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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300
DIRITTO SANITARIO - Responsabilità dell’Ente gestore del servizio sanitario e
del medico dipendente ospedaliero - c.d. contatto sociale. La responsabilità
dell'ente gestore del servizio sanitario, al pari del medico dipendente
ospedaliero, deve qualificarsi contrattuale, non già per l'esistenza di un
pregresso rapporto obbligatorio insorto tra le parti, bensì in virtù di un
rapporto contrattuale di fatto originato dal "contatto sociale" (cfr. Cass.
sez.III 22.1.1999 n.589; Cass. 11.3.2002, n.3492; Cass. 14.7.2003 n.11001; Cass.
21.7.2003 n.11316; 28.5.2004 n.10297; Cass. 19.4.2006 n.9085). Giud.
Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300
DIRITTO SANITARIO - Responsabilità professionale del medico - Inesatto
adempimento dell'obbligazione sanitaria - Principio dell'onere della prova -
Valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa. Il
paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento
dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l'inadempimento
del sanitario, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto
adempimento. Più precisamente, consistendo l'obbligazione professionale in
un'obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l'esistenza del contratto e
l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per
effetto dell'intervento, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero
la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e
che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e
imprevedibile. La distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione
implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva
dunque - come voleva la precedente giurisprudenza - quale criterio di
distribuzione dell'onere della prova, ma dovrà essere apprezzata per la
valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando
comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare
difficoltà. (Cass. 28.5.2004 n.10297). Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI
BARI, 8/07/2009, n. 2300
DIRITTO SANITARIO - Responsabilità professionale dei medico - Esecuzione
della prestazione - Mancato o inesatto risultato della prestazione - Difetto di
diligenza - Onere della prova. In tema di onere della prova che va
accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento
dell'effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla. Infatti,
nell'obbligazione di mezzi il mancato o inesatto risultato della prestazione non
consiste nell'inadempimento, ma costituisce il danno consequenziale alla non
diligente esecuzione della prestazione. In queste obbligazioni in cui l'oggetto
è l'attività, l'inadempimento coincide con il difetto di diligenza
nell'esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia
"vicina" a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di
obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell'inosservanza
delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è
tenuto” (Cass. 10297/2004, più volte cit.). Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI
BARI, 8 luglio 2009, n. 2300
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Inadempimento contrattuale - Risoluzione -
Risarcimento del danno - Creditore - Prova della fonte negoziale o legale del
diritto - Debitore - Onere della prova dell’avvenuto adempimento. Il
creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del
danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o
legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza
dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato
dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto
adempimento. Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300
Tribunale di Bari, 8 luglio 2009, n. 2300
Omissis
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 22/23.6.2005 T. R. conveniva in giudizio
l'Azienda Ospedaliera Consorziale di (...) e il prof. G. S., esponendo che :
- a seguito di ricovero in data 28.5.2004 presso l'Unità Operativa Ortopedia e
Traumatologia I del Policlinico di (...), era stato sottoposto ad intervento
chirurgico di rimozione di "cisti parameniscale menisco mediale del ginocchio
sinistro", eseguito dall'equipe diretta dal prof. S.;
- l'intervento era stato eseguito per via artroscopica, menisectomia selettiva
mediale e regolarizzazione del menisco laterale, senza determinare tuttavia la
rimozione, ancorché parziale, della cisti, come documentato dalla allegata
relazione medico legale;
- l'esito negativo del trattamento sanitario aveva determinato la persistenza
della sintomatologia dolorosa, con associata impotenza funzionale.
Sul presupposto quindi che la responsabilità di quanto esposto fosse da
attribuire a colpa del chirurgo e della struttura ospedaliere dove il
trattamento sanitario chirurgico in questione era stato eseguito con negligenza
e imperizia, l'attore chiedeva la condanna dei convenuti in solido al
risarcimento dei danni alla persona, quantificati complessivamente nella somma
di € 19.241,95 ovvero in quella maggiore o minore da determinarsi in corso di
causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Con comparsa di risposta depositata il 10.11.2005 si costituivano l'Azienda
Ospedaliera convenuta e il S. nonché contestualmente interveniva volontariamente
la (...), in qualità di responsabile civile per eventuali danni cagionati a
terzi nell'esercizio delle attività istituzionali, assistenziali e/o
ospedaliere, in base a polizza assicurativa n. 1272566: entrambi chiedevano il
rigetto della domanda, carente di prova in ordine alla dedotta negligenza ed
imperizia dell'operatore sanitario, sostenendo al contrario la corretta
esecuzione dell'intervento chirurgico in questione e il carattere imprevedibile
delle complicanze sopraggiunte. In via subordinata domandavano che l'eventuale
condanna nei confronti dei convenuti fosse posta a carico della società
Assicuratrice, nei limiti del massimale stabilito in contratto e del rapporto di
coassicurazione.
