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Giurisprudenza

  

 

Urbanistica

 

 

 

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Demolizione - ripristino - competenza - revoca - sanatoria - difformità - pertinenze - competenze tecniche - opere precarie...

abusivismo

 

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Demolizione - ripristino - competenza - revoca - sanatoria - depenalizzazione - difformità - progettazione... 

Urbanistica ed edilizia - Continuità tra l'illecito di cui all'art. 20 l. n. 47/1985 e quello di cui all'art. 44 del t.u. n. 380/2001- Principio di legalità - Fase transitoria - Disciplina. Non si può addivenire ad un giudizio dì continuità tra l'illecito di cui all'art. 20 l. n. 47 del 1985 e quello di cui all'art. 44 del t.u. n. 380 del 2001, ancorché sostanzialmente identici, per cui va fatta applicazione dell'art. 2 comma 2 c.p. giacché l'art. 20 l. n. 47 del 1985 è stato abrogato dall'1 gennaio 2002, mentre è stata differita l'entrata in vigore del t.u. e delle relative norme incriminatrici (art. 44 t.u. n. 380 del 2001), ma nulla è stato disposto nella fase transitoria, in ossequio del principio di legalità, mancando un riferimento legislativo in merito. Tribunale Brescia, 20 dicembre 2002

Costruzione abusiva - proprietario del terreno - concorso morale nel reato consumato dall'autore della edificazione abusiva - responsabilita' - condizioni e limiti - individuazione. Il proprietario del terreno sul quale viene eseguita una costruzione abusiva risponde del reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, a titolo di concorso morale nel reato consumato dall'autore della edificazione abusiva, nel caso in cui potendo intervenire se ne astenga deliberatamente, atteso che sullo stesso grava l'obbligo giuridico di non consentire che con l'utilizzo della cosa propria si realizzi l'evento dannoso o pericoloso che le disposizioni della legge n. 47 tendono ad evitare. Cassazione Penale sezione III del 20/12/2002 (UD.12/11/2002), Sentenza n. 43232

Urbanistica ed edilizia - Effetti abrogativi dell'art. 136 del t.u., con la sospensione dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001 - Disciplina transitoria - Effetti. Sono stati anche paralizzati gli effetti abrogativi dell'art. 136 del t.u., con la sospensione dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, per cui rivive la normativa previgente (ivi compreso l'art. 20 della l. n. 47 del 1985), senza che vi fosse necessità di alcuna disposizione transitoria che lo consentisse esplicitamente. Di conseguenza, dal 10 gennaio 2002 è tornata ad applicarsi tutta la preesistente disciplina legislativa di settore riguardante la materia regolamentata dal t.u. dell'edilizia, mentre dall'11 aprile 2002, pertanto, trova applicazione anche la l. n. 443 del 2001. Tribunale Torre Annunziata, 18 dicembre 2002

Falsa dichiarazione resa dal privato - tentativo di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale - falsita' in atti - sussistenza - esclusione - condizioni - emissione del provvedimento ideologicamente falso - fattispecie: false dichiarazioni del privato sulla data di conclusione dei lavori, rilevante ai fini dell'applicabilita' del condono edilizio. Non sussiste il tentativo di falsita' ideologica del pubblico ufficiale (art. 56,48 e 480 cod. pen.) allorche' quest'ultimo non si sia determinato, in conseguenza delle false dichiarazioni rese dal privato, a porre in essere una condotta qualificabile come atto idoneo e diretto in modo non equivoco alla emissione del provvedimento ideologicamente falso, in quanto solo gli atti del pubblico ufficiale conseguenti all'induzione in inganno possono assurgere ad elemento del tentativo del falso del pubblico ufficiale e non gia' il mero inganno del privato che puo'integrare un diverso autonomo reato. Ne consegue che le false dichiarazioni del privato, in ordine alla conclusione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per l'applicabilita' del condono edilizio, non costituiscono atti idonei ad indurre i competenti organi comunali al rilascio di una falsa concessione in sanatoria allorche' l'induzione in errore non si sia verificata e l'autorita' competente, lungi dal predisporre (pur senza pervenire all'emissione) il provvedimento di concessione edilizia o, comunque, qualche altra attivita' preliminare finalizzata all'emissione dello stesso, abbia emesso, a seguito dei necessari accertamenti, ordinanza di demolizione del manufatto. Cassazione Penale, Sezione V del 10/12/2002 (UD.23/09/2002) RV. 223187, sentenza n. 41205

Ordine di demolizione - natura - la condanna penale per reato edilizio costituisce indefettibile presupposto all’ordine di demolizione - estinzione del reato per via di oblazione - conseguenze. L’ordine di demolizione, secondo la giurisprudenza largamente prevalente della Corte di Cassazione, è sanzione di natura amministrativa e non penale. Dato che non si tratta di sanzione penale - si è precisato - non sono applicabili all’ordine di demolizione né l’istituto dell’amnistia né quello dell’indulto (v., ex plurimis, Cass., sez. III, 3 giugno 1994, n.6579). Tuttavia, un conto è ritenere che l’amnistia e l’indulto, quali cause di estinzione del reato e della pena, non valgano per la sanzione amministrativa, altro conto è sostenere che l’ordine di demolizione possa reggersi anche in assenza di condanna. La stessa Corte di Cassazione ha più volte ribadito che l’efficacia della demolizione presuppone, accanto al mero accertamento dell'effettiva commissione dell’abuso edilizio, anche una vera e propria pronuncia di condanna. Sicché, ad esempio, andrebbe annullato l’ordine di demolizione imposto con una sentenza che dichiara contestualmente la prescrizione del reato (Cass., sez. III, 16 febbraio 1998, n.4100). Ne segue che il sopravvenire dell’estinzione del reato per via di oblazione fa venir meno la condanna penale quale requisito preliminare indefettibile della demolizione. Ciò che viene meno è proprio la statuizione di condanna alla quale soltanto può accedere la speciale sanzione amministrativa. Si aggiunga che la natura amministrativa della sanzione rende possibile il suo condizionamento ad opera di sopravvenuti provvedimenti di identica natura presi alla P.A.. Nel caso di specie, l’ordine di demolizione è stato seguito dall’emanazione delle concessioni in sanatoria. Questa circostanza è da sola in grado di porre in discussione la perdurante efficacia dell’ordine anzidetto. Non a caso, la giurisprudenza ammette che il provvedimento giurisdizionale di demolizione possa essere revocato in sede esecutiva quando siano stati emessi atti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Cass., sez. III, 4 febbraio 2000, n.3682; Id., 3 maggio 1994, n.712). Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 6776 del 10.12.2002

Rilascio della concessione edilizia in sanatoria - opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo - l’obbligo di acquisire il nulla osta anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo stesso. In sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, l’obbligo di acquisire il parere da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo previsto dall’art.32 L. 28 febbraio 1985 n. 47, sussiste in relazione all’esistenza del vincolo medesimo al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo stesso (cfr. Ad. Plen. 22 luglio 1999, n. 20: Cons. Stato, Sez. VI, n.4812 del 2002). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665. (vedi: sentenza per esteso)

Immobili costruiti in violazione delle norme di edilizia - immobile sequestrato e ordinanza di demolizione non ottemperata - acquisizione gratuita, ope legis, al patrimonio del comune - condizioni - soggetti destinatari della restituzione. In tema di inottemperanza ad ordinanza di demolizione di un immobile costruito in violazione delle norme edilizie, l'acquisizione gratuita, ope legis, al patrimonio del Comune si perfeziona solo quando l'iter amministrativo sia stato completato mediante l'espletamento della procedura prevista dal quarto comma dell'articolo 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ( Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie). In particolare, decorsi 90 giorni dalla notifica all'interessato dell'ordinanza, deve essere eseguito l'accertamento formale della inottemperanza, unico titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione nel Registro immobiliare, e solo con l'avvenuta trascrizione si completa la procedura ablativa mediante l'individuazione in concreto del bene acquisito al patrimonio del Comune. Conforme: Cass. 1991 n. 01870; Cass. 1993 n.0676; Cass. 1994 n. 0581; Cass. 1998 n. 02948; Vedi anche: Cass. 2000 n. 3755. Corte di Cassazione, Sezione III - 02/12/2002 (CC.17/10/2002) Sentenza n. 40504

Costruzione abusiva realizzata dal terzo - responsabilità del proprietario del suolo - configurabilita' - condizioni - fattispecie. E' configurabile la responsabilità del proprietario per la realizzazione di costruzione abusiva, ad opera del terzo, sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, che denotano una sua compartecipazione almeno morale all'esecuzione dell'opera abusiva, come la disponibilita' giuridica e di fatto del suolo, il rapporto di coniugio, la circostanza di risiedere stabilmente nel luogo dove si e' edificato, il comune interesse all'edificazione per soddisfare esigenze familiari. Contra: Cass. 2000 n. 0859; vedi: Cass. 1998 n. 7148; Cass. 200 n. 10284. Corte di Cassazione, Sezione III del 14/11/2002 (UD.03/10/2002) Sentenza n. 38193

Edilizia - costruzione edilizia - opera precaria - requisiti - fattispecie: stazione radiobase per telefonia mobile - carrello mobile - installata senza concessione edilizia e autorizzazione ambientale. In materia edilizia, al fine del riscontro del requisito della precarietà di un'opera, necessario per escludere la modifica dell'assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e la più o meno agevole rimuovibilità, bensì le esigenze temporanee alle quali l'opera sia eventualmente destinata (Nell’affermare tale principio la Corte ha escluso che potesse considerarsi precaria una struttura, montata su un carrello mobile, installata senza concessione edilizia e autorizzazione ambientale in un parco regionale, adibita a stazione radiobase per telefonia cellulare con annesso generatore, in quanto destinata ad essere utilizzata a tempo indeterminato in funzione di esigenze di natura permanente). Corretta è anche la misura cautelare ex art. 321 c.p.p. (sequestro preventivo), anche a prescindere dalla ricorrenza dell’altra contravvenzione, quella di cui all’art. 20 lett. c) Legge n. 47/1985.Pres. Tardino - Est. Piccialli - P.M. Iacoviello (diff) - Ric. Omnitel Pronto Italia. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sezione, Sezione III del 13/11/2002 (C.C. 10/10/2002) Sentenza n. 38073, RV. 222907

Applicabilità della sanzione anche in caso di condono edilizio di opere abusive che ricadono in zone paesaggisticamente vincolate - la sanatoria di abusi edilizi in zone protette - la caratterizzazione sanzionatoria e non riparatoria della fattispecie - l'autonomia dei procedimenti. La nuova formulazione (art. 164 del D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490), sostitutiva dell'art. 15 della normativa del 1939, conferma gli indici dai quali si è ricavata la caratterizzazione sanzionatoria e non riparatoria della fattispecie (mancata specificazione del riferimento ad illeciti sostanziali, quantificazione dell'importo in relazione al profitto oltre che al danno); in più, avendo riguardo al semplice pagamento di una somma di denaro, la norma è spogliata dal riferimento al termine « indennità », che si è visto essere argomento, peraltro non decisivo, a conforto della matrice necessariamente sostanziale degli illeciti considerati. Si è poi altresì concluso nel senso della applicabilità della sanzione anche in caso di condono edilizio di opere abusive che ricadono in zone paesaggisticamente vincolate, e per le quali l'Autorità preposta alla tutela del vincolo abbia espresso, ai sensi del citato art. 32 della legge n. 47 del 1985, parere favorevole alla condonabilità dell'abuso. L'assunto non è smentito dall'art. 2 comma 46 L. 23 dicembre 1996 n. 662, e successive modificazioni (richiamato nella decisione impugnata) a norma del quale: “Per le opere eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla L. 29 giugno 1939 n. 1497, e al D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985 n. 431, il versamento dell'oblazione non esime dall'applicazione dell'indennità risarcitoria prevista dall'art. 15 della citata legge n. 1497 del 1939. Allo scopo di rendere celermente applicabile la disposizione di cui al presente comma ai soli fini del condono edilizio, con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono determinati parametri e modalità per la qualificazione della indennità risarcitoria prevista dall'art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, con riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali oggetto del vincolo". L'art. 2 comma 46 L. n. 662 del 1996, chiarisce, infatti, ancora che la inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle sanzioni amministrative, sancita in termini generali dall'art. 38 legge n. 47 del 1985, non si estende alle sanzioni in materia paesistica di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, anche se l'abuso edilizio sia stato ritenuto condonabile dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo. La disposizione appena richiamata non va dunque intesa nel senso che la indennità di cui all'art. 15 legge n. 662 del 1996, è una forma di risarcimento del danno e non una sanzione amministrativa, ma nel senso che si tratta di una sanzione amministrativa che rimane applicabile nonostante il concesso condono edilizio. Facendo applicazione al caso di che trattasi delle coordinate ermeneutiche appena indicate con riferimento al condono di cui all'art. 31 e seguenti della legge n. 47 del 1985, si deve ritenere che, diversamente da quanto opinato dal primo giudice con la decisione di appellata, la sanzione pecuniaria amministrativa di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939 prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale. Ne consegue altresi che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente favorevole definizione del procedimento di cui all'art. 13 della legge n. 47 del 1985, non ne escludono l'applicabilità; al contrario si può dire che in presenza di una valutazione in tal senso l'Amministrazione avrà il potere dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo preclusa ovviamente, alla stregua di un elementare principio di non contraddizione, la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell'importo alla luce dei criteri cristallizzati dall'art. 15. La esposta soluzione garantisce appieno l'autonomia dei procedimenti di cui trattasi ed il rispetto della disciplina di cui alla legge n. 1497 del 1939 che, in relazione alle opere costruite abusivamente, impone l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 15 (Cons. Stato, VI Sez., n. 421/2000, cit.). Ed il sistema non è in sé contraddittorio, perché se da un lato consente la sanatoria di abusi edilizi in zone protette, qualora compatibili con l'ambiente, dall'altro lato il condono edilizio riguarda, appunto e soltanto, gli abusi edilizi, e non quelli paesistici. L'illecito paesistico che sia compatibile con l'ambiente, se consente la sanatoria dell'abuso edilizio, non viene in altri termini sanato integralmente dalla sanatoria edilizia, e deve perciò trovare sanzione con le misure di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, e, segnatamente, con il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria. Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279 (vedi: sentenza per esteso)

Costruzione abusiva - ordine di demolizione - esecuzione - acquisizione del bene al patrimonio del comune - presupposto erroneo - effetto ostativo alla esecuzione della demolizione - esclusione - l'inottemperanza del privato alla ingiunzione - delibera dichiarativa di prevalente interesse pubblico o di demolizione dell'immobile - necessità. E' inammissibile il ricorso proposto contro l'ordine di demolizione di un'opera edilizia abusiva emesso dal giudice dell'esecuzione, sul presupposto erroneo dell'avvenuta acquisizione del manufatto al patrimonio del Comune, per l'inottemperanza del privato alla ingiunzione prevista dall'art. 7 comma 3 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in quanto l'effetto ablatorio si produce solo nel momento in cui si perfeziona il procedimento amministrativo acquisitivo, con l'approvazione della delibera di demolizione dell'immobile o di dichiarazione di prevalenti interessi pubblici che ne giustifichino la conservazione. Corte di Cassazione Penale, Sezione III del 07/11/2002, (CC.26/09/2002) RV. 222915, sentenza n. 37222

Reati edilizi nel regime di comunione legale fra coniugi - costruzione abusiva realizzata su suolo di proprieta' esclusiva di uno dei coniugi - estensione dell'imputazione al coniuge non comproprietario - specifica contestazione di concorso nella committenza dei lavori - necessita' - sussistenza. In tema di reati edilizi, nel regime di comunione legale fra coniugi la costruzione abusiva realizzata con le risorse finanziarie di entrambi i coniugi, sul suolo di proprieta' personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest'ultimo e l'imputazione non puo' essere estesa al coniuge non comproprietario, se non come committente dei lavori abusivi con apposita e specifica contestazione. (Nella specie la Corte ha ritenuto che, in assenza di specifica contestazione, il coniuge non comproprietario del suolo non poteva essere condannato quale committente della costruzione abusiva in concorso con il marito). Corte di Cassazione Penale Sezione III, 25/10/2002 (UD.25/09/2002), Sentenza n. 35848

Opera pertinenziale al servizio di edifici già esistenti - recinzione - è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita - è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita - il potere sanzionatorio in materia edilizia. La giurisprudenza è univoca e costante nell’affermare che, ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 9 del 1982, ogni opera pertinenziale al servizio di edifici già esistenti, tra le quali rientra anche una recinzione, nella misura in cui se ne accerti l’effettiva funzione pertinenziale nei riguardi di un fabbricato già esistente, è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita. Pertanto, poiché nel provvedimento si fa riferimento ad una mera recinzione - e non già ad una opera più complessa, quale una recinzione composta da muro di sostegno con sovrastante rete metallica, che costituendo una vera e propria costruzione idonea a modificare l’assetto urbanistico-edilizio del territorio, avrebbe comportato il previo rilascio del titolo concessorio - si appalesa illegittimo il provvedimento con il quale il Sindaco ha ordinato la demolizione della recinzione dell’edificio, in base al presupposto che si trattasse di opera soggetta a concessione. Né il provvedimento potrebbe essere giustificato dalla rilevata circostanza che la recinzione di cui trattasi graverebbe su tratto di strada mulattiera, perché al fine di rimuovere tale situazione il sindaco non avrebbe dovuto esercitare il potere sanzionatorio in materia edilizia, ma, tempestivamente, a suo tempo (allorché lo stato di fatto preesistente, come sembra emergere dalle planimetrie allegate alla perizia tecnica, alla quale si è in precedenza accennato, era stato pregiudicato non dalla recinzione, ma dallo stesso edificio, che aveva invaso con il piano seminterrato l’angolo sud/est della strada mulattiera, impedendone il transito), avrebbe dovuto ordinare la rimessa in pristino della strada ritenuta di uso pubblico, ai sensi degli artt. 378, L. 20.3.1865 n. 2248, all. F e 15, d.l.lgt. 1.9.1918 n. 1446. Consiglio di Stato Sezione V, 16 ottobre 2002 n. 5610

