AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © AmbienteDiritto.it Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
Giurisprudenza Rifiuti 2003
Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni
2011
-
Gli aggiornamenti successivi
sono reperibili sul nuovo sito della rivista AmbienteDiritto.it (Vedi anche le voci: inquinamento - acqua - aria - suolo - V.I.A....) |
|
Rifiuti - Deposito controllato - Raggruppamento - Presupposti - Abbandono dei rifiuti - Materiale proveniente dallo scavo - Riutilizzo - Condizioni - Fattispecie. L’ipotesi del deposito controllato dei rifiuti presuppone, oltre al concorso delle condizioni indicate espressamente dall’art. 6 del D.Lvo n. 22/97, la circostanza che il loro raggruppamento, prima della raccolta, venga effettuato nel luogo in cui sono prodotti. Nella specie, il materiale proveniente dallo scavo, (pietrame, materiale terroso, frammenti di asfalto e calcestruzzo di cemento), non può ritenersi naturalmente destinato al riutilizzo senza ulteriore trattamento, ai sensi dell’art. 14, secondo comma, del D.L. 8/7/2002 n. 138, convertito in L. 8/8/2002 n. 178. Neppure può essere annoverato tra le terre e le rocce da scavo, che, hai sensi dell’art. 1, commi 17/19, della L. 21/12/2001 n. 443, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall’ambito di applicazione del D. L.vo n. 22/97, in quanto il materiale di cui si tratta non può classificarsi quale prodotto di escavazione o perforazione, trattandosi, invece, di residui di demolizione (cfr. sez. III, 25/02/2003 n. 8936, riv.223742; sez. III, 26/02/2002 n. 7430, riv. 221382). Fattispecie: abbandono su terreni di proprietà aliena di rifiuti speciali non pericolosi, provenienti dai lavori di scavo per l’interramento di cavi elettrici in una strada comunale. Imp. Cerra - (conferma Tribunale di Arezzo). CORTE DI CASSAZIONE Penale sez III, 17/12/2003, Sentenza n. 18076
Rifiuti - Riutilizzo sottoprodotti - Gestione dei rifiuti - Riutilizzo dei sottoprodotti - Attivita' di recupero - All. C, D. L.vo n. 22/1997 - Esclusione. In tema di gestione dei rifiuti, le operazioni di macinazione di sottoprodotti di risulta del processo produttivo, utilizzati parzialmente, unitamente ad altra materia prima, in un ulteriore ciclo produttivo, e per altra parte immessi sul mercato, non configurano attivita' di recupero dei rifiuti, come tale sottoposta alla disciplina del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, ai sensi dell'Allegato C del citato decreto n. 22, attesa la finalita' della normativa nazionale e comunitaria in tema, ovvero l'esigenza di evitare l'accumulo o la dispersione nell'ambiente delle sostanze derivanti dalle attivita' produttive favorendo il riutilizzo sul luogo di produzione. PRES. Raimondi R REL. Piccialli L COD.PAR.392. IMP. P.M. in proc. Martinengo PM. (Diff.) Pianura M. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. 3, DEL 16/12/2003 (CC.29/10/2003) RV. 226894, SENT. 47904
Rifiuti - Autorizzazioni rilasciate sotto la vigenza del d.p.r. 915/82 - Disciplina di transizione al D. L.vo n. 22/97 - Inquadramento della eliminata voce rifiuti tossici e nocivi nella nuova disciplina - Rifiuti pericolosi. In tema di rifiuti, in base al disposto dell’art. 57 d.lv. 22/97, tutte le autorizzazioni rilasciate sotto la vigenza del d.p.r. 915/82 restano valide fino alla loro scadenza, ma non oltre quattro anni dall’entrata in vigore della nuova normativa, salvo l’aggiornamento da apportare a cura delle Regioni. Con tale disposto, la nuova normativa deve trovare attuazione per tutte le vicende inerenti la gestione dei rifiuti successive al 3/3/97, con la sola eccezione delle autorizzazioni già in essere. Con la conseguenza che la realizzazione di nuovi impianti o la modifica di quelli esistenti viene ad essere regolata dal d.lv. 22/97. Peraltro, sempre l’art. 57 stabilisce che tutte le norme regolamentari e tecniche già in essere, continuano a restare in vigore anche con la nuova disciplina, sino all’adozione delle nuove normative. Ai fini dell’applicazione delle vecchie disposizioni, tuttavia, essendo stata eliminata la voce rifiuti tossici e nocivi, ogni riferimento a questi ultimi si deve intendere effettuato ai rifiuti pericolosi. Tali rifiuti, in particolare, a norma dell’art. 7 c. 4, sono quelli precisati negli elenchi di cui agli allegati D, G, H, ed I. Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Modifica dell’impianto sia
nella struttura che nella destinazione - Autorizzazione regionale - Modifica
delle procedure di trattamento dei rifiuti conseguente alla diversa tipologia di
rifiuti trattati - Varianti sostanziali in corso di esercizio - Conformità
all’autorizzazione rilasciata - Necessità. A norma dell’art. 27 Decreto
Legislativo n. 22/97, l’autorizzazione regionale, deve essere richiesta sia per
la realizzazione di ogni nuovo impianto di smaltimento o di recupero di rifiuti,
sia per la realizzazione di varianti sostanziali in corso di esercizio, che
comportano modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi
all’autorizzazione rilasciata. Pertanto, non ogni modifica costituisce nuovo
impianto, ma solo le varianti di carattere sostanziale che rendono l’impianto
stesso non più conforme all’autorizzazione rilasciata. Restando esenti da nuova
autorizzazione solo quelle variazioni del processo tecnologico di trattamento
dei rifiuti che non modifichino le capacità dell’impianto con riferimento alla
quantità e tipologia generale dei rifiuti. Una nuova autorizzazione e, invece,
necessaria ogniqualvolta vengano posti in essere interventi di ristrutturazione
che implichino: l’introduzione di una diversa fase di gestione, o di una diversa
tipologia di rifiuti da trattare, o, infine, di una diversa procedura di
trattamento dei rifiuti medesimi (cfr. C. Stato IV, 6/11/98, 1440). Giudice De
Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza
del 16/12/2003 (vedi:
sentenza per
esteso)
Rifiuti - Gestione rifiuti - Procedure
di trattamento dei rifiuti - Modifiche funzionali e strutturali apportate
all’impianto - Preventive autorizzazioni - Necessità - Idoneità tecnica e
compatibilità ambientale - Assimilabilità a rifiuti urbani - Art. 21 c. 2 lett.
g) D. L.vo n. 22/97. La circostanza che le procedure di trattamento dei
rifiuti possano avere degli elementi in comune, non esclude che le modifiche
funzionali e strutturali apportate all’impianto debbano essere preventivamente
validate ed autorizzate dalle autorità competenti al fine di verificarne
l’idoneità tecnica e la compatibilità ambientale. Tanto più che l’unica
circostanza in cui, in materia di rifiuti, assume rilevanza il concetto di
assimilabilità, è quella relativa ai rifiuti espressamente classificati come
assimilabili a quelli urbani, i quali, a norma dell’art. 21 c. 2 lett. g) d.lv.
22/97, possono essere gestiti come rifiuti urbani. Giudice De Marco.
TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003
(vedi:
sentenza per esteso)
Inquinamento - Acqua - Rifiuti - Art. 635 c.p. (danneggiamento) e D. L.vi nn. 152/99, 22/97 - Rapporto di specialità - Esclusione - Art. 822 cod. civ. - Alterazione dell’integrità di un bene al servizio della collettività quale le acque del mare. In tema d’inquinamento un’attività di immissione o diffusione abusiva di materiali di qualunque natura, solidi o liquidi, ove abbia come conseguenza l’alterazione dell’integrità di un bene quale le acque del mare, sotto il profilo della sostanza, delle risorse biologiche e ittiche, della composizione, ovvero della utilizzabilità o anche solo del valore estetico, appare configurabile il reato in questione. Né questo deve essere escluso per la contemporanea presenza di altro reato - contravvenzionale - che punisce lo specifico fatto dell’inquinamento, dal momento che tra il primo reato e quelli espressamente previsti dal d.lv. 152/99 o dal d.lv. 22/97 non esiste rapporto di specialità atteso che il primo tutela non l’ambiente come valore in sé, quanto il valore patrimoniale dello stesso e l’utilizzabilità da parte della collettività. Sicchè, ove all’attività illecita consegua, appunto, l’evento ulteriore rappresentato dal danno, si determina un concorso delle due tipologie di reato (cfr. Cass. 15/11/79, 5802; Cass. 10/12/79, 5870; Cass. 19/6/81, 9425; Cass. 17/6/82, 11484; Cass. 10/2/84, 5485). Inoltre il mare, così come tutti gli altri beni elencati nell’art. 822 cod. civ., è essenzialmente destinato al servizio della collettività, per cui correttamente in caso di danneggiamento di tale bene appare configurabile il delitto di cui all’art. 635, con l’aggravante del capoverso n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7 c.p. la quale tutela, appunto, la destinazione pubblicistica del bene (cfr. Cass. 15/11/79, 5802; Cass. 10/2/84, 5485). Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Nozione di rifiuto - Residuo di processo industriale - Recuperabilità o riutilizzabilità - Residui del trattamento dei rifiuti - Produzione di energia - Condizioni e limiti - Deposito o stoccaggio - Preventiva autorizzazione - Necessità - D. L.vo. 22/97 - Fattispecie: acque oleose provenienti da residui del trattamento di rifiuti. Qualunque residuo di processo industriale costituisce rifiuto ai sensi del d.lv. 22/97, come emblematicamente precisato dal punto Q8 dell’allegato A al medesimo decreto, a nulla rilevando la eventuale recuperabilità o riutilizzabilità - a meno che questa non avvenga nel medesimo ciclo produttivo - costituendo le operazioni di recupero niente altro che una forma di gestione del rifiuto stesso, come chiaramente indicato all’art. 6 lett. d) e nell’allegato C del decreto, che, tra l’altro, al punto R1 espressamente indica come una delle possibili operazioni di recupero la utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia. Ne consegue che l’eventuale possibilità di impiegare i residui del trattamento dei rifiuti in questione come fonte di energia, non toglie che gli stessi restino dei rifiuti il cui deposito o stoccaggio è soggetto a particolari discipline e deve essere preventivamente autorizzato. Nella specie, è infondata la tesi secondo la quale il trattamento delle acque oleose avrebbe come prodotto finale non dei rifiuti, ma dei semilavorati di origine petrolifera, in quanto si tratterebbe di morchie ed idrocarburi, aventi apprezzabile contenuto energetico e valore di mercato e, pertanto, riutilizzabili mediante incenerimento e recupero del loro contenuto energetico. In questi casi, infatti, non si tratta di residui della lavorazione di un prodotto, ma di residui del trattamento di rifiuti: dunque essi stessi rifiuti per antonomasia. - Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento - rifiuti - nozione di rifiuto - Impianto di smaltimento - modifiche - necessità di autorizzazione - nuove fasi di smaltimento - necessità di autorizzazione - Scarico industriale - modifiche alla tipologia dei rifiuti trattati - necessità di autorizzazione - Scarico industriale - scarico occasionale - depenalizzazione - nozione di scarico occasionale - Prelievo di campioni di reflui - necessità di avviso - esclusione - atto irripetibile - Inquinamento - danneggiamento - concorso di reati - Emissioni in atmosfera - autorizzazione - necessità per ogni singola fonte di emissione. Necessita l’autorizzazione regionale di cui all’art. 27 d.lv. 22/97 per ogni intervento di modifica di un impianto di gestione di rifiuti, per tale dovendosi intendere sia le modifiche alla struttura, sia quelle al processo tecnologico quando incidano sulla capacità dell’impianto con riferimento alla quantità o alla tipologia generale dei rifiuti. Così è necessaria l’autorizzazione a norma dell’art. 28 per l’introduzione di qualunque nuova fase di smaltimento, quale è, per esempio, il deposito temporaneo prima della raccolta. È necessaria una nuova autorizzazione a norma dell’art. 46 d.lv. 152/99 in caso di modifica dell’impianto, della natura dei rifiuti trattati o delle procedure di trattamento. La modifica dell’art. 59 d.lv. 152/99 da parte dell’art. 23 c. 1 lett. e) d.lv. 258/2000 ha determinato la depenalizzazione del superamento dei limiti negli scarichi occasionali. Per tali, tuttavia, devono ritenersi solo dagli sversamenti episodici, e non i superamenti occasionali di scarichi stabili. In caso di scarichi l’avviso all’interessato è previsto esclusivamente con riferimento alla realizzazione delle analisi e non all’esecuzione dei prelievi i quali, comunque, sono assimilabili alle attività di sequestro e, in generale, alle attività irripetibili. Né incide sulla validità del prelievo la mancata rispondenza di questo alle normative tecniche, circostanza che può rilevare solo ai fini della valutazione del risultato delle analisi. Il reato di danneggiamento può concorrere con quelli in materia di inquinamento ambientale, vendo i reati diverse oggettività giuridiche. In caso di impianti che possono dare luogo ad emissioni in atmosfera l’autorizzazione è necessaria con riferimento ad ogni singola fonte di emissione all’interno dell’impianto. - Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Gestione dei rifiuti - Responsabilità titolare di azienda - Fondamento - Individuazione - Doveri di diligenza - Fattispecie: trasporto e smaltimento di rifiuti in assenza delle prescritte autorizzazioni - D. L.vo n. 22/1997. In tema di rifiuti, la responsabilità per la attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell'azienda. (In applicazione di tali principi la Corte ha ritenuto la responsabilità dei titolari di una impresa edile produttrice di rifiuti per il trasporto e lo smaltimento degli stessi, con automezzo di proprietà della società, in assenza delle prescritte autorizzazioni). Pres. ed est. Rizzo - P.M. lacoviello (Con f.) - Ric. Bellesini ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 11 dicembre 2003, (Ud. 5 novembre 2003) (Rv. 226868), Sentenza n. 47432 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Gestione di rifiuti -
Operazioni di recupero - Impianti di incenerimento e di coincenerimento dei
rifiuti pericolosi - Amministrazioni competenti - Autorizzazione - Smaltimento
di rifiuti - Artt. 28 d.lg. n. 22/1997 e 8 c. 9, d.m. n. 124/2000. In tema
di gestione di rifiuti il decreto Legislativo n. 22 del 1997 ha optato per una
diversa collocazione delle operazioni di smaltimento (previste nell’allegato B)
e di quelle di recupero (previste nell’allegato C). Per i rifiuti pericolosi si
è previsto che anch’essi debbano essere raccolti ed avviati alle operazioni di
recupero o di smaltimento. Il citato allegato C ha inteso elencare le operazioni
di recupero come avvengono nella pratica. In particolare, il punto R 1 include
tra le operazioni di recupero la “utilizzazione principale come combustibile o
come altro mezzo per produrre energia”. L’art. 28 del d.lg. 22/97
(“Autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero”) ha
stabilito che l’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei
rifiuti (qui senza distinzioni) è autorizzato dalla regione competente per
territorio entro novanta giorni dalla presentazione della relativa istanza da
parte dell’interessato. L’autorizzazione individua le condizioni e le
prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi indicati
all’articolo 2 del decreto. Con d.m. 5 febbraio 1998 sono state dettate norme
per l’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure
semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del d.lg. 22/97. Con il
d.m. 25 febbraio 2000, n. 124 è stato, invece, approvato il regolamento recante
i valori limite di emissione e le norme tecniche riguardanti le caratteristiche
e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di
coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione della direttiva 94/67/CE
del Consiglio del 16 dicembre 1994, e ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del
D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, e dell’articolo 18, comma 2, lettera a), del
d.lg. 22/97. In questo ambito per rifiuti pericolosi sono stati intesi i rifiuti
solidi o liquidi individuati nell’allegato D al d.lg. 22/97, e successive
modifiche e integrazioni, mentre nell’ambito degli impianti di incenerimento è
stato incluso qualsiasi apparato tecnico utilizzato per l’incenerimento di
rifiuti pericolosi, compresi gli impianti che effettuano coincenerimento, cioè
gli impianti non destinati principalmente all’incenerimento di rifiuti
pericolosi che bruciano tali rifiuti come combustibile normale o addizionale per
qualsiasi procedimento industriale, nonché tutte le installazioni e il luogo
dove queste sono ubicate. Pres. Quaranta - Est. Mastrandrea - Buzzi Unicem
s.p.a. (avv.ti Siniscalco, Montanaro e Romanelli) c. Provincia di Pordenone
(avv. Manzi) ed altri (riforma TAR Friuli-Venezia Giulia 25 marzo 2002, n. 138).
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 1° dicembre 2003 (17 ottobre 2003), sentenza n.
7829
Rifiuti - Nuovo concetto di gestione dei rifiuti - Impianti di smaltimento -
Cementificio utilizzato per attività di recupero, mediante coincenerimento di
rifiuti a scopo energetico - Reinterpretazione della l.r. Friuli-Venezia Giulia
n. 30/87 - Rifiuti provenienti da altri Comuni - Obbligo di indennizzo in favore
del Comune sede dell’impianto - Sussiste - Fondamento. In tema di rifiuti,
l’originaria nozione generale e omnicomprensiva di “impianti di smaltimento” di
cui alla l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 30/87 e succ. mod., pur espressamente
fatta salva dalla l.r. 13/98, che ha adeguato l’ordinamento settoriale della
Regione autonoma in questione ai principi informatori del decreto Ronchi,
necessita, in effetti, di un’opera di reinterpretazione alla luce del nuovo
concetto di gestione dei rifiuti introdotto dallo stesso decreto, nel cui ambito
il recupero, nelle sue varie modalità e con le precauzioni del caso (come nella
fattispecie, trattandosi di rifiuti pericolosi), gode di autonoma dignità e
considerazione, salvi gli aspetti procedurali. Ciò posto, appare indubbio che
una prescrizione come quella dell’obbligo di indennizzo in favore del Comune
sede dell’impianto, attesa anche la sua ratio, riguardi solo gli impianti di
smaltimento stricto sensu, trovando essa, tra l’altro, eminente (anche se di per
sé non esclusiva) applicazione quando in un Comune si “smaltiscano” (nel senso
tecnico del termine, non comprendente necessariamente il recupero) rifiuti
provenienti da altri Comuni, allo scopo di alleviare un minimo il disagio subito
dalla collettività ricevente. Senza tralasciare che, l’impianto in questione
nasce ed opera come cementificio, svolgente solo collateralmente attività di
recupero, mediante coincenerimento di rifiuti a scopo energetico. Pres. Quaranta
- Est. Mastrandrea - Buzzi Unicem s.p.a. (avv.ti Siniscalco, Montanaro e
Romanelli) c. Provincia di Pordenone (avv. Manzi) ed altri (riforma TAR
Friuli-Venezia Giulia 25 marzo 2002, n. 138). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 1°
dicembre 2003 (17 ottobre 2003), sentenza n. 7829
Rifiuti - Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani - Adeguatezza della motivazione dell'avviso di accertamento - Valutazione della congruità - Motivazione del singolo atto impositivo - Disciplina applicabile - Principi di ordine generale. In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la verifica in ordine all'esistenza e all'adeguatezza della motivazione dell'avviso di accertamento va condotta secondo la disciplina specificamente dettata, in ordine al contenuto dell'atto in esame, dall'art. 71 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, atteso che, in materia tributaria, la valutazione della congruità della motivazione del singolo atto impositivo va effettuata in base alle regole dettate per il tributo cui l'atto stesso afferisce, solo in assenza delle quali è consentito fare riferimento ai principi di ordine generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, nell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e poi recepiti, per la materia tributaria, dall'art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212. - Pres. RIGGIO - Est. EBNER - Comune di Novara (avv. BERTAGGIA) c. Botturi - P.M. CAFIERO CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. V, 17 novembre 2003 (ud. 11 giugno 2003), Sentenza n. 17356
Rifiuti - Tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani - Avvisi di accertamento - Contenuto - Motivazione - Necessità - Disciplina applicabile. In materia di tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, l'art. 71 comma secondo D.lgs.vo 547-1993, per quanto in questa sede interessa, stabilisce che gli avvisi di accertamento devono contenere, oltre agli elementi identificativi del contribuente, quelli "dei locali e delle aree e loro destinazione, della tariffa applicata e della relativa delibera, nonché la motivazione dell'eventuale diniego della riduzione o agevolazione richiesta, l'indicazione della maggior somma dovuta distintamente per tributo, addizionali ed accessori, soprattassa ed altre penalità". Pertanto, la verifica della legittimità della motivazione dell'avviso di accertamento ai fini della tassa smaltimento rifiuti solidi urbani deve essere svolta alla luce delle regole dettate nella norma speciale, di cui all'art. 71, D.lg. 507 del 1993, e non di quelle contenute nella norma generale, di cui all'articolo 3, legge n. 241 del 1990. - Pres. RIGGIO - Est. EBNER - Comune di Novara (avv. BERTAGGIA) c. Botturi - P.M. CAFIERO CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. V, 17 novembre 2003 (ud. 11 giugno 2003), Sentenza n. 17356
Rifiuti - Attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti - Sequestro dell'intera azienda - Legittimità - Sequestro preventivo dell’azienda - Presupposti - Art. 53 D.Lgs. n. 22/1997. In tema di gestione dei rifiuti, quando vi siano fondati indizi che anche soltanto taluno dei beni aziendali sia, per la sua collocazione strumentale, utilizzato per la consumazione del reato, è legittimo il sequestro dell'intera azienda, né osta a ciò il fatto che l'azienda svolga anche normali attività imprenditoriali. Fattispecie: procedimento per violazione dell'art. 53 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 - attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti - e relativo sequestro preventivo dell’azienda. - Rosafio e altri CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 12 novembre 2003, Sentenza n. 47918
RIFIUTI - CAVE E MINIERE - Sfruttamento di una miniera Detentore di detriti o di sabbia di scarto - Operazioni di arricchimento di minerale Rifiuti - Qualificazione. Il detentore di detriti o di sabbia di scarto da operazioni di arricchimento di minerale provenienti dallo sfruttamento di una miniera si disfa o ha intenzione o l'obbligo di disfarsi di tali sostanze, che devono essere qualificate, di conseguenza, come rifiuti ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, salvo che il detentore li utilizzi legalmente per il necessario riempimento delle gallerie della detta miniera e fornisca garanzie sufficienti sull'identificazione e sull'utilizzazione effettiva delle sostanze destinate a tale effetto. (Avesta Polarit Chrome Oy). CORTE GIUSTIZIA CE, sez. VI, 11 settembre 2003, causa C-114/01
RIFIUTI - Sfruttamento di una miniera Protezione dell'ambiente. Nei limiti in cui non costituisce un provvedimento di applicazione della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, e in particolare del suo art. 11, una legislazione nazionale deve essere considerata come un'<altra normativa>, ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. b), di questa direttiva, che contempla una categoria di rifiuti menzionata nella detta disposizione, se essa riguarda la gestione dei detti rifiuti in quanto tali, ai sensi dell'art. 1, lett. d), della stessa direttiva, e se essa porta ad un livello di protezione dell'ambiente almeno equivalente a quello previsto dalla detta direttiva, e ciò indipendentemente dalla data della sua entrata in vigore. (Avesta Polarit Chrome Oy). CORTE GIUSTIZIA CE, sez. VI, 11 settembre 2003, causa C-114/01
Rifiuti - Raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani - Tassa - Provvedimenti relativi alla determinazione e adeguamento delle aliquote del tributo - Competenza del consiglio comunale - Tariffe TARSU - Delibera di variazione sotto vigenza della l. n. 142/1990 - Giunta comunale - Incompetenza funzionale - Illegittimità. In tema di tributi per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi urbani, deve ritenersi illegittima la delibera della giunta comunale di variazione delle tariffe TARSU in quanto affetta da incompetenza funzionale e va disapplicata dal giudice tributario ai sensi dell’art. 7, comma quinto, D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 con consequenziale travolgimento dell’atto applicativo, emanato sotto la vigenza della legge n. 142 del 1990. Nel vigore della legge 8 giugno 1990, n. 142 art. 32 lett. g) demandava alla competenza in via esclusiva dei consigli comunali “l’istituzione e l’ordinamento dei tributi” ad adottare i provvedimenti relativi alla determinazione e all’adeguamento delle aliquote del tributo. Ric. Passero - c. Comune di Avellino. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. V, 11 novembre 2003, Sentenza n. 16870
Rifiuti - Smaltimento dei rifiuti classificati come tossici e nocivi - Titolare d’azienda - Cessione d’azienda - Responsabilità - Obbligazione vicaria e solidale - Smaltimento dei rifiuti prodotti anteriormente all’acquisto - Obbligo di adempimento dell’acquirente. In tema di gestione dei rifiuti, nel caso di cessione dell’azienda, l’acquirente della medesima è tenuto ad adempiere l’obbligo di smaltire i rifiuti prodotti anteriormente all’acquisto della medesima, che si trovino al suo interno alla data dell’acquisto, tuttavia, trattandosi di un’obbligazione vicaria e solidale, egli può agire nei confronti dell’alienante, allo scopo di ottenerne la condanna al pagamento dei costi sopportati per lo smaltimento dei rifiuti prodotti anteriormente all’acquisto dell’azienda. L’obbligo dello smaltimento cui è tenuto il titolare di una determinata azienda configura una obbligazione propter rem, in quanto, come risulta dagli artt. 3, comma terzo, e 13 di detto D.P.R., l’obbligo non grava sulla cosa in sé - il complesso aziendale - bensì sul soggetto individuato in relazione all’esercizio di una determinata attività dalla quale deriva la produzione dei rifiuti. Nella specie i rifiuti erano classificati come tossici e nocivi ex D.P.R. n. 915 del 1982. - Ric. Ferriere CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. I, 11 novembre 2003, Sentenza n. 16913
Rifiuti - Smaltimento di rifiuti - Abbandono - Deposito incontrollato di rifiuti - Commesso da titolari di imprese o di enti - Reato di cui all'art. 51, comma 2, D. L.gs. n. 22 del 1997 - Configurabilità. In tema di gestione dei rifiuti, l'abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti, ove effettuato dai titolari di imprese o da responsabili di enti configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 51, comma 2, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, stante la previsione di salvezza delle disposizioni di cui al citato art. 51 contenuta nell'art. 50 dello stesso decreto, che in via generale punisce con sanzione amministrativa l'abbandono di rifiuti. PRES. Papadia U REL. Lombardi AM COD.PAR.392 IMP. P.M. in proc. Sfrappini PM. (Diff.) Hinna Danesi F. CORTE DI CASSAZIONE Penale, SEZ. 3, 06/11/2003 (UD.19/09/2003) RV. 226585, Sentenza n. 42377 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Deposito incontrollato
- Presupposti - Configurabilità del reato - Abbandono dei rifiuti su proprietà
aliene - art. 6 del D. L.von. 22/1997 - L. n. 178/2002 - Fattispecie: abbandono
di materiale composto da pietrame, materiale terroso, frammenti di asfalto e
calcestruzzo di cemento. L’ipotesi del deposito incontrollato dei rifiuti
presuppone, oltre al concorso delle condizioni indicate espressamente dall’art.