Instaurato il contraddittorio, in esito alla trattazione, la causa era istruita
con acquisizioni documentali e l'espletamento di consulenza medico-legale; alla
suddetta udienza di precisazione delle conclusioni era infine riservata per la
decisione, con termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e di
memorie di replica.
Motivi della decisione
La domanda non è fondata, nei confronti di entrambi i convenuti, e va pertanto
integralmente rigettata.
La fattispecie ha ad oggetto la responsabilità del sanitario, dipendente dell'ente ospedaliero, per danno cagionato al paziente da inesatta prestazione professionale. La richiesta di risarcimento si basa, in particolare, sulla denunciata condotta del chirurgo convenuto, causalmente collegata ad un danno alla persona dell'attrice, e va esaminata nell'ambito dei principi giuridici che disciplinano la responsabilità civile, ai quali occorre fare cenno.
Una costante e condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte ritiene che la
responsabilità dell'ente gestore del servizio sanitario, al pari del medico
dipendente ospedaliero, deve qualificarsi contrattuale, non già per l'esistenza
di un pregresso rapporto obbligatorio insorto tra le parti, bensì in virtù di un
rapporto contrattuale di fatto originato dal "contatto sociale" (cfr. Cass.
sez.III 22.1.1999 n.589 e l'ampia motivazione sul punto alla quale hanno fatto
riferimento le successive pronunce del giudice di legittimità Cass. 11.3.2002,
n.3492; Cass. 14.7.2003 n.11001; Cass. 21.7.2003 n.11316; 28.5.2004 n.10297;
Cass. 19.4.2006 n.9085).
I criteri di ripartizione dell'onere probatorio nelle controversie di
responsabilità professionale (dell'ente ospedaliero e/o del sanitario) devono
essere altresì individuati in base al principio enunciato in termini generali
dalle Sezioni Unite dalla Suprema Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n.
13533, in tema di onere della prova dell'inadempimento contrattuale e
dell'inesatto adempimento.
Le Sezioni Unite, nel risolvere un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni
semplici, hanno enunciato il principio secondo cui il creditore che agisce per
la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per
l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto,
limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della
controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del
fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento. Analogo principio è stato
enunciato con riguardo all'inesatto adempimento, rilevando che al creditore
istante è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per
violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata
osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o
qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di
dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento.
Applicando questo principio all'onere della prova nelle cause di responsabilità
professionale dei medico deve affermarsi quindi, secondo l'insegnamento della
Corte (in termini, Cass. 28.5.2004 n.10297), che il paziente che agisce in
giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve
provare il contratto e allegare l'inadempimento del sanitario, restando a carico
del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento. Più precisamente,
consistendo l'obbligazione professionale in un'obbligazione di mezzi, il
paziente dovrà provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della
situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto
dell'intervento, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la
prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e
che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e
imprevedibile. La distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione
implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva
dunque - come voleva la precedente giurisprudenza - quale criterio di
distribuzione dell'onere della prova, ma dovrà essere apprezzata per la
valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando
comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare
difficoltà. Le argomentazioni a base di questa scelta ermeneutica sono
sicuramente valide, avendo, la Corte evidenziato che "porre a carico del
sanitario o dell'ente ospedaliero la prova dell'esatto adempimento della
prestazione medica soddisfa in pieno a quella linea evolutiva della
giurisprudenza in tema di onere della prova che va accentuando il principio
della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell'effettiva
possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla. Infatti,
nell'obbligazione di mezzi il mancato o inesatto risultato della prestazione non
consiste nell'inadempimento, ma costituisce il danno consequenziale alla non
diligente esecuzione della prestazione. In queste obbligazioni in cui l'oggetto
è l'attività, l'inadempimento coincide con il difetto di diligenza
nell'esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia
"vicina" a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di
obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell'inosservanza
delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è
tenuto” (in motivazione Cass. 10297/2004, più volte cit.).
