AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


Dottrina LegislazioneGiurisprudenzaConsulenza On Line

 

AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © AmbienteDiritto.it

Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562

 

Giurisprudenza

Rifiuti

2002 -2001 - 2000-94

(Vedi anche le voci: inquinamento - acqua - aria - suolo - V.I.A....)

 

Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni

2011 - 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 - 2000-94

Gli aggiornamenti successivi

 

sono reperibili sul nuovo sito della rivista AmbienteDiritto.it

  <

Informazioni per la pubblicità su AmbienteDiritto.it

 

 

 

Rifiuti - Trattamento dei residui - Riutilizzo immediato nel ciclo produttivo Recupero - Nozione - Fattispecie: rottami ferrosi - D.lg. n. 22/1997. In tema di gestione dei rifiuti, non può più parlarsi di rifiuto, quando non vi è necessità di trattamento dei residui, ma possibilità di riutilizzo immediato nel ciclo produttivo, atteso che la sostanza può essere trattata allo stesso modo di una materia prima. (Fattispecie: non applicabilità della disciplina sui rifiuti, di cui al d.lg. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, ai rottami ferrosi riutilizzati senza alcuna operazione di trattamento preliminare). Pres. Savignano - Rel. Tardino - P.M. Favalli (concl. diff.) - Pittini. CORTE DI CASSAZIONE penale, Sez. III - C.c. 13 dicembre 2002 (dep. 24 febbraio 2003), n. 8755
 

Disciplina dei rifiuti - fanghi provenienti da impianto di lavaggio di inerti - natura di rifiuto speciale - i materiali di cava costituiscono rifiuto speciale. In tema di gestione dei rifiuti, i fanghi provenienti da impianto di lavaggio di materiali inerti, quali i minerali e i materiali di cava costituiscono rifiuto speciale ex art. 7 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, non rientrando tra le specifiche esclusioni previste dallo articolo 8 dello stesso decreto n. 22. Cassazione Penale sezione III del 19/12/2002 (UD. 29/10/2002), Sentenza n. 42949

 

Rifiuti - Deposito temporaneo - Smaltimento e recupero dei rifiuti non pericolosi - Condizioni e limiti - art. 6, lett. m), n. 3, D. L.vo n. 22/1997. Si configura la previsione contenuta nell’art. 6, lett. m), n. 3 del Decreto Legislativo n. 22/1997, quando i rifiuti non pericolosi non vengono raccolti e avviati allo smaltimento o al recupero con cadenza trimestrale, indipendentemente dal raggiungimento delle quantità massime consentite in deposito oppure in alternativa quando vi sia un superamento dei 20 metri cubi. In questo caso, il deposito temporaneo dei rifiuti non pericolosi è consentito per un limite temporale di un anno a condizione che gli stessi non superino i 20 metri cubi. Pres. Postiglione - Est. Novarese - Ric. Guarracino. CORTE DI CASSAZIONE, Penale sezione III del 12 dicembre 2002 (Ud. 29 ottobre 2002), Sentenza n. 1359.

 

Rifiuti - Smaltimento e recupero rifiuti - Nuovi impianti - Definizione - Autorizzazione - Necessità. S’intendono per “nuovi impianti”, (ed è sempre obbligatoria l’autorizzazione ex art. 27 D. L.vo. n. 22/1997), ai fini della gestione, smaltimento e recupero dei rifiuti quelli di nuova creazione, e quelli che subiscono un mutamento dell’originaria attività debitamente autorizzata e per il quale si prevede nella sostanza un diverso impianto. Pres. Fattori - Est. Battisti - P.M. Cedrangolo - Ric. Andreani. CORTE DI CASSAZIONE, Penale sezione III - 11 dicembre 2002 (Ud. 12 dicembre 2001), Sentenza n. 41388 (vedi: sentenza per esteso)
 

Rifiuti - Normativa regionale contenente disposizioni contrarie ai principi fondamentali della legislazione statale - Illegittimità. E’ illegittima la normativa regionale che in materia di rifiuti dispone in modo contrario ai principi fondamentali della legislazione statale (D. L.vo n. 22/1997). (Nella specie la regione aveva negato la necessità dell’autorizzazione per la realizzazione degli impianti di smaltimento, gestione e recupero dei rifiuti). Pres. Fattori - Est. Battisti - P.M. Cedrangolo - Ric. Andreani. CORTE DI CASSAZIONE, Penale sezione III - 11 dicembre 2002 (Ud. 12 dicembre 2001), Sentenza n. 41388 (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti - Inquinamento acque marine - perquisizione e sequestro probatorio, finalizzati al riscontro della "notitia criminis" - legittimità. La perquisizione ed il sequestro probatorio, finalizzati al riscontro della "notitia criminis" ed all'eventuale raccolta degli elementi di prova, pur incidendo in qualche modo sui diritti della persona, non rientrano nel "processo", né hanno natura cautelare come il sequestro preventivo, per cui non devono conformarsi ai principi dell'art. 111 Cost.; conseguentemente è insussistente qualsiasi profilo di illegittimità costituzionale degli artt. 247 e 253 c.p.p.. (In specie sono state avviate indagini e perquisizioni nello stabilimento e luoghi pertinenziali dell'EniChem di Priolo Gargallo (Reparto cloro-soda), a seguito di una riscontrata anomala colorazione delle acque marine antistanti all'industria. In particolare era emersa una generazione anomala di rifiuti contenente mercurio in rapporto alla produzione del reparto cloro-soda. Sollevata la questione costituzionale la Suprema Corte ha dichiarato infondata la questione). CORTE DI CASSAZIONE, Penale sezione III - 5 dicembre 2002, (Ud. 15 ottobre 2002), Sentenza n. 40974  (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti - Realizzazione di un impianto di smaltimento e recupero dei rifiuti - Conferenza di servizi - Inidoneità degli effetti - Necessità della partecipazione di tutti i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti degli enti locali interessati. La delibera della Giunta regionale che autorizza la realizzazione di un impianto di smaltimento e recupero dei rifiuti, adottata dopo le conclusione della conferenza di servizio, sostituisce, in base all’art. 27 D. L.vo n. 22/1997, autorizzazioni e concessioni, a condizione, che, alla conferenza di servizio abbiano partecipato tutti i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti degli enti locali interessati. (In specie, è stata ritenuta inidonea a produrre effetti la conferenza di servizi per l’assenza del responsabile del servizio regionale competente a rilasciare l’autorizzazione). Pres. Onorato - Est. Rizzo - P.M. Izzo - Ric. Calcagni. CORTE DI CASSAZIONE, Penale sezione III - 5 dicembre 2002 (Ud. 4 ottobre 2002), Sentenza n. 40970

 

La disapplicazione delle norme interne riguardante l’interpretazione autentica della nozione di rifiuto confliggenti con il diritto comunitario. Nessun rilievo ostativo dell’annullamento del decreto impugnato, previa disapplicazione delle norme menzionate, possono avere le norme interne successive che hanno prorogato salvato in vario modo gli effetti (artt.33, comma 6, 57, comma 6 del d.lgs. n.22/1997, nonché i d.m. 5/2/1998 art.11 comma 2, e d.m. 12/6/2001 n.161 art.9) dei vecchi titoli abilitativi ai fini della carenza sopravvenuta d’interesse per quanto già detto, essendo dette norme applicabili ai vecchi titoli abilitativi rimasti inoppugnati (dovendo l’esame dell’impugnazione dell’atto amministrativo avvenire secondo la situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione dell’atto impugnato) ed essendo invocabile lo ius superveniens di cui agli artt.31-33 del d.lgs. n.22/1997 dalla società appellata nel prosieguo dell’azione amministrativa, in difetto di prova dell’attuale conseguimento, da parte della Società Ambiente, dei titoli abilitativi taciti di cui agli artt.31-33 della legge Ronchi, ormai sostituitisi pienamente alla disciplina previgente (circostanza quest’ultima che avrebbe determinato il sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere degli appellanti con riferimento al ricorso originario). Né può dirsi rilevante la norma, contenuta in un recentissimo decreto legge (d.l. 8/7/2002 n.138 ) art.14 che contiene l’interpretazione autentica della nozione di rifiuto (14. Interpretazione autentica della definizione di «rifiuto» di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22.) 1. Le parole: «si disfi», «abbia deciso» o «abbia l'obbligo di disfarsi» di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22, e successive modificazioni, di seguito denominato: «decreto legislativo n.22», si interpretano come segue: a) «si disfi»: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.22; b) «abbia deciso»: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.22, sostanze, materiali o beni; c) «abbia l'obbligo di disfarsi»: l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n.22. 2. Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n.22.) poiché, al di là della dubbia legittimità della disposizione che sembra reintrodurre sotto forma di interpretazione autentica la distinzione fra rifiuto e residuo riutilizzabile, la norma riguarda casi marginali di totale certa innocuità del riutilizzo e di riutilizzo senza previo trattamento di recupero ai sensi del decreto Ronchi (all. c). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

Le direttive in tema di rifiuti - definizione della nozione di rifiuti - lo smaltimento di rifiuti pericolosi - la sentenza Tombesi (i rifiuti devono essere recuperati senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora) - normativa italiana e normativa comunitaria. La sentenza Tombesi è chiara nell’affermare che “una normativa nazionale che adotti una definizione della nozione di rifiuti che esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non è compatibile con la direttiva 74/442 nella sua versione originale e con la direttiva 78/319 (sentenze 28/3/1990 causa C- 359/88 Zanetti; 10/5/1995 causa 422/92 Commissione c. Germania). Tale interpretazione non è messa in discussione né dalla direttiva 91/156, che ha apportato modifiche alla prima delle due direttive, né dalla direttiva 91/689 che ha abrogato la seconda (cfr. la precitata sentenza Commissione c. Germania). Le direttive in tema di rifiuti pongono il principio fondamentale dell’autorizzazione di ogni attività di smaltimento e recupero (artt.9 e 10 della direttiva 91/156) o dell’iscrizione dell’impresa che smaltisce in appositi albi (art.12) (il d.p.r. n.915/1982 adotta pienamente il principio dell’autorizzazione art.6 lett. d) del d.p.r. n.915/1982). L’autorizzazione può non essere contemplata per gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti, ma ciò può avvenire (art.11) a condizione che le autorità competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l’attività può essere dispensata dall’autorizzazione e sempre che i tipi o le quantità di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di ricupero siano tali da rispettare le condizioni imposte dall’articolo 4. Tali condizioni vogliono che i rifiuti siano recuperati senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora; senza causare inconvenienti da rumori od odori; senza danneggiare il paesaggio ed i siti di particolare interesse (art.4 direttiva citata). Gli stati membri informano la Commissione delle norme generali adottate in virtù del paragrafo 1. Analoga norma è prevista in tema di smaltimento di rifiuti pericolosi (art.3 della direttiva 91/689) ma in questo caso è prevista che la disciplina derogatoria rispetto al principio di autorizzazione, ossia la dispensa dello Stato membro, sia comunicata alla Commissione almeno tre mesi prima, che si apra una procedura di consultazione fra gli Stati membri, che la Commissione faccia una proposta di adozione della normativa secondo la procedura di cui all’art.18 della direttiva 75/442/CE (che prevede, in caso di proposta non conforme al parere del Comitato dei rappresentanti degli Stati membri, l’intervento del Consiglio). La normativa italiana che, in attesa della completa attuazione delle direttive 91/156 CE e 91/689 CE ed in particolare “in attesa che la Commissione dell’Unione europea stabilisse in maniera puntuale i criteri che caratterizzano la nozione di rifiuto”, ha distinto fra rifiuti e materie prime secondarie e poi fra rifiuti e residui riutilizzabili non trova quindi alcuna copertura comunitaria da parte dello Stato membro non essendovi prova dell’esperimento puntuale delle procedure di garanzia di cui agli artt.11 della direttiva 91/156 e 3 della direttiva 91/689 per la dispensa dall’autorizzazione ed apparendo singolare il riferimento alla necessità di una puntualizzazione dei criteri che definiscono la nozione di rifiuto in presenza di cospicue e costanti indicazioni della giurisprudenza comunitaria sul punto. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

La nozione di rifiuto ai sensi delle direttive 75/442 e 78/319 - ius receptum nel diritto comunitario - la sentenza Tombesi. E’ ius receptum nel diritto comunitario che la nozione di rifiuto ai sensi delle direttive 75/442 e 78/319 non deve intendersi nel senso che escluda le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica (Corte Giustizia CE 28/3/1990 cause riunite 206/88 e 207/88 Vessoso-Zanetti nonché Corte di Giustizia CE 18/4/1992 causa 9/00 Palin Granit e Vehmassalonkansanterveyon). Di recente, confermando tale orientamento, si è statuito che: “la nozione di «rifiuti» figurante all'art.1 della direttiva del consiglio 15 luglio 1975 n.75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del consiglio 18 marzo 1991 n.91/156/CEE, cui rinviano l'art.1 n.3, della direttiva del consiglio 12 dicembre 1991 n.91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e l'art.2, lett. a), del regolamento (CEE) del consiglio 1º febbraio 1993 n.259, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio, non deve essere intesa nel senso che essa esclude sostanze od oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, neanche se i materiali di cui trattasi possono costituire oggetto di un negozio giuridico, ovvero di una quotazione in listini commerciali pubblici o privati; in particolare, un processo di inertizzazione dei rifiuti finalizzato alla loro semplice innocuizzazione, l'attività di discarica dei rifiuti in depressione o in rilevato e l'incenerimento dei rifiuti costituiscono operazioni di smaltimento o di recupero che rientrano nella sfera d'applicazione delle precisate norme comunitarie; il fatto che una sostanza sia classificata nella categoria dei rifiuti riutilizzabili senza che le sue caratteristiche e la sua destinazione siano precisate è al riguardo irrilevante; lo stesso vale per la triturazione di un rifiuto” (Corte giustizia Comunità europee, 25.6.1997, nn.304, 330, 342/94, 224/95 Tombesi). La sentenza Tombesi è particolarmente interessante avuto riguardo alle questioni oggetto dell’appello poiché in essa venivano in rilievo proprio i decreti-legge reiterati ma non convertiti recanti disposizioni in tema di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei rifiuti”, adottati a partire dal novembre 1993 (d.l. 9 novembre 1993 n.443 GURI 10/11/1993 n.264). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

La competenza all'installazione e localizzazione di una centrale termoelettrica - limiti del piano provinciale dei rifiuti. Il piano provinciale dei rifiuti previsto dal d.p.r. n.915/1982 non avrebbe mai potuto individuare la localizzazione di una centrale termoelettrica. La competenza all'installazione della centrale termoelettrica è quindi una competenza del Ministero dell’Industria, che tra l’altro è stata giudicata costituzionalmente legittima (Corte Cost. 21/7/1995 n.346). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

Categoria dei rifiuti - le materie prime secondarie - disciplina per il riutilizzo dei rifiuti non pericolosi - smaltimento dei rifiuti - la dispensa dal regime autorizzatorio - c.d. “decreti catenaccio” - i rifiuti pericolosi - la c.d. “messa in riserva” in attesa del recupero - il principio di prevenzione e precauzione - primazia del diritto comunitario sul diritto interno - la disapplicazione di atti interni. Giudicando sul noto caso dell’impresa Acna di Cengio il Supremo Consesso ha avuto occasione di precisare che in tema di smaltimento dei rifiuti, nella generale categoria dei rifiuti rientrano non soltanto le sostanze e gli oggetti che si possono considerare tali sin dall'origine (ad es., immondizie), ma anche le sostanze e gli oggetti non più idonei a soddisfare i bisogni cui erano originariamente destinati, pur se non ancora privi di valore economico, sicché «abbandonato o destinato all'abbandono» va inteso non nel senso civilistico di res nullius o di res derelicta, disponibile all'apprensione di chiunque, sebbene di sostanza od oggetto ormai inservibile alla sua funzione originaria, dismesso - o destinato ad essere dismesso - da colui che lo detiene, anche mediante un negozio giuridico (C. Stato, sez.IV, 19.7.1993, n.741 nello stesso senso Cass. pen. Sez.III 26/2/1991 Lunardi; Cass. Sez. Un. pen. 27/3/1992 Viezzoli). Le materie prime secondarie, ovvero i residui derivanti dai processi produttivi suscettibili di essere riutilizzati, non costituiscono una categoria autonoma, diversa o comunque alternativa rispetto ai rifiuti, giacché si tratta pur sempre di sostanze ed oggetti dismessi - o destinati ad essere dismessi - dal loro detentore in quanto non più idonei a soddisfare i bisogni cui erano originariamente destinati; pertanto, continua ad applicarsi ad esse la normativa (amministrativa e penale) prevista dal d.p.r. 10 settembre 1982 n.915, almeno fino a quando non si provvederà a tutti gli adempimenti prefigurati dall'art.2 l. 9 novembre 1988 n.475 che, proprio in funzione dell'attitudine delle materie prime secondarie ad essere riutilizzate, riserva alle stesse un regime giuridico diverso da quello cui sono sottoposti i rifiuti in generale (C. Stato, sez.IV, 19.7.1993, n.741). Il principio è chiaro: non sono ingiustificabili diversità di trattamento fra rifiuti e rifiuti-residui (diversità consentite anche dalle direttive comunitarie) ma esse non devono comportare una sostanziale sottrazione della materia al perseguimento delle finalità di tutela affermatesi nell’ambito del diritto comunitario vivente in materia ambientale con riguardo ai rifiuti. In particolare poi, anche sul piano sostanziale, non possono dirsi soddisfatte dal d.l. n.113/1996 e dalla disciplina secondaria da esso presa a riferimento (emanata in attuazione dei primi decreti non convertiti), le condizioni poste dal legislatore comunitario per la dispensa dal regime autorizzatorio: a fronte del disposto dell’art.5 del d.l. n.113/1996 (attività di riutilizzo sottoposte a comunicazione) che impone solo oneri informativi all’impresa che effettua il riutilizzo dei residui-rifiuti e non assicura alcuna salvaguardia preventiva dell’ambiente o cautela sufficiente affidandosi solo ai controlli ex post (divieti di prosecuzione dell’attività ed ordini di rimozione degli effetti già prodotti). In proposito giova ricordare che le procedure semplificate introdotte dal decreto Ronchi (d.lgs. n.22/1997) che hanno rielaborato la disciplina di settore (in virtù di una doppia delega legislativa l. 22/2/1994 n.146 artt.38-39 per il recepimento delle direttive 91/156 e 91/689 nonché l. 6/2/1996 n.52 per il recepimento della direttiva 94/62 sugli imballaggi), eliminando gran parte delle disposizioni contrastanti con il diritto comunitario hanno costruito un sistema organico fondato su principi direttivi, assetti organizzativi, profili procedimentali e sanzionatori che affrontano compiutamente la materia dei rifiuti superando quella che la dottrina ha indicato come l’epoca dell’«emergenza rifiuti» connotata dall’emanazione continua dei c.d. “decreti catenaccio”. A seguito dell’emanazione del decreto “Ronchi” è stata emanata una disciplina per il riutilizzo dei rifiuti non pericolosi con d.m. 5/2/1998: tale disciplina attuativa degli artt.31-33 del d.lgs. n.22/1997 è rispondente effettivamente ai canoni comunitari e costituisce una piena attuazione delle direttive. Essa è considerata un vero e proprio superamento dell’assetto precedente (cfr. art.33 comma 6 del d.lgs. n.22/1997; art.11 comma 2 del d.m. 5/2/1998), che rimane transitoriamente in vigore (e quindi viene fatto salvo dal decreto “Ronchi”), per quanto attiene i rifiuti non pericolosi solo per quanto riguarda le voci 6, 7, 9, 14 dell’allegato 1 e solo entro tre mesi dall’entrata in vigore dello stesso, mentre l’impianto gestito dalla Società Ambiente utilizza residui classificati in voci dell’allegato 1 non “salvate” dalla disciplina transitoria del d.m. 5/2/1998 e comunque non v’è prova abbia posto in essere le procedure semplificate del d.m. sicché si deve supporre abbia continuato ad esercitare valendosi del vecchio titolo abilitativo anche dopo il decorso dei tre mesi predetti. Di recente, con d.m. 12/6/2002 n.161, sono stati individuati i rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate, con una compiuta disciplina degli aspetti rilevanti la gestione del rifiuto quali ad es. la c.d. “messa in riserva” in attesa del recupero (ossia la gestione del rifiuto non immediatamente recuperato aspetto cruciale non disciplinato dalla normazione previgente) così completandosi il disegno previsto dalla legge Ronchi. La norma transitoria relativa al recupero dei rifiuti pericolosi (art.9 del d.m. 12/6/2001 n.161) abroga il D.M. 16/1/1995 e concede sei mesi alle imprese già in esercizio - come la Società Ambiente - per adeguarsi alle disposizioni del regolamento sui rifiuti pericolosi (art.9 comma 3). Non si può inoltre non sottolineare come l’inizio immediato di attività potenzialmente dannose per l’ambiente (e per questo regolamentate) consentito dal d.l. n.113/1996 non si concilia con il principio di prevenzione e precauzione che è richiamato attualmente dall’art.174, a linea 2 del Trattato CE. Da ciò consegue la necessità di disapplicare, in forza del principio noto di primazia del diritto comunitario sul diritto interno con esso contrastante (su cui Corte di Giustizia 9/3/1978 causa 106/77 Simmenthal e Corte Cost. n.170/1984), la norma interna di cui al d.l. n.113/1996 che ha reso a suo tempo legittimo lo smaltimento senza autorizzazione in violazione del diritto comunitario trasposto (direttiva 75/442 e d.p.r. n.915/1982 chiaramente invocati nel ricorso introduttivo) e non potendosi la disciplina suddetta ritenere mera attuazione del potere degli Stati di dispensa dall’autorizzazione previsto dalle direttive comunitarie 91/156 e 91/689 (non ancora trasposte all’atto dell’emanazione del provvedimento impugnato e certo non invocabili, solo per quella parte, per sostenere la legittimità della normativa derogatoria introdotta con i decreti legge non convertiti). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

