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CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 5 dicembre 2008, n. 6055


INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 - Misura ablatoria personale - Rapporti con la disciplina di cui agli art. 91, R.D. 45/1901, art. 9 R.D. n. 1406/1931, artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934, art. 17 D.P.R. n. 303/1956.  La peculiarità dell’istituto disciplinato dall’art. 17 risiede nella sua natura di misura ablatoria personale, consentita in apicibus dall’art. 23 Cost., la cui adozione crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati. Le norme di cui all’ art. 91 del R.D. n. 45/1901; l’art. 9 del R.D. n. 1406/1931; gli artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934 e l’art. 17 del D.P.R. n. 303/1956 non avevano tale connotazione e, dunque, non rappresentavano un antecedente dell’art. 17. Pres. La Medica, Est. Carlotti - Regione Lombardia (avv.ti Cederle e Pompa) c. E. s.p.a. (avv.ti Invernizzi e Sandulli) - (Riforma TAR Lombardia, Milano, n. 1913/2007) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 5 dicembre 2008, n. 6055

INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 - Confronto con le disposizioni di cui agli artt. 2043,2050 e 2058 c.c. - Continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 17 d.lgs. n. 22/97- Inconfigurabilità - Applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 - Illegittimità. Ponendo a confronto l’art. 17 del d.lgs. n. 22/97 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043, 2050 (considerata,nella specie, l’obiettiva pericolosità dell’attività industriale di produzione di coloranti) e 2058 (sul risarcimento in forma specifica), le differenze tra gli istituti rispettivamente disciplinati sono talmente numerose e tanto profonde, da non consentire la formulazione di alcun giudizio di continuità tra le stesse. Non è pertanto ravvisabile continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e il menzionato art. 17 del decreto Ronchi : ne discende che la seconda previsione non si presenta come meramente procedimentale rispetto alla prima e che un’eventuale applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 trasmoderebbe in una non consentita applicazione retroattiva della legge. Pres. La Medica, Est. Carlotti - Regione Lombardia (avv.ti Cederle e Pompa) c. E. s.p.a. (avv.ti Invernizzi e Sandulli) - (Riforma TAR Lombardia, Milano, n. 1913/2007) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 5 dicembre 2008, n. 6055

INQUINAMENTO - Siti contaminati - Società responsabile dell’inquinamento - Estinzione anteriore al 1997 - Applicabilità dell’art. 17 d.lgs. n. 22/97 - Esclusione - Altri strumenti di intervento - Cd. successione economica. Nei confronti dei successori di società responsabili degli inquinamenti che si siano estinte prima del 1997 non è possibile applicare l’art. 17 del decreto Ronchi (oggi artt. 239 e ss.) E’ però possibile far valere, a regime, l’ordinaria responsabilità civilistica di tipo aquiliano; inoltre, sul versante amministrativo, rimangono comunque adottabili (come già avveniva in epoca antecedente all’entrata in vigore del decreto Ronchi) i provvedimenti contingibili contemplati dall’ordinamento per i casi di qualificate urgenze di intervenire. In particolare, nei provvedimenti contingibili e urgenti l’imputazione soggettiva degli obblighi di attivazione, discrezionalmente individuati dall’amministrazione procedente, può motivatamente seguire anche le diverse regole della successione c.d. “economica” (per un’applicazione della successione economica in materia di concorrenza, è utile il richiamo alla recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06, pronunciata su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato) che consentono, per la migliore e immediata tutela di fondamentali interessi superindividuali, di derogare al generale principio della personalità e, in ossequio al canone del “chi inquina paga”, di onerare chi abbia beneficiato delle valenze economiche, anche latenti, di un bene-impresa dei correlativi costi dell’internalizzazione delle diseconomie esterne prodotte. Pres. La Medica, Est. Carlotti - Regione Lombardia (avv.ti Cederle e Pompa) c. E. s.p.a. (avv.ti Invernizzi e Sandulli) - (Riforma TAR Lombardia, Milano, n. 1913/2007) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 5 dicembre 2008, n. 6055

INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Accertamenti tecnici - Art. 223 c.p.p. - Applicabilità - Esclusione - Prelievo e analisi dei campioni - Procedura - Allegato 2 del D.M. n. 471/99. In materia di accertamenti tecnici prodromici ai provvedimenti finalizzati alla bonifica dei siti contaminati, non è invocabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., dal momento che questa disposizione certamente non esprime un principio generale: si tratta piuttosto una previsione speciale del diritto processuale penale, dettata all’unico fine di stabilire le condizioni alle quali è consentita la migrazione, nel fascicolo del dibattimento, dei verbali di analisi non ripetibili e di quelli di revisione e alla cui eventuale violazione corrisponde solo la sanzione endoprocessuale della nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p. (Cass., sez. III pen., 28.6.2006, n. 37400). In sede amministrativa il contraddittorio procedimentale sugli accertamenti tecnici può svolgersi secondo altre modalità e la regola del preventivo avviso, pur configurandosi come una forte tutela, non è sempre imposta dall’ordinamento né deve essere necessariamente osservata, potendo ugualmente assicurarsi, seguendo altri schemi procedurali, una piena dialettica tra l’amministrazione e gli interessati. E’ questo il caso del D.M. n. 471/1999 che, nell’Allegato 2, reca una completa e dettagliata disciplina delle “Procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni”, prevedendo, tra l’altro, dei campioni supplementari “per eventuali contestazioni e controanalisi”. Pres. La Medica, Est. Carlotti - Regione Lombardia (avv.ti Cederle e Pompa) c. E. s.p.a. (avv.ti Invernizzi e Sandulli) - (Riforma TAR Lombardia, Milano, n. 1913/2007) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 5 dicembre 2008, n. 6055

 


 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N.6055/08 REG.DEC.

N.5731 REG:RIC.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
 


DECISIONE


sul ricorso in appello n. 5731 del 2007 proposto dalla REGIONE LOMBARDIA, costituitasi in persona del Presidente p.t. della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Cederle dell’Avvocatura regionale e Giuliano Pompa, elettivamente domiciliata in Roma, via Boncompagni, n. 71/C, presso lo studio del secondo difensore;

 

contro


la EDISON S.P.A., costituitasi in persona del General Counsel, procuratore, avv. Piergiuseppe Biandrino, rappresentata e difesa dagli avv. Roberto Invernizzi e Maria Alessandra Sandulli, elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 349;


e nei confronti
del COMUNE DI MELEGNANO, costituitosi in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Borasi e Luigi Manzi, elettivamente domiciliati in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5, presso lo studio del secondo difensore;
e del COMUNE DI CERRO AL LAMBRO, costituitosi in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Caterina Solimini e Roberto Colagrande, elettivamente domiciliato in Roma, via G. Paisiello, n. 55 (studio legale Scoca), presso il secondo difensore;


nonché nei confronti
della PROVINCIA DI MILANO,
dell’A.R.P.A.,
dell’A.S.L. PROVINCIA DI MILANO N. 2,
dei Signori VITTORIO MERCURI, NATALE BONESCHI e CESARE LICHELLI,
non costituitisi in giudizio;


per la riforma
della sentenza n. 1913 del 22.11.2006/19.4.2007 pronunciata tra le parti dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sede di Milano, sez. I;


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle controparti;
Visti gli appelli incidentali proposti dal Comune di Melegnano, dal Comune di Cerro al Lambro e dalla Edison S.p.A. (d’ora innanzi soltanto “Edison”);
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza n. 6133 del 23.11.2007, con la quale è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata;
Vista l’ordinanza n. 3240 del 24.6.2008, con la quale è stata disposta l’acquisizione dei fascicoli di primo grado, allibrati al r.g. del T.a.r. della Lombardia, sede di Milano, con i nn. 2821/2005 e 245/2006;
Visti gli atti tutti della causa;


Designato relatore il consigliere Gabriele Carlotti;
 

Uditi alla pubblica udienza del 30.9.2008 l’avv. Pompa, per la Regione Lombardia e gli avv.ti Invernizzi e Sandulli per la Edison, nonché, per il Comune di Melegnano gli avv.ti Borasi e Manzi, quest’ultimo, anche per il Comune di Cerro al Lambro, in sostituzione dell’avv. Colagrande;
 

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
 

A) Svolgimento del processo.
La Regione Lombardia ha impugnato, deducendo plurimi mezzi di gravame, la sentenza, specificata in epigrafe, con la quale il T.a.r. della Lombardia, pronunciandosi su più ricorsi riuniti e sui rispettivi motivi aggiunti, ha tra l’altro annullato - in accoglimento di censure formulate dalla Edison - i provvedimenti, adottati in applicazione degli art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 22/1997 e del D.M. n. 471/1999, con i quali la società ricorrente fu diffidata, con distinti atti, dalle amministrazioni comunali di Melegnano e di Cerro al Lambro alla redazione di un piano di caratterizzazione di aree, occupate fino agli anni ‘60 del secolo scorso dall’Industria Chimica Saronio S.p.A. (nel prosieguo “Saronio”), ricadenti, in parte, nel territorio comunale di Melegnano e, in parte, ricomprese entro i confini amministrativi del Comune di Cerro al Lambro.
Con impugnazioni autonome, proposte nella forma dell’appello incidentale, hanno chiesto la riforma della sentenza sunnominata anche i Comuni di Melegnano e di Cerro al Lambro.
Si è costituita, per resistere agli appelli, la Edison la quale ha contestato tutto quanto dedotto dalle controparti e ha concluso per la conferma della sentenza gravata; solo in via subordinata ed esclusivamente per il caso dell’eventuale accoglimento degli appelli avversari, la stessa Edison ha domandato, con appello incidentale condizionato, la riforma della decisione, limitatamente a tre capi (v. alle pagg. 5 e 6 dell’appello incidentale di Edison).
Con ordinanza n. 6133 del 23.11.2007 la Sezione respinse la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
Con ordinanza interlocutoria n. 3240 del 24.6.2008 è stata poi disposta l’acquisizione di due fascicoli di primo grado, originariamente non pervenuti alla Sezione.
All’udienza pubblica del 30.9.2008, terminata la discussione, l’affare è stato trattenuto in decisione.


