Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la
seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 1310 del 2002 proposto dalla Regione
Basilicata, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Mirella Viggiani e Maria Carmela Santoro ed
elettivamente domiciliata presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione
Basilicata, in Roma, via Nizza n. 56;
contro
la sig.ra Stella Mannozzi, rappresentata e difesa dall’avv. Anna Laino e con la
stessa elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Piergiorgio Berardi,
in Roma, Via dei Prati Fiscali n. 258;
per l'annullamento
della sentenza n. 784 del 20 dicembre 2000 resa inter partes dal Tribunale
Amministrativo Regionale per la Basilicata sul ricorso proposto dall’odierna
appellata;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della sig.ra Mannozzi;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 15 luglio 2003 il Consigliere Dedi Rulli;
nessuno presente per la Regione appellante e udito l’avv. Berardi (per delega
dell’avv. Laino) per l’appellata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la
Basilicata la sig.ra Stella Mannozzi impugnava la determinazione dirigenziale
del Dipartimento Assetto del Territorio della Regione Basilicata con la quale le
era stata inflitta l’indennità risarcitoria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939
n. 1497 per opere abusive realizzate in area sottoposta a vincolo ambientale.
Il Tribunale adito, dopo aver precisato che la controversia rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, accoglieva il gravame sul
rilievo che nella specie era ormai intervenuta la prescrizione quinquennale del
diritto dell’Amministrazione di riscuotere la sanzione e del potere da essa
esercitato ai fini della sua applicazione.
Con atto notificato in data 26 gennaio 2002 la Regione Basilicata ha impugnato
la predetta decisione deducendo la “violazione dei principi che regolano
l’esercizio delle funzioni amministrative; illegittima ed erronea applicazione
della L. n. 689/81; insussistenza dei presupposti”.
Afferma, al riguardo, ed in particolare in relazione alla fattispecie di cui al
ricordato art. 15 della legge del 1939, che il potere dell’autorità
amministrativa di irrogare la sanzione pecuniaria in alternativa a quella della
riduzione in pristino dello stato dei luoghi non risulta sottoposto a termini di
decadenza o di prescrizione volti a limitare nel tempo l’adozione delle dette
misure sanzionatorie, così che dovrebbe essere fatta applicazione del principio
generale in base al quale, in mancanza di espresse previsioni legislative, la
potestà pubblica può essere esercitata in ogni tempo. Richiama in proposito
alcune pronunzie di questo Consiglio che hanno deciso analoghe controversie nel
senso prospettato precisando che gli illeciti amministrativi in materia
paesistica ed urbanistica – edilizia hanno carattere permanente con la
conseguenza che la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 della legge n.
689/81 inizia a decorrere solo dal giorno in cui è cessata la permanenza.
Né può ricollegarsi, come ha fatto il giudice di primo grado (senza peraltro
indicare in base a quali elementi sarebbe pervenuto a detta soluzione) siffatto
momento al rilascio, in favore dell’originario ricorrente, del parere favorevole
al mantenimento della costruzione abusiva atteso che la situazione di illiceità
può dirsi venuta meno solo nel momento in cui è stato assolto l’obbligo di
riduzione in pristino dello stato dei luoghi, obbligo mai adempiuto
dall’interessato.
La Regione Basilicata conclude chiedendo l’accoglimento dell’appello con
l’annullamento della sentenza impugnata.
Per resistere al giudizio si è costituita la sig.ra Mannozzi la quale, nella
memoria di costituzione ribadisce la correttezza della sentenza impugnata che la
contraddittorietà delle tesi difensive svolte dalla Regione non riesce a
superare.
Ripropone, poi, i motivi di illegittimità dedotti in primo grado e non esaminati
in ragione del disposto assorbimento.
In particolare ribadisce:
a) “Violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 2, comma 46 della L. n.
