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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562

 

 

TAR VENETO, Sez. III - 23 dicembre 2009, n. 3803

 

RIFIUTI - Ordinanza di rimozione e smaltimento - Mancanza di una preventiva attività istruttoria finalizzata ad individuare l’effettivo responsabile dell’abbandono - Illegittimità - Fattispecie. E’ illegittima una ordinanza emessa ex art. 14, comma 3, del D.lg 5 febbraio 1997, n. 22, con la quale il Sindaco ordini al proprietario di un’immobile di procedere alla rimozione e all’avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti ivi presenti, senza svolgere alcuna preventiva valida attività istruttoria finalizzata ad accertare ed individuare l’effettivo responsabile dell’abbandono dei rifiuti medesimi, atteso che gli adempimenti concernenti l’eliminazione dei rifiuti ed il ripristino dei luoghi non possono essere addossati indiscriminalmente al proprietario per il solo fatto di questa sua qualità, ma è necessario l’accertamento di un suo comportamento, anche omissivo, di corresponsabilità e quindi di un suo coinvolgimento doloso o quantomeno colposo. (C.di S., Sez V, 25 gennaio 2005, n. 136) (fattispecie relativa all’ordinanza di smaltimento diretta ai locatori di un capannone industriale). Pres. f.f. ed Est. Antonelli - R.I. e altro (avv.ti Cattan, Coronin, Orsolato e Zambelli) c. Comune di Minerbe (avv.ti Righetti e Curato). TAR VENETO, Sez. III - 23 dicembre 2009, n. 3803

RIFIUTI - Ordine di smaltimento - Mancanza di comunicazione di avvio del procedimento - Illegittimità. E illegittimo l’ordine di smaltimento dei rifiuti non sia preceduto da una preventiva e formale comunicazione di avvio del procedimento (C. S. Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061). Pres. f.f. ed Est. Antonelli - R.I. e altro (avv.ti Cattan, Coronin, Orsolato e Zambelli) c. Comune di Minerbe (avv.ti Righetti e Curato). TAR VENETO, Sez. III - 23 dicembre 2009, n. 3803
 

 

 

 

N. 03803/2009 REG.SEN.
N. 01785/1998 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 1785 del 1998, proposto da:
Rossin Ineo e Cattan Lauretta, rappresentati e difesi dagli avv. Federico Cattan, Andrea Coronin, Nicola Orsolato e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;
contro
Comune di Minerbe, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Righetti e Francesco Curato, con domicilio eletto presso del secondo in Venezia, Piazzale Roma, 468/B;
nei confronti di
L.I.Te.F. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
Spada Gianfranco, Zorzan Giorgio, Pasqual Riccardo, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Minerbe n. 13921 del 29 aprile 1998, con la quale è stato ordinato di provvedere allo smaltimento di rifiuti speciali tossico-nocivi temporaneamente stoccati nel capannone sito in Minerbe, via Ronchi n. 21; di rimuovere e mettere in sicurezza le strutture pericolanti nonché di provvedere alla predisposizione, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento, di un piano di bonifica dell’amianto della copertura del precitato fabbricato, da eseguire nei successivi 30 giorni, dalla nota del Sindaco prot. n. 3293 del 21.5.1998 che ingiunge il pagamento della somma di L. 27.204.000.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Minerbe;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2009 il dott. Elvio Antonelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


I ricorrenti premettono in fatto di essere soci accomandatari della ditta Agricola Castel Trevelin s.a.s. proprietaria di un immobile ad uso artigianale industriale sito in via Ronchi in Comune di Minerbe.
Il capannone risulta suddiviso in tre distinte unità locate a tre aziende: la Medplast s.n.c., la Prefabbricati Ronchi s.n.c. e la L.I.TE.F srl..


In particolare il contratto di locazione con la L.I.TE.F s.r.l. è stato stipulato in data 13.8.1997 affinchè la conduttrice potesse svolgervi la propria attività imprenditoriale, con assunzione a carico della L.I.TE.F s.r.l. “di tutti gli adempimenti e pratiche burocratiche che si dovessero rendere necessarie per lo svolgimento della propria attività senza coinvolgimento della ditta locatrice”.