B) In fatto: l’attività industriale della Saronio.
La vicenda devoluta alla cognizione del Collegio trae origine dalle impugnative promosse dall’Edison avverso i distinti provvedimenti dei Comuni di Melegnano e di Cerro al Lambro afferenti la redazione del piano di caratterizzazione di siti ove svolgeva la propria attività la Saronio.
Per una migliore comprensione della genesi dei provvedimenti comunali gravati in prime cure, giova soffermarsi su alcune circostanze di fatto che risultano ampiamente comprovate dai documenti acquisiti agli atti del giudizio. In particolare, una ricerca storica avente per oggetto l’attività della Saronio e condotta (anche) sulla base dei documenti d’archivio del Comune di Melegnano (versata in atti) rivela che la società, fondata nel 1926, produceva sostanze chimiche destinate all’impiego industriale (essenzialmente coloranti per lanifici) e che essa continuò ad operare negli stabilimenti di Melegnano e di Cerro al Lambro fino al 1963, quando si estinse per incorporazione nell’ACNA-Azienda Colori Nazionali Affini (su cui infra), impresa operante nel medesimo settore merceologico (e concorrente della Saronio).
Nei suoi grandi impianti, che giunsero ad occupare fino a 2.500 addetti, la Saronio utilizzò per lungo tempo sostanze chimiche altamente inquinanti e tra queste, in particolare, l’anilina che è un’ammina aromatica sintetizzata a partire dal benzene, nonché un potente fattore mutageno e cancerogeno, rilevante specialmente nella patogenesi dei carcinomi vescicali.
La nocività dei composti usati per la produzione dei coloranti era ben nota ai soci e agli amministratori della Saronio fin dagli anni ’30, tanto che, per oltre venti anni, la società pensò di fronteggiare il rischio sanitario, somministrando gratuitamente ai propri dipendenti, per dichiarate finalità curative, latte vaccino prodotto all’interno degli stabilimenti stessi, salvo poi interromperne la distribuzione, alla fine del 1958, attesa, tra l’altro, la conclamata inefficacia delle presunte proprietà antitossiche del latte rispetto alla gravità del pericolo per la salute umana rappresentato dalle sostanze utilizzate nei cicli produttivi, peraltro disperse in modo incontrollato nell’ambiente (incluse le acque del Lambro, in cui la Saronio fece rifluire scarichi non autorizzati).
Gli impianti ex-Saronio rimasero attivi fino al 1966, anno di definitiva chiusura della fabbrica.
In seguito l’ACNA ed altri privati stipularono convenzioni per la lottizzazione delle aree in precedenza occupate dallo stabilimento chimico e i relativi piani furono pressoché integralmente attuati entro la fine degli anni ’70 del secolo scorso.
Nello stesso periodo cominciò a registrarsi, tra gli ex-dipendenti della Saronio, un’incidenza di tumori alla vescica, sensibilmente maggiore della media nazionale e furono rinvenuti nei terreni i fanghi residui delle lavorazioni chimiche.


C) In fatto: i provvedimenti comunali impugnati in primo grado.
Nel corso degli anni l’inquinamento delle aree non è regredito; anzi, esso ha determinato una grave compromissione delle matrici ambientali, tanto che nel mese di aprile del 2002, l’A.R.P.A. Lombardia comunicò ai Comuni di Melegnano e di Cerro al Lambro, a norma dell’art. 17, comma 3, del D.lgs. n. 22/1997 (c.d. “Decreto Ronchi”), di aver riscontrato, nei terreni in parola, livelli di inquinamento superiori agli specifici limiti di accettabilità della contaminazione, stante la presenza di rilevanti quantitativi di ammine aromatiche.
A seguito di tale comunicazione e in applicazione di quanto previsto dal ridetto art. 17, la Regione Lombardia, in ragione della dimensione sovracomunale del pericolo di inquinamento, approvò, con decreto n. 22652 del 19.12.2003, la perimetrazione del sito, denominato “ex Chimica Saronio”.
Avendo ravvisato la sussistenza dei presupposti per attivare le procedure volte alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree così individuate, i Comuni di Melegnano e di Cerro al Lambro avviarono i relativi procedimenti - ognuno partecipando alla Edison una distinta comunicazione di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990 - preordinati all’adozione delle ordinanze previste dall’art. 17 succitato, secondo le modalità disciplinate dal D.M. n. 471/1999.
Le ragioni dell’individuazione nella Edison del destinatario dei provvedimenti in discorso sono ampiamente spiegate nelle articolate motivazioni, pressoché coincidenti, dei due atti comunali. Ed invero, le amministrazioni civiche, muovendo dalla considerazione della certa riconducibilità degli inquinamenti alle emissioni e agli scarichi della Saronio, ritennero di poter imputare gli obblighi di messa in sicurezza, di bonifica e ripristino ambientale in capo al successore a titolo universale di quella società, estintasi, come ricordato, nel 1963.
Più in dettaglio i Comuni rilevarono come:
- le sostanze rinvenute fossero utilizzate nei processi produttivi della Saronio;
- nessun’ altra impresa del luogo avesse operato nel settore della produzione di coloranti chimici;
- la responsabilità della società fosse comprovata documentalmente da atti (puntualmente citati) di indagini sanitarie, risalenti alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, conservati negli archivi del Comune di Melegnano.
Riguardo la legittimazione passiva della Edison, le due ordinanze comunali recano la analitica ricostruzione di una serie di atti di fusione che, dall’iniziale incorporazione della Saronio nella ACNA, giunge, mercé una sequela di successive vicende societarie, fino alla Edison.
 

D) In fatto: il primo grado del giudizio e la sentenza appellata.
La Edison insorse avanti al T.a.r. della Lombardia contro i provvedimenti adottati nei suoi confronti, deducendo, con tre distinti ricorsi, numerose censure, tutte sostanzialmente riconducibili ai seguenti motivi:
1) in primo luogo, la società lamentò l’errata applicazione della normativa invocata dalle amministrazioni a sostegno degli atti impugnati, sostenendo che, all’epoca della commissione delle condotte che avrebbero dato luogo all’inquinamento, non l’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997 né del D.M. n. 471/99 erano ancora vigenti e che, pertanto, la sussunzione della fattispecie in tali previsioni si risolveva in una applicazione retroattiva della normativa, in violazione sia del principio sancito in via generale dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile sia della direttiva comunitaria sul danno ambientale n. 2004/35/CE;
2) la Edison negò inoltre di essere il successore a titolo universale della Saronio, protestando altresì la sua completa estraneità rispetto all’inquinamento di aree, peraltro mai possedute;
3) la ricorrente osservò poi che, quand’anche fosse stata dimostrata tale successione, essa non poteva aver acquisito in via derivata obblighi mai entrati a far parte del patrimonio giuridico dell’ipotizzato dante causa, trattandosi di situazioni giuridiche soggettive configurabili soltanto a seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 22/97 e del D.M. n. 471/99 – ovverosia almeno 34 anni dopo l’intervenuta estinzione della Saronio - non sussistendo una normativa analoga all’epoca in cui detta società ebbe ad operare;
4) la Edison censurò altresì di incompletezza l’attività istruttoria posta in essere dalle amministrazioni e, segnatamente, si dolse dell’asserita insufficienza delle risultanze degli accertamenti analitici i quali, a detta della società, non avrebbero evidenziato alcun superamento dei limiti massimi di accettabilità;
5) la ricorrente si lamentò infine di non aver potuto partecipare attivamente alle attività istruttorie e soprattutto a quelle di campionamento, a causa dell’omessa comunicazione preventiva del loro svolgimento.
Il T.a.r. della Lombardia, dopo aver dichiarato l’inammissibilità di parte dei ricorsi proposti (per ragioni sulle quali, ai fini dell’economia motivazionale della presente decisione, non è necessario soffermarsi), accolse nel merito taluni dei motivi aggiunti proposti dalla Edison, annullando per l’effetto i provvedimenti impugnati.
Occorre riferire l’iter argomentativo che ha condotto il primo Giudice ad una pronuncia di annullamento.
Nell’esaminare il merito della controversia il Tribunale lombardo si è dapprima occupato della questione successoria. In proposito il Collegio milanese ha ritenuto che, dalla documentazione versata in atti, emergesse inequivocabilmente la qualità di successore a titolo universale della ricorrente rispetto alla Saronio in virtù di successivi atti societari di fusione e di trasformazione. La sequenza di tali atti è stata così ricostruita dal T.a.r.:
«1) Industria Chimica Saronio S.p.a. è stata fusa per incorporazione in Acna S.p.a. con atto Repertorio n. 52355 e Raccolta n. 20097 redatto in data 5 settembre 1963 dal notaio Guasti di Milano;
2) Acna S.p.a. è stata fusa per incorporazione in Montedipe S.p.a. con atto Repertorio n. 36029 e Raccolta n. 5787 redatto in data 30 dicembre 1987 dal notaio Casali di Milano;
3) Montedipe S.p.a. ha variato la propria denominazione in Compart S.p.a. con verbale di assemblea straordinaria Repertorio n. 39218 e Raccolta n. 2336 redatto in data 8 settembre 1989 dal notaio De Vincenzo di Milano;
4) Compart S.p.a. ha variato la propria denominazione in Montecatini S.p.a. con verbale di assemblea straordinaria Repertorio n. 51640 e Raccolta n. 7484 redatto in data 31 gennaio 1991 dal notaio Casali di Milano;
5) Montecatini S.p.a. è stata fusa per incorporazione in Edison S.p.a. con atto Repertorio n. 17727 e Raccolta n. 5409 redatto in data 25 novembre 2003 dal notaio Marchetti di Milano.».
Ha poi soggiunto il T.a.r. che il fenomeno della fusione per incorporazione di una società in un'altra determina una successione inter vivos a titolo universale per cui la società incorporante acquista, dal momento dell’estinzione di quella incorporata, i diritti e gli obblighi scaturenti dai rapporti attivi e passivi dei quali quest’ultima era titolare.
Pur muovendo da siffatte premesse, il Tribunale ha però escluso che, nella fattispecie, gli obblighi dell’inquinatore derivanti dall’applicazione dell’art. 17 del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22 potessero ritenersi già sussistenti nel patrimonio della Saronio, non essendo ancora stata emanata, all’epoca in cui la società ebbe ad operare, la relativa disciplina normativa, né vigendone una analoga.
Il T.a.r. ha altresì ritenuto non adattabile al caso di specie l’orientamento giurisprudenziale, sia penale sia amministrativo, secondo cui la citata disposizione del “decreto Ronchi” sarebbe applicabile a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo, indipendentemente dal momento in cui sia avvenuto il fatto o i fatti generatori della condizione patologica e ciò in considerazione della permanenza dell’illecito e del connesso pregiudizio, destinati entrambi a perdurare fino a quando i parametri ambientali alterati siano riportati entro i limiti normativamente ritenuti accettabili.
Ad avviso del Tribunale, il richiamato indirizzo pretorio si attaglierebbe unicamente all’ipotesi in cui l’inquinamento, ancorché risalente ad un’epoca antecedente l’entrata in vigore del decreto Ronchi, sia stato posto in essere da un soggetto che, esistente prima del 1997, abbia continuato a sussistere anche dopo e non, dunque, al caso in esame, attesa l’estinzione della Saronio fin dal 1963; la società Edison – ha concluso quindi il T.a.r. - non essendo il soggetto che ha posto in essere la condotta inquinante, nemmeno ne può rispondere, pena la violazione del principio di irretroattività della legge, sancito dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, derogabile (ove consentito) solo in presenza di espresse e tassative previsioni, nella specie non ricorrenti.
Il T.a.r. si è pure pronunciato - giudicandolo fondato - sul motivo della dedotta incompletezza delle istruttorie svolte dalle amministrazioni comunali e parimenti ha accolto la doglianza relative alla mancata partecipazione della Edison alle procedure istruttorie di campionamento, asseritamente poste in essere in violazione del contraddittorio. In particolare, riguardo alla prima lagnanza, il Tribunale ha incentrato il suo argomentare sulla circostanza del prelievo di campioni inquinati in area estranea dall’influenza della Saronio e posta a monte della stessa; mentre, con riferimento alla seconda censura, ha osservato che le analisi erano state eseguite senza previo avviso alla ricorrente e, quindi, in ispregio del principio, di affermata valenza generale, sancito dall’art. 223 disp. att. c.p.p. (D.Lgs. 28.7.1989, n. 271), secondo il quale, qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non sia prevista la revisione, l’organo procedente deve darne avviso all’interessato, in funzione del diritto di quest’ultimo di presenziare, di persona o tramite persona di fiducia all’uopo designata e, se del caso, anche con l’assistenza di un consulente tecnico.
 