662/96” per la irretroattività della disposizione che non potrebbe disciplinare
una fattispecie ormai esaurita nella vigenza di una diversa normativa;
b) “Eccesso di potere per presupposto erroneo e per difetto assoluto di
motivazione” atteso che la assoluta mancanza di un danno ambientale, confermata
dal rilascio del parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva, non
consente l’applicazione della sanzione pecuniaria;
c) “nullità della determinazione per errata quantificazione della somma. Difetto
di motivazione. Arbitrarietà” per la mancata applicazione del D.M. 26 settembre
1997 con il quale sono stati fissati i criteri per la concreta determinazione
dell’indennità.
Conclude per la reiezione dell’appello e la conferma della statuizione
censurata.
Alla pubblica udienza del 15 luglio 2003, su richiesta del difensore di parte
appellata, la controversia è stata spedita in decisione.
DIRITTO
1. Con la decisione portata all’esame del Collegio il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Basilicata ha accolto il ricorso proposto dall’odierna
appellata avverso la determinazione regionale di applicazione della sanzione
pecuniaria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, ritenendo prescritto il
credito vantato dall’Amministrazione per effetto dell’art. 28 della L. 24
novembre 1981 n. 689 ed assorbendo gli altri motivi prospettati.
La Regione Basilicata, nell’appello proposto, contesta le tesi argomentative e
le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado e richiama, a
sostegno del richiesto annullamento, le più recenti pronunzie di questo
Consiglio che hanno esaminato i vari profili relativi alla interpretazione della
disciplina in materia.
2. Le questioni che vengono in rilievo in relazione all’odierna controversia non
sono sconosciute al Collegio che, in relazione alla fattispecie in esame,
ritiene di poter condividere, sia pure con alcune ulteriori precisazioni rese
necessarie dalla peculiarità del caso, l’impostazione seguita e le conclusioni
alle quali è pervenuto questo Consiglio di Stato nell’esame di controversie
aventi nalogo contenuto (Cfr., Sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279; Sez. V, 8
giugno 1994, n. 614; Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184; 9 ottobre 2000, n. 5373).
I principi enucleati in dette decisioni possono riassumersi nelle seguenti
considerazioni:
a) l’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 va interpretato nel senso che
l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici
costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che prescinde dalla
sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando una forma di
risarcimento del danno;
b) condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale,
purchè sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità competente ai sensi
dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
c) applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche nel caso in cui
sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art. 2, comma 46
della legge 23 dicembre 1966, n. 662, norma di natura chiaramente
interpretativa;
d) applicabilità dell’art. 28 legge n. 689 del 24 novembre 1981, a norma del
quale “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative
punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in
cui è stata commessa la violazione”, atteso che i principi e le norme dettati
dal capo I della legge n. 689 del 1981 sono applicabili, per espresso dettato
legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative
pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art.
12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in
materia urbanistica edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.
La regola della prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno della
commissione della violazione, pur dovendo, in astratto, trovare applicazione in
materia di illeciti amministrativi puniti con pena pecuniaria previsti dalla
normativa di tutela urbanistica edilizia e del paesaggio (Cass., I Sez., 25
luglio 1997 n. 6967), richiede, però, talune precisazioni.
Come a riguardo è stato già osservato (cfr. C.d.S., Sez. VI, 2 giugno 2000, n.
3184 citata):
- gli illeciti in materia urbanistica edilizia e paesistica, ove consistano
nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni,
hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti
medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione
di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni;
- in materia di decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo
permanente, deve trovare applicazione il principio penalistico dettato per il
reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno
in cui è cessata la permanenza (art. 158 comma 1 Cod. pen.);
- pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica
edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689 del 1981
inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza
che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo
repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di
motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (C. d. S., Sez. VI,
19 ottobre 1995 n. 1162; Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614).
Per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli
illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, è stato
precisato che, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva
(sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla ultimazione
dell'abuso), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di
carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel
tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore
conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione,
ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto «a distanza
di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente
contra jus, ancora sussistente.
Dalle considerazioni che precedono si ricava, dunque, che nel campo
dell’illecito amministrativo – che, come quello in esame, integra un’ipotesi di
illecito formale consistente nell’omessa richiesta della preventiva
autorizzazione – la permanenza cessa (e il termine quinquennale di prescrizione
comincia a decorrere) o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il
conseguimento dell’autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere
rilasciata anche in via postuma. (Cfr., C.d.S., Sez. VI, 12 maggio 2003, n.