6 del D. L.vo n. 22/1997, la circostanza che il loro raggruppamento, prima della
raccolta, venga effettuato nel luogo in cui sono prodotti. Pertanto, come nel
caso in specie, l’abbandono dei rifiuti su proprietà aliene non può configurarsi
come deposito controllato. Inoltre, il materiale risultante dall’accertamento
(pietrame, materiale terroso, frammenti di asfalto e calcestruzzo di cemento)
non può ritenersi naturalmente destinato al riutilizzo senza ulteriore
trattamento, ai sensi dell’art. 14, 2° c. del D.L. n. 138 convertito in L. n.
178/2002. Pres PAPADIA - Est. LOMBARDI - P.M. HINNA DANESI (conf.) - Imp. CERRA.
CORTE DI CASSAZIONE Penale, SEZ. III, 6 novembre 2003 (ud. 19/09/2003)
sentenza n. 42376 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Terre e rocce da scavo - Classificazione - Residui di demolizione -
Esclusione. Il materiale (nella specie formato da pietrame, frammenti di
asfalto, materiale terroso e calcestruzzo di cemento) non può essere annoverato
tra le terre e rocce da scavo, che ai sensi dell’art. 1 commi 17/19, della L. n.
443/2001, non costituiscono rifiuti e sono, perciò esclusi dall’ambito di
applicazione del D. L.vo n. 22/97, in quanto il materiale di cui si tratta non
può classificarsi quale prodotto di escavazione o perforazione, trattandosi,
invece di residui di demolizione. (v. Cass. Sez III, 25/05/2003 n.8936; Cass.
Sez. III 26/02/2002 n. 7430). (Tuttavia in merito alla recente definizione di
terre e rocce da scavo si veda, l’art. 23 della legge
comunitaria n. 306/2003, e la decisione della Cassazione, Sez. III penale, 12
febbraio 2004, sentenza n. 5792 - Imp. Caoduro ed altro). Pres PAPADIA - Est.
LOMBARDI - P.M. HINNA DANESI (conf.) - Imp. CERRA. CORTE DI CASSAZIONE
Penale, SEZ. III, 6 novembre 2003 (ud. 19/09/2003) sentenza n. 42376 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - l’approvazione della
variante al progetto definitivo di un impianto per lo smaltimento di rifiuti
solidi urbani, costituito da una discarica di prima categoria - necessità di
sottoporre le varianti ad una nuova valutazione di impatto ambientale. Per
l’approvazione della variante al progetto definitivo di un impianto per lo
smaltimento di rifiuti solidi urbani, costituito da una discarica di prima
categoria, è sempre necessaria una nuova valutazione di impatto ambientale
diretta a ponderare l’effettiva incidenza dell’opera sull’assetto complessivo
del territorio, quando vi sia un carattere profondamente innovativo della
variante al progetto originario. (Nella specie, la natura del progetto approvato
dalla Provincia era tale da far ritenere che ci si trovi di fronte non ad una
variante del primitivo progetto, bensì ad un opus sostanzialmente nuovo e,
quindi, alla necessità che allo stesso siano applicate le norme introdotte dalla
legge regionale n. 40/1998. Questa conclusione appare perfettamente compatibile
con la vigente normativa in materia di VIA, che pone l’accento sulla
considerazione dell’ “insieme degli effetti, diretti ed indiretti, a breve,
medio e lungo termine, permanenti e temporanei, singoli e cumulativi, positivi e
negativi, che la realizzazione di opere e interventi comporta sull’ambiente
inteso come insieme complesso di sistemi naturali e antropici”). Consiglio di
Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6759 (vedi:
sentenza
per esteso)
Rifiuti - varianti dell’originario progetto di discarica -
nuova VIA - necessità - rivalutazione della compatibilità ambientale delle
modificazioni - formale rinnovazione dell’intero procedimento istruttorio -
insufficienza - rifiuto pretrattato - nuova disciplina introdotta dal decreto
legislativo n. 22/1997. E’ necessario sottoporre le varianti del progetto
originario di discarica ad una nuova valutazione di impatto ambientale in
riferimento alle possibili, nuove o diverse, ripercussioni negative
sull’ambiente. Non appare sufficiente sottoporre le varianti dell’originario
progetto di discarica alla semplice rivalutazione della compatibilità ambientale
delle modificazioni apportate all’originario progetto e neanche risulta
soddisfacente la formale rinnovazione dell’intero procedimento istruttorio
riguardante il progetto. Né pare decisivo il rilievo dell’asserito carattere
“migliorativo” della variante, trattandosi di un profilo valutabile solo in sede
di nuova valutazione dell’impatto ambientale, in concorso con tutti i diversi
elementi dell’intervento progettato. Infine, il passaggio dal conferimento del
rifiuto tale e quale al rifiuto pretrattato, imposto dalla nuova disciplina
introdotta dal decreto legislativo n. 22/1997, rende necessario un ulteriore
apprezzamento delle conseguenze ambientali dell’attività esercitata.
Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6759 (vedi:
sentenza
per esteso)
L’obbligo di effettuare una nuova VIA sulle varianti
dell’originario progetto di discarica - progetto ridefinito nei suoi caratteri
essenziali - carattere migliorativo delle varianti proposte - ininfluenza -
effettiva potenzialità ad incidere sull’ambiente. Sussiste l’obbligo di
effettuare una nuova VIA sulle varianti dell’originario progetto di discarica,
quando in concreto, indipendentemente dal possibile carattere migliorativo delle
varianti proposte, non pare seriamente dubitabile che l’opera profondamente
ridefinita nei suoi caratteri essenziali, presenti una effettiva potenzialità ad
incidere sull’ambiente. (Nella fattispecie erano previste l’inserimento di una
strada comunale e il trattamento dei rifiuti in altro luogo, prima del loro
smaltimento in discarica). In questi casi si rende necessaria una nuova
valutazione di impatto ambientale, diretta a verificare concretamente i riflessi
dell’aggiornato progetto sull’assetto complessivo del territorio comunale
interessato. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6759
(vedi:
sentenza per esteso)
P.A. varianti al progetto di discarica - iter - mancata
riallegazione dei richiesti documenti - principio di completezza istruttoria e
principio di conservazione degli atti giuridici - le pretese partecipative del
comune - conferenza di servizi - mancata allegazione del “progetto preliminare”
- localizzazione del sito. La mancata riallegazione dei richiesti documenti
non sembra idonea ad incidere sulla correttezza della procedura svolta, non
determinando alcuna apprezzabile vulnerazione del principio di completezza
istruttoria e non ledendo in alcun modo le pretese partecipative del comune. In
concreto, poi, va osservato che nel momento in cui il progetto è stato
riesaminato dalla conferenza di servizi, tutte le amministrazioni interessate
erano in possesso degli elaborati progettuali riferite all’opera in questione,
da tempo già ufficialmente trasmessi. Per le stesse ragioni, la mancata
allegazione del “progetto preliminare” non assume alcun apprezzabile rilievo,
trattandosi di aspetti riferiti alla localizzazione del sito, che non possono
più formare oggetto di contestazione (Fattispecie: iter per l’approvazione della
variante al progetto definitivo di un impianto per lo smaltimento di rifiuti
solidi urbani, costituito da una discarica di prima categoria e necessità di
nuova V.I.A.). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6759
(vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Trucioli di plastica - Riavvio a nuovo ciclo di lavorazione - Assenza di pregiudizio ambientale - Assenza di operazioni di trasformazione preliminare - Esclusione dal novero dei rifiuti - Fondamento - Macinazione dei trucioli - Operazione di recupero di rifiuti - Esclusione. La macinazione dei trucioli di plastica (scarti della lavorazione nella produzione di tubazioni) non può ritenersi operazione di recupero di rifiuti, come tale soggetta alle disposizioni di cui all’art. 33 del D. lgs 22/9, avendo ad oggetto sostanze che a termini dell’originaria definizione di cui all’art. 6 lett. a) (conforme alla Direttiva comunitaria 91/156) e senza necessità di ricorrere ai criteri di interpretazione autentica dettati dall’art. 14 della L. n. 178/2002, possono escludersi dal novero dei “rifiuti”, stante il riavvio a nuovo ciclo di lavorazione e l’assenza di pregiudizio ambientale e di operazioni di trasformazione preliminare (in tal senso Corte Europea di Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit Oy)- Pres. RAIMONDI - P.M. PASSACANTANDO - Imp. Martinengo. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, - 29 ottobre 2003, (16 dicembre 2003), sentenza n. 47904 (vedi: sentenza per eteso)
Rifiuti - Deposito incontrollato di rifiuti di demolizione - Responsabilità per culpa in vigilando - Smaltimento dei rifiuti - Legale rappresentante di società - Sussiste - Causa di esonero della responsabilità - Dimostrazione - Necessità - D. L.vo. n.22/1997 - C.P. art. 42. Il legale rappresentante di una società di capitale è responsabile del reato di cui all'art. 51, comma 2, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, per avere effettuato il deposito incontrollato di rifiuti di demolizione, atteso che questi risponde, almeno per culpa in vigilando, delle operazioni di gestione dei rifiuti compiute dai dipendenti, salva la dimostrazione di una causa di esonero della responsabilita'. PRES. Savignano G - REL. Onorato P - COD.PAR.392 - IMP. C. PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 22/10/2003 (UD.26/06/2003) RV. 226577, Sentenza n. 39949 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica e edilizia - Polizia Municipale - Vigili urbani addetti al controllo in materia edilizia - Qualifica di P.G. - Sequestro preventivo - Sussistenza - Art. 321 cod. proc. pen. - L. n.65/1986 - L. n.47/1985 - Art. 44, D.P.R. n.380/2001. E' legittimo il sequestro preventivo, ex art. 321 cod. proc. pen., del manufatto abusivo eseguito dai vigili urbani addetti al controllo del settore edilizio, atteso che questi rivestono la qualità di agenti di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 5 della legge 7 marzo 1986 n. 6. PRES. Raimondi R REL. Lombardi AM COD.PAR.421 - IMP. M. PM. (Conf.) Persiani M. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 21/10/2003 (CC.18/09/2003) RV. 226579, Sentenza n. 39713
Urbanistica e edilizia - Concessione edilizia inesistente - Per attività criminosa del soggetto pubblico o del concedente - Prova della collusione - Necessita' - Esclusione - Condizioni - Concessione illegittima - L. del 20/3/1865 n. 2248 All. E - Art. 20, L. n. 47/1985 - Art. 44, n.380/2001. In materia edilizia deve ritenersi inesistente la concessione edilizia non riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, in quanto frutto dell'attività criminosa del soggetto pubblico che la rilascia o del soggetto privato che la ottiene, e per la sua disapplicazione non è necessaria la prova della collusione tra amministratore e soggetti interessati o l'accertamento dell'avvenuto inizio dell'azione penale a carico degli amministratori, sempre che risulti evidente un contrasto con norme imperative talmente grave da determinare non la mera illegittimità dell'atto, ma la illiceità del medesimo e la sua nullità. PRES. Savignano G REL. Onorato P COD.PAR.368 IMP. S. ed altri PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 14/10/2003 (CC.11/07/2003) RV. 226576, Sentenza n. 38735
Rifiuti - Gestione dei rifiuti - Acque di sentina - Smaltimento dei rifiuti - Interpretazione autentica - L. n. 178/2002 - Natura di rifiuto - Sussistenza - D. L.gs n.. 22/97 - D. L. n. 162/2002 . In materia di gestione dei rifiuti, anche dopo la entrata in vigore del d.l 12 giugno 2002 n. 162, convertito in legge 8 agosto 2002 n. 178, di interpretazione autentica della nozione di rifiuto, le acque di sentina che vengono raccolte e ritirate all'esito delle operazioni di pulizia delle navi costituiscono rifiuto, determinandosi attivita' di recupero di cui all'allegato C del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. PRES. Savignano G REL. Vitalone C COD.PAR.392 PM. (Conf.) Fraticelli M. - Ric. D. F.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 09/10/2003 (UD.27/06/2003) RV. 226574, Sentenza n. 38567(vedi: sentenza per esteso)
Interpretazione autentica della
nozione di rifiuto - elementi e condizioni. L'elemento di novità, aggiunto
dalla norma 178/2002 articolo 14, in merito all’interpretazione autentica della
nozione di rifiuto non è costituito dalla restrizione del concetto di rifiuto,
ma dalla eliminazione degli elementi di incertezza derivanti da un eccesso di
dilatazione della nozione medesima. La norma mira a favorire il riutilizzo, nel
senso di escludere il concetto di rifiuto, allorché il soggetto economico
interessato abbia deciso di non disfarsi di beni, sostanze e materiali di
produzione e di consumo aventi ancora una valenza economica. La norma precisa le
due condizioni per escludere la nozione di rifiuto: a) se beni, sostanze e
materiali possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel
medesimo o in analogo o diurno ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun
intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b)
se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati
nel medesimo o in analogo o diurno ciclo produttivo o di consumo, dopo aver
subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione
di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n.
22". Corte di Cassazione penale Sez. III, 02 ottobre 2003, Sentenza n. 37508
(vedi:
sentenza per esteso)
Nozione giuridica di rifiuto - criteri individuati dal Giudice
Comunitario - esclusione di una sostanza, un bene od un materiale - operazione
di recupero, contemplate dall'allegato C al Dlgs n. 22/97 - mero "trattamento
preventivo" - fattispecie: detriti provenienti da una cava di granito. Per
escludere una sostanza, un bene od un materiale dalla nozione giuridica di
rifiuto, occorre che il suo riutilizzo sia, non solo possibile, ma, soprattutto,
certo e che esso avvenga senza che si renda necessaria alcuna operazione di
recupero, tra quelle contemplate dall'allegato C al Dlgs n. 22/97, anche se ha
subito un mero "trattamento preventivo". La norma nazionale di interpretazione
autentica non appare in contrasto con i principi comunitari, così come ribaditi
in una recente sentenza della Corte di Giustizia in data 18 aprile 2002. La
Corte di Giustizia era chiamata a decidere se i detriti provenienti da una cava
di granito, suscettibili di essere riutilizzati come ghiaia o materiale di
riporto per sottofondi stradali od altro, dovessero essere considerati residui
derivanti dall'attività (principale ) di gestione della cava (e, quindi,
rifiuti) ovvero, quali materie prime riutilizzabili. La Corte ha precisato che
"è rifiuto tutto ciò che viene prodotto accidentalmente nel corso della
lavorazione di una materiale o di un oggetto e che non è il risultato cui il
processo di fabbricazione mira direttamente ". Poiché, tuttavia, tale
circostanza, di per sé, non esclude che l'impresa che ha prodotto il bene o la
sostanza di cui trattasi non "intenda disfarsene", la Corte ha ritenuto che
l'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, (obbligo
derivante dalla finalità, imposte dalla medesima direttiva 75/442/Cee, di
tutelare i beni primari della salute e dell'ambiente), trova un limite nelle
"situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia
prima non sia solo eventuale, ma certo senza trasformazione preliminare e nel
corso del processo di produzione, Appare, quindi, evidente che, oltre al
criterio derivante dalla natura o meno del residuo di produzione di una
sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale sostanza, senza
operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un secondo criterio ai
fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442".
Accertato che l'integrale riutilizzo dei detriti provenienti dalla predetta cava
non era previsto come certo, né tanto meno come prevedibile, la Corte di
Giustizia, ha ritenuto che essi dovessero essere qualificati come rifiuti. I
criteri cosi individuati dal Giudice Comunitario possono, pertanto,
sintetizzarsi come segue: a) la circostanza che un materiale possieda
determinate caratteristiche merceologiche che lo rendano commerciabile, non ne
esclude, comunque, la natura di residui di produzione (id. est, rifiuti); b)
perché un materiale possa essere considerato, a tutti gli effetti, come materia
prima secondaria, occorre che il suo riutilizzo non sia solo eventuale ma certo
senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione e che,
inoltre, sia integrale. Corte di Cassazione penale Sez. III, 02/10/2003,
Sentenza n. 37508 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti da demolizione degli edifici e i cosiddetti inerti - le
"terre e rocce da scavo", anche di gallerie - materiali disomogenei
significativi - la prova di reale pericolo per l'ambiente - il riutilizzo di
materiali derivanti da attività di escavazione, perforazione e costruzione.
Esiste, certamente, una differenza tra i materiali di demolizione degli edifici,
e i cosiddetti inerti. Tale differenza non comporta una ontologica diversità,
posto che il riutilizzo di rocce e terre di scavo può avvenire - a certe
condizioni: "trattamento preventivo"- anche se esista una “minima”
contaminazione. Il legislatore nazionale è già intervenuto con la legge 443/2001
escludendo le "terre e rocce da scavo", anche di gallerie, dall'ambito dei
rifiuti e dalla relativa normativa (Dlgs 22/97), perfino nell'ipotesi che siano
state contaminate durante il ciclo produttivo (purché non oltre determinate
concentrazioni). Si consente in tal modo il riutilizzo di materiali derivanti da
attività di escavazione, perforazione e costruzione. Nel caso concreto, i
detriti di demolizione non contengono materiali disomogenei significativi sicché
alla luce dell'articolo 14 legge 178/2002 e dell'indirizzo comunitario
sopracitato, si può pervenire allo stesso risultato di cui alla legge 443/2001,
escludendo la natura di rifiuto, secondo un criterio non astratto di
valutazione. Manca la prova di un reale pericolo per l'ambiente ed il riutilizzo
è avvenuto secondo i principi enunciati. (Nella specie i detriti erano
conseguenza di un processo di produzione (comprendente la demolizione di un muro
ed il reimpiego integrale sul posto), senza trasformazione preliminare, con
riutilizzo certo in attività compatibile (materiale di riporto per sottofondo di
un piazzale antistante). Il materiale presente nel muro demolito (compresi
alcuni blocchi di cemento misto a ferro) non presentava carattere di
disomogeneità, né era mescolato a sostanze diverse (tipo eternit, gomme di
veicoli e comunque sostanze estranee a quelle già presenti nell'opera demolita),
sicché non si poneva in concreto un problema di preventivo trattamento per non
compatibilità ambientale. Il materiale non è stato trasferito da un soggetto
(produttore) ad un altro (utilizzatore), perché è mancata la volontà di disfarsi
di esso). Corte di Cassazione penale Sez. III, 02 ottobre 2003, Sentenza n.
37508 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Gestione dei rifiuti - Materiali da demolizione di manufatti reimpiegati nell'ambito dello stesso cantiere - Natura di rifiuto - Esclusione limiti e condizioni - Contrasto di giurisprudenza - Sanità pubblica - L. n. 443/2001 - Artt. 6 e 8 L. n. 22/1997. I materiali inerti derivanti dalla demolizione di un manufatto e reimpiegati nell'ambito dello stesso cantiere non assumono la natura di rifiuto, stante la interpretazione autentica della nozione di "rifiuto" contenuta nel decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178, atteso che sono conseguenza di un processo di produzione, comprendente la demolizione del manufatto ed il reimpiego integrale sul posto, e l'assenza di prova di un reale pericolo per l'ambiente. Pres. Toriello F - Est. Postiglione A - Imp. Papa - PM. (Diff.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, del 2 ottobre 2003, (UD. 25/06/2003) Sentenza n. 37508 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Demolizione di un manufatto - Materiali inerti - Reimpiego nello stesso luogo di produzione - Nozione di rifiuto - Esclusione - Condizioni - L. n. 178/2002. Non sono da considerarsi rifiuti, i materiali inerti prodotti dalla demolizione di un manufatto, reimpiegati totalmente nello stesso luogo di produzione, stante l’interpretazione autentica della nozione di rifiuto contenuta nell’art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178. La nuova norma esclude infatti il concetto di rifiuto, allorchè il soggetto economico interessato abbia deciso di non disfarsi di beni, sostanze e materiali di produzione e di consumo aventi ancora una valenza economica. - Pres. Toriello - Est. Postiglione - Ric. P.P. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 2 ottobre 2003 (ud. 25 giugno 2003), Sentenza n. 1256
Discarica rifiuti - approvazione
del progetto degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti - strumento
urbanistico - declaratoria di pubblica utilità - termini di potere di
espropriazione - termini dimidiati - appalto di opere pubbliche. Il fatto
che l’approvazione del progetto degli impianti di smaltimento e di recupero dei
rifiuti comportasse l’eventuale variante dello strumento urbanistico e la
declaratoria di pubblica utilità con ogni conseguenza in termini di potere di
espropriazione, non cambiava i termini del problema, nella considerazione che, a
tenore della fattispecie dei termini dimidiati di cui all’art. 19 del d.l.
67/97, era l’attività principale quella che determinava la procedura e non
viceversa e nel caso di specie quella non era assimilabile, all’evidenza,
all’appalto di opere pubbliche. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre
2003, Sentenza n. 5679. (vedi:
sentenza
per esteso)
Discarica rifiuti - approvazione di un progetto
relativo ad impianto di smaltimento rifiuti - applicazione dei termini dimezzati
- provvedimenti di esecuzione di opere di pubblica utilità - procedure di
occupazione ed espropriazione delle aree - procedura espropriativa - interesse
pubblico - l’approvazione dei progetti relativi ad impianti di trattamento dei
rifiuti - modifica l’eventuale diversa destinazione urbanistica dell’area -
normativa acceleratoria. Il diniego contestato, in ordine all’approvazione
di un progetto relativo ad impianto di smaltimento rifiuti, non può, infatti,
sfuggire all’applicazione dei termini dimezzati di cui al citato art. 19, che
letteralmente trovava applicazione, tra l’altro, ai provvedimenti di esecuzione
di opere di pubblica utilità, ed alle procedure di occupazione ed espropriazione
delle aree ad esse destinate. Orbene, non può essere pretermesso, ai fini
dell’applicabilità della citata disposizione, che l’approvazione del progetto in
argomento avrebbe comportato il rilascio, seppur implicitamente, di una
dichiarazione di pubblica utilità delle opere, sulla base di un’apposita
previsione normativa (art. 27, comma 5, d.lg. 22/97), e quindi l’integrazione
del momento iniziale di una procedura espropriativa. Il tutto, inoltre, era
comunque volto alla realizzazione di un’opera di pubblica utilità, espressione
quest’ultima volutamente di portata generale, nel senso della finalizzazione
dell’opera da costruire allo scopo di interesse pubblico (quale è senz’altro
anche quello relativo all’efficiente smaltimento dei rifiuti, seppur di
produzione propria, da parte di aziende legittimamente operanti nel territorio
interessato), prescindendo dalla natura - pubblica o privata - del soggetto
chiamato a realizzarla. In più, l’approvazione dei progetti relativi ad impianti
di trattamento dei rifiuti, come si accennava, ha l’effetto, sempre ai sensi
dell’art. 27, comma 5, d.lg 22/97, di modificare l’eventuale diversa
destinazione urbanistica dell’area. Il fatto poi di essere al cospetto di un
provvedimento di tipo negativo - nella specie è stata respinta l’istanza di un
soggetto privato relativamente alla realizzazione di un’opera di pubblica
utilità - non costituisce elemento di per sé sufficiente ai fini di escludere
l’applicazione dei risvolti processuali della normativa acceleratoria in
argomento. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5679.