E) In fatto: gli appelli.
Contro la sentenza, testé riferita nei suoi contenuti essenziali, sono insorti in appello la Regione Lombardia, il Comune di Melegnano e quello di Cerro al Lambro, proponendo ricorsi che si presentano allineati nella contestazione dei capi della decisione recanti, rispettivamente, la statuizione sull’inapplicabilità alla fattispecie concreta dell’art. 17 del decreto Ronchi, l’accertamento giurisdizionale dell’incompletezza delle istruttorie comunali e l’accoglimento del motivo relativo alla violazione delle garanzie partecipative; anche la Edison ha censurato la sentenza, con un appello incidentale non autonomo, ma soltanto nelle parti in cui il primo Giudice ha:
- dichiarato l’inammissibilità, in luogo della cessazione del contendere o dell’improcedibilità, delle impugnative promosse dalla società contro precedenti ordinanze comunali di analogo tenore precettivo, poi revocate (in effetti, i due Comuni “revocarono” in autotutela altrettanti provvedimenti, anteriormente adottati, avendone rilevata l’illegittimità per incompetenza, in quanto assunti dal Sindaco in luogo del dirigente);
- ritenuto la Edison successore a titolo universale della Saronio;
- dichiarato inammissibili, per difetto d’interesse, i ricorsi e i motivi aggiunti diretti contro atti endoprocedimentali.


* * *


F) In diritto: le questioni devolute alla cognizione d’appello.
Esaurita la ricostruzione dei fatti notevoli della causa, va osservato come al centro della controversia vi sia la questione dell’applicabilità, o no, alla Edison dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997. Detto altrimenti, occorre verificare se la società appellata possa essere qualificata come “responsabile dell’inquinamento” a norma del comma 2 della previsione succitata e, quindi, se essa fosse, o no, soggetto passivamente legittimato, sul piano sostanziale, rispetto ai provvedimenti comunali recanti l’obbligo di redazione del piano di caratterizzazione delle aree; da un punto di vista più generale, occorre verificare se, come sostenuto dal T.a.r. della Lombardia, l’ordinamento non consenta di applicare l’art. 17 anche nei confronti dei successori a titolo universale degli autori dell’inquinamento, qualora questi ultimi si siano estinti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 22/1997.
Sebbene la problematica ora precisata rappresenti l’essenziale pondus dell’intera vicenda contenziosa, nondimeno è opinione del Collegio che, in via logicamente prioritaria, si imponga l’esame di altri due capi della decisione, del pari devoluti in secondo grado, la cui cognizione si presenta prodromica rispetto alla questione sopra individuata, contribuendo essi a definire le “condizioni di decidibilità” della lite, ossia il contesto giuridico entro cui va collocata la soluzione della principale questione di diritto sopra indicata. Il riferimento è, da un lato, alla statuizione in ordine all’accertamento in capo a Edison della qualità di successore a titolo universale della Saronio e, dall’altro lato, alle motivazioni con le quali il primo Giudice si è espresso in termini dubitativi circa l’ascrivibilità dell’inquinamento alla condotta della Saronio, inficiando così uno dei presupposti applicativi dell’istituto disciplinato dal suddetto art. 17.
La disamina di tutti i profili della vicenda postula, in ogni caso, la preventiva individuazione della normativa rilevante.


