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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562

 

 

T.A.R. VENETO, Sez. I - 13 marzo 2009, n. 596



PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Procedimento amministrativo - Silenzio assenso - Potere di annullamento - Art. 20 L.n. 241/1990 - Art. 21 nonies L. n.241/1990. Il nuovo testo dell’art. 20 della L.n. 241/1990, al comma 3, esplicitamente accoglie il principio che il silenzio assenso, formatosi per decorso del tempo prescritto dall'inoltro dell'istanza, non può essere considerato dall'Amministrazione tamquam non esset, ma può formare oggetto di provvedimenti caducatori nella via dell'autotutela (cfr. Cons. Stato n.1339/2007). Pertanto, in una fase successiva alla formazione del silenzio-assenso, l’amministrazione resistente può intervenire soltanto attraverso l’esercizio di un potere di annullamento (o di revoca, art. 21-quinquies, della legge n. 241/90), così come previsto dall’art. 20, con l’avvertenza che tale forma di potere, in sede di autotutela decisoria, deve essere esercitata secondo il dettato del nuovo art. 21 nonies (richiamato dal 3° comma dell’art. 20), entro un ragionevole lasso di tempo, tenendo altresì conto di uno specifico interesse pubblico alla rimozione della situazione delineatasi con il silenzio-assenso, nonché degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Pres. De Zotti, Est. Perrelli - Z. s.a.a. (avv.ti Zuccolo e Sacchetto) c. Comune di Venezia (avv.ti Gidoni, Morino, Iannotta, Ballarin, Ongaro e Venezian). T.A.R. VENETO, Sez. III - 13/03/2009, n. 596

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Ric. n. 280/2009

Sent.n. 596/09



Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, con l’intervento dei magistrati:


Angelo De Zotti Presidente
Elvio Antonelli Consigliere
Marina Perrelli Referendario, relatore
ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente


SENTENZA


nel giudizio introdotto con il ricorso n. 280/2009 proposto da ZAMBON S.A.S. di A. ZAMBON & C., in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Zuccolo e Stefano Sacchetto, con elezione di domicilio presso il loro studio, in Venezia – Mestre, via Giosuè Carducci n. 45;
CONTRO
Il Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulio Gidoni, Maddalena M. Morino, Antonio Iannotta, Maurizio Ballarin, Nicoletta Ongaro e Giuseppe Venezian della Civica Avvocatura di Venezia, con elezione di domicilio nella sede Municipale;
e nei confronti di
il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 418927 del 7 ottobre 2008, notificato in data 03.11.2008, con il quale è stata rigettata la richiesta di occupazione di suolo pubblico per l’installazione di due ombrelloni nel plateatico esistente in Venezia, San Polo n. 2024;
in parte qua delle deliberazioni della Giunta Comunale di Venezia n. 442 del 10 luglio 2003, n. 380 del 15 luglio 2005, n. 422 dell’ 11 luglio 2008, nonché delle deliberazioni dei Consigli di Quartiere ivi richiamate;
in parte qua del Regolamento Comunale per il canone di occupazione spazi ed aree pubbliche ( COSAP) approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 35 dell’8 e 9 marzo 1999, come successivamente modificato ed integrato;
dei pareri del Servizio spazi urbani prot. n. 333143 del 6 agosto 2008 e prot. n. 410979 del 30 settembre 2008, della comunicazione ex art. 10 – bis della Legge 241/1990, prot. n. 338793 dell’11 agosto 2008;
visto il ricorso, notificato il 30 dicembre 2008 e depositato presso la Segreteria il 28 gennaio 2009, con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;
visti gli atti tutti di causa;
uditi all’udienza camerale dell'11 febbraio 2009 (relatore il Referendario Marina Perrelli), l’avv. Zuccolo per la parte ricorrente e Venezian per il Comune di Venezia;
considerato che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il Presidente del Collegio ha comunicato alle parti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex artt. 21, XI comma, e 26, IV e V comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;
ritenuto che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti:


FATTO E DIRITTO


La società ricorrente, titolare di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande nei locali ubicati in Venezia, San Polo 2024, chiedeva il 19 marzo 2008 di potere installare due ombrelloni parasole su una porzione del plateatico già in concessione e occupata da tavoli e sedie.