La nozione ampia ed oggettiva di rifiuto - c.d. “materie prime secondarie” - c.d. “emergenza rifiuti” - la giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato. L’approdo della giurisprudenza comunitaria relativamente alla nozione ampia ed oggettiva di rifiuto è stato sostanzialmente accolto anche dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato in alcune decisioni riguardanti il regime delle c.d. “materie prime secondarie”, che ai sensi della legge 9/11/1988 n.475 (legge alla quale risale l’inizio della c.d. “emergenza rifiuti”) sono i “residui derivanti da processi produttivi e che sono suscettibili, eventualmente previi idonei trattamenti, di essere utilizzati come materie prime in altri processi produttivi della stessa o di altra natura”. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

La competenza all'installazione della centrale termoelettrica - l’attività di utilizzazione dei residui - disciplina dei rifiuti. La competenza all'installazione della centrale termoelettrica è quindi una competenza del Ministero dell’Industria, che tra l’altro è stata giudicata costituzionalmente legittima (Corte Cost. 21/7/1995 n.346). Anche qualora l’attività di utilizzazione dei residui fosse riconducibile alla disciplina dei rifiuti, da ciò non potrebbe mai derivare un'illegittimità dell’autorizzazione alla installazione della centrale, poiché la centrale è realtà economica aziendale e giuridica diversa da una discarica e/o da un inceneritore e/o da un impianto di trattamento, stoccaggio temporaneo o definitivo dei rifiuti (tale da dovere esser inserito nel piano regionale di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art.6 del d.p.r. n.915/1982) ed utilizzare un rifiuto ai fini della combustione generatrice di energia in una centrale termoelettrica è attività relativa all’esercizio della centrale medesima e non alla sua costruzione e localizzazione (di competenza esclusiva del Ministero dell’Industria per quanto già detto). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

Il principio di prevenzione e precauzione - la disapplicazione di atti interni primazia del diritto comunitario - la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi - il principio tempus regit actum - ius superveniens - ius receptum. E’ ius receptum che la legittimità dei provvedimenti amministrativi va valutata con il riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della loro emanazione; pertanto per sostenerne l'illegittimità non è invocabile lo jus superveniens (C. Stato, sez.V, 6.4.1991, n.452). All’opposto vale la stessa regola, non può desumersi per il principio tempus regit actum la sopravvenuta legittimità dell’atto in forza di ius superveniens; da ciò deriva che non può eccepirsi la carenza d’interesse per la mera forza dello ius superveniens, salvo il caso eccezionale di chi, resistendo in giudizio, eccepisca l’inutilità dell’annullamento di un atto perché la riedizione del potere dovrà conformarsi ad una norma medio tempore entrata in vigore, recante una disciplina diversa da quella previgente ed assolutamente conforme all’atto a suo tempo adottato, sicché sia chiaro che la riedizione del potere porterà “necessariamente” alla medesima situazione giuridica, in forza delle norme nel frattempo entrate a far parte dell’ordinamento giuridico (e sempre che l’interesse all’annullamento non debba ritenersi in forza della pregiudizialità dello stesso rispetto ad eventuali azioni risarcitorie proponibili innanzi al giudice amministrativo o rispetto ad un qualificato interesse morale al ripristino della legalità amministrativa violata). Deve anche considerarsi che la giurisprudenza amministrativa considera l’interesse strumentale alla rinnovazione del procedimento sufficiente a fondare l’interesse ad ottenere la decisione sicché ove lo ius superveniens sia solo diverso rispetto al diritto previgente e non comporti una necessaria identità dell’atto rinnovato all’atto annullato, deve ritenersi che anche dalla mera riedizione del potere in modo conforme ai nuovi canoni legali venga soddisfatto l’interesse azionato (nella specie potranno adottarsi maggiori cautele quali previste dalle nuove norme tecniche). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

Il principio di disapplicabilità della normazione secondaria pregiudiziale, (non presupposta) - la rilevabilità d’ufficio - casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso. Con CdS IV n.222/1996 si deve ritenere affermato il principio di disapplicabilità della normazione secondaria pregiudiziale, (non presupposta), in giurisdizione generale di legittimità. Una recente pronuncia della Corte giustizia Comunità europee, 29.4.1999, n.224/97 ha affermato la rilevabilità d’ufficio di tale contrasto, statuendo che “un divieto emanato anteriormente all'adesione di uno stato membro all'Unione europea, non attraverso una norma generale ed astratta, bensì attraverso un provvedimento amministrativo individuale e concreto divenuto definitivo, che sia in contrasto con la libera prestazione dei servizi, va disapplicato in occasione della valutazione della legittimità di un'ammenda irrogata per l'inosservanza di tale divieto dopo la data dell'adesione” un’interpretazione adeguatrice, in un’ottica di bilanciamento di valori costituzionali, pur ammettendo la possibilità della disapplicazione dell’atto di normazione secondaria ai fini della garanzia di effettività del diritto comunitario, deve tenere pur sempre conto del principio della domanda in quanto “il diritto comunitario non impone ai giudici nazionali di sollevare d’ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie, qualora l’esame di tale motivo li obblighi a rinunciare al principio dispositivo alla cui osservanza sono tenuti esorbitando dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti e basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte interessata ha posto a fondamento della propria domanda; l’obbligo, per il giudice di attenersi all’oggetto della lite e di basare la propria pronuncia sui fatti che gli sono stati presentati, trova il proprio fondamento nel principio secondo il quale l’iniziativa di un processo spetta alle parti ed il giudice può agire d’ufficio nei soli casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso. Si tratta di un principio condiviso nella maggior parte degli Stati membri, che tutela i diritti della difesa e garantisce il regolare svolgimento del procedimento, preservandolo, in particolare, dai ritardi dovuti alla valutazione di nuovi motivi” (Corte di Giustizia 14/12/1995 in cause riunite C-430/93 e C-431/93 Van Schijndel). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

L’inizio immediato di attività potenzialmente dannose per l’ambiente non si concilia con il principio di prevenzione e precauzione - l’obbligo di disapplicare la norma interna in violazione del diritto comunitario. Non si può non sottolineare come l’inizio immediato di attività potenzialmente dannose per l’ambiente (e per questo regolamentate) consentito dal d.l. n.113/1996 non si concilia con il principio di prevenzione e precauzione che è richiamato attualmente dall’art.174, a linea 2 del Trattato CE. Da ciò consegue la necessità di disapplicare, in forza del principio noto di primazia del diritto comunitario sul diritto interno con esso contrastante (su cui Corte di Giustizia 9/3/1978 causa 106/77 Simmenthal e Corte Cost. n.170/1984), la norma interna di cui al d.l. n.113/1996 che ha reso a suo tempo legittimo lo smaltimento senza autorizzazione in violazione del diritto comunitario trasposto (direttiva 75/442 e d.p.r. n.915/1982 chiaramente invocati nel ricorso introduttivo) e non potendosi la disciplina suddetta ritenere mera attuazione del potere degli Stati di dispensa dall’autorizzazione previsto dalle direttive comunitarie 91/156 e 91/689 (non ancora trasposte all’atto dell’emanazione del provvedimento impugnato e certo non invocabili, solo per quella parte, per sostenere la legittimità della normativa derogatoria introdotta con i decreti legge non convertiti). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

L’interesse a ricorrere in via autonoma delle associazioni ambientalistiche riconosciute e la situazione dell'associazione di fatto - intervento ad adiuvandum. E’ ormai pacifico l’interesse a ricorrere in via autonoma delle associazioni ambientalistiche riconosciute (ai sensi dell'art.18, 5º comma, l. 8 luglio 1986 n.349 le associazioni ambientalistiche, infatti, se riconosciute da appositi decreti ministeriali, sono legittimate a ricorrere nelle controversie relative a materie corrispondenti alle loro finalità istituzionali. C. Stato, sez.VI, 25.1.1995, n.77) mentre la situazione dell'associazione di fatto, meno stabile, ai fini del riconoscimento della sua legittimazione ad agire in giudizio può essere valorizzata - a tutto concedere - solo ai fini dell'ammissione di un suo intervento ad adiuvandum (del quale esistono i presupposti formali e sostanziali). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)

 

Art. 33 Legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 - illegittimità costituzionale - contrasto con l'art. 120 Cost. - divieto per le regioni di adottare provvedimenti ostacolanti la libera circolazione delle cose - principio dell'autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti - non si applica ai rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi. Questa Corte in tema di limiti imposti dalla legislazione regionale allo smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale ha precisato che il principio dell'autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali vale, ai sensi dell'art. 5, comma 3, lettera a) del d. lgs. n. 22 del 1997, per i soli rifiuti urbani non pericolosi (ai quali fa riferimento l'articolo 7, commi 1 e 4, dello stesso d.lgs.) e non anche per altri tipi di rifiuti, per i quali vige invece il diverso criterio della vicinanza di impianti di smaltimento appropriati, per ridurre il movimento dei rifiuti stessi, correlato a quello della necessità di impianti specializzati per il loro smaltimento, ai sensi della lettera b) del medesimo comma 3: a siffatto criterio sono stati ritenuti soggetti i rifiuti speciali (definiti dall'articolo 7, commi 3 e 4), sia pericolosi (sentenza n. 281 del 2000) che non pericolosi (sentenza n. 335 del 2001). L'art. 3, commi 3 e 4, - in quanto prevede limitazioni, seppur relative, all'introduzione di rifiuti speciali nel territorio della regione - viola l'art. 120 della Costituzione, il quale - sia nel testo originario, sia in quello introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, <<Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione>> - vieta alle regioni di adottare provvedimenti ostacolanti la libera circolazione delle cose; e così pone un limite assoluto, correlato ai beni in quanto tali e non soltanto ad una loro quantità, che la norma impugnata determina del resto in misura decisamente esigua. L'articolo 33, commi 3 e 4, della legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui dispone che i rifiuti speciali di provenienza extraregionale possono essere conferiti in discariche ubicate nel Veneto e già in servizio all'entrata in vigore della legge regionale, solo entro il limite del quindici per cento della loro capacità ricettiva residua a quella data esistente. Corte Costituzionale del 4 dicembre 2002, sent. n. 505

 

Rifiuti - Gestione dei rifiuti in difetto di autorizzazione - Norme tecniche per l'utilizzo del compost per la ricopertura di discarica - Art. 51, D. L.vo n. 22/1997 - Configurabilità - Processo di trattamento dei r.s.u. non impiegabile per fini agrari come ammendante organico a differenza del compost di qualità. In tema di gestione dei rifiuti le disposizioni di cui al Decreto Presidente Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia 23 dicembre 1991 n. 626, contenente norme tecniche per l'utilizzo del compost fuori specifica quale materiale di ricoprimento delle discariche e' abrogata per effetto del mancato richiamo da parte dell'art. 8 della Legge Regionale F.V.G. 9 novembre 1998 n. 13, atteso che con tale disposizione venivano individuate le norme regionali da ritenersi ancora in vigore per la loro non collisione con le disposizioni introdotte a livello nazionale dal decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. Conseguentemente l'utilizzazione del compost fuori specifica, inteso quale frazione organica derivante dal processo di trattamento dei rifiuti solidi urbani non impiegabile per fini agrari come ammendante organico a differenza del compost di qualita', per la ricopertura di una discarica configura il reato di smaltimento di rifiuti non pericolosi in difetto di autorizzazione, di cui all'art. 51, comma 1, del citato decreto n. 22. CED - Pres. Papadia - Est. Gentile Ric. Luci ed altro. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III del 2 dicembre 2002 (UD.17/10/2002), Sentenza n. 40506. (vedi: sentenza per esteso)

 

Il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti in deroga alle disposizioni vigenti - il potere del Sindaco di ordinanza extra ordinem - configurazione dei requisiti - limiti. In materia di potere di ordinanza extra ordinem, esercitato dal Sindaco ai sensi dell’art. 12 del d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915 (e, ora, dell’art. 13 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), non appare necessario, al fine della configurazione del requisito dell’urgenza, il verificarsi di una situazione di danno per l’ambiente e la salute pubblica, essendo sufficiente che si verifichi una situazione di pericolo non fronteggiabile adeguatamente e tempestivamente con misure ordinarie (cfr. Sez. V, 3 febbraio 2000, n. 596); e, in tale situazione, è consentito il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti. Peraltro il provvedimento contingibile ed urgente non può giustificare anche una sorta di prezzo imposto dall’Amministrazione al privato; all’obbligo di proseguire nell’espletamento del servizio si ricollega un’esigenza di giusto compenso per il destinatario del provvedimento; sicché correttamente i primi giudici hanno ritenuto illegittime le determinazioni comunali (inserite nei detti provvedimenti contingibili ed urgenti e pure esse costituenti veri e propri atti autoritativi e non di natura contrattuale) di tenere invariati i prezzi del servizio fissati con il contratto, ormai remoto, del 1995; del pari correttamente il TAR ha anche fatto richiamo al principio secondo cui la potestà d’ordinanza deve, in linea di principio, limitarsi ad imporre misure tali da comportare il minor sacrificio possibile per il destinatario (cfr., tra le altre, la decisione della Sezione 29 luglio 1998, n. 1128). Consiglio di Stato Sezione V del 2 dicembre 2002 n. 6624 (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti - l'applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e delle tariffe - inammissibilità del ricorso - termine di decadenza - il ricorso proposto contro la deliberazione unitamente agli atti applicativi, e cioè alle cartelle esattoriali. E’ inammissibile il ricorso avverso le delibere comunali (nella specie, aventi ad oggetto l'approvazione del regolamento per l'applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e delle tariffe inerenti alla tassa stessa) da parte di soggetto non direttamente contemplato nell'atto, ove siano decorsi sessanta giorni dalla pubblicazione delle delibere stesse (C. Stato, sez. V, 27-04-1990, n. 379). Analogamente, si è affermato che la deliberazione comunale di revisione delle tariffe per il ritiro dei rifiuti solidi urbani che stabilisca le diverse misure del tributo ragguagliabile a classi di utenti definite sia nella composizione sia nella misura è immediatamente lesiva nei confronti dei contribuenti e quindi deve essere immediatamente impugnata nel termine di decadenza; pertanto, è inammissibile il ricorso proposto contro la suddetta deliberazione unitamente agli atti applicativi, e cioè alle cartelle esattoriali (C. Stato, sez. V, 09-12-1986, n. 601). La deliberazione comunale di approvazione delle tariffe per il ritiro dei rifiuti solidi urbani che stabilisce le diverse misure del tributo in ordine alle varie classi di utenti è atto immediatamente lesivo nei confronti dei contribuenti, che va impugnato nel termine di decadenza (C. Stato, sez. V, 12-07-1996, n. 854). Consiglio di Stato Sezione V del 2 dicembre 2002 n. 6601

 

Localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti - la competenza a ratificare gli atti adottati dalla giunta in materia di rifiuti spetta al consiglio - rientra nella competenza del Consiglio comunale l'adozione di piani territoriali e urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione - la realizzazione e l’esercizio di una discarica si innesta in un preciso ambito programmatorio, che coinvolge una pluralità di interessi (ambientali, urbanistici, paesisitici, ecc.). La competenza a ratificare gli atti adottati dalla giunta in materia di localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti spetta al consiglio e non alla giunta, anche dopo la riforma recata dalla legge n. 142/1990. Al riguardo, la giurisprudenza del Consiglio ha chiarito che ai sensi dell'art. 32 della legge 8 giugno 1990 n. 142, rientra nella competenza del Consiglio comunale l'adozione di piani territoriali e urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, le eventuali deroghe ad essi nonché i pareri da rendere nelle dette materie. Pertanto, la Giunta comunale non può sostituirsi al Consiglio nel deliberare una variante al piano regolatore generale, neppure trattandosi di variante parziale e di rito abbreviato ai sensi della legge 3 gennaio 1978 n. 1 dato che persino le semplici "deroghe" sono riservate al Consiglio (Sez. IV, sent. n. 850 del 03-11-1994). Non vi è dubbio che la realizzazione e l’esercizio di una discarica si innesta in un preciso ambito programmatorio, che coinvolge una pluralità di interessi (ambientali, urbanistici, paesisitici, ecc.). Da qui l’esigenza di un intervento dell’organo consiliare, chiamato a definire i contenuti essenziali dell’attività. In senso contrario, non vale affermare che la legislazione dell’emergenza ambientale (articoli 3 bis della legge 29 ottobre 1987 n. 441 e 15 ter della legge regionale n. 6/1986) consentirebbe di derogare al riparto ordinario di competenze. La norma statale richiamata (ora abrogata, ma applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame) stabilisce che l'approvazione dei progetti, ai sensi del comma 1 (ossia nell’ambito della conferenza di servizi), sostituisce, ad ogni effetto, visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di competenza di organi regionali, provinciali e comunali; costituisce, ove occorra, variante dello strumento urbanistico generale e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori. La disposizione non riguarda la ripartizione delle competenze tra giunta e consiglio, ma mira ad operare un coordinamento tra le attività procedimentali di amministrazioni diverse. Pertanto, al di fuori del percorso della conferenza di servizi, il riparto di competenze tra gli organi dell’ente comunale resta fissato dalle regole generali. Consiglio di Stato Sezione V del 29.11.2002 n. 6546  (vedi: sentenza per esteso)

 

Impianto di smaltimento di rifiuti industriali - impugnazione del diniego regionale del progetto di impianto di smaltimento di rifiuti industriali - processo amministrativo - l'esigenza d'invocare in giudizio un controinteressato - la qualità di controinteressato in senso tecnico. Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, l'esigenza d'invocare in giudizio un controinteressato si prospetta allorché sia individuabile, in base al tenore del provvedimento impugnato, un soggetto, al quale l'atto direttamente si riferisce, sia nel caso di espressa menzione di un soggetto interessato al mantenimento in vita dell'atto sia nell'ipotesi d'individuabilità in base ad un'indicazione logico-deduttiva delle statuizioni contenute nell'atto stesso (C. Stato, sez. IV, 24-02-2000, n. 981). In senso analogo, la Sezione (C. Stato, sez. V, 01-12-1999, n. 2032) ha ripetutamente chiarito che, nel processo amministrativo, la qualità di controinteressato in senso tecnico deve essere riconosciuta a coloro che da un lato siano portatori di un interesse qualificato alla conservazione del provvedimento impugnato, di natura eguale e contraria a quello del ricorrente (c.d. elemento sostanziale), e dall'altro siano nominativamente indicati nel provvedimento stesso o comunque siano agevolmente individuabili in base ad esso (c.d. elemento formale). Per contro, non sono qualificabili come controinteressati i soggetti la cui posizione è incisa dal provvedimento impugnato solo in modo indiretto e riflesso (C. Stato, sez. IV, 06-04-2000, n. 1982). È appena il caso di osservare che in caso di impugnazione del diniego regionale del progetto di impianto di smaltimento di rifiuti industriali, i comuni viciniori a quello sul cui territorio l'impianto dovrà sorgere, non sono contraddittori necessari, essendo irrilevante la loro partecipazione al procedimento, atteso che detta partecipazione è istituzionalmente finalizzata alla migliore tutela dell'interesse pubblico di cui è portatrice l'autorità emanante il provvedimento finale (C. Stato, sez. IV, 28-11-1994, n. 968). Consiglio di Stato Sezione V del 29.11.2002 n. 6546 (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti - la costituzione degli ambiti territoriali e delle forme di cooperazione in tema di gestione dei rifiuti urbani - la diffida ad assumere gli atti di partecipazione alla costituzione dell’Agenzia di ambito per i servizi pubblici - mancata impugnazione della diffida, o comunque della tardività del gravame nei confronti della stessa. La diffida ad assumere gli atti di partecipazione alla costituzione dell’Agenzia di ambito per i servizi pubblici era contenuta in una corposa ed articolata deliberazione, la quale, accertata l’inadempienza del Comune, ha manifestato per la prima volta la volontà della Regione di dare inizio al procedimento di sostituzione e di commissariamento dell’ente locale, al fine di pervenire comunque all’istituzione dell’Agenzia. Ciò sul rilevato presupposto che la costituzione degli ambiti territoriali e delle forme di cooperazione, nonché la partecipazione degli enti locali agli organismi di cooperazione, sono atti dovuti ed obbligatori per legge (art. 9, comma 3, della l. n. 36/1994, art. 23, comma 5, del d.lgs. n. 22/1997 e art. 4, comma 4, della citata l.r. n. 25/1999). Così che la diffida stessa, dati i suoi effetti costitutivi, contenendo sia l’affermazione dell’obbligo di attivazione dell’Agenzia di ambito sia l’indicazione che la conseguenza della mancata adesione sarebbe stata la nomina del commissario, in applicazione della citata l.r. n. 25/1999, era atto immediatamente lesivo da impugnare tempestivamente. Invero, ai fini della configurabilità di un atto come provvedimento impugnabile, non rileva la sua collocazione al termine del procedimento, ma è essenziale il carattere costitutivo degli effetti che all’atto stesso si ricollegano; anche se il modulo procedimentale prevede ulteriori atti capaci di incidere sull’efficacia del provvedimento principale (Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2001, n. 2572). Alla circostanza della mancata impugnazione della diffida, o comunque della tardività del gravame nei confronti della stessa, consegue la tardività di tutti i motivi di ricorso, in quanto riconducibili a siffatto provvedimento ed ai suoi presupposti legittimanti; tra cui l’istituzione dell’Agenzia di ambito, la lesione, attraverso di essa, del principio dell’autonomia dei Comuni, la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, la forma di cooperazione prescelta, nonché il contrasto tra la legge regionale e le fonti statali. Tutti motivi questi che, attaccando la citata l.r. n. 25/1999 sotto il profilo anche della non conformità a Costituzione, andavano tempestivamente dedotti contro la detta diffida, che ha rappresentato il primo atto con cui la Regione, in attuazione della legge regionale, ha inteso comunque realizzare la costituzione della forma di cooperazione prevista dalla legge stessa. Stante la capacità immediatamente lesiva della diffida, avverso il successivo atto di nomina del commissario ad acta, che consegue all’infruttuoso decorso del termine assegnato con la diffida, non sono proponibili censure non tempestivamente mosse all’indirizzo dell’atto sollecitatorio (si veda, per un caso analogo, anche se in ambito di coltivazione di cava, Cons. Stato, sez. VI, 16 novembre 1998, n. 1561). Anche perché il Comune appellante aveva già formalmente deciso di non aderire all’Agenzia di ambito per i servizi pubblici. Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sezione IV del 7 novembre 2002 sentenze nn. 6094 - 6093 - 6092 - 6091 - 6090 - 6089 - 6088 - 6087 - 6086 - 6085 - 6084 - 6083 - 6082 - 6081 - 6080 - 6079. Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6095 (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti speciali non pericolosi - ripristino di pneumatici usati - operazione di recupero - omessa comunicazione di inizio attivita' - attivita' di gestione di rifiuti non autorizzata - reato - configurabilita'. Il riutilizzo di pneumatici usati costituisce attivita' di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, per la quale, in mancanza della prescritta comunicazione di inizio attivita', e' configurabile la contravvenzione di cui all'art. 51 comma 1 lett. a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Corte di Cassazione Sezione III, 31/10/2002 (UD.22/05/2002), Sentenza n. 36498
 