Circa tre mesi dopo la stipula del contratto, il proprietario, dapprima con telegramma del 19.11.1997 e, successivamente, con lettera raccomandata a.r. del 27.11.97, contestava al conduttore una serie di inadempienze tra le quali quella di non aver adempiuto all’art. 1 del contratto che lo obbligava a munirsi delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell’attività e la fuoriuscita dallo stabile di emanazioni maleodoranti e di fumi.


Questa situazione aveva altresì indotto i legali rappresentanti della ditta proprietaria a sollecitare l’intervento dei Carabinieri paventando lo svolgimento di attività non autorizzate all’interno del proprio immobile.


Non ricevendo alcun tipo di riscontro, e in assenza di provvedimenti da parte della P.A., veniva inoltrato un ricorso d’urgenza per ottenere la risoluzione del contratto ed il rilascio dell’immobile, azione attivata nel gennaio 1998, che determinava, l’emanazione della sentenza che accoglieva le richieste azionate.


In attesa di poter eseguire la sentenza ottenuta, ritenendo estremamente grave la situazione determinatasi, la ditta proprietaria provvedeva ad attivarsi inoltrando, in data 11.3.1998, denuncia - querela nei confronti dei legali rappresentanti della ditta conduttrice esponendo, tra le altre cose, la circostanza che risultava “ammassato all’interno di detto capannone un notevole quantitativo di materiale di risulta che appare per la maggior parte derivante dalla rottamazione di pannelli o corpi metallici e di plastica, probabilmente tossico, da cui emanano fumi e vapori strani dall’odore nauseabondo che hanno causato più volte le proteste dei vicini, molestati dalla puzza proveniente dal capannone de quo”.


Proprio a seguito delle segnalazioni del proprietario avevano provveduto ad eseguire ulteriori sopralluoghi presso l’immobile anche i competenti uffici dell’U.L.S.S. n. 21 rilevando la natura del materiale ivi accatastato qualificato come rifiuto tossico-nocivo.


Nonostante gli accertamenti eseguiti nessun provvedimento venne assunto dalle Amministrazioni competenti.


Purtroppo prima che il proprietario riuscisse a rientrare nella disponibilità dell’immobile, nella notte fra il 17 ed il 18 aprile 1998, si è verificato un incendio che ha provocato gravissimi danni alla porzione del capannone in questione in conseguenza del quale il Sindaco, con provvedimenti del 18 e del 20 aprile 1998, ha disposto l’immediata chiusura e la dichiarazione temporanea di inagibilità dell’immobile in questione.


Per ovviare alla situazione determinatasi a seguito dell’incendio, il Sindaco ha emanato l’ordinanza n. 13921 del 30.4.1998 con la quale ha imposto, peraltro alle sole persone fisiche socie e amministratori della LI.TE.F. con completa omissione della notifica del provvedimento alla ditta in questione di provvedere nel termine di 30 giorni allo smaltimento del rifiuto temporaneamente stoccato nel piazzale del capannone presso impianti autorizzati o, in alternativa, in presenza di documentate difficoltà, a conferirlo provvisoriamente in un area autorizzata dal competente ufficio della Provincia di Verona ciò sul presupposto pacifico che la LI.TE.F. s.r.l., non era in possesso di alcuna autorizzazione per il deposito, neppure temporaneo. Con il medesimo provvedimento il Sindaco, per l’ipotesi di non ottemperanza da parte dei responsabili principali, ordinava anche ai soci accomandatari della ditta Agricola Castel Trevelin di provvedere, ritenuti responsabili in solido, ai sensi del richiamato art. 14 D.Lgs. 22/97, in quanto “in conseguenza del contratto di affitto la ditta proprietaria era al corrente del pericolo dovuto all’accumulo di rifiuti presso la porzione di capannone succitato e pertanto il proprietario era responsabile a tutti gli effetti dell’immobile e del suo contenuto”.


Sempre a carico della proprietaria , in considerazione dei danni subiti dal fabbricato, veniva disposta la rimozione e la messa in sicurezza delle strutture pericolanti e la predisposizione, nel termine di 60 giorni, del piano di bonifica dell’amianto della copertura di tutto il fabbricato con obbligo di realizzazione entro i successivi 30 giorni.