Il 15 settembre 2008 l’Amministrazione comunicava, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, i motivi ostativi all’accoglimento della domanda in conformità con il parere negativo del Servizio spazi urbani del 6 agosto 2008 secondo il quale la richiesta era in contrasto con la delibera di Giunta n. 422 dell’11 luglio 2008 che vieta le nuove occupazioni e gli ampliamenti delle concessioni di suolo pubblico nei percorsi turistici.


Quindi, il 3 novembre 2008, nonostante le osservazioni della società ricorrente contenute nelle memorie difensive presentate a seguito del preavviso di rigetto, l’Amministrazione notificava alla Zambon s.a.s. il diniego gravato.


La società ricorrente deduce l’illegittimità del richiamato diniego, nonché delle delibere, dei regolamenti e dei pareri presupposti sotto molteplici profili: 1) per violazione dell’art. 20 della legge n. 241/1990 in combinato disposto con l’art. 5 del regolamento C.O.S.A.P. poiché il decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza previsto dalle richiamate disposizioni ha determinato la formazione del silenzio assenso sulla richiesta con la conseguente necessità di provvedere al previo annullamento, in via di autotutela, del provvedimento implicito per potere poi emettere il diniego; 2) per eccesso di potere per difetto del presupposto, per travisamento dei fatti e per illogicità, nonché per falsa ed erronea applicazione delle delibere della Giunta comunale n. 442/2003, 380/2005 e 422/2008 giacché l’accoglimento dell’istanza non avrebbe avuto alcuna incidenza sul traffico pedonale dal momento che gli ombrelloni sarebbero stati installati a copertura di tavoli e sedie collocate nel perimetro del plateatico già assentito; 3) per illegittimità derivata dalle deliberazioni della Giunta comunale n. 442/2003, 380/2005 e 422/2008, nonché per eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta poiché la domanda presentata dalla società ricorrente non è qualificabile né come nuova concessione di suolo pubblico, né come ampliamento della preesistente concessione in assenza di qualsiasi aumento di superficie, quanto piuttosto integra una rimodulazione del precedente titolo; 4) per illegittimità derivata dalle deliberazioni della Giunta comunale n. 442/2003, n. 380/2005 e n.422/2008 e dalle delibere del Consiglio di Quartiere richiamate giacché la Giunta comunale ha recepito i criteri elaborati dai Consigli di Quartiere per il rilascio delle concessioni di suolo pubblico in violazione degli artt. 42 e 48 del T.U.E.L. che attribuiscono la competenza ad emanare i regolamenti al Consiglio comunale, salvo che per le materie tassativamente elencate; 5) per violazione degli artt. 3 e 10 bis della legge n. 241/1990 perché l’amministrazione comunale ha omesso di indicare nel provvedimento finale le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dalla società ricorrente; 6) per violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, nonché per eccesso di potere per contraddittorietà, per perplessità e per difetto del presupposto poiché il diniego gravato è motivato per relationem rispetto al parere negativo reso dal Servizio spazi urbani, senza dare conto delle ragioni per le quali vengono disattesi i pareri favorevoli della Sopraintendenza e della Polizia Municipale.
Il Comune di Venezia, ritualmente costituitosi in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso.


Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento per quanto rilevato nel primo motivo di censura.


