (tardivamente) la difesa della controinteressata.

All’udienza del 18 giugno 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO
 

Con il ricorso originario si impugnano gli atti (ordinanza del Comandante del Porto di Livorno n. 1/2007 ed ordinanza del Commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Livorno n. 21 dell’8 agosto 2006) attraverso i quali è stato disciplinato il conferimento dei rifiuti da parte delle navi che fanno scalo nel porto di Livorno. Con motivi aggiunti depositati il 25 luglio 2007 si impugna, poi, l’ordinanza del Presidente dell’Autorità Portuale di Livorno n. 11 del 30 maggio 2007, mediante la quale, in sostituzione dell’ordinanza commissariale n. 21/2006 (contestualmente abrogata), è stata dettata la nuova disciplina del servizio di raccolta, trasporto ed avviamento al recupero/smaltimento dei rifiuti e residui del carico prodotti dalle navi facenti scalo nel porto di Livorno.

Iniziando l’esame dal ricorso originario, il Collegio deve anzitutto scrutinare le molteplici eccezioni processuali sollevate dalla difesa erariale ed aventi ad oggetto la tardività e quindi irricevibilità del suddetto gravame, nonché l’inammissibilità per carenza di interesse ad agire per nove ricorrenti. A queste, si deve aggiungere anche l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse per l’intervenuta abrogazione dell’ordinanza commissariale n. 21/2006: eccezione rilevabile d’ufficio ma che, in ogni caso, si desume dalla ricostruzione dei fatti svolta dalla difesa erariale, lì dove questa sostiene che l’ordinanza n. 1/2007 è atto meramente confermativo ed esecutivo della summenzionata ordinanza commissariale. Pertanto, venuta meno questa, cadrebbe anche l’atto consequenziale ed esecutivo (di per sé comunque non lesivo degli interessi delle ricorrenti), con il corollario dell’improcedibilità del ricorso originario.

In proposito, il Collegio, pur consapevole dell’esistenza di contrasti in giurisprudenza e dottrina con riferimento all’ordine logico da seguire nell’esame delle questioni processuali (a parte la priorità da accordare all’esame della questione di giurisdizione: C.d.S., Sez. V, 28 aprile 1999, n. 497), ritiene di dover aderire all’indirizzo che accorda la precedenza all’esame della questione di ricevibilità del ricorso. Va condiviso, infatti, l’orientamento giurisprudenziale, per cui il profilo della tempestività del gravame attiene regolarità della costituzione del rapporto processuale e, perciò, la sua disamina deve logicamente precedere ogni altra questione, processuale e di merito (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 18 settembre 2002, n. 4007; C.d.S., Sez. V, 4 dicembre 1987, n. 766).

Tanto premesso, il Collegio ritiene fondata l’eccezione di irricevibilità del ricorso originario, perché tardivamente notificato.

Ed invero il predetto ricorso ha ad oggetto atti di portata generale ed astratta, a contenuto normativo (per almeno uno dei quali, l’ordinanza commissariale n. 21/2006, la natura di atto regolamentare è esplicitamente affermata dall’atto stesso): si tratta, dunque, di atti per i quali, ove idonei ad incidere direttamente nella sfera degli interessati e quindi immediatamente impugnabili, il relativo termine di impugnazione decorre dal verificarsi della loro conoscenza legale, che avviene in base alle normali forme di pubblicità (cfr. C.d.S., Sez. IV, 17 aprile 2002, n. 2032).

Nella vicenda in esame, perciò, la decorrenza del termine di impugnativa deve farsi decorrere dalla pubblicazione degli atti impugnati. Orbene, vero è che la difesa erariale (onerata della relativa prova in base all’art. 2697 c.c.) non ha fornito la rigorosa dimostrazione di tale pubblicazione, limitandosi a prendere a riferimento la data di adozione dell’ordinanza n. 1/2007 – riferimento che, però, non si può in alcun modo condividere – o la data della sua entrata in vigore (15 gennaio 2007). Rispetto a quest’ultima, tuttavia, il ricorso sarebbe tempestivo, essendo stato notificato il 16 marzo 2007 e non essendo il 2007 anno bisestile. Nondimeno, assumendo a riferimento l’ordinanza commissariale n. 21/2006 – e sebbene manchi anche per questa la dimostrazione rigorosa della sua pubblicazione – il gravame appare molto verosimilmente tardivo, essendo la suddetta ordinanza commissariale entrata in vigore il 1° settembre 2006, in epoca ben anteriore alla proposizione del gravame stesso. Questo risulta un dato decisivo sia qualora si reputi – come fa la difesa erariale – che solo il provvedimento commissariale sia atto lesivo (mentre l’ordinanza n. 1/2007 sarebbe un mero atto confermativo ed esecutivo, sfornito di autonoma capacità lesiva), sia ad opinare diversamente. In ogni caso, infatti – e, dunque, anche assumendo che l’ordinanza n. 1/2007 sia atto dotato di autonoma lesività – rimane fermo che l’ordinanza commissariale si pone, rispetto ad essa, quale atto presupposto direttamente lesivo, da impugnare immediatamente: la sua tardiva impugnazione si ripercuote, quindi, sull’intero ricorso originario e ciò tanto più che rispetto all’atto consequenziale ed applicativo (l’ordinanza n. 1/2007) non si deduce nessun vizio autonomo, ma solamente vizi derivati dall’atto presupposto. Le doglianze delle ricorrenti si appuntano, infatti, contro l’obbligo (addossato dall’Autorità Portuale a carico di tutte le navi che attraccano nel porto di Livorno, a prescindere dal fatto che conferiscano o no i rifiuti) di pagare una quota fissa della tariffa prevista per il servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, ossia contro un obbligo stabilito direttamente dall’art. 15 del Regolamento allegato alla suindicata ordinanza commissariale n. 21/2006. Donde la fondatezza dell’eccezione di tardività e dunque di irricevibilità del gravame originario, essendo del tutto inverosimile che l’entrata in vigore della nuova disciplina – prevista per il 1° settembre 2006, pertanto diversi mesi prima del verificarsi dei fatti di cui si dolgono le ricorrenti – non fosse stata accompagnata da alcuna forma di pubblicità della disciplina stessa. Altrettanto inverosimile è poi ritenere che le ricorrenti, tutte quante per loro stessa ammissione operanti nel porto di Livorno, non avessero avuto alcuna conoscenza della nuova regolamentazione, ormai introdotta – come detto – da svariati mesi.

