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TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300



DIRITTO SANITARIO - Responsabilità dell’Ente gestore del servizio sanitario e del medico dipendente ospedaliero - c.d. contatto sociale. La responsabilità dell'ente gestore del servizio sanitario, al pari del medico dipendente ospedaliero, deve qualificarsi contrattuale, non già per l'esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio insorto tra le parti, bensì in virtù di un rapporto contrattuale di fatto originato dal "contatto sociale" (cfr. Cass. sez.III 22.1.1999 n.589; Cass. 11.3.2002, n.3492; Cass. 14.7.2003 n.11001; Cass. 21.7.2003 n.11316; 28.5.2004 n.10297; Cass. 19.4.2006 n.9085). Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300

DIRITTO SANITARIO - Responsabilità professionale del medico - Inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria - Principio dell'onere della prova - Valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa. Il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l'inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento. Più precisamente, consistendo l'obbligazione professionale in un'obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile. La distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva dunque - come voleva la precedente giurisprudenza - quale criterio di distribuzione dell'onere della prova, ma dovrà essere apprezzata per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà. (Cass. 28.5.2004 n.10297). Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8/07/2009, n. 2300

DIRITTO SANITARIO - Responsabilità professionale dei medico - Esecuzione della prestazione - Mancato o inesatto risultato della prestazione - Difetto di diligenza - Onere della prova. In tema di onere della prova che va accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell'effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla. Infatti, nell'obbligazione di mezzi il mancato o inesatto risultato della prestazione non consiste nell'inadempimento, ma costituisce il danno consequenziale alla non diligente esecuzione della prestazione. In queste obbligazioni in cui l'oggetto è l'attività, l'inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell'esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia "vicina" a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell'inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto” (Cass. 10297/2004, più volte cit.). Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Inadempimento contrattuale - Risoluzione - Risarcimento del danno - Creditore - Prova della fonte negoziale o legale del diritto - Debitore - Onere della prova dell’avvenuto adempimento. Il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento. Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300

 

 

 

Tribunale di Bari, 8 luglio 2009, n. 2300


Omissis


Svolgimento del processo


Con atto di citazione notificato il 22/23.6.2005 T. R. conveniva in giudizio l'Azienda Ospedaliera Consorziale di (...) e il prof. G. S., esponendo che :
- a seguito di ricovero in data 28.5.2004 presso l'Unità Operativa Ortopedia e Traumatologia I del Policlinico di (...), era stato sottoposto ad intervento chirurgico di rimozione di "cisti parameniscale menisco mediale del ginocchio sinistro", eseguito dall'equipe diretta dal prof. S.;
- l'intervento era stato eseguito per via artroscopica, menisectomia selettiva mediale e regolarizzazione del menisco laterale, senza determinare tuttavia la rimozione, ancorché parziale, della cisti, come documentato dalla allegata relazione medico legale;
- l'esito negativo del trattamento sanitario aveva determinato la persistenza della sintomatologia dolorosa, con associata impotenza funzionale.


Sul presupposto quindi che la responsabilità di quanto esposto fosse da attribuire a colpa del chirurgo e della struttura ospedaliere dove il trattamento sanitario chirurgico in questione era stato eseguito con negligenza e imperizia, l'attore chiedeva la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni alla persona, quantificati complessivamente nella somma di € 19.241,95 ovvero in quella maggiore o minore da determinarsi in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria.


Con comparsa di risposta depositata il 10.11.2005 si costituivano l'Azienda Ospedaliera convenuta e il S. nonché contestualmente interveniva volontariamente la (...), in qualità di responsabile civile per eventuali danni cagionati a terzi nell'esercizio delle attività istituzionali, assistenziali e/o ospedaliere, in base a polizza assicurativa n. 1272566: entrambi chiedevano il rigetto della domanda, carente di prova in ordine alla dedotta negligenza ed imperizia dell'operatore sanitario, sostenendo al contrario la corretta esecuzione dell'intervento chirurgico in questione e il carattere imprevedibile delle complicanze sopraggiunte. In via subordinata domandavano che l'eventuale condanna nei confronti dei convenuti fosse posta a carico della società Assicuratrice, nei limiti del massimale stabilito in contratto e del rapporto di coassicurazione.


Instaurato il contraddittorio, in esito alla trattazione, la causa era istruita con acquisizioni documentali e l'espletamento di consulenza medico-legale; alla suddetta udienza di precisazione delle conclusioni era infine riservata per la decisione, con termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.


Motivi della decisione


La domanda non è fondata, nei confronti di entrambi i convenuti, e va pertanto integralmente rigettata.

La fattispecie ha ad oggetto la responsabilità del sanitario, dipendente dell'ente ospedaliero, per danno cagionato al paziente da inesatta prestazione professionale. La richiesta di risarcimento si basa, in particolare, sulla denunciata condotta del chirurgo convenuto, causalmente collegata ad un danno alla persona dell'attrice, e va esaminata nell'ambito dei principi giuridici che disciplinano la responsabilità civile, ai quali occorre fare cenno.


Una costante e condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte ritiene che la responsabilità dell'ente gestore del servizio sanitario, al pari del medico dipendente ospedaliero, deve qualificarsi contrattuale, non già per l'esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio insorto tra le parti, bensì in virtù di un rapporto contrattuale di fatto originato dal "contatto sociale" (cfr. Cass. sez.III 22.1.1999 n.589 e l'ampia motivazione sul punto alla quale hanno fatto riferimento le successive pronunce del giudice di legittimità Cass. 11.3.2002, n.3492; Cass. 14.7.2003 n.11001; Cass. 21.7.2003 n.11316; 28.5.2004 n.10297; Cass. 19.4.2006 n.9085).

