AmbienteDiritto.it                                                                                

Legislazione  Giurisprudenza                                           Vedi altre: Sentenze per esteso


    Copyright © Ambiente Diritto.it

 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenza n. 7047.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente


D E C I S I O N E


sul ricorso in appello n. 1310 del 2002 proposto dalla Regione Basilicata, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mirella Viggiani e Maria Carmela Santoro ed elettivamente domiciliata presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Basilicata, in Roma, via Nizza n. 56;
contro
la sig.ra Stella Mannozzi, rappresentata e difesa dall’avv. Anna Laino e con la stessa elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Piergiorgio Berardi, in Roma, Via dei Prati Fiscali n. 258;
per l'annullamento
della sentenza n. 784 del 20 dicembre 2000 resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata sul ricorso proposto dall’odierna appellata;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della sig.ra Mannozzi;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 15 luglio 2003 il Consigliere Dedi Rulli; nessuno presente per la Regione appellante e udito l’avv. Berardi (per delega dell’avv. Laino) per l’appellata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
 

F A T T O


Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata la sig.ra Stella Mannozzi impugnava la determinazione dirigenziale del Dipartimento Assetto del Territorio della Regione Basilicata con la quale le era stata inflitta l’indennità risarcitoria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 per opere abusive realizzate in area sottoposta a vincolo ambientale.


Il Tribunale adito, dopo aver precisato che la controversia rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, accoglieva il gravame sul rilievo che nella specie era ormai intervenuta la prescrizione quinquennale del diritto dell’Amministrazione di riscuotere la sanzione e del potere da essa esercitato ai fini della sua applicazione.


Con atto notificato in data 26 gennaio 2002 la Regione Basilicata ha impugnato la predetta decisione deducendo la “violazione dei principi che regolano l’esercizio delle funzioni amministrative; illegittima ed erronea applicazione della L. n. 689/81; insussistenza dei presupposti”.


Afferma, al riguardo, ed in particolare in relazione alla fattispecie di cui al ricordato art. 15 della legge del 1939, che il potere dell’autorità amministrativa di irrogare la sanzione pecuniaria in alternativa a quella della riduzione in pristino dello stato dei luoghi non risulta sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione volti a limitare nel tempo l’adozione delle dette misure sanzionatorie, così che dovrebbe essere fatta applicazione del principio generale in base al quale, in mancanza di espresse previsioni legislative, la potestà pubblica può essere esercitata in ogni tempo. Richiama in proposito alcune pronunzie di questo Consiglio che hanno deciso analoghe controversie nel senso prospettato precisando che gli illeciti amministrativi in materia paesistica ed urbanistica – edilizia hanno carattere permanente con la conseguenza che la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 della legge n. 689/81 inizia a decorrere solo dal giorno in cui è cessata la permanenza.


Né può ricollegarsi, come ha fatto il giudice di primo grado (senza peraltro indicare in base a quali elementi sarebbe pervenuto a detta soluzione) siffatto momento al rilascio, in favore dell’originario ricorrente, del parere favorevole al mantenimento della costruzione abusiva atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo nel momento in cui è stato assolto l’obbligo di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, obbligo mai adempiuto dall’interessato.


La Regione Basilicata conclude chiedendo l’accoglimento dell’appello con l’annullamento della sentenza impugnata.


Per resistere al giudizio si è costituita la sig.ra Mannozzi la quale, nella memoria di costituzione ribadisce la correttezza della sentenza impugnata che la contraddittorietà delle tesi difensive svolte dalla Regione non riesce a superare.


Ripropone, poi, i motivi di illegittimità dedotti in primo grado e non esaminati in ragione del disposto assorbimento.


In particolare ribadisce:
a) “Violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 2, comma 46 della L. n. 662/96” per la irretroattività della disposizione che non potrebbe disciplinare una fattispecie ormai esaurita nella vigenza di una diversa normativa;
b) “Eccesso di potere per presupposto erroneo e per difetto assoluto di motivazione” atteso che la assoluta mancanza di un danno ambientale, confermata dal rilascio del parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva, non consente l’applicazione della sanzione pecuniaria;
c) “nullità della determinazione per errata quantificazione della somma. Difetto di motivazione. Arbitrarietà” per la mancata applicazione del D.M. 26 settembre 1997 con il quale sono stati fissati i criteri per la concreta determinazione dell’indennità.
Conclude per la reiezione dell’appello e la conferma della statuizione censurata.
Alla pubblica udienza del 15 luglio 2003, su richiesta del difensore di parte appellata, la controversia è stata spedita in decisione.