La dichiarazione della cessazione della materia del contendere - demolizione nelle more del giudizio di 1° grado di un muretto di sostegno di una roulotte - il presupposto della volontaria (parziale) demolizione effettuata. La circostanza che gli interessati (avverso della sentenza hanno proposto appello, sostenendo che per effetto della demolizione effettuata, nelle more del giudizio di 1° grado, del muretto di sostegno la roulotte poggiava direttamente sul terreno e di conseguenza era venuto meno il carattere di stabilità dell'opera, per cui  il TAR avrebbe dovuto dichiarare la cessazione della materia del contendere non essendovi alcunchè da demolire) abbiano demolito nelle more del giudizio di 1° grado il muretto di sostegno della roulotte è aspetto che non incide sulla legittimità dell'impugnato ordine di demolizione, il quale  anzi costituisce il presupposto della volontaria (parziale) demolizione effettuata. Per cui il TAR non poteva dichiarare la cessazione della materia del contendere, che invece persisteva. Consiglio di Stato Sezione V, 11 ottobre 2002 n. 5503

Sanatoria - la misura del contributo di concessione - riduzione: limite massimo - la disciplina statale e regionale. La materia de qua agitur è regolata dall’articolo 37 della legge n. 47 del 1985, che così recita: “Le regioni possono modificare, ai fini della sanatoria, le norme di attuazione degli articoli 5, 6 e 10, L. 28 gennaio 1977, n. 10. La misura del contributo di concessione, in relazione alla tipologia delle costruzioni, alla loro destinazione d'uso ed alla loro localizzazione in riferimento all'ampiezza e all'andamento demografico dei comuni, nonché alle loro caratteristiche geografiche, non può risultare inferiore al 50 per cento di quello determinato secondo le disposizioni vigenti all'entrata in vigore della presente legge.” Il precetto è di assoluta chiarezza: le leggi regionali non possono determinare una misura del contributo di concessione per immobili soggetti a sanatoria che risulti inferiore alla metà di quello determinabile giusta le disposizioni vigenti al momento di entrata in vigore della medesima legge n. 47 del 1985. Ne consegue che quest’ultimo computo costituisce il limite massimo di esposizione per la determinazione del contributo di concessione. Questo solo argomento sarebbe di per sé ragione necessaria e sufficiente per la conferma della sentenza impugnata. Va aggiunto per mera completezza che la ratio della disposizione trova nell’impianto della legge (e nel principio di ragionevolezza) ulteriori motivi di sostegno. Consiglio di Stato Sezione V, 11 ottobre 2002 n. 5502 così anche: CdS Sez. V,11.10 2002 n. 5501-5500 (vedi: sentenza per esteso)

La concessione in sanatoria - condizioni - il principio di ragionevolezza - termini utili. La legge n. 47 del 1985 ha la dichiarata finalità di ripristinare, in presenza di determinate condizioni, la legalità violata nel settore edilizio - urbanistico attraverso una procedura che, diversamente da quella di rilascio della concessione edilizia ex lege n. 10 del 1977, presuppone l’esistenza dell’immobile, in quanto edificato entro una determinata data. La procedura in questione è preordinata: alla prova dell’esistenza dell’immobile e della sua edificazione nei termini indicati dal legislatore (per assicurare un rapporto tra realtà effettuale e determinazioni amministrative); all’accertamento della conformità urbanistica o, quanto meno, dell’inesistenza di insuperabili vincoli di inedificabilità, dell’intervento ancorché non assistito da atti di assenso dell’Amministrazione (per legittimare il successivo atto di concessione in sanatoria). La concessione in sanatoria è così destinata a rivestire di legittimità un fatto al quale è intrinsecamente correlata: senza il fatto (cioè l’immobile abusivo) non si determinerebbe un esame ex post (e una tantum) della qualificazione giuridica (cioè della possibile sanabilità). Si intende cioè sottolineare come, diversamente che nella legge n. 10 del 1977, il fatto (la costruzione) precede e non segue il rilascio della concessione. Da questa osservazione scaturisce come proprio la prospettiva su dati di fatto non omogenei e disciplinati da diversi precetti giuridici (dalla quale il Giudice di prime cure ha fatto discendere l’applicazione del principio di specialità) impedisce l’ipotesi  assimilativa, fatta propria dal Comune appellante. D’altro canto, la previsione del combinato disposto degli articoli 3 e 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 collega il rilascio della concessione edilizia (anche senza condizionarne la legittimità: C.d.S., V, 15 aprile 1996, n. 426) alla corresponsione di contributi per un’attività futura di edificazione, nonché di predisposizione delle opere di urbanizzazione. Al momento del rilascio i contributi vanno a gravare su un immobile ancora non esistente: è pertanto  ragionevole il collegamento tra momento del rilascio della concessione e tariffe comunali vigenti a quell’epoca in quanto l’effetto conformativo del territorio è già completamente prefigurato nei suoi aspetti ideali. E’ evidente che, nell’ambito della legislazione di sanatoria, tutte queste considerazioni vengono meno: l’effetto si è già verificato e non in ragione del titolo rilasciato dall’Amministrazione ma proprio in assenza di quest’ultimo. E’ perciò coerente con il principio di ragionevolezza individuare una data entro la quale scaturiscano gli effetti giuridici utili per la conformazione del fabbricato, data che non può essere in ogni caso del tutto svincolata da quella di ultimazione dell’opera (1° ottobre 1983). Diversamente opinando, si creerebbe un forte squilibrio tra momento idealmente risarcitorio del vulnus (atto di sanatoria) e situazione di fatto, con una divaricazione non solo temporale contraria ai principi: di uguaglianza nella soggezione alle prestazioni patrimoniali imposte (art. 3 e 23 Cost.), ben potendo due identiche violazioni urbanistico - edilizie, contemporaneamente ultimate, essere sanate con la corresponsione di oneri di diverso importo; di buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), rimettendosi alle scelte discrezionali in sede organizzativa del Comune la facoltà di determinare la tariffa applicabile al caso; di affidamento del privato nel corretto esercizio delle attribuzioni da parte dei soggetti pubblici (artt. 3 , 24 e 97 Cost.), per quest’ultimo dovendosi intendere lo svolgimento nei termini prescritti (id est nei ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda) delle attività istruttorie necessarie per il completamento della pratica: nel caso di specie è, per contro, avvenuto che l’iter abbia richiesto ben nove anni. Consiglio di Stato Sezione V, 11 ottobre 2002 n. 5502 così anche: CdS Sez. V,11.10 2002 n. 5501-5500  (vedi: sentenza per esteso)

Il rilascio della sanatoria edilizia - con la sanatoria edilizia non può automaticamente essere variata la destinazione urbanistica del terreno dove insiste l’edificio - la zona di rispetto stradale. Il rilascio della sanatoria edilizia, ai sensi degli artt.31 e segg. della legge n.47 del 1985, se da un lato rende legittimo l’edificio che era, strutturalmente e funzionalmente, abusivo, dall’altro non conferisce nessun ulteriore automatico beneficio o vantaggio, attuale  potenziale. In particolare, con la sanatoria edilizia non può automaticamente essere variata la destinazione urbanistica del terreno dove insiste l’edificio condonato e nemmeno può ritenersi mutata la relativa normativa urbanistica. Ne consegue che poiché, nella vigente legislazione in materia, il rilascio delle concessioni di costruzione è condizionato all’accertamento della conformità urbanistica dei progetti presentati, cioè alla loro conformità alle leggi ed alle previsioni degli strumenti territoriali ed urbanistici e dei regolamenti edilizi (art.4, I co., della legge 28 gennaio 1977 n.10 e art.76, IV co., della L.R.V. 27 giugno 1985 n.61), la concessione era ed è illegittima in quanto, risulta violata la normativa urbanistica sull’inedificabilità in zona di rispetto stradale, nonché quella sulla destinazione agricola della zona. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5175

La competenza dei dirigenti comunali riguardo a “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale” - operatività dei poteri dirigenziali e cessazione dei poteri attribuiti al sindaco. Soltanto ad opera dell’art. 2, comma 12, della L. 16 giugno 1998 n. 191, è stata attribuita ai dirigenti comunali la competenza riguardo a “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale” (disposizione ora trasfusa nell’art. 107, comma 3, lett. g), del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D.Lgs 18 agosto 2000 n. 267). Alla data del 10 novembre 1997, in cui l’ingiunzione impugnata risulta adottata, quella competenza spettava, quindi, ancora al Sindaco; risulta dall’atto l’eventuale fonte provvedimentale dei poteri di chi l’ha sottoscritto. L’acclarata sussistenza del vizio d’incompetenza esime il Collegio dall’esame di ogni altra censura, restando salva ogni determinazione dell’autorità competente. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5159 (vedi: sentenza per esteso)

URBANISTICA E EDILIZIA - Demolizione del manufatto abusivo - Inosservanza di obblighi imposti - Revoca della sospensione - Operatività e limiti. La revoca della sospensione condizionale della pena, per inosservanza di obblighi imposti, a norma dell'art. 165 cod. pen., con la sentenza di condanna (nella specie, demolizione del manufatto abusivo), opera di diritto, salva l'ipotesi di sopravvenuta impossibilità, sicché il giudice dell'esecuzione, al quale non è attribuita alcuna discrezionalità al riguardo, nel disporla, non è tenuto a motivare su questioni diverse dall'adempimento e dall'inesistenza di cause che lo rendano impossibile (CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 26 settembre 2000, Scollo, m. 217.610). Conf. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 22 febbraio 2007 (Ud. 11/01/2007), Sentenza n. 7283

Il calcolo dei contributi di concessione - riferimento, al momento del rilascio o al tempo di presentazione della istanza - la materia del condono edilizio è disciplinata da una normativa speciale - termine per la presentazione delle domande di condono - la misura del contributo di concessione, in relazione alla tipologia delle costruzioni, alla loro destinazione d'uso ed alla loro localizzazione in riferimento all'ampiezza e all'andamento demografico dei comuni - prova dell’esistenza dell’immobile e della sua edificazione nei termini - conformità urbanistica o, quanto meno, dell’inesistenza di insuperabili vincoli di inedificabilità. La questione sottoposta a giudizio è la seguente: se per le concessioni edilizie rilasciate in sanatoria ai sensi degli articoli 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47, i contributi di concessione vadano calcolati ai sensi dell’articolo 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (con riferimento, cioè, al momento del rilascio) ovvero con riguardo al tempo di presentazione della istanza. Il Giudice di prime cure ha concluso per la non applicabilità dell’articolo 11 della citata legge n. 10 del 1977 in base alle seguenti considerazioni: la materia del condono edilizio è disciplinata da una normativa speciale (il capo IV della legge n. 47 del 1985 e le leggi regionali collegate) con caratteri di autonomia rispetto all’ordinario regime edilizio; l’articolo 37, comma secondo della citata legge n. 47 del 1985 non contiene un rinvio dinamico alle norme che regolamentano la corresponsione di contributi per l’ordinaria attività edilizia; questa interpretazione è stata recepita dalla legge della Regione Lombardia 10 giugno 1985, n. 77 (art. 1 c. 2) in dichiarata applicazione dell’articolo 37 della legge n. 47 del 1985; indiretta conferma si consegue dall’esegesi di altra norma di settore (l’articolo 39 comma 10 della legge 23 dicembre 1994, n. 725), che ancora il computo per il pagamento degli oneri ai parametri in vigore al 30 giugno 1989, in evidente riferimento al termine ultimo per l’esame della pratica da parte del Comune, vale a dire nei ventiquattro mesi successivi alla data del 30 giugno 1987, (entro cui spirava il rinnovato termine per la presentazione delle domande di condono). Le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale amministrativo ambrosiano vanno pienamente condivise. E’ indubbio che la materia de qua agitur sia regolata dall’articolo 37 della legge n. 47 del 1985, che così recita: “Le regioni possono modificare, ai fini della sanatoria, le norme di attuazione degli articoli 5, 6 e 10, L. 28 gennaio 1977, n. 10. La misura del contributo di concessione, in relazione alla tipologia delle costruzioni, alla loro destinazione d'uso ed alla loro localizzazione in riferimento all'ampiezza e all'andamento demografico dei comuni, nonché alle loro caratteristiche geografiche, non può risultare inferiore al 50 per cento di quello determinato secondo le disposizioni vigenti all'entrata in vigore della presente legge.” Il precetto è di assoluta chiarezza: le leggi regionali non possono determinare una misura del contributo di concessione per immobili soggetti a sanatoria che risulti inferiore alla metà di quello determinabile giusta le disposizioni vigenti al momento di entrata in vigore della medesima legge n. 47 del 1985. Ne consegue che quest’ultimo computo costituisce il limite massimo di esposizione per la determinazione del contributo di concessione. La legge n. 47 del 1985 ha la dichiarata finalità di ripristinare, in presenza di determinate condizioni, la legalità violata nel settore edilizio - urbanistico attraverso una procedura che, diversamente da quella di rilascio della concessione edilizia ex lege n. 10 del 1977, presuppone l’esistenza dell’immobile, in quanto edificato entro una determinata data. La procedura in questione è preordinata: alla prova dell’esistenza dell’immobile e della sua edificazione nei termini indicati dal legislatore (per assicurare un rapporto tra realtà effettuale e determinazioni amministrative); all’accertamento della conformità urbanistica o, quanto meno, dell’inesistenza di insuperabili vincoli di inedificabilità, dell’intervento ancorché non assistito da atti di assenso dell’Amministrazione (per legittimare il successivo atto di concessione in sanatoria). La concessione in sanatoria è così destinata a rivestire di legittimità un fatto al quale è intrinsecamente correlata: senza il fatto (cioè l’immobile abusivo) non si determinerebbe un esame ex post (e una tantum) della qualificazione giuridica (cioè della possibile sanabilità). Si intende cioè sottolineare come, diversamente che nella legge n. 10 del 1977, il fatto (la costruzione) precede e non segue il rilascio della concessione. Da questa osservazione scaturisce come proprio la prospettiva su dati di fatto non omogenei e disciplinati da diversi precetti giuridici (dalla quale il Giudice di prime cure ha fatto discendere l’applicazione del principio di specialità) impedisce l’ipotesi  assimilativa, fatta propria dal Comune appellante. D’altro canto, la previsione del combinato disposto degli articoli 3 e 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 collega il rilascio della concessione edilizia (anche senza condizionarne la legittimità: C.d.S., V, 15 aprile 1996, n. 426) alla corresponsione di contributi per un’attività futura di edificazione, nonché di predisposizione delle opere di urbanizzazione. Al momento del rilascio i contributi vanno a gravare su un immobile ancora non esistente: è pertanto  ragionevole il collegamento tra momento del rilascio della concessione e tariffe comunali vigenti a quell’epoca in quanto l’effetto conformativo del territorio è già completamente prefigurato nei suoi aspetti ideali. E’ evidente che, nell’ambito della legislazione di sanatoria, tutte queste considerazioni vengono meno: l’effetto si è già verificato e non in ragione del titolo rilasciato dall’Amministrazione ma proprio in assenza di quest’ultimo. E’ perciò coerente con il principio di ragionevolezza individuare una data entro la quale scaturiscano gli effetti giuridici utili per la conformazione del fabbricato, data che non può essere in ogni caso del tutto svincolata da quella di ultimazione dell’opera. Diversamente opinando, si creerebbe un forte squilibrio tra momento idealmente risarcitorio del vulnus (atto di sanatoria) e situazione di fatto, con una divaricazione non solo temporale contraria ai principi: di uguaglianza nella soggezione alle prestazioni patrimoniali imposte (art. 3 e 23 Cost.), ben potendo due identiche violazioni urbanistico - edilizie, contemporaneamente ultimate, essere sanate con la corresponsione di oneri di diverso importo; di buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), rimettendosi alle scelte discrezionali in sede organizzativa del Comune la facoltà di determinare la tariffa applicabile al caso; di affidamento del privato nel corretto esercizio delle attribuzioni da parte dei soggetti pubblici (artt. 3 , 24 e 97 Cost.), per quest’ultimo dovendosi intendere lo svolgimento nei termini prescritti (id est nei ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda) delle attività istruttorie necessarie per il completamento della pratica: nel caso di specie è, per contro, avvenuto che l’iter abbia richiesto ben nove anni. (Nello stesso senso C.d.S. sez. V, 6.9.2002 n. 4562) Consiglio di Stato, sezione V, 17 settembre 2002, n. 4716  (vedi: sentenza per esteso)

Rilascio della concessione edilizia in sanatoria a condizione - obbligo di motivazione circostanziata del provvedimento statale di annullamento dell’autorizzazione paesistica - principio della leale collaborazione.  La giurisprudenza ha più volte affermato che il provvedimento statale di annullamento dell’autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interesse in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesistici, ma deve basarsi sull’esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall’autorità che ha emanato l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola-cardine della leale collaborazione o con gli altri principi sulla legittimità dell’azione amministrativa (cfr., di recente, C.d.S., A.P., 14.12.2001, n. 9). Nel caso di specie, il decreto impugnato ha formulato un proprio giudizio sulla non compatibilità dell’intervento con le esigenze di salvaguardia dell’area vincolata, con alcune osservazioni sul pregiudizio ambientale, che, tuttavia, non hanno evidenziato uno specifico vizio dell’autorizzazione regionale, ove si consideri che quest’ultima aveva concretamente dato conto delle ragioni favorevoli al rilascio della concessione edilizia in sanatoria richiesta dall’appellato e alla compatibilità della concessione stessa con i valori ambientali (“l’opera realizzata, ubicata in una zona già interessata dalla presenza di altre costruzioni, in relazione alla tipologia adottata, non costituisce alterazione dell’ambiente circostante, a condizione che il lotto interessato dall’intervento abusivo sia ulteriormente schermato da una cortina di alberi ad alto fusto”). Consiglio di Stato Sezione VI, 07 agosto 2002, n. 4129