Ad ogni buon conto, oltre che irricevibile, il ricorso originario risulta altresì improcedibile, attesa la ricordata abrogazione dell’ordinanza commissariale n. 21/2006 ad opera della successiva ordinanza n. 11 del 30 maggio 2007. Come si è già visto, infatti, le censure si indirizzano avverso l’obbligo di pagamento della quota di tariffa, quindi avverso l’art. 15 del Regolamento allegato al menzionato provvedimento commissariale, mentre l’impugnazione dell’ordinanza n. 1/2007 risulta ultronea ed in ogni caso è o inammissibile (perché rivolta nei confronti di un atto non lesivo), o improcedibile (per la caducazione dell’ordinanza n. 1/2007, quale atto strettamente consequenziale all’ordinanza commissariale abrogata).

L’inammissibilità e comunque improcedibilità dell’impugnazione dell’ordinanza del Comandante del Porto di Livorno n. 1/2007 rende superfluo l’esame dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva del Ministero dei Trasporti, sollevata dalla difesa erariale sul rilievo che, nel caso di specie,

ci si trova dinanzi ad un’ipotesi di avvalimento della Capitaneria di Porto da parte del Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 3, ultimo periodo, della l. n. 84/1994.

Da ultimo, va esaminata anche l’eccezione di inammissibilità del gravame per carenza di interesse, formulata dalla difesa erariale nei confronti di nove delle ricorrenti (Saimare Livorno S.r.l., Giorgio Gragnani S.r.l., M.Bournique S.r.l., Sauro Spadoni S.r.l., Antonio Conti Ag. M.Ma, Mediterranean Sea Agency S.r.l., G & L S.r.l. As Agent, Atlas S.r.l., Osvaldo Bonsignori S.r.l.), considerato che si tratta di eccezione rilevante anche ai fini dell’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti. Sostiene sul punto la difesa erariale che le suddette ricorrenti non avrebbero avuto sinora navi in approdo nel porto di Livorno e che, perciò, non avrebbero alcun interesse ad agire diretto ed attuale, a tale scopo non bastando la mera affermazione di operare nello stesso settore delle altre ricorrenti.

Ad avviso del Collegio, la questione della sussistenza o meno dell’interesse a ricorrere riguarda, in realtà, tutte le ricorrenti e si ricollega alla possibilità di attribuire agli atti impugnati efficacia lesiva concreta ed attuale. Ed invero, circoscrivendo l’esame al ricorso per motivi aggiunti, questo ha ad oggetto l’impugnazione dell’ordinanza n. 11/2007, contenente il nuovo Regolamento del servizio di raccolta e gestione dei rifiuti: ma per la costante giurisprudenza (cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 17 giugno 2009, n. 4056), i regolamenti possono formare oggetto di autonoma ed immediata impugnazione solo quando sono suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una concreta ed attuale lesione dell’interesse di un determinato soggetto; ove, invece, la lesione derivi dall’atto di applicazione concreta, le disposizioni regolamentari potranno essere impugnate soltanto congiuntamente al provvedimento applicativo, poiché è soltanto questo a rendere attuale e certa la lesione dell’interesse protetto. Nel caso di specie, pertanto, il gravame per motivi aggiunti potrebbe esser considerato inammissibile, poiché rivolto avverso un atto insuscettibile di causare una lesione concreta ed attuale dell’interesse delle ricorrenti, senza l’intervento di atti applicativi (che, peraltro, non risultano neppure impugnati: donde un secondo profilo di inammissibilità).

Il Collegio, tuttavia, non condivide tale impostazione, ritenendo l’art. 15 del Regolamento allegato all’ordinanza n. 11/2007 direttamente lesivo degli interessi delle ricorrenti e quindi immediatamente ed autonomamente impugnabile, senza bisogno di attendere i relativi atti applicativi. L’art. 15 cit., infatti (come del resto già l’art. 15 del Regolamento allegato all’ordinanza n. 21/2006), dispone che le tariffe in vigore nel porto di Livorno sono praticate in misura fissa a tutte le navi che attraccano nel porto stesso. Le doglianze delle ricorrenti si incentrano proprio sul fatto che il pagamento della quota fissa della tariffa venga richiesto a tutte le navi che fanno scalo, in disparte il conferimento o meno dei rifiuti ad opera delle stesse: è chiaro, perciò, che la citata disposizione regolamentare, dal tenore inequivoco, ha una portata sufficientemente precisa e puntuale, tale da determinare già di per sé l’(ingiusta) lesione di cui si lamentano le società. Sotto questo aspetto, non solo non occorreva attendere l’emanazione di atti applicativi (che, peraltro, risulterebbero adottati, nei confronti delle ricorrenti, solamente in relazione all’ordinanza commissariale n. 21/2006 e non anche all’ordinanza n. 11/2007), ma, anzi, l’impugnazione di tali atti sarebbe superflua, venendo essi automaticamente travolti dall’annullamento dell’atto presupposto, cioè dell’ordinanza gravata (cd. effetto caducante, che si verifica nei confronti dell’atto consequenziale quando l’atto annullato costituisca il suo unico presupposto giustificativo ed antecedente procedimentale: cfr. C.d.S., Sez. VI, 22 settembre 2008, n. 4551; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 22 dicembre 2008, n. 21416).