DIRITTO


1. Con la decisione portata all’esame del Collegio il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata ha accolto il ricorso proposto dall’odierna appellata avverso la determinazione regionale di applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, ritenendo prescritto il credito vantato dall’Amministrazione per effetto dell’art. 28 della L. 24 novembre 1981 n. 689 ed assorbendo gli altri motivi prospettati.


La Regione Basilicata, nell’appello proposto, contesta le tesi argomentative e le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado e richiama, a sostegno del richiesto annullamento, le più recenti pronunzie di questo Consiglio che hanno esaminato i vari profili relativi alla interpretazione della disciplina in materia.


2. Le questioni che vengono in rilievo in relazione all’odierna controversia non sono sconosciute al Collegio che, in relazione alla fattispecie in esame, ritiene di poter condividere, sia pure con alcune ulteriori precisazioni rese necessarie dalla peculiarità del caso, l’impostazione seguita e le conclusioni alle quali è pervenuto questo Consiglio di Stato nell’esame di controversie aventi nalogo contenuto (Cfr., Sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279; Sez. V, 8 giugno 1994, n. 614; Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184; 9 ottobre 2000, n. 5373).


I principi enucleati in dette decisioni possono riassumersi nelle seguenti considerazioni:
a) l’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando una forma di risarcimento del danno;
b) condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale, purchè sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità competente ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
c) applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche nel caso in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art. 2, comma 46 della legge 23 dicembre 1966, n. 662, norma di natura chiaramente interpretativa;
d) applicabilità dell’art. 28 legge n. 689 del 24 novembre 1981, a norma del quale “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, atteso che i principi e le norme dettati dal capo I della legge n. 689 del 1981 sono applicabili, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.


La regola della prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno della commissione della violazione, pur dovendo, in astratto, trovare applicazione in materia di illeciti amministrativi puniti con pena pecuniaria previsti dalla normativa di tutela urbanistica edilizia e del paesaggio (Cass., I Sez., 25 luglio 1997 n. 6967), richiede, però, talune precisazioni.


Come a riguardo è stato già osservato (cfr. C.d.S., Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184 citata):
- gli illeciti in materia urbanistica edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni;
- in materia di decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, deve trovare applicazione il principio penalistico dettato per il reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158 comma 1 Cod. pen.);
- pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (C. d. S., Sez. VI, 19 ottobre 1995 n. 1162; Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614).


Per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, è stato precisato che, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla ultimazione dell'abuso), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto «a distanza di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente.


Dalle considerazioni che precedono si ricava, dunque, che nel campo dell’illecito amministrativo – che, come quello in esame, integra un’ipotesi di illecito formale consistente nell’omessa richiesta della preventiva autorizzazione – la permanenza cessa (e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere) o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell’autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma. (Cfr., C.d.S., Sez. VI, 12 maggio 2003, n. 2653; 30 ottobre 2000, n. 5851; Ad. Generale 11 aprile 2002, n. 4/Gab. e n. di Sezione 2340/2001).


3. Alla stregua delle considerazioni appena svolte, deve ritenersi che nel caso di specie, consistendo l'illecito paesistico nella realizzazione di opera in zona vincolata senza la prescritta autorizzazione, la permanenza dell'illecito non era ancora cessata alla data in cui è stata applicata, la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, e dunque l'esercizio del potere repressivo è stato tempestivo.


Il giudice di primo grado, invece, dopo avere precisato che il comportamento sanzionato dall’art. 15 della ricordata legge n. 1497 del 1939 ha carattere di illecito permanente, ha individuato il dies a quo dal quale inizia a decorrere il quinquennio prescrizionale nel momento in cui l’Autorità preposta a tutela del vincolo ha espresso parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva realizzata, facendo così venir meno l’antigiuridicità del fatto.


Siffatta conclusione non può essere condivisa.


Ed infatti, se è vero, come affermato in sentenza, che l’illecito in questione ha natura permanente, è altrettanto vero che lo stesso è caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, così che se l’amministrazione si determina con un provvedimento repressivo (demolizione ovvero irrogazione della sanzione pecuniaria) non è “emanato un atto a distanza di tempo” dalla commissione dell’abuso, ma si sanziona una situazione antigiuridica ancora contra jus, atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo quando è stato assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di demolizione o di pagamento della sanzione pecuniaria, come nella specie, ovvero ancora con il conseguimento in via postuma dell’autorizzazione paesaggistica prevista dalla legge.


Nè è esatto assumere a parametro di riferimento, come ha fatto il giudice di primo grado, il parere favorevole al mantenimento delle opere abusivamente realizzate espresso dalla Commissione regionale per la tutela del paesaggio e dall’Assessore al Dipartimento assetto del territorio in relazione al provvedimento rilascio della concessione edilizia in sanatoria.