2653; 30 ottobre 2000, n. 5851; Ad. Generale 11 aprile 2002, n. 4/Gab. e n. di
Sezione 2340/2001).
3. Alla stregua delle considerazioni appena svolte, deve ritenersi che nel caso
di specie, consistendo l'illecito paesistico nella realizzazione di opera in
zona vincolata senza la prescritta autorizzazione, la permanenza dell'illecito
non era ancora cessata alla data in cui è stata applicata, la sanzione
pecuniaria di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, e dunque l'esercizio del
potere repressivo è stato tempestivo.
Il giudice di primo grado, invece, dopo avere precisato che il comportamento
sanzionato dall’art. 15 della ricordata legge n. 1497 del 1939 ha carattere di
illecito permanente, ha individuato il dies a quo dal quale inizia a decorrere
il quinquennio prescrizionale nel momento in cui l’Autorità preposta a tutela
del vincolo ha espresso parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva
realizzata, facendo così venir meno l’antigiuridicità del fatto.
Siffatta conclusione non può essere condivisa.
Ed infatti, se è vero, come affermato in sentenza, che l’illecito in questione
ha natura permanente, è altrettanto vero che lo stesso è caratterizzato
dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus
lo stato dei luoghi, così che se l’amministrazione si determina con un
provvedimento repressivo (demolizione ovvero irrogazione della sanzione
pecuniaria) non è “emanato un atto a distanza di tempo” dalla commissione
dell’abuso, ma si sanziona una situazione antigiuridica ancora contra jus,
atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo quando è stato
assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di demolizione o
di pagamento della sanzione pecuniaria, come nella specie, ovvero ancora con il
conseguimento in via postuma dell’autorizzazione paesaggistica prevista dalla
legge.
Nè è esatto assumere a parametro di riferimento, come ha fatto il giudice di
primo grado, il parere favorevole al mantenimento delle opere abusivamente
realizzate espresso dalla Commissione regionale per la tutela del paesaggio e
dall’Assessore al Dipartimento assetto del territorio in relazione al
provvedimento rilascio della concessione edilizia in sanatoria.
Siffatto parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da
ritenere privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il
rilascio della concessione edilizia (o autorizzazione) in sanatoria inserendosi,
secondo le previsioni contenute nell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, nel
diverso procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura
edilizia-urbanistica in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici
e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di
prescrizione previsto dal ricordato art. 28 della normativa del 1981. Al
contrario, il provvedimento sanzionatorio impugnato trova la sua disciplina in
una normativa diversa da quella prevista nella cd. legge sul condono edilizio,
si inserisce in un autonomo procedimento in cui intervengono altre
Amministrazioni, titolari di interessi finalizzati alla tutela dell’ambiente,
del paesaggio e del territorio, nonchè alla repressione di eventuali abusi.
Come conferma della correttezza di quanto fin qui precisato si pone anche l’art.
2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il
“versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità
risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la
peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico
interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia
risarcito per equivalente.
Infatti oblazione e sanzione pecuniaria hanno finalità diverse, si inseriscono
in procedimenti differenti e colpiscono comportamenti diversi, così che il
pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione
dell’altra.
Del resto, questo Consiglio ha espressamente chiarito che l’autorizzazione
postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale non preclude la
possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15
della legge n. 1497 del 1939, dal momento che “un’autorizzazione postuma ai fini
ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di
sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza,
vincolandolo nell’esito, il residuo potere - dovere dell’autorità competente di
procedere all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497
del 1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere
nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità
ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale
dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione
dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo
di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo
dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 21 febbraio 2001).
Con l’ulteriore precisazione che la verifica postuma di compatibilità ambientale
e la conseguente definizione del procedimento di cui all’art. 13 della legge n.
47 del 1985 non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; e che, in
presenza di una valutazione di tal fatta, l’Amministrazione ha il potere -
dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la
possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo
problema della quantificazione dell’importo alla luce dei criteri cristallizzati
dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.).