G) In diritto: l’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997 e il D.M. n. 471/1999.
Riguardata la fattispecie da questa prospettiva viene innanzitutto in rilievo l’art. 17 del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), rubricato “Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati”, del quale è utile riportare il non breve testo, sottolineandone le parti più significative ai fini della decisione e omettendone quelle, per contro, non pertinenti: «1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro dell'ambiente, avvalendosi dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, definisce:
a) i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti;
b) le procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni;
c) i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei progetti di bonifica;
c-bis) tutte le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere che facciano ricorso a batteri, a ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri naturalmente presenti nel suolo al fine di evitare i rischi di contaminazione del suolo e delle falde acquifere.
1-bis. (…).
2. Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento. A tal fine:
a) deve essere data, entro 48 ore, notifica al Comune, alla Provincia ed alla Regione territorialmente competenti, nonché agli organi di controllo sanitario e ambientale, della situazione di inquinamento ovvero del pericolo concreto ed attuale di inquinamento del sito;
b) entro le quarantotto ore successive alla notifica di cui alla lettera a), deve essere data comunicazione al Comune ed alla Provincia ed alla Regione territorialmente competenti degli interventi di messa in sicurezza adottati per non aggravare la situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento, contenere gli effetti e ridurre il rischio sanitario ed ambientale;
c) entro trenta giorni dall'evento che ha determinato l'inquinamento ovvero dalla individuazione della situazione di pericolo, deve essere presentato al Comune ed alla Regione il progetto di bonifica delle aree inquinate.
3. I soggetti e gli organi pubblici che nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali individuano siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai limiti previsti, ne danno comunicazione al Comune, che diffida il responsabile dell'inquinamento a provvedere ai sensi del comma 2, nonché alla Provincia ed alla Regione.
4. Il Comune approva il progetto ed autorizza la realizzazione degli interventi previsti entro novanta giorni dalla data di presentazione del progetto medesimo e ne dà comunicazione alla Regione. L'autorizzazione indica le eventuali modifiche ed integrazioni del progetto presentato, ne fissa i tempi, anche intermedi, di esecuzione, e stabilisce le garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore della Regione per la realizzazione e l'esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica medesimo. Se l'intervento di bonifica e di messa in sicurezza riguarda un'area compresa nel territorio di più comuni il progetto e gli interventi sono approvati ed autorizzati dalla Regione.
5. (…)
6. (…)
6-bis. (…)
7. (…)
8. (…)
9. Qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili, gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale sono realizzati d'ufficio dal Comune territorialmente competente e ove questo non provveda dalla Regione, che si avvale anche di altri enti pubblici. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le Regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio.
10. Gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale nonché la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza costituiscono onere reale sulle aree inquinate di cui ai commi 2 e 3. L'onere reale deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica ai sensi e per gli effetti dell'articolo 18, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
11. Le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree inquinate nonché per la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza, ai sensi dei commi 2 e 3, sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile. Le predette spese sono altresì assistite da privilegio generale mobiliare.
11-bis. (…).
12. Le Regioni predispongono sulla base delle notifiche dei soggetti interessati ovvero degli accertamenti degli organi di controllo un'anagrafe dei siti da bonificare che individui:
a) gli ambiti interessati, la caratterizzazione ed il livello degli inquinanti presenti;
b) i soggetti cui compete l'intervento di bonifica;
c) gli enti di cui la Regione intende avvalersi per l'esecuzione d'ufficio in caso di inadempienza dei soggetti obbligati;
d) la stima degli oneri finanziari.
13. (…).
13-bis. Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente articolo possono essere comunque utilizzate ad iniziativa degli interessati.
13-ter. Gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale previsti dal presente articolo vengono effettuati indipendentemente dalla tipologia, dalle dimensioni e dalle caratteristiche dei siti inquinati nonché dalla natura degli inquinamenti.
14. (…)
15. (…)
15-bis. (…)
15-ter. (…).».
L’art. 17 è stato abrogato, insieme all’intero D.Lgs. n. 22/1997, dall’art. 264 del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), ma era vigente quando furono adottate le ordinanze impugnate in primo grado.
L’essenziale contenuto precettivo dell’art. 17 è peraltro confluito nella Parte IV, Titolo V, del richiamato D.Lgs. n. 152/2006 che alla bonifica dei siti inquinati dedica ora una dettagliata disciplina, articolata in ben sedici disposizioni (dall’art. 239 in poi).
La succitata previsione di rango primario non esaurisce tuttavia il quadro delle norme rilevanti, dovendosi tener conto, quale fonte secondaria, anche del D.M. Ambiente 25.10.1999, n. 471 (Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni) e, soprattutto, degli artt. 1, 3, 7, 8 e nell’Allegato 2, disposizioni delle quali si riportano di seguito alcuni stralci.
«Art. 1. Campo di applicazione.
1. Il presente regolamento stabilisce i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche ed integrazioni. A tal fine disciplina:
a - i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti;
b - le procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni,
c - i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei relativi progetti;
d - i criteri per le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere che facciano ricorso a batteri, a ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri naturalmente presenti nel suolo;
e - il censimento dei siti potenzialmente inquinati, l'anagrafe dei siti da bonificare e gli interventi di bonifica e ripristino ambientale effettuati da parte della pubblica amministrazione;
f - i criteri per l'individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale.
(…)
Art. 3. Valori di concentrazione limite accettabili e metodologie di intervento.
1. I valori di concentrazione limite accettabili per le sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, in relazione alla specifica destinazione. d'uso del sito, nonché i criteri per la valutazione della qualità delle acque superficiali sono indicati nell'Allegato 1.
2. Le procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni al fine dell'accertamento del superamento dei valori limite di cui al comma 1 sono definiti nell'Allegato 2.
3. Gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica, di bonifica con misure di sicurezza, di messa in sicurezza permanente e di ripristino ambientale devono essere effettuati e le misure di sicurezza devono essere adottate secondo i criteri previsti nell'Allegato 3.
(…)
Art. 7. Notifica di pericolo di inquinamento e interventi di messa in sicurezza d'emergenza.
1. Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei valori di concentrazione limite accettabili di cui all'articolo 3, comma 1, o un pericolo concreto e attuale di superamento degli stessi, è tenuto a darne comunicazione al Comune, alla Provincia e alla Regione nonché agli organi di controllo ambientale e sanitario entro le quarantotto ore successive all'evento, precisando:
a) il soggetto responsabile dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento e il proprietario del sito;
b) l'ubicazione e le dimensioni stimate dell'area contaminata o a rischio di inquinamento;
c) i fattori che hanno determinato l'inquinamento o il pericolo di inquinamento;
d) le tipologie e le quantità dei contaminanti immessi o che rischiano di essere immessi nell'ambiente;
e) le componenti ambientali interessate, quali, ad esempio, suolo, corpi idrici, flora, fauna;
f) la stima dell'entità della popolazione a rischio o, se ciò non è possibile, le caratteristiche urbanistiche e territoriali dell'area circostante a quella potenzialmente interessata dall'inquinamento.
2. Entro le quarantotto ore successive al termine di cui al comma 1, il responsabile della situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento deve comunicare al Comune, alla Provincia e alla Regione territorialmente competenti gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza adottati e in fase di esecuzione. La comunicazione deve essere accompagnata da idonea documentazione tecnica dalla quale devono risultare le caratteristiche dei suddetti interventi.
3. Entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, il Comune o, se l'inquinamento interessa il territorio di più comuni, la Regione verifica l'efficacia degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza adottati e può fissare prescrizioni ed interventi integrativi, con particolare riferimento alle misure di monitoraggio da attuare per accertare le condizioni di inquinamento ed ai controlli da effettuare per verificare l'efficacia degli interventi attuati a protezione della salute pubblica e dell'ambiente circostante.
(…)
Art. 8. Ordinanze.
1. Qualora i soggetti e gli organi pubblici accertino nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali una situazione di pericolo di inquinamento o la presenza di siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai valori di concentrazione limite accettabili di cui all'Allegato 1 ne danno comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune.
2. Il Comune, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, con propria ordinanza diffida il responsabile dell'inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale ai sensi del presente regolamento.
3. L'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni.
4. Il responsabile dell'inquinamento deve provvedere agli adempimenti di cui all'articolo 7, comma 2, entro le quarantotto ore successive alla notifica dell'ordinanza. Se il responsabile dell'inquinamento non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito inquinato né altro soggetto interessato, i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale o di messa in sicurezza permanente sono adottati dalla Regione o dal Comune ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 9, 10 e 11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
(…)
Allegato 2
Procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni
(…)
Campioni di controllo
Due controcampioni ufficiali devono essere prelevati dal responsabile degli interventi di bonifica: un campione per permettere all'autorità competente di approfondire le indagini o eseguire verifiche sui valori di concentrazione risultanti dalle analisi; un campione dovrà essere conservato, conformemente ai criteri di qualità di seguito indicati per eventuali contestazioni e controanalisi.
(…)».


H) In diritto: la successione della Edison alla Saronio.
Completata la ricognizione normativa, può passarsi alla prima questione da esaminare secondo l’ordine di graduazione logica delle censure, siccome indicata supra sub F), ossia la verifica dello status della Edison quale successore a titolo universale della Saronio.
E’ necessario premettere, sul piano processuale, che tale aspetto della controversia rientra nel novero delle questioni concernenti lo stato e la capacità dei privati individui e, dunque, ricade entro l’alveo delle materie riservate alla giurisdizione ordinaria; sennonché il punto di cognizione può essere deciso in via incidentale dal giudice amministrativo dal momento che tale disamina si rivela logicamente ineludibile ai fini della pronuncia sulla questione principale, id est sulla concreta ricorrenza dei presupposti applicativi dell’art. 17 del decreto Ronchi e, in ultima analisi, sulla legittimità delle ordinanze comunali in contestazione.
Tanto precisato, è opinione del Collegio che effettivamente la Edison sia il successore a titolo universale della Saronio e che, quindi, in questa parte la motivazione del T.a.r. della Lombardia debba essere condivisa, posto che la serie di successive incorporazioni, come analiticamente ricostruita nella motivazione della sentenza impugnata, trova esatto riscontro nei documenti versati in atti.
Condivisibili sono anche le considerazioni, svolte dal primo Giudice, in ordine alla assimilazione quoad effectum della fusione per incorporazione ad un’ipotesi di successione a titolo universale, in cui la società incorporante acquista i diritti e gli obblighi di quella incorporata. In tal senso, d’altronde, si è espresso, con generale riguardo alle fusioni mediante incorporazione avvenute - come quelle in discorso - prima della riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. n. 6/2003 (entrata in vigore il 1°.1.2004), anche il Supremo Collegio (v., tra le molte, Cass., sez. un. civ., 28.12.2007, n. 27183). Può dunque non tenersi conto della diversa interpretazione del fenomeno dell’incorporazione offerta dallo stesso Giudice della legittimità - sulla base della versione novellata dell’art. 2504-bis c.c. - nei termini di una prosecuzione della personalità della società incorporata in quella dell’incorporante (si tratta dell’ordinanza, resa in sede di regolamento di giurisdizione, dalle Sezioni unite civili, n. 2637/2006, citata dal Comune di Cerro al Lambro, ma relativa ad una fusione perfezionatasi nel 2005).
Non colgono invece nel segno le contrarie deduzioni contenute negli atti difensivi della Edison; in particolare, non convince il punto in cui la società adombra un diverso sviluppo della serie di incorporazioni che, in esito, condurrebbe all’individuazione di un diverso successore a titolo universale della Saronio. La Edison sostiene, infatti, che nel 1989, ossia due anni dopo l’incorporazione di ACNA in Montedipe S.p.a. (alias Montedison Petrolchimica S.p.a.) giusta atto del 30.12.1987, la stessa Montedipe S.p.A., nell’ambito di un più vasto progetto di ristrutturazione e di concentrazione dell’industria chimica nazionale (il riferimento è alla sfortunata esperienza della joint venture tra l’ENI e la Montedison), avrebbe conferito la propria azienda chimica, comprensiva anche del compendio ex-Saronio, in una newco, controllata per intero da Montedipe S.p.A., poi denominata Montedipe S.r.l.; la Montedipe S.p.A. avrebbe in seguito ceduto a Enimont S.p.A. la partecipazione totalitaria in Montedipe S.r.l.. A partire dal 1990, l’Eni sarebbe poi divenuta la controllante in via totalitaria di Enimont S.p.A. e quest’ultima, nel 1991, avrebbe infine mutato la propria denominazione in Enichem S.p.A..
In conclusione, secondo la ricostruzione della Edison, il successore a titolo universale della Saronio dovrebbe individuarsi nella Enichem S.p.A..
La tesi non persuade. Invero è la stessa Edison a precisare che, nel 1989, la Montedipe S.p.A. conferì a Montedipe S.r.l. un’azienda. Orbene, anche a prescindere dal fatto che la suddetta “azienda”, almeno con riferimento ai beni presenti in Melegnano, consisteva in un’area di sedime stradale dal pressoché insussistente valore di stima, vale in ogni caso osservare, in punto di mero diritto, che il conferimento di un’azienda - integrando sostanzialmente un’alienazione soggetta alle disposizioni degli art. 2558 ss. c.c. - notoriamente non comporta una successione a titolo universale (ma a titolo particolare), né da esso discende l'estinzione né l'incorporazione della conferente. Da quanto appena considerato deriva che la Montedipe S.p.A., pur avendo conferito alla Montedipe S.r.l. un compendio aziendale, nondimeno è rimasta successore a titolo universale dell’ACNA e, tramite l’interposizione soggettiva di quest’ultima, anche della Saronio.