Edilizia - disciplina urbanistica - rilascio autorizzazione realizzazione impianto smaltimento ed il recupero rifiuti - preventiva utilizzazione conferenza servizi - facoltativita'. In base alla disciplina prevista dall'art. 27 del d.lgs. n.22/97, il rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione di un impianto per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti non e' subordinato, nella fase di approvazione dei progetti, alla preventiva utilizzazione della conferenza dei servizi che, come precisato dall'O.O. P.C.M.n. 2425 del 18 marzo 1996, e' meramente facoltativa. La conferenza dei servizi, infatti, costituisce un semplice strumento operativo nell'ambito dell'attivita' di concertazione tra le varie amministrazioni, la cui assenza non ha alcuna incidenza sulla legittimita' del procedimento adottato. Vedi: Cass. 2002 n. 22539. Corte di Cassazione, Sezione III, del 28/10/2002 (CC.24/09/2002), Sentenza n. 36048

 

Realizzazione di discarica comunale di rifiuti con ordinanza contingibile ed urgente - assenza dell'autorizzazione regionale paesistica - reato di cui al l'art. 163 del d.l.vo n. 490 del 1999 - configurabilita' - fondamento. Risponde del reato di cui all'art. 1 sexies del D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito con legge 8 agosto 1985 n. 431, ora sostituito dall'art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, il Sindaco che, avvalendosi della disposizione di cui all'art. 13 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, consenta l'installazione di una discarica comunale di rifiuti in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza dell'autorizzazione regionale, atteso che l'ordinanza contingibile ed urgente emessa in materia di smaltimento dei rifiuti non puo' in alcun caso comportare il sacrificio dell'interesse pubblico a che l'autorita' preposta alla tutela del vincolo paesaggistico esprima le proprie valutazioni in ordine alla modifica dell'assetto dei luoghi sottoposti a specifica tutela. Corte di Cassazione, Sez. III Sentenza del 23/10/2002 (UD.23/09/2002) n. 35551

 

Rifiuti - Nozione di rifiuto - Art. 14 L. n. 178/2002 - Disapplicazione da parte del giudice italiano - Conflitto con la disciplina comunitaria - Reg. n. 259/93/CEE. L'esclusione dalla nozione di rifiuto, in base alla Legge n. 178/2002, dei beni, sostanze o materiali che possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente, sembra porsi in contrasto con la disciplina comunitaria (Regolamento CEE n. 259/93). Ne consegue che l’art. 14 del D.L. n.138/2002 convertito con modifiche in legge n. 178/2002, contenente la nuova definizione di rifiuto, va disapplicato dal giudice nazionale in quanto pacificamente in contrasto con la norma del Regolamento CEE e con la giurisprudenza comunitaria. Est. Beltrame - Michielan ed altri. TRIBUNALE DI UDINE Ordinanza 16 ottobre 2002 (Ud. 14 ottobre 2002) Ordinanza n. 3075.

 

La nozione di rifiuto - il trattamento dei rifiuti - sfera d'applicazione delle direttive CE - processi di inertizzazione, innocuizzazione, attività di discarica, incenerimento, triturazione - residui riutilizzabili. La nozione di <<rifiuti>> figurante all'art. 1 della direttiva 75/442, come modificata, cui rinviano l' art. 1, n° 3, della direttiva 91/689 e l' art. 2, lett. a), del regolamento n. 259/93, non deve essere intesa nel senso che essa esclude sostanze od oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, neanche se i materiali di cui trattasi possono costituire oggetto di un negozio giuridico, ovvero di una quotazione in listini commerciali pubblici o privati. In particolare, un processo di inertizzazione dei rifiuti finalizzato alla loro semplice innocuizzazione, l'attività di discarica dei rifiuti in depressione o in rilevato e l'incenerimento dei rifiuti costituiscono operazioni di smaltimento o di recupero che rientrano nella sfera d'applicazione delle precitate norme comunitarie. Il fatto che una sostanza sia classificata nella categoria dei residui riutilizzabili senza che le sue caratteristiche e la sua destinazione siano precisate è al riguardo irrilevante. Lo stesso vale per la triturazione di un rifiuto (v. CGCE, sez. VI, sent. 25.06.1997, Tombesi ed a., Racc. pag. 1-3561). Tribunale di Udine Ordinanza 14 ottobre 2002 (vedi: sentenza per esteso)

 

Smaltimento di rifiuti - realizzazione di discarica comunale con ordinanza contingibile ed urgente - uso ripetuto del suddetto potere di ordinanza - potere del giudice di verifica della sussistenza dei presupposti e dei limiti - conseguente configurabilita' del reato di cui all'art. 51 del decreto legislativo n. 22 del 1997 - fondamento. In tema di rifiuti, posto che anche le discariche comunali devono, di regola, essere autorizzate dalla Regione e che l'adozione di ordinanze contingibili ed urgenti per lo smaltimento temporaneo dei rifiuti, in assenza di detta autorizzazione, e' subordinato ad una serie di precisi presupposti che ne condizionano la legittimita' e dei quali l'autorita' giudiziaria puo' verificare la sussistenza, senza per questo operare alcun sindacato di merito sull'esercizio dei poteri spettanti alla pubblica amministrazione, si rende configurabile il reato di cui all'art. 51, comma 3, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (gestione di discarica abusiva) a carico del sindaco il quale, con il ripetuto uso del suddetto potere di ordinanza ed in mancanza dei relativi presupposti, abbia consentito che venisse istituita e tenuta in esercizio una discarica comunale non autorizzata. Corte di Cassazione, Sez. III Sentenza del 14/10/2002 (UD.01/07/2002) n. 34298

 

Rifiuti - Discarica comunale - Autorizzazione regionale preventiva - Necessità. Le dicariche comunali devono ottenere preventivamente l’autorizzazione regionale. - Pres. SAVIGNIANO, Est. POSTIGLIONE - Imp. Buscarino CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale - 14 ottobre 2002 (1° luglio 2002)

Rifiuti - Discarica comunale - Ordinanza contingibile e urgente in luogo dell’autorizzazione - Sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 22/1997 - Necessità. Una discarica comunale può essere provvisoriamente autorizzata mediante una ordinanza contingibile e urgente allorchè sussistano i presupposti di cui all’articolo 13 del D.Lgs n. 22 del 1997 (temporaneità, limite di reiterazione, predisposizione di idonee misure di sicurezza per la tutela della salute e dell’ambiente. CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale - 14 ottobre 2002 (1° luglio 2002)

 

La nozione di rifiuto ai sensi dell' art. 1 delle direttive 75/442 e 78/319 - incompatibilità con la normativa nazionale. La nozione di rifiuto, ai sensi dell' art. 1 delle direttive 75/442 e 78/319, non dev'essere intesa nel senso che esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Una norma nazionale che adotti una definizione della nozione di rifiuto escludente le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non è quindi compatibile con tali direttive (CGCE, sent. 10.05.1995, causa C - 422/92). Tribunale di Udine Ordinanza 14 ottobre 2002 (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti - Deposito incontrollato da parte di un soggetto titolare d’impresa - Reato ex art. 51, comma 2, del D.Lgs 22/1997 - Sussistenza. Il deposito incontrollato di rifiuti realizzato da un soggetto titolare di una impresa va ricompreso nella ipotesi di reato prevista dall’articolo 51, comma 2, del D.Lgs. n. 22/1997. - Pres. TORIELLO, Est. PICCIALLI - Imp. Bluè CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale - 9 ottobre 2002 (3 luglio 2002)

 

Rifiuti - Sversamento di liquami su un fondo - Fattispecie - Scarico indiretto - Applicabilità del D.Lgs. n. 22 del 1997 - Sussistenza. Lo sversamento di liquami su un fondo da parte di un camion cisterna determina uno scarico indiretto che in quanto tale deve ritenersi assoggettato alla disciplina in materia di rifiuti. CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale - 2 ottobre 2002

 

Reato di cui all'art. 51, comma secondo, D. L.vo n. 22 del 1997 - abbandono o deposito incontrollato di rifiuti - la condotta omissiva - l'obbligo giuridico di impedire l'evento - responsabilita' del proprietario del fondo - condizioni. In tema di gestione di rifiuti, la consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell'abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi non e' sufficiente ad integrare il concorso nel reato di cui all'art. 51, comma secondo, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, (abbandono o deposito incontrollato di rifiuti), atteso che la condotta omissiva puo' dare luogo a ipotesi di responsabilita' solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell'art. 40 c.p., ovvero sussista l'obbligo giuridico di impedire l'evento. Corte di Cassazione, Sez. 3, del 26/09/2002 (UD.01/07/2002), Sentenza. 32158

 

Rifiuti - Nozione oggettiva - fattispecie - la normativa comunitaria e nazionale - il produttore e il detentore - lo smaltimento. Per rifiuto, ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, restando irrilevante se cio' avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il suo recupero e, inoltre, prescindendosi da ogni indagine sull'intenzione del detentore che abbia escluso ogni riutilizzazione economica della sostanza o dell'oggetto da parte di altre persone (nella specie, la Corte ha negato che potessero rientrare nella nozione di rifiuto due opifici industriali dismessi e abbandonati, che peraltro non presentavano cedimenti o dispersioni nel suolo delle strutture o dei materiali che li componevano). Corte di Cassazione Sezione III sentenza 18/09/2002 (CC.18/06/2002) n. 31011

Ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti - smaltimento dei rifiuti - responsabile dell'abbandono dei rifiuti o proprietario del terreno - reato di cui all'art. 50, comma 2, d.l.vo n. 22 del 1977 - omessa ottemperanza all'ordinanza - responsabili - individuazione - fondamento. In tema di smaltimento dei rifiuti, la sanzione di cui all'art. 50, comma secondo, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, per violazione dell'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, va applicata a chiunque non ottemperi a tale ordinanza e che sia stato nella stessa individuato quale responsabile dell'abbandono dei rifiuti o proprietario del terreno, indipendentemente dalla effettivita' di tale qualifica. Compete in tal caso ai soggetti interessati, al fine di evitare di rendersi responsabili dell'inottemperanza in questione,l'ottenimento dell'annullamento del provvedimento sindacale o la dimostrazione in sede penale dell'assenza della ritenuta condizione soggettiva onde determinare la disapplicazione dell'atto da parte del giudice ordinario. Si veda: Cass. 2000 n. 1783; Cass. 2001n. 930. Corte di Cassazione, Sez. 3, del 17/09/2002 (UD.10/07/2002), Sentenza. 31003

 

Disciplina sui rifiuti - combustibile da rifiuto - natura - rifiuto speciale - condizioni per l'esclusione da tale tipologia - individuazione. Il combustibile proveniente da rifiuti rientra tra i rifiuti speciali, ai sensi dell'art. 7, comma 3 lett. l bis, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, introdotto dal decreto legge 28 dicembre 2001 n.452, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2002 n. 16, a meno che non rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti ed usi compatibili con la tutela ambientale e fino a che la predetta individuazione non diventi effettiva con la emanazione dei necessari provvedimenti. Ne consegue che, ai fini dell'accesso alle procedure semplificate, devono essere rispettate le condizioni di cui all'art. 31, comma 3 lett. a), del citato decreto n. 22, che prevede l'accertamento che i rifiuti siano individuati per frazioni omogenee e siano rispettate le disposizioni in materia di emissioni nell'atmosfera. Corte di Cassazione, Sez. III Sentenza del 23/09/2002 (UD.05/07/2002) n. 31604

 

Rifiuti - nozione oggettiva ai sensi della normativa comunitaria e nazionale - fattispecie. Per rifiuto, ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, restando irrilevante se cio' avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il suo recupero e, inoltre, prescindendosi da ogni indagine sull'intenzione del detentore che abbia escluso ogni riutilizzazione economica della sostanza o dell'oggetto da parte di altre persone (nella specie, la Corte ha negato che potessero rientrare nella nozione di rifiuto due opifici industriali dismessi e abbandonati, che peraltro non presentavano cedimenti o dispersioni nel suolo delle strutture o dei materiali che li componevano). Si veda: Cass. 1991 n. 2607; Cass. 1998 n. 1495. Corte di Cassazione, Sez. 3, del 18/09/2002 (CC.18/06/2002), Sentenza n. 31011

 

La tassa raccolta e lo smaltimento di rifiuti solidi urbani interni - determinazione della superficie tassabile - assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani ex art. 39 della legge n. 146 del 1994 - rifiuti derivanti da lavorazioni industriali - esclusione - esistenza e delimitazione delle zone esentate dalla tassa - onere della prova - spettanza al contribuente. In tema di tassa per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani, ai sensi dell'art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formano, di regola, rifiuti speciali, per tali dovendosi intendere, ex art. 2 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, fra l'altro, quelli "derivanti da lavorazioni industriali". Su tale disciplina deve ritenersi che non abbia inciso l'art. 39 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, il quale ha assimilato i rifiuti"speciali" a quelli urbani, e, pertanto, i luoghi specifici di lavorazione industriale, cioe' le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale, vanno considerate estranee alla superficie da computare per il calcolo della tassa in questione. L'onere della prova circa l'esistenza e la delimitazione delle zone anzidette, esentate dalla tassa, spetta a chi ritiene di averne diritto, costituendo le esenzioni, anche pariali, eccezione alla regola generale di pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale in cui il servizio e' istituito ed attivato. Corte di Cassazione civile - Sezione V - sentenza del 02/09/2002 n. 12749
 

Discarica di rifiuti - il ricorso deve essere notificato a tutte le autorità emananti che hanno partecipato al concerto, dovendo tutte essere poste in condizione di difendersi - l’integrazione postuma del contraddittorio solo con riferimento ai controinteressati, e non anche in relazione alle amministrazioni che emanano l’atto - disposizione eccezionale - la deroga alla decadenza - motivazione - l’integrità del contraddittorio. Il decreto ministeriale impugnato è stato emanato in attuazione degli articoli 2 e 5, D.L. 8 luglio 1994, n. 438. L’art. 5, in particolare, contempla l’emanazione di un <<decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri del tesoro, dell'industria, del commercio e dell'artigianato, dei trasporti e della navigazione, della sanità e dell'interno>>. La giurisprudenza di questo Consesso, con orientamento da cui non c’è ragione di discostarsi nel caso di specie, ha ritenuto che l’atto <<di concerto>> sia riferibile a tutte le autorità da cui promana, con la conseguenza che, in applicazione dell’art. 21, L. TAR, e dell’art. 24, Cost., il ricorso va notificato a tutte le autorità che hanno partecipato al concerto, dovendo tutte essere poste in condizione di difendersi (C. Stato, sez. VI, 6 luglio 2000, n. 3785: <<Il ricorso proposto contro un atto emanato <<di concerto>> (nella specie, la domanda di accertamento della compatibilità ambientale per l’autorizzazione all’ampliamento di una discarica di rifiuti di seconda categoria di tipo C) deve essere notificato a tutte le autorità emananti, ai sensi dell’art. 21, L. TAR, attuativo dell’art. 24 Cost., che non consente che una pronuncia del giudice amministrativo rechi pregiudizio a chi non si sia potuto difendere, dovendosi garantire la difesa in giudizio anche all’amministrazione di cui sia contestata la legittimità di un atto o di un comportamento>>; cfr. anche C. Stato, sez. VI, 26 giugno 1990, n. 663:<<Nel caso in cui un atto che richiede il concerto di due autorità sia stato in concreto adottato in mancanza di accordo da una soltanto delle autorità interessate, l'impugnazione dell'atto medesimo deve essere notificata soltanto all'autorità che ha adottato il provvedimento (negativo) e non anche a quella che doveva esprimersi in sede di concerto>>, da cui si desume a contrario, la necessità di notifica del ricorso a tutte le autorità concertanti). E, invero, nel caso del concerto, vi sono una pluralità di amministrazioni che partecipano non solo all’istruttoria, ma anche alla decisione finale, di cui assumono oltre che l’imputazione anche la responsabilità. Ne consegue che, nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, tutte le autorità cui l’atto è imputabile devono essere evocate in giudizio. L’art. 21 L. TAR consente l’integrazione postuma del contraddittorio solo con riferimento ai controinteressati, e non anche in relazione alle amministrazioni che emanano l’atto. Trattasi di disposizione eccezionale, che non è suscettibile di applicazione al di fuori del caso specificamente contemplato. L’eccezionalità della disposizione discende dalla circostanza che il processo amministrativo ha di regola struttura impugnatoria di un provvedimento autoritativo, entro rigorosi termini di decadenza. La notifica del ricorso oltre il termine prescritto comporta, di regola, decadenza, a meno che non vi sia una regola speciale, come quella dettata per i controinteressati. La deroga alla decadenza ha, del resto, per i controinteressati una sua giustificazione razionale in due ordini di considerazioni: da un lato, non sempre i controinteressati sono agevolmente individuabili, sia in ordine alla loro identità, sia in ordine al loro indirizzo, sicché è corretto consentire una possibilità di sanatoria postuma degli errori di notifica; dall’altro lato, ragioni di economia processuale, connesse ai costi di notificazione, giustificano che il ricorso sia notificato solo ad un controinteressato, perché, ove il ricorso risulti infondato, lo stesso può essere respinto senza integrare il contraddittorio e dunque senza far sostenere ulteriori costi al ricorrente; e, d’altro canto, non sono i controinteressati i soggetti istituzionalmente deputati alla difesa dell’atto impugnato. Tali ordini di considerazioni non valgono per le autorità che emanano il provvedimento, sicché per le stesse occorre l’integrità del contraddittorio ab initio e non n è possibile l’integrazione successiva. E, invero: a differenza dei controinteressati, le autorità emananti sono immediatamente individuabili, sia quanto a identità, sia quanto a luogo della notificazione, specie per le autorità statali, che per legge sono domiciliate presso l’Avvocatura dello Stato; il ricorso deve essere notificato a tutte le autorità emananti perché tutte, a differenza dei controinteressati, sono istituzionalmente deputate alla difesa del provvedimento. Consiglio di Stato Sezione VI, 21 agosto 2002, n. 4245. (vedi: sentenza per esteso)

 

Gli impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi e Valutazione d’Impatto Ambientale. Con DPCM 3 settembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 1999 ed entrato in vigore lo stesso giorno per la specifica disposizione dell’art. 6 del medesimo DPCM, è stato modificato l’allegato A al DPR 12 aprile 1996, lett. i) ricomprendendo gli impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi mediante operazioni di cui all’allegato B ed all’allegato C lettere da R1 ad R9 del DPR 22/97 tra quelli da sottoporre a procedura di VIA obbligatoria da parte delle Regioni e con esclusione degli impianti sottoposti a procedure di autorizzazione semplificate .A) Appare utile, prima di esaminare gli aspetti giuridici della questione sottoposta al Collegio, precisare in punto di fatto che risulta dagli atti di causa che l’impianto in questione consta essenzialmente di un nuovo impianto di messa in riserva dei rifiuti pericolosi da utilizzare come combustibile non convenzionale, degli elementi di collegamento con il forno rotante della cementeria (un sistema di pompe, tubi e filtri) e delle modifiche necessarie per consentire il corretto deflusso dei gas e vapori di combustione risultanti dai due tipi di combustibili utilizzati: polverino di carbone per una percentuale non inferiore all’ottanta per cento e CSF- combustibile fluido sostitutivo- nella percentuale non superiore al venti per cento e con una media del quindici per cento.Viene impiegato olio combustibile pesante solo per l’avvio del forno di cui trattasi. Risulta, inoltre, che sono rispettati sia il livello delle emissioni già autorizzato per la cementeria che la qualità dei combustibili impiegati imposta dalle norme di settore con riguardo in particolare alla combustione dei rifiuti pericolosi. Detti livelli sono previsti, rispettivamente, dal DPR 203/1988 e dai DPCM 2 ottobre 1995 e 16 gennaio 1995. E’ anche significativo, per una corretta visione delle tematiche ambientali, considerare che la cementeria insiste nell’area del Comune di Ternate, è funzionante con i combustibili tradizionali suindicati e che l’impianto di messa in riserva dei rifiuti è accessivo e complementare rispetto alla cementeria. Non è dubbio, comunque che l’insieme delle modifiche debba essere considerato unitariamente ai fini dell’autorizzazione posto che si tratta di una significativa operazione di recupero di rifiuti pericolosi che, pur promossa a livello comunitario e nazionale per i benefici che determina in relazione alla consistente riduzione della massa complessiva dei rifiuti pericolosi da smaltire -si tratta di rifiuti non conferibili in discarica se allo stato fluido e, quindi, eliminabili solo con trattamenti chimici o con l’incenerimento- comporta importanti effetti sia per quel che riguarda le emissioni degli impianti che bruciano sostanze pericolose che per le aree limitrofe in seguito alla ricaduta inevitabile di una parte degli inquinanti al suolo. Ciò posto, l’impianto di cui trattasi rientra tra quelli definiti nelle tipologie R1” utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia”, R2 “ rigenerazione /recupero dei solventi “ R3 “riciclo / recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)”.B) E’ ora possibile verificare la portata del DPCM 3 settembre 1999 che ha modificato la disposizione del DPR 12 aprile 1996 che prevedeva l’obbligo di VIA - evidentemente per quel che qui interessa vale a dire per gli impianti di gestione dei rifiuti - solo per “ gli impianti di incenerimento e di trattamento di rifiuti con capacità superiore a 100t. giorno” nonché per altri impianti individuati nelle lettere l),m),n) ed o) che qui non rilevano. E’ da ricordare, per completezza, che in base all’art. 57 del DPR 22/97 rimangono sottoposti alla procedura di VIA di competenza statale, a tenore dell’art. 1, lett.i) del DPCM 377/19988, gli impianti “di eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra”. Appare decisivo, pertanto, l’accertamento della applicabilità nel caso di specie delle norme del DPCM 3 settembre 1999. Consiglio Stato, sez. V, 11 luglio 2002, n. 3926.