Con tale motivo viene dedotta la violazione dell’art. 20 della legge n. 241/90 poiché, essendo stata presentata l’istanza per la concessione del plateatico in data 19 marzo 2008, e cioè quasi sette mesi prima dell’atto di diniego impugnato, emesso il 7.10.2008, la società ricorrente ritiene che, in considerazione del decorso del termine di 60 giorni previsto dall’art. 5, 7 ° comma, del Regolamento comunale COSAP, il detto procedimento si sia positivamente concluso con la formazione implicita dell’atto concessorio. Conseguenza immediata e diretta di tale affermazione è l’impossibilità per l’amministrazione di pronunciarsi una seconda volta sulla medesima istanza, residuando in capo ad essa, semmai, le eventuali determinazioni riconducibili al potere di autotutela, esercitabile secondo le prescrizioni dell’art. 21 quinquies e dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990.


Come già affermato da questo stesso Tribunale nella recente sentenza n.1400/2008, attraverso l’istituto del c.d. silenzio-assenso, previsto dall’art. 20 della legge sul procedimento amministrativo, l’ordinamento fa discendere dall’inerzia dell’amministrazione la formazione di quell’assetto di interessi previsto soltanto in astratto dalla legge e al quale il privato concretamente aspira con la propria istanza.


Il meccanismo che è sotteso a tale istituto prevede, com'è noto, che la presentazione da parte del privato di un’istanza alla P.A., ove non seguita entro un termine prestabilito dall’adozione da parte di quest’ultima di un provvedimento espresso, si converta in un assenso all’istanza medesima.


Invero, la generale applicazione del silenzio-assenso introdotta con la novella della legge n. 80/2005 ha radicalmente capovolto la prospettiva risultante dal quadro normativo precedente, nel quale si era demandato ad un atto di normazione secondaria (il DPR n. 300/92) la individuazione delle fattispecie alle quali applicare il meccanismo di semplificazione amministrativa di cui si tratta, con la conseguenza che, nelle ipotesi non espressamente previste, il privato che aspirasse ad un provvedimento esplicito, a fronte dell’inerzia dell’amministrazione, conservava la possibilità di proporre ricorso avverso il c.d. silenzio-rifiuto (o silenzio-inadempimento).


Se dunque, dapprima, il meccanismo di cui all’art. 20 poteva essere considerato un’eccezione al principio della conclusione del procedimento mediante provvedimento espresso (art. 2, c. 1, legge n. 241/90) ed era ammesso solo in ipotesi tassativamente determinate, ora con la legge n. 80/2005, esso diviene una regola generale, mentre sono divenute tassative le eccezioni a tale regola. Del resto tale sovvertimento di prospettiva, in forza del quale il comportamento omissivo della P.A. viene equiparato all’atto di accoglimento dell’istanza del privato, si inferisce agevolmente dalla piana lettura del novellato art. 20 della legge n. 241/90, che prevede l’applicazione del silenzio – assenso “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi” (comma 1), di guisa che il riferimento alla macrocategoria del “provvedimento amministrativo” appare comprensivo di tutti gli atti di natura autorizzatoria, con la sola esclusione di quelle fattispecie relative a beni sottoposti al vincolo storico-artistico e al vincolo paesaggistico, all’adempimento di obblighi internazionali e alla tutela di interessi pubblici fondamentali, legati all’igiene, all’incolumità ed alla sicurezza pubblica ( art. 20, 4° comma).


Ne consegue che la generale applicazione del silenzio-assenso, introdotta con la novella della legge n. 80/2005, nonché la sicura esclusione del provvedimento gravato da quelli oggetto della deroga prevista dal comma 4 dell’art. 20 della legge n. 241/1990, consentono di ritenere che nella fattispecie in esame con il decorso del termine previsto dall’art. 5, comma 7, del Regolamento C.O.S.A.P. si sia formato il provvedimento concessorio.


Né valgono ad inficiare tale conclusione le obiezioni dell’Amministrazione comunale resistente secondo la quale, nel caso di specie, il silenzio assenso non si sarebbe formato poiché il termine di sessanta giorni di cui al citato art. 5 del Regolamento C.O.S.A.P. sarebbe stato sospeso una prima volta dal 28 marzo 2008, data di richiesta del parere alla Sopraintendenza, al 2 luglio 2008, data di ricezione del predetto parere, ed una seconda volta per la presentazione delle osservazioni ai sensi dell’art. 10 bis, avvenuta il 24 settembre 2008.