 
I criteri di ripartizione dell'onere probatorio nelle controversie di responsabilità professionale (dell'ente ospedaliero e/o del sanitario) devono essere altresì individuati in base al principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite dalla Suprema Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, in tema di onere della prova dell'inadempimento contrattuale e dell'inesatto adempimento.
Le Sezioni Unite, nel risolvere un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici, hanno enunciato il principio secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento. Analogo principio è stato enunciato con riguardo all'inesatto adempimento, rilevando che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento.
Applicando questo principio all'onere della prova nelle cause di responsabilità professionale dei medico deve affermarsi quindi, secondo l'insegnamento della Corte (in termini, Cass. 28.5.2004 n.10297), che il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l'inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento. Più precisamente, consistendo l'obbligazione professionale in un'obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile. La distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva dunque - come voleva la precedente giurisprudenza - quale criterio di distribuzione dell'onere della prova, ma dovrà essere apprezzata per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà. Le argomentazioni a base di questa scelta ermeneutica sono sicuramente valide, avendo, la Corte evidenziato che "porre a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova dell'esatto adempimento della prestazione medica soddisfa in pieno a quella linea evolutiva della giurisprudenza in tema di onere della prova che va accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell'effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla. Infatti, nell'obbligazione di mezzi il mancato o inesatto risultato della prestazione non consiste nell'inadempimento, ma costituisce il danno consequenziale alla non diligente esecuzione della prestazione. In queste obbligazioni in cui l'oggetto è l'attività, l'inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell'esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia "vicina" a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell'inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto” (in motivazione Cass. 10297/2004, più volte cit.).


Ciò premesso, nella fattispecie in esame il T. ha provato,sulla base della documentazione esibita nonché degli esiti della C.T.U. affidata al dott. V. R., depositata il 14.6.2007:
a) a seguito di indagini specifiche, il 5.6.2003 egli fu sottoposto presso la Unità Operativa di Ortopedia Traumatologia I del Policlinico Consorziale di (...) all'artroscopia del ginocchio sinistro, nel corso della quale fu evidenziata una "lesione completa del corpo-corno posteriore del menisco mediale" nonché una "lesione degenerativa del menisco laterale" attuandosi - per la prima dì tali lesioni - una "meniscectomia selettiva" (asportazione della parte del menisco sede
della lesione) e per l'altra una "regolarizzazione" (durante lo stesso intervento si riscontrò altresì la presenza di "condropatia", con prescrizioni terapeutiche - pag.10 della C.T.U.);
b) la successiva risonanza magnetica del 26.8.2003 pose in evidenza - oltre agli esiti della artroscopia - la formazione cistica paramèniscale, sostanzialmente invariata per dimensioni rispetto al controllo del 23.12.2002 e caratterizzata al suo interno da "piccoli artefatti ferromagnetici da esiti di intervento";
c) il 5.6.2003 non fu emendata cruentamente la formazione cistica parameniscale mediale assente tuttavia alla risonanza magnetica dell'8.5.2007 .
Ha osservato il C.T.U. - avvalendosi della consulenza di uno specialista in ortopedia - che- "gli artefatti ferromagnetici posti in evidenza all'interno della formazione cistica e il rilievo dell'edema dei tessuti capsulari lasciano ritenere che nella esecuzione dell'atto chirurgico furono adottiate, le procedure finalizzate anche ad emendare la formazione cistica (pag.13); che la artroscopia fu inizialmente diagnostica e in seguito chirurgica attuandosi la meniscectomia e la regolarizzazione del margine laterale del menisco; che il sanitario pose in essere anche una manovra finalizzata a decomprimere la formazione cistica e, quindi, una procedura tecnica specifica relativa al trattamento della cisti parameniscale; che le risultanze della risonanza magnetica dell'8.5.2007 non hanno evidenziato la cisti in questione; che "nel contesto degli esiti delle procedura chirurgiche... corrette furono sia la scelta che l'approccio chirurgico adottati il 5.6.2003".
La conclusione del C.T.U. è quindi nel senso che "non si ravvisa alcuna censurabile condotta di colui che eseguì la prestazione". Il tempo necessario per la regressione della cisti non è altresì determinabile, per la mancanza di indagini diagnostiche strumentali dal 23.8.2003 all'8.5.2007, per cui non vi è motivo di ritenere che la guarigione sia stata tardiva a causa del trattamento sanitario praticato; inoltre, il C.T.U. "ha escluso segni clinici postulanti il persistere di una formazione cistica". In definitiva, non solo parte attrice non ha dimostrato l'esistenza del rapporto di causalità tra la persistenza della malattia (la formazione cistica) ed il trattamento chirurgico, ma i convenuti hanno dato la prova che la prestazione sanitaria in oggetto fu eseguita in modo diligente.


Al rigetto della domanda consegue la regolamentazione delle spese di lite secondo il principio della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, d'ufficio, in assenza di nota specifica; anche il costo della C.T.U. è in via definitiva a carico dell'attore.


P.T.M.


Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con atto di citazione notificato il 22/23.6.2005 da T. R. nei confronti della Azienda Ospedaliera Policlinico di (...), con intervento della (...), rappresentanza generale per l'Italia, così provvede:
rigetta la domanda;
condanna l'attore al pagamento delle spese di lite, liquidate complessivamente in € ..... (€  ......  per borsuali, €  ..... per diritti, €  ....... per onorario), oltre 12,50% ex art.14 tariffe forensi, CPA ed IVA;
pone in via definitiva il costo delle C.T.U. a carico dell'attore.



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