 

Nozione di centrali termoelettriche - impianti di gassificazione dei rifiuti - rifiuti connessi ai motori di cogenerazione di energia elettrica - utilizzo dei gas di sintesi - "impianti di alimentazione” - disciplina di cui al d.p.r. n. 203 del 1988 sulle immissioni in atmosfera - applicabilita' - esclusione - fondamento. Gli impianti di gassificazione dei rifiuti connessi ai motori di cogenerazione di energia elettrica mediante utilizzo dei gas di sintesi costituiscono "impianti di alimentazione" funzionali al ciclo di produzione di energia, e pertanto per il loro esercizio non e' richiesta l'autorizzazione regionale prevista dall'art. 6 del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 per la costruzione di impianti che possono provocare inquinamento atmosferico, atteso che tale disposizione non si applica alle centrali termoelettriche ai sensi dell'art. 17, comma 1, del citato D.P.R. n. 203, e che per centrali termoelettriche si intendono, ex D.P.C.M. 21 luglio 1989, paragr. I, punto 4, tutti gli impianti e i componenti funzionali e connessi al ciclo di produzione dell'energia compresi gli impianti di alimentazione. Vedi anche: C. Cass. 2001 n. 30318. Corte di Cassazione Sez. III del 10/06/2002 (Ud.05/04/2002) Sentenza n. 22539
 

Smaltimento di rifiuti - ordinanza contingibile ed urgente - motivata esclusivamente da ragioni finanziarie - legittimita' - esclusione. L'ordinanza contingibile ed urgente che il sindaco puo' emanare ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs 5 febbraio 1997 n. 22 per lo smaltimento dei rifiuti non puo' trovare il proprio fondamento esclusivamente in ragioni di ordine finanziario, atteso che non esiste un principio di giustificazione di tipo economico nel sistema del citato D. Lgs n. 22 e che l'ente locale ha il dovere di dare priorita' alle spese necessarie per un normale e corretto smaltimento dei rifiuti urbani, anche eventualmente individuando ad una certa distanza il sito di smaltimento. Vedi anche: C. Cass. 1995 n. 11336. Corte di Cassazione, Sez. III 8/07/2002 (UD.21/03/2002) Sentenza n. 25926

 

L’attività di autodemolizione ed annessa rottamazione - autorizzazioni - lo smaltimento dei rifiuti urbani e speciali - art. 15 del d.P.R. 10.9.1982 n. 915 (all’epoca vigenti). Il giudice di primo grado ha giustamente ritenuto che fosse opportuno un preliminare inquadramento della fattispecie alla luce delle norme (all’epoca vigenti) applicabili. Ha, pertanto, precisato: a) che, ai sensi dell’art. 15 del d.P.R. 10.9.1982 n. 915, l’attività di autodemolizione ed annessa rottamazione è soggetta al controllo dell’autorità comunale, che può consentirne il legittimo esercizio, in appositi centri di raccolta, attraverso il rilascio di licenza comunale, con la quale vengono stabiliti le caratteristiche di capienza dello specifico centro di raccolta ed i tempi di permanenza nello stesso dei rottami; b) che, ai sensi dell’art. 6 del medesimo d.P.R. l’attività di cui trattasi, è soggetta ad autorizzazione della Regione (in Piemonte, della Provincia in virtù della delega contenuta nelle LL.RR. nn. 18/86 e 9/88) per lo smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, essendo i veicoli fuori uso annoverati tra i rifiuti speciali dal precedente art. 2, quarto comma, punto 4). Secondo le norme suddette occorrevano, quindi, due distinte autorizzazioni: quella comunale per la raccolta, demolizione e rottamazione dei veicoli e quella provinciale per il loro smaltimento. Così anche C.d.S. 8.07.2002, n. 3776. Consiglio di Stato, sez. V, 8 luglio 2002, n. 3775

 

Divieto di abbandono o deposito incontrollati di rifiuti - l’obbligo a carico di colui che vi contravviene di procedere allo smaltimento di essi ed al ripristino dei luoghi - la responsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali di godimento ai quali tale violazione sia addebitabile a titolo di dolo o colpa - discarica abusiva - ordinanza sindacale - legittimità dell’adozione di un provvedimento contingibile ed urgente al fine di porre rimedio ai gravi inconvenienti ambientali - concorso di responsabilità anche a carico dell’Amministrazione comunale. Il Collegio non ha motivi per discostarsi dal principio enunciato dal TAR (Nella specie il TAR, dopo aver precisato che la relativa normativa (art. 9 D.P.R. 10.9.1982 n.915, artt. 31 e 31 bis L.R. Lombardia 7.6.1980 n.94, art. 18 L. 8.7.1986 n.349) commina la responsabilità di un soggetto per danno ambientale in conseguenza del compimento di fatti dolosi o per lo meno colposi, ha ritenuto che non sussistesse alcuna responsabilità dei proprietari (che certamente non erano i produttori dei rifiuti), sia perché un accertamento del genere non era stato compiuto, sia perché i proprietari si sarebbero concretamente attivati richiedendo l’autorizzazione per la recinzione dell’area in data 19.2.1991 sia pure rivolgendosi al Comando di Vigilanza urbana di zona (e non al competente Settore comunale)), che è stato confermato dall’art. 14 del decreto legislativo 5.2.1997 n.22 (successivo alla vicenda in esame), il quale appunto ha previsto il divieto di abbandono o deposito incontrollati di rifiuti, con l’obbligo a carico di colui che vi contravviene di procedere allo smaltimento di essi ed al ripristino dei luoghi, con la responsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali di godimento ai quali tale violazione sia addebitabile a titolo di dolo o colpa. Però, nella fattispecie i proprietari dell’area non possono ritenersi esenti da qualsiasi responsabilità, per lo meno a titolo di colpa. Come risulta dal rapporto dei Vigili urbani del 12.12.1990 (versato in atti), l’area in questione era stata inizialmente data in affitto al Sig. Tripodoro, il quale aveva attivato prima del 1988 un deposito abusivo per l’ammasso di pneumatici; che successivamente, a seguito di contestazione di infrazione nel 1988, detto affittuario aveva abbandonato l’attività, ma era proseguita l’utilizzazione dell’area da parte di gommisti della zona meridionale di Milano; che in data 30.7.1990 i sigg. Pommeé avevano denunciato all’Azienda municipale servizi ambientali, all’Assessorato ai trasporti ed al Comandante dei vigili urbani che il loro terreno era diventato una discarica di gomme usate; che il 13.9.1990 i sigg. Pommeé, in qualità di proprietari dell’area, venivano convocati dai Vigili urbani del Comando di zona e concordavano con essi il recupero dell’area, ma poi non vi provvedevano in relazione all’ingente somma occorrente per i relativi adempimenti (circa £. 100 milioni). Per cui, i proprietari dovevano essere necessariamente a conoscenza dell’utilizzazione come discarica del loro terreno per lo meno dall’inizio del 1990 ed indubbiamente hanno concorso con la loro negligenza ad aggravare la situazione per non aver provveduto al ripristino della preesistente recinzione, di cui vi è cenno nelle osservazioni del Funzionario della Zona 15 dei Vigili urbani in data 12.12.1990. Né occorreva evidenziare nell’ordinanza sindacale un’esplicita responsabilità dei proprietari, emergendo questa dallo sviluppo istruttorio della vicenda, conclusosi nel rapporto della USL in data 23.11.1992, che aveva suggerito l’adozione di un provvedimento contingibile ed urgente al fine di porre rimedio ai gravi inconvenienti ambientali (con il periodico verificarsi di incendi di grosse proporzioni dei pneumatici abbandonati e l’emissione di fumi acri e tossici). Semmai vi potrebbe essere un concorso di responsabilità anche a carico dell’Amministrazione comunale (con conseguente riduzione delle spese da porre a carico dei proprietari), per non aver tempestivamente provveduto, ma tale aspetto non è stato specificamente dedotto dagli interessati. Innanzitutto non occorreva alcuna comunicazione di avvio del procedimento in quanto gli interessati erano a conoscenza della situazione già da alcuni anni. Inoltre, l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente appare adeguatamente motivata, anche con riferimento all’attualità dei gravi pericoli per l’incolumità delle persone, come del resto precisato nella richiamata relazione USL del 23.11.1992. Inammissibile è poi la censura con la quale si contesta l’incongruità dei 15 giorni assegnati per provvedere allo smaltimento dei rifiuti, atteso che i Sigg. Pommeé non hanno adempiuto neppure dopo la scadenza del termine e l’esecuzione d’ufficio è stata disposta nell’agosto 1993, oltre sei mesi dopo. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 1 luglio 2002, n. 3596. (vedi: sentenza per esteso)

 

Smaltimento dei rifiuti - responsabilita' degli organi di governo locale per l'omesso controllo sull'operato dei dirigenti amministrativi - delega di funzioni ai dirigenti amministrativi del comune - autonomi poteri di organizzazione delle risorse - permanenza dell'obbligo di prevenire illeciti connessi alla gestione tecnica del servizio - limiti - servizio di raccolta differenziata - questioni esulanti la programmazione generale e, per il sindaco, la funzione di ufficiale del governo - esclusione - adozione di ordinanze contingibili ed urgenti. In tema di smaltimento dei rifiuti, e di responsabilita' degli organi di governo locale per l'omesso controllo sull'operato dei dirigenti amministrativi, poiche' le norme di ordinamento degli enti locali (art. 107 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, come integrato da specifiche disposizioni delle leggi finanziarie) conferiscono a detti dirigenti autonomi poteri di organizzazione delle risorse (anche mediante atti di rilevanza esterna non espressamente riservati agli organi di governo), le attivita' loro demandate sono oggetto - salvi casi particolari - di una competenza diretta ed esclusiva, mentre per gli organi di governo residua un dovere di controllo limitato al corretto esercizio della funzione di programmazione generale e, quanto al sindaco, dei compiti di ufficiale del governo, deputato all'eventuale adozione di ordinanze contingibili ed urgenti. (Fattispecie in tema di deposito incontrollato di rifiuti cartacei in area del demanio comunale, nell'ambito di un nuovo servizio di raccolta differenziata, in cui la Corte ha escluso che fosse dovere del sindaco verificare l'analitica programmazione delle soluzioni operative necessarie per l'esecuzione del servizio). Conforme: Cass. 2002 n. 8530; vedi: Cass. 2000 n. 3878; Cass. 1995 n. 11745; Cass. 1999 n. 4003. Corte di Cassazione, Sezione III del 21/06/2002 (UD.07/05/2002) Sentenza n. 23855

 

Discarica abusiva - il comportamento diligente del proprietario esclude l’obbligo di ripristino - il proprietario è da considerarsi, parte lesa di attività, di rilevanza anche penale, posta in essere da terzi ignoti se precedentemente ha denunciato la discarica. Il comportamento diligente del proprietario esclude che l’obbligo di ripristino possa essergli addossato. Nel caso in specie, il proprietario è da considerarsi, parte lesa di attività, di rilevanza anche penale, posta in essere da terzi ignoti (cfr. denuncia di manomissione del cancello ed addirittura della sua stessa successiva asportazione) che costituiscono indiretto ma significativo indice della negligente cura degli interessi pubblici demandati alle autorità locali in tema di rispetto delle regole primarie e basilari del vivere civile, quale la difesa della proprietà privata dalle intrusioni altrui e, più in generale, la difesa dell’ambiente. (Il Tar ha sospeso l’ordinanza sindacale rivolta al privato per la rimozione di rifiuti scaricati abusivamente sul suolo di sua proprietà in considerazione del comportamento diligente del proprietario che ha dimostrato di essere estraneo ai fatti e di aver cercato di impedirli). TAR Campania-Napoli, Sez. I Ordinanza 12 giugno 2002 n. 2899

 

Impianti di trattamento dei rifiuti - comportanti emissioni in atmosfera - disciplina applicabile - concorrenza delle norme in materia di gestione dei rifiuti e delle immissioni in atmosfera - fondamento. In tema di gestione di rifiuti, gli impianti di trattamento di rifiuti che comportano emissioni in atmosfera, ed in particolare gli inceneritori tradizionali, sono soggetti sia alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 sia alla disciplina di cui al D. P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (tutela dall'inquinamento atmosferico), atteso che la normativa nazionale e comunitaria in tema di inquinamento atmosferico completa e non assorbe quella sui rifiuti. Vedi anche: C. Cass.1996 n. 5702, conf. C. C. 1995 n.10245. Corte di Cassazione, Sez. III Sentenza del 10/06/2002 (UD.05/04/2002) n. 22539

 

Impianti di gassificazione dei rifiuti - connessi alla cogenerazione di energia elettrica - disciplina di cui al d.p.r. n. 203 del 1988 sulle immissioni in atmosfera - applicabilita' - esclusione - fondamento. Gli impianti di gassificazione dei rifiuti connessi ai motori di cogenerazione di energia elettrica mediante utilizzo dei gas di sintesi costituiscono "impianti di alimentazione" funzionali al ciclo di produzione di energia, e pertanto per il loro esercizio non e' richiesta l'autorizzazione regionale prevista dall'art. 6 del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 per la costruzione di impianti che possono provocare inquinamento atmosferico, atteso che tale disposizione non si applica alle centrali termoelettriche ai sensi dell'art. 17, comma 1, del citato D.P.R. n. 203, e che per centrali termoelettriche si intendono, ex D.P.C.M. 21 luglio 1989, paragr. I, punto 4, tutti gli impianti e i componenti funzionali e connessi al ciclo di produzione dell'energia compresi gli impianti di alimentazione. Corte di Cassazione. Sez. III del 10/06/2002 (UD.05/04/2002) sentenza n. 22539

 

Discarica rifiuti - gli interventi approvati dal Consiglio Comunale con apposita deliberazione volti all’eliminazione di cause di insalubrità”, sono disposizione non immediatamente lesive e pertanto carenti di ogni interesse attuale e concreto all’impugnazione - l’esigenza di salvaguardia ambientale - poteri comunali - d.lgs. n. 22 del 1997 - P.r.g. - notifica. Tenuto conto dei circoscritti poteri comunali in materia de qua, rivenienti dal d.lgs. n. 22 del 1997, la disposizione in esame va intesa, come dedotto dall’appellante Amministrazione, non nel senso di inibire le attività di cui si tratta, ovvero di sottoporle ad un necessario vaglio preventivo di conformità, ma solo nel senso che il Comune, una volta avviati, anche su semplice denuncia di parte, i lavori di manutenzione straordinaria assentiti dalle autorità competenti (per quelli di manutenzione ordinaria la norma non reca alcuna remora), può, se del caso, adottare iniziative volte a vedere in qualche modo tutelata l’esigenza di salvaguardia ambientale avuta di mira. L’eventuale effetto lesivo della norma, quindi, non è immediato, potendo esso evidenziarsi in via mediata e indiretta solo nell’ipotesi in cui le iniziative comunali conseguenti alla esecuzione di opere che il Comune stesso dovesse, in ipotesi, ritenere in contrasto con la disposizione in parola, si risolvessero nell’adozione di provvedimenti comportanti la lesione della sfera di interessi dell’impresa; altro, del resto, sarebbero eventuali interventi repressivi assunti in difformità dalla disciplina autorizzatoria regionale o provinciale, altro l’assunzione di iniziative volte ad informare tali stesse autorità circa le conseguenze che, sul piano ambientale, i detti atti autorizzativi potrebbero produrre in pregiudizio degli interessi tutelati dal Comune medesimo. La norma, per converso, non assoggetta ad alcun onere preventivo di prova circa il carattere non produttivo di “un aggravio di eventuali pericoli di insalubrità”, riconducibile agli interventi di cui si tratta. Anche sotto questo profilo, quindi, è da escludere che la disposizione in esame possa comportare immediati e diretti aggravamenti procedurali nella sfera della ricorrente originaria. Quanto agli “altri interventi approvati dal Consiglio Comunale con apposita deliberazione volti all’eliminazione di cause di insalubrità”, si tratta, anche in questo caso, di disposizione non immediatamente lesiva, in quanto la sua applicazione può ricollegarsi solo ad eventi futuri e incerti quali l’individuazione di “cause di insalubrità” nella conduzione delle attività in questione che consiglino interventi dell’Autorità comunale la cui conformità all’ordinamento potrà essere misurata solo in base all’esame dei provvedimenti che, in ipotesi, saranno concretamente adottati. In quest’ottica, infine, è da escludere che la rilevata diretta notificazione dei provvedimenti impugnati alla società originariamente ricorrente possa di per sé rappresentare significativo indice del carattere immediatamente lesivo delle determinazioni stesse. Tale carattere, infatti, può ricollegarsi solo ai provvedimenti che in concreto e in funzione della norma generale e astratta ora detta, possano venire a condizionare, eventualmente ed in futuro, l’attività dell’impresa, mentre nessun pregiudizio immediato possono produrre nella sua sfera giuridica. Con la notificazione, invero, l’Amministrazione, individuato uno dei pochi soggetti, nel territorio comunale, potenzialmente destinatario delle connesse determinazioni amministrative, ha solo inteso, in un corretto rapporto informativo verso gli operatori del settore, significare che, in presenza dei presupposti indicati dalla norma stessa, l’Amministrazione comunale avrebbe potuto attivarsi - nei limiti, naturalmente, consentiti dalla legge - per evitare l’aggravio dei temuti pregiudizi ambientali. Le considerazioni anzidette inducono a ritenere i ricorsi originari inammissibili per carenza di ogni interesse attuale e concreto al loro accoglimento; la stessa sorte è, conseguentemente, riservata anche alle censure di primo grado assorbite dal TAR e in questa sede ribadite dalla società appellata. (Nella specie, la norma posta in contestazione dall’originaria ricorrente, solo nella sua seconda parte, relativa agli impianti già esistenti, art.103bis delle NTA del PRG del Comune di Caorso di cui si controverte che “nel territorio comunale non è consentita la realizzazione di nuovi impianti, anche se risultato di trasferimento di altre attività già esistenti sul territorio comunale, per lo stoccaggio provvisorio per conto terzi e per la innocuizzazione ed eliminazione dei rifiuti speciali anche tossici e nocivi; per gli impianti già esistenti sono sempre ammessi interventi di manutenzione ordinaria; sono pure ammessi interventi di manutenzione straordinaria, purché non determinino un aggravio di eventuali pericoli di insalubrità, nonché altri interventi approvati dal Consiglio Comunale con apposita deliberazione volti all’eliminazione di cause di insalubrità”). Consiglio  di  Stato, Sezione V, 3 giugno 2002, sent. n. 3071. (vedi: sentenza per esteso).

 

Regime speciale e semplificato per localizzare e realizzare impianti di smaltimento dei rifiuti - adozione dei piani infraregionali - la concessione edilizia è sostituita dalla pronuncia conclusiva della Provincia in esito alla conferenza dei servizi - i poteri attribuiti al sindaco - tutela della pubblica incolumità in materia di :”sanità , igiene, edilizia e polizia locale”. Gli artt. 3 e 3-bis del D.L. 361 del 1987 convertito in legge dalla legge 441 del 1987 hanno introdotto un regime speciale e semplificato per localizzare e realizzare impianti di smaltimento dei rifiuti. Tale regime, proprio per la specialità che lo contraddistingue, esclude la integrazione con il sistema ordinario di localizzazione degli impianti in vigore in Emilia Romagna anteriormente all’entrata in vigore delle norme richiamate che risulta sostituito dalle norme speciali ed acceleratorie qui richiamate. Ciò con riguardo sia alle modalità procedimentali che all’assetto delle competenze in materia. E’, pertanto, condivisa la statuizione della sentenza appellata che ha negato la sussistenza di un vincolo derivante dalla adozione dei piani infraregionali per la localizzazione degli impianti di smaltimento ed ha affermato che la concessione edilizia è sostituita dalla pronuncia conclusiva della Provincia in esito alla conferenza dei servizi prevista dalle norme in parola. Al Sindaco non sono attribuiti dalla legge 142/90 (art. 38) poteri di ordinanza per motivi di ordine pubblico, ma solo a tutela della pubblica incolumità in materia di :”sanità , igiene, edilizia e polizia locale”. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3059.