Da quanto appena detto si deduce che non è condivisibile l’impostazione della difesa erariale, per la quale le ricorrenti che non hanno avuto sinora navi in approdo nel porto di Livorno, sarebbero prive di interesse ad agire. Detta impostazione presuppone, infatti, che l’impugnazione delle disposizioni regolamentari gravate fosse possibile solo unitamente agli atti applicativi di esse – cioè le richieste di pagamento da parte della concessionaria del servizio –, con il corollario che, in tutti quei casi nei quali tali richieste di pagamento non vi siano (ancora) state, per non aver le relative navi fatto scalo nel porto di Livorno, mancherebbe l’interesse ad agire. Siccome, però, si è visto che il Regolamento gravato con i motivi aggiunti (in particolare l’art. 15 di esso) è già direttamente lesivo e, come tale, autonomamente ed immediatamente impugnabile, deve concludersi che l’asserzione delle ricorrenti, di essere società con funzioni di agente/raccomandatario marittimo per le principali compagnie di navigazione che fanno scalo nel porto di Livorno (asserzione non confutata dalla difesa erariale) sia sufficiente a fondarne la legittimazione e l’interesse ad agire. Donde l’ammissibilità, per tal via, del ricorso per motivi aggiunti.

Va aggiunto a questo proposito che i motivi aggiunti non sono travolti dall’irricevibilità del ricorso originario (e nemmeno lo sarebbero dalla sua improcedibilità), potendo essi valere come autonomo ricorso, in quanto diretti nella vicenda in esame avverso un provvedimento distinto (T.A.R. Molise, Sez. I, 9 aprile 2009, n. 120; T.A.R. Valle d’Aosta, 11 luglio 2007, n. 89).

Venendo, quindi, all’esame del merito dei motivi aggiunti, con gli stessi le ricorrenti ripropongono le medesime doglianze avverso l’imposizione del pagamento della quota fissa della tariffa avanzate già (avverso atto distinto) con il gravame originario e, in più, lamentano:

a) l’incongruenza dell’art. 15 del nuovo Regolamento per la raccolta, il trasporto e l’avviamento al recupero o smaltimento dei rifiuti (d’ora in poi: Regolamento), giacché, per un verso, esso parrebbe appoggiare la tesi delle ricorrenti, secondo cui in caso di non utilizzazione degli impianti portuali di raccolta e gestione dei rifiuti, non si dovrebbe essere assoggettati ad alcuna tariffa e nemmeno alla quota fissa. Ciò si desumerebbe dalla lettura in combinato disposto del terzo punto dell’art. 15 cit. (lì dove viene previsto che “alle navi che attraccano allo scopo di conferire esclusivamente i residui del carico non verrà addebitata la quota di tariffa fissa, ma solamente quella relativa alle quantità di prodotto consegnato all’impianto”) e del precedente art. 14, comma 2, lett. a) (che impone l’obbligo di conferimento solamente dei rifiuti notificati e quindi lascia intendere che una nave possa o meno conferire i rifiuti). Ne seguirebbe una duplice tipologia di utenza, quella delle navi che utilizzano gli impianti portuali, tenute a pagare la tariffa (sia la quota fissa, sia la quota rapportata alla quantità dei rifiuti), e quella delle navi che non utilizzano gli impianti portuali, cui non potrebbe essere richiesto il pagamento di alcuna tariffa, e neppure della quota fissa. L’incongruenza discenderebbe, tuttavia, dal fatto che l’art. 15, primo punto, cit., ripropone esplicitamente l’obbligo di pagare la quota fissa della tariffa anche per le navi che non usufruiscono del servizio di ritiro dei rifiuti, per esenzione o deroga totale, sia pure (rispetto alla versione anteriore del Regolamento) con una riduzione del 10% della stessa (disposta al quarto punto);

b) il contrasto con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 182/2003 (nonché con l’art. 4.3 dell’ordinanza n. 1/2007), in quanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3.3 dell’ordinanza n. 1/2007 e 14, comma 2, lett. a) del Regolamento, le navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari possono trasmettere la notifica ogni 15 giorni se il conferimento dei rifiuti avviene in altro scalo diverso dal porto di Livorno e rientrante tra quelli della linea riconosciuta, ma nel contempo – dispone l’art. 14, comma 2, lett. a), cit. – tutti i rifiuti notificati devono essere conferiti prima che la nave lasci il porto di Livorno. Detta disciplina vanificherebbe l’esenzione delle navi in parola dall’obbligo di conferire i rifiuti (esenzione disposta dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 182 cit.), poiché dalla previsione della notifica ogni 15 giorni discenderebbe il suddetto obbligo di conferimento e, con questo, l’obbligo di pagamento della tariffa. Sarebbe così violato anche l’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 182 cit., in base al quale la nave, che intenda proseguire verso il successivo porto di scalo e dimostri la possibilità di raggiungerlo senza il rischio di dover scaricare in mare i rifiuti, può derogare, previa autorizzazione dell’Autorità marittima, all’obbligo di conferimento e, quindi, aggiungono le società ricorrenti, non deve essere assoggettata al pagamento di alcuna tariffa.