(vedi:
sentenza per esteso)
Urbanistica - discarica - impianti di trattamento dei rifiuti - destinazione urbanistica dell’area. L’approvazione dei progetti relativi ad impianti di trattamento dei rifiuti, come si accennava, ha l’effetto, sempre ai sensi dell’art. 27, comma 5, d.lg 22/97, di modificare l’eventuale diversa destinazione urbanistica dell’area. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5679. (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Provvedimenti contingibili ed urgenti - ordinanza di ripristino e bonifica - ricorso - inammissibilità - qualora non siano stati impugnati gli atti presupposti. E’ inammissibile un ricorso proposto contro l’ordinanza contingibile ed urgente con la quale si ingiungono interventi di ripristino e bonifica ambientale, qualora non siano stati previamente impugnati gli atti presupposti, adottati da altre amministrazioni, con cui si inibiva la prosecuzione dell’attività di stoccaggio di rifiuti. Rispetto a tali provvedimenti, l’ordinanza è atto dovuto, di mera applicazione, ex art. 17.2.3. D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22. - Pres. ed Est. BALBA - Ricci (Avv. Benguardato) c. Comune di Civitella del Tronto (Avv. Scarpantoni) e Amministrazione Provinciale di Teramo (Avv. Zecchino) T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila - 18 settembre 2003, n. 805
Rifiuti - Provvedimenti contingibili ed urgenti - ordinanza di rimozione e smaltimento rifiuti e ripristino dello stato dei luoghi ex art. 14 d.lgs. 22/97 - ordinanza a carattere sanzionatorio - non è configurabile quale provvedimento contingibile e urgente - competenza - in capo al dirigente e non al sindaco. E’ illegittima l’ordinanza di rimozione, avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti ed di ripristino dello stato dei luoghi emanata dal sindaco in virtù dell’art. 14 del d. lgs. n.22/97, dovendosi ritenere competente il dirigente sulla base dell’art. 70 co. 6° del D. Lgs. n.165 del 31 marzo 2001. Il potere di ordinanza previsto in favore del sindaco in caso di “emergenze sanitarie e di igiene pubblica” a carattere locale, riguarda solo le ordinanze espressamente qualificate dalla norma “contingibili ed urgenti” nel cui novero non rientra quella di cui al citato art. 14. Il potere di ordinanza di cui all’articolo 38 della legge n.142/90 è atipico e residuale e ed è quindi esercitabile (semprechè ricorrano i presupposti dell’urgenza e della gravità del pericolo) quante volte non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore; proprio l’articolo 14 citato, che prevede un’ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio, configura una siffatta specifica normativa con la previsione d’un ordinario potere di intervento attribuito all’autorità amministrativa locale e non all’ufficiale del governo. Pres. CAMOZZI, Est. PENNETTI - A.N.A.S. (Avv. Stato) c. Comune di Buccino (n.c.). T.A.R. Basilicata - 18 settembre 2003, n. 878
Rifiuti - Condizionale e ripristino ambientale - Sanità pubblica - In genere - Smaltimento dei rifiuti - Sentenza di condanna per violazione delle disposizioni di cui al D.L.gs n. 22/1997 - Sospensione condizionale della pena - Subordinata alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato - Possibilità - Disposizioni codicistiche e legislative applicabili - Individuazione - Art. 165 Cod. pen. - Art. 51 bis D. Lg. 22/1997 - D. Lg. n. 389/1997 - L. n. 426/1998 - D. P. R. n. 915 cost/1982. In tema di gestione dei rifiuti, anche dopo la entrata in vigore del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, che ha sostituito il D. P. R. 10 settembre 1982 n. 915, il giudice, con la sentenza di condanna, può subordinare la sospensione condizionale della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose nascenti dal reato, con la unica precisazione che in caso di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento di un sito la sospensione condizionale della pena potrà essere subordinata alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale previsti e proceduralizzati dall'art. 17 dello stesso decreto n. 22, stante la espressa previsione contenuta nel successivo art. 51 bis; per gli altri reati previsti dal decreto n. 22, strutturalmente diversi, anche se talvolta prodomici, da quello di inquinamento di un sito, il giudice può applicare la previsione codicistica di cui all'art. 165, e quindi subordinare il beneficio alla eliminazione delle conseguenze secondo le modalità da lui stesso stabilite nella sentenza di condanna. Pres. Postiglione A - Est. Onorato P - Imp. Spadetto - PM. (Conf.) Meloni V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 16/09/2003 (UD.30/05/2003) RV. 225881 sentenza n. 35501 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - contravvenzioni in
materia ambientale - la subordinazione del beneficio al ripristino ambientale -
l’istituto di carattere generale trova applicazione anche in relazione ai reati
urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento dell'ambiente. Non può
dubitarsi che, in caso di condanna per contravvenzioni in materia ambientale, il
beneficio della sospensione condizionale della pena possa essere subordinato
alla bonifica del sito inquinato e al ripristino ambientale.La subordinazione
del beneficio all'esatto adempimento di quanto stabilito nella sentenza è
diventato un istituto di carattere generale, che pertanto può trovare
applicazione in relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di
inquinamento dell'ambiente, oltre i casi previsti in specifici settori, come le
acque e i rifiuti. Cassazione sezione terza, 2944/84, Mungai, rv 162773.
Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Tutela ambientale - rifiuti - la sospensione condizionale della
pena può essere subordinata non solo alla riparazione dei danni civilistici - il
ripristino ambientale - eliminazione del danno c.d. criminale. La
sospensione condizionale della pena può essere subordinata non solo alla
riparazione dei danni civilistici (restituzioni, risarcimento del danno
patrimoniale e non patrimoniale, pubblicazione della sentenza, ai sensi degli
articoli 185 e 186 Cp), così come previsto dal primo periodo dello stesso
articolo 165, ma anche alla eliminazione del danno cosiddetto criminale, vale a
dire di tutte quelle conseguenze che ineriscono alla offesa del bene giuridico
tutelato dalla norma penale violata, che sono ontologicamente diverse dal
pregiudizio economicamente apprezzabile e risarcibile (Cassazione sezione
quinta, 1317/86 Cerqueti, rv. 171868; Cassazione sezione seconda, 2431/97,
Cordioli, rv 207312). Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003,
n. 35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - smaltimento di rifiuti solidi - sospensione
condizionale - subordinazione della condizionale alla bonifica - rapporto tra il
colpevole e la Pubblica amministrazione - conseguenze dannose o pericolose del
reato. In tema di rifiuti, il Dpr 915/82 ha stabilito che con la sentenza di
condanna per alcune contravvenzioni caratterizzate dalla violazione di
prescrizioni imposte dall'autorità competente o di determinate norme transitorie
(previste dagli articoli 27, 29, 3113 e 32/3, e non, per esempio, per la
contravvenzione di discarica non autorizzata) il beneficio della sospensione
condizionale della pena potesse essere subordinato all'esatto adempimento di
quanto stabilito nella sentenza stessa (articolo 30). Sennonché la
giurisprudenza di legittimità ha interpretato questa norma speciale in un senso
del tutto particolare, da una parte limitando l'applicabilità dell'istituto
previsto dall'articolo 30 citato alle condanne per i reati ivi tassativamente
previsti (il che è condivisibile), e dall'altra escludendo che per gli altri
reati in materia di rifiuti potesse applicarsi l'istituto generale di cui
all'articolo 165 Cp (il che non può essere condiviso) (v. Cassazione sezione
terza, 9567/84, Alonia, rv 166483; sezione terza, 5461/87, Iuliano, rv 175860;
2690/91, Cesarini, rv 186679; 7567/92, Abortivi, rv 190922; 6312/92, Oliva, rv
190451). Per escludere l'applicazione dell'articolo 165, infatti, le menzionate
sentenze hanno invocato il principio di specialità, senza considerare che detto
principio stabilisce semplicemente che quando più norme regolano la stessa
materia la norma speciale deroga a quella generale (articolo 15 Cp). Il che
implica però che quando la norma speciale non è applicabile (nella materia in
discussione, perché non ricorre una dei reati tassativamente previsti
dall'articolo 30 Dpr 915/82) ridiventa applicabile "per espansione" la norma
generale dell'articolo 165 Cp (che non è limitata a specifici reati). È quindi
fondato l'orientamento giurisprudenziale contrario a quello prevalente, secondo
il quale in tema di smaltimento di rifiuti solidi è corretta la subordinazione
della sospensione condizionale della pena alla bonifica dell'area secondo le
indicazioni dell'autorità sanitaria. La espressa previsione di casi in cui la
menzionata sospensione può essere subordinata all'adempimento di quanto
stabilito nella sentenza di condanna (articolo 30 Dpr 915/82), riferita a
particolari ipotesi in cui vi è già un rapporto tra il colpevole e la Pubblica
amministrazione con inosservanza di prescrizioni, non esclude l'applicabilità
della regola generale di cui all'articolo 165 Cp, della subordinazione del
beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato;
non sempre è richiesta al giudice una specificazione delle modalità di
adempimento dell'obbligo, essendo sufficiente l'imposizione di regole fissate da
una individuata autorità. Eventuali controversie sul punto riguardano la fase
esecutiva (Cassazione sezione terza, 3849/92, Scherma ed altri, rv 190762).
Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Reati urbanistici - il giudice penale può subordinare il
beneficio della sospensione condizionale della pena alla eliminazione delle
conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera abusiva -
inquinamento delle acque. In materia di reati urbanistici ha riconosciuto il
potere del giudice penale di subordinare il beneficio della sospensione
condizionale della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato
mediante demolizione dell'opera abusiva (714/97, rv 206659). In questa materia,
infatti, a fare problema non era l'esistenza di una norma speciale come quelle
in materia di rifiuti o di inquinamento delle acque, ma solo il potere
concorrente della Pubblica amministrazione in ordine alla demolizione delle
costruzioni abusive. Anche se non può trascurarsi che tale revirement
giurisprudenziale ha favorito una indubbia rivalutazione giuridica e operativa
dell'articolo 165 Cp non solo in materia urbanistica, ma in tutti i settori del
diritto penale. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n.
35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Inquinamento - il beneficio della sospensione condizionale
della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in
sicurezza, bonifica dei siti e rispristino ambientale. Con l'avvento
dell'articolo 51bis del decreto legislativo 22/1997 sulla bonifica dei siti,
introdotto con il decreto legislativo 389/97 e poi modificato con la legge
426/98 (che ha appunto disciplinato l'istituto de quo nella specifica materia)
il giudice penale può subordinare il beneficio della sospensione condizionale
della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato. Secondo questa
norma "chiunque cagiona l'inquinamento o un pericolo concreto e attuale di
inquinamento, previsto dall'articolo 17, comma 2, è punito con la pena
dell'arresto da sei mesi a un anno e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire
cinquanta milioni se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui
all'articolo 17. ( ... ) Con la sentenza di condanna per la contravvenzione di
cui al presente comma, o con la decisione emessa ai sensi dell'articolo 444 Cpp,
il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato
alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e rispristino
ambientale". Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501
(vedi:
sentenza per esteso)
Condanna per il reato di inquinamento - abbandono di rifiuti -
gestione di discarica abusiva - il giudice penale può subordinare la sospensione
condizionale della pena alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza,
bonifica e ripristino ambientale - articolo 17 decreto legislativo 22/1977 -
all'articolo 51 D.L.vo 22/1977 - bonifica del sito o al ripristino
dell'ambiente. Per molteplici reati c.d. ambientali si è discusso se si era
in presenza di un reato commissivo di danno (inquinamento) con causa di non
punibilità (se si provvede alla bonifica) ovvero con condizione obiettiva di
punibilità (se non si provvede alla bonifica); oppure di reato a condotta mista
(cagionare l'inquinamento e non provvedere alla bonifica); oppure di reato
omissivo (non provvedere alla bonifica) con un presupposto esterno alla
struttura del reato (inquinamento). Ma quale che sia l'inquadramento dommatico
corretto (che esula dal presente thema decidendum), il reato sussiste solo se
l'inquinamento del sito ha superato i limiti di accettabilità definiti
dall'apposito decreto ministeriale previsto dall'articolo 17 decreto legislativo
22/1977 ovvero se esiste un pericolo concreto e attuale di superamento di tali
limiti, e se la bonifica del sito non è avvenuta secondo le sequenze
procedimentali prescritte dal citato articolo 17 (notifica entro 48 ore della
situazione di inquinamento agli organi amministrativi competenti; comunicazione
entro le 48 ore successive degli interventi di messa in sicurezza adottati;
presentazione al comune e alla regione del progetto di bonifica entro trenta
giorni dall'evento inquinante). Ne consegue che il giudice penale può
subordinare la sospensione condizionale della pena alla esecuzione degli
interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale previsti e
proceduralizzati dall'articolo 17 solo se è intervenuta condanna per il reato di
inquinamento del sito. Per gli altri reati previsti dal decreto legislativo
22/1997, e segnatamente per quelli di abbandono di rifiuti di cui all'articolo
51, comma 2, e di gestione di discarica abusiva di cui all'articolo 5 1, comma
3, che, pure essendo generalmente prodromici all'inquinamento, sono
strutturalmente diversi dal reato di inquinamento del sito previsto
dall'articolo 51bis, invece, il giudice può solo applicare l'articolo 165 Cp e
quindi subordinare il beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose o
pericolose del reato, secondo le modalità da lui stesso stabilite nella sentenza
di condanna. In altri termini, per questi altri reati può subordinare il
beneficio alla bonifica del sito o al ripristino dell'ambiente eseguiti al di
fuori delle sequenze procedurali previste dal combinato disposto degli articoli
17 e 51bis decreto legislativo 22/1997. Corte di Cassazione Penale Sez. III
16 settembre 2003, n. 35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Per chi non ottempera all'ordinanza sindacale che impone la
rimozione e il ripristino del luogo in cui siano stati abbandonati rifiuti la
condanna penale può essere sospesa anche subordinatamente alla esecuzione di
quanto stabilito nell'ordinanza. Un'altra disciplina specifica dell'istituto
di subordinare il beneficio di sospensione condizionale della pena alla
eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato è prevista nel
decreto legislativo 22/1997 al secondo comma dell'articolo 50, sotto la rubrica
"abbandono di rifiuti". Per chi non ottempera all'ordinanza sindacale che ai
sensi dell'articolo 14, comma 3, impone la rimozione e il ripristino del luogo
in cui siano stati abbandonati rifiuti la condanna penale può essere sospesa
anche subordinatamente alla esecuzione di quanto stabilito nell'ordinanza.
Analoga disciplina è stabilita per chi non ottempera all'obbligo di separare
rifiuti abusivamente miscelati ai sensi dell'articolo 9. Corte di Cassazione
Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Reati ambientali - applicabilità dell’articolo 165 Cp. in
relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento
dell'ambiente - il ricorso all'istituto generale. Per reati diversi
dall'inquinamento del sito, l’istituto di carattere generale trova applicazione
anche in relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento
dell'ambiente è possibile ricorrere all'istituto generale disciplinato
dall'articolo 165 Cp. Anzitutto perché la norma speciale esclude l'applicazione
della norma generale solo per i casi tassativamente previsti nella prima, sicché
al di fuori di questi ritorna applicabile la norma generale. In secondo luogo
perché la clausola di salvezza prevista dall'articolo 165, secondo cui la norma
codicistica si applica "salvo che la legge disponga diversamente" non opera
nella soggetta materia, atteso che la norma speciale di cui trattasi non
contiene una disciplina "diversa", cioè contrastante, ma solo una disciplina
differente "per specializzazione". In altri termini, il ricorso all'istituto
generale di cui all'articolo 165 è escluso solo quando una legge speciale
preveda una disciplina con esso incompatibile (per esempio perché sottrae al
giudice penale il potere di imporre un facere al condannato in determinate
materie, riservandolo alla pubblica amministrazione), non già quando preveda, in
relazione a determinati reati, una disciplina semplicemente "specializzante"
rispetto a quella dell'articolo 165: in questo caso infatti - come già osservato
- l'istituto generale resta applicabile per tutti i reati diversi da quelli
contemplati nella norma speciale. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16
settembre 2003, n. 35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Gestione non autorizzata di rifiuti pericolosi e non pericolosi
- stoccaggio abusivo dei rifiuti - l'articolo 165 Cp - il facere imposto dal
giudice come condizione del beneficio tenda a ripristinare il bene tutelato
dalla norma penale e offeso dal reato. Non può affatto condividersi
l'argomento difensivo secondo cui la bonifica del terreno inquinato non rientra
nella eliminazione delle conseguenze dannose prevista dall'articolo 165. Nel
caso di specie l'imputato è stato condannato per due reati di gestione non
autorizzata di rifiuti pericolosi e non pericolosi (articolo 51, comma 1,
lettera a) e b), decreto legislativo 22/1997), nonché per la contravvenzione di
cui all'articolo 674 Cp, commessi in due diversi stabilimenti industriali. In
particolare, in relazione allo stabilimento di Capriano del Colle, è stato
condannato per lo stoccaggio di circa cento tonnellate di rifiuti vari anche
pericolosi, tra cui plastica, oli anche contaminati, solventi organici, rifiuti
inorganici a base di zinco, ferro, piombo e cadmio, nonché per aver provocato
emissione di gas atti a cagionare molestie alle persone. Con la condanna il
giudice di merito ha concesso la sospensione condizionale della pena
subordinandola alla bonifica dell'area interessata nel solo stabilimento di
Capriano del Colle. Posto che il danno a cui si riferisce l'articolo 165 Cp è
sia quello civilistico sia quello c.d. criminale, si deve soltanto verificare,
per quanto riguarda quest'ultimo, se il facere imposto dal giudice come
condizione del beneficio tenda a ripristinare il bene tutelato dalla norma
penale e offeso dal reato. Nel caso di specie non v'è dubbio che la bonifica
dell'area sia oggettivamente funzionale a ripristinare l'integrità ambientale
che è stata lesa o messa in pericolo dallo stoccaggio abusivo dei rifiuti. In
linea di fatto non è contestato che il reato abbia cagionato questa lesione o
messa in pericolo. In linea di diritto la reintegrazione del bene ambientale
attraverso la bonifica del sito si configura come eliminazione della conseguenze
dannose o pericolose di cui all'articolo 165. Poiché non si tratta di una
bonifica proceduralizzata ai sensi dell'articolo 17 decreto legislativo 22/1997,
sarà il giudice a indicare le modalità di esecuzione della bonifica nella stessa
sentenza di condanna, così come previsto nello stesso articolo 165. In mancanza
di ciò, se sorge controversia sulle modalità esecutive, a provvedere sarà il
giudice della esecuzione. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre
2003, n. 35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Il principio comunitario di diritto ambientale "chi inquina
paga" non contrasta con i principi fondamentali della Carta costituzionale.