 

Realizzazione di discariche per rifiuti inerti - la valutazione d’impatto ambientale nella Provincia Autonoma di Bolzano - procedura “ordinaria” e procedura “semplificata” - eccezioni e deroghe a tale disciplina per particolari tipi di attività e di opere - regolamento di esecuzione - fasi del procedimento. La Legge Prov.le di Bolzano 7.7.1992, n. 27, concernente la “istituzione della procedura di impatto ambientale”, con la quale la Provincia Autonoma di Bolzano ha inteso dare attuazione alla direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 27.6.1985, relativa alla valutazione dell’impatto ambientale di determinate attività pubbliche e private, prevede, rispettivamente ai Capi II e III, due diverse procedure per la valutazione dell’impatto ambientale: una “ordinaria” (art. 3-8), più complessa, alla quale devono essere sottoposte tutte le attività e le opere elencate, per “progetti e soglie”, nell’allegato alla legge, ed una procedura “semplificata” (artt.11-13) per le attività ed opere non contemplate in tale elenco. Altre disposizioni della legge, non rilevanti ai fini della presente decisione, prevedono poi eccezioni e deroghe a tale disciplina per particolari tipi di attività e di opere. E’ utile una breve ricognizione della normativa relativa alle due diverse procedure di valutazione dell’impatto ambientale. La procedura ordinaria di impatto ambientale si sviluppa attraverso un esame del preliminare di progetto da parte della Ripartizione della Provincia competente in materia di ambiente che, raccolte le osservazioni a seguito della pubblicità data al progetto, porta alla redazione di direttive per l’elaborazione del progetto definitivo da parte del committente (art. 3). Seguono la elaborazione della RIA, la relazione di impatto ambientale (art. 4), la pubblicazione della relazione e del progetto con possibilità per chiunque di presentare osservazioni (art.5), gli accertamenti e le determinazioni sulle osservazioni ai progetti proposte da enti e da privati (art.6), il parere del Comitato Via (art.7) e, infine, l’approvazione del progetto da parte della Giunta provinciale (art. 8). La legge disciplina minuziosamente ciascuno delle predette fasi del procedimento (che non interessa riportare), in modo tale da non esservi alcuno spazio per un’ulteriore disciplina di dettaglio. Solo l’art. 4 prevede l’adozione di un successivo regolamento di esecuzione, ma ne fissa l’oggetto con riferimento alla RIA, cioè alla relazione con la quale “ciascun committente deve evidenziare, descrivere e valutare le possibili conseguenze dell’attività sull’ambiente e mettere in evidenza le eventuali alternative che ragionevolmente possono essere prese in considerazione”. La disposizione stabilisce che: “le direttive per l’elaborazione della RIA di ogni singolo caso concreto vengono emesse sulla base dei criteri fissati nel regolamento di esecuzione”. La procedura semplificata prevede, invece, che il progetto, presentato al comune, sia esaminato in una conferenza presieduta dal presidente del comitato VIA e composta dai direttori degli uffici provinciali di volta in volta competenti per l’applicazione delle leggi che vengono in rilievo in relazione al tipo di opera o di attività che si intende porre in essere. La procedura prevede il silenzio assenso in caso di omesso invio del parere al comune. Il parere sostituisce tutte le altre autorizzazioni, può contenere prescrizioni ed è vincolante. In base all’allegato alla legge i progetti per la realizzazione di discariche per rifiuti inerti (punto 12, lett. d) e urbani e speciali (punto 12, lett. e) di capacità complessiva pari o superiore rispettivamente a 500.000 mc e 300.000 mc sono soggetti alla procedura ordinaria di valutazione di impatto ambientale. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2720.

 

Rilascio dell'autorizzazione speciale di trasporto dei rifiuti. Un recente precedente di questa Sezione che il Collegio ritiene di condividere (CDS VI n.2456 del 20/4/2000) ha statuito che “ai fini del rilascio dell'autorizzazione speciale di trasporto prevista dall'art.41 L. 6 giugno 1974 n.298 con riguardo ai veicoli attrezzati per il trasporto dei rifiuti, è necessario che l'attrezzatura caratteristica sia permanente; pertanto, è legittimo il diniego di rinnovo del certificato di approvazione, quale veicolo per trasporti specifici, di un veicolo dotato di un'attrezzatura di caricamento e scaricamento scarrabile (nella specie, un compattatore di rifiuti).” L’orientamento giurisprudenziale recentemente espresso non merita di essere superato da una decisione di segno contrario in quanto l’assunto secondo il quale nessun collegamento è possibile istituire fra l’art.41 della legge n.298/1974 e l’art.26 del vecchio codice della strada è smentito dal tenore testuale delle due norme citate. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2624.

 

La nozione normativa di raccolta dei rifiuti - raccolta e smaltimento dei rifiuti pericolosi senza autorizzazione  - nozione - trasporto dei rifiuti - responsabilità. La nozione normativa di raccolta dei rifiuti - come desumibile dall'art. 6 punto e) del d. lg. 5 febbraio 1997, n. 22 - presenta natura complessa, e comprende ogni comportamento univoco ed idoneo a culminare nell'accorpamento e nel trasporto dei rifiuti stessi, risultando cosi' estesa anche alla cernita ed alla preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento. (Fattispecie in cui il direttore di una casa di cura non aveva impedito che rifiuti pericolosi, ospedalieri e no, fossero rinchiusi in sacchi forniti dall'azienda municipalizzata per la raccolta di rifiuti comuni, collocati in un sito nel quale, secondo l'uso, avrebbero dovuto essere prelevati a cura dell'azienda stessa, non autorizzata alla raccolta di rifiuti pericolosi, da personale non consapevole della natura effettiva del materiale. La Corte ha ritenuto la responsabilita' del direttore, quale autore mediato, per il reato consumato di raccolta senza autorizzazione). Si veda: Cass. 1998 n. 12538. Corte di Cassazione Sezione III,  29/04/2002 (UD.08/03/2002), sentenza n. 15972

 

Rifiuto - qualificazione di un bene quale rifiuto - natura di accertamento di fatto - sindacabilita' in cassazione - limiti. In tema di gestione dei rifiuti, l'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto, dovendo essere effettuata in base ad un criterio oggettivo e prevalente di compatibilita' ambientale, in base alle previsione di cui all'art. 2 del Decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22,costituisce una "questio facti" demandata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimita' se sorretto da motivazione esente da vizi logici o giuridici. Corte di Cassazione Sez. III del 9 aprile 2002, sentenza n. 14762

 

Discarica rifiuti - la partecipazione al procedimento (conferenza servizi) di un Ente non preclude l’interesse legittimo a ricorrere - rapporto intersoggettivo ed interorganico - diversità ontologica dei momenti della programmazione e del controllo e art. 41 della Costituzione. L'assunto con riferimento ad un precedente giurisprudenziale, secondo il quale ”la partecipazione del comune interessato, in posizione dissenziente, alla conferenza indetta dalla regione, ai sensi dell'art. 3 bis l. 29 ottobre 1987 n. 441, per l'istruttoria dei progetti di discariche per lo smaltimento di rifiuti, non legittima l'ente locale ad impugnare il successivo provvedimento finale di approvazione.” (T.A.R. Piemonte sez. II, 7 ottobre 1991 n. 324). La conseguenza giuridica, che la difesa della società Sun Oil vorrebbe trarre dalla pronuncia in questione, non appare meritevole di essere condivisa. Infatti, una cosa è dire che la mera partecipazione al procedimento da parte di un soggetto pubblico non legittima ex se questo ad impugnare il provvedimento conclusivo, altra cosa è dire che dalla partecipazione nasca una preclusione nei confronti di colui che sia già titolare di un interesse legittimo. Ciò perché, dal punto di vista della teoria generale del diritto amministrativo, la partecipazione di un soggetto, portatore di un interesse pubblico diverso da quello dell’amministrazione procedente, ad un procedimento amministrativo, finalizzato al coordinamento dell’azione amministrativa, non trasforma il rapporto da intersoggettivo ad interorganico; né opera la mutazione del partecipante in autorità emanante e, tanto meno, implica l’abdicazione della situazione giuridica di cui il medesimo sia titolare. Pertanto, al di là dall’ipotesi in cui il comportamento concretamente tenuto dal soggetto rilevi sotto il profilo dell'acquiescenza (il che sicuramente non è nel caso in cui il soggetto partecipante abbia manifestato il proprio dissenso), nessuna preclusione al diritto di azione può derivare dalla mera partecipazione al procedimento. Nel caso di specie, quindi, non emerge alcuna ragione per derogare al principio pacifico, secondo il quale " il comune nel cui territorio è localizzata una discarica di rifiuti, ai sensi dell'art. 3 bis l. 29 ottobre 1987 n. 441, è titolare dell'interesse a ricorrere contro la delibera di localizzazione potendo far valere sia la sua qualità di ente esponenziale dei residenti sia quella di titolare del potere di pianificazione urbanistica, su cui senza dubbio incide il provvedimento di localizzazione.” (Consiglio Stato sez. V, 2 marzo 1999, n. 217). I momenti della programmazione e del controllo sono ontologicamente diversi e vanno tenuti distinti, tanto più allorché l’attività amministrativa incida su valori costituzionalmente garantiti, quale quello della dell’iniziativa economica privata, che l’art. 41 della Costituzione include nella sfera delle libertà del cittadino, pur prevedendo ( comma 3) che “ la legge determina i programmi ed i controlli opportuni purché … possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 2 aprile 2002, n. 1797.  (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti - Discarica abusiva - provvedimento di confisca - Condizioni - Limiti - Fondamento - Fattispecie: comproprietà dell’area, sulla quale risulti realizzata e gestita una discarica. In caso di comproprietà dell’area, sulla quale risulti realizzata e gestita una discarica, non può il giudice disporre, con la sentenza di condanna emessa ai sensi dell’art. 51 c.3, del D. L.vo n. 22/1997, il provvedimento di confisca, quando i comproprietari non risultino responsabili, quanto meno a titolo di concorso del reato di discarica abusiva. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 26 marzo 2002 sentenza n. 7430

 

La gestione della discarica è aspetto distinto dall’approvazione e realizzazione dell’impianto - nuovo progetto di ampliamento della discarica - conferenza di servizi - dimostrato coinvolgimento dei Comuni limitrofi - localizzazioni da parte del piano regolatore generale - valutazione di impatto ambientale - impianto di seconda categoria tipo B per rifiuti speciali assimilabili agli urbani - impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento - mappatura delle discariche - iscrizione all’Albo nazionale. La gestione della discarica è aspetto distinto dall’approvazione e realizzazione dell’impianto e comunque il legittimo esercizio della gestione della discarica presuppone la persistenza del provvedimento di approvazione del progetto di ampliamento della discarica stessa. Irrilevante è poi il fatto che la Ditta ricorrente abbia recentemente presentato un in questione, in quanto l’eventuale riconoscimento della legittimità del provvedimento di approvazione del precedente progetto potrebbe facilitare l’approvazione del nuovo, a prescindere dall’assorbente considerazione che il nuovo progetto non risulta finora approvato. L’art. 3 bis L. 441/87 statuisce che la Regione provvede all’istruttoria dei progetti di nuovi impianti di trattamento e stoccaggio dei rifiuti urbani, speciali nonché tossici e nocivi mediante apposite conferenze cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti, nonché i rappresentanti degli “Enti locali interessati”. La conferenza acquisisce e valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali. In disparte l’interpretazione del citato art. 3 bis L.n.441/87 nella parte in cui prevede la partecipazione alla Conferenza dei “comuni interessati” (nello stesso modo si esprime anche l’art. 27 del D. L.vo 5.2.1997 n.22), ciò che rileva in questa sede è che la normativa regionale ha utilizzato l’espressione “comuni direttamente interessati”, così da restringere la partecipazione alla CTRA con voto deliberativo ai soli comuni sul cui territorio è localizzata la discarica, salvo la partecipazione (su invito regionale o su richiesta del Comune) a titolo meramente consultivo degli altri comuni interessati solo di riflesso dalla realizzazione dell’opera pubblica. Criterio questo cui si può derogare solo in presenza del dimostrato coinvolgimento dei Comuni limitrofi, stante la contiguità dell’opera al loro territorio e la diretta incidenza sul loro equilibrio ecologico. Di ciò, tuttavia, non è stata fornita alcuna prova essendosi detti Comuni limitati a fornire solo dati, peraltro controversi, relativi alla distanza tra il luogo dove realizzare l’opera e la frazione di Preara, senza nel contempo individuare in modo significativo l’eventuale lesione che sarebbe derivata a loro danno. D’altra parte, anche in relazione all’art. 3 bis L. 441/87, questo Consiglio, sez. IV, con decisone n. 1001 del 3.12.1992, ha precisato che il concetto di “Comuni interessati” non è rigido, ma di carattere elastico, si che deve essere di volta in volta verificato l’interesse alla partecipazione in relazione allo stato dei luoghi (vicinanza dell’ente rispetto al sito della discarica), alla valutazione fatta dall’Autorità regionale in ordine agli Enti locali da convocare, alle eventuali esigenze prospettate nel corso dell’istruttoria da parte dei Comuni non convocati, pervenendo alla conclusione che nella fattispecie doveva essere invitato anche altro comune in quanto la discarica era stata localizzata in area ai confini ed in prossimità del suo territorio. Irrilevante è la circostanza che l’area ove sorge la discarica sia una zona agricola, in quanto tale classificazione non è incompatibile con un impianto del genere in mancanza di specifiche localizzazioni da parte del piano regolatore generale (V. la decisione di questa Sezione n. 85 del 26.1.1996), a prescindere dall’assorbente rilievo che si tratta di mero ampliamento in verticale della discarica esistente. Contrariamente a quanto sostenuto dai Comuni appellati, il progetto in questione non doveva essere preventivamente sottoposto a valutazione di impatto ambientale. Trattasi, come precisato, di un impianto di seconda categoria tipo B per rifiuti speciali assimilabili agli urbani , che non apporta modifiche alla tipologia dei rifiuti rispetto a quelli che erano già conferibili, come risulta a pag. 5 della deliberazione n. 4447/96. Per detto impianto non era all’epoca prescritta la valutazione di impatto ambientale (v. ora la disciplina di cui al D.P.R. 12.4.1996, in attuazione dell’art. 40, comma 1, L. 22.2.1994 n. 146, applicabile con decorrenza 7.6.1997), prevedendosi tale adempimento solo per gli impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra, tra i quali non rientra quello in esame (che riguarda rifiuti non tossici e non nocivi), ai sensi dell’art. 6 L. 8.7.1986 n. 349 ed art. 1 D.P.C.M. 10.8.1988 n. 377. La circostanza che non si era proceduto alla mappatura delle discariche e degli impianti di smaltimento a cura del Ministero dell’ambiente non era preclusiva dell’approvazione del progetto in questione, in quanto il mancato adempimento ministeriale di cui all’art. 6 L.n.361/87 non poteva evidentemente bloccare l’attività amministrativa regionale. Non può condividersi neppure la censura secondo cui la Ditta non avrebbe potuto conseguire l’autorizzazione richiesta per mancanza dell’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti, in quanto all’epoca dell’adozione della delibera impugnata (8.10.1996) era vigente l’art. 5 del D.L. 6.9.1996 n. 462 ( poi non convertito), il quale prevedeva un’iscrizione automatica sulla base della comunicazione alla sezione regionale territorialmente competente del rilascio dell’autorizzazione di cui al D.P.R. 10.9.1982 n. 915. Successivamente l’art. 1 L. 11.11.1996 n.575 ha dichiarato validi gli atti adottati sulla base di vari decreti legge non convertiti, tra cui appunto il n.462/96, e quindi anche la delibera regionale n.4447/96. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 18 marzo 2002, n. 1557. (vedi: sentenza per esteso)

 

Una discarica in zona agricola non è incompatibile in mancanza di specifiche localizzazioni da parte del piano regolatore generale - ampliamento in verticale della discarica esistente. Irrilevante è la circostanza che l’area ove sorge la discarica sia una zona agricola, in quanto tale classificazione non è incompatibile con un impianto del genere in mancanza di specifiche localizzazioni da parte del piano regolatore generale (V. la decisione di questa Sezione n. 85 del 26.1.1996), a prescindere dall’assorbente rilievo che si tratta di mero ampliamento in verticale della discarica esistente. Cons. di Stato, sez. V, 15 giugno 2001, n. 3178. Consiglio di Stato, sez. V, 18 marzo 2002, n. 1557. (vedi: sentenza per esteso)

 

Impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi (scorie derivanti dalla termo-distruzione di rifiuti solidi urbani) - caratteristiche e qualificazione di un impianto fisso e di un impianto mobile - necessità di autorizzazione di cui all’art. 27, comma 7 d lgs. n.22\1997 - Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale e trattamento di RSU - parziale difformità progettuale - valutazione preventiva di compatibilità con la tutela dell'ambiente o della salute pubblica - condizioni di sicurezza idraulica, di manutenzione idraulica, di regimazione delle acque, parchi, riserve. L’impianto della ricorrente, di trattamento per il recupero di rifiuti speciali non pericolosi (scorie derivanti dalla termo-distruzione di rifiuti solidi urbani) aveva le caratteristiche di un impianto fisso (funzionalmente destinato ad operare a tempo indeterminato nel predetto sito) e non di un impianto mobile e ciò sia per le caratteristiche intrinseche assunte dall’impianto una volta collocato nel sito prescelto (presenza di vasche in cemento per la decantazione delle scorie, nonché dello stabilimento - preesistente - utilizzato quale deposito delle scorie da trattare), sia in relazione alla mancata comunicazione della “campagna di attività” (che implica un carattere permanente in sito dell’impianto); sicché non poteva beneficiare della procedura semplificata e celere di cui all’art. 28, comma 7, del d.lgs. n. 22 del 1997, ma avrebbe dovuto soggiacere a quella più complessa e articolata di cui al precedente art. 27. Il provvedimento impugnato, lungi dall’incidere sulla validità e sull’efficacia dei pregressi titoli autorizzatori, si era limitato ad inibire - in relazione alle concrete modalità di svolgimento, nel sito prescelto dall’operatore, della prevista attività di trattamento di rifiuti speciali non pericolosi e in particolare, in relazione alla sostanziale stabilizzazione che, di fatto, veniva a caratterizzare la maggior parte degli impianti un tipo di attività non conforme a quella autorizzata, bisognevole, in quanto tale, di diverso titolo autorizzatorio e incompatibile con la tutela ambientale in quel preciso ambito territoriale. Il provvedimento impugnato precisa (rifacendosi a quanto in proposito evidenziato dalla locale A.R.P.A.) che “l’impianto installato risulta inoltre parzialmente difforme da quello illustrato nel progetto autorizzato con il provvedimento provinciale, in quanto la fase di pretrattamento del rifiuto (lavaggio, vagliatura) e di trattamento delle acque reflue (vasche di accumulo, silos di flocculazione, filtropressa ecc.), pur non presentando modifiche sostanziali di processo, risulta realizzata mediante strutture fisse; il progetto autorizzato prevedeva, invece, che l’intero impianto fosse mobile”. Se, infatti, il legislatore ha posto l’accento sulle “campagne di attività”, ciò ha fatto nel presupposto che gli impianti presi in considerazione dalla norma ora detta fossero deputati a svolgere attività in una situazione, appunto, di mobilità e, cioè, mutando, sovente, il sito in cui collocare l’attività stessa in rapporto agli inerti o altri rifiuti in quel sito occasionalmente presenti, per poi spostarsi, una volta esauriti i materiali da trattare, in un sito diverso; al contrario, non ha inteso consentire che l’attività di trattamento in parola fosse concentrata una volta per tutte in un unico sito in cui concentrare stabilmente e senza limiti di tempo rifiuti del tipo previsto, ma aventi le più diverse provenienze. Rilevato che l’impianto non era più qualificabile alla stregua di impianto mobile, bensì quale impianto fisso (bisognevole, quindi, dalla più complessa e articolata procedura autorizzatoria di cui all’art. 27 del d.lgs. m.22/1997, di cui era privo) l’Amministrazione ha inibito lo svolgimento della relativa attività di trasformazione, in quanto ritenuta non compatibile con la tutela dell’ambiente. Ai sensi dell’art.28, comma 7, del d.lgs. n. 22 del 1997, invero, per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale l'interessato, almeno sessanta giorni prima dell'installazione dell'impianto, deve comunicare alla regione nel cui territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l'autorizzazione di cui al comma 1 e l'iscrizione all'Albo nazionale delle imprese di gestione dei rifiuti, nonché l'ulteriore documentazione richiesta; la regione (nella specie, la provincia, cui sono stati demandati i relativi compiti) può adottare prescrizioni integrative, oppure può vietare l'attività con provvedimento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell'ambiente o della salute pubblica. Nel caso in esame la competente Provincia, ritenuto che l’impianto, per la ritenuta stabilizzazione al suolo conseguita alla concreta collocazione nel sito prescelto, non rispondeva più alle caratteristiche per le quali era stato autorizzato e che tali nuove e diverse caratteristiche lo rendevano incoerente con le previsioni del locale PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale), ha vietato lo svolgimento dell’attività di cui si tratta. Il detto piano territoriale non consentiva sull’area in questione manufatti destinati al trattamento dei RSU. L’impianto di cui si tratta avrebbe dovuto essere collocato, infatti, parte in fascia A, parte in fascia C del predetto PTCP; la prima di dette fasce consente interventi finalizzati al mantenimento delle condizioni di sicurezza idraulica, di manutenzione idraulica, di regimazione delle acque, parchi, riserve e opere similari, nonché lo svolgimento di attività agricole entro limiti predefiniti, mentre, tra le altre, non consente la realizzazione di impianti di trattamento degli inerti, che non siano quelli di cava rapportati alla sola attività estrattiva; in fascia C (art.16, n.3, del Piano, “rispetto dell’ambito fluviale”, concernente il territorio interessato da inondazioni per eventi di piena eccezionali) è vietata la nuova localizzazione e/o l’ampliamento, tra gli altri, di impianti di trattamento rifiuti. Nella specie, l’impianto in parola, non autorizzabile come impianto mobile e, quindi, da ritenersi non agevolmente rimovibile (determinando, tra l’altro, l’insediamento di ingombri stabili e di non secondario momento, specie se rapportati all’esigenza di un rapido deflusso delle acque fluviali atto ad impedire ondate di piena pregiudizievoli per le aree circostanti e per le locali popolazioni), veniva a configurarsi come impianto non conforme alle norme di piano ora dette, sia per la sua tipologia e la natura dell’attività ivi prevista, sia in quanto era da rivedere come impianto nuovo, essendo assente, in precedenza, sul sito stesso, ogni attività di trattamento rifiuti. Né rileva che sull’area medesima preesistesse un impianto industriale non più in uso; ciò in quanto, ammesso che lo stesso, ai sensi del punto 4 dell’art. 16 del PTCP, potesse essere assentito come impianto preesistente, esso non poteva esserlo, invece, nel momento in cui veniva ivi avviata un’attività sotto nessun profilo coincidente con quella precedente, che era di natura affatto diversa e da tempo, ormai, cessata. Il divieto, posto dal PTCP, all’effettuazione, in quel sito, dell’attività di trasformazione in parola si configura, in definitiva, ad avviso del Collegio, come inibitorio dello svolgimento di un’attività che non può ritenersi ammessa in quanto non compatibile - ai sensi del citato art. 28, comma 7 - con la tutela dell'ambiente; il Piano, infatti, per le aree in questione, non si pone quale mero strumento urbanistico, ma come elemento pianificatorio atto a rimuovere o, per quanto qui interessa, ad impedire che nelle aree de quibus possano essere svolte attività non consentite in quanto pericolose per l’ambiente (con conseguenze potenzialmente pregiudizievoli anche per le locali popolazioni); e ciò tanto più in quanto correlate ad impianti resi, in prevalenza, non agevolmente rimovibili. Ciò non senza considerare, infine, che il rilascio delle autorizzazioni ai sensi degli articoli 27 e 28 del d.lgs. n. 22 del 1997 non ha mero rilievo formale, ma risponde, tra le altre, all’esigenza, per l’amministrazione preposta alla tutela dell’ambiente, di verificare se gli impianti in questione rispondano anche ai requisiti di compatibilità e tutela ambientale; pure sotto questo profilo correttamente viene denegata la possibilità di svolgere l’attività in questione, avendo l’impianto che si andava ad attivare assunto il carattere di struttura prevalentemente stabile e non agevolmente rimovibile. Il d.lgs. n.22 del 1997 non reca una definizione di “trattamento” di RSU; con tale termine, quindi, è stato individuato, in sede pianificatoria provinciale, un tipo di attività e connesse lavorazioni destinate a trattare e, quindi, comunque a modificare, indipendentemente dalla finalità del “trattamento” stesso, i RSU; e trattandosi di attività destinate stabilmente a interessare suoli particolarmente esposti ai cicli fluviali e a pregiudicare, in varia misura, il corso e il regime delle acque, specie in caso di piena, correttamente tale tipo di attività, in quanto stabilmente e consistentemente incardinata a quel tipo di suolo, è stata vista come incompatibile con l’ambiente. Consiglio di Stato, Sez. V, sent.  del 13.03.2002, n. 1501.