Edilizia e urbanistica - Strade “Tratturi” - Duplice valenza. I "Tratturi", secondo quanto ribadito nel DM 15/06/76, costituiscono la diretta sopravvivenza di strade formatesi in epoca protostorica in relazione a forme di produzione fondata sulla pastorizia; tali strade sono perdurate nell'uso ininterrotto, attraverso ogni successivo svolgimento storico, come risultante dalle testimonianze archeologiche di insediamenti preromani, di centri urbani di epoca romana, di abitati longobardi e normanni ed infine dalla presenza di centri tuttora esistenti, i quali fino ad epoca recentissima hanno tratto le fondamentali risorse economiche dalla transumanza. I "tratturi", pertanto, hanno una duplice valenza e ossia quali strade destinate al passaggio del bestiame (L. 20/12/1908 n. 746 e successive integrazioni) e quale vestigia e tracce di passate civilta'. Pres. Savignano G - Est.. Gentile M - Imp. P.M. in proc. Capuzzi C - PM. (Parz. Diff.) D'Ambrosio L.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 06/08/2002 (UD.21/06/2002), Sentenza n. 29099 (vedi: sentenza per esteso)

Nozione di “completamento funzionale” - sanatoria delle opere interne. Il Collegio non ha motivi per discostarsi dal principio enunciato dal TAR, atteso che nella specie non vi è stata la realizzazione di nuovi edifici, ma solo la realizzazione di opere interne ad edifici già esistenti, alla stregua di quanto previsto dall’art. 31, 1° comma lett. b, L. 28.2.1985 n.47( richiamato dall’art. 39 L.n.724/94) che per la sanatoria delle opere interne richiede appunto il “completamento funzionale”. “Completamento funzionale” da intendere  come realizzazione delle principali opere necessarie per  attuare il mutamento di destinazione, incompatibili con l’originaria destinazione assentita, ancorchè non siano stati ancora realizzati gli impianti e le rifiniture di carattere complementare ed accessorio (V. le decisoni di questa Sezione n.718 del 6.5.1995 e n.1071 del 14.7.1995). Consiglio di Stato, sezione V, 4 luglio 2002, n. 3679

Abusivismo Edilizio - l’abrogazione delle leggi 1977, n. 10 e 1985, n. 47 dopo la temporanea efficacia del Testo Unico in materia edilizia - vuoto normativo - sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Il Testo Unico in materia edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001) all'articolo 44 (L) indica le sanzioni penali da irrogare per le violazioni delle norme che stabiliscono le modalità per la regolare realizzazione dei manufatti, in particolare la lettera b), che riproduce il contenuto della lettera b) dell'articolo 20 della legge n. 47 del 1985 (cfr. capo di imputazione), punisce con l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 5.164 a 51.645 euro chi esegue i lavori in totale difformità o assenza del permesso (in precedenza concessione) ovvero prosegue i lavori nonostante l'ordinanza di sospensione. L'articolo 136 del medesimo Testo unico, al comma 2, dispone l'abrogazione, dalla data della sua entrata in vigore, di una serie di disposizioni, tra le quali (lettera c) gli articoli 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 16 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e (lettera f) gli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 25, comma 4, 26, 27, 45, 46, 47, 48, 52, comma 1, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. A norma dell'articolo 138 (L) dello stesso d.P.R. le disposizioni del Testo unico entravano in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2002. Successivamente il decreto legge 23 novembre 2001, n. 411, pubblicato nella G.U. del 26 novembre 2001, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 21 dicembre 2001, n. 463, ha stabilito, all'articolo 5-bis,la proroga al 30 giugno 2002 del termine di entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 1001 (non anche del d.lgs. e del d.P.R., testi B e C). La legge di conversione del decreto-legge in esame è stata pubblicata in G.U. il 9 gennaio 2002 (n. 7), quindi dopo che era già spirato il termine del 1° gennaio 2002; ciò ha determinato che il Testo unico sia entrato in vigore alla data originariamente prevista. Successivamente lo stesso Testo unico, dal 9 gennaio 2002, è stato oggetto, quindi, di una disposizione che ne ha di fatto posticipato l'efficacia: in tal senso deve essere letto l'articolo 5-bis, giacché non può correttamente definirsi proroga il differimento di un termine dopo la sua scadenza (in tal senso si è espressa la stessa Cassazione penale, sez. III, 23 gennaio - 4 marzo 2002, n. 8556). Tale differimento è stato ulteriormente posticipato, dapprima, al 1° gennaio 2003 con il decreto-legge n.1 22 del 20 giugno 2002 e poi al 30 giugno 2003 per effetto dell'articolo 2 della legge 1 agosto 2002, n. 185, di conversione del suddetto decreto-legge (G.U. 19 agosto 2002). Per effetto delle disposizioni normative citate, l'articolo 20 della legge n. 47 del 1985 è stato abrogato dal 1° gennaio 2002 con l'entrata in vigore dell'articolo 136, comma 2, lettera f), del d.P.R. n. 380 del 2001. La disposizione (articolo 5-bis), che ha differito successivamente, a partire dal 9 gennaio 2002, l'efficacia del Testo unico, non ha stabilito, però, nulla a proposito della disciplina da applicare fino al raggiungimento della data «prorogata», né ha in nessun modo ripristinato l'efficacia della normativa nel frattempo abrogata, comunque si voglia chiamare l'operazione non portata a termine (reviviscenza, ripristino di operatività o altro). Ritiene il giudicante che, in assenza di un dato formale positivo di fonte legislativa in ossequio al principio di legalità, non sia possibile pervenire ad un giudizio di continuità del tipo di illecito sanzionato, ancorché non vi sia dubbio che l'articolo 44 del Testo unico n. 380 è sostanzialmente identico all'articolo 20 della legge n. 47 del 1985. Per quanto la vicenda possa dirsi singolare e, auspicabilmente, unica e sebbene possa convenirsi con quanto sostenuto dalla Corte d'Appello di Torino (sez. IV penale, sentenza 21 giugno 2002, Panero) circa l'assenza dell'intenzione del legislatore, nel disporre la proroga, di rendere non punibili le fattispecie previste dall'articolo 20 della legge n. 47 del 1985, appare inevitabile l'applicazione nel caso di specie dell'articolo 2, comma 2, codice penale, con la conseguenza che deve essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Tribunale di Ivrea sentenza 3 luglio 2002, n. 447

Opere abusive - l’accertamento dei “fatti” (e del tempo) - l’accertamento compiuto in sede di procedimento penale non può non influire sulla riconducibilità giuridico-temporale dei fatti anche in sede amministrativa. L’accertamento compiuto in sede di procedimento penale non può non influire sulla riconducibilità giuridico-temporale dei fatti anche in sede amministrativa, stante l’unicità dell’ordinamento giuridico ed il principio per cui l’accertamento di un fatto in una sede giurisdizionale non può, come tale, essere ridiscusso e reinterpretato in relazione alla sua temporalità, in altra sede. Né si può condividere la censura svolta dal Comune secondo cui il Tribunale avrebbe dato illegittima prevalenza all’accertamento svolto del Giudice penale relativamente alla condonabilità o meno delle opere contestate con conseguente illegittima sostituzione del Giudice penale all’amministrazione. Invero, il Tribunale si è limitato - e l’argomentazione pare legittima e corretta - ad assumere l’accertamento “temporale” compiuto dal Giudice penale, senza ulteriori qualificazioni di carattere tecnico-giuridico-amministrativo. Ritiene in proposito la Sezione di confermare la validità dell’argomentazione svolta dal Tribunale in quanto, come osservato, anche in relazione a principi di carattere generale del nostro ordinamento giuridico, l’accertamento dei “fatti” (e del tempo) svolto da un Giudice non può non rilevare nella sua materialità nel successivo accertamento effettuato da un altro Giudice. Parimenti infondate sono le censure di cui al secondo motivo di gravame, concernenti profili di illogicità e contraddittorietà nello svolgimento del sopralluogo svolto dall’Amministrazione, perché come esattamente rilevato dal Tribunale e come si evince dalla semplice lettura del verbale di sopralluogo, da tale accertamento risultano indubbiamente delle contraddizioni letterali e sostanziali da un lato, mentre dall’altro appare certo che i lavori relativi alle opere contestate erano sostanzialmente esauriti, nell’ambito del concetto-nozione di ultimazione funzionale delle opere medesime. Consiglio Stato Sez. V, 01 luglio 2002, n. 3588.

Le demolizioni integrali e demolizione parziale - il minor costo per il soccombente - riconduzione dell'abuso alla legittimità l'opera - fascia stradale. Concilia la riconduzione alla legalità dell'opera con il minor costo per l'impresa soccombente -sia quella della demolizione parziale degli ultimi piani dell'edificio, arretrandoli rispetto ai confini. Infatti, come rileva il Provveditorato nella relazione, "tali demolizioni potrebbero essere attuate senza pregiudizio per le parti sottostanti". La stessa relazione rileva che, al contrario, le demolizioni integrali richieste dalla parte ricorrente comporterebbero il sacrificio di tutte le strutture che si trovano sullo stesso piano delle opere da demolire, ancorché rientranti in volumi legittimamente costruiti. La decisione della Sezione ha osservato che “se questo è l'unico modo per riportare nell'ambito della legittimità l'opera, il sacrificio deve essere sopportato dall'impresa resistente, essendo riconducibile unicamente alla sua condotta la realizzazione dell'abuso. E' principio generale dell'ordinamento che il danneggiante debba sopportare le conseguenze pregiudizievoli derivanti al suo patrimonio dal riportare all'originario stato la situazione dei luoghi, illegittimamente modificata dal medesimo”. Secondo la Sezione, a nulla vale la difficoltà rappresentata -per lo stesso principio indicato sopra- essa, infatti, non è idonea ad evitare l'intervento ripristinatorio, visto che esso è indispensabile per riportare l'opera nell'ambito della legittimità, sulla base del giudicato che ha espressamente individuato nel mancato rispetto della fascia stradale uno dei motivi d'illegittimità della concessione assentita”. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 25 giugno 2002, n. 3435.

Assenza di un’istanza di sanatoria - costruzione senza concessione - caso di irrilevanza della compatibilità delle opere con la normativa urbanistica vigente. L’eventuale compatibilità delle opere con la normativa urbanistica vigente non può assumere efficacia dirimente in assenza di un’istanza di sanatoria, potendo tale profilo assumere precipuo rilievo ai fini dell’accertamento di conformità in sede di procedura di sanatoria dell’opera abusiva, ma non potendo esso costituire - come è ovvio - un implicito surrogato dell’assenso edilizio concretamente non rilasciato; del resto, va aggiunto per inciso, chi ha costruito senza concessione, seppur in conformità allo strumento urbanistico vigente, non gode nemmeno di un’aspettativa alla sanatoria (che, si ribadisce, nella specie non risulta peraltro essere stata richiesta) incondizionata e illimitata nel tempo. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 25 giugno 2002, n. 3443. (vedi: sentenza per esteso)

Demolizione di opere edilizie abusive - presupposto per l’adozione dell’ordine - atto dovuto in assenza del titolo abilitativo - acquisizione gratuita delle opere al patrimonio comunale - posizione di affidamento nel privato. Il presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive resta essenzialmente la constatata realizzazione dell’opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), con la conseguenza che nella ricorrenza del predetto requisito l’ingiunzione demolitoria costituisce praticamente un atto dovuto, anche con riguardo all’effetto derivato della paventata acquisizione gratuita delle opere al patrimonio comunale, ed è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, salvo che per il lungo lasso di tempo trascorso si sia ingenerata, causa appunto il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta, una posizione di affidamento nel privato ( cfr. Cons. Stato, V, 19 marzo 1999, n. 286 e 5 marzo 2001, n. 1244; C.G.A.R.S. 23 aprile 2001, n. 183). Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 25 giugno 2002, n. 3443. (vedi: sentenza per esteso)

Se manca l'autorizzazione e la dichiarazione di p.u., il privato proprietario danneggiato può richiedere, oltre al risarcimento dei danni sofferti nell'ultimo quinquennio anteriore alla domanda, anche la rimozione dell'impianto e la "restitutio in integrum" - c.d. occupazione acquisitiva - ipotesi di "occupazione usurpativa". L'annullamento dell'atto avente valore di dichiarazione di pubblica utilità comporta l'applicazione dell'orientamento sancito dalla giurisprudenza della Cassazione, secondo il quale l'apprensione "sine titulo" di un suolo di proprietà privata occorrente per l'impianto di un elettrodotto - sia che la realizzazione dell'opera non sia stata autorizzata dalla competente autorità, sia che non sia assistita da declaratoria di p.u., sia che, pur essendo stata autorizzata e dichiarata di p.u., non vi sia stato un valido asservimento per via di provvedimento amministrativo - non determina in alcun caso la costituzione di una servitù di fatto secondo lo schema della c.d. occupazione acquisitiva, trattandosi di fattispecie non applicabile per estensione alle ipotesi di acquisto da parte dell'ente costruttore, di un diritto reale "in res aliena", ed in particolare all'ipotesi di costituzione di servitu' coattiva di elettrodotto: in tutti i casi sopra menzionati la costruzione dell'impianto e il suo esercizio concretano un illecito (non istantaneo) ma a carattere permanente che perdura nel tempo sino a quando la situazione di illegittimità non venga meno, o con la rimozione dell'impianto dal fondo abusivamente occupato, o con la cessazione del suo esercizio, o con la costituzione di una regolare servitù mediante sentenza dal giudice ordinario (sempreché, in quest'ultimo caso l'impianto ed il suo esercizio siano stati autorizzati dall'autorita' competente); con la conseguenza che, se manchi l'autorizzazione e la dichiarazione di p.u., il privato proprietario da essa leso puo' richiedere, oltre al risarcimento dei danni sofferti nell'ultimo quinquennio anteriore alla domanda, anche la rimozione dell'impianto e la "restitutio in integrum" (Cassazione civile, sez. un., 3 ottobre 1989 n. 3963; Cass. Civ. sez. I, 18 settembre 1991 n. 9726). Il Collegio ben conosce la posizione giurisprudenziale secondo cui, in applicazione del principio generale dell'ordinamento di cui costituisce espressione l'art. 2933 comma 2 c.c. (per il quale non va ordinata la distruzione della cosa "se la distruzione… è di pregiudizio all'economia nazionale"), il potere di disporre la distruzione di un'opera pubblica realizzata senza titolo va esercitato tenendo conto anche degli interessi pubblici (C.S. V, 12 luglio 1996, n. 874). Di tale principio è stata fatta applicazione in giurisprudenza con riferimento al problema della restituzione delle aree interessate dall'esecuzione dell'opera pubblica nelle ipotesi di "occupazione usurpativa", sottolineandosi la rilevanza dei criteri ricavabili dall'art. 2058 c.c. e dall'art. 2933 c.c. in presenza di opere pubbliche di rilevante importanza e di ingente valore economico (cfr. in particolare C.S. IV, 14 giugno 2001, n. 3169 e C.S. V, 18 marzo 2002, n. 1562). Il Collegio ritiene peraltro che l'applicazione di queste disposizioni non possa prescindere dai principi processuali comuni. Quindi, per quanto attiene al secondo comma dell'art. 2058 c.c., che riconosce al giudice il potere di "disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore", va osservato che, pur trattandosi di un potere esercitabile d'ufficio, esso va esercitato tenendo presente l'insegnamento della Corte di Cassazione, secondo cui, poiché il giudice non ha un potere di ricerca dei fatti, il rilievo d'ufficio delle questioni presuppone che un fatto sia già stato allegato pur senza invocarne gli effetti e si riferisce alla produzione degli effetti costitutivi, modificativi, estintivi che discendono dal fatto allegato (Cass. Civ., sez. I, 7 aprile 2000, n. 4392). Per quanto attiene al limite fissato dall'art. 2933 c.c., per il caso in cui la distruzione della cosa risulti di pregiudizio per l'economia nazionale, va ricordato che trattasi di norma la cui applicazione presuppone che il concreto verificarsi di tale pregiudizio venga dedotto e dimostrato (Cass. Civ. sez. un., 16 gennaio 1986 n. 207). TAR Campania-Napoli, Sez. V  dell' 11 giugno 2002 Sentenza n. 3386 (vedi: sentenza per esteso)

La richiesta di restituzione dell'area - sentenza di annullamento - giudizio di ottemperanza - l'avvenuta esecuzione dell'opera. L'avvenuta fissazione dei termini de quibus con successiva delibera (costruzione di elettrodotti, con autorizzazione provvisoria) risulta infatti parimenti censurabile: non è ipotizzabile al riguardo una sanatoria con efficacia "ex tunc" mediante convalida, né "ex nunc" mediante integrazione postuma dell'atto incompleto, non essendo consentito all'autorità amministrativa, da un lato, imporre retroattivamente limiti all'esercizio di diritti soggettivi prima illegittimamente compressi, dall'altro, eludere la garanzia che la legge predispone a favore degli espropriandi (Cons. Stato a.plen. 26 agosto 1991 n. 6; IV, 27 novembre 1997, n. 1326; V, 30 settembre 1998, n. 1360). In particolare, va osservato che la richiesta di restituzione dell'area va considerata alla luce degli effetti ripristinatori della sentenza di annullamento (per questo si riconosce, in linea di principio, che nell'ambito dei poteri riconosciuti al giudice amministrativo all'interno del giudizio di ottemperanza, rientra la possibilità, una volta accertata la non esecuzione del giudicato da parte della p.a., di disporre la restituzione dell'area: C. S. VI, 16 settembre 1993, n. 623; IV, 5 ottobre 1995, n. 785). E del resto l'avvenuta esecuzione dell'opera ha comportato, da parte del ricorrente, l'esigenza di specificare il petitum: al riguardo è significativo, a titolo di esempio, l'orientamento della giurisprudenza civile secondo cui, ingiunto dall'amministrazione il pagamento di una sanzione pecuniaria amministrativa in forza di titolo munito di efficacia esecutiva, non costituisce domanda nuova la pretesa del privato ad ottenere, nel corso del procedimento promosso per l'accertamento negativo di tale pretesa creditoria, la restituzione delle somme versate in forza dell'esecutività del titolo (Cassazione civile, sez. I, 5 febbraio 1987 n. 1124). TAR Campania-Napoli, Sez. V  dell' 11 giugno 2002 Sentenza n. 3386 (vedi: sentenza per esteso)