Ciò premesso, nella fattispecie in esame il T. ha provato,sulla base della
documentazione esibita nonché degli esiti della C.T.U. affidata al dott. V. R.,
depositata il 14.6.2007:
a) a seguito di indagini specifiche, il 5.6.2003 egli fu sottoposto presso la
Unità Operativa di Ortopedia Traumatologia I del Policlinico Consorziale di
(...) all'artroscopia del ginocchio sinistro, nel corso della quale fu
evidenziata una "lesione completa del corpo-corno posteriore del menisco
mediale" nonché una "lesione degenerativa del menisco laterale" attuandosi - per
la prima dì tali lesioni - una "meniscectomia selettiva" (asportazione della
parte del menisco sede
della lesione) e per l'altra una "regolarizzazione" (durante lo stesso
intervento si riscontrò altresì la presenza di "condropatia", con prescrizioni
terapeutiche - pag.10 della C.T.U.);
b) la successiva risonanza magnetica del 26.8.2003 pose in evidenza - oltre agli
esiti della artroscopia - la formazione cistica paramèniscale, sostanzialmente
invariata per dimensioni rispetto al controllo del 23.12.2002 e caratterizzata
al suo interno da "piccoli artefatti ferromagnetici da esiti di intervento";
c) il 5.6.2003 non fu emendata cruentamente la formazione cistica parameniscale
mediale assente tuttavia alla risonanza magnetica dell'8.5.2007 .
Ha osservato il C.T.U. - avvalendosi della consulenza di uno specialista in
ortopedia - che- "gli artefatti ferromagnetici posti in evidenza all'interno
della formazione cistica e il rilievo dell'edema dei tessuti capsulari lasciano
ritenere che nella esecuzione dell'atto chirurgico furono adottiate, le
procedure finalizzate anche ad emendare la formazione cistica (pag.13); che la
artroscopia fu inizialmente diagnostica e in seguito chirurgica attuandosi la
meniscectomia e la regolarizzazione del margine laterale del menisco; che il
sanitario pose in essere anche una manovra finalizzata a decomprimere la
formazione cistica e, quindi, una procedura tecnica specifica relativa al
trattamento della cisti parameniscale; che le risultanze della risonanza
magnetica dell'8.5.2007 non hanno evidenziato la cisti in questione; che "nel
contesto degli esiti delle procedura chirurgiche... corrette furono sia la
scelta che l'approccio chirurgico adottati il 5.6.2003".
La conclusione del C.T.U. è quindi nel senso che "non si ravvisa alcuna
censurabile condotta di colui che eseguì la prestazione". Il tempo necessario
per la regressione della cisti non è altresì determinabile, per la mancanza di
indagini diagnostiche strumentali dal 23.8.2003 all'8.5.2007, per cui non vi è
motivo di ritenere che la guarigione sia stata tardiva a causa del trattamento
sanitario praticato; inoltre, il C.T.U. "ha escluso segni clinici postulanti il
persistere di una formazione cistica". In definitiva, non solo parte attrice non
ha dimostrato l'esistenza del rapporto di causalità tra la persistenza della
malattia (la formazione cistica) ed il trattamento chirurgico, ma i convenuti
hanno dato la prova che la prestazione sanitaria in oggetto fu eseguita in modo
diligente.
Al rigetto della domanda consegue la regolamentazione delle spese di lite
secondo il principio della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo,
d'ufficio, in assenza di nota specifica; anche il costo della C.T.U. è in via
definitiva a carico dell'attore.
P.T.M.
Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla
domanda proposta con atto di citazione notificato il 22/23.6.2005 da T. R. nei
confronti della Azienda Ospedaliera Policlinico di (...), con intervento della
(...), rappresentanza generale per l'Italia, così provvede:
rigetta la domanda;
condanna l'attore al pagamento delle spese di lite, liquidate complessivamente
in € ..... (€ ...... per borsuali, € ..... per diritti, €
....... per onorario), oltre 12,50% ex art.14 tariffe forensi, CPA ed IVA;
pone in via definitiva il costo delle C.T.U. a carico dell'attore.
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