La giurisprudenza della Consulta ha tradizionalmente ritenuto che rientrino nel
potere discrezionale del legislatore opzioni normative di tal genere. Più in
particolare, l'istituto si può configurare come una proiezione generale del
principio comunitario di diritto ambientale "chi inquina paga", che certamente
non contrasta con i principi fondamentali della Carta costituzionale,
soprattutto se si considera che la portata economica della reintegrazione
ambientale è generalmente proporzionale a quella dell'inquinamento, sicché nel
soggetto che inquina si presuppone una capacità economica tale da consentirgli
di affrontare anche le spese di risanamento. Ne consegue che la norma sospettata
non opera alcuna discriminazione irragionevole tra soggetti che posseggono e
soggetti che non posseggono la capacità economica di affrontare le spese dì una
bonifica ambientale. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003,
n. 35501 (vedi:
sentenza per esteso)
Quantificazione della pena in considerazione della gravità
della condotta - legittimità - (sprezzo dimostrato per le norme di legge e le
prescrizioni dell'autorità competente - conseguimento di profitti economici a
scapito altrui). Correttamente la corte di merito ha confermato la sanzione
inflitta dal primo giudice, in considerazione della gravità della condotta,
dello sprezzo dimostrato per le norme di legge e le prescrizioni dell'autorità
competente, nonché della motivazione meramente utilitaristica dell'agente volta
a conseguire profitti economici a scapito altrui. Considerazioni che non
appaiono in contraddizione logica con altri passaggi motivazionali della
sentenza. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501
(vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Provvedimenti contingibili ed urgenti - scelta di una discarica comunale per lo smaltimento di RSU di altro Comune - scelta discrezionale - insidacabilità - scelta ricadente su discarica già satura - parziale attuazione - non costituisce motivo di illegittimità. La scelta di una discarica, nel contesto di un’ordinanza contingibile ed urgente della Giunta Regionale, con la quale viene prescritto ad un Comune di smaltire i propri R.S.U. in discarica di altro Comune, attiene alla sfera discrezionale dell’amministrazione, nel merito insindacabile. Nel caso di scelta ricadente su una discarica già satura, gli eventuali inconvenienti connessi all’uso in eccesso alla sua capacità usuale, non costituiscono motivo di illegittimità del provvedimento, ma, tutt’al più, causa di parziale attuazione; cosa questa ben possibile alla stregua della invocata oggettiva e contingente urgenza di provvedere. Pres. BALBA, Est. SPECA - Comune di Campli (Avv. Galassi) c. Regione Abruzzo (Avv. Stato). T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila - 4 settembre 2003, n. 642
Parchi, riserve, aree protette - ampliamento di una discarica comunale ricadente nel perimetro del Parco - diniego di autorizzazione - motivazione - legittimità. Non può considerarsi illegittimo per inadeguatezza della motivazione il diniego di autorizzazione ad ampliare una discarica comunale per rifiuti solidi urbani, esistente ma esaurita, ricadente nella perimetrazione di un Parco Nazionale, quando il predetto diniego risulta basato sulla considerazione che la riapertura della discarica rappresenta un deterioramento ambientale; che la località interessata dall’intervento di ampliamento della discarica risulta ubicata nelle immediate adiacenze delle aree di maggior pregio naturalistico del Parco; che dalla riattivazione della discarica conseguirebbero risvolti negativi sia di ordine naturalistico nei riguardi della fauna del Parco, sia di carattere paesaggistico e deriverebbero danni all’immagine dell’area protetta ed alle iniziative di promozione delle attività socioeconomiche intraprese dall’amministrazione, legate alla fruizione dei valori naturalistici e storico-architettonici del Parco stesso. Tali ragioni sono infatti esaurienti e rendono conto dell’iter logico-valutativo seguito dall’Ente Parco nell’adottare la determinazione, tanto da non potersi ravvisare la sussistenza della violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, né del difetto di motivazione quale profilo del vizio di eccesso di potere. Pres. CATONI, Est. DI GIUSEPPE - Comune di Caramanico Terme (Avv. Di Benedetto) c. Ente Parco Nazionale della Majella (Avv. Iannotta). T.A.R. Abruzzo, Pescara - 28 agosto 2003, n. 776 (vedi: sentenza per esteso)
La natura non di rifiuto degli “slops”
trasportati - orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia della
Comunità Europee - la nuova normativa - il riutilizzo nello stesso ciclo
produttivo o di consumo - presupposto soggettivo del “disfarsi”. Il
Tribunale di Genova, con l’ordinanza impugnata, ha ritenuto la natura di
rifiuto, alla luce dell’articolo 6 del decreto legislativo 22/1997 e
dell’orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia della Comunità
Europee (sentenza Tombesi del 25.6.1997), senza prendere in alcuna
considerazione l’articolo 14 del decreto legge 138/02, convertito con la legge
178/02, che reca una norma innovativa nel nostro sistema giuridico, di
“interpretazione autentica della definizione di rifiuto”. La nuova normativa
esclude la natura di rifiuto per beni, sostanze o materiali residuali di
produzione o di consumo, qualora siano effettivamente ed oggettivamente
riutilizzati, senza alcun trattamento preventivo od anche dopo un trattamento
preventivo, purché non vi sia pregiudizio all’ambiente. La norma evidenzia che,
quando il riutilizzo avvenga in modo serio (cioè effettivamente ed
oggettivamente) nello stesso ciclo produttivo o di consumo (od anche in uno
analogo o diverso) viene meno lo stesso presupposto soggettivo del “disfarsi”,
in quanto il soggetto economico intende continuare a ricevere benefici dal bene:
questo non è “rifiutato”, ma ulteriormente “utilizzato” come bene economico e
dunque, il rifiuto ab origine non è venuto ad esistenza giuridica come tale. In
via generale si osserva che è bensì persistente la concezione omnicomprensiva e
quasi ideologica di “rifiuto”, sia che esso debba essere smaltito, sia che debba
essere riutilizzato. Corte di Cassazione Penale Sez. III del 31 luglio 2003,
Sentenza n. 32235 (vedi:
sentenza per esteso)
La mancata convergenza nelle
definizioni nazionali di rifiuto con quelle della Comunità Europea - la
separazione concettuale e giuridica tra rifiuti non più riutilizzabili e materie
prime secondarie, da riutilizzare - fideiussioni preventive ed inibizione
dell’attività economica in caso di inadempimento. La mancata convergenza
nelle definizioni nazionali di rifiuto con quelle della Comunità Europea non
sembra dovuta solo ad “inadempienze”, ma alla mancata soluzione di un problema
reale ed obiettivo a monte, ossia la separazione concettuale e giuridica tra
rifiuti non più riutilizzabili (da destinare ad incenerimento o discariche) e
materie prime secondarie, da riutilizzare, che ab origine non sono rifiuto,
purché, tali materie siano definite con chiarezza e sottoposte a controllo
sequenziale ed a sanzioni economiche adeguate (fideiussioni preventive ed
inibizione dell’attività economica in caso di inadempimento). Corte di Corte
di Cassazione Penale Sez. III del 31 luglio 2003, Sentenza n. 32235 (vedi:
sentenza per esteso)
L’obbligo di interpretare in
maniera estensiva la nozione di rifiuto - natura o meno di residuo di produzione
- autentico “prodotto” - concetto di “prodotto” o “sottoprodotto” - l’esigenza
di protezione ambientale - la valutazione operata caso per caso - la volontà di
“disfarsi” deve essere esaminata in concreto - la nozione di residuo e non di
rifiuto. Tenuto conto dell’obbligo di interpretare in maniera estensiva la
nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro
natura, occorre circoscrivere tale argomentazione, relativa ai sottoprodotti,
alle situazioni in cui riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia
prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel
corso del processo di produzione. Appare quindi evidente che, oltre al criterio
derivante dalla natura o meno di residuo di produzione di una sostanza il grado
di probabilità di riutilizzare senza operazioni di trasformazione preliminare,
costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un
rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Se, oltre alla mera possibilità di
riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel
farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta. In un’ipotesi del genere la
sostanza va considerata un autentico “prodotto”. Sì tratta di una prima apertura
del l’orientamento comunitario, incentrata sul concetto di “prodotto” o
“sottoprodotto” e non di “residuo” avente una autonoma rilevanza rispetto al
rifiuto, benché i confini siano labili. In una visione economica integrata,
salvo sempre l’esigenza di protezione ambientale, la valutazione può essere
operata caso per caso, sia perché le categorie di rifiuti di cui all’articolo 6
decreto legislativo 22/1997 hanno valore puramente indicativo ed il legislatore
- come si è già detto - ha già dato una interpretazione chiarifìcatrice con
l’articolo 14 decreto legge 138/02, sia perché la volontà di “disfarsi” deve
essere esaminata in concreto (Corte di Giustizia Ce in cause riunite C-418/97 e
C-419/97 punti 73, 88 e 97). Deve trattarsi di una valutazione prudente, in
attesa della auspicabile adozione in sede comunitaria e nazionale di specifiche
tecniche comuni (uniformi standard e indici di qualità; omogenei parametri
tecnici di valutazione e validazione) per ciascuna tipologia di sottoprodotto o
residuo), valutazione che ricomprende nella nozione di residuo e non di rifiuto
anche quelle materie che abbiano subito un trattamento preliminare, sempre che
esista la prova dell’effettivo ed univoco riutilizzo (come suggerito dalla Corte
costituzionale con la sentenza 512/90). Corte di Cassazione Penale Sez. III
del 31 luglio 2003, Sentenza n. 32235 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Materiali provenienti da demolizioni ed escavazione - Art 51, D. L.vo n. 22/1997 e succ. mod. - Sussistenza - rocce e le terre da scavo - esclusione. La gestione di materiali provenienti da demolizioni ed escavazione, contenenti tra l’altro, manti stradali, pezzi di cemento, di mattoni, di asfalto, di marmo integra la fattispecie prevista all’art 51, 1° comma, lett. a), del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, in quanto la successiva norma di cui all’art. 10 della legge n. 93 del 2001, aggiungendo la lett. f bis all’art. 8 1° comma del D.L.vo n.22/97, esclude il reato esclusivamente per le rocce e le terre da scavo. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 26 luglio 2003
Rifiuti - Smaltimento dei rifiuti - Procedimenti penali per violazione della normativa di settore - Amministrazioni comunali - Costituzione di parte civile - Legittimità - Fondamento - D. LG. n.22/1997 - L. n.349/1986 art. 18 - C.c. art. 2043 - C.p. art. 185 - C.P.P. artt. 74 e 91 - Disp. Att. C.p.p. art. 212. In tema di gestione dei rifiuti è ipotizzabile anche per l'ente locale comunale un danno sostanziale che lo renda portatore dell'interesse a costituirsi parte civile, atteso che il danno ai terreni privati va tenuto distinto dal danno al territorio ed all'ambiente ex artt. 2043 cod. civ. e 18 della legge n. 349 del 1986. PRES. Papadia U REL. Postiglione A COD.PAR.392 IMP. P.G. in proc. Marino PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 11/07/2003 (CC.22/05/2003) RV. 226154, Sentenza n. 29214
Rifiuti - Rifiuti di origine animale - Attività di eliminazione, trasformazione ed immissione sul mercato - Disciplina applicabile - D.L.vo n. 508/92 - D. L.vo n. 22/1997 - Limiti. I rifiuti di origine animale non sono sussumibile sotto la disciplina generale di cui al D. L.vo n. 22/1997, trattandosi di materia regolata in via esclusiva, per principio di specialità, dal Decreto Legislativo n. 508/1992 che opera, espressamente, nei casi di attività di eliminazione, trasformazione ed immissione sul mercato dei rifiuti di origine animali in attuazione della direttiva CEE n. 90/667 del 27 novembre 1990. Rimangono, comunque, salve le disposizioni specifiche o particolari dell’art. 1 D. L.gs. n. 22/97 adottate in attuazione di direttive comunitarie e disciplinanti la gestione di particolari categorie di rifiuti, e che, tra le norme abrogate dall’art. 56 del D. L.vo 22/97 non figura il D.L.vo n. 508/92. Miccoli - CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 11 luglio 2003
Rifiuti - Discarica abusiva su terreni privati - Richiesta di risarcimento danni da parte dell’Ente territoriale - Legittimazione all’azione civile - Valutazione del giudice di merito - Sussistenza - art. 51 bis D. L.gs. n. 22/1997. Nel caso di richiesta di risarcimento danni per discarica abusiva su terreni privati spetta al giudice di merito valutare la posizione in concreto del Comune interessato, poiché non può escludersi che da un reato formale di carenza di autorizzazione possa derivare, per l’ente locale, un danno sostanziale risarcibile: è noto, che dall’installazione di una discarica abusiva possono derivare danni all’atmosfera, alle acque (attraverso il percolato), al suolo e alle falde idriche del sottosuolo, fino alla possibile configurazione di ben più gravi situazioni di rischio o degrado tali da rendere necessaria (ex. art. 51 bis Decreto Legislativo n. 22 del 1997) la bonifica dei siti inquinati. P.M. in proc. Marino CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 11 luglio 2003
Rifiuti - Azione di risarcimento danni
- Discarica abusiva su terreni privati - Distinzione del danno - danno materiale
ai terreni privati e artt. 2043 c.c. e 18, L. n. 349/1986. Il danno
materiale ai terreni privati, deve essere tenuto distinto dal danno al
territorio ed all’ambiente risarcibile ai sensi degli artt. 2043 c.c. e 18,
Legge n. 349/1986, tuttavia non può escludersi la possibilità da parte di un
Ente di un concreto interesse ad esercitare un’azione di risarcimento danni nel
processo penale, per il reato di discarica abusiva su terreni privati, quale
parte civile. P.M. in proc. Marino CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 11
luglio 2003
Rifiuti - smaltimento di veicoli - limite
apposto all’autorizzazione - art. 28 del d.lgs. 22/97 - procedimento di messa in
sicurezza del rifiuto trattato dalla struttura - tempi di lavorazione e di
stoccaggio. Il limite apposto all’autorizzazione (smaltimento di un numero
di veicoli non superiore a 7000 all’anno) viene ad integrare una delle
limitazioni quantitative e qualitative previste dall’art. 28 del d.lgs. 22/97
(che espressamente individua tra i contenuti dell’autorizazione i <<i tipi ed i
quantitativi di rifiuti da smaltire e da recuperare>> e le <<precauzioni da
prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale>>). L’apposizione di un
tale limite non appare irrazionale, avuto riferimento soprattutto alla necessità
di assicurare un regolare ed efficace procedimento di messa in sicurezza del
rifiuto trattato dalla struttura ricorrente e, soprattutto, ai tempi di
lavorazione e di stoccaggio che un procedimento efficace e regolare
indubbiamente comporta. Pertanto, è del tutto irrilevante il riferimento alla
libertà di impresa, in presenza di una autorizzazione finalizzata a prevenire
possibili fenomeni di inquinamento. T.A.R. Puglia, Seconda Sezione di Lecce,
11 luglio 2003 - sentenza n. 4749
Rifiuti - Deposito incontrollato -
Abbandono/deposito incontrollato di rifiuti - Disciplina - Artt. 50 e 51 II c.
D. L.vo n. 22/1997. La fattispecie di deposito incontrollato, prevista come
attività vietata dall’art. 14 e sanzionata sia dall’art. 50 che dall’art. 51 II
c. del D. L.vo n. 22/1997, include una dicotomia che viene costantemente
interpretata nel senso che la prima norma riguarda l’abbandono/deposito
incontrollato di rifiuti operato da privati cittadini (illecito amministrativo),
mentre la seconda riguarda la stessa attività illecita, commessa da un titolare
di ente o impresa (illecito penale). - Est. P. Caccialanza - Imp. Paradisi.
TRIBUNALE DI MILANO, - Giudice Monocratico, 7 luglio 2003
Rifiuti - Gestione dei rifiuti -
Deposito controllato e temporaneo - Rispetto delle condizioni (temporanee,
quantitative e qualitative) - Reato di abbandono e deposito incontrollato di
rifiuti - Casi di configurabilità. In tema di gestione dei rifiuti, affinché
possa configurarsi l’ipotesi di deposito controllato e temporaneo di cui
all’art. lett. m) del D. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, occorre il rispetto delle
condizioni (temporanee, quantitative e qualitative) dettate dal citato articolo
e in particolare il raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione e
l’osservanza dei tempi di giacenza, in relazione alla natura ed alla quantità
del rifiuto; in mancanza si configura il reato di abbandono e deposito
incontrollato di rifiuti, sanzionato dall’art. 51, comma 2 del citato decreto. -
Est. P. Caccialanza - Imp. Paradisi. TRIBUNALE DI MILANO, - Giudice
Monocratico, 7 luglio 2003
Rifiuti - Riconoscimento della qualità
di rifiuto l’art. 14 D.L. n.138/2002, conv. con mod. con L. 178/2002. Ai
fini del riconoscimento della qualità di rifiuto l’art. 14 D.L. n.138/2002, conv.
con mod. con L. 178/2002, rivisita la definizione di rifiuto indicata nell’art.
6 c. 1 lett. a) D.L.vo 22/97, segnatamente: a) con il termine “si disfi” si
interpreta qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o
indiretto una sostanza , un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad
attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del D. L.vo n.
22/97; b) con il termine "abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni
di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo
n. 22, sostanze, materiali o beni; c) con il termine "abbia l'obbligo di
disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad
operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge
o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del
materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi
nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo
n. 22. - Est. P. Caccialanza - Imp. Paradisi. TRIBUNALE DI MILANO, - Giudice
Monocratico, 7 luglio 2003
Rifiuti - Smaltimento di rifiuti - Fanghi di depurazione - Disciplina applicabile - Individuazione - Art. 51 D. LG. n. 22/1997 - Art. 16 D. LG. n. 99/1992 - D. LG. n. 152/1999. In materia di fanghi derivanti dai processi di depurazione le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento (consistente nella modifica delle caratteristiche fisico-chimiche-biologiche dei fanghi per facilitarne l'uso agricolo) sono sottoposte oltre che alle disposizioni del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 99, utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, alla disciplina del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 sui rifiuti, stante la espressa clausola di salvezza contenuta negli artt. 8 e 16 del citato decreto n. 99 (sia pure con riferimento al previgente D.P.R. n.915 del 1982). Pres. Zumbo A - Est. Onorato P - Imp. Fusillo - PM. (Diff.) Favalli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 03/07/2003 (UD.11/04/2003) RV. 225381 sentenza n. 28484
Rifiuti - localizzazione di un impianto di pretrattamento e stoccaggio di rifiuti solidi urbani - testo unico delle leggi sanitarie - termodistruzione - la valutazione della distanza minima. L’articolo 216 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (recante il testo unico delle leggi sanitarie) dispone che le industrie insalubri siano “isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni”. Un’attenuazione della disposizione è contenuta al quinto comma, che consente la localizzazione “nell’abitato, quante volte l’industriale che l’esercita provi che, per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato”. La Sezione ritiene di poter prescindere dalla questione se la distanza vada riferita all’impianto nel suo complesso o limitata all’impianto di trattamento e stoccaggio, e non anche a quello di termodistruzione. Ritiene, inoltre, che possa essere assunto a parametro di riferimento, sia pure non considerato in senso assoluto, per la valutazione della distanza minima, quello fissato in 200 metri dall’allegato B, punto c5, della legge regionale della Lombardia n. 21 del 1993. La misurazione a tal fine andrebbe riferita alla distanza tra l’immobile abitativo e l’impianto vero e proprio (Cons. Stato, V, 3 ottobre 1997 n. 1097). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenze nn. 3916 - 3915. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3929
Gestione dei rifiuti - rifiuti
speciali o pericolosi - attivita' di demolizione e costruzione - attivita' di
scavo, che incide su terreni - differenza. In tema di gestione dei rifiuti,
anche dopo la entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001 n. 443 (delega al
governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi - cd. legge
obiettivo), continuano a costituire rifiuti speciali, ai sensi dell'art. 7,
comma 3, lett. b), del D. Lgs 5 febbraio 1997 n. 22, quelli derivanti da
attivita' di demolizione e costruzione che, incidendo su edifici, sono
strutturalmente diverse dall'attivita' di scavo, che incide su terreni e per i
cui prodotti soltanto l'art. 1, comma 17, della citata legge n. 443 prevede la
esclusione dall'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 22, che li
considerava rifiuti speciali o pericolosi: Cass.16383 DEL 06/05/2002 - Li Petri.
Tribunale di Grosseto del 12/06/2003, sentenza n. 571 (vedi:
sentenza per esteso)
La nozione comunitaria di rifiuto -
catalogo europeo dei rifiuti - rifiuti di origine urbana - materiali derivanti
da processi industriali - cicli di consumo e produzione con o senza trattamento
preventivo. La nozione comunitaria di rifiuto non esclude in via di
principio alcun tipo di residui, di prodotti di scarto e di altri materiali
derivanti da processi industriali. Dal combinato disposto dell'articolo 1 della
direttiva, come interpretato dalla Corte di Giustizia, e della decisione della
Commissione 2000/532/CE che stabilisce il catalogo europeo dei rifiuti, emerge
chiaramente che molti residui di produzione, riutilizzabili in cicli di consumo
e produzione, con o senza trattamento preventivo, ricadono nell'ambito della
direttiva 75/422/CEE come modificata. Considerazioni analoghe valgono per molte
categorie di rifiuti di origine urbana. E' evidente che l'effetto di tale
disposizione italiana è di sottrarre larga parte delle sostanze ed oggetti che
ricadono nell'ambito della nozione comunitaria di rifiuto dall'ambito delle
disposizioni nazionali di trasposizione della direttiva 75/442/CEE come
modificata, pregiudicandone l'efficacia in Italia. In altri termini, l'avere
escluso dal regime dei rifiuti i beni o sostanze materiali residuali di
produzione o di consumo dei quali il detentore abbia deciso o abbia l'obbligo di
disfarsi, per il semplice fatto che gli stessi possono essere e sono
riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia
effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non
rechino pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato in
intervento preventivo di trattamento, quando quest'ultimo non configuri un
operazione di recupero fra quelle elencate all'allegato C del decreto
legislativo n. 22/97, rappresenta un'indebita limitazione del campo di
applicazione della nozione di rifiuto. Tribunale di Grosseto del 12/06/2003,
sentenza n. 571 (vedi:
sentenza per esteso)
La nozione di rifiuto -
disapplicazione della norma nazionale derogatoria in conflitto con la normativa
comunitaria - D.L. n. 138/2002 deve essere disapplicato dal giudice nazionale.
La nozione di rifiuto elaborata dalla normativa comunitaria, direttamente
applicabile nell'ordinamento interno senza la necessità di alcun atto attuativo
interno, è pacificamente in contrasto con quanto definito dalle nuove
disposizioni introdotte dal D.L. n. 138 cit.. Ne discende, per conseguenza, che
le norme del nuovo decreto legge, in quanto in contrasto con le sentenze della
Corte di Giustizia e con norma CEE, devono essere disapplicate dal giudice
nazionale. Tribunale di Grosseto del 12/06/2003, sentenza n. 571 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - l'eventuale conflitto tra
norma di legge nazionale e norma comunitaria direttamente applicabile - effetto
di disapplicazione della norma nazionale derogatoria. E’ principio ormai
consolidato, in dottrina e giurisprudenza, che un eventuale contrasto tra norma
di legge nazionale e norma comunitaria direttamente applicabile anche in virtù
delle conformi statuizioni della Corte di Giustizia, deve essere risolto con la
disapplicazione della norma nazionale derogatoria nella risoluzione della
controversia esaminata. L'eventuale conflitto tra il diritto comunitario
direttamente applicabile e quello interno, proprio perché suppone un contrasto
tra quest'ultimo con una norma prodotta da una fonte esterna avente un proprio
regime giuridico e abilitata a produrre diritto nell'ordinamento nazionale entro
un proprio ambito di competenza, non dà luogo a ipotesi di abrogazione o di
deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma
interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest'ultima
..." (Cfr. Corte Cost. n. 389 del 11.07.1989, in Foro ital. 1991, I, p. 1076;
analogamente Corte Cost. n. 170 del 5.06.1984, in Foro It., 1984, I, p. 2062).
Tribunale di Grosseto del 12/06/2003, sentenza n. 571 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - la nozione di rifiuto -
gestione dei rifiuti - Corte di Giustizia della Comunità Europea - la protezione
della salute umana e dell'ambiente. In tema di gestione dei rifiuti deve
intendersi per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il
detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, senza che
assuma rilievo la circostanza che ciò avvenga attraverso lo smaltimento del
prodotto o tramite il suo recupero. E ciò sia per l'interpretazione della
nozione legislativa nazionale, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n.
22, sia per le affermazioni della Corte di Giustizia della Comunità Europea, le
cui decisioni sono immediatamente e direttamente applicabili in ambito
nazionale, secondo cui la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel senso di
escludere le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica,
atteso che la protezione della salute umana e dell'ambiente verrebbe ad essere
compromessa qualora l'applicazione delle direttive comunitarie in materia fosse
fatta dipendere dall'intenzione del detentore di escludere o meno una
riutilizzazione economica da parte di altri delle sostanza o degli oggetti di
cui ci si disfa (o si sia deciso o si abbia l'obbligo di disfarsi). Cassazione
n. 2125 del 17/01/2003. Tribunale di Grosseto del 12/06/2003, sentenza n. 571
(vedi:
sentenza per esteso)
Le responsabilità attribuiti al
direttore dei lavori - disciplina in materia di smaltimento di rifiuti -
specificità dei compiti - legislazione antisismica - legge 1996 n. 662 -
demolizione di fabbricati. Attesa la specificità dei compiti e delle
relative responsabilità attribuiti al direttore dei lavori dall'art.6 della
legge 28 febbraio 1985 n.47 e dall'art.2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996
n.662 (oltre che da altre disposizioni contenute nella legislazione antisismica
ed in quella di tutela dei beni ambientali), deve escludersi che il suddetto
direttore assuma alcuna posizione di garanzia con riguardo all'osservanza della
disciplina in materia di smaltimento di rifiuti. (Nella specie, in applicazione
di tale principio, e' stato escluso che al direttore dei lavori, solo in quanto
tale, potesse addebitarsi la responsabilità del reato di deposito incontrollato
di rifiuti non pericolosi costituiti da materiali di risulta della demolizione
di fabbricati preesistenti, al posto dei quali dovevano realizzarsi nuovi
edifici). Cass. n.4957 del 21/04/2000. Tribunale di Grosseto del 12/06/2003,
sentenza n. 571 (vedi:
sentenza per esteso)
Legge Regionale del Veneto -
divieto di nuove discariche per rifiuti speciali nei territori dei comuni in cui
sono in attività altre discariche - interpretazione autentica. Il Consiglio
Regionale del Veneto ha approvato la legge 16 agosto 2002 n. 27, la quale ha
dettato, all’art. 13, una norma di interpretazione autentica dell’art. 32, comma
4, lett. a) della legge n. 3 del 2000, attribuendo a quest’ultima disposizione,
con l’effetto retroattivo tipico delle norme interpretative, il significato
seguito sia dalla Regione che dall’Impresa appellante. In particolare è stato
chiarito che la norma da applicare, ossia l’art. 32, comma 3, delle legge
regionale n. 3 del 2000, nel vietare nuove discariche per rifiuti speciali nei
territori dei comuni in cui sono in attività altre discariche, salvo il parere
favorevole del comune interessato, ha inteso riferirsi ai comuni nei quali siano
in attività discariche diverse rispetto a quella per cui si chiede
l’autorizzazione. E poiché alla fattispecie dell’autorizzazione di nuova
discarica, il comma 4 dello stesso art. 32 equipara quella dell’ampliamento di
discarica esistente per un volume eccedente il 5%, che interessa la vicenda in
esame, il parere del comune all’ampliamento assume rilievo condizionante solo
per i comuni nei quali sia attiva altra discarica, oltre quella da ampliare.
Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3240
Rifiuti - Smaltimento dei rifiuti - Nuove disposizioni di cui alla I. n. 178 del 2002 - Nozione di rifiuto. In tema di rifiuti con l’entrata in vigore del d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito con l. 8 agosto 2002, n. 178, non rientrano nella nozione di rifiuto i beni, anche se abbiano subito un trattamento preliminare, iI cui riutilizzo sia non solo eventuale ma certo. Pres. Vitalone - Rel. Postiglione - P.M. (concl. conf.) - Agogliati e altri CORTE DI CASSAZIONE penale, Sez. III Ud. 6 giugno 2003 (dep. 31luglio 2003), n. 32235
Urbanistica e Edilizia - Costruzione abusiva - Ingiunzione a demolire emessa dalla P.A. - Trasferimento al patrimonio comunale della res abusiva - Provvedimento formale - Necessità - Fondamento - Art. 7 L. n. 47/1985. In materia edilizia, il giudice, nel procedere alla restituzione del manufatto abusivo all'avente diritto ed al fine di operare detta restituzione in favore dell'autorità' comunale, deve verificare la esistenza di un provvedimento che la P.A. e' tenuta ad adottare all'esito della procedura prevista dall'art. 7 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, che se anche ricognitivo del trasferimento "de iure" del bene al patrimonio comunale deve tenere conto della eventuale sopravvenienza di altri provvedimenti amministrativi o giurisdizionali che possano avere fatto venire meno o sospeso l'effetto acquisitivo derivante dall'inadempienza alle disposizioni contenute nel citato articolo 7. Pres. Toriello F - Est. Vitalone C - Imp. Guerra - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 05 Giugno 2003 (UD.04/04/2003) RV. 225312, sentenza n. 24320
Rifiuti - Sanità pubblica - Disciplina dei rifiuti - Traffico illecito di rifiuti - Sequestro dei mezzi utilizzati - Ambito di applicabilità - Individuazione - Art. 51, 53 D. Lg. n. 22/1997 - Art. 321 nuovo cod. proc. pen. In tema di trasporto illecito di rifiuti e' legittimo il sequestro preventivo dei mezzi utilizzati, con finalizzazione al provvedimento di confisca degli stessi, ma non degli ulteriori strumenti di lavoro (quali pale meccaniche ed escavatori) che non abbiano la qualità di mezzi di trasporto, non essendo consentita una interpretazione in "malam partem" della previsione normativa che prevede l'obbligatorietà della confisca dei mezzi in caso di condanna per trasporto illecito di rifiuti. Pres. Papadia U - Est. Postiglione A - Imp. Bonavita ed altro - PM. (Parz. Diff.) Passacantando G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 30 Maggio 2003 (CC.08/04/2003) RV. 225309, sentenza n. 23945
Inquinamento idrico - Tutela delle acque - Smaltimento di rifiuti pericolosi - Acque di sentina - Applicabilità delle disposizioni derogatorie della Convenzione MARPOL - Esclusione - Configurabilita' del reato previsto dall'art. 51 D. Lg. n. 22/1997 - L. n. 438/1982 - L. n. 662/1980. Lo smaltimento di acque di sentina delle navi, rientranti tra i rifiuti pericolosi, configura il reato previsto dall'art. 51 comma 1 lett. b) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, qualora le operazioni siano effettuate in area portuale nazionale, non trovando applicazione in questo caso le disposizioni derogatorie di cui alla Convenzione MARPOL 73/78, conclusa a Londra il 2 novembre 1993, con i relativi protocolli, ratificata e resa esecutiva con legge 29 settembre 1980, n. 662 e legge 4 giugno 1982, n. 438 Pres. Savignano G - Est. Teresi A - Imp. Cattaruzza - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 21/05/2003 (CC.12/03/2003) RV. 225607 sentenza n. 22501
Commissario per l'emergenza rifiuti - potere extra ordinem - ambiente e salute - diritti fondamentali - valori assolutamente prioritari e non disponibili - le ordinanze in deroga devono essere emanate nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico. Il principio dell’effettività della protezione ambientale pone la salute e l’ambiente come valori assolutamente prioritari, e non disponibili, neppure da soggetti pubblici con provvedimenti che operino un bilanciamento discrezionale degli interessi. Ciò nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale che, sempre più, accorda tutela incondizionata ai diritti fondamentali riconosciuti dalle norme precettive (e, di certo, non meramente programmatiche) della Costituzione (salute art.32; ambiente art.9); diritti soggettivi, cioè, insuscettibili di essere affievoliti dalla P.A. sulla base della considerazione di altri confliggenti interessi. Che neppure con i poteri straordinari attribuiti al Commissariato all’emergenza-rifiuti si possano ledere i diritti fondamentali sopra ricordati emerge, anche, dalla considerazione che i poteri di deroga alla legislazione vigente riguardano, esclusivamente, gli aspetti formali e procedurali, non certo la tutela di fondo dei beni protetti dalle varie disposizioni di legge; ed, infatti, lo stesso art.5 L.225/92, al comma 2° riconosce che le ordinanze in deroga devono essere adottate nel rispetto dei principi generali e dell’ordinamento giuridico. In altri termini, vi sono dei precetti di soglia che sono sempre inviolabili, anche a fronte di un potere extra ordinem, che, comunque, non può espandersi sino a travalicare le norme imperative, i principi dell’ordinamento e quelli della carta costituzionale posti a presidio - nel caso di specie - della salute e dell’ambiente. Nella specie, il sub commissario per la gestione dei rifiuti - per l'emergenza esistente in Campania - disponeva, a seguito dell’ulteriore emergenza relativa alla chiusura degli impianti di CDR (combustibile da rifiuti), che venissero conferite balle di CDR presso l’area dell’ex discarica c.d. SARI, sita in Terzigno, all'interno del perimetro del Parco Nazionale del Vesuvio, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale. Tribunale di Nola, Ufficio del G.I.P., Ordinanza 19 maggio 2003 (vedi: sentenza per esteso)
Discarica e smaltimento rifiuti -
il giudizio di efficienza della discarica - il potere discrezionale
amministrativo - limiti - smaltimento di rifiuti - gestione di servizi -
condizioni di legittimità e di sicurezza dell'impianto - attestazione (non
conforme a verità) che la realtà sostanziale è soddisfacente reato di falso
ideologico - la sicurezza e la salute pubblica - la mera consapevolezza della
falsità - sufficiente. Il potere discrezionale amministrativo non é
certamente mero arbitrio o volere capriccioso dell'Amministrazione svincolato
dall'osservanza di ben precisi canoni di legalità e, ancor prima, di buon senso
e ragionevolezza, specie nella gestione di servizi, come quello dello
smaltimento di rifiuti, che, interessando beni primari quali la sicurezza e la
salute pubblica, per i possibili effetti pregiudizievoli all'ecosistema
conseguenti ad un dissennato impatto ambientale, postulano il rispetto dei
parametri imposti dalla normativa primaria e secondaria ai fini della più
efficacia salvaguardia degli interessi pubblici ad essi connessi. Insomma, il
giudizio di efficienza della discarica non poteva in ogni caso andare disgiunto
dall'apprezzamento delle condizioni di legittimità e di sicurezza dell'impianto.
La fattispecie oggetto di giudizio ha rivelato, in un contesto di univoche
emergenze processuali (escussioni testimoniali ed acquisizioni documentali), che
sullo sfondo delle deliberazioni municipali in questione si stagliava una realtà
di fatto di allarmante precarietà, che il giudice di merito, con insindacabile
apprezzamento di fatto, ha motivatamente ritenuto contra legem e, dunque, priva
dei presupposti di legittimità cui si é fatto riferimento. Basti dire che la
discarica non solo versava in condizioni oggettive di inadeguatezza, assai
lontane dagli standards minimi richiesti per l'espletamento di un servizio così
rilevante per la collettività, ma era anche priva delle necessarie
autorizzazioni amministrative, al punto che il suo titolare, M. G., aveva
riportato una condanna per violazione dell'art. 25 della legge 10 settembre
1982, n. 915, con sentenza dell'8.4.1991 del Pretore di Taranto, confermata in
appello. L'avere attestato, come ineludibile premessa dei provvedimenti di
proroga, che la realtà sostanziale era, invece, soddisfacente, pur in un
contesto di così clamorosa, irregolarità, integra certamente il reato di falso
ideologico, in linea con l'affermazione giurisprudenziale di questa Suprema
Corte, univoca nell'affermare che ricorre il reato in questione nelle ipotesi di
atti a contenuto dispositivo nei quali la parte descrittiva, nel documentare la
realtà quale presupposto dell'atto stesso, attesta, anche implicitamente,
l'esistenza di una certa situazione di fatto non conforme a verità: in tal modo,
si genera su di essa l'affidamento, in quanto attestazione fidefacente
proveniente da un pubblico ufficiale (cfr., da ultimo, Cass. sez. 5, 16 ottobre
2002, n. 1108, dep. n. 2359, ed i precedenti giurisprudenziali in essa
richiamati). Ineccepibile, risulta poi il riconoscimento nella fattispecie in
esame della componente soggettiva del reato de quo, per la cui integrazione,
anche se non può risultare sufficiente il riscontro oggettivo dell'immutatio
veri, con implicazione soggettiva di dolo in re ipsa, é tuttavia sufficiente la
mera consapevolezza della falsità, non occorrendo anche l'animus nocendi vel
decipiendi (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 5, 10.12.1999, n. 1963, rv. 216354;
id. sez. 5, 10.2.1999, n. 4385, rv. 213106). Cassazione Penale, Sez. V, 05
maggio 2003, sentenza n. 20073
Il potere discrezionale amministrativo - non é svincolato dall'osservanza di
ben precisi canoni di legalità o mero arbitrio - smaltimento di rifiuti -
discarica - condizioni di legittimità e di sicurezza dell'impianto. Il
potere discrezionale amministrativo non é certamente mero arbitrio o volere
capriccioso dell'Amministrazione svincolato dall'osservanza di ben precisi
canoni di legalità e, ancor prima, di buon senso e ragionevolezza, specie nella
gestione di servizi, come quello dello smaltimento di rifiuti, che, interessando
beni primari quali la sicurezza e la salute pubblica, per i possibili effetti
pregiudizievoli all'ecosistema conseguenti ad un dissennato impatto ambientale,
postulano il rispetto dei parametri imposti dalla normativa primaria e
secondaria ai fini della più efficacia salvaguardia degli interessi pubblici ad
essi connessi. Insomma, il giudizio di efficienza della discarica non poteva in
ogni caso andare disgiunto dall'apprezzamento delle condizioni di legittimità e
di sicurezza dell'impianto. Cassazione Penale, Sez. V, 05 maggio 2003,
sentenza n. 20073
Rifiuti - Rifiuti oggetto di trasporto via mare - Operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio in aree portuali - Disciplina - Acque di sentina delle navi rientrano nella nozione di rifiuto. In attesa delle specifiche norme regolamentari e tecniche, da adottarsi ai sensi dell’art. 18 comma 2, lettera i), i rifiuti oggetto di trasporto via mare, ai sensi dell’art. 57 comma 6 bis Decreto Legislativo n. 22/1997, sono assimilati alle merci e in particolare i rifiuti pericolosi sono assimilati alle merci pericolose, per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporti via mare e la disciplina delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio in aree portuali. L’equiparazione non opera, con riferimento alle ordinarie operazioni di raccolta e di smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi nel corso ed in conseguenza della navigazione, pertanto, le acque di sentina delle navi rientrano nella nozione di rifiuto ai sensi del D.L.vo 22/97. Pres. Savignano - Est. Lombardi - P.M. Mura - Ric. Borret. - CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 29 aprile 2003 (ud. 28 febbraio 2003), n. 19791
Rifiuti - Trasporto liquami - Procedimenti Speciali (Cod. Proc. Pen. 1988) - Sospensione condizionale della pena - Concessione con la sentenza di "patteggiamento" - Subordinazione "ex officio" al l'adempimento di un obbligo (rimessione in pristino; demolizione) - Possibilità - Esclusione - Artt. 163 e 165 cod. Pen - Artt. 444 Cost, 445 e 448 cost. nuovo cod. proc. pen. - Art. 7 L. 47/1985 - Art. 164 D. LG. 490/1999. Nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice, nel ratificare il contenuto dell'accordo intervenuto tra l'imputato ed il pubblico ministero, non può alterare i dati della richiesta e subordinare il beneficio della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena all'adempimento di un obbligo la cui determinazione è considerata dalla legge come facoltativa, ma che è rimasto del tutto estraneo alla pattuizione (nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l'operatività del beneficio sospensivo non potesse essere subordinata alla demolizione del manufatto abusivamente realizzato, fermo l'obbligo del giudice di ordinare la demolizione anche a seguito di sentenza ex artt. 444 - 448 cod. proc. pen.). Pres. Savignano G - Est. Vitalone C - Imp. Leto Di Priolo - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 29 aprile 2003 (CC.28/02/2003) RV. 224887, Sentenza n. 19788
Gestione dell’emergenza rifiuti - stato di emergenza - Commissario governativo delegato per l’emergenza rifiuti - autonomia regionale - segnalazione da parte della Regione della situazione di emergenza e richiesta di intervento - concorso alla formazione delle deliberazioni che presiedono alla gestione della situazione di emergenza - invalidità dei decreti di occupazione d’urgenza dei terreni disposta dal Commissario - lesione delle competenze regionali. La situazione di necessità ed emergenza che autorizza, ai sensi dell’art.5 della legge 24 febbraio 1992, n.225, l’adozione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri di ordinanze extra ordinem non vale a comprimere senza limiti l’autonomia regionale, che esige, viceversa, per il rispetto delle relative prerogative costituzionalmente garantite, la necessità che gli interventi straordinari si realizzino d’intesa con le Regioni interessate. La Corte Costituzionale (cfr. sentenza in data 5.4.1995, n.127), giudicando in via principale su un conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione Puglia relativo ad un’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri adottata a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, ha chiarito che, nelle ipotesi in cui sono coinvolte importanti competenze (amministrative e legislative) regionali, il principio di leale cooperazione tra Stato e Regione e la necessità di salvaguardare l’autonomia di quest’ultima postulano la necessità che il programma degli interventi venga approvato d’intesa con quell’Ente. Con la medesima decisione, la Corte ha ulteriormente precisato che la previsione che la Regione formuli un mero parere sulla programmazione ed attuazione degli interventi necessitati non soddisfa le esigenze partecipative sopra segnalate, unicamente realizzate dall’intesa con la stessa, e cioè dal suo concorso alla formazione delle deliberazioni che presiedono alla gestione della situazione d’emergenza. Così chiarite le modalità procedimentali che, sole, garantiscono il rispetto dell’autonomia regionale, risulta agevole rilevare che la mera richiesta da parte della Regione dell’intervento del Governo si rivela del tutto inidonea ad integrare gli estremi dell’intesa che, secondo il chiaro insegnamento della Corte Costituzionale, deve riferirsi all’approvazione ed all’attuazione del programma generale degli interventi e non, evidentemente, all’adozione dell’iniziativa per la dichiarazione dello stato d’emergenza. Se si circoscrivesse ed esaurisse l’esigenza partecipativa della Regione alla sola segnalazione al Governo della situazione di necessità ed alla conseguente richiesta di intervento, resterebbero, infatti, indebitamente sacrificate le competenze regionali, che il principio affermato dalla Corte mira, invece, a preservare, nelle materie alle quali si riferisce la delega di poteri straordinari al Commissario (che verrebbero, infatti, esercitati senza alcuna cooperazione dell’Ente titolare). La tutela dell’autonomia costituzionalmente garantita esige, invece, che la Regione contribuisca alla gestione dell’emergenza, e, cioè, all’esercizio dei poteri straordinari delegati al Commissario, sicchè va ritenuta del tutto insufficiente, per il rispetto delle competenze dell’Ente nella specie pretermesso, la mera iniziativa di questo ai fini della dichiarazione dello stato di necessità, posto che tale segnalazione non implica, evidentemente, l’esercizio di alcuna potestà decisoria nella programmazione degli interventi. Nella specie, in coerenza con i principi appena enunciati, si è ritenuta, nell’art.1 dell’O.P.C.M. dell’11.2.1994, la sussistenza del vizio relativo alla lesione delle competenze della Regione Campania in materia di occupazioni d’urgenza e di espropriazioni per pubblica utilità. Il vizio così accertato determina, da solo, l’illegittimità delle ordinanze presidenziali attributive al Commissario delegato dei poteri extra ordinem di gestione dell’emergenza rifiuti nella Regione Campania e, in via derivata, l’invalidità dei decreti di approvazione del progetto esecutivo della realizzazione della discarica nel Comune di Giugliano e di occupazione d’urgenza dei terreni, in quanto adottati nell’esercizio di poteri illegittimamente delegati. Consiglio di Stato, V Sezione, 29.04.2003, sentenza n. 2154 (vedi: sentenza per esteso)
Norme in materia di smaltimento dei rifiuti - violazioni della normativa sui rifiuti commesse dalla ditta assuntrice dei lavori edili - il committente di lavori edili - responsabilità - limiti. Il committente di lavori edili non può, per ciò solo, essere considerato responsabile della mancata osservanza, da parte dell’assuntore di detti lavori, delle norme in materia di smaltimento dei rifiuti, non essendo derivabile da alcuna fonte giuridica (legge, atto amministrativo o contratto) l’esistenza, in capo al committente, di un dovere di garanzia dell’esatta osservanza delle suindicate norme. Mentre il committente di lavori edilizi e/o urbanistici, è corresponsabile assieme all’assuntore dei lavori per la violazione delle norme urbanistiche, ai sensi dell’art. 6 legge 47/1985: come tale ha un obbligo di vigilanza ovvero una posizione di garanzia ai sensi dell’art. 40 cpv. cod. pen., sicché può essere ritenuto corresponsabile, per esempio, di lavori edilizi commessi dall’assuntore in difformità dalla concessione, in quanto non ha impedito, dolosamente o colposamente, un evento che aveva l’obbligo di impedire. Diversa è invece l’ipotesi di violazioni della normativa sui rifiuti, eventualmente commesse dalla ditta assuntrice dei lavori edili. A questo riguardo non è ravvisabile alcuna fonte giuridica (legge, atto amministrativo o contratto) che fondi un dovere del committente di garantire l’esatta osservanza della anzidetta normativa da parte dell’assuntore dei lavori. (In questo senso non sembra condivisibile l’applicazione che dell’art. 40 cpv. c.p. ha fatto Cass. Sez. III, sent. n. 4957 del 21 gennaio 2000, Rigotti e altri, rv. 215943). Corte di Cassazione penale, Sez. III, (ud. 28 gennaio 2003) 21 aprile 2003, n. 15165
Rifiuti - Smaltimento e consegna a terzi - Sanità pubblica - In genere - Produttore-detentore di rifiuti speciali - Consegna dei rifiuti a terzi autorizzati - Obbligo di verificare che si tratti di terzi autorizzati - Sussistenza - Violazione - Responsabilità a titolo di concorso in ordine al reato di cui all'art.51, comma 1, D.L.G. n.22/1997 - Configurabilità - Artt. 10 D. Lg. n. 22/1997. Il produttore-detentore di rifiuti speciali non pericolosi (nella specie pneumatici usati), qualora non provveda all'autosmaltimento o al conferimento dei rifiuti a soggetti che gestiscono il pubblico servizio, può, ex art.10 D.L.G. n.22 del 1997, consegnarli ad altri soggetti ma, in tal caso, ha l'obbligo di controllare che si tratti di soggetti autorizzati alle attività di recupero o smaltimento; ove, per contro, tale doverosa verifica sia omessa, il produttore-detentore risponde a titolo di concorso con il soggetto qualificato (nella specie smaltitore), nella commissione del reato di cui all'art. 51, comma 1, D.L.G. n.22 del 997(attività di gestione non autorizzata). Pres. Toriello F - Est. Squassoni C - Imp. Battaglino - PM. (Conf.) Siniscalchi A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 17/04/2003 (UD.19/02/2003) RV. 224249 sentenza n. 16016
Servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani - rinnovo tacito del contratto - condizioni - convenienza economica - istruttoria. L’art. 44 della legge 1994 n. 724, reca il divieto di rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ammettendone la rinnovazione quando sussistano ragioni di convenienza e di pubblico interesse. Con il concetto di convenienza la legge ha voluto riferirsi al profilo del vantaggio economico che sarebbe derivato dalla rinnovazione, poiché il pubblico interesse è espressamente menzionato come secondo presupposto della rinnovazione. Assumono anche rilievo le disposizioni del ricordato art. 6, ai commi 6 e 11, recanti disposizioni specificamente dirette ad acquisire le informazioni concernenti i prezzi correnti al precipuo fine di valutare la convenienza della rinnovazione. Se ne trae il convincimento che il profilo delle condizioni di carattere economico, alle quali il contratto viene rinnovato deve essere oggetto di istruttoria. Non può allo stesso fine considerarsi sufficiente la circostanza che l’impresa titolare del servizio, continuerebbe a svolgerlo agli stessi prezzi già praticati con il precedente rapporto. E’ evidente infatti che in tal modo risulta elusa la finalità della disposizione applicata, da individuarsi nella imposizione di nuove negoziazioni capaci di ottenere le economie oggettivamente possibili in relazione alle concrete condizioni di mercato. Consiglio di Stato, Sezione V, 17.04.2003, sentenza n. 2079
Rifiuti - Nozione di deposito
temporaneo dei rifiuti - Art. 6, lett. m) punto 2 D. L.vo n. 22/1997 - Reato di
deposito incontrollato di rifiuti per superamento dei limiti temporali -
Sussiste - Artt. 50 e 51, c. 2, D. L.vo n. 22/1997. La nozione di deposito
temporaneo dei rifiuti non è priva di limiti temporali e oggettivi. Nei casi in
cui il deposito temporaneo superi i limiti temporanei stabiliti nell’art. 6,
lett. m) punto 2 D. L.vo n. 22/1997, si realizza il reato di deposito
incontrollato di rifiuti e non il semplice illecito amministrativo
dell’abbandono di rifiuti previsto dall’art. 50 decreto citato, poiché il
sistema sanzionatorio all’art. 50 inserisce l’espressione”fatto salvo quanto
disposto nell’art. 51, c. 2,”, ben chiarendo che la prima norma riguarda la
fattispecie dell’abbandono/deposito incontrollato di rifiuti operato da privati
cittadini, mentre la seconda concerne la stessa attività, commessa da un
titolare di ente o impresa. - Est. P. Caccialanza - Imp. Diotto. - TRIBUNALE
DI MILANO Sezione X, Giudice Monocratico, 16 aprile 2003 (ud. 7 marzo 2003),
Sentenza n. 2609
Rifiuti - Nuova interpretazione di rifiuto - L. n. 178/2002. Rifiuti -
Mancato stoccaggio dei rifiuti per classi omogenee - Depositati su aree non
pavimentate e prive di protezione dagli agenti atmosferici - Art. 6, lett. a) e
c), D.M. 5.2.1998. La nuova interpretazione di rifiuto, ex l. n. 178/2002,
esclude la qualità di rifiuto a condizione che i materiali possano essere e
siano effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o analogo o
diverso ciclo produttivo. Nei casi di violazione del rispetto delle norme
tecniche di sicurezza, il mancato stoccaggio dei rifiuti per classi omogenee,
depositati su aree non pavimentate e prive di protezione dagli agenti
atmosferici configura l’ipotesi di reato prevista all’art. 6, lett. a) e c), del
D.M. 5 febbraio 1998. - Est. P. Caccialanza - Imp. Diotto. - TRIBUNALE DI
MILANO Sezione X, Giudice Monocratico, 16 aprile 2003 (ud. 7 marzo 2003),
Sentenza n. 2609
Rifiuti - Deposito temporaneo dei rifiuti - Operazioni di raccolta dei
rifiuti - Deposito preliminare - Messa in riserva - Operazioni gestione dei
rifiuti. Il deposito temporaneo precede le operazioni di raccolta dei
rifiuti, e costituisce un’operazione preparatoria ad una delle operazioni di
recupero o di smaltimento elencate negli allegati II A e II B, punti da D1 a D15
e, rispettivamente da R1 a R13, della direttiva 75/442 e succ. mod., le
operazioni di recupero e di smaltimento compresi la messa in riserva ed il
deposito preliminare, rappresentano invece due diverse modalità di gestione dei
rifiuti. (Corte di Giustizia Europea 15 ottobre 1999). - Est. P. Caccialanza -
Imp. Diotto. - TRIBUNALE DI MILANO Sezione X, Giudice Monocratico, 16 aprile
2003 (ud. 7 marzo 2003), Sentenza n. 2609
Rifiuti - Nozione di rifiuto -
Art. 6 D. L.vo n.22/1997 - Elementi. In base all’art. 6 decreto legislativo
n. 22 del 1997, la nozione di rifiuto si combina di due elementi: l’appartenenza
obiettiva di una certa sostanza ad una categoria individuate nell’Allegato A del
decreto; la condotta del detentore della res, che di essa si disfi, o abbia
deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi. Pres. Toriello - Est. Fiale -
P.M. Izzo (concl. diff.) - Ric. Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez.
III Penale, 15 aprile 2003, (ud. 15 gennaio 2003), n. 17656 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Elenco dei rifiuti non ha carattere esaustivo. L’elenco dei
rifiuti non è di per sé esaustivo, infatti, lo stesso contempla anche categorie
residuali quali le voci Q1 (residui non specificati) e Q16 (sostanze non
rientranti nelle categorie precedenti). Pres. Toriello - Est. Fiale - P.M. Izzo
(concl. diff.) - Ric. Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale,
15 aprile 2003, (ud. 15 gennaio 2003), n. 17656 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Concetto di rifiuto - Interpretazione autentica ex art. 14 d.l.
138/02 conv. l. 178/2002 - Questione di incostituzionalità - Sussiste. Per
un’interpretazione autentica del concetto di rifiuto soccorre l’art 14 del
decreto legge n. 138/02 convertito in legge n. 178/02, secondo cui l’intenzione
o obbligo di disfarsi della res non ricorrono quando le sostanze in discorso
siano effettivamente riutilizzate, nel medesimo o in altro processo produttivo,
senza subire trattamenti e senza pregiudizio per l’ambiente, ovvero dopo aver
subito un trattamento preventivo che non comporti alcuna operazione di recupero
tra quelle indicate nell’allegato C del D. L.vo n. 22 del 1997. (ndr: Sollevando
la questione di incostituzionalità numerosi giudici di merito hanno rimesso la
norma sull’interpretazione autentica alla Corte Costituzionale e la Corte di
Giustizia Europea ha aperto una procedura di infrazione contro il Governo
Italiano). Pres. Toriello - Est. Fiale - P.M. Izzo (concl. diff.) - Ric.
Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 15 aprile 2003, (ud.
15 gennaio 2003), n. 17656 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Nozione di rifiuto - Interpretazione estensiva - Tutela
dell’ambiente - Necessità - Criterio di distinzione tra i rifiuti e i
sottoprodotti. Per esigenze di tutela dell’ambiente la nozione di rifiuto
deve essere interpretata estensivamente, avendo riguardo al grado di probabilità
dell’effettivo riutilizzo senza trasformazioni preliminari della res e tale
indice di probabilità può costituire un utile criterio di distinzione tra i
rifiuti e i sottoprodotti che tali non sono.Pres. Toriello - Est. Fiale - P.M.