 

Rifiuti - certificazione UNI ES ISO - albo delle imprese esercenti lo smaltimento dei rifiuti - mancanza dell’iscrizione per la categoria 4, classe B (rifiuti speciali non pericolosi) - restano valide ed efficaci fino alla loro scadenza le iscrizioni effettuate ai sensi della pregressa normativa - adeguamento formale della iscrizione in conformità alle nuove categorie CER - validità della gara d’appalto. Priva di consistenza si rivela la pretesa assimilabilità della certificazione UNI ES ISO 14001 a quella richiesta dal bando, per la diversità degli specifici oggetti disciplinati dalle rispettive normative. La mancanza dell’iscrizione all’Albo degli smaltitori per la cat. 4, non è fondata alla luce del disposto di cui all’art. 23, comma 1, del d.m. n. 406 del 1998, recante norme di attuazione di direttive dell’Unione Europea sulla disciplina dell’Albo suddetto. La disposizione precisa che restano valide ed efficaci fino alla loro scadenza le iscrizioni effettuate ai sensi della pregressa normativa, e non è contestato che la Idrodinamica Velox disponesse della iscrizione per la categoria 3, classe B, fin dal 1995, ed estesa dal 1996 a tutte le tipologie di rifiuti, compresi quindi i rifiuti CER 99. Emerge inoltre dalla normativa in questione che l’adeguamento formale della iscrizione in conformità alle nuove categorie si sarebbe gradualmente attuata su iniziativa dell’Amministrazione, cosicché risulta irrilevante la data di acquisizione della nuova iscrizione rispetto ai tempi della gara per cui è causa. L’appellante ha anche chiarito e documentato come il provvedimento di adeguamento della iscrizione secondo le categorie di cui al d.m. n. 406 del 1998 sia stato definitivamente corretto ed integrato con il riconoscimento dell’estensione ai rifiuti CER 19.08.99 e 19.09.99. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1495. (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti - Definizione di «rifiuto». Costituisce rifiuto qualsiasi sostanza di cui iI produttore o iI detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, non assumendo rilievo la mera intenzione di escluderne ogni riutilizzazione economica da pane di altre persone. Pertanto lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti deve avvenire ad opera dell'impresa che li ha prodotti e negli stessi luoghi di produzione. Amadori, CORTE DI CASSAZIONE penale, Sez. III 5 marzo 2002, n. 14762
 

Confisca al proprietario di un'area occupata a discarica abusiva - caso di comproprietà dell'area - comproprietario estraneo al reato e in buona fede - esclusione di punibilità. Secondo l’effetto dell'art. 51, comma 3, D.Lgs. n. 22/1997, può subirne la confisca il proprietario di un'area occupata da discarica abusiva solo se sia responsabile o corresponsabile del reato ipotizzato. In caso di comproprietà dell'area, i comproprietari sono soggetti alla confisca dell'area solo se sono responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva; in caso contrario, deve escludersi l'applicazione della misura patrimoniale atteso che l'area non ha un'intrinseca criminalità in senso assoluto, potendo essere ripristinata e bonificata dai residui inquinanti. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato la sentenza limitatamente all'ordine di confisca in quanto la misura non poteva essere disposta perché veniva a colpire anche comproprietari che non risultavano essere responsabili o corresponsabili per l'attivazione della discarica abusiva). Cassazione penale, sez. III, 28 febbraio 2002 n. 280202.

 

Inadempimento dell’Italia - gestione dei rifiuti - Direttiva 96/59/CE - Smaltimento dei policlorofenili e dei policlorotrifenili. La Repubblica italiana, non avendo predisposto e comunicato alla Commissione delle Comunità europee, entro il 16 settembre 1999, né la sintesi degli inventari prevista dall’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 16 settembre 1996, 96/59/CE, concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili (PCB/PCT), né i programmi e le bozze di piano di cui all’art. 11 della stessa direttiva, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tali disposizioni. La Repubblica italiana è condannata alle spese. Corte di Giustizia Europea, Sentenza della quarta sezione causa C 46/01 del 27 febbraio 2002.

 

Rifiuti - inadempimento dell’Italia - ambiente - rifiuti pericolosi - Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE. La direttiva 75/442 ha lo scopo di assicurare lo smaltimento e il ricupero dei rifiuti nonché di incoraggiare l'adozione di misure intese a limitare la formazione di rifiuti, in particolare tramite la promozione delle tecnologie pulite e dei prodotti riciclabili e riutilizzabili. L'art. 4, primo comma, della direttiva 75/442 dispone come segue: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e in particolare:

- senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora;

- senza causare inconvenienti da rumori od odori;

- senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse».

Conformemente all'art. 10 della direttiva 75/442, «[a]i fini dell'applicazione dell'articolo 4, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell'allegato II B devono ottenere un'autorizzazione a tal fine». I punti R 1-R 13 dell'allegato II B della direttiva 75/442 elencano le operazioni di ricupero quali vengono effettuate in pratica. Le disposizioni concernenti la dispensa dall'autorizzazione di cui all'art. 11 della direttiva 75/442 sono state trasposte nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante «Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE, sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi» (Suppl. ord. n. 33 alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997), come modificato dal decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (GURI n. 261 dell'8 novembre 1997; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 22/97»). Per quanto riguarda, più in particolare, gli stabilimenti e le imprese che recuperano i rifiuti oggetto della direttiva 91/689, l'art. 33 del decreto legislativo n. 22/97 prevede per essi la possibilità di avvalersi, a talune condizioni, di procedure semplificate che li dispensano dall'autorizzazione di cui all'art. 10 della direttiva 75/442. Conformemente a tali procedure semplificate, gli stabilimenti o le imprese che intendono intraprendere operazioni di recupero di rifiuti pericolosi senza richiederne l'autorizzazione hanno l'obbligo di comunicare l'inizio delle attività alla provincia competente, allegando una relazione dalla quale risulti la sussistenza di tutti i requisiti previsti per accedere alla procedura semplificata. Dichiarare il possesso dei requisiti per accedere alla procedura semplificata significa essere dispensati all'autorizzazione prevista dall'art. 10 della direttiva 75/442. La provincia competente verifica, sulla base di tale dichiarazione, la sussistenza dei detti requisiti. Data la complessità e la tecnicità delle norme in materia, il decreto legislativo n. 22/97 non descrive né identifica in modo dettagliato tali requisiti. Esso opera un rinvio, dichiarando che le norme tecniche che fisseranno i tipi, la quantità e le condizioni per il recupero nell'ambito delle procedure semplificate saranno adottate ricorrendo a decreti ministeriali. L'art. 33, sesto comma, del decreto legislativo n. 22/97 specifica che, sino all'adozione delle dette norme tecniche, le procedure semplificate si applicano a chiunque effettui operazioni di recupero dei rifiuti elencati rispettivamente nell'allegato 3 al decreto del Ministro dell'Ambiente 5 settembre 1994, relativo all'attuazione degli artt. 2 e 5 del decreto legge 8 luglio 1994, n. 438, recante disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei rifiuti (Suppl. ord. n. 126 alla GURI n. 212 del 10 settembre 1994), e nell'allegato 1 al decreto del Ministro dell'Ambiente 16 gennaio 1995, recante norme tecniche per il riutilizzo in un ciclo di combustione per la produzione di energia dai residui derivanti da cicli di produzione o di consumo (Suppl. ord. alla GURI n. 24 del 30 gennaio 1995), nel rispetto delle prescrizioni ivi contenute. La Commissione fa valere che la mancata adozione della normativa tecnica necessaria per la disciplina del regime della dispensa dall'autorizzazione è stata considerata dal decreto legislativo n. 22/97 come ragione per mantenere in vigore i due decreti ministeriali 5 settembre 1994 e 16 gennaio 1995. Secondo la Commissione, le procedure semplificate applicabili agli stabilimenti ed alle imprese che recuperano i rifiuti pericolosi oggetto della direttiva 91/689 sono ancora attualmente subordinate alle sole condizioni previste dai suddetti decreti ministeriali, i quali non rispondono ai requisiti prescritti dall'art. 3, n. 2, della direttiva 91/689. Quanto allo schema di decreto interministeriale trasmesso dalle autorità italiane alla Commissione, quest'ultima rileva che non si tratta di uno strumento normativo efficace, ma solo di una bozza di decreto che peraltro non risulta nemmeno essere stata inviata al Consiglio di Stato italiano per il prescritto e preventivo parere di legittimità. Dagli elementi esposti in precedenza risulta che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, le condizioni alle quali era soggetta la dispensa dall'autorizzazione prescritta dall'art. 10 della direttiva 75/442 erano definite esclusivamente dai decreti ministeriali 5 settembre 1994 e 16 gennaio 1995, laddove, per gli stabilimenti o le imprese di cui all'art. 11, n. 1, primo comma, lett. b), della direttiva 75/442, tali decreti non riproducevano i requisiti di cui all'art. 3, n. 2, della direttiva 91/689. Ne consegue che, alla stessa data, le imprese e gli stabilimenti che provvedevano al recupero dei rifiuti pericolosi oggetto della direttiva 91/689, in Italia, erano dispensati dall'autorizzazione prevista dall'art. 10 della direttiva 75/442, senza che tale dispensa fosse condizionata alla sussistenza dei suddetti requisiti. Poiché il combinato disposto dell'art. 11, n. 1, primo comma, lett. b), della direttiva 75/442 e dell'art. 3, n. 2, della direttiva 91/689 consente ad uno Stato membro di derogare all'art. 10 della direttiva 75/442, il quale impone che qualsiasi stabilimento o qualsiasi impresa ottenga un'autorizzazione, solo qualora detto Stato membro adotti provvedimenti diretti ad assicurare la sussistenza dei requisiti previsti dal detto art. 3 della direttiva 91/689 per gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti, si deve constatare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 11 della direttiva 75/442 e dell'art. 3 della direttiva 91/689. Di conseguenza, si deve dichiarare che La Repubblica italiana, permettendo alle imprese ed agli stabilimenti che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti pericolosi oggetto della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, di essere dispensati dall'autorizzazione prevista dall'art. 10 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, senza che tale dispensa sia condizionata alla sussistenza dei requisiti di cui all'art. 3, n. 2, della direttiva 91/689, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del combinato disposto dell'art. 11 della direttiva 75/442, modificata dalla direttiva 91/156, e dell'art. 3 della direttiva 91/689.  La Repubblica italiana è condannata alle spese. Corte Giustizia Europea sentenza della Seconda Sezione causa C-65/00, 21 febbraio 2002.

 

Rifiuti - disciplina delle terre e delle rocce da scavo - esclusione materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche - conglomerati derivanti da attività di demolizione, scavo o costruzione - l’autosmaltimento dei rifiuti - cessione a terzi, non autorizzati, dei rifiuti speciali. L’art. 8, 1° comma del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dall'art. 1, D.Lgs. 8 novembre 1997, n. 389 e dall'art. 10, comma 1, L. 23 marzo 2001, n. 93, dispone che «sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto … in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge: …f-bis) le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme”. Questa disposizione, invocata dalla difesa dell’impresa resistente, è certamente irrilevante nella fattispecie di causa, in quanto non è controverso che il materiale di cui trattasi non sia riconducibile a semplici terre o rocce da scavo utilizzabili per le finalità indicate nella disposizione ultima citata, ma sia viceversa costituito da conglomerati derivanti da attività di demolizione, scavo o costruzione, riconducibili conseguentemente all’ipotesi di cui all’art. 7 terzo comma lettera b), prima parte, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione). Questi materiali non possono dunque essere equiparati a rifiuti pericolosi, oltretutto perché la loro presenza sul terreno è normale nelle opere eseguite sul territorio - ad esempio stradali - nelle quali essi concorrono a comporre i materiali impiegati, ma sono invece ascrivibili alla categoria dei rifiuti speciali. Tali materiali conseguentemente, in quanto rifiuti speciali, non possono essere abbandonati indiscriminatamente sul terreno, senza il rispetto degli obblighi e l’assunzione delle responsabilità previste nell’art.10 del D.Lgs. 22/97. Non è senza significato che il piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000 vigente all’epoca dei fatti, approvato con D.P.R. 23 luglio 1998, rilevasse, all’Obiettivo III, che «desta preoccupazione la produzione di rifiuti speciali (in particolare di quelli pericolosi) per i quali una costante attività di monitoraggio ambientale è richiesta al fine di evitare fenomeni di disseminazione non controllata». Tra tali obblighi, il secondo comma dell’art. 10 del D.Lgs. 22/97 cit. impone al produttore dei rifiuti speciali, nell’ordine: a) l’autosmaltimento dei rifiuti; b) il conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati ai sensi delle disposizioni vigenti; c) il conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione; d) l’esportazione dei rifiuti con le modalità previste dall'articolo 16 del presente decreto. La prima delle ipotesi delineate nell’art. ultimo citato consente certamente all’impresa di costruzioni stradali, in quanto produttrice dei rifiuti in questione, di reimpiegare i residui del materiale bituminoso estratto nell’esecuzione di opere analoghe, ad esempio per riciclare gli asfalti mediante fusione ovvero riutilizzarli più semplicemente, previa frammentazione, per realizzarne il sedime. Ma non è questo quanto è avvenuto nella specie, poiché è la stessa impresa resistente ad ammettere di aver ceduto a soggetti non autorizzati allo smaltimento, ai sensi delle vigenti disposizioni, il materiale in questione, con evidente violazione delle disposizioni richiamate. Ed è appena il caso di rilevare che l’autosmaltimento non può equivalere - tantomeno per analogia - alla cessione a terzi, non autorizzati, dei rifiuti speciali. L’ordinanza impugnata in primo grado si rivela pertanto legittima, in relazione alle censure proposte dalla originaria ricorrente, nella parte in cui ha imposto il ripristino dei luoghi interessati dalle violazioni di cui trattasi. Consiglio Stato Sez. VI, 16 febbraio 2002, n. 963.  (vedi: sentenza per esteso)

 

Inadempimento di uno Stato - Ambiente - Rifiuti - Direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE - Piani di gestione dei rifiuti (2002/C 84/22) (Pubblicata su GUCE C 84/14 del 6.4.2002) Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana (GU C 34 del 5.2.2000) Nella causa C-466/99, Commissione delle Comunità europee (agenti:signora L. Ström e signor G. Bisogni) contro Repubblica italiana (agente:signor U. Leanza, assistito dal signor P. G. Ferri) avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che, non avendo comunicato alla Commissione informazioni relative ai piani di gestione e di smaltimento dei rifiuti, dei rifiuti pericolosi, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 7 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 47), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32), 6 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20), e 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994, 94/62/CE, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (GU L 365, pag. 10), la Corte (Seconda Sezione), composta dalla sig.ra N. Colneric, presidente di Sezione, dai sigg. R. Schintgen e V. Skouris (relatore), giudici, avvocato generale: J. Mischo cancelliere: H. von Holstein, cancelliere aggiunto ha pronunciato il 24 gennaio 2002 una sentenza il cui dispositivo è del seguente tenore: 1) Non avendo comunicato alla Commissione le informazioni relative ai piani di gestione e di smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi, per quanto attiene alle Regioni Sicilia e Basilicata, né le informazioni relative ai piani di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, per quanto attiene alla totalità delle regioni italiane, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 7 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, 6 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994, 94/62/CE, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. 2) La Repubblica italiana è condannata alle spese. Sentenza della Corte Giustizia Europea (Seconda Sezione) causa C-466/99, 24 gennaio 2002.

Rifiuti - inadempimento dell’Italia - ambiente - rifiuti - Direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE - piani di gestione dei rifiuti. La direttiva 75/442 modificata ha lo scopo di garantire lo smaltimento e il ricupero dei rifiuti, nonché di incoraggiare l'adozione di misure intese a limitare la formazione dei rifiuti, in particolare promuovendo le tecnologie pulite e i prodotti riciclabili e riutilizzabili. Ai sensi dell'art. 2, n. 1, primo comma, della direttiva 91/156, gli Stati membri dovevano adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a quest'ultima entro e non oltre il 1° aprile 1993. Tale termine è stato differito al 27 giugno 1995 dall'art. 1, punto 1, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1994, 94/31/CE, che modifica la direttiva 91/689 (GU L 168, pag. 28). Ai sensi del suo art. 1, n. 1, la direttiva 94/62 ha lo scopo di armonizzare le misure nazionali in materia di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, sia per prevenirne e ridurne l'impatto sull'ambiente degli Stati membri e dei paesi terzi ed assicurare così un elevato livello di tutela dell'ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato interno e prevenire l'insorgere di ostacoli agli scambi nonché distorsioni e restrizioni alla concorrenza nella Comunità. Ai sensi dell'art. 22, n. 1, della direttiva 94/62: «Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva anteriormente al 30 giugno 1996. Essi ne informano immediatamente la Commissione».Al fine di conformarsi agli obblighi previsti dalle direttive 75/442 modificata, 91/689 e 94/62, le autorità italiane trasmettevano alla Commissione una serie di piani regionali di gestione dei rifiuti. La Commissione non riceveva tali piani né per le Regioni Sicilia e Basilicata né per quattro province della Toscana, vale a dire Firenze, Livorno, Pisa e Lucca. Inoltre, essa riteneva che taluni piani comunicati fossero incompleti. Pertanto, con lettera di diffida del 14 gennaio 1998, essa invitava la Repubblica italiana a presentare entro un termine di due mesi le proprie osservazioni in merito alla violazione degli artt. 7 della direttiva 75/442 modificata, 6 della direttiva 91/689 e 14 della direttiva 94/62, che costituiva l'oggetto dell'addebito mosso nella detta lettera. Poiché tale diffida rimaneva senza riscontro, la Commissione notificava, con lettera del 21 ottobre 1998, un parere motivato alla Repubblica italiana, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarsi al detto parere entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica. Poiché la Repubblica italiana non rispondeva a tale parere, la Commissione ha proposto il ricorso in esame. Risulta evidente che, alla data di scadenza del termine fissato nel parere motivato, il governo italiano non aveva comunicato alla Commissione le informazioni relative ai piani di gestione e di smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi, per quanto attiene alle Regioni Sicilia e Basilicata, né le informazioni relative ai piani di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, per quanto attiene alla totalità delle regioni italiane. Pertanto la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 7 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, 6 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994, 94/62/CE, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. La Repubblica italiana è condannata alle spese. Corte Giustizia Europea sentenza della Seconda Sezione causa C-466/99, 24 gennaio 2002

Rifiuti - D. l.vo n. 22/1997 - Disciplina derogatoria in settori specifici di rifiuti - Condizioni - Limiti. In tema di rifiuti la materia generale contenuta nel d.l.gs n. 22 del 1997 non è applicabile qualora normative particolari di deroga disciplinino, a livello di eccezione, alcuni settori specifici di rifiuti tuttavia soltanto nei limiti in cui opera la stessa disciplina derogatoria. Leuci. CORTE DI CASSAZIONE penale, sez. III, 16 gennaio 2002, n. 8520

 

Inadempimento di uno Stato - Gestione dei rifiuti - Smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili: Violazione della direttiva del Consiglio 16 settembre 1996, 96/59/CE, concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili (PCB/PCT) Il governo italiano riconosce di non aver ottemperato agli obblighi di cui agli artt. 4, n. 1, e 11, della direttiva. La Repubblica italiana, non avendo predisposto le sintesi degli inventari, i programmi e le bozze di piano di cui agli artt. 4, n. 1, e 11, della direttiva del Consiglio 16 settembre 1996, 96/59/CE, concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili, e non avendo comunicato tali documenti alla Commissione entro il 16 settembre 1999, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza delle suddette disposizioni.  La Repubblica italiana è condannata alle spese. Corte di Giustizia Europea conclusione del 06/12/2001 sul ricorso causa C-46/01.   