4. L’accoglimento dell’appello proposto dalla Regione Basilicata impone, a
questo punto, l’esame delle doglianze dichiarate assorbite in primo grado e
riproposte in questa sede con le quali si ribadisce la illegittimità del
provvedimento sanzionatorio impugnato perché adottato sulla base di una
disposizione che non può ritenersi retroattiva e, quindi, non applicabile ad una
fattispecie conclusa nella vigenza di una diversa disciplina, per inesistenza di
un danno sostanziale, nonchè per erroneità nella quantificazione dell’importo
della stessa operato senza tener conto degli specifici criteri dettati con il
D.M. del 1997.
Quanto ai primi due profili il Collegio, oltre a quanto già compiutamente
precisato nei precedenti paragrafi, non può che richiamare le considerazioni
svolte in sede di esame di controversie di contenuto analogo (cfr. Sez. IV, n.
6279 del 12 novembre 2002; Sez. VI, n. 3184 del 2 giugno 2000) in cui si è
precisato, a parte la natura chiaramente interpretativa della disposizione di
cui al più volte ricordato art. 2, comma 46, che la sanzione prevista dal
ricordato art. 15 non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno
ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia in caso
di illeciti sostanziali (compromissione dell’integrità paesaggistica) sia nella
ipotesi di illeciti formali (mancanza del titolo autorizzatorio) e trova
applicazione anche nella ipotesi in cui sia intervenuto, ai sensi dell’art. 32
della L. n. 47 del 1985, parere favorevole alla condonabilità da parte
dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
E’, invece, meritevole di accoglimento l’ultima censura con la quale si lamenta
la mancata applicazione dei criteri contenuti nel D.M. 26 settembre 1997 ai fini
della quantificazione della sanzione da irrogare.
Ed infatti, con il decreto del 1997, attuativo del comma 46 dell’art. 2 della L.
n. 662 del 1996, sono stati determinati i parametri e le modalità per la
quantificazione dell’indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate
nelle aree sottoposte a vincolo.
Fermo restando il principio che l’indennità risarcitoria è pari alla maggior
somma tra il danno paesaggistico arrecato ed il profitto conseguito, nel decreto
si è precisato, sul punto, che:
“l'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, si applica a qualsiasi
intervento realizzato abusivamente nelle aree sottoposte alle disposizioni della
legge medesima e del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con
modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, ad esclusione delle opere
interne e degli interventi indicati dal comma dodicesimo dell'art. 82 del
decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato
dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.
L'indennità risarcitoria di cui all'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497,
è determinata previa apposita perizia di valutazione del danno causato
dall'intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio
vincolato ed alla normativa di tutela vigente sull'area interessata, nonché
mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive.
In via generale è qualificato quale profitto la differenza tra il valore
dell'opera realizzata ed i costi sostenuti per la esecuzione della stessa, alla
data di effettuazione delle perizia.
Il profitto è pari, in via ordinaria al tre per cento del valore d'estimo
dell'unità immobiliare come determinato ai sensi dell'art. 2 della legge 24
marzo 1993, n. 75, del decreto legislativo 28 dicembre 1993, n. 568, e della
legge 23 dicembre 1996, n. 662 …..”.
La disposizione in esame, quindi, abbandonato ogni riferimento al valore di
mercato del bene, assume quale parametro di valutazione il 3% del valore
d’estimo della unità immobiliare (o il diverso incremento della predetta
aliquota eventualmente determinata dalla Regione, che, nella specie, non è
intervenuta).
Nel caso in esame, contrariamente al contenuto delle disposizioni appena citate,
il Dipartimento Assetto del Territorio – Ufficio Urbanistica e Tutela del
paesaggio, la cui perizia è stata assunta a base della quantificazione della
sanzione irrogata, ha fatto riferimento “al valore di mercato desunto dalle
tabelle dell’Ufficio Tecnico Erariale aggiornate al 1997”.