Competenza dei geometri - i limiti alla progettazione di opere e manufatti posti dalla legge ai geometri - il profilo della responsabilità. L'art. 57 della legge n.144 del 1949 chiarisce che i geometri, da soli, possono progettare e dirigere la costruzione di modeste opere civili, e in particolare di case di abitazione comuni ed economiche , costruzioni asismiche e a due piani, senza ossature in cemento armato o ferro. L'art. 2 della legge n.1086 del 1971 dispone che la costruzione delle opere di conglomerato cementizio armato, normale, precompresso ed a struttura metallica deve avvenire in base ad un progetto esecutivo redatto da un ingegnere o architetto o geometra o perito industriale edile, iscritti nei relativi albi, nei limiti delle rispettive competenze. Il quadro legislativo in vigore asseconda dunque la possibilità di una integrazione cooperativa tra diverse professionalità nel limite della competenza di ciascuna di esse. Ora i limiti alla progettazione di opere e manufatti posti dalla legge ai geometri, trovano la loro ratio nella necessità che un ingegnere o un architetto si assumano la responsabilità di quei progetti che pongano questioni di statica delle strutture e di resistenza dei materiali che richiedono lo sviluppo di calcoli complessi, come avviene tutte le volte che entrano in gioco progettazioni di strutture in cemento armato o in ferro o in altri materiali che vanno testati con cura nei profili statici, di carico e di resistenza: in tutti questi casi, al di là di valutazioni di congruenza estetica, prevale nella ratio legis il profilo della salvaguardia della pubblica incolumità: che è poi quello che legittima l'interesse ad agire del ricorrente in primo grado nel caso in esame. Ai sensi dell'art.3 della legge n.1086 del 1971, è il professionista incaricato della progettazione dei lavori che si assume la responsabilità dell'intera costruzione e non gli eventuali suoi collaboratori, come ricorda la sentenza impugnata. Ma tale considerazione va integrata con l'altra , anche essa chiaramente presente negli orientamenti giurisprudenziali Consiglio di Stato,V, n. 248/1997), che il profilo della responsabilità va specificato e integrato alla luce delle competenze legislativamente previste per ciascun professionista che interviene nella progettazione: come abbiamo osservato, quando entra in gioco la progettazione di strutture per le quali è prescritto l'intervento di un ingegnere o di un architetto è necessario che questa figura professionale si assuma in modo esplicito la responsabilità di tutti quei profili ( calcoli statici , soluzioni tecniche ed architettoniche) che sotto l'ottica della tutela della pubblica incolumità richiedono specificamente l'intervento di queste figure. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3194. (vedi: sentenza per esteso)

La natura vicinale di una strada - la titolarità privata della strada vicinale e la sua destinazione al pubblico transito - realizzazione di manufatti ed interventi edilizi - regime giuridico della strada vicinale - annullamento in sede di autotutela di una concessione edilizia - presupposti. In via generale, che la natura vicinale di una strada non costituisce insuperabile impedimento al legittimo rilascio di un assenso alla realizzazione sulla pertinente sede di opere edilizie. Se si considera, invero, la titolarità privata della strada vicinale e la sua destinazione al pubblico transito, si perviene agevolmente alla conclusione, peraltro già raggiunta dal Comune di Genova (per come si ricava dalla lettura della motivazione dell’atto di autoannullamento), che la realizzazione di manufatti su quella in tanto può essere correttamente negata in quanto costituisca significativo ostacolo all’esercizio del passaggio. Il regime giuridico della strada vicinale risulta, infatti, preclusivo della sola costruzione di manufatti che ostacolino o che intralcino l’esercizio dell’uso pubblico dello stesso ovvero, ancora, che diminuiscano sensibilmente le modalità di espletamento del diritto di transito, per come si evince, peraltro, dal consolidato orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 2 novembre 1998, n.1558, Cons. Stato, Sez. V, 7 aprile 1995 n.522) che riconosce legittimo l’esercizio dei poteri sindacali di autotutela possessoria nei soli casi di realizzazione di opere che impediscano l’utilizzazione della strada da parte della collettività. Di contro, ove gli interventi edilizi non risultino idonei ad impedire od a ridurre l’esercizio del pubblico transito, la mera natura vicinale della strada non può reputarsi elemento sufficiente per negare l’assenso alla realizzazione di quelle opere ovvero, come nel caso di specie, per giustificare l’annullamento, in sede di autotutela, del titolo edilizio originariamente rilasciato. Giova ricordare, al riguardo, che siffatto principio risulta già affermato in via astratta dallo stesso Comune di Genova là dove, nella stessa motivazione dell’atto di annullamento, veniva addotta, quale ragione fondante quella determinazione, la necessità di “…preventivamente valutare in quale misura l’apposizione dei paletti venisse ad incidere nell’esercizio del pubblico transito sui menzionati tratti stradali”. Sennonché lo stesso Ente, dopo aver affermato la necessità di quella valutazione, ha omesso di compiere la relativa verifica e ha provveduto all’annullamento d’ufficio del titolo per il solo fatto che i paletti erano stati apposti su un strada vicinale. Come si vede, al di là dell’intrinseca contraddittorietà dell’atto, le ragioni addotte a sostegno dell’atto di autotutela non risultano idonee a giustificare la relativa determinazione. Com’è noto, infatti, perché possa legittimamente procedersi all’annullamento in sede di autotutela di una concessione edilizia è necessaria la contemporanea presenza di un accertato vizio di legittimità dell’atto rimovendo e di un interesse pubblico, concreto ed attuale, alla sua rimozione (Cons. Stato, Sez. V, 13 marzo 2000, n.1311). Nel caso di specie, a ben vedere, non solo non viene comprovata la sussistenza del vizio astrattamente individuabile, consistente nell’incompatibilità degli interventi edilizi con la destinazione della strada al pubblico transito, ma risulta addirittura manifestata, nella motivazione dell’atto, l’omissione di qualsiasi valutazione circa quel profilo. Ne consegue che, in sede di autotutela, non è stata accertata in alcun modo l’invalidità della concessione edilizia rimossa e che, pertanto, il provvedimento di annullamento d’ufficio va giudicato illegittimo in quanto adottato in assenza della, necessaria, puntuale verifica di un vizio dell’atto eliminato. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 giugno 2002, n. 3173.

Demanio marittimo - individuazione dell’immobile da demolire - condanna penale - termine di novanta giorni. Nessuna incertezza sussiste in ordine all'esatta individuazione dell’immobile da demolire, tanto più che l’appellante ha subito una condanna penale perché, in violazione degli artt.55 e 1161 del Codice di Navigazione, ha “costruito un immobile a meno di 30 metri dal Demanio Marittimo senza il prescritto nulla osta della competente autorità”. Inoltre, l’appellante si è limitata a fare un'affermazione apodittica sulla distanza del manufatto abusivo, che sarebbe situato oltre trenta metri dal demanio marittimo, senza fornire un principio di prova (perizia giurata o altro) per avvalorare una circostanza che, a fronte della menzionata pronuncia penale, abbisognava di elementi certi e precisi per essere presa in considerazione. Anche l’ultima censura è infondata, giacché la stessa appellante precisa che, ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione del ricorso senza che l’organo si sia pronunciato, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, con la conseguenza che l’interessato può proporre ricorso giurisdizionale, per cui non è dato comprendere perché il silenzio sarebbe contra legem. Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 maggio 2002, n. 2508

La natura pertinenziale per fini edilizi non coincide con quella civilistica - nozione di pertinenza - occorre la concessione edilizia per collocare un caravan in maniera fissa su un terreno. La nozione di pertinenza deve essere interpretata alla luce dei principi della materia urbanistica-edilizia e non di quelli contenuti negli artt. 817 e ss. del c.c., nel senso che restano fuori dall’ambito di operatività della concessione edilizia i soli interventi di edilizia minori. In tema di pertinenza è unicamente il tipo di collegamento funzionale con la cosa principale e non l’esistenza di un collegamento fisico l’elemento distintivo tra l’ampliamento della cosa principale (soggetto a concessione) in cui la nuova struttura costituisce elemento essenziale della stessa e pertinenza (soggetta ad autorizzazione) in cui il collegamento non attiene all’essenza della cosa, avendo solo funzione di mero servizio. La natura pertinenziale per fini edilizi non coincide con quella civilistica, ma comprende solo piccole opere accessorie prive di capacità di un utilizzo separato e indipendente, strettamente poste al servizio di quelle principali (cfr. TAR Lombardia-Brescia 4/7/2000 n. 610; TAR Toscana 9/5/2000 n. 785; TAR Sardegna 29/5/2001 N. 639). Pertanto, non può considerarsi pertinenza ai fini dell’assoggettabilità al regime autorizzatorio di cui all’art. 7 DL 9/82 l’intervento edilizio di costruzione del capannone in oggetto che, tra l’altro, non risulta coessenziale al bene principale nello svolgimento della propria attività commerciale, né precario. Ciò che comunque rileva è l’impatto urbanistico del bene che, con il suo impegno volumetrico non indifferente, modifica l’assetto territoriale della zona. Altrettanto può dirsi per la collocazione fissa del caravan, secondo quanto la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di affermare (cfr. ad es. TAR Marche 5/11/99 n. 1177). (Nella fattispecie necessita la concessione edilizia per collocare un caravan in maniera fissa su un terreno, consegue che, in urbanistica la pertinenza è da intendersi solo per piccole opere accessorie prive di capacità di un utilizzo separato e indipendente, strettamente poste al servizio di quelle principali). TAR Lazio, Sez. II TER - Sentenza 3 aprile 2002 n. 2737.

La partecipazione di un comune alla conferenza indetta dalla regione non preclude la legittimazione dell’Ente a ricorrere. Non appare meritevole di essere condiviso l'assunto argomentato con riferimento ad un precedente giurisprudenziale, secondo il quale ”la  partecipazione del comune interessato, in posizione dissenziente, alla conferenza indetta dalla regione, ai sensi dell'art. 3 bis l. 29 ottobre 1987 n. 441, per l'istruttoria dei progetti di discariche per lo smaltimento  di  rifiuti, non legittima l'ente locale ad impugnare il successivo provvedimento finale di approvazione.” ( T.A.R. Piemonte sez. II, 7 ottobre 1991 n. 324). Infatti, una cosa è dire che la mera partecipazione al procedimento da parte di un soggetto pubblico non legittima ex se questo ad impugnare il provvedimento conclusivo, altra cosa è dire che dalla partecipazione nasca una preclusione nei confronti di colui che sia già titolare di un interesse legittimo. Ciò perché, dal punto di vista della teoria generale del diritto amministrativo, la partecipazione di un soggetto, portatore di un interesse pubblico diverso da quello dell’amministrazione procedente, ad un procedimento amministrativo, finalizzato al coordinamento dell’azione amministrativa, non trasforma il rapporto da intersoggettivo ad interorganico; né opera la mutazione del partecipante in autorità emanante e, tanto meno, implica l’abdicazione della situazione giuridica di cui il medesimo sia titolare. Pertanto, al di là dall’ipotesi in cui il comportamento concretamente tenuto dal soggetto rilevi sotto il profilo dell'acquiescenza (il che sicuramente non è nel caso in cui il soggetto partecipante abbia manifestato il proprio dissenso), nessuna preclusione al diritto di azione può derivare dalla mera partecipazione al procedimento. Nel caso di specie, quindi, non emerge alcuna ragione per derogare al principio pacifico, secondo il quale " il comune nel cui territorio è localizzata una discarica di rifiuti, ai  sensi  dell'art. 3  bis  l. 29 ottobre  1987  n. 441, è titolare dell'interesse a ricorrere contro la  delibera di  localizzazione potendo far valere sia la sua qualità di ente esponenziale dei residenti sia quella di titolare del potere di pianificazione urbanistica, su cui  senza dubbio incide il provvedimento di localizzazione.” (Consiglio Stato sez. V, 2 marzo 1999, n. 217). Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 02 aprile 2002, n. 1797. 

Annullamento in sede di controllo di un atto amministrativo. L’annullamento in sede di controllo di un atto amministrativo non è attività di carattere discrezionale che deve essere sorretta da adeguata motivazione per rendere conto della scelta effettuata, bensì un giudizio conseguente al raffronto tra il contenuto dell’atto e la previsione normativa, per cui è sufficiente che si possa desumere il contrasto tra quanto disposto dall’Amministrazione e la regola scaturente dalla disposizione indicata dall’organo di controllo  (v. le decisioni di questo Consiglio, sez. IV n.92 del 16.2.1987,  sez. V n.197 del 7.10.1989, sez.IV n.504 del 30.3.1998). Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1692.

Sanatoria - rigetto dell’istanza basata sulla ricostruzione dei fatti quanto accertato in sede penale - legittimità. Legittimità del rigetto dell’istanza di sanatoria assumendo come elemento base di ricostruzione dei fatti quanto accertato in sede penale: e cioè che l’abuso era continuato fino al 20 ottobre 1983, dunque oltre il termine ultimo di sanabilià, previsto dalla richiamata legge n.47 del 1985. Il provvedimento con il quale è stata respinta l’istanza di sanatoria è pienamente legittimo e l’appello deve essere respinto. In linea di fatto, la sentenza penale, assumendo come elemento base di prova il verbale dei vigili urbani redatto in data 20 ottobre 1983, stabilisce che fino a quella data veniva reiterata l’attività edilizia abusiva, nel tentativo di completare la costruzione, anche con lavori eseguiti in ore notturne. Il comportamento dell’ente locale appare ragionevole: del tutto privo di giustificazione sarebbe stato per l’ente locale, a distanza di alcuni anni dal compimento dei fatti in questione, discostarsi dagli elementi probatori formati  in sede penale e che sono alla base del giudicato penale. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1681.

La presentazione della domanda di condono edilizio ex L. 47/85 fa venir meno l’efficacia dell’ordinanza di demolizione - L. 28.2.85 n. 47; L. 8.6.90 n. 141, all'art. 51; D.Lg. 3.2.93 n. 29 e l’art. 6 della L. 15.5.97 n. 127 (come integrato dall’art. 2 L. 16.6.98 n. 191) attribuzioni della competenza al rilascio della concessione edilizia - competenze del sindaco e del dirigente - necessità di un nuovo provvedimento sanzionatorio o sanante. La presentazione della domanda di condono edilizio ex L. 47/85 fa venir meno l’efficacia dell’ordinanza di demolizione, destinata ad essere sostituita o dalla concessione in sanatoria, espressa o tacita, o, in caso di rigetto della domanda, da un nuovo provvedimento sanzionatorio, ciò che conseguentemente priva di interesse alla decisione del ricorso colui che aveva impugnato, a suo tempo, un’ordinanza di demolizione emessa a tenore della normativa precedentemente in vigore (Tar Sardegna n. 773 del 10.7.2001, Tar Emilia Romagna - Bologna, sez. II, n. 467 del 12.6.2001; Tar Campania-Napoli, sez. IV n. 111 dell'11.1.2001 C.S., sez. IV n. 1377 dell'11.12.97; id., sez. V, n 4305 del 4.8.2000). (Contrariamente a quanto affermato dal Comune di Venezia nelle proprie difese, nel 1993 - quando l’atto di diniego di condono di cui si controverte è stato emesso - la competenza apparteneva ancora al Sindaco). Non vi è dubbio che la L. 28.2.85 n. 47 (disposizione speciale) attribuisca al Sindaco la competenza al rilascio della concessione edilizia (e conseguentemente anche al suo diniego, cfr. art. 35 comma IX). La sopravvenuta L. 8.6.90 n. 141, all'art. 51 (nella sua originaria formulazione), dopo aver - del tutto genericamente - enunciato il principio di separazione delle competenze tra organi politici e dirigenti, precisa che a questi ultimi spettano "tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l’esterno, che la legge e lo Statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente". Per l'appunto la norma speciale di cui al citato art. 35 della L. 47/85 attribuiva espressamente tale competenza al Sindaco." Non vi è dubbio, quindi, che per stabilire quali siano le competenze del Sindaco e dei dirigenti, nel periodo che ci interessa, ci si deve riferire alle leggi e allo Statuto, i quali indicano con chiarezza che è il Sindaco a rilasciare le "concessioni", dovendosi ovviamente, data la sua genericità, ricomprendere nel termine anche quelle edilizie, in conformità con le leggi statali e regionali vigenti. Per completezza, va precisato che la questione era così scarsamente definita che neppure il sopravvenuto D.Lg. 3.2.93 n. 29, che pure all'art. 1 espressamente attribuisce ai principi in esso contenuti valore di "principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione", aveva portato la necessaria chiarezza, tant’è che, dopo aver ribadito che la gestione concreta appartiene ai dirigenti, faceva comunque salve, all'art. 27, le specifiche disposizioni dettate dai rispettivi ordinamenti. Né può ritenersi che l’(ordinaria) efficacia abrogante della legge successiva, ancorché esplicitamente ribadita dell’art. 74 del D.Lg. 29/93, si estenda anche all’art. 51, opponendovisi, da un lato il disposto dell’art. 1, comma 3, che stabilisce che "le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi della presente legge se non con espressa modificazione delle sue disposizioni", dall’altro il principio secondo cui la norma generale successiva non deroga la legge speciale anteriore (nel caso di specie, appunto, la L. 47/85). Ciò è tanto vero che si è dovuto attendere l’art. 6 della L. 15.5.97 n. 127 (come integrato dall’art. 2 L. 16.6.98 n. 191) perché, expressis verbis, venisse attribuita ai dirigenti la competenza a emettere i provvedimenti "di autorizzazione, concessione o analoghi" e quelli di "sospensione lavori, abbattimento e riduzione in pristino". Il Collegio ritiene quindi che il diniego di condono impugnato, emesso nel 1993 dal Dirigente, sia illegittimo, appartenendo, a tale data e sino all'entrata in vigore della L. 127 del 15.5.97, la relativa competenza al Sindaco. TAR Veneto, Sez. II - Sentenza 19 marzo 2002 n. 1126.