Il Collegio reputa necessario, per motivi di ordine logico, dare la priorità, nell’esame delle censure, alle ultime due che si sono appena esposte: è, infatti, palese che prima di giudicare della legittimità o meno dell’imposizione dell’obbligo di pagamento della quota fissa della tariffa a tutte le navi che attraccano nel porto di Livorno, anche se non conferiscono i rifiuti, e dell’eccessiva onerosità della predetta quota fissa, occorre verificare se un simile obbligo sussista davvero per tutte le navi, oltre che in base al vecchio art. 15 del Regolamento (ormai abrogato), anche in base al nuovo.

In proposito, il Collegio ritiene che alla questione in esame debba essere data risposta positiva, nel senso, cioè, dell’esistenza dell’obbligo di pagamento sopra indicato per tutte le navi, a prescindere dal conferimento dei rifiuti, anche ai sensi dell’art. 15 del (nuovo) Regolamento.

In argomento, infatti, la formulazione dell’art. 15 cit. è chiarissima e tale da non lasciare dubbi, sia nella parte in cui (al primo punto) afferma che le tariffe vigenti nel porto di Livorno sono praticate in misura fissa a tutte le navi che attraccano nel porto, così come da situazione giornaliera redatta dalla Capitaneria di Porto, sia nella parte in cui (al quarto punto) prevede una riduzione tariffaria del 10%, per tutte le navi che lasciano il porto senza aver usufruito del servizio di ritiro dei rifiuti, per effetto di esenzione o deroga totale: ne deriva, quindi, inequivocabilmente, l’obbligo di pagamento della quota fissa della tariffa anche per le navi che non effettuino il conferimento dei rifiuti. Né in senso contrario depone – come pretendono le ricorrenti – il terzo punto dell’art. 15, il quale si limita a stabilire un’esenzione dalla quota fissa della tariffa per le navi che attraccano allo scopo esclusivo di conferire i residui del carico, restando comunque assoggettate alla quota di tariffa rapportata alle quantità di prodotto consegnato all’impianto: trattasi, all’evidenza, di una previsione eccezionale di esenzione, da cui, perciò, è per definizione impossibile desumere una regola generale di sottrazione all’obbligo di pagamento della quota fissa per le navi che non conferiscano i rifiuti. D’altro lato, la peculiare disciplina stabilita dal terzo punto dell’art. 15 cit. per i residui del carico si riconnette alla circostanza che l’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 182/2003 (in recepimento dell’art. 10 della direttiva n. 2000/59/CE) prevede per siffatti residui un regime tariffario particolare, addossando la tariffa alle sole navi che utilizzano gli impianti ed i servizi di raccolta.

Nemmeno si può ravvisare alcun contrasto con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 182/2003, il quale si limita a dettare norme in materia di modalità del conferimento dei rifiuti da parte della nave, ma nulla prescrive circa il regime tariffario applicabile ai rifiuti (oggetto, invece, del successivo art. 8). In particolare, per quanto riguarda le due ipotesi previste, rispettivamente, dall’art. 7 cit., comma 1 (esenzione dall’obbligo di conferimento dei rifiuti per le navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari) e comma 2 (deroga a siffatto obbligo accordata alla nave che intenda proseguire verso il successivo porto di scalo e dimostri l’effettiva possibilità di raggiungerlo senza il rischio di dovere scaricare in mare i rifiuti), le doglianze delle società ricorrenti, appaiono, oltre che infondate, anche di più che dubbia ammissibilità. Ed invero, è erronea la premessa da cui muovono le ricorrenti, per le quali l’obbligo di pagare la tariffa, anche nella quota fissa, sussisterebbe solo a carico delle navi che conferiscono: con il ché – si aggiunge – imporre indirettamente (tramite l’obbligo di notifica) l’obbligo di conferimento, in violazione dei succitati commi 1 e 2 dell’art. 7, avrebbe il significato di un’imposizione surrettizia del pagamento della tariffa anche in casi per i quali essa non sarebbe dovuta. Ma come si è visto, l’obbligo di pagare la quota fissa sussiste, ex art. 15 del Regolamento, anche a prescindere dal conferimento dei rifiuti. Pertanto, è del tutto inutile dolersi dell’obbligo di notifica, perché – comporti esso o meno l’obbligo di conferimento e, quindi, violi o meno il regime di esenzioni e deroghe ex art. 7 cit. – in ogni caso non è da esso che discende l’obbligo di pagare la quota fissa della tariffa: obbligo legato, invece, al semplice approdo. Se ne desume la non lesività, per gli interessi patrimoniali fatti valere dalle ricorrenti, delle prescrizioni riguardanti la notifica (ed in specie, dell’art. 14, comma 2, lett. a), del Regolamento), e la conseguente inammissibilità delle censure: censure che comunque – va ribadito – sono altresì infondate, poiché, non contenendo l’art. 7 del d.lgs. n. 182/2003 alcuna disciplina in materia tariffaria, non si vede come la previsione di un obbligo di pagamento della quota fissa non legato al conferimento dei rifiuti possa contrastare con tale disposizione. In altri termini, come già rilevato, l’art. 15 del Regolamento non viola l’art. 7 del decreto legislativo.