 

Rifiuti - legittimazione ad impugnare il provvedimento da parte del Comune - potere di localizzazione da parte della Regione degli impianti di smaltimento dei rifiuti - conferenza di servizi - irrilevanza del parere non favorevole alla discarica opposto da alcuno dei soggetti intervenuti in conferenza - ininfluenza della mancata partecipazione degli esperti. Dalla previsione della partecipazione di un ente ad un procedimento amministrativo, si deve evincere la sua legittimazione ad impugnare il provvedimento conclusivo ritenuto lesivo (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 1999, n. 217; sez. IV, 3 dicembre 1992, n. 1001). Non invece il contrario. D’altra parte, al Comune va riconosciuta la legittimazione ad impugnare il provvedimento di approvazione di una discarica, sia per la qualità di ente esponenziale degli interessi dei residenti che potrebbero subire danni dalla scelta compiuta dall’autorità competente nell’individuazione delle aree per l’attivazione dell’impianto di discarica, sia per la qualità di titolare del potere di pianificazione urbanistica, su cui certamente incide la collocazione dell’impianto medesimo (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 1999, n. 217; sez. VI, 7 aprile 1997, n. 559 ). Il potere di localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti è attribuito dalla citata legge n. 441 del 1987 alle Regioni, sulla base di un procedimento che può essere attivato in relazione a qualsiasi area che si ritenga idonea (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 1999, n. 217). La potestà di autorizzare un impianto di discarica spetta, ai sensi della l. 29 ottobre 1987, n. 441, alla Regione, mentre alla Provincia spetta, a norma dell’art. 14, comma 1 lettera g, solo l’organizzazione dello smaltimento (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 1999, n. 212 e n. 217 ). La VIA (Valutazione Impatto ambientale) è richiesta , ai sensi del D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377, che costituisce la disciplina regolamentare dell’art. 6 della l 8 luglio 1986, n. 349, unicamente per gli impianti di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi, mentre l’impianto in argomento riguarda i rifiuti speciali non tossici e nocivi. E’, comunque, appena il caso di aggiungere che la conferenza costituisce un momento di comparazione di interessi e di valutazione preventiva, il cui espletamento non è rigidamente formalizzato e le cui conclusioni sono soltanto uno degli elementi che l’Amministrazione regionale deve valutare. Pertanto, il parere non favorevole alla discarica opposto da alcuno dei soggetti intervenuti alla conferenza non può impedire alla Regione di decidere la localizzazione dell’impianto di discarica (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 1999, n. 212). Anche la mancata partecipazione degli esperti non sembra possa inficiare la validità della conferenza, in quanto l’intervento di questi soggetti non è previsto da alcuna disposizione normativa, mentre risulta che l’Assessore regionale all’ambiente è stato idoneamente sostituito da altro soggetto. Consiglio di Stato, Sez. IV Sentenza del 6 ottobre 2001 n. 5296.

 

La nozione oggettiva di rifiuto - la funzione dell’ elenco dei rifiuti - possibilità tecnica di riutilizzare la sostanza in un diverso ciclo produttivo. La nozione oggettiva di rifiuto, (ex d.lg. n. 22 del 1997) è connessa, da un lato, all'obiettiva condotta del detentore, e dall'altra alla possibilità di ricondurre la "res" in discorso ad una delle categorie predefinite normativamente; ne consegue che la presenza di una "res" nell'elenco dei rifiuti, e la sua naturale destinazione all'abbandono, determinano la qualificazione della sostanza come rifiuto indipendentemente dall'eventuale intenzione soggettiva del detentore e dall'effettiva possibilità tecnica di riutilizzare la sostanza in un diverso ciclo produttivo. Cassazione penale, sez. III, 8 agosto 2001

Definizione dello “stato d’inquinamento” ex decreto Ronchi - obbligo del responsabile di procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale - individuazione dei responsabili e intervento degli Enti Pubblici - responsabilità oggettiva del proprietario - decorrenza del tempo.   Lo “stato d’inquinamento” dà luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro i limiti normativamente ritenuti accettabili, ed è evidente che le previsioni del decreto Ronchi si applicheranno a qualunque sito che risulti attualmente inquinato, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica. Pertanto, coerentemente con l’impostazione dell’art. 17 D.Leg.vo 22/97 e del relativo regolamento di attuazione, il soggetto su cui grava l’obbligo di procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale è prima di tutto il responsabile della situazione di inquinamento, in seconda battuta la norma prevede che ”qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili” gli interventi necessari vengano comunque realizzati d’ufficio dal Comune o, in subordine, dalla Regione con privilegio immobiliare sulle aree bonificate per il recupero delle spese, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. Il proprietario, qualora non coincida con il responsabile dell’inquinamento e questi non sia identificabile, finisce comunque per essere il soggetto definitivamente gravato, tanto è vero che l’ordinanza di cui all’art. 8 del D.M. 471/99 deve essere notificata anche a lui. La decorrenza di un lungo lasso di tempo non è di per sé in grado di esentare un soggetto dalla eventuale responsabilità dei fatti inquinanti e quindi dall’obbligo di provvedere ad effettuare l’indispensabile ripristino ambientale così come previsto dal c.d. decreto Ronchi, resta tuttavia il fatto che tale lasso di tempo non è comunque privo di rilevanza agli effetti della verifica della responsabilità dell’inquinamento. TAR Friuli Venezia Giulia - Sentenza 27 luglio 2001 n. 488.  (vedi sentenza per esteso)   

 

Rifiuti - Smaltimento dei rifiuti illecitamente abbandonati o depositati sul suolo - Responsabilità del proprietario - Comportamenti, dolosi o colposi - Sussiste - Art. 14 D.L.vo n.22/1997. In tema di rifiuti, l'ordine di smaltimento dei rifiuti illecitamente abbandonati o depositati sul suolo (ex all'art. 14, d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 - ma anche in base alla previgente normativa), non può essere indiscriminatamente rivolto, a pena di illegittimità, al proprietario - o, comunque, al soggetto che abbia la disponibilità dell'area interessata - in quanto la responsabilità del proprietario insorge solo a fronte di comportamenti, dolosi o colposi, di (anche omissiva) corresponsabilità con l'autore dell'illecito abbandono di rifiuti. T.A.R. Toscana, sez. II, 7 giugno 2001, n. 1034

 

Combustibile da rifiuti - impianto di produzione di energia elettrica - autorizzazioni. Qualora un impianto di produzione di energia elettrica si avvalga di combustibile da rifiuti, quale definito dall'art. 6, lett. p), d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, e non sussistano le condizioni per l'accesso alle procedure semplificate in materia di gestione dei rifiuti di cui agli art. 31-33 del medesimo testo normativo, esso dev'essere munito, oltre che dell'autorizzazione prevista dall'art. 17, comma 2, d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, anche di quella prevista dagli art. 27 e 28 d.lg. n. 22 del 1997. Cassazione penale, sez. III, 24 maggio 2001, n. 30318
 

Intervento dei soggetti che risiedono in prossimità di impianti di trattamento dei rifiuti - ammissibilità. In considerazione della ritenuta valenza, in materia ambientale, del criterio della “vicinitas”, deve ritenersi ammissibile la partecipazione dei soggetti intervenuti che risiedono nelle vicinanze dell’area in cui è localizzato l’impianto di trattamento dei rifiuti, a tutela del bene ambiente e, correlativamente, dei propri interessi (v. T.A.R. Veneto, sez. I, 16/12/1998 n.2509). Tar Emilia - Romagna, sez, staccata di Parma, sent. n. 235 del 27 aprile 2001.

 
Impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti - distinzione tra impianto mobile e fisso - regime giuridico - D. Lgs. 22\1997. Solo gli impianti mobili di smaltimento o di recupero di rifiuti possono beneficiare, in ragione del tenue e soprattutto provvisorio impatto con l’ambiente circostante il sito d’installazione, del semplificato e celere regime autorizzatorio previsto dall’art. 28, 7° comma del D. Lgs. 5/2/1997 n.22, secondo il quale “Gli impianti mobili di smaltimento o di recupero, ad esclusione della sola riduzione volumetrica, sono autorizzati in via definitiva dalla regione ove l’interessato ha la sede legale o la società straniera proprietaria dell’impianto ha la sede di rappresentanza. Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale l’interessato, almeno sessanta giorni prima dell’installazione dell’impianto, deve comunicare alla regione nel cui territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività…”. Ritiene il Collegio, che nel predisporre tale semplificato regime autorizzatorio, in una materia di estrema delicatezza quale è in via generale quella ambientale e, più in particolare, il settore del trattamento dei rifiuti, il legislatore statale abbia inteso ricondurre ad esso esclusivamente quegli impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti che siano “mobili” in senso funzionale e cioè che non solo siano “facilmente amovibili” dal sito prescelto ma che si pongano anche in rapporto del tutto precario e, quindi, ben delimitato temporalmente, con il suddetto luogo e con l’ambiente circostante. Non a caso, infatti, la disposizione sopra richiamata prevede che - dopo avere ottenuto l’autorizzazione dell’impianto “mobile” - l’impresa comunichi di volta in volta alla Regione competente territorialmente il sito da essa prescelto per la sua installazione. Le suesposte finalità della disposizione trovano poi ampia conferma nell’espresso riferimento, nella stessa contenuto, alla “campagna di attività” da svolgersi da parte dell’impresa gerente l’impianto mobile autorizzato. La “campagna di attività” consiste essenzialmente in un programma di lavoro, con il quale l’impresa che gestisce l’impianto mobile deve comunicare all’autorità amministrativa competente l’entità (in termini di qualità e quantità della produzione) e la durata dell’impegno del sito da parte dei macchinari mediante i quali si svolge l’attività di trattamento dei rifiuti e, pertanto, deve ritenersi che mediante tale riferimento il legislatore statale, oltre ad avere chiaramente delimitato temporalmente la permanenza in loco dell’impianto mobile, ha implicitamente escluso dalla categoria degli impianti mobili”, quelle strutture che, ancorché facilmente amovibili dal luogo d’installazione, sono concretamente destinate - in mancanza di comunicazione della “campagna di attività” da parte dell’impresa - ad operare permanentemente in un sito.
L’accertata fissità di un impianto comporta che lo stesso non possa essere autorizzato secondo il procedimento di cui all’art.28, 7° comma, del D. Lgs. n.22 del 1997, ma secondo la ben più complessa e rigorosa procedura prevista dall’art.27 dello stesso decreto, con la quale, mediante la convocazione di una conferenza di servizi tra gli enti interessati ed il soggetto richiedente l’autorizzazione, la richiesta di localizzazione dell’impianto fisso è sottoposta alle necessarie approfondite valutazioni circa la compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali. Tar Emilia - Romagna, sez, staccata di Parma, sent. n. 235 del 27 aprile 2001.

 

Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - impianto di trattamento rifiuti - concetto. Il concetto di “impianto di trattamento rifiuti”, contenuto in un piano a valenza ambientale oltre che urbanistica qual è il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (v. art. 2 L:R. n. 6 del 1995), deve necessariamente essere inteso, in un’ottica di rigorosa tutela di un equilibrato assetto del territorio provinciale, nel senso che tale definizione comprenda tutte quelle strutture che “trattano” ovverosia sottopongono a lavorazione il rifiuto. E’ principalmente in riferimento a tale fase di lavorazione, infatti, che possono sorgere gravi problemi di compatibilità dell’impianto con il territorio in cui esso è stato localizzato e, pertanto, al precipuo fine di evitare siffatti inconvenienti, si è reso necessario - riguardo a determinate e ben delimitate zone o a rischio di esondazione (zone A) o relativamente alle quali la falda è piu vulnerabile (zone C) - impedire che vi si svolga in genere attività di trattamento di rifiuti, essendo del tutto irrilevante, in riferimento a siffatte primarie esigenze, la tipologia di prodotto finale che uscirà dalla lavorazione dei rifiuti (ulteriore rifiuto o altro prodotto di recupero). Tar Emilia - Romagna, sez, staccata di Parma, sent. n. 235 del 27 aprile 2001.

 

L’ordinanza contingibile e urgente emessa dal sindaco - smaltimento dei rifiuti - mancato rispetto delle prescrizioni tecniche da parte dell'operatore autorizzato alla gestione dei rifiuti - il reato di cui all'art. 51 comma 4 d.lg. n. 22 del 1997. In tema di smaltimento dei rifiuti, qualora l'ordinanza contingibile e urgente emessa dal sindaco ai sensi dell'art. 13 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 si configuri come un equipollente dell'autorizzazione regionale, la violazione delle prescrizioni ivi contenute o richiamate integra il reato di cui all'art. 51 comma 4 d.lg. n. 22 del 1997, in quanto la "voluntas legis" è quella di sanzionare il mancato rispetto delle prescrizioni tecniche da parte dell'operatore autorizzato alla gestione dei rifiuti, tanto in via ordinaria quanto attraverso l'esercizio del potere sindacale "extra ordinem". (Nella specie, la Corte ha escluso che la disciplina prevista dal regolamento di integrazione sullo smaltimento dei rifiuti, adottato dal comitato interministeriale il 27 luglio 1984, potesse integrare la norma penale dell'art. 51 comma 4 d.lg. n. 22 del 1997, in quanto non richiamata dalla ordinanza sindacale). Cassazione penale, sez. III, 3 aprile 2001, n. 26923

 

Rifiuti - Ordinanza contingibile ed urgente - Presupposti - Pubblica Amministrazione. L'esercizio dell'ordinanza contingibile ed urgente ex art. 12 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, per essere legittimo, è condizionato ad alcuni precisi presupposti: a) una "necessità" di tutela della salute pubblica o dell'ambiente; b) una situazione sopravvenuta e distinta dall'ordinario e fisiologico smaltimento dei rifiuti, che presenti però il carattere della "eccezionalità", come un evento naturale straordinario (terremoto, inondazione, incendio, disastro, epidemia ecc.); c) una situazione di "urgenza", non correlata all'ordinario smaltimento dei rifiuti, ma all'evento straordinario sopravvenuto; d) l'assoluta "temporaneità", limitata cioè alla persistenza della situazione eccezionale verificatasi; e) le necessità di utilizzo pur sempre di "speciali forme di smaltimento di rifiuti" ossia di tipologie anche diverse da quelle ordinarie, ma mai di abbandono brutale dei rifiuti nell'ambiente, sempre vietato per tutti, compreso il sindaco, che deve addirittura attivarsi in senso contrario (ex art. 9, 1° e 2° comma, d.p.r. 915/82); f) una motivazione specifica e dettagliata delle ragioni di pubblico interesse e delle concrete misure adottate per salvaguardare comunque salute e ambiente, valori assolutamente prioritari e non disponibili neppure dai soggetti pubblici (Cass., sez. III, 24-05-1994; Cass., sez. III, 16 ottobre 1998). CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 2 aprile 2001, Sentenza n. 1904 (vedi: sentenza per esteso)

Rifiuti - Riversamento ripetuto di rifiuti su un sito da parte di terzi ignoti - Proprietario o titolare in uso di fatto del terreno - Ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino - Responsabilità - Esclusione - Presupposti - Fattispecie di abbandono/deposito incontrollato di rifiuti - D.leg. n. 22/97. In caso di riversamento ripetuto di rifiuti su un sito da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono/deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l'elemento soggettivo del dolo o della colpa; conseguentemente lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino ex art. 14 e 50 d.leg. n. 22/97, con sanzione penale in caso di inosservanza; in antitesi, si tratterebbe di caso di responsabilità oggettiva; il proprietario o comunque titolare in uso di fatto del terreno può essere destinatario in tal caso della ordinanza sindacale emessa secondo i principi generali extra d.leg. n. 22/97 e sarà semmai parte lesa nel procedimento a carico dei terzi autori del fatto ove individuati. CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 2 aprile 2001, Sentenza n. 1904 (vedi: sentenza per esteso)

Rifiuti - Pubblica Amministrazione - Adozione di ordinanze contingibili e urgenti in materia di sanità e igiene da parte del sindaco - Presupposti. L'adozione di ordinanze contingibili e urgenti in materia di sanità e igiene da parte del sindaco, ai sensi dell'art. 38, 2° comma, l. 8 giugno 1990 n. 142, presuppone la ricorrenza di un grave pericolo di danno imminente e necessita di una congrua motivazione; la situazione di danno o di pericolo attuale e concreto per la salute pubblica che giustifica l'emanazione di provvedimenti contingibili e urgenti deve risultare da inequivoci accertamenti tecnici. CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 2 aprile 2001, Sentenza n. 1904 (vedi: sentenza per esteso)

Rifiuti - Ordinanza al proprietario dell'area di predisporre un piano di smaltimento dei rifiuti speciali tossici e nocivi - Fondamento. L'ordinanza con la quale il sindaco, ai sensi dell'art. 9 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, impone al proprietario dell'area di predisporre un piano di smaltimento dei rifiuti speciali tossici e nocivi su essa giacenti, non ha carattere sanzionatorio, nel senso che non è diretta ad individuare e punire i soggetti ai quali è da attribuire la responsabilità civile e/o penale della situazione abusiva, ma solo ripristinatoria, in quanto diretta ad ottenere la rimozione dell'attuale stato di pericolo e a prevenire ulteriori danni all'ambiente circostante e alla salute pubblica; pertanto, detta ordinanza può essere legittimamente indirizzata al proprietario attuale dell'area, cioè a colui che si trova con quest'ultima in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, ancorché essa sia da imputarsi al precedente proprietario (T.a.r. Emilia-Romagna, sez. Parma, 22-05-1995, n. 241). CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 2 aprile 2001, Sentenza n. 1904 (vedi: sentenza per esteso)

 

Rifiuti - Inottemperanza all'ordinanza del sindaco - Condotta omissiva del concessionario per l'esecuzione di lavori pubblici su un'area di proprietà altrui - Manutenzione e ripristino dei suoli - Art. 50 comma 2 d.l.vo n. 22/1997 - Sussistenza. In tema di gestione dei rifiuti, integra la contravvenzione di inottemperanza all'ordinanza del sindaco, legalmente data ai sensi dell'art. 14 comma 3 (e punita dall'art. 50 comma 2) d.l.gs. n. 22 del 1997, la condotta omissiva del concessionario per l'esecuzione di lavori pubblici su un'area di proprietà altrui, il quale non abbia provveduto a sgomberare la medesima dai rifiuti che ivi risultino (anche ad opera di terzi) abbandonati, atteso che il concessionario ha l'obbligo di conservazione, manutenzione e ripristino dei suoli di cui abbia la disponibilità o il godimento (nella specie per il solo periodo temporale della esecuzione di opere pubbliche), anche nell'ipotesi che il degrado sia stato determinato da un terzo. Imp. Morizio - rv. 219012 - Cassazione penale, sez. III, 30 marzo 2001, (ud. 30 maggio 2001) n. 20930

Discarica abusiva- abbandono rifiuti - responsabilità in solido del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area per dolo o colpa - obbligo di rimozione dei rifiuti - interventi di bonifica e ripristino. Il proprietario che non sia anche produttore dei rifiuti risponde dell’abbandono sul suolo dei medesimi se questo sia a lui imputabile a titolo di dolo o colpa ovvero se abbia acquistato un’area inquinata, come tale gravata da onere reale, in base all’art. 14, comma 3, d. lgs n. 22/97, infatti, chiunque viola i divieti di abbandono di rifiuti sul suolo o di immissione di rifiuti nel suolo è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. In più, in riferimento all’art. 17, comma 10, d. lgs. cit., gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate di cui ai commi 2 e 3, onere reale che deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica. Consiglio di Stato Sez. V sent. dell’8/03/2001, n. 347 (vedi sentenze per esteso)

 

Rifiuti - attività di demolizione e ristrutturazione di un immobile - definizione dello "smaltimento" dei rifiuti - applicabilità dell’art. 51, comma primo, del D.L.vo n. 22/97 - l’abbandono di rifiuti deve avere carattere di assoluta occasionalità. L’art. 51, comma primo, del D.L.vo n. 22/97 sanziona penalmente la condotta di "chiunque effettua un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti, in mancanza della prescritta autorizzazione, . . .". Inoltre l’art. 7, comma sesto, del D.L.vo n. 8 novembre 1997 n. 389, emanato, tra l’altro, al fine di adeguare le disposizioni in materia di disciplina dello smaltimento dei rifiuti alle osservazioni della Commissione della U.E., di cui alla nota in data 29 settembre 1997 n. 6465, sul decreto legislativo sopra citato, ha disposto l’abrogazione delle parole "prodotti da terzi", inserite nella versione originaria dell’art. 51, comma primo, a proposito della appartenenza dei rifiuti. Va, infine, rilevato che con il termine "smaltimento" dei rifiuti di cui alla disposizione citata deve intendersi, secondo il disposto dell’art. 6, comma primo lettera g), in relazione all’allegato B del decreto legislativo n. 22/97, ogni attività di "deposito sul suolo o nel suolo (ad es. discarica)" dei rifiuti. Orbene, ciò precisato in ordine al quadro normativo in base al quale devono essere valutate le condotte da ricondursi alle ipotesi di gestione dei rifiuti non autorizzata, appare indubbio alla Corte che nella fattispecie contravvenzionale così individuata rientra l’attività di chiunque, e perciò non necessariamente a titolo imprenditoriale, pone in essere le condotte descritte dal primo comma dell’art. 51, non solo in relazione a rifiuti prodotti da terzi, ma anche in relazione ai rifiuti propri. Non ha pregio, pertanto, la censura formulata dal ricorrente, con il primo motivo di gravame, in punto di interpretazione della fattispecie contravvenzionale ritenuta dal giudice di merito, in relazione alla necessità che i rifiuti siano prodotti da terzi. Né sussiste, come dedotto dal ricorrente, la possibilità di una sovrapposizione della fattispecie contravvenzionale esaminata con quella costituente illecito amministrativo, di cui all’art. 50 dello stesso decreto legislativo (abbandono di rifiuti), dovendosi configurare quest’ultima solo nel caso che l’abbandono abbia carattere di assoluta occasionalità e non integri, pertanto, in considerazione della ripetitività o abitualità della condotta posta in essere, l’ipotesi di gestione dei propri rifiuti. Appare indubbio, pertanto, che l’attività di cui alla contestazione formulata a carico del ricorrente integra, secondo quanto accertato dal giudice di merito, l’ipotesi contravvenzionale ritenuta da quest’ultimo, essendo emerso che l’abbandono dei rifiuti, provenienti dall’attività di demolizione e ristrutturazione di un immobile eseguita dall’imputato in proprio, si è protratta per oltre un anno e che il luogo di deposito dei rifiuti aveva assunto le caratteristiche di una vera e propria discarica. Esattamente il giudice di merito ha affermato che la contestazione del fatto costituente reato, contenuta nel capo di imputazione: "abbandonava, depositava e comunque effettuava attività di gestione dei propri rifiuti speciali (nella specie, macerie provenienti da demolizioni del proprio fabbricato) senza le autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni previste dalla legge", corrisponde puntualmente all’ipotesi contravvenzionale di cui al primo comma dell’art. 51 del D.L.vo n. 22/97, come sopra precisata in ordine agli elementi costitutivi che la caratterizzano, e non a quella di cui al secondo comma, che sanziona penalmente l’attività di abbandono e di deposito incontrollato (anche occasionale) di rifiuti da parte di chi esercita un’attività imprenditoriale. Corte di Cassazione, sez. III 10 gennaio 2001, n. 133

 

Rifiuti - Ordinanza di sgombero rivolta al responsabile dell'abbandono e agli eventuali coobbligati - Comportamento colposo - Onere della prova - Sussiste - Art. 14 D. L.vo n.22/1997. In materia di rifiuti, l'ordinanza contingibile e urgente prevista dall'art. 14, comma 3, d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, costituisce una sorta di ordinanza di sgombero rivolta al responsabile dell'abbandono e agli eventuali coobbligati e sanzionata dall'esecuzione in danno salvo rivalsa, gravando sul comune l'onere di dimostrare che, in concreto, vi è stato un comportamento colposo, senza aggravamento di responsabilità degli obbligati oltre la soglia della colpa ordinaria nè l'imposizione di un dovere di prevenzione attiva. T.A.R. Sardegna, 12 ottobre 2000, n. 892

Necessità della V.I.A. per gli impianti di eliminazione, trattamento o stoccaggio dei rifiuti.Il progetto relativo alla istallazione di un impianto di eliminazione di rifiuti mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra, va sottoposto alla valutazione di impatto ambientale agli organi competenti ai sensi della L. n. 349 del 1986 art. 6. TAR lazio. Sez. I 24 agosto 2000 n. 1813.