I) In diritto: le carenze dell’istruttoria procedimentale.
La sentenza impugnata va invece emendata nella parte in cui accoglie la doglianza della Edison in ordine alla dedotta carenza delle istruttorie procedimentali svolte dai Comuni appellanti, con specifico riguardo sia all’accertamento del superamento dei limiti massimi di accettabilità della contaminazione previsti dalla normativa, sia al ravvisato nesso tra detto inquinamento e la responsabilità della ricorrente, per tramite dell’imputazione soggettiva della condotta lesiva alla Saronio.
Come accennato nella narrativa del fatto sub D), il T.a.r., pur non negando l’ascrivibilità dell’inquinamento alla pregressa attività industriale della Saronio, ha tuttavia ritenuto che l’omesso accertamento della potenziale influenza delle condotte di altri operatori economici sulla determinazione causale dell’evento (influenza che sarebbe comprovata dal rilevamento di campioni inquinati in area estranea dall’influenza della Saronio e posta a monte della stessa) fosse di per sé sufficiente a mettere in dubbio i presupposti di fatto dei provvedimenti comunali impugnati e le risultanze degli accertamenti effettuati nel 2004.
L’argomentare non è convincente. In prima battuta e in linea generale, può difatti osservarsi – e tanto basterebbe ad infirmare sul piano logico le conclusioni alle quali è pervenuto il T.a.r. – che l’ipotetica esistenza di altri concorrenti fattori causativi dell’inquinamento dei siti in discorso, non escluderebbe la responsabilità della Saronio, qualora comprovata.
Sembra del resto plausibile attribuire il ritrovamento di tracce di inquinamento a monte dell’area “ex-Saronio” all’effetto di un fenomeno fisico di infiltrazione per capillarità.
In via di ulteriore confutazione delle conclusioni alle quali è giunto il primo Giudice, va comunque soggiunto che il ruolo determinante svolto dalla Saronio nella genesi dell’inquinamento appare ampiamente dimostrato dagli esiti dell’istruttoria compiuta, convergendo in tal senso plurimi, gravi, precisi e concordanti elementi, richiamati dalle amministrazioni procedenti, quali le circostanze che sulle aree in questione insistessero gli impianti della Saronio, che questa producesse coloranti, che le ammine aromatiche del genere rinvenuto in loco fossero prevalentemente utilizzate nei cicli produttivi dei coloranti, che non vi fossero, nelle immediate vicinanze, altre imprese operanti nel medesimo settore merceologico. Al cospetto di tale quadro indiziario, di per sé idoneo a confortare la ricostruzione del fatto posta a base dei provvedimenti comunali, la Edison non avrebbe potuto limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, dovendo piuttosto precisare, con esattezza, quale fosse stata - diversamente da quanto opinato dalle amministrazioni - la reale dinamica degli avvenimenti e a quale altra impresa dovesse addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento.
Così non è stato e quindi, in parte qua, la decisione appellata rivela una fallace applicazione delle regole sulla distribuzione dell’onere della prova, posto che i Comuni appellanti non erano tenuti alla dimostrazione, come invece sembra postulare la motivazione della sentenza impugnata, del “fatto negativo” (in sé non comprovabile) dell’assenza di inquinamenti ricollegabili alla condotta di soggetti diversi dalla Saronio; per contro, la Edison era sicuramente onerata della specifica individuazione dei terzi presunti responsabili.