Accertata, quindi, l’esistenza, ai sensi dell’art. 15 del Regolamento, dell’obbligo di pagamento della quota fissa della tariffa a carico di tutte le navi che fanno scalo nel porto di Livorno, anche di quelle che non conferiscono rifiuti, si tratta adesso di sindacare la legittimità o meno della previsione di un simile obbligo, alla stregua delle doglianze dedotte nel gravame.

Al riguardo, le ricorrenti sostengono che il predetto obbligo contrasterebbe in toto con la ratio e con il contenuto del d.lgs. n. 182/2003 – e sarebbe perciò illegittimo – desumendo detta illegittimità dai seguenti elementi:

- l’allegato IV al d.lgs. n. 182 cit. (recante i criteri per la determinazione della tariffa del servizio rifiuti) avrebbe suddiviso l’utenza in due tipologie, quella della navi che utilizzano gli impianti di recupero e/o smaltimento dei rifiuti e quella delle navi che non li utilizzano, con il corollario che la quota fissa della tariffa dovrebbe gravare solo sulle navi che conferiscono i rifiuti e non sulle navi che non li conferiscono;

- nello stesso senso deporrebbe anche l’art. 3 del d.lgs. n. 182/2003, che esclude dal proprio ambito di applicazione le navi militari da guerra ed ausiliarie e le altre navi possedute o gestite dallo Stato, se impiegate solo per servizi statali a fini non commerciali;

- tenore identico alla clausola escludente di cui all’ora visto art. 3 avrebbe l’esenzione dall’obbligo di conferimento dei rifiuti dettata dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 182 cit. per le navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari; l’esenzione, consentendo il conferimento in altro porto tra quelli compresi nella linea, a scelta del Comandante, avrebbe il fine di evitare esose duplicazioni, favorire la concorrenza e stimolare l’efficienza gestionale (e, quindi, comporterebbe l’esenzione, altresì, dal pagamento di qualsiasi tariffa, anche per la sola quota fissa);

- la conferma di ciò si leggerebbe nell’art. 6, comma 4, del decreto legislativo, ai sensi del quale le navi in servizio di linea, con scali frequenti e regolari, possono effettuare la notifica contenente le informazioni sui rifiuti in forma cumulativa all’Autorità marittima del porto di scalo presso il quale conferiscono i rifiuti prodotti dalla nave ed i residui del carico, con ciò riconoscendosi ancora più esplicitamente la possibilità di queste navi di conferire i rifiuti in uno solo dei porti di approdo, a loro scelta;

- a riprova del principio per cui la quota fissa della tariffa dovrebbe gravare solo su chi conferisce i rifiuti e non anche su chi non li conferisce, militerebbe pure la possibilità di deroga all’obbligo di conferimento prevista dal già ricordato art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 182/2003: disposizione da cui sarebbe desumibile la preclusione di lasciare il porto senza conferire i rifiuti per le navi autorizzate a conferirli altrove e che, però, non abbiano più disponibilità sufficiente per stoccarli;

- al principio de quo si ispirerebbe anche l’art. 8, comma 3, del decreto legislativo, il quale, sempre per le navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari, demanda alle Autorità competenti (non di un singolo porto) la fissazione di specifici criteri per determinare la tariffa, presupponendo che il pagamento di questa avvenga a favore di un solo porto.

A sostegno della tesi che vuole il pagamento della quota fissa della tariffa anche da parte delle navi che non conferiscono i rifiuti non potrebbero – secondo le ricorrenti – addursi né l’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 182/2003, né il comma 1, lett. a), dell’Allegato IV al predetto decreto legislativo:

- non l’art. 8, comma 1, perché se è vero che in base a detto articolo gli oneri dell’impianto portuale di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi sono coperti da tariffa a carico delle navi che approdano nel porto, ciò non può intendersi nel senso che siano tenute al pagamento tutte le navi, indistintamente. Ad opinare diversamente, infatti, si addosserebbero a tutte le navi, tra gli altri, gli oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti (oneri, invece, non contemplati da altre disposizioni per le navi escluse e/o esentate). Sicché – rilevano le ricorrenti – si arriverebbe all’assurda conclusione che le uniche navi escluse sarebbero le navi che entrano in porto senza approdarvi;

- non il comma 1, lett. a), dell’Allegato IV, giacché la previsione, ivi contenuta, di una quota fissa della tariffa, indipendente dall’effettivo utilizzo degli impianti portuali di raccolta, non può essere intesa nel senso di considerarne dovuto il pagamento pure da parte delle navi che non utilizzino gli impianti: infatti, il medesimo comma limita la portata della disposizione al caso di conferimento dei rifiuti prodotti dalla nave di cui all’art. 7, in tal modo confermando che tutte e due le quote di tariffa si applicano nei soli casi in cui non vi sia esenzione o deroga dall’obbligo di conferimento. Dunque, la norma mirerebbe ad evitare che le navi non esentate o non ammesse a deroga – le quali, tuttavia, si trovino a non utilizzare gli impianti – paghino, oltre al costo dell’impianto a loro disposizione, il costo di un servizio (quello di smaltimento dei rifiuti) di cui non usufruiscono, perché i rifiuti non li hanno conferiti.