E’ illegittimo la installazione di impianti di telefonia mobile su tutto il territorio comunale, sul presupposto che trattasi di “opere di urbanizzazione primaria” e pertanto compatibili astrattamente con qualsiasi destinazione di zona. Né potrebbe, diversamente, argomentarsi che l’Amministrazione comunale sarebbe comunque tenuta a consentire la installazione di impianti di telefonia mobile su tutto il territorio comunale, sul presupposto che trattasi di “opere di urbanizzazione primaria” e pertanto compatibili astrattamente con qualsiasi destinazione di zona. L’assunto non convince. Innanzitutto, gli impianti di telefonia mobile non rientrano nelle opere di urbanizzazione primaria elencate dall’art.4 della legge n. 847/1964. Ad una attenta lettura le opere ivi elencate sono quelle indispensabili per la vivibilità dell’abitato, la cui esistenza si rende necessaria per il soddisfacimento delle primarie esigenze di vita della popolazione (rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, strade residenziali, fognature, verde attrezzato). Sotto tale profilo, pur a voler considerare la non tassatività della elencanzione di cui all’art. 4, va rilevato che , a parere del Collegio, gli impianti di telefonia mobile non sono assimilabili nemmeno per analogia alle opere di urbanizzazione “primaria” di cui al citato art. 4, posto che è indiscutibile che esse non rispondono ad esigenze “primarie” ed irrinunciabili per la vivibilità di un centro abitato, in quanto sistemi di comunicazione non indispensabili perché sostituibili con altri. Tali conclusioni sono avvalorate da ulteriori considerazioni di ordine sistematico. Innanzitutto gli impianti in questione non vengono computati nell’ambito dei costi posti a carico del titolari di concessione edilizia quali “oneri di urbanizzazione”. Inoltre nella materia in esame non è configurabile l’applicabilità, nemmeno in via analogica, della disciplina introdotta dal codice postale (d.p.r. n. 156/73), poiché emanata in un’epoca in cui la telefonia mobile non costituiva un fenomeno diffuso, e, comunque, in relazione a fattispecie ben diverse relative ai sistemi “fissi” di telecomunicazioni dotati di caratteristiche tecniche certamente non paragonabili a quelli in esame operanti attraverso il sistema analogico “Tacs”, o la tecnologia digitale “Gsm” attiva in una banda compresa tra i 900 ed i 1800 Mhz. Analogo discorso vale per la normativa regionale in tema di “reti telefoniche”, disciplinate dall’art. 19 della legge regionale n. 6 del 1979. Alla luce di quanto argomentato non può escludersi che l’Amministrazione competente, nel perseguire l’obiettivo della minimizzazione del rischio o della tutela dei valori preesistenti, possa discrezionalmente prediligere, per la installazione degli impianti, pur nella giusta valutazione delle esigenze di funzionalità ed efficienza del servizio, in sintonia con la localizzazione da parte della Regione ai sensi della legge n. 36 del 2001. TAR Puglia - Sede di Lecce, Sezione I, del 6 marzo 2002, n. 1027. (vedi: sentenza per esteso - con commento)

Abusivismo - principio dell’acquisizione ope legis da parte della p. a. - momento di perfezionamento - trascrizione del titolo - il decorso del termine di novanta giorni dalla notifica della ingiunzione sindacale a demolire determina l’immediato trasferimento ipso iure della costruzione abusiva al patrimonio comunale - DPR 380/2001 principi ispiratori. Secondo la giurisprudenza delle sezioni unite civili, avallata da alcune pronunce della sezione terza penale, l’acquisizione dell’immobile abusivo da parte della pubblica amministrazione si perfeziona con l’avvenuta trascrizione del titolo e la effettiva acquisizione materiale del bene al patrimonio comunale, oltre che con la inoppugnabilità dei provvedimenti ad essa relativi; secondo la prevalente giurisprudenza penale e la pressocché totale giurisprudenza amministrativa, invece, il decorso del termine di novanta giorni dalla notifica della ingiunzione sindacale a demolire determina l’immediato trasferimento ipso iure della costruzione abusiva al patrimonio comunale, qualora l’inottemperanza sia volontaria, non sia stato correttamente individuato e non appartenga ad un proprietario del tutto estraneo alla commissione dell’illecito urbanistico. In tale prospettiva, quindi, l’atto di accertamento dell’ingiunzione a demolire costituisce un semplice atto dichiarativo dell’intervenuto passaggio automatico della proprietà del bene, finalizzato alla verifica della esistenza dei requisiti prescritti dalla legge ed alla costituzione di un titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione. Pur non condividendo questo giudice il ragionamento logico posto alla base di questo secondo orientamento interpretativo - che trascura, ad esempio, il rilievo in base al quale affinché si verifichi l’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio comunale è indispensabile che sia ben definita ed individuata l’area oggetto del provvedimento ablatorio, che può interessare l’area circostante fino a dieci volte quella edificata - non si può ormai non tenere conto dei principi ispiratori e del contenuto del nuovo Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (il noto DPR 380/2001 che, salvo ulteriori proroghe, entrerà in vigore il 30 giugno 2002). In particolare, la nuova disciplina consente di superare alcune obiezioni, con precipuo riferimento alla specifica individuazione delle opere da demolire e da acquisire in caso di inottemperanza. Infatti, ai sensi del comma 2 dell’art. 31 del T.U. citato - che modifica il comma 2 dell’art. 7 della legge 47/85 - "il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale ingiunge al proprietario o al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto". Viene, così, meno uno di quegli argomenti chiave che, ad avviso di questo giudice, costituivano un vero e proprio ostacolo all’affermazione del principio dell’acquisizione ope legis al patrimonio comunale di un’area che non fosse individuata e ben circoscritta. Tuttavia, è bene sottolineare che rimane fermo - anche nel nuovo DPR 380/2001 - l’obbligo della pubblica amministrazione, la cui omissione assumerebbe sicura rilevanza penale, di procedere alla demolizione dell’opera abusiva, salvo che non intervenga la delibera consiliare che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali. Ritenuto, quindi, in ragione delle considerazioni esposte e della imminente entrata in vigore del Testo Unico in materia edilizia - i cui principi ispiratori non possono essere ignorati soprattutto in una vicenda in cui persiste un contrasto di interpretazioni - di dover accedere alla tesi fatta propria dalla giurisprudenza amministrativa e di procedere, quindi, alla revoca dell’ordine di ingiunzione a demolire emesso dal P.M., dovendo ritenersi tale provvedimento incompatibile con l’avvenuta acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio comunale. Tribunale di Lucca - Sez. Staccata di Viareggio - Ordinanza 16 febbraio 2002 n. 8

 

Urbanistica - impugnativa di affidamento di incarichi di progettazione di opere pubbliche - termini del processo dimezzati ex art. 23 bis, lett. a), l. n. 1034 del 1971 - notificazione. Vertendosi in materia di impugnativa di affidamento di incarichi di progettazione di opere pubbliche, i termini del processo sono dimezzati ex art. 23 bis, lett. a), l. n. 1034 del 1971, ivi compresi quelli concernenti la notificazione ed il deposito dell'atto di intervento. Quanto all'individuazione del primo termine (di notificazione), in mancanza di una norma espressa relativa al processo di appello, si è ritenuto, a mente dell'art. 40, r.d. n. 642 del 1907 che l'intervento, avendo luogo nello stato in cui si trova la contestazione, possa avvenire senza alcun onere di osservare termini di decadenza, tranne quello implicito del passaggio in decisione della causa (cfr. Cons. St., sez. IV, 3 luglio 2000, n. 3641; sez. V, 9 luglio 1989, n. 526) e salva la possibilità di concedere un termine a difesa a chi intenda controbattere alla domanda di intervento (cfr. Cons. St., sez. IV, 17 aprile 2000, n. 2288). Circa il secondo termine (di deposito dell'atto di intervento), è appena il caso di notare che l'art. 38 r.d. n. 642 del 1907 cit. - novellato dalla l. n. 205 del 2000 - fissa un termine perentorio di dieci giorni decorrente dalla notificazione. Consiglio Stato sez. IV, 23 gennaio 2002, n. 391. (Vedi: sentenza per esteso

 

Urbanistica - progettazione preliminare definitiva ed esecutiva - direzione dei lavori - formazione del programma triennale - competenza dirigente - società miste esclusione - eccezioni. Secondo l’art. 17, comma 1,  l. n. 109 del 1994, <<le prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva nonché alla direzione dei lavori ed agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile unico del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale di cui all'articolo 14, sono espletate:

a) dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti;

b) dagli uffici consortili di progettazione e di direzione dei lavori che i comuni, i rispettivi consorzi e unioni, le comunità montane, le aziende unità sanitarie locali, i consorzi, gli enti di industrializzazione e gli enti di bonifica possono costituire con le modalità di cui agli articoli 24, 25 e 26 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni;

c) dagli organismi di altre pubbliche amministrazioni di cui le singole amministrazioni aggiudicatrici possono avvalersi per legge;

d) da liberi professionisti singoli od associati nelle forme di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1815, e successive modificazioni;

e) dalle società di professionisti di cui al comma 6, lettera a);

f) dalle società di ingegneria di cui al comma 6, lettera b);

g) da raggruppamenti temporanei costituiti dai soggetti di cui alle lettere d), e) ed f), ai quali si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 in quanto compatibili>>.

Completa il quadro la disposizione recata dall’art. 18

2 - quater, l. n. 109 del 1994, secondo cui <<è vietato l'affidamento di attività di progettazione, direzione lavori, collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato od altre procedure diverse da quelle previste dalla presente legge.>>  Dall’esame congiunto delle illustrate disposizioni si evince, già sul piano letterale, che in Italia la progettazione esterna di opere pubbliche (che non costituisce gestione di servizio pubblico), può essere affidata dalle stazioni appaltanti esclusivamente a mezzo delle procedure previste dalla medesima legge, e quindi, in sostanza, solo ai soggetti enumerati dal primo comma dell’art. 17, lett. d), e) f) g),  (conforme sul punto è anche l’art. 50, comma 1, d.P.R. n. 554 del 1999). All’interno di tale catalogo non sono contemplate le società miste di cui all’invocato art. 116 t.u. enti locali. Quest’ultima norma, invero, individua esattamente i compiti cui possono attendere tali società: la gestione di pubblici servizi (fattispecie che non viene in considerazione nel caso di specie), e la realizzazione di infrastrutture ed opere di interesse pubblico che non rientrino nelle competenze istituzionali di altri enti (con esclusione, quindi, dell’attività di progettazione che rimane appannaggio dei professionisti - singoli o associati - e delle società di ingegneria di cui all’art. 17, comma 1, l. n. 109 cit.). Le uniche eccezioni che si rinvengono nel sistema normativo sono quelle inerenti la progettazione definitiva ed esecutiva dei lavori affidata al concessionario di lavori pubblici (art. 19, comma 2, l. n. 109), nonché l’attività di progettazione che possono svolgere le società di trasformazione urbanistica (art. 120 t.u. enti locali). Ma si tratta appunto di eccezioni alla regola generale che vede unici protagonisti dell’attività di progettazione di opere pubbliche i soggetti contemplati dall’art. 17, comma 1, l. n. 109 cit. Consiglio Stato sez. IV, 23 gennaio 2002, n. 391. (Vedi: sentenza per esteso

 

I ricorsi avverso il silenzio-rifiuto - legge n. 205 del 2000 - legge n. 47 del 1985 - diritto a realizzare l’opera - conseguimento della concessione in sanatoria come effetto subordinato - l'obbligo dell' amministrazione a provvedere. La legge n. 205 del 2000 all'articolo 2 ha introdotto una disciplina speciale per quanto attiene alla materia del silenzio rifiuto statuendo che, con sentenza succintamente motivata, siano decisi in Camera di consiglio, i ricorsi avverso il silenzio-rifiuto. E' opinione del Collegio che tale normativa sia applicabile anche alle ipotesi in cui il silenzio-rifiuto, come nel caso della disciplina dell'articolo 13 della legge n. 47 del 1985, sia in effetti un provvedimento di carattere negativo piuttosto che una mera omissione a decidere da parte dell’Amministrazione. Ciò in quanto, la indicazione letterale del silenzio-rifiuto come istituto del diritto amministrativo non consente tale distinzione che , solo in via dottrinaria, è proponibile e non può, tuttavia travolgere una espressa prerogativa di legge. Alla luce di quanto precede, fermo restando il non luogo a procedere sulla domanda della ricorrente mirante ad ottenere l'accertamento del diritto a realizzare l’opera e , quindi, conseguire la concessione in sanatoria come effetto subordinato nel caso in cui si ravvedesse la necessità, in relazione alle opere effettuate, di un titolo autorizzativo specifico, deve , invece, ribadirsi, con sentenza, l'obbligo dell' amministrazione a provvedere, essendo il provvedimento finale del procedimento di esame dell' istanza di concessione in sanatoria, un vero e proprio diritto in capo al ricorrente -istante. T.A.R. Campania-Napoli, Sez. IV Sentenza 20 novembre 2001 n. 4875.

Competenza degli Agronomi e Forestali - limiti - legittimità di esclusione. L’art. 2 comma 1 della legge 7 gennaio 1976, n. 3, come modificato dall’art. 2 della legge 10 febbraio 1992, n. 152, indica, tra le competenze generali della professione in dottore in Agronomia "la progettazione, la direzione, la sorveglianza, la liquidazione, la misura, la contabilità ed il collaudo di lavori relativi al verde pubblico, anche sportivo e privato, ai parchi naturali urbani ed extra-urbani, nonché ai giardini ed alle opere a verde in generale …" In linea generali è quindi aderente alla realtà giuridica sostenere che, sulla base del richiamato art. 2, i dottori Agronomi hanno titolo per partecipare a gare pubbliche per la progettazione di aree a verde e parchi pubblici attrezzati. In concreto tuttavia, questa previsione normativa generale, deve essere coniugata con le concrete esigenze di progettazione e direzione dei lavori della stazione appaltante, esigenze che possono conformarsi in maniera tale da rendere ragionevole la previsione della presenza di ingegneri e architetti, ai quali gli Agronomi possono affiancarsi, e ciò in ragione delle specifiche esigenze e priorità che l’amministrazione intende privilegiare. È del tutto ragionevole e legittimo che il Comune intenda garantirsi la perfetta riuscita estetica dell’intervento, che tocca l’assetto urbanistico di una cittadina di ben note attrattive turistiche, prevedendo l’intervento di ingegneri ed architetti, singoli od associati, anche con altre figure professionali. Si tratta di una scelta che risulta del tutto legittima nell’ambito di discrezionalità affidato alla cura dell’Ente territoriale, sia sotto il profilo urbanistico ambientale, sia sotto quello della realizzazione di un contesto che esalti il richiamo turistico della cittadina; si tratta di profili che l’Ente locale deve poter valutare e graduare tenendo conto della tipologia delle opere da realizzare. In questa prospettiva l’Ente locale ha immaginato interventi, strettamente connessi, che riguardano opere in muratura e di regolazione delle acque (nel caso di specie il progetto prevede anche la regolazione di acque bianche), nonché di opere a verde, in un rapporto che, per la prevalenza delle prime, lo ha portato ad escludere la partecipazione autonoma, singola od associata dei Dottori Agronomi e Forestali: e ciò sulla base di un percorso valutativo che risulta ragionevole nelle motivazioni e agevolmente ricostruibile nel bando di gara. Consiglio di Stato, Sez. V Sentenza 12 Ottobre 2001 n. 5395.   (vedi: sentenza per esteso)

L'avviso del procedimento - deroga - ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento - motivazione - l'ordine di demolizione - notifica dall'ordine di sospensione dei lavori. La prima parte dell'art 7, comma 1, della legge n. 241 del 1990, per la quale l'avviso del procedimento esigenze non va comunicato quando "sussistano ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento": tali ragioni sussistono con evidenza quando si tratta di sospendere i lavori che siano in corso di realizzazione senza titolo. Neppure era necessario l'avviso del procedimento riguardante l'ordine di demolizione, sia perché l'art. 7 della legge n. 47 del 1985 disciplina esaustivamente i presupposti per l'emanazione di tale ordine, sia perché la società è stata posta in grado di esporre le sue ragioni (come in concreto è anche avvenuto) a seguito della notifica dall'ordine di sospensione dei lavori. Consiglio di Stato, Sez. VI - Sentenza 5 ottobre 2001 n. 5253 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - inapplicabilità dell’art. 60 L. 689/1981 - esclusione dei reati ambientali dalla depenalizzazione e dalla applicabilità delle pene sostitutive. L’art. 60 L. 689/1981 stabilisce la non applicabilità delle sanzioni sostitutive alle “leggi in materia edilizia ed ambientale” senza richiamare le disposizioni che determinano la esclusione dal beneficio; tale formulazione del testo normativo ha creato difficoltà di interpretazione per le disposizioni che regolano la materia entrate in vigore dopo il 1981. Nel caso concreto, è pacifica la non sostituibilità della sanzione detentiva per il reato ex L. 47/1985, che riguarda la materia edilizia, mentre un problema può sorgere per il residuo illecito ambientale. Sul punto, si deve ritenere, in base ai criteri sistematici e storici dell’ermeneutica, che il Legislatore del 1981, quando ha menzionato i reati previsti dalle norme in materia edilizia ed urbanistica, per escluderli dalla depenalizzazione e dalla applicabilità delle pene sostitutive, si è riferito alla disciplina all’epoca vigente ed, in particolare, il D.P.R. 616/1977. Tale testo ha adottato una nozione ampia di materia urbanistica coincidente con l’assetto complessivo del territorio; al riguardo è decisivo il tenore dell’art. 80 secondo il quale “le funzioni amministrative relative alla materia urbanistica concernono la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. È chiaro, pertanto, che il Legislatore del 1977 e, di conseguenza, quello del 1981, ha ricompreso nella materia urbanistica tutta la salvaguardia del territorio e la protezione dell’ambiente anche se il Legislatore successivo ha differenziato la disciplina urbanistica in senso stretto da quella ambientale. Pertanto si deve ritenere che il reato previsto dall’art. 30 L. 394/1991, rientrando nella materia urbanistica così come intesa dal Legislatore del 1981, sia annoverabile tra quelli per i quali è inibita la sostituzione della pena detentiva. Cass. pen., sez. III, 3 agosto 2001, n. 30375.