 

Nozione di rifiuto - terra di scavo - criterio soggettivo - carattere formale dell’autorizzazione - insufficienza dell’autorizzazione tramite conferenza di servizi. La nozione di rifiuto va riferita all'articolo 6 del Dlgs 22/1997, che, alla lettera A, precisa che per rifiuto deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi. Il materiale di risulta dello scavo rientra nella categoria Q16 (qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate) dell'allegato A, punto 17.05.01, che include esplicitamente, tra i rifiuti, la terra e le rocce quali prodotti di risulta dell'attività di costruzione e demolizione. Né vale obiettare che deve escludersi che la terra di scavo possa, da un punto di vista oggettivo, essere qualificata come rifiuto poiché il punto 17 05 01 (cosiddetto codice CER) si riferisce a terre e rocce ma come sottocategoria di rifiuti di costruzioni e demolizioni (Codice CER 17 00 00), e non quindi come residui dell'attività di scavo. L'infondatezza di tale ultima distinzione discende dalla mancata previsione normativa, rapportata anche ad una chiara impossibilità di natura tecnico-fisica, in quanto un'attività di scavo è sempre intrinsecamente connessa a quella di costruzione. L'articolo 1 comma 8 Dlgs 8 novembre 1997 n.389, ha soppresso l'esclusione dall'articolo 8 comma 2 lettera c) Dlgs 22/1997, dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti, appunto, de i materiali non pericolosi che derivano dall'attività di scavo. Il criterio soggettivo deve essere individuato nel momento della decisione di avviare la sostanza od oggetto verso lo smaltimento o il recupero, in quanto in tale momento si realizza, in concreto, la declassificazione del bene e viene attuata, espressamente o tacitamente, la volontà di abbandono di esso in senso stretto. Infondata è la tesi secondo cui la discarica deve ritenersi implicitamente autorizzata dalle autorità amministrative, preposte al rilascio dell'autorizzazione in materia di smaltimento dei rifiuti, in sede di conferenza dei servizi. E’ principio assolutamente pacifico (in giurisprudenza e nella stessa dottrina pubblicistica) che l'autorizzazione in materia deve avere carattere formale e può essere adottata solo in esito allo specifico procedimento previsto dalla legge. Si ha discarica abusiva punibile tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata, di fatto, in deposito o ricettacolo di rifiuti, sicché rientra nella nozione suddetta l'accumulo ripetuto dei rifiuti con tendenziale carattere di definitività, a nulla rilevando che tale accumulo avvenga sullo stesso terreno in cui si colloca l'operatore che in parte li tratta. I materiali provenienti da demolizioni e scavi costituiscono rifiuti speciali e l'attività di scarico degli stessi in un'area determinata attraverso una condotta ripetuta, anche se non abituale e protratta nel tempo, configura la realizzazione e gestione di una discarica per la quale è richiesta l'autorizzazione. Cass. Pen. Sez. III  24 agosto 2000,  n. 2419.  

Definizione di produttore di rifiuti e responsabilità. Per produttore di rifiuti, ai sensi dell'art. 6 comma 1 lett. b), d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, deve intendersi non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile, quale titolare di una posizione definibile come di garanzia, l'obbligo, sancito dall'art. 10 comma 1 del citato decreto, di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti (nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto che fosse da reputare produttore di rifiuti il titolare di una concessione edilizia la cui realizzazione aveva richiesto la demolizione di edifici preesistenti con conseguente accumulo di una cospicuo quantità di materiali di risulta). Cassazione penale sez. III, 21 gennaio 2000

Costituisce reato il trasporto non autorizzato di rifiuti - costituisce reato lo scarico non autorizzato in vasca a tenuta stagna. Ai sensi dell`art. 51, comma primo, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, il fatto di chi effettua il trasporto o lo smaltimento di rifiuti, propri o di terzi, senza la prescritta autorizzazione o iscrizione, costituisce tuttora reato. Si è, infatti, realizzata una successione di leggi penali nel tempo che regolano lo stesso fatto, con il com-portamento di chi contravveniva all`art. 25 del D.P.R. 915 del 1982. Cass. pen., sez. III, 17 maggio 1999, n. 6107. Pur dopo l'entrata in vigore del d.lg. n. 152 del 1999, costituisce reato lo scarico, senza autorizzazione, in una vasca a tenuta stagna dei reflui derivanti dal lavaggio delle autobotti adibite al trasporto dei rifiuti. Cassazione penale sez. III, 14 giugno 1999.

 

Trasporto di rifiuti pericolosi - inesattezza o incompletezza del formulario. Nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi (quali, in particolare sono considerate le batterie esauste), senza il prescritto formulario o con il formulario nel quale siano indicati dati inesatti o incompleti non può trovare applicazione, in luogo della sanzione penale prevista dall'art. 52, comma 3, del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22 (mediante richiamo, quoad poenam all'art. 483 c.p.), la sanzione amministrativa di cui al successivo comma 4 del medesimo art. 52. (Il trasporto di batterie esauste in soprannumero rispetto al quantitativo indicato nel formulario non può trovare giustificazione nel fatto che le batterie in eccesso siano state raccolte sul territorio ove erano state abbandonate da ignoti). “Considerato che il formulario di identificazione di cui all'art. 15 del D.L.vo n. 22/97 deve consentire di individuare immediatamente l'origine, tipologia e quantità del rifiuto al fine di consentire il controllo sulle attività di gestione dei rifiuti, qualora  esso sia falsamente rappresentativo dei rifiuti in certificati si può addivenire, pur nell'apparente rispetto delle regole, ad uno smaltimento in impianto in realtà non autorizzato a ricevere quei determinati rifiuti e, quindi illecito. Ne consegue che nell'ipotesi in cui il predetto formulario è sprovvisto di indicazioni idonee ad individuare la tipologia del rifiuto che, anzi, dai riscontri acquisiti pare di natura tossico nociva (o, secondo la vigente classificazione, pericolosa) per l'elevata percentuale di metalli pesanti presenti, è logico dedurre da tali elementi la sussistenza di gravi indizi del reato di cui all'art. 51, comma 1, lett. b) del D.L.vo n. 22/97. Trib pen. Udine, decr. 18 aprile 2000”. Cass. pen., sez. III, 4 maggio 2000, n. 1134.

 

Lo scarico c.d. indiretto mediante autocisterne di rifiuti allo stato liquido - occorre apposita autorizzazione. Lo scarico indiretto (mediante autocisterne) di acque reflue, da qualificarsi ora come rifiuti allo stato liquido, richiede un’apposita autorizzazione, in mancanza della quale si rende configurabile il reato di cui all’art. 51 del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, senza che in contrario possa invocarsi, da parte dei soggetti già in possesso delle autorizzazioni allo scarico rilasciate prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152, (in base al quale per “scarico” può intendersi soltanto quello direttamente effettuato nei corpi recettori) la moratoria di tre anni prevista dall’art. 62, comma 11, di detto ultimo provvedimento normativo. Cass. pen. sez. III, 4 maggio 2000, n. 1383, Sainato. (F. Rocca, Massimario, in Rivistambiente 01\00)

 

Rifiuti derivanti dall’abbattimento del precedente fabbricato corresponsabilità del proprietario e dell'appaltatore. Intrasmissibilità dell'obbligo penale d'impedire l'evento. Definizione di deposito temporaneo. Il proprietario dell’immobile committente o l’intestatario della concessione edilizia con la quale si consente l’edificazione di un nuovo edificio, previa demolizione di altro preesistente, devono essere considerati produttori dei rifiuti derivanti dall’abbattimento del precedente fabbricato: pertanto, si considera produttore, in relazione a quanto previsto al primo comma lettera b) dell’articolo 6 del Dlgs 22/97 chi, persona fisica o giuridica, con la sua attività, materiale o giuridica, abbia prodotto rifiuti. Il proprietario di un’immobile non cessa di averne la materiale disponibilità per averne pattuiti in appalto la ristrutturazione o la ricostruzione, giacché incombe sempre, in capo allo stesso, un obbligo di vigilanza e di controllo in virtù della responsabilità propria del custode ex articolo 2051 Codice civile. Pertanto, a norma dell’articolo 10 Dlgs n. 22 del 5 febbraio 1997, la posizione di garanzia e l’obbligo di attivarsi per impedire l’evento, nonché gli adempimenti necessari per andare esenti da responsabilità discendono da tale dettato normativo, specifico della disciplina della gestione dei rifiuti. Il produttore e il detentore di rifiuti sono i soggetti penalmente responsabili dello smaltimento dei rifiuti. Pertanto, non è ammissibile il trasferimento, per via contrattuale, della propria posizione di garanzia ad altro soggetto egualmente obbligato per la stessa tutela. Il direttore dei lavori, in tema di smaltimento dei rifiuti, non assume posizioni di garanzia né ha doveri di controllo, giacché altri sono i suoi compiti.   Si ha deposito temporaneo quando la quantità dei rifiuti non pericolosi depositata, non superi i 20 metri cubi oppure, ove non si oltrepassi detto limite quantitativo, i rifiuti siano asportati con cadenza almeno trimestrale. (Cassazione Penale - Sezione III - Sentenza del 21 aprile 2000 n. 4957 - Pres. La Cava).

 

L'esistenza di un assessore con delega per l'ecologia, l'igiene e i rifiuti urbani non comporta esonero del sindaco da responsabilità per l'attivazione di una discarica non autorizzata di rifiuti solidi urbani. Ferme le specifiche competenze in materia di rifiuti da parte del sindaco ed in particolare del compito dello stesso di programmare, come capo dell'amministrazione comunale, l'attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e del potere di emanare, quale ufficiale di Governo, ordinanze contingibili e urgenti, non comporta alcun esonero del sindaco da responsabilità per l'attivazione di una discarica non autorizzata di rifiuti solidi urbani, nonostante l'esistenza di un assessore con delega per l'ecologia, l'igiene e i rifiuti urbani. Cassazione penale, sez. III, 27 marzo 2000, n. 3878

 

L’ordinanza contingibile e urgente, in materia di smaltimento dei rifiuti - presupposti - il requisito di legittimità di una motivazione adeguata - autorizzazione di una discarica provvisoria - giudice penale: compito di verifica - presupposti e eventuale "culpa in vigilando o in eligendo". I presupposti per cui il sindaco può emanare ai sensi dell'art. 13 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, ordinanza contingibile e urgente, in materia di smaltimento dei rifiuti, sono: a) una necessità eccezionale ed urgente di tutelare la salute pubblica o l'ambiente, non riducibile solo a calamità naturali; b) la limitazione nel tempo, che può essere rispettata anche attraverso l'apposizione di un termine "incertus" quando; c) l'inevitabilità del ricorso a forme di smaltimento straordinario dei rifiuti; inoltre ha come requisito di legittimità formale una motivazione adeguata, che renda conto dei presupposti concreti dell'ordinanza stessa; a fronte di tale ordinanza il giudice penale deve solo verificare se ricorrono i presupposti che legittimano l'esercizio concreto della potestà sindacale, e se sussiste il requisito di legittimità di una motivazione adeguata. (Fattispecie in cui il sindaco era stato ritenuto responsabile del reato previsto e punito dall'art. 26, d.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 e la Corte suprema ha annullato senza rinvio, ritenendo che il giudice di merito non avrebbe dovuto disattendere l'ordinanza sindacale di autorizzazione di una discarica provvisoria, debitamente motivata con riguardo alla necessità di assicurare il servizio di raccolta dei rifiuti, per non aver essa adottato misure precauzionali minime, quali l'impermeabilizzazione del terreno, l'interramento dei rifiuti, la canalizzazione del percolato, le recinzioni, nonché per il modo, disordinato e irrazionale, tipico dell'abbandono, in cui venivano conferiti i rifiuti, senza che fosse accertata almeno una "culpa in vigilando o in eligendo" del medesimo). Cassazione penale, sez. III, 27 marzo 2000, n. 3878

Gestione discarica - responsabilità del sindaco. La gestione dei rifiuti costituisce per i comuni una assoluta priorità, perché tocca in modo grave la salute dei cittadini e la protezione delle risorse naturali, interessi di rango costituzionale; pertanto è da ritenere responsabile del reato di cui all'art. 25 del D.p.r. n. 915/82, il sindaco di un comune che non richieda l'autorizzazione regio-nale per la gestione di una discarica di rifiuti urbani lamentando l'insufficienza delle risorse economiche da destinare all'impianto. Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 2000, n. 2103, ud. 10 gennaio 2000. (F. Rocca, Massimario, in Rivistambiente 01\00)

 

Divieto di miscelazione dei rifiuti. Il divieto di miscelazione di categorie diverse di rifiuti pericolosi  o  di miscelazione  di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi,  contenuto nell'art. 9 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, opera in qualsiasi  fase  della  gestione  dei  rifiuti,  dal  deposito temporaneo  alla  raccolta,  al  trasporto, al  recupero,  allo  smaltimento.  Quando la  miscelazione avviene  in  occasione  del raggruppamento  dei  rifiuti  effettuato,  prima della  raccolta,  nel luogo in cui gli stessi sono  prodotti,  il divieto  attiene  alla fase del deposito temporaneo, ex  art. 6 lett. m) d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22. Pretura Milano, 23 marzo 1999.

 

Rottamazione di auto - lo smaltimento senza la prescritta autorizzazione - la categoria dei rifiuti tossici nocivi è stata sostituita da quella dei rifiuti pericolosi - principio di stretta legalità. E’ venuta meno a seguito dell'abrogazione espressa da parte del d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 (c.d. "decreto Ronchi"), attuazione delle direttive 91/156 sui rifiuti pericolosi e 94/62 sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio del 10 settembre 1982 n. 915, la possibilità di perseguire penalmente lo smaltimento, senza la prescritta autorizzazione, di residui pulverulenti derivanti dalla rottamazione di auto atteso che la categoria dei rifiuti tossici nocivi è stata sostituita da quella dei rifiuti pericolosi e che i veicoli fuori uso non sono compresi nell'elencazione, tassativa ed esaustiva, dei rifiuti pericolosi contenuta nell'all. D del citato d.lg.; il principio di stretta legalità non consente un'interpretazione estensiva delle norme basata sulle esigenze di tutela della salute e dell'ambiente, nè può invocarsi la diretta applicabilità delle direttive comunitarie, che non possono comportare effetti "in malam partem" nei confronti dei singoli. Cassazione penale, sez. III, 26 giugno 1997, n. 9617

L'elencazione dei rifiuti pericolosi - limite del giudice - principio di diretta applicazione degli atti comunitari - l'espresso divieto di analogia "in malam partem". L'elencazione dei rifiuti pericolosi di cui all'all. D) al d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, è suscettibile di integrazione solo ad opera degli Stati membri dell'Unione europea e secondo procedure specificamente previste e non tramite valutazioni etico politiche di giudici nazionali dei singoli Stati, violandosi, diversamente, il principio di legalità e certezza del diritto. Una legge ambientale sopravvenuta può garantire in modo diverso da quella precedente la tutela ambientale. Il decreto legislativo in esame garantisce "in modo diverso" (in modo parzialmente diverso) la tutela ambientale in applicazione di direttive comunitarie impegnate nello sforzo di coordinamento della normativa degli Stati della Comunità (la Comunità europea trova in questo sforzo di coordinamento una sua precisa ragion d'essere), ma il giudice italiano in nessun caso può di sua iniziativa (interpretativa) ampliare l'elenco delle sostanze pericolose. Nei settori di sua competenza, tendenzialmente, l'Unione europea mira a creare norme di diritto uniforme che si sostituiscano alle precedenti norme esistenti in ciascuno Stato membro - senza pretendere però di realizzare l'uniformità in modo assoluto visto -, che la differenza normativa fra gli Stati membri contrasta l'unificazione dei mercati nazionali e cioè la realizzazione di un mercato unico europeo. La Corte di appello ha fatto applicazione del principio di diretta applicazione degli atti comunitari ma il principio di diretta applicazione, come la Corte di giustizia europea ha ripetutamente affermato, incontra precisi limiti dalla Corte di appello non analizzati e che devono essere invece analizzati proprio per evitare che il giudice nazionale si trasformi in legislatore a protezione dell'ambiente. Il principio di diretta applicazione degli atti comunitari da parte del giudice nazionale si riferisce a quattro tipi diversi di atti comunitari: 1) diretta applicazione delle norme del trattato (sentenze della Corte di giustizia europea 5-2-1963, "N.V. Algemene Transport en Expeditie Ondememing Van Gend & Loos contro Amministrazione olandese delle imposte"; 15-7-64 "Costa contro Enel"; 17-12-70 "Internationale Handelsgesellschaft" ed altre successive); 2) diretta applicazione delle decisioni sentenza 6 ottobre 1970, "Grand contro Finamzamt Traunstein"); 3) diretta applicazione dei regolamenti (sentenza 18 febbraio 1970, "Hauptzollamt Hamburg Oberelbe contro ditta Bollman"); 4) diretta applicazione delle direttive. In questa sede vengono in considerazione solo le direttive ed alle direttive l'analisi viene limitata. Più precisamente, il tema di analisi è questo: i limiti dell'applicazione diretta delle direttive comunitarie da parte dei giudici nazionali. Non è lecito all'interprete, ha ribadito più volte la Corte di cassazione, ricavare norme incriminatrici non chiare e sicure per via analogica", tenuto anche presente l'art. 14 delle preleggi; non è lecito "interpretare le norme penali "in malam partem"" (Cass., Sez. III, sent. 25-5-93, Penta). Stante l'espresso divieto di analogia "in malam partem", vigente sia a livello nazionale che comunitario, il giudice penale nazionale non può ampliare il "catalogo europeo dei rifiuti", direttamente recepito dall'all. D del d.lg. n. 22 del 1997, alle ipotesi da esso non contemplate; la violazione di questo fondamentale principio comporterebbe l'invasione del campo di produzione normativa da parte del giudice. Cassazione penale, sez. III, 26 giugno 1997, n. 9617

 

RIFIUTI - Discarica abusiva - Realizzazione e gestione della discarica - Definizione e differenze - Ipotesi di reato distinte - Effetti - Artt. 16, 2° c., e 25, 2° c., D.P.R. n. 915/1982. Il legislatore, quanto alla discarica abusiva, ha previsto due distinte ipotesi di reato: quella di realizzazione e quella di gestione della discarica. La realizzazione consiste nella destinazione e allestimento a discarica di una data area, con la effettuazione, di norma, delle opere a tal fine occorrenti. Tale ipotesi è permanente fino all'ultimazione dell'opera; dopodiché diventa ad effetti permanenti. Mentre, la gestione di discarica senza autorizzazione presuppone che un sito sia stato già apprestato per raccogliervi i rifiuti e consiste nell'attivazione di una organizzazione anche rudimentale, di persone, cose e/o macchine diretta al funzionamento della discarica stessa. Il reato è permanente per tutto il tempo in cui l'organizzazione è presente ed attiva. Ric. Maccarelli. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite penali del 5.10.1994, sentenza n. 13

 

RIFIUTI - Stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi - Realizzazione e gestione di discarica non autorizzata - Natura dei reati. I reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione hanno natura di reati permanenti che possono realizzarsi soltanto in forma commissiva. Pertanto, essi non possono consistere nel mero mantenimento della discarica e dello stoccaggio da altri realizzati, in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza. Ric. Zaccarelli. CORTE DI CASSAZIONE Penale , Sez. Un., 05 ottobre 1994

 

RIFIUTI - Reato di realizzazione di discarica - Reato di gestione di discarica - Reato di stoccaggio non autorizzato di rifiuti tossici e nocivi - Natura dei reati - Effetti. In materia di rifiuti, il reato di gestione di discarica senza autorizzazione presuppone l'approntamento di un'area per raccogliere i rifiuti e consiste nell'attivazione di una organizzazione diretta al funzionamento della discarica. Per tutto il tempo in cui l'organizzazione è presente ed attiva il reato è permanente. Mentre, il reato di stoccaggio non autorizzato di rifiuti tossici consiste nell'accumulare e stipare i rifiuti in un dato luogo: ha natura permanente ma non coinvolge chi su un terreno entrato nella sua disponibilità si ritrovi e vi mantenga i rifiuti accumulati da chi lo abbia preceduto. Infine, il reato di realizzazione di discarica non autorizzata consiste nella destinazione e allestimento a discarica di una data area, con la effettuazione delle opere a tal fine occorrenti; il reato permane fino all'ultimazione dell'opera, e poi diventa ad effetto permanente. Ric. Zaccarelli. CORTE DI CASSAZIONE Penale , Sez. Un., 05 ottobre 1994

 

Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni

 Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it

2011 - 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 - 2000-97

(N.B.: queste pagine continueranno ad essere aggiornate)