Viene esplicitamente previsto che, in difetto di ottemperanza, provvederà direttamente l’Amministrazione Comunale con addebito di tutte le spese ai soggetti obbligati.


In applicazione di quanto sopra viene aggiunto il pagamento di spese sostenute dal Comune per mezzi e personale impiegati a seguito del sinistro.


Avverso il provvedimento impugnato vengono dedotti i seguenti motivi:
1) Violazione di legge artt. 3 e 7 L. 241/90.
Gli ordini inglobati nell’unica ordinanza impugnata avrebbero dovuto essere oggetto della comunicazione di avvio del procedimento imposta dall’art. 7 L. 241/90.
Inoltre la L. 241/90 richiede che, ove un atto amministrativo venga motivato per relationem ad altri provvedimenti amministrativi questi ultimi devono essere resi disponibili e cioè debbono essere allegati o comunque fatti pervenire al destinatario dell’atto che li richiama.
Ciò non è stato fatto.
2) Avverso la pare del provvedimento relativa allo smaltimento dei rifiuti si propongono i seguenti motivi di impugnazione: violazione dell’art. 14 Dlgs. 5/2/97 n. 22.
Il provvedimento impugnato non risulta notificato alla L.I.TE.F, pacifico essendo che la notifica effettuata al Presidente, al Vice Presidente ed al Consigliere, indicati quali soggetti agenti, nei loro domicili personali non può essere sostitutiva della notifica alla persona giuridica da effettuarsi presso la sua sede.
3) Eccesso di potere per sviamento, erroneità e travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria.
La colpa che nel provvedimento viene imputata alla ditta proprietaria, e riversata sui soci accomandatari, è quella di essere stata al corrente del pericolo dovuto all’accumulo di rifiuti, per il solo fatto di aver locato l’immobile, con una conseguente responsabilità a tutti gli effetti del proprietario per l’immobile e per il suo contenuto.
In realtà, i proprietari del fabbricato, non appena avuto il sospetto dello svolgimento di attività illecite da parte della L.I.TE.F, si sono attivati presso tutte le sedi competenti per ottenere la restituzione del capannone, ponendo altresì in essere tutte le iniziative che l’ordinamento giuridico metteva loro a disposizione per cercare di bloccare quanto pareva accadere all’interno del loro immobile, nonostante i termini della questione fossero a loro completamente ignoti non essendo stato mai loro consentito l’accesso alla struttura.
Le iniziative assunte sul piano civile, penale ed amministrativo, consentono di eludere la sussistenza in capo ai proprietari di comportamenti dolosi o colposi o comunque di inerzia.
Le Amministrazioni competenti a provvedere erano al corrente dello stato delle cose sin dal 29.1.1998 e con colpevole inerzia non avevano assunto alcun tipo di provvedimento sin alla data del sinistro di quattro mesi successiva.
4) Eccesso di potere per sviamento.
Il provvedimento impugnato è illegittimo posto che non considera minimamente, in violazione del Decreto Ronchi, la fattibilità e la possibilità dell’avvio al recupero dei rifiuti di cui trattasi.
5) Eccesso di potere per sviamento, carenza di istruttoria ed erroneità nei presupposti nonché violazione di legge(art. 38 L. 142/90).
Il Sindaco in via di esercizio del potere di ordinanza con tingibile ed urgente in materia edilizia dispone una generica rimozione e messa in sicurezza di strutture pericolanti senza effettuare la minima individuazione di quali siano le strutture da demolire, di quali siano le operazioni necessarie per la messa in sicurezza e senza esplicitare quali siano le ragioni che, sotto il profilo del pericolo per la sicurezza pubblica, legittimino l’emanazione di un tale ordine.
Inoltre è stato assunto in assenza del presupposto richiesto per l’esercitabilità del potere ex art. 38 L. 142/90 in materia edilizia e cioè il grave pericolo per l’incolumità delle persone.
6) Violazione del principio della tipicità dei provvedimenti amministrativi, eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti nonché violazione di legge (artt 30 e segg. Dlgs. 277/91).
L’Amministrazione Comunale impone, nel termine di 60 giorni con successiva realizzazione entro i successivi 30, la predisposizione di un piano di bonifica in pretesa ottemperanza a quanto previsto dal Dlgs. 277/91 e cioè la bonifica dell’amianto della copertura di tutto il fabbricato.