In definitiva, secondo le società ricorrenti, il sistema tariffario congegnato dal d.lgs. n. 182/2003 si articolerebbe in tre ipotesi: 1) quella delle navi esentate dall’obbligo del conferimento, le quali non pagherebbero alcuna tariffa; 2) quella delle navi tenute al conferimento, ma che non conferiscono, tenute al pagamento della sola quota fissa; 3) quella delle navi che conferiscono e che, perciò, sono tenute a pagare ambedue le quote della tariffa. Una simile articolazione del sistema non solamente si desumerebbe dal dettato normativo, ma sarebbe anche il frutto di un’interpretazione rispondente ai precetti costituzionali e, quindi, doverosa. Infatti, così si eviterebbe che le navi a lungo percorso

siano costrette ad accollarsi spese fisse in misura sproporzionata, subendo costi spropositati perché commisurati alla frequenza degli scali, anziché ai rifiuti prodotti (e per giunta per scali visitati assai di rado): in caso contrario, invece, la norma contrasterebbe con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), essendo irragionevole creare una categoria di navi esenti dall’obbligo di conferimento, per poi assoggettarle al pagamento della quota fissa, al pari delle navi che conferiscono. Ciò che, per di più, sarebbe sintomo di illegittimità costituzionale anche sotto il profilo della manifesta disparità di trattamento.

Così descritto questo gruppo di doglianze, osserva il Collegio che sul punto le ricorrenti incorrono nell’errore di interpretare la normativa di riferimento come se questa avesse ricollegato l’obbligo di pagare la quota fissa della tariffa al conferimento dei rifiuti. Al contrario, la normativa comunitaria di settore (più specificamente, l’art. 9 della direttiva 27 novembre 2000, n. 2000/59/CE: direttiva di cui il d.lgs. n. 182/2003 costituisce attuazione) detta un sistema tariffario, per i rifiuti prodotti dalle navi, articolato su due livelli: un primo livello, tramite cui i costi degli impianti portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti vengono posti a carico, in misura significativa, di tutte le navi che approdano nei porti dello Stato membro, a prescindere dall’effettivo uso degli impianti (art. 9, comma 2, lett. a), della direttiva); un secondo livello, con il quale la parte dei costi non coperta dal primo livello è coperta “in base ai quantitativi e ai tipi di rifiuti prodotti dalla navi effettivamente conferiti dalle navi”. Alla luce di un simile dettato, e tenuto conto del principio di interpretazione conforme, che obbliga il giudice nazionale a dare un’interpretazione ed un’applicazione del diritto nazionale che sia conforme alle prescrizioni del diritto comunitario (v. Corte giustizia CE, grande sezione, 29 gennaio 2008, n. 275; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 9 dicembre 2008, n. 1727), si deve concludere che tutti i dubbi interpretativi formulati dalle ricorrenti sono privi di fondamento: infatti, la normativa nazionale – in particolare, quella di cui al d.lgs. n. 182/2003 – va interpretata in senso conforme all’art. 9 della direttiva n. 2000/59/CE. Disposizione, questa, che indiscutibilmente ricollega una quota parte della tariffa per il servizio rifiuti al mero dato dell’approdo della nave nel porto, “a prescindere dall’effettivo uso degli impianti”.

La ratio di una simile scelta del Legislatore comunitario si coglie – come correttamente evidenzia la difesa erariale – nel “considerando” n. 14 della direttiva de qua, dove – ferma rimanendo la messa a carico delle navi del costo degli impianti portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, in base al principio “chi inquina, paga” – al regime tariffario è affidato l’obiettivo di incentivare il conferimento dei rifiuti nei porti, invece dello scarico in mare: obiettivo che è possibile conseguire “prevedendo che tutte le navi contribuiscano ai costi di raccolta e di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi al fine di ridurre gli incentivi economici agli scarichi in mare”. Che ciò si traduca in un obbligo di pagamento almeno di una quota parte della tariffa a carico di tutte le navi, a prescindere dal conferimento, si deduce dall’ulteriore passaggio in cui il “considerando” in discorso rinvia agli Stati membri la facoltà di stabilire “se e in quale proporzione i contributi applicabili ai quantitativi di rifiuti effettivamente conferiti dalle navi debbano essere inclusi nei sistemi di recupero dei costi per l’uso degli impianti portuali di raccolta”: il che, per il Collegio, indica la scelta del Legislatore comunitario di attribuire all’effettivo conferimento dei rifiuti un ruolo al più concorrente, e non già (come pretendono le ricorrenti) esclusivo, nella determinazione della tariffa.

In altri termini, la scelta del Legislatore comunitario di porre a carico delle navi il pagamento della quota fissa della tariffa anche ove non conferiscano i rifiuti ha un obiettivo preciso, che è quello di disincentivare sul piano economico gli scarichi in mare, nell’interesse della tutela ambientale: una finalità simile sarebbe, invece, frustrata se si accedesse alla soluzione interpretativa proposta dalle ricorrenti, perché se l’intera tariffa, e pertanto anche la quota fissa, dovesse essere pagata solamente dalle navi che conferiscono i rifiuti, basterebbe evitare il conferimento per non dover pagare alcuna somma. Ma, in tal modo, è evidente che si finirebbe per incentivare gli scarichi in mare dei rifiuti, pervenendo ad un risultato chiaramente incompatibile con la disciplina comunitaria. Ciò non toglie che per talune navi occorra prevedere un regime differenziato e meno gravoso e di tale necessità si mostra ben consapevole il Legislatore comunitario, lì dove, al “considerando” n. 16 della direttiva, riconosce la possibilità, per le navi che svolgono servizio regolare con approdi frequenti e regolari, di esenzione “da taluni obblighi” della medesima (tra cui l’art. 9 della direttiva indica anche quello dell’art. 8, cioè quello del pagamento della tariffa), al fine di evitare un onere eccessivo per le parti interessate e sempreché sia dimostrato che esistono disposizioni atte a garantire il conferimento dei rifiuti ed il pagamento dei relativi contributi. Calando quest’ultimo principio nel caso di specie, si tratta, quindi, di vedere se la riduzione tariffaria prevista dall’art. 15 del Regolamento (10%) possa o no rappresentare idonea attuazione del principio stesso: ma la questione, a questo punto, attiene non più all’an debeatur, ma al quantum debeatur (aspetto che forma oggetto del successivo gruppo di censure e che, perciò sarà esaminato più oltre).