Realizzazione di opera pubblica statale - E’ necessaria la conformità agli strumenti urbanistici - accertamento d’intesa con la regione interessata. La realizzazione di un’opera pubblica non può sottrarsi alla procedura dettata dall’art. 81 del D.P.R. 616/77 e successive modificazioni, tenuto conto che non è ravvisabile nell’art. 1 della L. 1/78 alcuna ipotesi derogatoria della suddetta normativa. Ne consegue che la realizzazione, nello specifico, di nuove sedi dei vigili del Fuoco può anche essere assoggettata alla speciale procedura abbreviata prevista dalla L. 1/78 e, tuttavia, deve comunque essere fatto salvo il meccanismo di verifica e di composizione degli interessi urbanistici vantati dal Regione e Comune con quelli dello Stato alla realizzazione dell’opera pubblica.In altri termini la realizzanda opera pubblica statale deve essere conforme agli strumenti urbanistici in vigore e tale accertamento va fatto d’intesa con la Regione interessata. Ove l’accertamento di conformità dia esito negativo o l’intesa non si perfezioni entro 60 giorni dalla richiesta, deve essere convocata una conferenza di servizi alla quale partecipano Regione, Comune e le altre Amministrazioni deputate a rilasciare pareri, autorizzazioni e nulla osta previsti da leggi statali e regionali, che deve approvare il progetto all’unanimità.Nel caso di specie, tutta la suddetta procedura è stata disattesa. Stando così le cose deve concludersi che il Ministero dei Lavori Pubblici ha illegittimamente emanato il decreto di approvazione del progetto dell’opera senza attendere la deliberazione del Consiglio Comunale sulla variante, e tale illegittimità si riflette conseguenzialmente sull’intera procedura espropriativi. TAR Lazio, SEZ. I TER - Sentenza 28 luglio 2001 n. 6851.

Demolizione disposta dal Sindaco - ripristino dello stato dei luoghi - inottemperanza all’ingiunzione a demolire - notifica all’interessato - immissione nel possesso e trascrizione nei registri immobiliari - delibera consiliare - inesistenza di prevalenti interessi pubblici, urbanistici o ambientali - termine di novanta giorni dalla relativa ingiunzione - acquisizione di diritto al patrimonio del Comune. A mente dell’art. 7 c. 3, 4 e 5 Legge. 28/02/85, n. 47, se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione disposta dal Sindaco ed al ripristino dello stato dei luoghi, nel termine di novanta giorni dalla relativa ingiunzione, il bene e l’area di sedime… "sono acquisiti di diritto al patrimonio del Comune"; l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire, nel termine appena indicato, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente e l’opera acquisita deve essere demolita, a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’inesistenza di prevalenti interessi pubblici, urbanistici o ambientali. Alla luce di tali norme di legge deve ritenersi che il decorso del termine di novanta giorni dalla notifica dell’ingiunzione sindacale a demolire determina l’immediato trasferimento "ope legis" dell’immobile abusivo al patrimonio comunale - a condizione che l’inottemperanza sia volontaria e non siano state concesse proroghe al su indicato termine di legge - e che l’atto di accertamento dell’inottemperanza, pur costituendo presupposto per la legittima immissione del Comune nel possesso del bene e per la trascrizione gratuita del titolo d’acquisto nei registri immobiliari, ha natura meramente dichiarativa, e non costitutiva (v. conf. Cass., sez. III, 10/XI/’98, Di Marco e 10/XII/’97, Gravoso; Cons,. Giust. Amm. Reg. Sicilia, sez. giurisd., 15/02/’99, Soc. I c. Comune di S. Giovanni La Punta; Consiglio di Stato, sez, V, 9/XI/’98, Comune di Caloria c. Pappalardo e 20/IV/’94, Gori c. Comune Latina; T.A.R. Lazio, sez. II, 2/X/’97, Calabrese c. Comune di Roma). Corte di Cassazione - Sez. III penale sentenza dell’11 luglio 2001 n. 1989.

Potere dell’ufficio tecnico comunale di accertare gli abusi edilizi costituenti reato - art. 4 della legge n. 47/1985 - obbligo degli “ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria” di dare immediata comunicazione.  Il quarto comma dell’art. 4 della legge n. 47/1985 intende soltanto statuire l’obbligo di “ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria” di dare immediata comunicazione, nei casi di presunte violazioni urbanistico-edilizie, all’Autorità giudiziaria, al Presidente della Giunta Regionale ed al Sindaco, ma non preclude allo stesso organo (e quindi al Comune), cui il primo comma dello stesso art. 4 attribuisce l’esercizio della vigilanza sulla attività urbanistico-edilizio ed al quale spetta in ogni caso, anche ai sensi dello stesso quarto comma della legge in questione, la verifica della regolarità delle opere (di presunta irregolarità edilizia) e la adozione dei provvedimenti conseguenti una volta che abbia avuto cognizione di tali abusi (anche ad opera, per ipotesi, di esposti o denunce di proprietari di immobili limitrofi), di procedere ad accertamenti “in loco” servendosi dei propri uffici tecnici e di emanare i conseguenti provvedimenti idonei a reprimere l’abuso edilizio accertato, sulla base degli esiti di tali accertamenti. Tar Lazio, sez. II ter, sentenza del 18 maggio 2001 n. 4246. (vedi: sentenza per esteso)  

Annullamento in sede giurisdizionale di una concessione edilizia - necessità di notifica - restituzione in pristino qualora questa non sia possibile irrogazione di una sanzione pecuniaria - esecuzione delle decisioni - nomina commissario ad acta. In caso di annullamento in sede giurisdizionale di una concessione edilizia, non costituisce esecuzione del giudicato la notifica, da parte dell’Amministrazione comunale, di una mera diffida a demolire, alla quale non abbia fatto seguito un ulteriore provvedimento per il ripristino della legalità (Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 1978, n. 691). Nel caso in esame, l’Amministrazione comunale di Milano, dopo aver rigettato le reiterate domande di sanatoria presentata, si è limitata ad adottare -ben 11 mesi dopo il rigetto della domanda di condono- un ordine di demolizione. Non risulta, quindi, che nonostante la accertata abusività dell’intervento edilizio e la impossibilità di sanatoria, siano stati adottate le conseguenti iniziative repressive. Occorre, perciò, che si proceda alla restituzione in pristino ovvero, qualora questa non sia possibile, alla irrogazione di una sanzione pecuniaria. Per tale effetto, va ordinato al Comune resistente di dare completa esecuzione alle decisioni di questa Sezione entro 120 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione, se precedente, della presente decisione. Per l’eventualità che alla scadenza del predetto termine perduri l’inadempimento va nominato sin d’ora un commissario ad acta, il cui compenso -liquidato nel dispositivo- va posto a carico del Comune. Consiglio di Stato, Sez. V,  09.maggio.2001 n. 2601.  (Vedi: sentenza per esteso)

Demolizioni di opere realizzate senza concessione edilizia - competenza del Dirigente. Non può porsi dunque in dubbio la esistenza della competenza del Dirigente che ha emesso l’atto impugnato ad adottare “iure proprio” il provvedimento che dispone la demolizione di opere realizzate senza concessione edilizia, non rendendosi infatti necessaria, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, la esistenza di un atto di delega al medesimo né la sua menzione nella stessa determinazione di demolizione. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3592.  (Vedi: Sentenza per esteso) 

Repressione abusi edilizi - competenza del Sindaco e del dirigente - attribuzione “jure proprio” al dirigente. L’art. 4 della legge n. 47/1985, imputa, in via generale, al Sindaco l’attività di vigilanza e repressione degli abusi edilizi che si perpetrano sull’intero territorio comunale, tuttavia sin dalla emanazione della legge n. 142/1990, contenente l’ordinamento delle autonomie locali (chi ha fatto seguito la recente legge n. 127/1997), che hanno distinto le competenze degli organi elettivi del Comune dalle attribuzioni dei dirigenti i vari settori dell’ente, devono ritenersi rientrare nelle competenze di questi ultimi tutti i provvedimenti che realizzano le istituzionali attribuzioni del Comune tra i quali sono annoverabili anche i provvedimenti relativi alla repressione degli abusi edilizi ed anche quelli riferiti al rilascio di concessioni edilizie. Tali attribuzioni spettano al dirigente comunale “Jure proprio” e senza necessità di apposito atto di delega sicché, essendo stati adottati gli atti impugnati con determinazioni del Dirigente coordinatore si deve ritenere infondato anche il successivo rilievo dello stesso istante che attribuisce erroneamente al Dirigente preposto al VI Dipartimento comunale, o al più ad altro dirigente “per delega” di quest’ultimo, la competenza ad adottare i provvedimenti di cui trattasi che rientrano invece nell’ambito delle competenze del Dirigente appartenente ad una unità organizzativa di livello circoscrizionale.  T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3593.

Opere pertinenziali - denuncia di inizio lavori - concessione edilizia. La “ratio” delle disposizioni che sottraggono la esecuzione di determinate opere al regime della concessione edilizia per ricondurle a quello, estremamente semplificato, della denuncia di inizio dei lavori e prevede appunto la realizzazione di opere a carattere pertinenziale (quali i parcheggi nel sottosuolo di aree esterne all’edificio) risiede nella considerazione, ad opera dello stesso legislatore, della non verificabilità di un impatto ambientale, di rilevanza edilizio-urbanistica, in  conseguenza della realizzazione di quelle opere pertinenziali che risultino occultate ovvero assorbite dall’impatto dell’edificio cui direttamente e visibilmente accedono, sicché ogni qualvolta non sia dato riscontrare tale naturale e diretto assorbimento volumetrico nell’edificio cui accedono, non può ritenersi più valere la mera denuncia di inizio dei lavori ad autorizzare la esecuzione degli stessi interventi, per i quali si richiede invece il preventivo rilascio della concessione edilizia. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3593.

Assegnazione di soli 30 giorni al trasgressore per demolire - legittimità - inesistenza della presunta violazione dell’art. 24 Cost.. Non può ritenersi in alcun modo viziato l’atto dirigenziale che assegna il termine di soli trenta giorni per la esecuzione della demolizione da parte del trasgressore, inferiore cioè a quello previsto per la proposizione di ricorso in sede giurisdizionale (sessanta giorni), con illegittimi riflessi, secondo quanto ritengono gli istanti, anche sulla tutela giurisdizionale e sul diritto di difesa garantiti dall’art. 24 della Costituzione. Non vi è alcuna disposizione, infatti, all’infuori di quella di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, che prevede la acquisizione di diritto al patrimonio del Comune non prima del termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione delle opere abusive acquisibili al patrimonio dello stesso Comune, che stabilisca un termine, di durata prefissata, da assegnare al trasgressore per la demolizione del manufatto abusivo ad opera dello stesso prima di quella da effettuarsi direttamente di ufficio dal Comune, sicché non può ritenersi di per sé illegittimo l’atto impugnato che, nelle sue statuizioni ingiuntive ai trasgressori della demolizione, ha assegnato il termine di 30 giorni prima di quella da effettuarsi dallo stesso Comune. Né si rende configurabile (come erroneamente prospettano i ricorrenti) in tale assegnazione di termine inferiore a quello (60 giorni) previsto per proporre ricorso in sede giurisdizionale, una violazione dell’art. 24 della Costituzione, che consente a tutti di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti ed interessi legittimi e garantisce il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3592.  (Vedi: Sentenza per esteso)

Obbligo della concessione edilizia anche per le opere “precarie o pertinenziali“destinate ad una utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla loro facile rimozione. L’obbligo della licenza edilizia riguarda qualsiasi costruzione comunque infissa o interessante il suolo su cui la medesima viene installata non essendo rilevante la mancanza di uno stabile ancoraggio al suolo ma esclusivamente la sua destinazione ad una utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla sua facile rimozione, caratteristiche non contestabili nei due manufatti abusivamente realizzati i quali, per la loro consistenza e per i materiali utilizzati, pur non essendo destinati ad uso abitativo appaiono costituiti per una loro utilizzazione per un tempo di lunga ed indeterminata durata. Le dimensioni e la strutturazione dei manufatti in questione (box in lamiera poggiante su mattoni di tufo e altro manufatto in legno) che realizzano due corpi volumetrici occupanti complessivamente, sullo stesso lotto di terreno, una superficie di oltre 40 mq. ed utilizzabili come tali per esigenze di vario tipo, escludono la riconducibilità degli stessi alle opere pertinenziali che, come noto, presuppongono in ogni caso una riconoscibile strumentale destinazione di un bene ad esclusivo ed unico servizio di altro. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3588.

Legittimità dell’ordine (da parte degli organi  di vigilanza) di sospendere le opere edilizie che siano state iniziate abusivamente o se sono in corso di svolgimento vengano proseguite. L’ordine di sospensione immediata dei lavori rilevati come abusivamente eseguiti dagli Organi preposti alla vigilanza della attività edilizia che si svolge nel territorio comunale, è previsto dall’art. 4 della legge n. 47/1985 come un provvedimento inteso ad evitare che le opere edilizie che siano state iniziate abusivamente e che siano in corso di svolgimento vengano proseguite, ma non si pone quale atto necessariamente propedeutico o preliminare rispetto al provvedimento adottato per reprimere l’abuso edilizio perpetrato attraverso la applicazione di una misura sanzionatoria. Tale atto, infatti, può essere emesso indipendentemente dalla intimazione di sospensione dei lavori una volta che questi siano già stati eseguiti ed il manufatto abusivo completato. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3596.

Concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 L. 28.2.1985, n. 47. Per giurisprudenza consolidata, la presentazione di concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 L. 28.2.1985, n. 47 comporta l'improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione di opere abusive, in quanto dall'accoglimento della detta domanda deriva la caducazione del provvedimento sanzionatorio impugnato, mentre la reiezione della stessa rende necessario un riesame complessivo della situazione con l'adozione di una nuova misura repressiva (Cons. St., Sez. IV, 11.12.1997, n. 1377, T.A.R. Lazio, Sez. II, 27.5.1997, n. 1013; T.A.R. Sardegna, 27.5.1994, n. 626). T.A.R. Campania, sede di Napoli, sezione IV, 20.04.2001 , n. 1772. 

L’erronea citazione di norme non incide sulla legittimità dell’atto. L’erronea citazione di norme non incide sulla legittimità dell’atto ove l’erroneo richiamo non renda incerta l’individuazione esatta del potere esercitato (da ultimo, Cons. St., sez. VI, 16 novembre 2000 n. 6132). Non inficia la validità dell’atto gravato la circostanza che l’amministrazione abbia rilevato non solo la mancanza di concessione edilizia, ma abbia dubitato anche dell’avvenuta ottemperanza, da parte della ricorrente, della procedura sulla denuncia di inizio di attività già prevista dal d.l. 26 marzo 1996 n. 154 (". . . constatato che le opere abusive sono state costruite in assenza di concessione edilizia o della procedura prevista dal D.L. n. 154 del 26.3.96"; il d.l. 154/1996, poi reiterato e non convertito in legge, aveva introdotto la nuova disciplina per il rilascio della concessione edilizia poi rifluita nell’articolo 2, comma 60, della legge finanziaria per il 1997, legge 23 dicembre 1996 n. 662, che ha sostituito l’articolo 4 del d.l. 398 del 1993). (Nella specie, l’amministrazione ha legittimamente ritenuto nell’atto impugnato la necessità del previo rilascio della concessione edilizia per l’opera di cui trattasi, così risultando chiara e univoca l’individuazione della potestà in concreto esercitata, come reso palese dal successivo richiamo, nella motivazione dell’atto, all’articolo 7, comma 2, della legge 47 del 1985, riguardante per l’appunto le "Opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali). TAR Campania-Napoli, Sez. I - Sentenza 19 aprile 2001 n. 1793 (vedi: sentenza per esteso)

Incompetenza del Segretario comunale ad emanare ordinanze di demolizione - casi di espressa attribuzione straordinaria di competenza. In base alla normativa vigente (art. 51 legge n. 142/90, nel testo successivamente modificato) non vi è una competenza funzionale in capo al Segretario Generale dell’Ente comunale, essendo stata essa devoluta in via ordinaria ai Dirigenti responsabili di settore dell’Ente medesimo. Nella fattispecie, l’art. 67, punto 3, lett. G) e successivo punto 3 dello Statuto comunale contempla il potere sostitutivo del Direttore Generale nel caso di inerzia o assenza del Direttore di area, nonché l’attribuzione al Segretario Generale delle funzioni spettanti al Direttore Generale, in caso di vacanza od assenza di quest’ultimo mentre invece l’atto impugnato da un lato è stato adottato espressamente in base all’art. 66 dello Statuto medesimo (che attiene alla competenza ordinaria del Segretario Generale) e dall’altro non reca alcuna motivazione in ordine all’effettiva esistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’eventuale esercizio del potere sostitutivo da parte di quest’ultimo. T.A.R. Emilia-Romagna - sez II Sent. del 27 febbraio 2001 n. 178.