L’ordine pretende di fare applicazione dell’art. 34 del D.L. 277/91, norma questa dettata in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
La norma riguarda fattispecie diverse da quella determinatasi nell’immobile di proprietà dei ricorrenti a seguito dell’incendio.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato contestando nel merito la fondatezza del ricorso.


All’udienza del 2 luglio 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.


DIRITTO


Il provvedimento impugnato ha natura complessa in quanto consta di due autonome determinazioni autoritative; con la prima alla società ricorrente viene ordinato, sul presupposto di una responsabilità in solido, di eseguire lo smaltimento dei rifiuti temporaneamente stoccati nell'antistante piazzale del capannone in questione, ubicato in via ronchi 2; con la seconda determinazione viene ordinato ai ricorrenti "la rimozione e la messa in sicurezza delle strutture pericolanti; la predisposizione entro 60 giorni dalla data di notifica del presente provvedimento, di un piano di bonifica dell’amianto della copertura di tutto il fabbricato, secondo quanto previsto dal D.L. 277/91, che dovrà essere realizzato entro i successivi 30 giorni”.


Ebbene con riguardo alla prima determinazione deve ritenersi fondato il terzo è assorbente motivo.
Ed invero la colpa dei ricorrenti è stata rinvenuta nella circostanza che "in conseguenza del contratto di affitto tra la ditta L.I.TE.F e la ditta Agricola Castel Trevelin, quest’ultima era al corrente del pericolo dovuto all’accumulo di rifiuto presso la porzione di capannone succitato e pertanto il proprietario era responsabile a tutti gli effetti dell’immobile e del suo contenuto, rivalendosi eventualmente sull’affittuario moroso”.
Il fondamento unico della responsabilità per colpa in ordine all'accumulo incontrollato di rifiuti nel capannone venne quindi rinvenuto nel solo fatto che i ricorrenti avrebbero concesso in locazione il capannone suddetto alla ditta LITEF.


Tale presupposto fattuale deve ritenersi insufficiente a concretare una responsabilità a titolo di colpa dei ricorrenti.
Ed invero nel contratto di locazione viene espressamente stabilito che "la ditta conduttrice provvederà a propria cura e spese a tutti gli adempimenti e pratiche burocratiche che si dovessero rendere necessari per lo svolgimento della propria attività”.


Ad avviso del Collegio i ricorrenti in sede di stipula hanno agito con l'ordinaria diligenza che può richiedersi alla parte che concede in locazione un immobile. In particolare deve ritenersi che l'ordinaria diligenza richiedeva che nella specie fosse fissata la sola attività esercitabile nel capannone mentre con riferimento al concreto esercizio dell'attività stessa può ben ritenersi sufficiente che la parte concedente si sia cautelata pretendendo che la società si fosse poi munita della necessaria autorizzazione correlata alla specifica attività industriale che poi concretamente sarebbe stata intrapresa.
È infatti evidente che al momento della stipula del contratto i ricorrenti non erano tenuti ad attivarsi per avere piena cognizione di quali fra le tante attività industriali possibili sarebbero state concretamente esercitate nel capannone; l'importante è che abbiano fatto impegnare la ditta conduttrice ad ottenere tutte le autorizzazioni necessarie per esercitare quella precisa attività che poi sarebbe stata in concreto attivata.


Neppure una forma di responsabilità per colpa può rinvenirsi nel periodo temporale che è seguito alla stipula del contratto.


Anzi al contrario, alla luce della documentazione in atti, si evince che i ricorrenti, con scrupolo e diligenza, già dopo tre mesi dalla stipula del contratto, dopo aver preso atto della precisa tipologia dell'attività industriale concretamente intrapresa, hanno contestato ai conduttori il difetto delle necessarie autorizzazioni e di conseguenza hanno richiesto l'intervento della forza pubblica.