Peraltro, la ricostruzione ermeneutica avanzata dalle società ricorrenti, in disparte la sua difformità rispetto alla disciplina comunitaria, a ben vedere non trova conforto nemmeno nell’interpretazione letterale, né in quella logico-sistematica, del d.lgs. n. 182/2003: ed invero quest’ultimo non prevede in alcuna sua parte la categoria delle navi che, sebbene obbligate al conferimento dei rifiuti, di fatto poi non li conferiscano, tant’è che – come correttamente rileva la difesa erariale – le ricorrenti non sono in grado di addurre esempi di una simile categoria. Del resto (come ancora condivisibilmente eccepito dalla difesa erariale), il comandante della nave che, pur tenuta al conferimento dei rifiuti, non li conferisca, viola l’obbligo di cui all’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 182 cit., venendo per detta ragione sanzionato ai sensi dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo de quo.

Da quanto esposto si ricava, in definitiva, l’infondatezza del gruppo di doglianze sin qui analizzate, come, del resto, confermato dalla giurisprudenza che si è occupata della questione (cfr. Cass. civ., Sez. III, 4 febbraio 2004, n. 2065, la quale ha sottolineato il carattere innovativo della disposizione contenuta nel comma 1, lett. a) e b), dell’Allegato IV al d.lgs. n. 182/2003, lì dove, nel prevedere il regime tariffario applicabile ai rifiuti prodotti dalle navi, impone anche l’onere di una quota fissa, indipendentemente dall’effettivo utilizzo degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti).

Venendo, ora, all’esame delle censure concernenti la determinazione degli importi della quota fissa della tariffa da parte del Regolamento, va premesso che siffatti importi sono elencati nel tariffario ad esso allegato: tariffario, dal quale si ricava che gli importi previsti per il caso della consegna dei rifiuti (differenziati a seconda del tipo di nave e del t.s.l.), sono ridotti del 10% per le navi in deroga totale o in esenzione, in applicazione – come già visto – di quanto prescrive il quarto punto dell’art. 15 del Regolamento.

Sul punto, le società ricorrenti lamentano, anzitutto, che l’Allegato IV del d.lgs. n. 182/2003, nello stabilire che la quota fissa della tariffa, indipendente dall’effettivo utilizzo degli impianti portuali di raccolta, copra almeno il 35% dei costi “di cui all’art. 8, comma 1”, e che la restante quota venga commisurata a quantità e tipo dei rifiuti prodotti e conferiti, nulla dica sulla percentuale che rende congruo il rapporto. La norma, inoltre, non limita la quota fissa alla sola parte dei costi relativi agli investimenti necessari per la realizzazione degli impianti: al contrario, attraverso il rinvio all’art. 8, comma 1, mostra che la quota fissa della tariffa è commisurata sia ai costi di realizzazione, sia agli altri costi (tra cui, in specie, quelli per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti). Ad avviso delle società, ciò comporta conseguenze abnormi e distorsive:

- perché le navi devono sostenere costi anche dello smaltimento di rifiuti che non hanno conferito;

- perché viene distorta la concorrenza fra impianti, essendo fortemente attenuata la convenienza a non conferire dove i costi sono maggiori;

- perché si incentiva la cattiva gestione economica degli impianti, potendone il gestore scaricare i costi, attraverso la quota fissa, sulle navi, senza che queste possano sottrarvisi evitando di conferire i rifiuti.

In secondo luogo, le società ricorrenti contestano che, nel concreto, il sistema di tariffe fisse dettato dal Regolamento impugnato sarebbe manifestamente incongruo ed iniquo, sia negli importi previsti per l’ipotesi di consegna dei rifiuti, sia in quelli stabiliti per le navi in deroga o in esenzione. A tale conclusione arrivano sulla base delle seguenti motivazioni:

1) perché si tratterebbe degli importi più elevati applicati nei porti italiani, inclusi quelli a caratura internazionale;

2) perché, considerato il numero di approdi annuo nel porto, detti importi arriverebbero a garantire la copertura non del 35%, ma addirittura dell’84% dei costi degli impianti, ponendo a carico anche delle navi non utilizzatrici (esentate o in deroga) una parte in quota percentuale quasi assoluta dei costi sopportati (e non un mero contributo, come voluto dalla direttiva comunitaria).

Ad avviso del Collegio, le doglianze ora esposte si appalesano, prima ancora che infondate, almeno parzialmente inammissibili.

Invero, per una prima parte le doglianze si indirizzano direttamente avverso l’Allegato IV, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 182/2003, ma non sfociano in alcuna specifica censura di incostituzionalità, né tantomeno in alcuna censura di violazione del diritto comunitario (a parte un generico richiamo alla distorsione della concorrenza). La mancata esplicita indicazione dei vizi dedotti e delle norme (nel caso di specie, le norme costituzionali) che si assumono violate, costituisce, per giurisprudenza costante, causa di inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 6 maggio 2008, n. 1344). Si è osservato, infatti, che nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto ed indicare tutte quelle circostanze da cui si possa desumere che il vizio denunciato effettivamente sussiste, pena l’inammissibilità, per genericità, della censura proposta (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 19 marzo 2007, n. 2388).