Ordine di demolizione - rientra nella sfera di attribuzioni del dirigente. Va confermato l'indirizzo giurisprudenziale della Sezione circa il riparto delle competenze in materia di assenso e controllo dell'attività costruttiva fra Sindaco e funzionari del Comune investiti di funzioni dirigenziali a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 51 della legge 8.6.1990, n. 142 (cfr. questa Sezione, n. 1593 del 6.10.1998; n. 488 del 19.4.1994; n.1849/1996). La disposizione a ultimo richiamata ha, invero, radicalmente innovato il previgente ordinamento degli enti locali - nel quale le potestà provvedimentali erano esercitate dai soli organi di governo dell'ente - stabilendo che "i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti". Nella specie il dirigente preposto alla Ripartizione II del Comune di Roma ha ordinato le demolizione del traliccio metallico per trasmissioni in ponte radio posto a servizio del centro di telecomunicazioni di Roma Belle Arti perché realizzato in assenza di concessione edilizia. Va al riguardo confermato l'indirizzo giurisprudenziale della Sezione circa il riparto delle competenze in materia di assenso e controllo dell'attività costruttiva fra Sindaco e funzionari del Comune investiti di funzioni dirigenziali a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 51 della legge 8.6.1990, n. 142 (cfr. questa Sezione, n. 1593 del 6.10.1998; n. 488 del 19.4.1994; n.1849/1996). L'art. 6, secondo comma, del d.lgs. 15.5.1997, n. 127, del riformulare il secondo comma dell'art. 51 della legge n. 142/1990, elenca in dettaglio le fattispecie provvedimentali rientranti nella sfera di attribuzioni dei dirigenti ed espressamente menziona "le diffide", categoria concettuale in cui va ricondotto l’invito a rimuovere le opere abusive.  T.a.r. Lazio, 31.01.2001 n. 782.

Sanatoria edilizia non è un atto dovuto - diniego - art. 31 c.5 L.47/85 - legittimità dell’ordine di demolizione - aree sottoposte a vincoli paesaggistici. Il comma 5 dell’art. 31 della l. 47/85 ammette a sanatoria anche le opere abusivamente realizzate prima dell'1 settembre 1967, se per queste fosse richiesta, ai sensi della legge n. 1150 del 1942 e dei regolamenti edilizi comunali, il rilascio della licenza di costruzione (cfr.: Consiglio di Stato, sez. V, 21 ottobre 1998 n. 1514), ma non per questo attribuisce alla concessione in sanatoria il carattere di atto dovuto. In altri termini, occorre pur sempre la presenza dei presupposti di legge, tra cui il parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli ex art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, nel caso di opere edilizie eseguite su aree sottoposte a vincoli. In mancanza di tali presupposti è legittimo l’ordine di demolizione. (Nella fattispecie la sanatoria edilizia riguardava, appunto, opere realizzate in una zona soggetta a vincolo paesaggistico, tant’è vero che nel procedimento è stato acquisito il parere della conferenza dei servizi cui partecipava l’Ufficio provinciale dei beni ambientali). T.A.R. Veneto Sent. n. 237/2001.

Comunicazione di avvio del procedimento, art. 7 e ss. L.241\90 - non è richiesta per l’ordine di demolizione. L’ordine di demolizione non si configura viziato per la mancata osservanza delle formalità di avvio del procedimento previste dagli artt. 7 e segg. della legge 8.7.1990, n. 241. Gli atti di repressione degli abusi edilizi hanno natura strettamente vincolata e sono dovuti in presenza di indebite iniziative di trasformazione del territorio. Ai fini della loro adozione, che assolve funzione di immediato presidio dell’assetto del territorio violato, non si richiedono apporti partecipativi del soggetto destinatario; quest’ultimo, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi che prevede la preventiva contestazione dell’abuso, al privato ai fini del ripristino di sua iniziativa l’assetto dei luoghi, è in ogni caso posto in condizione di interloquire con l’Amministrazione prima di ogni definitiva e conclusiva statuizione di rimozione d’ufficio delle opere abusive (cfr. sul principio T.A.R. del Lazio, Sezione II, n. 1104 del 9.4.1999; T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 105 del 25.2.1999; T.A.R. Toscana, Sez. III, n. 396 del 21.11.1998). T.a.r. Lazio, 31.01.2001 n. 782.  

Integra il reato di abuso edilizio "una roulotte munita di targa e di libretto di circolazione" installata senza concessione edilizia e nulla osta in una zona soggetta a vincolo paesaggistico - restano escluse dal regime concessorio i manufatti di assoluta ed evidente precarietà - definizione del requisito della precarietà. Con sentenza 18.9.1998, il Pretore di Pisa - sd Cascina - ha ritenuto P. L. responsabile del reato previsto dagli artt.81 c.p. 20 c.1° lett.c) L.47/1985, 1 sexies L.431/1985 (per avere in zona soggetta a vincolo paesaggistico, privo di concessione edilizia ed autorizzazione ambientale, edificato un box, una casetta prefabbricata ed una baracca) e lo ha condannato alla pena di giustizia. Deve, innanzi tutto, precisarsi come i Giudici di merito, con insindacabile accertamento di fatto, abbiano ritenuto che l'edificazione abusiva per cui è processo riguardasse le seguenti opere: il box coibente appoggiato al suolo, una baracca destinata ad abitazione (come dimostrato dagli attacchi elettrici e dagli scarichi fognari), una casetta prefabbricata, tipo roulotte, ancorata al suolo e munita di uno scarico per la fuoriuscita dell'acqua. Ora, avendo come referente i ricordato accertamenti fattuali, il Collegio ritiene che la conclusione in diritto dei Giudici sulla necessità di preventiva concessione edilizia ed autorizzazione ambientale non sia censurabile. Invero restano escluse dal regime concessorio i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, destinati, cioè, a soddisfare esigenze contingenti, specifiche, cronologicamente delimitate ed a essere rimossi dopo il momentaneo uso. Il requisito della precarietà non può essere collegato al carattere di stabilità temporanea soggettivamente attribuito alla costruzione, ma va individuato in relazione alla intrinseca finalità dell'opera stessa. Pertanto manufatti destinati ad abitazione o ricovero attrezzi - come quelli per cui è processo - presentano caratteristiche non conciliabili con un uso contingente e temporaneo a nulla rilevando, a tale fine, il materiale usato per la edificazione e la facile rimovibilità. Inoltre, per quanto riguarda la roulotte, deve osservarsi che la stessa aveva solo la parvenza di mobilità (avendo le ruote un carattere simbolico ed uso eventuale) in quanto il prefabbricato era stabilmente incardinato al suolo con accorgimenti tecnici per garantirne la stabilità; di conseguenza era da considerarsi una vera costruzione che modificava - sia pure lievemente, ma durevolmente - l'assetto del territorio. Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza del 27 novembre 2000 n. 12128.

Ingiunzione a demolire - solidarietà passiva tra il proprietario e l'autore dell'abuso.  Il proprietario del fondo va ritenuto responsabile dei manufatti eseguiti su di esso. Le sanzioni amministrative in materia di abusi edilizi e in primo luogo l'ingiunzione a demolire mirano prima ancora che ad irrogare una sanzione afflittiva, ad eliminare una situazione obiettivamente antigiuridica e quindi un ordine di demolizione va senz'altro impartito al proprietario dell'immobile ancorchè estraneo all'illecito. La costruzione di un manufatto su suolo altrui appartiene di norma, secondo la disciplina civilistica, al proprietario di quest'ultimo, salvo le deroghe espressamente previste dalla legge o dalle parti, con la conseguenza che l'ingiunzione a demolire un'opera abusiva risulta legittimamente notificata al proprietario del terreno. Il fatto che le conseguenze dell'illecito siano parte a carico di un soggetto che non è l'autore del medesimo non appare pertanto iniquo posto che il proprietario può sempre agire nei confronti del responsabile sulla base dei rapporti privatistici intercorrenti con quest'ultimo. TAR Toscana - III Sezione - sentenza n. 2345 - 21 novembre 2000.

Ingiunzione a demolire - non occorre comunicazione di avvio del procedimento. Le disposizioni di tipo garantistico recate dagli artt. 7 e ss. della legge n. 241/90 non trovino applicazione in materia di abusi edilizi dove il procedimento sanzionatorio è rigorosamente scandito da disposizioni normative che escludono qualsiasi valutazione discrezionale della P:A. e il provvedimento sanzionatorio viene emesso sulla scorta di un mero accertamento tecnico. In presenza, quindi, di atti dovuti e vincolati, il principio della partecipazione al procedimento si rivela inutile posto che, appunto, alcun concreto contributo è possibile apportare alla formazione del provvedimento finale da parte del privato interessato. TAR Toscana - III Sezione - sentenza n. 2345 - 21 novembre 2000.

Provvedimenti sanzionatori in materia edilizia - la P.A. prima di adottare un atto interdittivo conseguente ad eventuali abusi edilizi, deve notifica l’avvio del relativo procedimento all’interessato - c.d. “composizione procedimentale” degli interessi in gioco - notifica - jus receptum - autotutela - casi di deroga ex art. 7 L. n.241/1990. Anche a proposito dei provvedimenti sanzionatori in materia edilizia (tra i quali rientra la citata ordinanza n. 109/1999) questa Sezione ha avuto recentemente occasione (v. sentenza n. 1081 del 28 maggio 1998) di affermare che l’Amministrazione, prima di adottare un atto interdittivo conseguente ad eventuali abusi edilizi, deve inviare all’interessato apposita comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, anche al fine di utilmente agevolare la c.d. “composizione procedimentale” degli interessi in gioco. Costituisce ormai ius receptum il principio secondo cui, ogni volta che l'Amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado, vale a dire di annullamento, di revoca o di sospensione di un proprio precedente provvedimento, è tenuta a dare avviso del relativo procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art.7 della legge 7 agosto 1990, n.241, recepita nella Regione siciliana con la citata legge n.10/1991 (tra le tante, C.G.A., 1 ottobre 1996, n.269; 8 agosto 1998, n. 455; Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2000, . 2443; T.A.R. Sicilia, sez. I, 27 maggio 1999, n. 1148, sez. II, 25 luglio 2000, n. 1653). Ma, poiché il primo comma del citato art. 7 della legge n. 241/1990 contempla una deroga all’obbligo di effettuare detta comunicazione qualora sussistano “particolari esigenze di celerità” del procedimento (cfr., in tal senso, T.A.R. Veneto, sez. I, 12 giugno 1999, n. 941; T.A.R. Sicilia, sez. II, 7 settembre 1999, n. 1710), l’impugnata ordinanza sindacale n. 132 del 31 maggio 1999, adottata ai sensi dell’art.69 dell’O.R.E.L. (Ordinamento amministrativo degli Enti Locali nella Regione siciliana) resiste, per la sua intrinseca natura (“provvedimento contingibile ed urgente”), alla dedotta censura. TAR Sicilia sez. II 14 novembre 2000, n. 1877.

Definizione di pertinenza - rapporto di subordinazione - pertinenza e alterazione dell’assetto del territorio - nesso di servizio - condizioni per determinare la precarietà di un manufatto.  Per nozione generale, la pertinenza è un bene strumentale che, pur conservando una propria individualità ed autonomia, è posto in un durevole rapporto di subordinazione con altro (principale) preesistente, per renderne più agevole e funzionale l'uso, in modo tale che l'uno sia posto a servizio durevole o ad ornamento dell'altro (cfr. art. 817 cod. civ.). In materia edilizia, con riferimento all’art. 7 del decreto-legge n. 9/1982, la nozione è stata precisata dalla giurisprudenza, sottolineandosi che ad essa sono riconducibili solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte (al pari degli impianti tecnici espressamente menzionati) rispetto alla cosa (fabbricato) cui ineriscono. La nozione qui rilevante di "pertinenza" - è stato sottolineato - è meno ampia di quella civilistica e va definita sia in relazione alla necessità ed oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell'opera, che deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Cons. Stato sez. V, 27 dicembre 1988 n. 882; idem 13 ottobre 1993, n. 1041 e 27 maggio 1993, n. 633; idem 23 marzo 2000, n.1600 ). (L’opera  de quo"coprendo per intero uno spazio scoperto delimitato da un muro, costituisce una nuova volumetria, non tecnica, e una superficie libera calpestabile, per la quale è indispensabile una concessione ad aedificandum, ... invero l’intervento abusivo si configura come un ampliamento dell’edificio preesistente con destinazione (somministrazione) uguale a quella delle preesistenti parti coperte contigue"). Tali osservazioni evidenziano, in particolare, l’assenza di un nesso di "servizio" del nuovo locale rispetto a quelli preesistenti, vale a dire di un elemento fondamentale del rapporto pertinenziale. È stato affermato, al riguardo, in giurisprudenza che non può ricondursi alla nozione di pertinenza la costruzione, in elusione della normativa urbanistica, di un corpo di fabbrica ampliativo di un edificio preesistente e non ontologicamente diverso da esso (cfr. Cass. pen. 6 maggio - 11 giugno 1999, n. 7544). ). La destinazione stessa appare quindi non dimostrata o quanto meno successiva al momento di adozione dell’atto in vertenza (momento rilevante ai fini di valutare la legittimità dell’atto stesso). La precarietà (mobilità) di un manufatto che rende non necessaria la concessione edilizia dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio. Il detto carattere va quindi escluso quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo. (Consiglio di Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3321). Consiglio di Stato, sez. V, 30 ottobre 2000, n. 5828.

Edifici d’interesse storico ed architettonico ai sensi della L. 364\1909 (T.U. di cui al d.lg.vo 490\1999) - Il restauro ed il ripristino sono di spettanza della professione di architetto. In base l'art. 52, comma 2 del R.D. 23 ottobre 1925 n.2537, il restauro ed il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909 n. 364 (poi sostituita dalla L. 1 giugno 1939, n. 1089, a sua volta confluita nel Testo unico di cui al Decreto Leg.vo 29 ottobre 1999, n.490) sono di spettanza della professione di architetto, mentre la parte tecnica può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere. Per giurisprudenza pacifica (Cfr. Tar Veneto 28 giugno 1999, n. 1098; Cons. Stato, II, 23 luglio 1997 n. 386/97) la riserva di cui all'art. 52 citato riguarda non solo gli immobili in oggetto di "notifica" ai sensi degli artt. 1 - 3 della L. n. 1098/1939, ma anche quelli che presentano comunque interesse storico artistico ai sensi della legge richiamata. La progettazione della ristrutturazione di un edificio d’interesse storico ed architettonico particolarmente importante dev’essere affidata ad un tecnico munito della laurea in architettura, ovvero ad una società di professionisti, di ingegneria o ad un raggruppamento in cui la direzione della fase di progettazione architettonica venga riservata ad un architetto. TAR Sicilia - Sezione di Catania - Sez. II sentenza del 20/09/2000 n. 1700.  (Vedi: sentenza per esteso)

Condizioni per determinare la precarietà di un manufatto e concessione edilizia. La precarietà (mobilità) di un manufatto che rende non necessaria la concessione edilizia dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio. Il detto carattere va quindi escluso quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo. Consiglio di Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3321.

Competenza degli ingegneri - costruzioni stradali, opere igienico sanitarie (depuratori, acquedotti, fognatura e simili), impianti elettrici, opere idrauliche, operazioni di estimo, estrazione di materiali,  opere industriali - anche le opere cimiteriali sono di competenza esclusiva degli ingegneri e non degli architetti. La progettazione delle opere viarie, idrauliche ed igieniche, che non siano strettamente connesse con i singoli fabbricati, è di pertinenza degli ingegneri (cfr. sez. V, 6 aprile 1998, n. 416; sez. IV, 19 febbraio 1990, n. 92; sez. III, 11 dicembre 1984, n. 1538). Tale regola discende dall'interpretazione letterale, sistematica e teleologica degli artt. 51, 52 e 54 del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537 - approvazione del regolamento per le professioni d'ingegnere e di architetto - che riservano alla competenza comune di architetti ed ingegneri le sole opere di edilizia civile; mentre attribuiscono alla competenza generale degli ingegneri, quelle concernenti: le costruzioni stradali, le opere igienico sanitarie (depuratori, acquedotti, fognatura e simili), gli impianti elettrici, le opere idrauliche, le operazioni di estimo, estrazione di materiali, le opere industriali; ferma rimanendo per i soli architetti, la competenza in ordine alla progettazione delle opere civili che presentino rilevanti caratteri artistici e monumentali (art. 52, 2° comma, cit.) che conserva però alla concorrente competenza degli ingegneri, secondo la regola generale, la parte tecnica degli interventi costruttivi de quibus). Consiglio di Stato, Sez. IV Sentenza 22 maggio 2000 n. 2938.    (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica e edilizia - Diniego di concessione in sanatoria - Demolizione opere abusive - Giudice dell'esecuzione - Esecuzione dell'ordine di demolizione - Poteri e limiti - Sentenza di condanna o di patteggiamento - Nuovi atti amministrativi incompatibili. Il giudice dell'esecuzione, al fine di disporre l'esecuzione dell'ordine di demolizione, deve valutare la compatibilità dell'ordine adottato con i provvedimenti assunti dall'autorità amministrativa o dalla giurisdizione amministrativa, e deve revocare l'ordine di demolizione emesso con la sentenza di condanna o di patteggiamento soltanto se i nuovi atti amministrativi siano assolutamente incompatibili con esso. (Ha peraltro precisato la Corte che la sospensione di una statuizione di demolizione contenuta nella sentenza penale passata in giudicato, può essere concessa dal giudice dell'esecuzione solo quando sia razionalmente e concretamente prevedibile che, nel giro di brevissimo tempo, sia adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con il detto ordine di demolizione. Non è invece sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile. In tal senso non può essere ritenuta sufficiente la pendenza di ricorso al Tar contro il diniego amministrativo di sanatoria edilizia per giustificare l'invocata sospensione della demolizione). Pres. Acquarone - Ciconte e altro. CORTE DI CASSAZIONE penale, sez. III, 4 Maggio 2000, (CC 30 marzo 2000) RV. 216071, Sentenza n. 1388