Siffatto parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da ritenere privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il rilascio della concessione edilizia (o autorizzazione) in sanatoria inserendosi, secondo le previsioni contenute nell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, nel diverso procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura edilizia-urbanistica in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto dal ricordato art. 28 della normativa del 1981. Al contrario, il provvedimento sanzionatorio impugnato trova la sua disciplina in una normativa diversa da quella prevista nella cd. legge sul condono edilizio, si inserisce in un autonomo procedimento in cui intervengono altre Amministrazioni, titolari di interessi finalizzati alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, nonchè alla repressione di eventuali abusi.


Come conferma della correttezza di quanto fin qui precisato si pone anche l’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente.


Infatti oblazione e sanzione pecuniaria hanno finalità diverse, si inseriscono in procedimenti differenti e colpiscono comportamenti diversi, così che il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione dell’altra.


Del resto, questo Consiglio ha espressamente chiarito che l’autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale non preclude la possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal momento che “un’autorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nell’esito, il residuo potere - dovere dell’autorità competente di procedere all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 21 febbraio 2001).


Con l’ulteriore precisazione che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente definizione del procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; e che, in presenza di una valutazione di tal fatta, l’Amministrazione ha il potere - dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell’importo alla luce dei criteri cristallizzati dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.).


4. L’accoglimento dell’appello proposto dalla Regione Basilicata impone, a questo punto, l’esame delle doglianze dichiarate assorbite in primo grado e riproposte in questa sede con le quali si ribadisce la illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato perché adottato sulla base di una disposizione che non può ritenersi retroattiva e, quindi, non applicabile ad una fattispecie conclusa nella vigenza di una diversa disciplina, per inesistenza di un danno sostanziale, nonchè per erroneità nella quantificazione dell’importo della stessa operato senza tener conto degli specifici criteri dettati con il D.M. del 1997.


Quanto ai primi due profili il Collegio, oltre a quanto già compiutamente precisato nei precedenti paragrafi, non può che richiamare le considerazioni svolte in sede di esame di controversie di contenuto analogo (cfr. Sez. IV, n. 6279 del 12 novembre 2002; Sez. VI, n. 3184 del 2 giugno 2000) in cui si è precisato, a parte la natura chiaramente interpretativa della disposizione di cui al più volte ricordato art. 2, comma 46, che la sanzione prevista dal ricordato art. 15 non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia in caso di illeciti sostanziali (compromissione dell’integrità paesaggistica) sia nella ipotesi di illeciti formali (mancanza del titolo autorizzatorio) e trova applicazione anche nella ipotesi in cui sia intervenuto, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, parere favorevole alla condonabilità da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.


E’, invece, meritevole di accoglimento l’ultima censura con la quale si lamenta la mancata applicazione dei criteri contenuti nel D.M. 26 settembre 1997 ai fini della quantificazione della sanzione da irrogare.


Ed infatti, con il decreto del 1997, attuativo del comma 46 dell’art. 2 della L. n. 662 del 1996, sono stati determinati i parametri e le modalità per la quantificazione dell’indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate nelle aree sottoposte a vincolo.


Fermo restando il principio che l’indennità risarcitoria è pari alla maggior somma tra il danno paesaggistico arrecato ed il profitto conseguito, nel decreto si è precisato, sul punto, che:
“l'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, si applica a qualsiasi intervento realizzato abusivamente nelle aree sottoposte alle disposizioni della legge medesima e del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, ad esclusione delle opere interne e degli interventi indicati dal comma dodicesimo dell'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.


L'indennità risarcitoria di cui all'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, è determinata previa apposita perizia di valutazione del danno causato dall'intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio vincolato ed alla normativa di tutela vigente sull'area interessata, nonché mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive. In via generale è qualificato quale profitto la differenza tra il valore dell'opera realizzata ed i costi sostenuti per la esecuzione della stessa, alla data di effettuazione delle perizia.


Il profitto è pari, in via ordinaria al tre per cento del valore d'estimo dell'unità immobiliare come determinato ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75, del decreto legislativo 28 dicembre 1993, n. 568, e della legge 23 dicembre 1996, n. 662 …..”.


La disposizione in esame, quindi, abbandonato ogni riferimento al valore di mercato del bene, assume quale parametro di valutazione il 3% del valore d’estimo della unità immobiliare (o il diverso incremento della predetta aliquota eventualmente determinata dalla Regione, che, nella specie, non è intervenuta).