Va detto, al riguardo, che anche a voler ipotizzare – sulla base di un peraltro discutibile intervento officioso di integrazione e specificazione – che il profilo di incostituzionalità lamentato sia quello dell’irragionevolezza della normativa de qua (in violazione dell’art. 3 Cost.), si tratterebbe in ogni caso di doglianza infondata. Il Legislatore nazionale, infatti:

a) ha individuato solo la soglia minima della quota fissa della tariffa e non anche quella massima, lasciando alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione la determinazione della percentuale che rende congruo il rapporto tra quota fissa della tariffa e costi complessivi, con una scelta che, in specie per le Autorità Portuali, si rivela coerente con i margini di autonomia (su cui T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 12 giugno 2008, n. 797; id., 7 marzo 2007, n. 739) e con i poteri a queste attribuiti dall’ordinamento;

b) non ha provocato distorsioni della concorrenza, la quale, anzi, viene incentivata dalla previsione solo di una soglia minima, potendo la concorrenza stessa dispiegarsi in misura soddisfacente tramite l’ampia possibilità, per i porti, di diversificare l’entità della quota fissa della tariffa al di sopra della soglia minima;

c) in perfetta coerenza con la normativa comunitaria (cfr. art. 8, comma 1, lett. a), della direttiva n. 2000/59/CE), ha stabilito che la quota fissa della tariffa sia rapportata a tutti i costi degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti, e, pertanto, non solo ai costi di investimento (come infondatamente pretendono le ricorrenti), ma anche a quelli di trattamento e smaltimento dei rifiuti.

Sotto quest’ultimo profilo, vi è un evidente incentivo affinché le navi conferiscano effettivamente i rifiuti, implicito nel rischio di pagare, altrimenti, anche una quota parte dello smaltimento di rifiuti altrui, ma non si può dire che ciò concretizzi l’illegittimità di cui si lamentano le società, giacché il tutto è finalizzato – come già visto – all’obiettivo di disincentivare lo scarico in mare, nell’interesse della tutela ambientale.

Quanto, infine, all’eccessiva onerosità del sistema tariffario stabilito dal provvedimento gravato, va in primo luogo osservato che, secondo la giurisprudenza, nell’esercizio dei poteri di determinazione della tariffa, la P.A. gode di un’ampia discrezionalità, rispetto alla quale il sindacato giurisdizionale è limitato ai soli casi di manifesta illogicità o irragionevolezza (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 6 aprile 2005, n. 1371) o iniquità (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 30 maggio 1988, n. 185).

Tanto premesso, ad avviso del Collegio le censure delle ricorrenti sono inammissibili e, comunque, infondate.

Ciò, innanzitutto perché esse investono tutto il sistema tariffario dettato dal Regolamento e pertanto anche la fattispecie della quota fissa di tariffa pagata dalle navi che conferiscono i rifiuti (cfr., nella tabella, la quota fissa prevista per la consegna dei rifiuti). Ma per queste navi, che pagano la tariffa integrale, comprensiva anche della quota rapportata ai rifiuti conferiti, manca qualunque interesse a dolersi dell’eccessivo peso percentuale che, sul totale della tariffa dovuta, ha la quota fissa, essendo casomai da contestare l’importo eccessivo, in assoluto, della tariffa. Donde l’inammissibilità, sotto questo profilo, delle censure.

Quanto, invece, alle navi esentate o ammesse a derogare all’obbligo di conferimento, in disparte la genericità della doglianza insita nel dire che la tariffa è troppo “cara”, nel ricorso originario (dove è contenuto il ragionamento sull’eccessiva onerosità) manca, ovviamente, qualunque riferimento alla riduzione tariffaria prevista per le navi in parola dal nuovo Regolamento (abrogativo dell’ordinanza impugnata con il ricorso originario e gravato con i motivi aggiunti). Nel riprodurre la doglianza in sede di motivi aggiunti, le società ricorrenti hanno svalutato la portata della riduzione, giudicandola insignificante: il Collegio reputa, però, che un simile giudizio sia totalmente erroneo, perché, a tacer d’altro, la riduzione de qua (pari al 10%) toglie valore alle argomentazioni sull’eccessivo peso della quota fissa della tariffa formulate dalle suindicate società. Almeno per le navi esentate o in deroga, infatti, non si potrà più in alcun modo sostenere che la quota fissa copra circa l’80% dei costi totali. Ciò, senza trascurare che, comunque, in valori assoluti, quali si leggono nella tabella degli importi allegata al Regolamento, una riduzione del 10% appare piuttosto significativa e tale da costituire un equo contemperamento tra l’interesse a non gravare eccessivamente le navi in discorso (come vuole la stessa direttiva) e l’interesse, anche per queste navi, ad evitare che scarichino in mare, nuocendo all’ambiente marino. Di qui l’infondatezza, per tal verso, delle censure.

In definitiva, mentre il ricorso originario è tardivo e, quindi, irricevibile, quello per motivi aggiunti è in parte inammissibile e nella restante parte infondato, nei termini che si sono illustrati.

Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare le spese, attesa la complessità delle questioni trattate.


P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Seconda Sezione, così definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti indicati in epigrafe, dichiara irricevibile il ricorso originario, dichiarando in parte inammissibile e per la restante parte respingendo quello per motivi aggiunti.

Compensa le spese.

Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del 18 giugno 2009, con l’intervento dei Magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
 



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