L) l’applicabilità alla fattispecie concreta dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997.
Una volta chiarito che la Edison è giuridicamente il successore universale della Saronio e che l’accertato inquinamento da ammine aromatiche è effettivamente ascrivibile, sul versante causale, all’attività produttiva svolta da quest’ultima, può passarsi all’esame della principale questione della controversia.
Sostengono difatti le amministrazioni appellanti che la suddetta successione a titolo universale della Edison basti a sorreggere, in punto di legittimità, le due ordinanze che hanno attinto la società nella qualità di responsabile dell’inquinamento.
Come già riferito, la correttezza giuridica di tale conclusione è stata, invece, contraddetta dal T.a.r. della Lombardia, in dichiarato ossequio al principio della irretroattività delle leggi.
In questa parte la pronuncia appellata va incontro alla vibrata reazione delle amministrazioni che criticano la decisione adducendo un duplice ordine di considerazioni.
Per un verso, esse sostengono che il Tribunale lombardo avrebbe erroneamente ignorato l’esistenza di una pluralità di fonti, tutte vigenti all’epoca in cui ebbe ad operare la Saronio, che vietavano le condotte di inquinamento ambientale; per altro verso, osservano – riducendo ai termini essenziali le articolate censure dalle stesse formulate - che la Edison fosse comunque da reputarsi “responsabile dell’inquinamento” ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997, essendole stata trasmessa l’obbligazione risarcitoria ex art. 2043 c.c., sicuramente ricompresa, in via originaria, nel patrimonio giuridico della Saronio.
In altre parole, le parti pubbliche obiettano che, diversamente da quanto opinato dal Collegio milanese, non si assisterebbe, nel caso di specie, ad alcuna applicazione retroattiva del decreto Ronchi, esistendo la previsione della responsabilità civile per i danni ambientali almeno dal 1942 e, in ogni caso, dal 1948, attesa l’applicabilità, diretta o intermediata dalla citata clausola generale codicistica, dei parametri costituzionali scolpiti negli artt. 9 e 32 della Carta Fondamentale.
Le tesi delle amministrazioni appellanti sono suggestive e tuttavia, ad avviso del Collegio, non condivisibili. Onde spiegare le ragioni della (non evidente) infondatezza in parte qua delle impugnazioni principali e di quelle incidentali autonome non è però sufficiente far unicamente ricorso all’apparato argomentativo utilizzato dal T.a.r.; difatti, la decisione appellata – sebbene, per quanto si esporrà, corretta nel contenuto dispositivo e, dunque, meritevole di conferma - necessita di essere integrata o, quanto meno, meglio esplicitata in taluni snodi motivazionali.
Vale innanzitutto osservare come non sia concludente il richiamo di molteplici formanti normativi i quali, ancor prima dell’estinzione della Saronio, erano obiettivamente posti a presidio della conservazione del valore ambiente, con finalità di contrasto delle varie condotte suscettibili di ingenerare inquinamento. Le fonti citate dalle amministrazioni appellanti (art. 91 del R.D. n. 45/1901; l’art. 9 del R.D. n. 1406/1931; gli artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934 e l’art. 17 del D.P.R. n. 303/1956) contemplavano essenzialmente divieti o doveri, taluni dei quali pure rinforzati da sanzioni amministrative o penali, nondimeno nessuna delle previsioni invocate conteneva specifici obblighi di fare del genere di quelli prescritti dall’art. 17 del decreto Ronchi.
La peculiarità dell’istituto disciplinato dall’art. 17 risiede, infatti, nella sua natura di misura ablatoria personale, consentita in apicibus dall’art. 23 Cost., la cui adozione crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati.
Le norme ricordate dalle appellanti non avevano tale connotazione e, dunque, non rappresentavano un antecedente dell’art. 17.
Richiede invece maggiore approfondimento l’argomento incentrato sulla asserita identità semantica tra la “responsabilità dell’inquinamento” menzionata dal comma 3 dell’art. 17 e la responsabilità civile tout court, scaturente dall’illecito aquiliano.
Sul punto, gli enunciati difensivi presentano un’identica struttura dialettica che ne permette una riformulazione nei termini, semplificati, del seguente giudizio ipotetico: se è vero che nel patrimonio giuridico della Saronio sorse - in conseguenza del fatto illecito commesso, consistito nell’imputabile lesione del bene ambiente - un’obbligazione secondaria di tipo risarcitorio, estinguibile anche attraverso una riparazione in forma specifica, allora è consequenziale ritenere che pure i suoi successori, id est la Edison, in forza della trasmissione in universum ius dei rapporti precedentemente facenti capo alla sua dante causa, debbano sopportare le conseguenze di quella condotta lesiva, ivi inclusi gli obblighi ripristinatori previsti dal più volte citato decreto Ronchi.
Sul versante del rapporto tra le fonti, il ragionamento appena sunteggiato si risolve, a ben vedere, nella qualificazione dell’art. 17 del D. Lgs. n. 22/1997 alla stregua di una norma meramente procedimentale, unicamente destinata a regolare l’attuazione in via amministrativa, al momento della scoperta dell’inquinamento, dell’obbligo di risarcimento di cui all’art. 2058 c.c. e quindi, come tale, del tutto priva di innovatività sostanziale dell’ordinamento giuridico.
L’apparente persuasività dell’argomentare discende indubbiamente dalla obiettiva fondatezza della premessa: non è infatti seriamente controvertibile la responsabilità extracontrattuale della Edison, quale successore a titolo universale della Saronio, per il danno, anche ambientale, da questa cagionato. Sebbene anche tale aspetto della controversia esuli dall’ambito proprio della cognizione riservata alla giurisdizione amministrativa (vertendosi, all’evidenza, in materia di danni non correlati all’esercizio di attività autoritative della pubblica amministrazione, in quanto ricadenti nell’ordinaria responsabilità civile dei privati), nondimeno, ai fini dell’interpretazione applicativa dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997, è in potestà del Collegio osservare in via incidentale che la fattispecie prevista dall’art. 2043 c.c. ebbe a perfezionarsi nei confronti della Saronio, ricorrendo palesemente dell’illecito aquiliano tutti gli elementi costitutivi (elemento soggettivo, condotta, danno e nesso causale tra quest’ultimo e la condotta); pertanto, sicuramente, l’obbligazione risarcitoria entrò a far parte del patrimonio giuridico della società estinta e, attraverso le successive incorporazioni, si trasmise ai suoi successori, fino alla Edison.
Non spetta a questo Collegio addentrarsi nella disamina della questione relativa all’eventuale prescrizione di tale diritto (quantunque la natura c.d. “lungolatente” del danno in questione e la sua lesività ingravescente inducono ragionevolmente a posticipare il dies ad quem del maturarsi della prescrizione, mercé il combinato disposto degli artt. 2935 e 2947 c.c.), giacché, per l’oggetto della controversia devoluta in appello, è sufficiente attestarsi sul dato della certa responsabilità extracontrattuale della Edison.
Tanto precisato, occorre ritornare alla formulazione sintetica dell’argomento difensivo che sottostà ai tre appelli proposti dalle parti pubbliche, per affrontarne un passaggio logico, accennato in tutte le impugnazioni, ma non adeguatamente esplicitato: in particolare, occorre soffermarsi a considerare che l’accostamento della responsabilità ex art. 2043 c.c. a quella menzionata dall’art. 17 del decreto Ronchi presuppone la riconducibilità della seconda previsione all’alveo della responsabilità aquiliana o, in altre parole, impone all’interprete di valutare l’art. 17 sunnominato come una specificazione, sul crinale amministrativo e procedimentale, del disposto dell’art. 2043 c.c., ove applicato al peculiare settore delle bonifiche ambientali.
L’operazione esegetica suggerita non è nuova ed, anzi, registra plurimi antecedenti: uno di essi merita menzione attesane la pertinenza ratione materiae. Si allude alla nota sentenza della Corte costituzionale 30.12.1987, n. 641, con la quale il Giudice delle leggi, nel riconoscere la legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, della legge 3 luglio 1986 n. 349 che attribuiva alla giurisdizione del giudice ordinario, invece che alla Corte dei conti, la materia del risarcimento del danno ambientale, osservò che la responsabilità introdotta dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente si inseriva coerentemente nell'ambito e nello schema della tutela aquiliana di cui all’art. 2043 c.c..
Nella scia di questo precedente si colloca anche la sentenza Corte di cassazione, sez. III, 3.2.1998, n. 1087, con la quale il Supremo Collegio - chiamato a definire i rapporti tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 18 della L. n. 349/1986 – portò ad ulteriori conseguenze la riferita affermazione della Corte costituzionale, statuendo nel senso che la protezione dell'ambiente, in quanto valore primario e assoluto, è imposta direttamente dai precetti costituzionali di cui agli art. 2, 3, 9, 32, 41 e 42 Cost., mentre, dal canto suo, l'art. 18 della L. n. 349/1987 assolveva ad una funzione meramente ricognitiva, con la conseguenza che il correlato diritto degli enti pubblici territoriali al risarcimento del danno ambientale non trovava la sua fonte genetica in tale legge, bensì nella Carta costituzionale.
L’approdo di tale condivisibile esegesi fu l’obiettiva dequotazione dell’innovatività dell’art. 18 della L. n. 349/1986, pressoché integralmente circoscritta al solo comma 8, letto quale deroga alla regola generale, desumibile dal tenore dell’art. 2058 c.c., della preferenza per il risarcimento del danno per equivalente rispetto alla restituito in integrum.
Le difese delle amministrazioni appellanti si sono dunque inserite nel solco aperto dalla Corte costituzionale e poi approfondito dalla Cassazione, estendendo lo schema ermeneutico sopra tratteggiato anche all’ipotesi della bonifica dei siti inquinati prevista dall’art. 17.
Per vagliare la correttezza di tale estensione non è di alcun ausilio la normativa, primaria e secondaria, applicata con le due ordinanze comunali, posto che in nessun punto (non l’art. 2 del D.M. n. 471/1999, ma nemmeno oggi l’art. 240 del D.Lgs. n. 152/2006) definiscono la nozione, nodale e critica, di “responsabile dell’inquinamento”.
Esistono tuttavia non poche ragioni per dubitare fondatamente dell’esattezza dell’esegesi proposta dagli enti territoriali appellanti e, segnatamente, della possibilità di considerare l’art. 17 alla stregua di una disposizione esclusivamente procedimentale e del tutto priva di innovatività rispetto all’art. 2043 c.c..
Onde meglio spiegare il senso di quanto testé considerato, è opportuno esaminare l’intera problematica giuridica, correttamente inquadrandola nel contesto dei rapporti tra le fonti: in questa prospettiva è utile il ricorso al concetto di “continuità normativa”.
La “continuità normativa” è un criterio esegetico al quale è talora affidata la soluzione delle problematiche di diritto intertemporale, specialmente in quei settori dell’ordinamento in cui più forte si avverte l’esigenza di contemperare il rigore del principio di legalità, e dei suoi corollari, con la necessità di scongiurare vuoti nelle trame normative onde assicurare, nonostante l’ininterrotto fluire del diritto nel tempo, una stabile regolazione di fenomeni socialmente sensibili.
Non a caso, dunque, la verifica dell’eventuale “continuità normativa” è al centro, nelle ipotesi di successioni di leggi, di molte questioni di diritto penale, soprattutto allorquando si debba stabilire se, a seguito di sopravvenienze legislative, vi sia stata, o no, un’abolitio criminis.
In questi termini e per questi fini, la “continuità normativa” descrive in sostanza un particolare atteggiarsi, “debole” o “a bassa innovatività”, della “forza di legge” ogniqualvolta, al formale succedersi di previsioni legislative, non corrisponda un’effettiva eliminazione né una radicale modifica della normativa cronologicamente anteriore, di tal che i precetti in questa contenuti, malgrado la legge sopravvenuta e l’immutazione del veicolo normativo, continuano a sopravvivere nell’ordinamento, ancorché trasfusi in diversi contenenti legislativi.
Più in dettaglio, sussiste continuità normativa tra due prescrizioni normative quando la disposizione temporalmente posteriore si presenti diretta alla tutela di identici beni giuridici e isomorfica rispetto alla precedente; l’isomorfismo non viene poi meno nei casi in cui la norma successivamente entrata in vigore contenga tutti e gli stessi elementi strutturali di quella precedente con, in più, l’inserimento di elementi “specializzanti”, secondo il consueto schema delle relazioni logico-giuridiche intercorrenti tra norma generale e norma speciale (anche se, in questo caso, la “specialità” non opera come criterio di soluzione delle antinomie, ma interviene in funzione di raccordo intertemporale tra due norme).
La “continuità normativa” condiziona sotto vari profili il modo in cui si invera nel diritto vivente il principio sancito dall’art. 11 delle preleggi. Sotto un primo aspetto, si osserva che, laddove sia riscontrabile una continuità, la legge successiva potrebbe trovare applicazione anche a fattispecie perfezionatesi prima della sua entrata in vigore. Per altro verso, è possibile rileggere come altrettante declinazioni della continuità normativa anche alcuni casi di “applicazione retroattiva” come, ad esempio, quello tipico delle cc.dd. “leggi interpretative”, con le quali il Legislatore, tramite un’apposita disposizione, seleziona e sceglie di far continuare a vivere nell’ordinamento una tra le molteplici norme astrattamente derivanti da una precedente previsione. Ancora e con riferimento al caso di specie, la continuità normativa interferisce anche con la successione tra soggetti, permettendo – questa volta operando “all’indietro nel tempo” – di riconoscere come già esistenti, in passato, nel patrimonio del dante causa, effetti giuridici precisati da leggi successive da reputarsi, per l’appunto, in continuità normativa con le prescrizioni vigenti prima dell’estinzione del dante causa.
Un esempio eloquente del funzionamento dello schema della continuità normativa è offerto proprio la disciplina dettata dal decreto Ronchi, posto che le Sezioni penali della Corte di cassazione hanno, in più occasioni, ravvisato continuità normativa tra l’art. 51-bis del D.Lgs. n. 22/1997 e il precedente art. 32 del D.P.R. 10.9.1982 n. 915 (tra le molte, Cass., sez. III, 17.11.1998, n. 280) e poi, ancora, tra lo stesso art. 51-bis e il successivo art. 257 del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, e ciò nonostante quest’ultima previsione differisca dalla precedente fattispecie non soltanto perché l’evento del reato contravvenzionale viene configurato unicamente come evento di danno e non come semplice pericolo di inquinamento, ma anche perché l'inquinamento è ivi definito come superamento delle “concentrazioni soglia di rischio” (CSR), individuanti un livello di rischio superiore ai livelli di accettabilità in pregresso determinati dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 (v., in tal senso, Cass., sez. III, 14.3.2007, n. 26479).
Muovendo da tale quadro teorico, è allora necessario verificare se l’art. 17 presenti nessi di continuità normativa con l’art. 2043 c.c., giacché:
a) solo in tal caso potrà realmente riconoscersi una relazione logica di tipo inclusivo tra la responsabilità per l’inquinamento, presupposto applicativo della prima norma, e l’ordinaria responsabilità extracontrattuale;
b) e, in via di diretta consequenzialità, solo in tal caso, al lume di un’interpretazione costituzionalmente orientata, si potrà prescindere dalla circostanza - al cui cospetto si è arrestato il primo Giudice – della diversità soggettiva tra l’“autore dell’inquinamento” e il “destinatario delle ordinanze” di bonifica dei siti inquinati.
Ad avviso del Collegio, l’esito di siffatta verifica è recisamente negativo. Difatti, anche ponendo a confronto l’art. 17 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043, 2050 (considerata l’obiettiva pericolosità dell’attività industriale di produzione di coloranti) e 2058 (sul risarcimento in forma specifica), le differenze tra gli istituti rispettivamente disciplinati sono talmente numerose e tanto profonde, da non consentire la formulazione di alcun giudizio di continuità tra le stesse.
Ed invero,
1) diverso è il rapporto che intercorre tra gli effetti giuridici prodotti e la relativa fonte, dal momento che nel caso dell’art. 2043 c.c. i primi discendono ex se dalla sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma normativo, salvo l’intervento del provvedimento giurisdizionale in presenza di patologie dovute alla mancanza di una spontanea esecuzione della legge da parte del responsabile civile, mentre l’art. 17 postula sempre l’intermediazione di un procedimento e di un provvedimento amministrativo;
2) diversi sono la natura e il contenuto delle situazioni giuridiche passive scaturenti dalle due previsioni, giacché il plesso di cui agli artt. 2043-2058 c.c. dà luogo, di regola, ad un’obbligazione risarcitoria pecuniaria (species del genus degli obblighi di dare), salvo che sia accolta dal giudice, qualora non ricorra alcuna condizione ostativa (come l’impossibilità o l’eccessiva onerosità), una ipotetica richiesta di risarcimento in forma specifica; l’art. 17, per contro, è costitutivo di un primario obbligo di fare (ablazione personale) del responsabile dell’inquinamento, nonché di un sussidiario ed eventuale obbligo di intervento (pubblicistico) del Comune e, in via di ulteriore subordine, di un obbligo di intervento (pubblicistico) della Regione, escluso in ogni caso il limite dell’eccessiva onerosità (v. il comma 13-ter dell’art. 17);
3) diversi sono i presupposti per la produzione degli effetti dal momento che, per l’art. 2043 c.c., occorre è soltanto l’accertamento di un danno ambientale, anche minimo, causalmente collegato ad una condotta, omissiva o commissiva, soggettivamente imputabile; mentre, per l’applicazione dell’art. 17, è sufficiente il mero pericolo di inquinamento o, nel caso di contaminazione, il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dal D.M. n. 471/1999;
4) diverso è il criterio di imputazione soggettiva della responsabilità: a titolo di colpa (soggettivo) o di “rischio d’impresa” (colpa presunta) per gli artt. 2043 e 2050 c.c., sempre oggettivo (“anche in maniera accidentale”, recita il comma 2 dell’art. 17) nel caso del decreto Ronchi;
5) diversi sono, per l’appunto, i legittimati passivi: il danneggiante e i suoi successori a titolo universale, nell’ipotesi della responsabilità extracontrattuale; l’autore diretto dell’inquinamento nell’art. 17, in disparte il parallelo onere di attivazione del proprietario del terreno inquinato ove questi intenda scongiurare il pregiudizio al regime giuridico del bene immobile (onere reale e privilegio speciale) conseguente all’adozione delle ordinanze di bonifica;
6) diversi sono gli strumenti offerti dall’ordinamento per portare ad esecuzione i provvedimenti, rispettivamente, giurisdizionali o amministrativi: gli ordinari rimedi previsti dal codice di procedura civile (e, segnatamente, gli artt. 612 e ss. c.p.c.) per gli artt. 2043 e ss. c.c., l’autotutela esecutiva “in danno” a cura della pubblica amministrazione per le ordinanze di bonifica non ottemperate dal responsabile dell’inquinamento;
7) solo l’art. 17, come accennato, riconnette poi all’adozione delle ordinanze la costituzione di un onere reale sul fondo e la previsione di cause di prelazione (sotto forma di un privilegio speciale immobiliare e di un privilegio generale mobiliare) del credito per le spese di bonifica e di messa in sicurezza;
8) l’art. 2043 c.c. si pone in rapporto di specialità con l’art. 18 della L. n. 349/1986, mentre le misure di cui all’art. 17 concorrono (v. l’art. 18, comma 4, del D.M. n. 471/1999) con il danno ambientale.
A tale elenco di differenze, che potrebbe ancora continuare, va aggiunta la circostanza - estranea all’intima struttura delle due fattispecie, ma di per sé significativa della loro irriducibile alienità – della diversa giurisdizione competente, di regola, a conoscere delle eventuali controversie.
Da quanto sopra considerato circa l’assenza di continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 17 del decreto Ronchi discende, innanzitutto, che la seconda previsione non si presenta come meramente procedimentale rispetto alla prima e, in via ulteriormente consequenziale, che un’eventuale applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 trasmoderebbe in una non consentita applicazione retroattiva della legge.
I superiori rilievi sono allineati alla precedente giurisprudenza di questo Consiglio. E’ invero ben consapevole il Collegio che la Sesta Sezione ha, di recente, pronunciato una decisione (9.10.2007, n. 5283) in apparente contrasto con le precedenti statuizioni, ma, ad una più approfondita riflessione, emerge come tale conflitto sia, per l’appunto, soltanto apparente, posto che gli odierni assunti sono pienamente compatibili con quelli della Sesta Sezione e indirettamente li rafforzano.
Il caso sottoposto alla Sesta Sezione riguardava, difatti, una persona giuridica che, fino ai primi anni ’80 del secolo scorso, aveva avuto in concessione alcune aree portuali in quel di Trieste; di tali aree, su cui era stata impiantata una raffineria con annesso deposito, il concessionario aveva perso la disponibilità, per averle restituite all’ente concedente. Dopo molti anni (oltre quindici) il Comune di Trieste aveva però accertato il ricorso dei presupposti per l’applicazione dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997 e, per ciò, aveva ordinato al precedente concessionario di mettere in sicurezza, bonificare e ripristinare i siti inquinati.
La Sesta Sezione, nel respingere l’appello dell’ex-concessionario (soccombente anche in primo grado), affermò – espressamente adeguandosi ad un precedente della Cassazione (sez. III pen., 28.4.2000, n. 1783) - tre importanti principi, ossia:
a) che il lungo lasso di tempo trascorso non esentava l’appellante dalla responsabilità per l’inquinamento;
b) che l’art. 17 trovava applicazione a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo, indipendentemente dall’epoca, ove pure remota, alla quale dovesse farsi risalire il fatto generatore della situazione patologica;
c) che l’art. 17 poteva essere applicato anche nei confronti di responsabili dell’inquinamento che non avessero più la disponibilità delle aree danneggiate.
Tanto la Sesta Sezione ha potuto statuire perché – e qui risiede fondamentale differenza rispetto al caso che occupa il Collegio – il soggetto autore dell’inquinamento esisteva già prima dell’entrata in vigore del decreto Ronchi (e continuò ad esistere successivamente). La Sesta Sezione, infatti, non ha comunque potuto prescindere, ai fini dell’imputabilità soggettiva degli obblighi scaturenti dall’art. 17, dall’individuazione di una partecipazione causale di tale “responsabile” nella eziogenesi del danno, precisando unicamente (non a caso richiamando la succitata giurisprudenza del Supremo Collegio sull’art. 51-bis del D.Lgs. n. 22/1997, disposizione che punisce l’inosservanza delle ordinanze adottate ai sensi dell’art. 17) che, alla condotta commissiva posta in essere fino agli anni Ottanta del XX secolo, era subentrata, nel prosieguo, una condotta omissiva, per non aver l’ex-concessionario eliminato, come d’obbligo, le conseguenze dell’evento. In altri termini, la Sesta Sezione ha specificato che “cagiona” il pericolo di inquinamento o il superamento dei limiti di accettabilità anche l’autore dell’inquinamento che, una volta cessata la condotta commissiva, poi non si attivi per rimediare alla conseguenze lesive dell’illecito, stante la “posizione di garanzia” originata dalla stessa, pregressa condotta commissiva.
Ora, pur a voler prescindere dalla notazione a margine circa il successivo, parziale revirement del Supremo Collegio (sez. III, n. 26479/2007 cit. che, esplicitamente criticando il precedente citato dalla Sesta Sezione, ha qualificato la contravvenzione di cui all’art. 51-bis, non come reato omissivo di pericolo presunto, ma come reato di evento a condotta libera, la cui punizione è però subordinata alla condizione obiettiva di punibilità “intrinseca” rappresentata dall’omessa bonifica da parte di chi ha cagionato il danno), è comunque evidente come, considerata la fattispecie concreta sottoposta al giudizio della Sesta Sezione, non si assistesse ad alcuna applicazione retroattiva dell’art. 17.
Differente è invece l’ipotesi in esame, in cui nemmeno è ravvisabile una remota partecipazione causale del successore a titolo universale all’eziogenesi dell’evento; in siffatta evenienza, per non incorrere in una violazione dell’art. 11 delle preleggi, residuerebbe, appunto, in linea teorica soltanto la soluzione applicativa incentrata sulla trasmissione iure successionis dell’obbligo di provvedere, ma – come sopra spiegato – nemmeno tale opzione è praticabile, ostandovi la discontinuità normativa che separa l’art. 17 dalle norme codicistiche in tema di responsabilità extracontrattuale.