Non avendo poi avuto riscontro alle doglianze citate, hanno proposto ricorso per la risoluzione del contratto e poi hanno inoltrato denuncia-querela nella quale hanno fatto presente che all'interno del capannone vi era ammassato "un notevole quantitativo di materiale di risulta (tipo terriccio) che appare per la maggior parte derivante dalla rottamazione di pannelli o corpi metallici e di plastica, probabilmente tossico, da cui emanano fumi e vapori strani dall’odore nauseabondo, che hanno causato più volte le proteste dei vicini, molestati dalla puzza proveniente dal capannone de quo.


Si rileva inoltre che l’accumulo di detti rifiuti speciali necessita, anche per il solo stoccaggio, di permessi e autorizzazioni specifici e che tale attività non era certamente compresa nella originaria destinazione dell’immobile al momento della stipula del contratto di locazione, con ciò violando il disposto di cui al punto 1 di detto contratto”.


In definitiva nessuna responsabilità per colpa può imputarsi ai ricorrenti i quali, sia in sede di stipula, sia successivamente alla stessa, hanno agito con la necessaria diligenza che la legge richiede alla parte che loca un immobile per uso industriale.


Ciò deve ritenersi anche alla luce del pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo il quale "E’ illegittima una ordinanza emessa ex art. 14, comma 3, del D.lg 5 febbraio 1997, n. 22, con la quale il Sindaco ha ordinato al proprietario di un’immobile di procedere all rimozione e all’avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti ivi presenti, senza svolgere alcuna preventiva valida attività istruttoria finalizzata ad accertare ed individuare l’effettivo responsabile dell’abbandono dei rifiuti medesimi, atteso che gli adempimenti concernenti l’eliminazione dei rifiuti ed il ripristino dei luoghi non possono essere addossati indiscriminalmente al proprietario per il solo fatto di questa sua qualità, ma è necessario l’accertamento di un suo comportamento, anche omissivo, di corresponsabilità e quindi di un suo coinvolgimento doloso o quantomeno colposo”. (C.di S., Sez V, 25 gennaio 2005, n. 136).


Peraltro alla luce della prevalente giurisprudenza deve ritenersi fondato anche il primo motivo (omessa comunicazione di avvio del procedimento).


Ha infatti chiarito la giurisprudenza amministrativa che "è illegittimo l’ordine di smaltimento dei rifiuti non sia preceduto da una preventiva e formale comunicazione di avvio del procedimento (C. S. Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061).


Con riguardo alla seconda determinazione autoritativa il collegio prende atto di quanto rilevato in memoria la difesa dei ricorrenti e cioè che "le problematiche in questione si possono allo stato ritenere superate atteso che, medio tempore, i ricorrenti hanno provveduto con diversa tempistica rispetto a quella che era stata a suo tempo intimata apoditticamente dal Comune, alla effettuazione degli interventi sia di messa in sicurezza della struttura che di rimozione e bonifica dell’amianto conseguendo la nuova agibilità del fabbricato lesionato dall’incendio.”


Le circostanze fattuali medio tempore intervenute rendono evidente la sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti ad ottenere una decisione sul punto.


Conclusivamente il ricorso va accolto con riferimento alla determinazione con la quale viene ordinato lo smaltimento dei rifiuti e con riferimento alla nota sindacale 21.5.98 con la quale viene ingiunto al pagamento di L. 27.204.000, mentre lo stesso ricorso va dichiarato improcedibile con riferimento alla determinazione con la quale viene ordinata la messa in sicurezza delle strutture pericolanti e la predisposizione di un piano di bonifica dell'amianto.


Sussistono peraltro giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, accoglie il ricorso con riferimento all’ordine di smaltimento dei rifiuti e della nota sindacale 21.5.98, e conseguentemente annulla gli stessi atti, mentre lo dichiara improcedibile con riferimento all’ordine di messa in sicurezza e alla predisposizione del piano di bonifica.


Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Elvio Antonelli, Presidente FF, Estensore
Stefano Mielli, Primo Referendario
Marina Perrelli, Referendario



IL PRESIDENTE,  ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/12/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO



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