Izzo (concl. diff.) - Ric. Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III
Penale, 15 aprile 2003, (ud. 15 gennaio 2003), n. 17656 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Le decisioni della Corte di Giustizia Europea sono immediatamente
applicabili in Italia - Obbligatoria disapplicazione della norma nazionale in
contrasto con quella comunitaria. Secondo la giurisprudenza della Corte
Costituzionale, in materia di rifiuti le decisioni della Corte di Giustizia
Europea sono immediatamente applicabili in Italia e conseguente obbligatoria
disapplicazione, da parte dei giudici, della norma nazionale in contrasto con
quella comunitaria.Pres. Toriello - Est. Fiale - P.M. Izzo (concl. diff.) - Ric.
Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 15 aprile 2003, (ud.
15 gennaio 2003), n. 17656 (vedi:
sentenza per esteso)
Rifiuti - Materiali da demolizione - Sanità pubblica - Gestione dei rifiuti - Natura di rifiuti speciali - Entrata in vigore della legge n. 443/2001 - Persistenza della natura di rifiuti - D. Lg. n. 22/1997 - Art 1 comma 17 cost. L. n. 443/2001. In tema di gestione di rifiuti, anche dopo la entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001 n. 443 (delega al governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi - cd legge obiettivo) i rifiuti derivanti da attività di demolizione continuano a costituire rifiuti speciali, in quanto strutturalmente diversi dai materiali provenienti da scavo e per i cui prodotti l'art. 1, comma 17, della citata legge prevede l'esclusione dall'ambito di applicazione dei rifiuti. Pres. Toriello F - Est. Squassoni C - Imp. Cavallaro A - PM. (Conf.) Suraci S. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 07/04/2003 (UD.19/02/2003) RV. 224481 sentenza n. 16012
Rifiuti - Autorizzazione e silenzio assenso - Sanità pubblica - In genere - Smaltimento di rifiuti - Possibilità - Esclusione - Fondamento - Art. 28 D. L. n. 22/1997 - D. P. R. n. 300/1992 - D. P. R. n. 407/1994. In tema di smaltimento dei rifiuti non e' configurabile il formarsi del silenzio assenso sulla richiesta di autorizzazione formulata ai sensi dell'art. 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che tale provvedimento deve sempre assumere la forma scritta e deve essere corredato da adeguata motivazione al fine di rendere efficace il controllo sul corretto uso della discrezionalità amministrativa in una materia di particolare delicatezza e rilevanza per la tutela ambientale. Pres. Savignano G - Est. Vitalone C - Imp. Frere' S - PM. (Parz. Diff.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 07/04/2003 (UD.12/02/2003) RV. 224722 sentenza n. 16001
Smaltimento dei rifiuti - ordinanza contigibile e urgente emessa dal sindaco - può essere adottata anche per prevenire danni in materia di sanità ed igiene - pericolo per la salute pubblica e l’ambiente - deposito di rifiuti in via d’urgenza - potere derogatorio - danno ambientale - responsabilità. L’ordinanza contingibile ed urgente emessa dal Sindaco ai sensi dell’art. 38 L. n. 142/1990, può essere adottata non solo per porre rimedio a danni già verificatisi in materia di sanità ed igiene ( oltre che in materia edilizia e polizia locale) ma anche per prevenire tali danni (V. le decisioni sez. IV n. 926 del 21.11.1994, sez. V n. 1904 del 2.4.2001), come del resto espressamente previsto dal menzionato art. 38 che consente tali provvedimenti “al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini”. Orientamento ribadito recentemente anche dalla Cassazione a sezioni unite (sentenza n. 490 del 17.1.2002) nell’annullare con rinvio la sentenza Trib. Sup acque pubbliche in data 19.5.2000. (Nella specie era indubbiamente sussistente una grave situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente. Nell’urgenza di provvedere legittimamente è stato individuato nella società incaricata dello smaltimento dei rifiuti il soggetto destinatario dell’ordinanza. Inizialmente il Sindaco, al fine di tutelare con urgenza la salute pubblica ai sensi dell’art 12 D.P.R. 10.9.1982 n. 915 e su parere conforme delle autorità sanitarie locali, aveva ordinato alla società, in mancanza di discariche autorizzate e controllate, di ammassare, depositare ed interrare i rifiuti solidi urbani comunali utilizzando in via temporanea un terreno nel territorio comunale ritenuto idoneo allo scopo. Tra le prescrizioni da osservare da parte della società non veniva prevista in detta ordinanza la preventiva sistemazione di opere di captazione delle acque di percolazione con idoneo smaltimento delle stesse. Cautela che veniva inserita solo nella successiva ordinanza di proroga dell’ammasso dei rifiuti, quando il deposito dei rifiuti era già avvenuto in via d’urgenza per circa cinque mesi senza alcuna preparazione preventiva dell’area, ma ormai il danno ambientale era stato provocato, non potendosi più provvedere ad adempimenti che potevano essere effettuati solo in via preventiva. In una situazione del genere, la società avrebbe dovuto rifiutarsi di adempiere all’ordinanza n.15/1983 e per non averlo fatto è in parte colpevole, ma certamente una buona parte dell’inquinamento ambientale provocato era addebitabile proprio alla circostanza che la prima ordinanza non aveva prescritto la preparazione del terreno e l’ammasso dei rifiuti da temporaneo era diventato di una certa stabilità. Quali potrebbero essere state poi le ripercussioni di questa iniziale carenza e della trasformazione di un ammasso di rifiuti da temporaneo a permanente sull’inquinamento che era stato complessivamente provocato è aspetto che doveva essere attentamente valutato dal Comune, prima di addossare ogni responsabilità alla Società, mentre ciò non era stato fatto. Vengono tratte le dovute conseguenze delle ordinanze in relazione al loro specifico contenuto che era derogatorio della normativa vigente sulla base dell’art. 12 D.P.R. n.915/82, anche con riferimento alle norme tecniche di apertura e gestione di una discarica di rifiuti (V. Cassazione penale, n.5378 del 30.5.1996 e precedenti ivi indicati). Potere derogatorio che è stato solo dopo i fatti di causa ridimensionato, non potendo avere una durata superiore a sei mesi e dovendosi comunque assicurare un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente (ai sensi dell’art.13 D. L.vo 5.2.1997 n.22, come modificato dall’art. 1 D.L.vo 8.11.1997 n. 389).) Consiglio di Stato, Sez. V, 7 aprile 2003, n. 1831
Inquinamento - Smaltimento di rifiuti - Materiali da scavo e sbancamento di strade - Disciplina dei rifiuti - Applicabilità - Esclusione - Art. 6 D. Lg. n. 22/1997 - L. n. 178/2002 - Art. 14 D. L. n. 138/2001 - Art. 1 comma 17 cost L. n. 443/2001. I materiali di scavo e sbancamento di una pubblica via, anche se contenenti modeste parti di asfalto, non rientrano nella nozione di rifiuto, atteso che le terre e rocce da scavo, anche se contaminate, sono riutilizzabili purché non provengano da siti inquinati o da bonifiche. Pres. Vitalone C - Est. Postiglione A - Imp. Mortellaro G - PM. (Diff.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 24/03/2003 (UD.11/02/2003) RV. 224721 sentenza n. 13114
Rifiuti - Raccolta, smaltimento e discarica - Rifiuti non pericolosi - Rfiuti pericolosi - Art. 51 D. L.vo n. 22/1997 - Fattispecie: batterie esaurite di autoveicoli. La fattispecie di cui all'art. 51, comma 1, lett. a), d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 può concorrere con quella di cui alla lett. b) dello stesso comma 1, imputandosi la prima alle operazioni di raccolta e smaltimento di rifiuti non pericolosi e la seconda al compimento delle medesime attività aventi, comunque, ad oggetto i rifiuti pericolosi. Fattispecie: smaltimento e stoccaggio di autoveicoli all'interno dei quali si rivengono altresì rifiuti pericolosi quali batterie esaurite con codice CeR 160601. CORTE DI CASSAZIONE penale, sez. III, 28 febbraio 2003, n. 9375
Rifiuti - Sanità pubblica - In genere - Smaltimento di rifiuti - Materiali da scavo e sbancamento di strade - Disciplina dei rifiuti - Applicabilità - Esclusione - Art. 6 D. Lg. n. 22/1997 - L. n. 178/2002 - Art. 14 D. L. n. 138/2001 - Art. 1 comma 17 cost L. n. 443/2001. I materiali di scavo e sbancamento di una pubblica via, anche se contenenti modeste parti di asfalto, non rientrano nella nozione di rifiuto, atteso che le terre e rocce da scavo, anche se contaminate, sono riutilizzabili purché non provengano da siti inquinati o da bonifiche. Pres. Vitalone C - Est. Postiglione A - Imp. Mortellaro G - PM. (Diff.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 24/03/2003 (UD.11/02/2003) RV. 224721 sentenza n. 13114
Rifiuti - Sanità pubblica - Recupero di rifiuti non pericolosi - Procedure semplificate ex art.31 e 33 D.L.G. n.22/1997 - Utilizzo per lo stoccaggio di pavimentazione a mezzo di laminati di metallo - Configurabilità del reato di cui all'art.51 c. 4, D.Lg. n.22/1997 - Esclusione - Ragioni - All. lett. c, D. M. ambiente n. 6/1998. In tema di recupero di rifiuti non pericolosi, non integra il reato di cui all'art.51, comma 4, del D.L.G. n.22 del 1997 (attività di gestione non autorizzata)l'utilizzazione per lo stoccaggio di una pavimentazione a mezzo di laminati di metallo (dotati di rete per la raccolta delle acque) in quanto l'art.6, lett. c) del D.M. 5 febbraio 1998 (recante norme sulla individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alla procedura semplificata di recupero ai sensi degli art. 31 e 33 del d. lgs.vo n.22 del 1997) non esige la pavimentazione in cemento ma solo basamenti pavimentati e, comunque, impermeabili, posto che la finalità della norma e' quella di permettere la separazione dei rifiuti dal suolo sottostante, ossia l'assenza di un reale pregiudizio all'ambiente (art.33, comma 2, lett. a), n.3, d.lgs.vo n.22 del 1997). Pres. Vitalone C - Est. Postiglione A - Imp. Traversi - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 24 Marzo 2003 (UD.11/02/2003) RV. 224246, sentenza n. 13105
Affidamento della gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani - costituzione di società mista - fallimento della società affidataria - revoca della costituzione della società mista - scelta di nuovo partner privato che inizialmente era stato escluso della gara - l’utilizzo dell’autotutela - condizioni. L’affidamento è avvenuto in via provvisoria al dichiarato scopo di far fronte ad una situazione eccezionale determinatasi a seguito del fallimento della società che in precedenza gestiva il servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti, essendo questo un servizio che non tollera, per la sua natura, interruzioni. L’affidamento a carattere temporaneo di per sé solo non è idoneo a danneggiare l’interesse dell’appellante alla costituzione della società mista destinata per la durata di venti anni. Invece, la lesione dell’interesse dell’appellante si è verificata con l’adozione del provvedimento di revoca dei precedenti atti relativi alla costituzione della società mista e alla scelta del partner privato, manifestandosi un eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione in quanto detta revoca è stata genericamente motivata con la asserita incongruità dell’offerta economica. L’utilizzo dell’autotutela decisoria successiva alla conclusione è subordinata: a) all’obbligo di motivazione; b) alla presenza di concrete ragioni di pubblico interesse, non riducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità; c) alla valutazione dell’affidamento delle parti private destinatarie del provvedimento oggetto di riesame, tenendo conto del tempo trascorso dalla sua adozione; d) al rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale, ivi compreso l’avviso di avvio del procedimento di ritiro; e) all’adeguata istruttoria. Venuta a meno la situazione di urgenza, è dovere dell’amministrazione affidare il servizio con procedura di evidenza pubblica ed espletamento di una nuova gara. Consiglio di Stato, sezione VI, 24 marzo 2003, n.1520
Rifiuti - Albo nazionale delle
imprese che effettuano la gestione dei rifiuti - D.M. n. 406 del 28.04.98 -
Regolamento attuativo - Mancato concerto con il Ministero della Sanità -
Irrilevanza - Regolamentazione del trasporto dei rifiuti - Regolamentazione
delle modalità di iscrizione all’albo - Diversificazione - Operata con il D. Lgs.
22/97, artt. 18 e 30. Il regolamento recante la disciplina dell’Albo
nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, approvato con
decreto del Ministro dell’Ambiente - di concerto con i Ministri dell’Industria,
Commercio e Artigianato, Trasporti e Navigazione e Tesoro - n. 406 del
28.4.1998, senza il concerto del Ministro della Sanità, non presenta profili di
illegittimità. Ciò in quanto il D.Lgs. 5.2.1997, n. 22, normativa presupposta
del regolamento attuativo de quo, prevede all’art. 18, comma 2, lettera i) che
“la regolamentazione del trasporto dei rifiuti” sia di competenza dello Stato,
con successiva specificazione, al comma 4, delle modalità di concerto (estese al
Ministro della Sanità) per l’emanazione delle “norme regolamentari e tecniche di
cui al comma 2; all’art. 30, prevede la regolamentazione delle “attribuzioni e
modalità organizzative” dell’albo nazionale delle imprese, esercenti servizi di
smaltimento dei rifiuti, tramite “decreti del Ministro dell’Ambiente, di
concerto con i Ministri dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, dei
Trasporti e della Navigazione e del Tesoro”: a quest’ultima norma appare
pienamente conforme il D.M. n. 406/98, che disciplina appunto il predetto albo.
La possibilità di una disciplina differenziata fra la regolamentazione del
trasporto dei rifiuti in senso stretto e la regolamentazione delle modalità di
iscrizione in un apposito albo delle imprese, che tale trasporto effettuano,
appare rimessa alla discrezionalità del legislatore, che ha operato tale
diversificazione nella medesima normativa di rango primario. Pres. Giulia, Est.
De Michele - Bianchet (Avv. Fauceglia) c. Ministero dell’Ambiente e altri (Avv.
Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis - 24 marzo 2003, n. 2782
Rifiuti - Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti
- D.M. n. 406 del 28.04.98 - Regolamento attuativo - Art. 12, c. 3 -
Professionisti abilitati ad attestare l’idoneità dei mezzi di trasporto con
perizia giurata - Esclusione dei periti industriali chimici - Attribuzione delle
competenze a professionisti in possesso di titolo di laurea - Disparità di
trattamento - Inconfigurabilità. Il regolamento recante la disciplina
dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti,
approvato con decreto del Ministro dell’Ambiente - di concerto con i Ministri
dell’Industria, Commercio e Artigianato, Trasporti e Navigazione e Tesoro - n.
406 del 28.4.1998, nella parte (art. 12, comma 3, lett. a), in cui elenca i
professionisti (ingegneri, chimici e medici igienisti) abilitati ad attestare a
mezzo di perizia giurata l’idoneità dei mezzi di trasporto, in relazione ai tipi
di rifiuti da trasportare, senza fare menzione dei periti industriali e quindi
implicitamente escludendoli, non presenta profili di illegittimità. Risponde a
criteri di logica e comune buon senso la maggiore specializzazione,
corrispondente all’approfondimento di una determinata disciplina nell’ambito di
un corso di laurea, tanto da giustificare in qualsiasi comparto lavorativo
distinzioni di grado e di livello, basate anche sul titolo di studio. Pertanto,
pur avendo i periti industriali chimici un’elevata professionalità, per
l’attribuzione della competenza di cui si discute, non può non considerarsi
rimesso al merito assoluto delle scelte, discrezionalmente compiute dalle
Autorità competenti, l’attribuzione della competenza stessa a soggetti, in
possesso di titolo di laurea, attinente al settore interessato. La volontà di
avvalersi di tale livello di competenze, non richiede specifica motivazione,
essendo di immediata comprensione la differenza fra chimici, medici igienisti ed
ingegneri da una parte e periti industriali chimici dall’altra e non potendosi
individuare una disparità di trattamento, per valutazioni differenziate basate
sul diverso livello del titolo di studio. Pres. Giulia, Est. De Michele -
Bianchet (Avv. Fauceglia) c. Ministero dell’Ambiente e altri (Avv. Stato) -
T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis - 24 marzo 2003, n. 2782
Discarica rifiuti - "atti a
sorpresa" (prelievo di un campione "da un rigagnolo di tracimazione dei
liquami", poi sottoposto ad analisi presso il laboratorio di igiene e profilassi
dell'A.S.L.) - legittimità. Non sussiste l'obbligo di emettere
l'informazione di garanzia di cui all'art. 369 c.p.p. anteriormente ai
provvedimenti di perquisizione e sequestro, che sono "atti a sorpresa" con
facoltà di presenza del difensore ma senza obbligo di preavviso (Cass. Sezioni
Unite sentenza 23.2.2000, n. 7, ric. Mariano): tale principio è ricavabile dalle
stesse finalità cui si ispira l'istituto dell'informazione di garanzia che, se
pure collegata ad un atto che prevede la presenza del difensore, non è tuttavia
finalizzata alla conoscenza, da parte dell'indagato, di tale specifico atto, ma
risponde soltanto allo scopo di fargli conoscere (qualora non ne risulti già
reso edotto) che sono in corso attività di indagine che lo riguardano. La stessa
natura degli "atti a sorpresa" mal si concilia con il previo invio della
informazione d garanzia, attesa la prevalenza delle primarie esigenze di tutela
dell'autenticità della prova rispetto alla completa operatività del meccanismo
previsto dall'art. 369 c.p.p.. Cassazione Penale, Sez. III, 19 marzo 2003, n.
8112 (vedi:
sentenza per esteso)
Sequestro di un campione di liquame proveniente da discarica di rifiuti -
l'informazione di garanzia - compimento di un atto a sorpresa - l'invito a
comparire - compimento di atti di perquisizione o sequestro - persona sottoposta
alle indagini - difensore di fiducia - difensore di ufficio - "atti consecutivi"
- la nullità comminata dall'art. 369 bis c.p.p. - ai sensi del combinato
disposto degli artt. 180 e 182 c.p.p. - lo strumento delle "memorie o
richieste". Per coordinare l'informazione di garanzia con quella stabilita
dalla legge n. 60 del 2001 la prima deve essere fornita ove venga compiuto un
atto a sorpresa, ma non necessariamente prima o congiuntamente allo stesso,
mentre l'omessa informazione di cui all'art. 369 bis c.p.p. determina la nullità
degli atti conseguenti ove non venga effettuata prima dell'invito a comparire a
rendere l'interrogatorio ovvero in un momento antecedente o contemporaneo al
compimento del primo atto determinato e programmato a cui ha diritto di
assistere il difensore, restando esclusa la necessità di dette informazioni ove
esista già in atti la nomina di un difensore di fiducia anche in un procedimento
riunito a quello nel quale detta nomina sia stata effettuata, in aderenza alla
sua ratio legis. (Cass., Sez. III, 7.12.2001, ric. Zadra). Rileva il Collegio
che il legislatore - facendo riferimento "al compimento del primo atto"
garantito - ha ripreso l'espressione già utilizzata nel testo originario
dell'art. 369 c.p.p. (antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n.
332/1995) ed un'esegesi testuale dell'espressione medesima porterebbe a
concludere nel senso che la notifica dovrebbe avvenire ad atto già compiuto.
Un'interpretazione razionale del testo (prospettata anche da autorevole
dottrina) conduce, però, a ritenere che la comunicazione della nomina del
difensore di ufficio debba essere notificata prima del compimento di quegli atti
per i quali il difensore ha diritto all'avviso di cui agli artt. 360, commi 1 e
2, e 364, commi 1 e 2, c.p.p., nonché data personalmente (senza previa notifica)
contestualmente all'esecuzione dei c.d. "atti a sorpresa", per i quali il
difensore ha diritto di assistere ma non ha diritto all'avviso. Al disposto
dell'art. 365, 1° comma, c.p.p. [secondo il quale "il pubblico ministero, quando
procede al compimento di atti di perquisizione o sequestro, chiede alla persona
sottoposta alle indagini, che sia presente, se è assistita da un difensore di
fiducia e, qualora ne sia priva, designa un difensore di ufficio a norma
dell'art. 97 comma 3"] non si correla alcuna sanzione espressa di nullità,
mentre la nullità comminata dall'art. 369 bis c.p.p. deve essere qualificata di
carattere generale non assoluta (artt. 178, lett. c, e 180 c.p.p.) riverberante
i suoi effetti soltanto nei confronti di quegli "atti consecutivi" che dipendono
da quello dichiarato invalido. Ne consegue che la nullità comminata dall'art.
369 bis c.p.p. - ai sensi del combinato disposto degli artt. 180 e 182 c.p.p. -
deve essere eccepita dalla parte, a pena di decadenza, prima del compimento
dell'atto o, quando ciò non sia possibile, immediatamente dopo e, nella specie,
deve escludersi che essa potesse essere fatta valere in sede di riesame. Il
termine per fare valere la nullità di un atto a cui la parte assiste, infatti -
secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. I 24,6.1997, n. 4017) -
non si pone in relazione alla necessaria effettuazione di un successivo atto cui
intervenga la stessa parte o il difensore, ben potendo, in realtà, la
formulazione dell'eccezione aver luogo anche al di fuori dell'espletamento di
specifici atti, mediante lo strumento delle "memorie o richieste" che, ai sensi
dell'art. 121 c.p.p., possono essere inoltrate "in ogni stato e grado del
procedimento" (vedi pure Cass., Sez. VI: 21.1.1993, n. 3971 e 4.3.1994. n.
2705). (Nella fattispecie in esame il sequestro di un campione di percolato di
liquame proveniente da discarica di rifiuti, venne imposto dalla P.G. in data
13.3.2002 ed il provvedimento di convalida ed autonoma applicazione della misura
- emesso dal G.I.P. il 19.3.2002 - venne notificato all'indagato Q. A. il
25.3.2002 con contestuale invito, rivolto allo stesso ai sensi dell'art. 114
disp. att. c.p.p., di nominare un difensore di fiducia. Non fu nominato, in
quella occasione, un difensore di ufficio, ma la relativa nullità deve ritenersi
sanata a norma dell'art. 182, 2° comma, c.p.p., poiché non immediatamente
dedotta dopo il compimento dell'atto. Cassazione Penale, Sez. III, 19 marzo
2003, n. 8112 (vedi:
sentenza per esteso)
Il pubblico ministero che riceve il verbale di un sequestro eseguito in via
di urgenza dalla polizia giudiziaria ha il potere di qualificarlo giuridicamente
- sequestro preventivo (richiesta al giudice della convalida) - sequestro
probatorio (può convalidarlo egli stesso). Secondo la giurisprudenza
costante di questa Corte Suprema, il pubblico ministero che riceve il verbale di
un sequestro eseguito in via di urgenza dalla polizia giudiziaria ha il potere
di qualificarlo giuridicamente. Pertanto, se lo ritiene sequestro preventivo,
richiede al giudice la convalida; se invece lo ritiene sequestro probatorio, può
convalidarlo egli stesso, a norma dell'art. 355, 1° comma, c.p.p. (vedi Cass.:
Sez. III, 28.9.1995, n. 1038; Sez. VI, 26.1.1993, n. 3981; Sez. VI, 10.11.1992,
n. 3981; Sez. VI, 7.7.1992, n. 2085; Sez. Un., 18.6.1991, Caltabiano). (Nella
fattispecie, si trattava di un sequestro a sorpresa di un campione di percolato
proveniente da una discarica di rifiuti comunale). Cassazione Penale, Sez.
III, 19 marzo 2003, n. 8112 (vedi:
sentenza per esteso)
Procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di
sequestro. Alla stregua della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa
Corte Suprema, infatti, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il
riesame di provvedimenti di sequestro:
- la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del
Tribunale (e di questa Corte) non può tradursi in una anticipata decisione della
questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al
reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di
compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante
una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Cass.,
Sez. Un., 7.11.1992, rio. Midolini);
- le condizioni generali per l'applicabilità delle misure cautelari personali,
indicate nell'art. 273 c.p.p., non sono estensibili, per la loro peculiarità,
alle misure cautelari reali e da ciò deriva che, ai fini della verifica in
ordine alla legittimità del provvedimento mediante il quale sia stato ordinato
il sequestro preventivo di un bene pertinente ad uno o più reati, è preclusa
ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla
gravità di essi e alla colpevolezza dell'indagato (Cass., Sez. Un., 23.4.1993,
ric. Gifuni);
- "l'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto
il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere
censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali
risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di
verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
Il Tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere
l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni
difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni
aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Cass., Sez.