Nel caso in esame, contrariamente al contenuto delle disposizioni appena citate, il Dipartimento Assetto del Territorio – Ufficio Urbanistica e Tutela del paesaggio, la cui perizia è stata assunta a base della quantificazione della sanzione irrogata, ha fatto riferimento “al valore di mercato desunto dalle tabelle dell’Ufficio Tecnico Erariale aggiornate al 1997”.


E non vale il richiamo fatto dalla Regione Basilicata alla più recente decisione della Sesta Sezione di questo Consiglio (n. 3184 del 2 giugno 2000) la cui attenta lettura conduce a conclusioni affatto diverse da quelle indicate nell’atto di appello. La detta pronuncia, nel fissare l’ambito di operatività del decreto in esame, ha in realtà precisato che dei criteri in esso previsti va fatta applicazione per le ipotesi di abusi edilizi c.d. conformi, quelli idonei, cioè, ad essere destinatari del parere favorevole dell’Autorità preposta al vincolo; e non è contestato il fatto che l’abuso qui sanzionato è stato oggetto della procedura di condono avendo ottenuto il necessario parere favorevole, così che non vi sono ostacoli all’applicabilità della normativa secondaria di cui si discute.


Per gli abusi non conformi la predetta decisione ha precisato, in realtà, che le norme del decreto del 1997 finiscono con “l’essere norme inutili” destinate a non trovare pratica applicazione, atteso che questi ultimi non avranno mai il parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.


5. In conclusione l’appello proposto dalla Regione Basilicata va accolto, va accolto il ricorso di primo grado per il motivo appena esaminato e la decisione impugnata deve essere confermata con diversa motivazione.


Sussistono motivi per compensare le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe, accoglie il ricorso di primo grado e, per l’effetto, conferma la decisione impugnata con diversa motivazione.


Compensa, tra le parti, le spese e onorari dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 15 luglio 2003, in camera di consiglio, con l'intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta Presidente
Giuseppe Barbagallo Consigliere
Costantino Salvatore Consigliere
Dedi Marinella Rulli Consigliere, estensore
Antonino Anastasi Consigliere



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
03/11/2003
(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Sanzione amministrativa pecuniaria - abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici - prescrizione - applicabilità della prescrizione quinquennale ex art. 28 L. 689/81 - decorrenza dei termini - illecito permanente caratterizzato dall’omissione dell’obbligo di riprestare secundum jus lo stato dei luoghi - la prescrizione quinquennale comincia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza. Nel caso di abusi edilizi commessi in zone soggette a vincolo paesaggistico è applicabile l’art. 28 legge n. 689 del 24 novembre 1981, a norma del quale “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, atteso che i principi e le norme dettati dal capo I della legge n. 689 del 1981 sono applicabili, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria. (Cfr., Sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279; Sez. V, 8 giugno 1994, n. 614; Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184; 9 ottobre 2000, n. 5373). Gli illeciti in materia urbanistica edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni; in materia di decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, deve trovare applicazione il principio penalistico dettato per il reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158 comma 1 Cod. pen.); pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (C. d. S., Sez. VI, 19 ottobre 1995 n. 1162; Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614). Per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, è stato precisato che, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla ultimazione dell'abuso), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto «a distanza di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente. Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso).

 

2) Condono edilizio - autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale - versamento dell’oblazione - non esclude l’obbligo di applicare la sanzione pecuniaria amministrativa. di L’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente. Infatti oblazione e sanzione pecuniaria hanno finalità diverse, si inseriscono in procedimenti differenti e colpiscono comportamenti diversi, così che il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione dell’altra. Del resto, questo Consiglio ha espressamente chiarito che l’autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale non preclude la possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal momento che “un’autorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nell’esito, il residuo potere-dovere dell’autorità competente di procedere all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 21 febbraio 2001). Con l’ulteriore precisazione che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente definizione del procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; e che, in presenza di una valutazione di tal fatta, l’Amministrazione ha il potere-dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell’importo alla luce dei criteri cristallizzati dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso).

 

3) Abuso edilizio in zona sottoposta a vincolo paesaggistico - natura della sanzione amministrativa - applicabilità anche in caso di parere favorevole alla condonabilità da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. La sanzione prevista dall'art. 15 non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia in caso di illeciti sostanziali (compromissione dell’integrità paesaggistica) sia nella ipotesi di illeciti formali (mancanza del titolo autorizzatorio) e trova applicazione anche nella ipotesi in cui sia intervenuto, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, parere favorevole alla condonabilità da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso).

 

Si veda anche: Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279 (vedi: sentenza per esteso)

Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale:  Giurisprudenza