* * *


Non conduce a diverse conclusioni la considerazione del diritto comunitario, primario e derivato, invocato sia dalle amministrazioni appellanti sia, ma per diversi approdi esegetici, dallo stesso T.a.r. nella sentenza impugnata. Notoriamente la versione originaria del Trattato di Roma, ipoteticamente applicabile ratione temporis negli ultimi anni di attività della Saronio, non conteneva alcun riferimento all’ambiente: le prime novelle in materia risalgono infatti al 1986 (ovvero, all’Atto unico europeo), ancorché nel diritto derivato vi fossero state delle anticipate “positivizzazioni” del principio “chi inquina paga” (come, ad esempio, nell’art. 15 della direttiva 75/442/CEE, in materia di smaltimento di rifiuti).
Anche il Tribunale lombardo ha impropriamente ritenuto di poter corroborare le proprie statuizioni con il richiamo all’art. 17 della direttiva 21.4.2004, n. 2004/35/CE sulla responsabilità in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale: in realtà, la disposizione - secondo cui la direttiva succitata non si applica al danno in relazione al quale siano passati più di 30 anni dall'emissione, evento o incidente che l'abbia causato – oltre a non presentare alcuna attinenza con l’oggetto del contendere, è pacificamente derogabile dagli Stati membri, a norma della previsione immediatamente precedente (v. l’art. 16, par. 1).
L’argomento utilizzato dal T.a.r., pertanto, non era in grado di invalidare le tesi sostenute dalle amministrazioni.