Un., 29.1.1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri). (Nella fattispecie, si
trattava di un sequestro a sorpresa di un campione di percolato proveniente da
una discarica di rifiuti comunale). Cassazione Penale, Sez. III, 19 marzo
2003, n. 8112 (vedi:
sentenza per esteso)
Emergenza rifiuti - il requisito dell’imprevedibilità dell’evento - presupposti - legittimità della requisizione - ordinanza extra ordinem - strumenti ordinari - pericolo incombente sulla collettività. Il requisito dell’imprevedibilità dell’evento non è, in assoluto, un presupposto di legittimità della requisizione come tale richiesto dall’art. 7 della L. 2248 all.E del 1865, né, in generale, dalle norme che prevedono poteri di ordinanza extra ordinem, in quanto ciò che è necessario constatare, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 7, è se la situazione sia (o non) fronteggiabile con strumenti ordinari; e, sotto tale aspetto, non c’è dubbio che, trattandosi, come è incontestato, di una emergenza rifiuti e, quindi, di una situazione di pericolo incombente sulla collettività, il provvedimento adottato può ritenersi ampiamente giustificato. Consiglio di Stato, V sezione, del 17 marzo 2003 sentenza n. 1371
Rifiuti - Bonifica e ripristino
ambientale - Poteri del Sindaco - Artt. 14 e17 D. L.vo n. 22/1997 - Sito
inquinato è oggetto di procedura concorsuale - Soggetti obbligati e recupero
delle somme anticipate - Ammissione al passivo - Art. 18 D.M. n. 471/1999.
Il Sindaco, in base a quanto disposto nel Decreto Legislativo del 5 febbraio
1997 n. 22, artt. 14 e 17, può disporre con ordinanza le operazioni necessarie
per il ripristino ambientale previa fissazione di un termine per l’adempimento,
decorso il quale, l’ente pubblico (Comune o Regione ove il primo non provveda)
procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle
somme anticipate. Se il sito inquinato è oggetto di procedura concorsuale di cui
al R.D. n. 267/1942, il Comune deve domandare l’ammissione al passivo per la
somma corrispondente all’onere di bonifica preventivamente determinato in via
amministrativa, art. 18 D.M. n. 471/1999. - Pres. Dell’Aringa - Est. Bernardi.
TRIBUNALE DI MANTOVA, sez. II, 6 marzo 2003
Rifiuti - Ripristino ambientale - Soggetto obbligato - Curatore fallimentare
- Limiti e condizioni - Artt. 93 e 101, l. fall.. L’ordine di ripristino
ambientale deve essere rivolto, unicamente, al soggetto obbligato, e per tale
deve intendersi colui il quale abbia tenuto un comportamento commissivo od
omissivo nell’abbandono dei rifiuti qualificato almeno dalla colpa. Al Curatore
fallimentare, non può essere addebitato l’obbligo di ripristino ambientale al di
fuori dell’ipotesi di rifiuti prodotti per effetto dell’esercizio dell’attività
in corso di procedura (ad es. ex art. 90 l. fall.) nel qual caso l’onere
economico dovrà gravare sulla massa, l’obbligazione derivante dalla necessità
della bonifica deve considerarsi concorsuale e, pertanto, l’ente pubblico dovrà
provvedere all’esecuzione della stessa salvo poi il diritto di chiedere
l’insinuazione al passivo secondo le regole di cui agli artt. 93 e 101, l. fall..
- Pres. Dell’Aringa - Est. Bernardi TRIBUNALE DI MANTOVA, sez. II, 6 marzo
2003
Rifiuti - Gestione in regime semplificato - Mancanza dei requisiti - Integrazione del reato di cui all’art. 51, 1° c. D.L.vo n. 22/97. In tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di gestione non autorizzata di rifiuti, art. 51, 1 c. del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, l’attività avviata priva dei prescritti requisiti in base alla comunicazione contenuta nell’art. 33, D.L.vo n. 22/97. Pres. Zumbo - Est. De Maio. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 28 febbraio 2003, sentenza n. 9383
Rifiuti - Sanità pubblica - Smaltimento di rifiuti speciali - In difetto di autorizzazione - Reato di cui all'art. 51 c. 1, lett. a) e b) - Concorso delle due ipotesi - Possibilità - Art. 51 D. Lg. n. 22/1997. L'ipotesi di cui all'art. 51, comma 1, lett. a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 può concorrere con quella di cui alla lett. b) dello stesso comma 1, riferendosi la prima alle operazioni di raccolta e smaltimento di rifiuti non pericolosi e la seconda al compimento delle medesime attività aventi, però, ad oggetto i rifiuti pericolosi. (fattispecie relativa a smaltimento e stoccaggio di autoveicoli, all'interno dei quali si rinvengono altresì rifiuti pericolosi quali le batterie esauste con codice CER 160601). Pres. Zumbo A - Est. Lombardi AM - Imp. D'Antoni G - PM. (Parz. Diff.) Fraticelli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 28 Febbraio 2003 (UD.21/01/2003) RV. 224171, sentenza n. 09375
Rifiuti - sequestro preventivo - sussistenza degli indizi di colpevolezza - legittimità della misura cautelare. In tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte del Tribunale del riesame e di questa Corte, non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito, dovendosi limitare alla verifica della compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell'antigiuridicità penale del fatto (SS.UU., 7 novembre 1992, Midolini), né sono estensibili alle misure cautelari reali le condizioni generali per l'applicabilità di quelle personali, indicate nell'art. 273 c.p.p., per cui é preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi ed alla colpevolezza dell'indagato (SS.UU., 23 aprile 1993, Gifuni). Cassazione Penale, Sez. III, 26 febbraio 2003, n. 9057 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Deposito temporaneo - Sanità pubblica - In genere - Smaltimento di rifiuti - Deposito temporaneo - Condizioni - Individuazione - Artt. 6 e 51 D. Lg. n. 22/1997. In tema di smaltimento di rifiuti, per potersi configurare il deposito temporaneo, sempre che il raggruppamento dei rifiuti avvenga nel luogo nel quale gli stessi vengono prodotti, devono sussistere tutte le condizioni previste dall'art. 6, lett. m) del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, sia quelle quantitative che temporali, integranti delle condizioni "sine qua non" per la configurazione del deposito temporaneo. In difetto si configura il reato di deposito incontrollato sanzionato dall'art. 51, comma 2, del citato decreto n. 22. Pres. Savignano G - Est. Grillo C - Imp. Costa M - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 26/02/2003 (CC.22/01/2003) RV. 224172 sentenza n. 09057
Rifiuti - il "deposito temporaneo" deve essere effettuato nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti - cassoni sequestrati - gestione di impianto di trattamento rifiuti - operazioni di recupero o smaltimento i rifiuti non pericolosi - limite quantitativo - deposito incontrollato. Per potersi configurare il "deposito temporaneo" -sempre che il raggruppamento dei rifiuti venga effettuato "nel luogo in cui sono prodotti", e già questo presupposto è carente nel caso in esame, perché cassoni sequestrati si trovavano pacificamente al di fuori del perimetro aziendale (pur ammettendo che il luogo di loro produzione fosse proprio la ditta "C. M.", autorizzata alla gestione di impianto di trattamento rifiuti )- devono necessariamente sussistere tutte le condizioni richieste dall'art. 6, lett. m), D. L.vo n. 22/1997. Sennonché di queste, come ha rilevato il Tribunale, quanto meno una, palesemente, non ricorre: quella "quantitativa" di cui al punto 3 della citata norma, che prescrive di avviare alle operazioni di recupero o smaltimento i rifiuti non pericolosi appena raggiungano i 20 metri cubi. Questa non è una semplice prescrizione per i gestori di deposito temporaneo di rifiuti , come pretende il ricorrente, ma è una vera e propria condizione sine qua non, la cui violazione comporta la non configurabilità del deposito temporaneo. (Nella specie, i cassoni de quibus contenevano -secondo la segnalazione 20/3/2002 dei Carabinieri di Albiano Magra- quasi kg. 200.000 di rifiuti , e dunque una quantità ben superiore al limite sopra indicato. Ne consegue, quindi, a prescindere da ogni altra considerazione circa la sussistenza delle restanti condizioni, comunque richiedenti ulteriori accertamenti, che non può parlarsi di deposito temporaneo, per cui non può che ipotizzarsi -allo stato del procedimento- la fattispecie del deposito incontrollato, costituente reato se il soggetto, come nel caso in esame, non sia un privato bensì il responsabile di impresa o ente). Cassazione Penale, Sez. III, 26 febbraio 2003, n. 9057 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti -Tutela dall'inquinamento - Rifiuto liquido - Scarico indiretto - Liquidi da attività di espurgo destinati a sito esterno di trattamento - Disciplina del D. Lgs. 22/1997- Applicabilità. L’interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto tra fonte di produzione e corpo ricettore trasforma automaticamente il “liquame di scarico” in un “rifiuto liquido”, e rende applicabile la disciplina del D. Lgs. 22/1997 e non quella sulle acque. (In specie, la Corte ha ritenuto che i liquami provenienti dall’attività di espurgo costituissero “rifiuti liquidi” poiché non vi era scarico diretto degli stessi nel corpo ricettore in quanto i liquami medesimi venivano trasportati verso un sito esterno di trattamento). Pres. Papadia - Rel. Fiale - P.G. Veneziano (conf.) ric. Conte. CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24 febbraio 2003, (ud. 17 dicembre 2002) Sentenza n. 08758
Rifiuti - Recupero - Nozione - Trattamento dei residui come materia prima - Riutilizzo immediato nel ciclo produttivo - Legittimità - Fattispecie: rottami ferrosi - Art. 1 D. l. n. 22/1997 - D. L. n. 138/2002. In tema di gestione dei rifiuti, allorché non vi e' necessità di trattamento dei residui, ma possibilità di riutilizzo immediato nel ciclo produttivo, non può più parlarsi di rifiuto, atteso che la sostanza può essere trattata allo stesso modo di una materia prima. (Fattispecie: nella quale la Corte ha affermato la non applicabilità della disciplina sui rifiuti, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, e successive modificazioni, ai rottami ferrosi riutilizzati senza alcuna operazione di trattamento preliminare) Pres. Savignano G - ESt. Tardino V - Imp. Pittini A ed altri - PM. (Diff.) Favalli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 24 Febbraio 2003 (CC. 13/12/2002) RV. 224163, sentenza n. 08755
Nozione di rifiuto - il
riutilizzo di rottami ferrosi - materia prima secondaria - riutilizzo immediato
nel ciclo produttivo - inapplicabilità della disciplina sui rifiuti. Quando
non vi sia necessità di trattamento, ma possibilità di riutilizzo immediato nel
ciclo produttivo, non si può parlare di rifiuto, ma di materia prima secondaria
di per sé riutilizzabile. (Fattispecie del riutilizzo di rottami ferrosi senza
alcuna operazione di trattamento). Corte di Cassazione penale, sez. III, 24
febbraio 2003 (13 dicembre 2002), n. 1642
Rifiuti - sequestro probatorio - urgenza legate ad un’indispensabile
motivazione di ricerca della prova. Il sequestro probatorio è solo
funzionale alla necessarietà del vincolo per l’accertamento dei fatti in
relazione ad un’ipotesi di reato; e quindi, un provvedimento provvisorio per
ragioni di urgenza legate ad un’indispensabile motivazione di ricerca della
prova, (In specie l’acquisto di rottame ferroso in forza di un contratto lecito
e legittimo, non costituisce, di per sè, reato; e il bene consegnato in virtù di
questo contratto, non è qualificabile come corpo di reato). Corte di
Cassazione penale, sez. III, 24 febbraio 2003 (13 dicembre 2002), n. 1642
Rifiuti - le tariffe della tassa
per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani - l'articolazione tariffaria - la
classificazione in categorie dei locali e delle aree tassabili - la
sperequazione creata tra le varie categorie di utenza. Secondo l'indirizzo
giurisprudenziale della sezione, dal quale non si ha motivo per discostarsi, "è
inammissibile il ricorso avverso la deliberazione della giunta municipale… che
approva in modo percentuale la tassa per lo smaltimento dei rifiuti senza
differenziare le categorie dei contribuenti, differenziazione introdotta dal
regolamento, mai impugnato, di applicazione della tassa stessa per cui il
provvedimento impugnato ha lasciato immutata la ripartizione di base operata dal
detto regolamento e, con atto meramente ricognitivo, si è limitata ad applicare
un indifferenziato aumento percentuale per tutte le categorie." (Consiglio Stato
sez. V, 6 ottobre 1999, n. 1334). Nel caso di specie, l'articolazione
tariffaria, contro la quale sono rivolte le critiche dei ricorrenti e si è
basato il giudizio di irragionevolezza espresso dal Tar della Lombardia, è
contenuta nel regolamento comunale approvato con deliberazione n. 265 del 1983,
modificato per quanto attiene la classificazione in categorie dei locali e delle
aree tassabili con la successiva deliberazione n. 171 del 1989. Non risulta che
tali atti siano stati tempestivamente impugnati dagli attuali ricorrenti. Il
provvedimento contro il quale essi si sono mossi è la deliberazione n. 4581 del
27 ottobre 1992, che però ha rideterminato le tariffe della tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani per l'anno 1993, applicando una
percentuale di aumento delle 19,75% più una quota fissa di lire 670 al metro
quadro. Si tratta quindi di una misura che è diretta non già a modificare il
rapporto esistente tra le varie tipologie di utenza ma ad assicurare, "in linea
tendenziale, un'adeguata correlazione tra produzione di rifiuti e struttura
tariffaria." Sotto tale profilo non emergono censure da parte dei ricorrenti, i
quali si sono limitati a denunciare la sperequazione creata tra le varie
categorie di utenza, cioè un effetto riconducibile al regolamento del 1983, non
impugnato tempestivamente all'interessati. Pertanto i ricorsi di primo grado
erano inammissibili per la mancanza di censure specifiche dirette contro l'unico
atto tempestivamente impugnato. Consiglio di Stato, Sezione V - 12 febbraio
2003 - Sentenza n. 751
Nozione di rifiuto - i materiali di scavo e sbancamento di una pubblica via riutilizzati tal quali sul posto per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati - le terre o rocce da scavo limiti - siti inquinati o da bonifiche. I materiali di scavo e sbancamento di una pubblica via riutilizzati tal quali sul posto non rientrano nella nozione di rifiuto, anche se contengono rifiuti pericolosi (nel caso specifico pezzi d'asfalto). Il materiale in questione, rientrando tra le terre o rocce da scavo, anche contaminate, non rientra nella nozione di rifiuto purché venga effettivamente utilizzato per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati ed i materiali scavati non provengano da siti inquinati o da bonifiche con concentrazione di inquinamento superiori ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti. Corte di Cassazione 11 febbraio 2003, sentenza n. 291
Rifiuti - Terre e rocce da scavo - Disciplina dei rifiuti - Materiali cementizi e di asfalto - Operatività della disciplina vigente per le terre e rocce da scavo che non costituiscono rifiuti ex l. n.443/2001 - Esclusione - Ragioni - Artt. 7 comma 3 lett. B, 8 comma 1 lett. B, 51 D. LG. n. 22/1997. In tema di disciplina dei rifiuti, integra il reato di cui all'art.51, n.1, lett.a) d.lgs.vo n.22 del 1997 l'attività di recupero di materiale cementizio e di asfalto, in assenza della prescritta comunicazione di inizio attività alla Provincia, in quanto detti materiali non possono essere ricompresi nel novero delle "terre e rocce da scavo" - le quali non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del d.lgs.vo n.22 del 1997 (art.1, comma 17,l. n.443 del 2001)- sia perché manca una specifica previsione in tal senso, non essendo menzionate nel regime delle esclusioni dettato dall'art.8, lett.b)-bis d.lgs.vo n.22 del 1997, sia, e soprattutto, perché detti materiali non possono ritenersi il prodotto di escavazione, perforazione e costruzione. Pres. Toriello F - Est. Vangelista V - Imp. PM in proc. Boscarato - PM. (Conf.) Abbritti P. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 5/02/2003 (UD.15/01/2003) RV. 223742, Sentenza n. 08936
Illecita gestione di rifiuti -
configurabilità - misure cautelari reali - il sequestro preventivo - operazioni
di smaltimento. In merito alla configurabilità dell’illecito di cui all’art.
53 comma 1 del D.L.vo n. 22/1997 ed alla conseguente esistenza di esigenze
cautelari ex art. 321 comma 1 c.p.p., è necessario che le emergenze probatorie
che rendono credibile la tesi secondo la quale i rifiuti non sono destinati al
recupero, ma ad illecite operazioni di smaltimento siano adeguatamente motivate
anche solo su di un piano di astrattezza in riferimento al principio di diritto
per cui il raffronto tra la fattispecie legale e quella concreta possa portare
all’eliminazione della misura cautelare nell’ipotesi in cui l’addebito sia
difforme da quello astrattamente ipotizzato. Corte di Cassazione penale, sez.
III, 3 febbraio 2003 (ud. 13 dicembre 2002) sentenza n. 1637
Procedimenti incidentali aventi per oggetto misure cautelari reali - il
sequestro preventivo - il permanere degli obiettivi endoprocessuali della misura
- il Giudice del riesame - fattispecie - gestione dell’impianto di compostaggio
- rifiuti regionali. Nei procedimenti incidentali aventi per oggetto misure
cautelari reali, non è configurabile una piena cognizione del tribunale del
riesame al quale è conferita esclusivamente la competenza a verificare la
legittimità del vincolo ed il permanere degli obiettivi endoprocessuali della
misura. Consegue che l’unico potere di indagine che il Giudice del riesame è
legittimato ad effettuare nel merito è circoscritto al raffronto tra la
fattispecie legale e quella concreta e tale comparazione può portare alla
eliminazione della misura nella sola ipotesi in cui l’addebito, cui essa è
correlata, sia difforme da quello astrattamente ipotizzato. (Nella fattispecie i
Giudici hanno avuto cura di indicare le fonti probatorie e le investigazioni
finora espletate in base alle quali è plausibile ritenere che la gestione
dell’impianto di compostaggio fosse difforme da quanto autorizzato per mancata e
non giustificata ricezione di rifiuti regionali; il tribunale ha preso nella
dovuta considerazione la contraria tesi dell’imputato, la stessa ora al vaglio
di legittimità, e l’ha disattesa con sintetico, ma congruo iter argomentativo).
Avendo come riferimento tale principio di diritto, si deve concludere che il
tribunale ha esattamente svolto il controllo che la legge gli demanda,
circoscritto alle condizioni di legittimità del vincolo, per quanto riguarda la
configurabilità del reato di cui all’art. 51 comma 4 D.L.vo 22/1997. Corte di
Cassazione penale, sez. III, 3 febbraio 2003 (ud. 13 dicembre 2002) sentenza n.