In realtà, dato per certo che la domanda di installazione dei due ombrelloni è stata presentata il 19 marzo 2008, e per pacifica l’interruzione del termine dal 28 marzo 2008 al 2 luglio 2008 per attendere il parere della Sopraintendenza e dal 15 settembre 2008, data di notifica del preavviso di rigetto ex art. 10 bis della legge 241/1990, al 24 settembre 2008, data di presentazione delle relative osservazioni, il termine di sessanta giorni, sommando i periodi intermedi, risulta ampiamente decorso.


Ne discende, dunque, che il tardivo diniego risulta tecnicamente inconfigurabile alla luce del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art 20 più volte menzionato, e ciò a prescindere dalla valutazione sulla conformità a legge o meno della domanda del privato. In tal caso, infatti, come correttamente sostenuto da parte ricorrente, l’unica strada percorribile dall’amministrazione è, in astratto, quella dell’annullamento d’ufficio degli effetti del silenzio.


Manifestazione di volontà che, in ogni caso, non potrebbe essere incorporata in un tardivo provvedimento di diniego poiché come ribadito anche recentemente dal Consiglio di Stato “il nuovo testo (dell’art. 20) al comma 3 esplicitamente accoglie il principio, già enunciato dalla giurisprudenza, che il silenzio assenso, formatosi per decorso del tempo prescritto dall'inoltro dell'istanza, non può essere considerato dall'Amministrazione tamquam non esset, ma può formare oggetto di provvedimenti caducatori nella via dell'autotutela” (cfr. Cons. Stato n.1339/2007).


Pertanto, in una fase successiva alla formazione del silenzio-assenso, l’amministrazione resistente sarebbe potuta intervenire soltanto attraverso l’esercizio di un potere di annullamento (o di revoca, art. 21-quinquies, della legge n. 241/90), così come previsto dall’art. 20, con l’avvertenza che tale forma di potere, in sede di autotutela decisoria, deve essere esercitata secondo il dettato del nuovo art. 21 nonies (richiamato dal 3° comma dell’art. 20), entro un ragionevole lasso di tempo, tenendo altresì conto di uno specifico interesse pubblico alla rimozione della situazione delineatasi con il silenzio-assenso, nonché degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.


Infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, sin da prima della citata novella alla legge n. 241/1990, gli atti di autotutela (sia l’annullamento che la revoca) sono stati in generale assoggettati ad alcune limitazioni fra le quali la necessità dell’esistenza e della puntuale indicazione in motivazione di specifiche ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, nonché della considerazione, in sede di ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, del legittimo affidamento del destinatario dell’atto successivamente rimosso in via di autotutela (Cons. Stato., Sez. IV, 31 ottobre 2006 n. 6465; Cons. Stato, Sez. V, 11 ottobre 2005 n. 5479; Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 2003, n. 5444; Cons. Stato, Sez. V, 2 settembre 2002, n. 3492.).


Alla luce delle premesse sin qui svolte deve, quindi, dichiararsi illegittimo il diniego emanato dall’amministrazione resistente in quanto tardivamente adottato, dovendosi a tal fine considerare perentorio il termine indicato dal regolamento C.O.S.A.P. di 60 giorni.


Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso discende, per il suo effetto dirimente, l’annullamento del provvedimento di diniego gravato, con la conseguenza che risultano assorbite le ulteriori censure sollevate dalla società ricorrente.


Appaiono sussistere, infine, giusti motivi, in considerazione della relativa novità delle questioni giuridiche affrontate, per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.


P.Q.M.


il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento prot. 418927, emesso il 7.10.2008.


Spese compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio dell'11 febbraio 2009.



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