* * *


Non presenta poi la consistenza di un motivo esaminabile l’altro argomento utilizzato delle ammistrazioni appellanti, secondo cui il principio affermato dal T.a.r. (e confermato dalla presente pronuncia nei sensi delle precedenti statuizioni), arrecherebbe un grave vulnus alla protezione del bene ambiente, in quanto da esso discenderebbe la possibilità, per tutti gli inquinatori costituiti in forma di società, di liberarsi agevolmente (attraverso un semplice atto di fusione o preordinando altre forme di abuso della personalità giuridica) degli oneri di bonifica delle aree deteriorate, allocando in maniera definitiva sugli enti territoriali e, quindi, in ultima istanza, sulle collettività di riferimento, i costi dell’eliminazione delle esternalità negative generate.
Pur dovendo premettersi che la critica, di tipo funzionale, sembra dirigersi contro la politica legislativa dell’ambiente e che, pertanto, essa esula dall’ambito proprio di una cognizione giurisdizionale de iure condito, nondimeno, in ragione delle finalità conformative che si ricollegano a qualunque pronuncia del giudice amministrativo, quand’anche di segno negativo, appare opportuno segnalare che a fronte del rischio paventato dalle appellanti pubbliche non vi è alcun vuoto di tutela.
Nei confronti dei successori dei responsabili degli inquinamenti è difatti possibile far valere, a regime, l’ordinaria responsabilità civilistica di tipo aquiliano; inoltre, sul versante amministrativo, rimangono comunque adottabili (come già avveniva in epoca antecedente all’entrata in vigore del decreto Ronchi) i provvedimenti contingibili contemplati dall’ordinamento per i casi di qualificate urgenze di intervenire (v., al riguardo, l’ordinanza cautelare della Sezione n. 6133 del 23.11.2007). In particolare, nei provvedimenti contingibili e urgenti l’imputazione soggettiva degli obblighi di attivazione, discrezionalmente individuati dall’amministrazione procedente, può motivatamente seguire anche le diverse regole della successione c.d. “economica” (per un’applicazione della successione economica in materia di concorrenza, è utile il richiamo alla recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06, pronunciata su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato) che consentono, per la migliore e immediata tutela di fondamentali interessi superindividuali, di derogare al generale principio della personalità e, in ossequio al canone del “chi inquina paga”, di onerare chi abbia beneficiato delle valenze economiche, anche latenti, di un bene-impresa dei correlativi costi dell’internalizzazione delle diseconomie esterne prodotte.


M) In diritto: l’esame di un’ulteriore questione.
Rimangono da esaminare i motivi diretti contro il capo di decisione relativo alla lesione delle garanzie partecipative denunciata dalla Edison.
Non sfugge al Collegio che tale aspetto della controversia si profila come subvalente rispetto a quelli già trattati: il rigetto degli appelli delle amministrazioni sul punto del difetto di legittimazione passiva della Edison consentirebbe infatti di dichiarare assorbite le residue censure.
Nella specie tuttavia, al di là delle perplessità di ordine costituzionale che in generale suscita la tecnica decisoria dell’assorbimento (dacché in potenziale conflitto con i generali principi dell’effettività e della completezza della tutela giurisdizionale), sussiste indubbiamente l’interesse delle amministrazioni ad una pronuncia, attese, in prospettiva futura, le sensibili ricadute, non soltanto di tipo conformativo, di un’implicita conferma in parte qua della sentenza appellata.


N) In diritto: il difetto di partecipazione procedimentale.
In questa prospettiva il Collegio reputa erroneo l’accoglimento della doglianza con la quale la Edison ebbe a lamentare la violazione del contraddittorio per avere l’A.R.P.A. eseguito le analisi, senza previo avviso alla ricorrente.
Al riguardo il T.a.r. ha affermato che l’onere di effettuare gli accertamenti in contraddittorio con le parti interessate discende da molteplici principi del diritto vivente (trasparenza, pubblicità, imparzialità) ai quali l’amministrazione è tenuta ad uniformare ogni aspetto della propria azione.
Le conclusioni alle quali è pervenuto il primo Giudice non possono essere confermate. Sebbene sia indiscutibile che ogni pubblica amministrazione debba conformare la sua attività ai principi generali che la governano, è però altrettanto incontrovertibile che i medesimi principi non possono essere utilizzati, in via di analogia iuris, per forgiare regole in contrasto con la normativa vigente, ove questa non sia sospettabile di incostituzionalità. Ed invero, la partecipazione al procedimento dei destinatari del provvedimento e degli altri interessati è puntualmente disciplinata dalla L. n. 241/1990 e dalle varie normative speciali. Orbene né dalla legge generale sul procedimento né, come si dirà, dal D.M. n. 471/1999 è desumibile l’esistenza di una regola corrispondente a quella individuata dal T.a.r. della Lombardia. Tanto meno è all’uopo invocabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., dal momento che questa disposizione certamente non esprime un principio generale: si tratta piuttosto una previsione speciale del diritto processuale penale, dettata all’unico fine di stabilire le condizioni alle quali è consentita la migrazione, nel fascicolo del dibattimento, dei verbali di analisi non ripetibili e di quelli di revisione e alla cui eventuale violazione corrisponde solo la sanzione endoprocessuale della nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p. (Cass., sez. III pen., 28.6.2006, n. 37400).
In sede amministrativa il contraddittorio procedimentale sugli accertamenti tecnici può svolgersi secondo altre modalità e la regola del preventivo avviso, pur configurandosi come una forte tutela, non è sempre imposta dall’ordinamento né deve essere necessariamente osservata, potendo ugualmente assicurarsi, seguendo altri schemi procedurali, una piena dialettica tra l’amministrazione e gli interessati.
E’ questo il caso del D.M. n. 471/1999 che, nell’Allegato 2, reca una completa e dettagliata disciplina delle “Procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni”, prevedendo, tra l’altro, dei campioni supplementari “per eventuali contestazioni e controanalisi”. Di questa facoltà la Edison, resa edotta della pendenza del procedimento, avrebbe potuto avvalersi: non si ravvisa, pertanto, alcuna lesione delle sue pretese partecipative.


O) La pronuncia sugli appelli.
In conclusione, gli appelli della Regione Lombardia, del Comune di Melegnano e del Comune di Cerro al Lambro devono essere respinti e, per l’effetto, la sentenza impugnata va confermata, seppur con diversa motivazione: in particolare, oltre alla differente formulazione delle ragioni dell’accoglimento della principale doglianza dedotta dalla Edison, la decisione di primo grado va emendata con riferimento all’accoglimento delle censure in ordine ai presunti vizi delle istruttorie comunali e alla violazione delle regole sulla partecipazione procedimentale.
L’appello incidentale della Edison, ancorché infondato sul punto del preteso difetto della qualità di successore universale della Saronio (e, incidenter, anche sulle domande, non sorrette da alcun attuale interesse, ad una diversa formula impeditiva del giudizio e alla cognizione di atti evidentemente privi di lesività), deve comunque dichiararsi improcedibile, non essendosi verificata la condizione alla quale la cognizione dello stesso è stata espressamente subordinata (ovverosia, l’accoglimento delle impugnazioni avversarie).


P) Il regolamento delle spese processuali.
L’accoglimento solo virtuale di alcuni motivi formulati dalle amministrazioni appellanti e la corrispondente parziale soccombenza, altrettanto virtuale, della Edison, giustifica la compensazione integrale, tra le parti costituite, delle spese processuali del secondo grado del giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando,
1) respinge l’appello principale della Regione Lombardia e quelli incidentali proposti dai Comuni di Melegnano e di Cerro al Lambro;
2) dichiara improcedibile l’appello incidentale della Edison;
3) e, per l’effetto, conferma con diversa motivazione la sentenza impugnata;
4) compensa integralmente tra le parti, per i motivi spiegati in motivazione, le spese processuali relative al secondo grado del giudizio;
5) ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di consiglio del 30.9.2008, con l'intervento dei magistrati:


Domenico La Medica - Presidente
Aldo Fera - Consigliere
Filoreto D’Agostino - Consigliere
Claudio Marchitiello - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere estensore


L'ESTENSORE
f.to Gabriele Carlotti


IL PRESIDENTE

f.to Domenico La Medica

 

 

IL SEGRETARIO
f.to Agatina Maria Vilardo

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 5/12/08
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
P. IL DIRIGENTE
f.to Livia Patroni Griffi
 



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