1637
Illecita gestione di rifiuti - misure cautelari reali - il sequestro
preventivo - il mantenimento del vincolo. La strumentalità del vincolo ai
fini probatori esula dalle situazioni che giustificano il sequestro preventivo
il cui scopo è di evitare che la libera disponibilità del bene possa aggravare o
protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di ulteriori
illeciti. Corte di Cassazione penale, sez. III, 3 febbraio 2003 (ud. 13
dicembre 2002) sentenza n. 1637
Rifiuti - Nozione di rifiuto - Interpretazione autentica - L. n. 178/2002 - Vincolo per il giudice italiano. L’interpretazione autentica, sulla nozione di rifiuto, contenuta nell’art. 14 del Decreto Legge n. 138 del 2002, convertito con modifiche in Legge n. 178 del 2002 e modificativa della nozione di rifiuto contenuta nell’art. 1 della Direttiva comunitaria 91/156/CEE (pedissequamente riportata nell’art. 6 del D. L.vo n. 22/1997), permane vincolante per il giudice italiano, in considerazione che tale direttiva non è autoapplicativa (c.d. self executing). Conforme: Corte di Cassazione, sez. III penale, 29 gennaio 2003, (ud. 13 novembre 2002), sentenza n. 1418 reg. gen. n. 25670/02. - Pres. Savignano - Est. Onorato - Ric. Passerotti. CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale, 29 gennaio 2003, (ud. 13 novembre 2002), reg. gen. n. 27784/02 sentenza n. 04052 (vedi: sentenza per esteso)
Necessità della valutazione di impatto ambientale (VIA) per la costruzione di una discarica - legislazione regionale sopravvenuta. La sottoposizione a giudizio di valutazione di impatto ambientale della discarica di cui trattasi a tenore della legislazione regionale sopravvenuta (legge regionale Puglia n. 11 del 12 aprile 2001, articolo 4, comma primo punti 1 e 2, e relativi allegati), appare del tutto legittimo e non assume alcun carattere elusivo. Su tali presupposti di fatto risultano inconferenti le questioni giuridiche sollevate in ordine alla applicabilità o meno della normativa vigente al momento della pronuncia di annullamento intervenuta con sentenza n. 139/1999. Nella fattispecie, la Giunta Provinciale di Foggia aveva negato l’approvazione dei progetti presentati dalla Società ricorrente per la realizzazione di un impianto di trattamento, recupero, riciclo e smaltimento di rifiuti speciali in contrada Posticchio del Comune di Troia, di un impianto di termodistruzione di rifiuti speciali ospedalieri in località Coppa Montone nel Comune di Foggia e di una discarica di 2° categoria anch’essa in località Coppa Montone nel Comune di Foggia). Consiglio di Stato V Sezione 29 gennaio 2003 n. 463
L’istituto del commissariamento per l’emergenza rifiuti (Puglia, Campania, Calabria, Sicilia) - limiti e finalità del ricorso al potere di ordinanza extra ordinem nella materia dei rifiuti e del ciclo delle acque - le situazioni di emergenza. Dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento, così come già delineato in precedenti sentenze di questo Tribunale (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. 1, 3 maggio 2001, n. 1424, 27 maggio 2002, n. 2587, 20 novembre 2002, n. 5043) si delinea che lo stato di emergenza socio-economico-ambientale fu dichiarato, com’è noto, per la prima volta con d.P.C.M. 8 novembre 1994; la dichiarazione è stata rinnovata, senza soluzione di continuità, in un contesto che ha interessato, con analoghi provvedimenti, anche altre regioni meridionali (Campania, Calabria, più di recente Sicilia). Un’accurata ricostruzione della genesi, dei limiti e delle finalità del ricorso al potere di ordinanza extra ordinem previsto dall’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 nella materia dei rifiuti e del ciclo delle acque, è contenuta nel documento sull’istituto del commissariamento per l’emergenza rifiuti, approvato nella seduta del 21 dicembre 2000 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. Le situazioni di emergenza sono state inquadrate nella previsione della lettera c) dell’art. 2 della legge citata, che si riferisce, oltre che alle calamità naturali e alle catastrofi, e cioè ad eventi in certo senso tipizzati perché riconducibili all’impatto di eventi naturali in senso proprio, ad “…altri eventi che, per intensità ed estensione, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”. Sennonché, proprio l’ampiezza del riferimento alla categoria residuale degli “…altri eventi…” e la sua definizione non già in relazione alle caratteristiche dei medesimi (quali eventi naturali di particolare impatto ambientale e socio-economico-produttivo), bensì in ragione della particolare qualità dei loro effetti, tali, per intensità ed estensione, da richiedere il ricorso a mezzi e poteri extra ordinem, e quindi in una accezione funzionale piuttosto che formale, spiega e giustifica come la stessa giurisprudenza costituzionale abbia ritenuto applicabile il “regime” emergenziale ex lege n. 225/1992. Tar Puglia - Sede di Bari - Sezione I, - 28 gennaio 2003 - Sentenza n. 395 (vedi: sentenza per esteso)
La pronuncia sul ricorso per conflitto di attribuzioni proposto proprio dalla Regione Puglia nei confronti del D.P.C.M. 8 novembre 1994 - ciclo idrico e lo smaltimento dei rifiuti - lo stretto nesso di strumentalità tra la situazione emergenziale e la necessità di una adeguata proporzionalità - poteri extra ordinem. La Consulta, nella nota sentenza n. 127 del 5-14 aprile 1995 (pronunciata su ricorso per conflitto di attribuzioni proposto proprio dalla Regione Puglia nei confronti del d.P.C.M. 8 novembre 1994), ha riconosciuto la legittimità della declaratoria dello stato di emergenza riferito a rischi (sia igienico-sanitari che) ambientali indotti da “…gravi carenze strutturali, da tempo segnalate, che riguardano il ciclo idrico e lo smaltimento dei rifiuti, e che presentano un alto rischio per un bene fondamentale come la salute”; ancorché abbia riconosciuto che, nella specie, era stata vulnerata la sfera di attribuzioni regionali ed il principio di leale cooperazione per non aver acquisito l’intesa della Regione, non già “…sulla realizzazione dei singoli interventi (bensì) per il programma generale degli interventi”, non surrogabile da un semplice parere. La Corte, richiamando la propria giurisprudenza, ha altresì posto in rilievo lo stretto nesso di strumentalità tra la situazione emergenziale “…e le norme di cui consente la temporanea sospensione” e la necessità di una adeguata proporzionalità tra qualità e natura dell’evento da fronteggiare e misure adottate, che sole giustificano quella temporanea compressione che esse realizzano sulla sfera delle attribuzioni regionali e degli altri enti locali. In altri termini, il ricorso al regime emergenziale non si è risolto in una sovrapposizione centralistica e “autoritaria” di poteri extra ordinem alle attribuzioni proprie delle regioni e degli enti locali, sebbene nel conferimento di “mezzi e poteri” (e delle relative rilevanti risorse finanziarie) atti a integrare le ordinarie attribuzioni e riconosciuti indispensabili a fronte dell’insufficienza (sia strutturale che funzionale) dei mezzi e poteri ordinari in determinati contesti territoriali. Tar Puglia - Sede di Bari - Sezione I, - 28 gennaio 2003 - Sentenza n. 395 (vedi: sentenza per esteso)
Il procedimento relativo alle misure emergenziali - l’istituto del commissariamento per l’emergenza rifiuti - i due sub procedimenti distinti e funzionalmente collegati, disciplinati dall’art. 5 - la ricognizione dell’esistenza dei presupposti dello stato di emergenza - gli interventi di emergenza…in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico - obbligo di motivare gli atti adottati - nesso funzionale tra le attribuzioni extra ordinem e il più efficace raggiungimento dell’interesse pubblico. Il procedimento relativo alle misure emergenziali di cui alla legge n. 225/1992 si articola in due sub procedimenti distinti e funzionalmente collegati, disciplinati dall’art. 5. Preliminare ed essenziale è la declaratoria dello stato di emergenza, deliberato, al verificarsi di uno degli eventi di cui all’art. 2 comma primo lettera c), dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio (ovvero, per delega di questi, dal Ministro per il coordinamento della protezione civile), e formalizzato con d.P.C.M., che deve indicarne “…durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi”. (la revoca è deliberata nelle stesse forme). E’ questo il momento e la fase procedimentale nella quale deve condursi la ricognizione dell’esistenza dei presupposti dello stato di emergenza, sia con riferimento alla qualità degli eventi (non fronteggiabili coi mezzi ordinari), sia in relazione, correlativamente, al giudizio di strumentalità e proporzionalità tra situazione emergenziale e misure straordinarie da adottare, con la connessa ostensione motivazionale e nella deliberazione del Consiglio dei Ministri e nel d.P.C.M. Susseguente è l’adozione delle ordinanze che dispongono “l’attuazione degli interventi di emergenza…in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico”, con o senza nomina di commissari delegati, di cui vanno individuati i compiti (“…contenuto della delega, dell’incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio”). Le ordinanze in deroga a leggi vigenti “…devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate”. Sotto quest’ultimo profilo, però, deve ritenersi che la motivazione non attenga alle situazioni che hanno dato origine alla declaratoria dello stato di emergenza (il cui locus motivazionale proprio è nella deliberazione del Consiglio dei Ministri e nel d.P.C.M.), ma soltanto al rapporto tra le attribuzioni conferite in deroga a leggi vigenti ed il perseguimento degli obiettivi fissati, onde rendere verificabile che le prime non eccedano i secondi; e cioè che vi sia un effettivo nesso funzionale tra le attribuzioni extra ordinem e il più efficace raggiungimento dell’interesse pubblico. In altri termini al Commissario delegato è stato espressamente attribuito il potere di dare attuazione alle disposizioni del d.lgs. n. 22 del 1997, senza restrizioni o limitazioni, e quindi di esercitare tutti i poteri ivi previsti, ivi compreso, e non certo escluso, il potere di ordinanza di cui all’art. 13, che, com’è noto, dispone: “Fatto salvo quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il sindaco possono emettere, nell’ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente. Tar Puglia - Sede di Bari - Sezione I, - 28 gennaio 2003 - Sentenza n. 395 (vedi: sentenza per esteso)
L’istituto del commissariamento per l’emergenza rifiuti - l’esecuzione degli incarichi affidati al commissario delegato - disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza - limiti alla deroga… “ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico” - le ordinanze commissariali devono essere congruamente motivate in ordine all’esistenza dei presupposti di eccezionalità e urgenza per i pericoli alla salute pubblica e all’equilibrio ambientale - situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente - poteri nell’ambito delle rispettive competenze del Presidente della giunta regionale o del Presidente della provincia ovvero del sindaco - ordinanze sono comunicate al Ministro dell’ambiente, al Ministro della sanità e al presidente della regione entro tre giorni dall’emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi - obbligo della la raccolta differenziata - termini (entro 120 gg.) - facoltà di derogare riguardo le competenze - profili penali dello smaltimento in discariche non autorizzate. Come già rilevato in altra sentenza di questo Tribunale (n. 5043 del 20 novembre 2002), pronunciata su analogo ricorso rivolto avverso l’ordinanza commissariale n. 22 del 7 dicembre 1998, “…l’art. 3 dell’ordinanza (ministeriale) n. 2557 del 30/4/97, richiamata nella premessa del provvedimento impugnato, recita: “Il Commissario delegato presidente della regione Puglia attua le disposizioni del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, con facoltà di derogare riguardo le competenze, i tempi e le modalità procedimentali nei limiti necessari all’espletamento delle funzioni e dei poteri dell’ordinanza. Per l’esecuzione degli incarichi affidatigli il commissario delegato può, altresì, avvalersi delle deroghe di cui alle ordinanze 8 novembre 1994 e 27 giugno 1996.” In altri termini al Commissario delegato è stato espressamente attribuito il potere di dare attuazione alle disposizioni del d.lgs. n. 22 del 1997, senza restrizioni o limitazioni, e quindi di esercitare tutti i poteri ivi previsti, ivi compreso, e non certo escluso, il potere di ordinanza di cui all’art. 13, che, com’è noto, dispone: “Fatto salvo quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il sindaco possono emettere, nell’ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Ministro dell’ambiente, al Ministro della sanità e al presidente della regione entro tre giorni dall’emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi (comma primo). Entro centoventi giorni dall’adozione delle ordinanze di cui al comma 1, il Presidente della Giunta regionale promuove ed adotta le iniziative necessarie per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti. In caso di inutile decorso del termine e di accertata inattività, il Ministro dell’ambiente diffida il Presidente della Giunta regionale a provvedere entro un congruo termine, e in caso di protrazione dell’inerzia può adottare in via sostitutiva tutte le iniziative necessarie ai predetti fini (comma secondo). Le ordinanze di cui al comma 1 indicano le norme a cui si intende derogare e sono adottate su parere degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che lo esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali (comma terzo). Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione d’intesa con il Ministro dell’ambiente può adottare, sulla base di specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini (comma quarto). Le ordinanze di cui al comma 1 che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi sono comunicate dal Ministro dell’ambiente alla Commissione dell’Unione Europea” (comma quinto). Sicchè, se è esatto il rilievo contenuto nella memoria difensiva finale del Comune di San Severo secondo il quale con l’ordinanza ministeriale n. 3077 del 4 agosto 2000 al commissario delegato è stato assegnato in via esclusiva il potere d’ordinanza ex art. 13, nondimeno sin dall’ordinanza ministeriale n. 2557 del 30 aprile 1997 egli era stato investito di tutte le attribuzioni relative all’applicazione del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, e ovviamente, tra di esse, anche di quelle relative all’art. 13”. Ne consegue che ogni censura relativa alla presunta incompetenza o carenza di potere del commissario circa l’emanazione delle ordinanze n. 15 dell’8 giugno 1998 e n. 22 del 7 dicembre 1998 è infondata ed anzi, a ben guardare, inammissibile per l’omessa impugnativa dell’ordinanza ministeriale n. 2557/1997 attributiva del suddetto potere, avverso la quale andavano anzitutto rivolte le doglianze del Comune ricorrente. Né può sfuggire che le suddette attribuzioni sono conferite “con facoltà di derogare riguardo le competenze, i tempi e le modalità procedimentali”. Ciò significa, ad esempio, che l’esercizio del potere d’ordinanza ex art. 13 è svincolato non soltanto dal rispetto del regime “ordinario” delle competenze, e quindi delle invocate attribuzioni di Presidenti di Regione, Provincia e Sindaci, bensì dai limiti temporali e dalle regole del procedimento ivi stabiliti (potendosi, quindi, prescindere dall’acquisizione dei pareri degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali). E la ratio di tale ampia “deroga” è stata chiarita da questo Tribunale in altra sentenza (27 maggio 2002, n. 2587) nella quale si è osservato come: “…poiché la declaratoria dello stato di emergenza introduce un regime giuridico-normativo derogatorio rispetto alla disciplina di settore, non può considerarsi in sé illegittimo che un provvedimento emanato dal commissario delegato in materia di smaltimento dei rifiuti (ovvero di “forme speciali di gestione dei rifiuti”) sia svincolato dai termini “normali” di efficacia di provvedimenti contingibili ed urgenti che si inscrivono, pur sempre, in un quadro “ordinario” e non “straordinario ed emergenziale”…In altri termini, pur essendo il potere contingibile ed urgente ex art. 13 un tipico potere extra ordinem, la sua utilizzazione nel contesto degli altri poteri assegnati al commissario delegato ne modifica i tratti distintivi, nel senso di accentuarne il profilo “emergenziale” e derogatorio”. Né appare congruente il richiamo alla sentenza della Consulta n. 127 del 14 maggio 1995, già esaminata amplius sub 3.1.1), che ha evidenziato come il principio di leale cooperazione implichi il coinvolgimento degli enti territoriali, ed in specie della Regione, non già “…sulla realizzazione dei singoli interventi (bensì) per il programma generale degli interventi”. Le osservazioni che precedono dimostrano quindi l’infondatezza delle censure svolte nei motivi sin qui esaminati. Per i profili penali dello smaltimento in discariche non autorizzate non scriminato affatto dall’utilizzazione dell’art. 13 si veda: cfr. Cass., Sez. III penale, 29 maggio 1998, n. 6292, 15 aprile 1998, n. 377, 21 gennaio 1994, n. 2180, 23 marzo 1994, n. 351. Tar Puglia - Sede di Bari - Sezione I, - 28 gennaio 2003 - Sentenza n. 395 (vedi: sentenza per esteso)
Discarica non autorizzata allo stoccaggio di rifiuti pericolosi - rifiuti di terre e rocce di scavo - sequestro probatorio - fumus dei reati. In tema di sequestro probatorio, il sindacato del giudice del Riesame non può investire la concreta fondatezza dell'accusa, ma deve essere limitato alla verifica dell'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato; con esclusione, in tale fase, di ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi [Giurisprudenza consolidata: Cass. Sez. Unite Set. N. 20 del 29/11/94 (cc 11/11/94) rv 199172; Cass. Sez. I Sent. N. 1810 del 27/03/97 (cc 04/03/97) rv 207194; Cass. Sez. III Sent. n. 603 dell'11/05/92 (cc 09/04/92) rv 189983; Cass. Sez. I Sent. n. 2379 del 05/07/94 (cc 19/05/94) rv 198397 Cass. Sez. I Sent. n. 5545 del 26/02/98 (cc 03/10/97) rv 209889]. (Le terre e le rocce non contenenti sostanze pericolose vengono individuati, ai sensi della citata Direttiva 09/04/02, con il codice 17.05.04. Nella fattispecie in esame, non si trattava, pertanto, di terre e rocce di scavo di cui all'art. 1, comma 17 L. 443/2001; per cui non poteva escludersi, allo stato degli atti, l'applicazione della disciplina del decreto legislativo 22/97. Ancora, la discarica gestita non era autorizzata per lo stoccaggio di rifiuti pericolosi per cui - ricorreva - contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale del Riesame - il fumus dei reati (art. 51, commi 1° e 3° D. Lvo 22/97) ipotizzati nel decreto di convalida, emesso dal PM il 14/08/02). Pres. Vitalone C Est.. Gentile - Imp. P.M. in proc. Gatti Gabriele PM. (Conf.) Albano A.. Cassazione Penale, Sez. III, 20 gennaio 2003, n. 2429 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Disciplina dei rifiuti - Fanghi di perforazione da attività petrolifera - Natura di rifiuti pericolosi - Sussistenza - Ragione - D. LG. 5/2/1997 Num. 22 Art. 51 C. 1. La gestione senza autorizzazione di una discarica di fanghi e rifiuti di perforazioni contenenti oli individuati in base al codice C.E.R.1.05.05, di cui alla direttiva del 9 aprile 2002 del Ministero dell'ambiente e della Tutela del Territorio, data la loro natura di rifiuti pericolosi,integra gli estremi della contravvenzione prevista dall'art. 51, comma 1 e 3 del d.l.g. n. 22/97. Pres. Vitalone C Est.. Gentile M COD.PAR.392 - Imp. P.M. in proc. Gatti Gabriele PM. (Conf.) Albano A.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 20/01/2003 (CC.22/11/2002) RV. 224035, sentenza n. 02429 (vedi: sentenza per esteso)
L’ordine sindacale d’urgenza per motivi d’igiene, sanitari ed ambientali di smaltimento dei rifiuti va impartito in linea di massima al produttore dei rifiuti che li abbia abbandonati in aree pubbliche o private (anche non aperte al pubblico) o in acque pubbliche o private e non al proprietario dell’area - la compartecipazione del proprietario anche soltanto colposa di mancata vigilanza - necessità della motivazione del provvedimento. Al riguardo il Collegio non ha motivi per discostarsi dal principio secondo cui l’ordine sindacale d’urgenza per motivi d’igiene, sanitari ed ambientali di smaltimento dei rifiuti va impartito in linea di massima al produttore dei rifiuti che li abbia abbandonati in aree pubbliche o private (anche non aperte al pubblico) o in acque pubbliche o private (V. art.9 D.P.R. 10.9.1982 n.915 e su di esso la decisione di questa Sezione n. 1464 del 1à.12.1997) e non al proprietario dell’area in quanto tale (o al titolare della disponibilità del bene), salvo che non sia configurabile una compartecipazione del proprietario anche soltanto colposa di mancata vigilanza. Detto principio è stato confermato dall’art. 14 del decreto legislativo 5.2.1997 n.22 (successivo alla vicenda in esame), il quale appunto ha previsto il divieto di abbandono o deposito incontrollati di rifiuti, con l’obbligo a carico di colui che vi contravviene di procedere allo smaltimento di essi ed al ripristino dei luoghi, con la responsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali di godimento ai quali tale violazione sia addebitabile a titolo di dolo o colpa. Né può costituire adeguata motivazione il generico rilievo accennato nelle premesse del provvedimento impugnato secondo cui nella specie sarebbe inapplicabile la L. R. Piemonte 2.11.1982 n. 32, per essere i rifiuti ed i detriti presenti sulla superficie dell’acqua e non sulla riva del canale, atteso che comunque dovevano precisarsi le ragioni in base alle quali l’incombente doveva essere posto a carico ed a spese della Coutenza. Consiglio di Stato, Sezione V del 20 gennaio 2003, n. 168 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuto - nozione - gestione dei rifiuti - dipendenza dalla possibilita' di riutilizzazione economica - esclusione - fondamento. In tema di gestione dei rifiuti deve intendersi per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, senza che assuma rilievo la circostanza che cio' avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto o tramite il suo recupero. E cio' sia per l'interpretazione della nozione legislativa nazionale, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, sia per le affermazioni della Corte di Giustizia della Comunita' Europea, le cui decisioni sono immediatamente e direttamente applicabili in ambito nazionale, secondo cui la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel senso di escludere le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, atteso che la protezione della salute umana e dell'ambiente verrebbe ad essere compromessa qualora l'applicazione delle direttive comunitarie in materia fosse fatta dipendere dall'intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altri delle sostanza o degli oggetti di cui ci si disfa (o si sia deciso o si abbia l'obbligo di disfarsi). Corte di Cassazione Penale Sezione III del 17/01/2003 (UD.27/11/2002) Sentenza n. 02125
Realizzazione di discarica in zona sottoposta a vincolo - protezione delle bellezze naturali - in difetto di autorizzazione - reato di cui all'art. 163 del d.l.g. n. 490 del 1999 - configurabilita'. In tema di protezione delle bellezze naturali, integra il reato di cui all'art. 163 del Decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 la realizzazione di una discarica in zona vincolata in assenza dell'autorizzazione dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo. Corte di Cassazione Penale Sezione III, 17/01/2003 (UD.27/11/2002), Sentenza n. 02125
L’emergenza rifiuti - il rilascio di autorizzazione provvisoria - conferimento di rifiuti soliti urbani in discarica - l’autorizzazione definitiva - il termine di anni quattro - disciplina tra le autorizzazioni definitive e quelle provvisorie. L’articolo 31 del decreto legislativo n. 915/1982 prevede il rilascio di autorizzazione provvisoria, con durata limitata, eventualmente rinnovabile, per il caso che l’amministrazione non rilasci entro sei mesi l’autorizzazione definitiva; ma ciò implica che l’autorizzazione provvisoria rilasciata rechi l’indicazione di durata, e non altro; indicazione di durata che nella specie manca: donde l’inconferenza del richiamo. Va ricordato che l’articolo 57 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 stabilisce che le autorizzazioni rilasciate ai sensi del D.P.R. n. 915/1982 “restano valide fino alla loro scadenza e comunque non oltre il termine di anni quattro dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. La norma non reca alcuna espressa differenziazione di disciplina tra le autorizzazioni definitive e quelle provvisorie: la mancata esplicita esclusione di queste ultime; il riferimento alla operatività fino alla “scadenza” (che è tipica, seppure non esclusiva delle autorizzazioni provvisorie); l’evidente finalità di temporanea prosecuzione della situazione in essere, purché in presenza di un titolo autorizzatorio, in vista della ridefinizione e dell’aggiornamento delle autorizzazioni in corso in rapporto alla nuova disciplina, sono tutti elementi che orientano, sul piano logico-sistematico, per l’applicabilità delle disposizioni anche alle autorizzazioni provvisorie. Consiglio di Stato, Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 160 (vedi: sentenza per esteso)
Rifiuti - Trasporto liquami - Sanità pubblica - In genere - Autorizzazione di cui all'art. 51 D.Lgs 22/1997 - Natura personale - Fattispecie. In tema di trasporto dei rifiuti, quale fase delle attività di smaltimento e gestione, e' richiesta l'autorizzazione ai sensi dell'art. 51 del D. Lgs 5 febbraio 1997 n. 22, che ha natura personale basandosi sulla idoneità del soggetto richiedente e sulla sua iscrizione al relativo albo ( Fattispecie nella quale il trasportatore riteneva di poter utilizzare l'autorizzazione rilasciata al proprio genitore deceduto alcuni mesi prima dei fatti ). Pres. Postiglione A - Est. Gentile M - Imp. Toraldo - PM. (Diff.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 15/01/2003 (UD.15/11/2002) RV. 224737 sentenza n. 01562
Rifiuti - Inquinamento - Rifiuti
speciali - Materiali da scavo e sbancamento di strade - Smaltimento di rifiuti -
Disciplina dei rifiuti - Applicabilità - L. n. 443/2001. Anche dopo
l’entrata in vigore della l. n. 443 del 2001, costituiscono rifiuti speciali
quelli derivanti dall’attività di demolizione e costruzione. In termini, sulla
natura di «rifiuto» del materiale di risulta dello scavo, ove il detentore se ne
disfi o abbia deciso di disfarsene, (Cass..Sez. III, 13 giugno 2000, Sassi).
Dessena. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III 15 gennaio 2003.
Rifiuti - Inquinamento - Sequestro preventivo di impianti destinati al
deposito ed al trasferimento di FOK - Esclusione Distinzione tra "prodotto" e
rifiuto - Art. 14 d.l. n. 138 del 2002 - Prescrizioni comunitarie - Operatività
immediata nel nostro ordinamento. In tema di rifiuti, il sequestro
preventivo di impianti destinati al deposito ed al trasferimento di FOK (Fuel
Oil of Cracking) venduto come olio combustibile deve essere annullato dovendosi
tener conto dell'effettiva natura (coprodotto o morchia di distillazione) che
esso viene ad assumere nel processo di produzione dell'etilene e dovendosi
altresì affrontare la questione della distinzione tra "prodotto" e rifiuto alla
stregua dell'art. 14 d.l. n. 138 del 2002 comparato alle prescrizioni
comunitarie immediatamente operative nel nostro ordinamento ed in particolare ai
criteri direttivi indicati da Corte giust. 18 aprile 2002, Palin Granit Oy.
Fattispecie: sequestro disposto sull'assunto che il materiale, per la sua
composizione chimica e per altre caratteristiche, non poteva essere considerato
olio combustibile. Gonzales e altro. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 15
gennaio 2003
L'esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, attribuito al Sindaco - presupposti - situazione di pericolo - le esigenze di protezione dell'igiene e della salute pubblica. L'esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, attribuito al Sindaco, presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte mediante ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (Consiglio di Stato, sezione quinta, 4 febbraio 1998, n. 125). Occorre, inoltre, che sussista e sia indicata nel provvedimento impugnato una situazione di pericolo quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente. Ciò è stato precisato dalla giurisprudenza anche con riferimento all'articolo 38 della legge n. 142 del 1990, l'unica norma richiamata nel provvedimento impugnato, in quanto il collegamento con le esigenze di protezione dell'igiene e della salute pubblica pur rappresentando un presupposto necessario per giustificare il ricorso al potere di ordinanza contingibili urgenze, tuttavia non appare sufficiente ove non sussistano gli ulteriori particolari requisiti di urgenza e, quindi, di pericolo per la pubblica incolumità, sopra evidenziati (Consiglio di Stato, sezione quinta, 2 aprile 2001, n. 1904). (Nel caso in esame il provvedimento impugnato pur affermando, in modo apodittico, che risulta la necessità di disporre la rimozione immediata degli impianti in quanto collocati in difformità rispetto alle prescrizioni normative, non indica nessuno dei presupposti sopraindicati ovvero la necessità di intervenire prontamente, per evitare un pericolo incombente, in ordine ad una situazione eccezionale ed imprevedibile. Anzi, la necessità di intervenire prontamente sembra contraddetta dallo stesso provvedimento nel momento in cui dispone un adeguamento normativo dell'impianto in parola da realizzarsi entro 60 giorni dalla avvenuta notifica dell'ordinanza e quindi in un lasso di tempo talmente lungo da essere incompatibile con l'esigenza di una rimozione immediata degli impianti. Certamente in presenza di una situazione di irregolarità nella collocazione degli impianti termici l'Amministrazione ben può intervenire ma a tal fine dovrà utilizzare i poteri ordinari e tipici per far fronte a tali necessità). Si veda anche: Consiglio di Stato, Sez. V, 4 febbraio 1998, n. 125; Consiglio di Stato, Sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904; Corte di Giustizia Amministrativa, 9 ottobre 2002 Sentenza n. 582 Consiglio di Stato, Sez. V 9 ottobre 2002 Sentenza n. 5423; TAR Liguria, Sez. II 5 novembre 2002 Sentenza n. 1077; TAR Lazio, Sez. II - Sentenza 26 giugno 2002 Sentenza n. 5904; TAR Liguria - Genova, Sez. I - 29 settembre 2000 Ordinanza n. 910.TAR EMILIA-ROMAGNA, Sezione di Parma - Sentenza 10 gennaio 2003 n. 1
Rifiuti - Illeciti ambientali - Art. 51, c. 3 D. L.gs. n.22/1997, e L. n. 431/1985 - Discarica abusiva - Deturpamento delle bellezze naturali - Il proprietario del suolo può concorrere come extraneus nel “reato proprio” - Condizioni. Gli illeciti ambientali e paesaggistici (Artt. 51, c.3 D. L.gs. 5 febbraio 1997, n. 22 ed 1 sexies del D. L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in Legge 8 agosto 1985, n. 431) consistenti, in specie, nella realizzazione e gestione di un impianto di smaltimento di rifiuti non autorizzato, realizzato e gestito da altri ma sul proprio terreno con conseguente deturpamento delle bellezze naturali, s’inquadrano nella figura di “reato proprio” e hanno per destinatario esclusivo il gestore o chi abbia realizzato la discarica o commesso il fatto, non anche, di per sé, il proprietario del suolo. Il proprietario può concorrere come extraneus nel reato proprio a condizione che (per il concorso esterno materiale) gli sia ascrivibile una condotta commissiva (cogestione di fatto) o omissiva di contributo morale (istigazione, rafforzamento, agevolazione) o materiale. Tale responsabilità penale assume rilevanza solo in presenza di una norma che imponga al soggetto uno specifico l’obbligo giuridico di attivarsi al fine di impedire l’evento. Pres. Postiglione - Est. Franco - P.G. Albano (concl. diff.) - Ric. Laganà CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale, 9 gennaio 2003, (ud. 5 novembre 2002), n. 2054. (vedi: sentenza per esteso)
Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni
Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
2011
-
(N.B.: queste pagine continueranno ad essere aggiornate)