E non vale il richiamo fatto dalla Regione Basilicata alla più recente decisione
della Sesta Sezione di questo Consiglio (n. 3184 del 2 giugno 2000) la cui
attenta lettura conduce a conclusioni affatto diverse da quelle indicate
nell’atto di appello. La detta pronuncia, nel fissare l’ambito di operatività
del decreto in esame, ha in realtà precisato che dei criteri in esso previsti va
fatta applicazione per le ipotesi di abusi edilizi c.d. conformi, quelli idonei,
cioè, ad essere destinatari del parere favorevole dell’Autorità preposta al
vincolo; e non è contestato il fatto che l’abuso qui sanzionato è stato oggetto
della procedura di condono avendo ottenuto il necessario parere favorevole, così
che non vi sono ostacoli all’applicabilità della normativa secondaria di cui si
discute.
Per gli abusi non conformi la predetta decisione ha precisato, in realtà, che le
norme del decreto del 1997 finiscono con “l’essere norme inutili” destinate a
non trovare pratica applicazione, atteso che questi ultimi non avranno mai il
parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
5. In conclusione l’appello proposto dalla Regione Basilicata va accolto, va
accolto il ricorso di primo grado per il motivo appena esaminato e la decisione
impugnata deve essere confermata con diversa motivazione.
Sussistono motivi per compensare le spese e gli onorari dei due gradi di
giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente
pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe, accoglie il ricorso di primo grado
e, per l’effetto, conferma la decisione impugnata con diversa motivazione.
Compensa, tra le parti, le spese e onorari dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 15 luglio 2003, in camera di consiglio, con l'intervento
dei magistrati:
Gaetano Trotta Presidente
Giuseppe Barbagallo Consigliere
Costantino Salvatore Consigliere
Dedi Marinella Rulli Consigliere, estensore
Antonino Anastasi Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
03/11/2003
(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)
1) Sanzione amministrativa pecuniaria - abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici - prescrizione - applicabilità della prescrizione quinquennale ex art. 28 L. 689/81 - decorrenza dei termini - illecito permanente caratterizzato dall’omissione dell’obbligo di riprestare secundum jus lo stato dei luoghi - la prescrizione quinquennale comincia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza. Nel caso di abusi edilizi commessi in zone soggette a vincolo paesaggistico è applicabile l’art. 28 legge n. 689 del 24 novembre 1981, a norma del quale “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, atteso che i principi e le norme dettati dal capo I della legge n. 689 del 1981 sono applicabili, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria. (Cfr., Sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279; Sez. V, 8 giugno 1994, n. 614; Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184; 9 ottobre 2000, n. 5373). Gli illeciti in materia urbanistica edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni; in materia di decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, deve trovare applicazione il principio penalistico dettato per il reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158 comma 1 Cod. pen.); pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (C. d. S., Sez. VI, 19 ottobre 1995 n. 1162; Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614). Per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, è stato precisato che, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla ultimazione dell'abuso), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto «a distanza di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente. Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso).
2) Condono edilizio - autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale - versamento dell’oblazione - non esclude l’obbligo di applicare la sanzione pecuniaria amministrativa. di L’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente. Infatti oblazione e sanzione pecuniaria hanno finalità diverse, si inseriscono in procedimenti differenti e colpiscono comportamenti diversi, così che il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione dell’altra. Del resto, questo Consiglio ha espressamente chiarito che l’autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale non preclude la possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal momento che “un’autorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nell’esito, il residuo potere-dovere dell’autorità competente di procedere all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 21 febbraio 2001). Con l’ulteriore precisazione che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente definizione del procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; e che, in presenza di una valutazione di tal fatta, l’Amministrazione ha il potere-dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell’importo alla luce dei criteri cristallizzati dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso).
3) Abuso edilizio in zona sottoposta a vincolo paesaggistico - natura della sanzione amministrativa - applicabilità anche in caso di parere favorevole alla condonabilità da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. La sanzione prevista dall'art. 15 non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia in caso di illeciti sostanziali (compromissione dell’integrità paesaggistica) sia nella ipotesi di illeciti formali (mancanza del titolo autorizzatorio) e trova applicazione anche nella ipotesi in cui sia intervenuto, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, parere favorevole alla condonabilità da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso).
Si veda anche: Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279 (vedi: sentenza per esteso)
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