Urbanistica e edilizia - Demolizione opere abusive - La competenza a dare attuazione all'ordine di demolizione spetta in via esclusiva all'autorità amministrativa e non al P.M. - Giudice dell'esecuzione - Art. 655, 1° c., cod. proc. pen.. La competenza a dare attuazione all'ordine di demolizione spetterebbe in via esclusiva all'autorità amministrativa e non al pubblico ministero, è appena il caso di ricordare che competenti a dare attuazione all'ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale sono il giudice dell'esecuzione ed il pubblico ministero, in veste di organo dell'esecuzione ai sensi dell'art. 655, primo comma, cod. proc. pen., come ormai stabilito dalla giurisprudenza di questa suprema Corte (v. Sez. Un., 19 giugno 1996, Monterisi, m. 205.336). CORTE DI CASSAZIONE penale, sez. III, 4 Maggio 2000, (CC 30 marzo 2000) RV. 216071, Sentenza n. 1388

Urbanistica e edilizia - Diniego di concessione in sanatoria - Demolizione opere abusive - Giudice dell'esecuzione - Esecuzione dell'ordine di demolizione e revocare l'ordine di demolizione - Poteri e limiti. Il giudice dell'esecuzione, al fine di disporre l'esecuzione dell'ordine di demolizione, deve valutare la compatibilità dell'ordine adottato con i provvedimenti assunti dall'autorità amministrativa o dalla giurisdizione amministrativa, e deve revocare l'ordine di demolizione emesso con la sentenza di condanna o di patteggiamento soltanto se i nuovi atti amministrativi siano assolutamente incompatibili con esso (Sez. III, 2 luglio 1996, Petrino, m. 205.808; Sez. III, 7 marzo 1994, Acquaferra, m. 197.617; Sez. III, 7 marzo 1994, lannelli, m. 197.611). Nella specie, esattamente il pretore, giudice dell'esecuzione, ha ritenuto che non vi fosse alcun atto amministrativo assolutamente incompatibile con l'ordine di demolizione, sicché il giudice dell'esecuzione non poteva assolutamente revocarlo. CORTE DI CASSAZIONE penale, sez. III, 4 Maggio 2000, (CC 30 marzo 2000) RV. 216071, Sentenza n. 1388

Urbanistica e edilizia - Concessione in sanatoria - Disapplicazione ad opera del giudice della cognizione - Possibilità di modifica da par-te del giudice dell'esecuzione - Esclusione - L. 47/1985 - L. 724/1994 art. 39. La disapplicazione giurisdizionale della concessione amministrativa in sanatoria resta ferma, e non può essere modificata dal giudice dell'esecuzione neppure per motivi non esaminati o non conosciuti dal giudice della cognizione. Pres. Papadia U - Est. Onorato P - Imp. Gioia G - PM. (Conf.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21 aprile 2000 (CC.16/02/2000) RV. 216565, Sentenza n. 00750

Urbanistica e Edilizia - Reati edilizi - Sospensione dei procedimenti ex artt. 38 e 44 L. 47/1985 - Condotte illecite proseguite dopo il 31.12.1993 - Applicabilità - Esclusione - L. 724/1994 art. 30 c. 1. In tema di reati edilizi le sospensioni dei procedimenti penali previste dagli artt. 44 e 38 della legge n. 47 del 1985, facenti parte del capo IV di detta legge, richiamato dall'art. 39, comma primo, della legge n. 724 del 1994, non si applicano con riferimento ai reati che, dalla contestazione o dagli atti, risultino proseguiti dopo la data del 31 dicembre 1993. Pres. Consoli G - Est. Calabrese R - Imp. Toscano - PM. (Diff.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 29 marzo 2000 (CC.15/02/2000) RV. 215729, Sentenza n. 782

Urbanistica e Edilizia - Domanda di condono - Effetti ai fini pubblici - Configurabilità del reato ex art. 483 cod. pen. - Reati contro la fede pubblica - Deliti - Falsità in atti pubblici - Condizioni per la configurabilità Domanda di Condono edilizio - Prova dei fatti attestati - Conseguenze - L. 47/1985 artt. 31 e 38 - L. 724/1994. II delitto di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico sussiste allorchè l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati. Nella domanda di condono edilizio la parte richiedente, dichiara che sussistono i requisiti previsti dalla legge per l'applicazione del beneficio richiesto. In particolare che la costruzione è stata conclusa prima del 31.12.1993 e che la misura globale delle opere è conforme alle previsioni di legge. Sulla base di queste dichiarazioni, la Pubblica Amministrazione ammette il richiedente alla procedura, salvi gli opportuni accertamenti. Pertanto la domanda di condono è chiaramente destinata a provare la verità dei fatti attestati, producendo immediatamente effetti rilevanti sul piano giuridico. Ne consegue che in questo caso, sussistendo l'oggetto della tute-la penale, la fattispecie prevista dall'articolo 483 cod. pen. trova piena applicazione. Pres. Consoli G - Est. Providenti F - Imp. Bazzichi - PM. (Conf.) Galati G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 23 marzo 2000 (UD.22/02/2000) RV. 215725, Sentenza n. 03762

Costruzione serre - regime concessorio. La realizzazione di una serra con particolari tipologie costruttive (strutture in parte fisse) e la destinazione non provvisoria (che implica una permanente modificazione dell'assetto del territorio) necessita di concessione edilizia ex art. 1 L. 10/1977. (Conferma TAR Toscana Sez. I 14 marzo 1992, n. 129). Consiglio di Stato, Sez. V - Sentenza 13 marzo 2000 n. 1299

Urbanistica e edilizia - Lesioni derivate da difetti di manutenzione di un edificio pubblico - Responsabilità dell'ufficio tecnico comunale - Presupposti. Ove il fatto non sia specificamente riferibile all'omissione di interventi dovuti o richiesti ovvero a situazioni di pericolo segnalate, la condotta del responsabile dell'ufficio tecnico comunale non è imputabile in termini di negligenza e non si configura a suo carico responsabilità a titolo di colpa per le lesioni derivate da difetti di manutenzione di un edificio pubblico. Tribunale Lodi, 9 marzo 2000

Il ricorso per Cassazione in materia di misure cautelari reali è ammesso soltanto per violazione di legge - controllo di compatibilità - c.d. atti "a sorpresa": perquisizione, sequestro ed ispezione - informazione di garanzia - p.m. - atti diretti alla ricerca della prova per i quali non sia previsto l'avviso al difensore - procedure. A norma dell’articolo 325 Cpp in materia di misure cautelari reali, il ricorso per Cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge e non anche per omessa o contraddittoria motivazione nell’esposizione dei motivi della decisione. Inoltre, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte del Tribunale del riesame e successivamente della Corte di cassazione, non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità delle persone sottoposte ad indagine, in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità fra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi. Infine, non è necessario il previo inoltro dell'informazione di garanzia ai fini del compimento degli atti diretti alla ricerca della prova per i quali non sia previsto l'avviso al difensore (cosiddetti “atti a sorpresa”: perquisizione, sequestro ed ispezione, ex art. 364 comma 5 c.p.p.), nè il p.m. ha l'obbligo, ove l'indagato sia presente, di provvedere all'informazione contestualmente all'esecuzione degli atti medesimi, contemplando la legge in tali ipotesi una serie di adempimenti (notifica del decreto motivato, invito a nominare un difensore di fiducia ovvero, in mancanza, designazione di un difensore d'ufficio) di questa totalmente assorbenti e, nel concreto, sostitutivi; ove tuttavia la persona sottoposta alle indagini non abbia assistito all'atto, una volta che questo sia compiuto viene ad esaurirsi l'esigenza preclusiva connessa alla sorpresa, con la conseguenza che riemerge l'obbligo del p.m. del tempestivo inoltro dell'informazione predetta, anche al fine di assicurare all'interessato la pienezza delle facoltà difensive riconducibili al deposito degli atti previsto dall'art. 366 c.p.p.. Conforme: Cassazione Sez. V sent. 27 giugno 2003, n. 27799. Cassazione Penale, Sez. Un., 23 febbraio 2000, sentenza n. 7

Serre - necessità della concessione edilizia - definizione di precarietà. Qualora delle serre abbiano carattere permanente (ad es. nel caso di fioriere), non vi sono dubbi sulla necessità della concessione edilizia comunale. In tema di reati urbanistici, infatti, la natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio. (Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 1999, n. 11839)   A tal fine l’opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti, affinché‚ ne emerga la eventuale stabilità e il carattere tendenzialmente permanente della funzione. Cass. pen., sez. III, 18 febbraio 2000, n. 22.

Demolizione di opere abusive - competenza. L’art. 7, quinto comma, L. 28 febbraio 1985, n. 47, che prevede la possibilità di non dare esecuzione all’ordine di demolizione per l’esistenza di prevalenti interessi pubblici accertati con "deliberazione consiliare", vige anche nella Regione Sicilia in quanto è stato recepito dalla L.R. 10 agosto 1985, n. 37 e, per lo specifico aspetto, non esiste altra norma regionale incompatibile con la detta disposizione. (Nella specie la Corte ha ritenuto illegittimo il provvedimento della Giunta municipale di un Comune siciliano che aveva escluso la necessità di demolire un immobile abusivo, rilevando che si tratta di provvedimento riservato alla competenza del Consiglio comunale, e non della Giunta). Qualora l'autorità amministrativa manifesti la volontà di non demolire un immobile abusivo e tale volontà sia sicuramente incompatibile, in una prospettiva concreta e non di mera eventualità, con il provvedimento demolitorio emesso ex art. 7, ultimo comma, L. 28 febbraio 1985, n. 47, il giudice penale, potendosi comunque configurare l'avvio della procedura sanzionatoria eccezionale alternativa alla demolizione di cui al quinto comma del medesimo articolo 7, deve disporre la sospensione dell'esecuzione in corso. (Nella specie la Corte ha ritenuto illegittimo il provvedimento della Giunta municipale di un comune siciliano che aveva escluso la necessità  di demolire un immobile abusivo, rilevando che si tratta di provvedimento riservato alla competenza del Consiglio comunale, e non della Giunta. La Corte ha osservato che la circostanza che la volontà del Comune è stata espressa con un atto annullabile non è rilevante, essendo tale atto esistente, efficace ed esecutorio fino a che non venga annullato e potendo lo stesso essere sanato, ratificato o convertito in un atto valido). Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 3682.   

Revoca demolizione - versamento oblazione - necessità di un atto di sanatoria.  Per la revoca dell’ordine di demolizione emesso ex art. 7 ult. comma 1, n. 47 del 1985, è necessaria la effettiva esistenza di un atto amministrativo di sanatoria, espresso o tacito; in particolare, per l’assentimento silenzioso ex art. 39, comma 4, L. n. 724 del 1994, come modificato dalle leggi nn. 85/1995 e 662/1996, non basta la avvenuta presentazione di una domanda di condono ed il versamento completo dell’oblazione autodeterminata, ma è altresì indispensabile che l’istanza sia corredata da tutti i documenti prescritti dalla legge e che sussistano tutti i presupposti di fatto e di diritto normativamente previsti per il rilascio del provvedimento espresso, requisiti da accertarsi dal giudice dell’esecuzione anche attraverso l’sercizio dei poteri riconosciutigli dall’art. 666, comma 5, c.p.p.. Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 3683

Urbanistica e Edilizia - Reati edilizi - Sospensione dei procedimenti ex artt. 38 e 44 della L. 47/1985 - Applicabilità alle condotte illecite proseguite dopo il 31 dicembre 1993 - Esclusione - Fattispecie - Cod.Pen art. 157- L. 724/1994 art. 39 c. 1. In tema di reati edilizi, le sospensioni dei procedimenti penali previste dagli artt. 44 e 38 della legge n. 47 del 1985, facenti parte del capo IV di detta legge, richiamato dall'art. 39, comma primo, della legge n. 724 del 1994, non si applicano con riferimento ai reati che, dalla contestazione o dagli atti, risultino proseguiti dopo la data del 31 dicembre 1993. (Fattispecie relativa a procedimento per reato previsto dagli artt. 17 e 20 della legge n. 64, del quale, data la natura di reato istantaneo, è stata ritenuta l'intervenuta prescrizione). Pres. Viola G - Est. Foscarini B - Imp. Sadini e altro - PM. (Parz. Diff.) Toscani U. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. Unite, 16 dicembre 1999 (UD.24/11/1999) RV. 214792, Sentenza n. 00022

Diffida a demolire - distinzione dall’ingiunzione a demolire. Nel procedimento di cui all'art. 14 L. 47/1985, la previa diffida a demolire rivolta all'autore dell'abuso edilizio non assolve alle medesime finalità dell'ingiunzione a demolire di cui all'art. 7 della medesima legge; non ha cioè lo scopo di consentire al privato la spontanea esecuzione dell'ordine demolitorio, onde escludere il perfezionarsi della sanzione acquisitiva a suo danno, quanto piuttosto assolve alle funzioni di una mera comunicazione dell'avvio del procedimento demolitorio d'ufficio (1), onde consentire al privato di attivarsi allo scopo eventualmente di manifestare al Comune l'intento di procedere spontaneamente alla rimozione delle opere abusive, impedendo così l'applicazione della sanzione d'ufficio. Ciò rende ragione della mancata prefissione di un termine da assegnare nella diffida all'autore dell'abuso, non essendo tipizzato un comportamento dello stesso al quale ricondurre un effetto legale tipico (ad esempio l'inottemperanza che determina l'effetto acquisitivo, come è nel procedimento ex art. 7 L. 47/1985), nè essendo necessaria o, comunque, prevista un'attività dello stesso nella sequenza procedimentale. T.A.R. Sicilia - Catania, sez I - 18 novembre 1999 n 2398.

Opera abusiva o difforme realizzata da terzi - concorso e responsabilità del proprietario del terreno. Il proprietario consapevole che sul suo terreno sia eseguita da un terzo una costruzione abusiva e, potendo intervenire, deliberatamente se ne astenga, pone in essere una condotta omissiva che condiziona, rendendola possibile, la realizzazione della predetta opera abusiva che è, quindi, conseguenza diretta anche della sua omissione della quale egli deve essere ritenuto responsabile ai sensi del principio generale di causalità di cui al primo comma dell`art. 40 c.p. D`altra parte, anche il secondo comma del succitato art. 40 c.p., per il quale non impedire un evento che si ha l`obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell`art. 41, comma 2, Cost., sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria né consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l`obbligo giuridico di non consentire che l`evento dannoso o pericoloso si realizzi. Ne consegue che in virtù delle norme che regolano il concorso di persone nel reato si deve ritenere che il proprietario risponda, a titolo di concorso morale, non solo nel caso di costruzione senza concessione (reato che può essere commesso da chiunque) ma anche nel caso di costruzione in totale difformità dalla concessione (reato configurabile  in base all`art. 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 a carico dei soli soggetti ivi indicati). Cass. pen., sez. III, 26 ottobre 1999, n. 12163

Urbanistica e edilizia - Zone sottoposte a vincolo - Intervento edilizio - Estinzione del reato - Condizioni - Reato urbanistico - Distinzione - Diverse condizioni per l'estinzione - L. 724/1994 art. 39 c. 8 - L. 47/1985 art. 20 - L. 1089/1939 - L. 1497/1939 - L. 431/1985. In tema di definizione agevolata delle violazioni edilizie, l'art. 39 ottavo comma Legge n. 724 del 1994 attribuisce efficacia estintiva del reato per la violazione del vincolo, al rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria, a loro volta subordinate al conseguimento delle autorizzazioni della Amministrazioni preposte alla tutela; sicchè l'ottenimento del-la concessione in sanatoria ha effetto estintivo speciale in ordine ai reati di cui alle leggi n. 1497 e n. 1089 del 1939 e n. 431 del 1985 e all'art. 734 cod. pen., ma non in ordine al reato urbanistico, contemplato all'art. 20 lett. c) Legge n. 47 del 1985, per la cui estinzione sono sufficienti la presentazione della domanda di condono edilizio, riferibile ad un intervento previsto nella disciplina delle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 662 del 1996, ed il versamento dell'oblazione dovuta, diversa da quella autodeterminata. Pres. Zumbo A - Est. Novarese F - Imp. Poltronieri - PM. (Conf.) Albano A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 20 ottobre 1999 (UD.16/07/1999) RV. 214729, Sentenza n. 11965

Reati urbanistici - costruzione di natura precaria con funzioni permanenti. In tema di reati urbanistici, la natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio. A tal fine l’opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti, affinché‚ ne emerga la eventuale stabilità e il carattere tendenzialmente permanente della funzione. Ne consegue che la costruzione del massetto, che è opera oggettivamente stabile e di non immediata ed agevole rimozione, rivela di per sé‚ la funzione permanente dell’insediamento, costituito dal prefabbricato che vi è ancorato e che, malgrado la struttura leggera, ha con il massetto un collegamento fisso e una propria destinazione non limitata nel tempo. Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 1999, n. 11839

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio del 1994 - Falsa dichiarazione di conclusione dei lavori nel termine indicato nel provvedimento di clemenza - Falsità in atti - Falsità ideologica - Sussistenza del reato - Commessa da privato in atto pubblico - Cod.Pen art. 483 - L. 724/1994 - L. 47/1985 artt. 31 e 38. In tema di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico, polchè I'art 39 comma quarto della legge 23.12.1994 n. 724 conferisce alla dichiarazione della parte piena efficacia probatoria in ordine alla conclusione dei lavori entro il termine di applicabilità del condono edilizio, la eventuale falsità del contenuto di tale dichiarazione integra il reato di cui all'art. 483 cod.pen., dal momento che l'ordinamento attribuisce a tale dichiarazione valenza probatoria privilegiata, con esclusione della necessità di produrre ogni altra documentazione. Pres. letti G - Est. Cicchetti N - Imp. Di Paolo A - PM. (Diff.) Febbraro G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 1 settembre 1999 (UD.02/06/1999) RV. 214599, Sentenza n. 10377

Difformità totale - sequestro preventivo. Allorché risulti edificato un immobile in totale difformità dalla concessione, per la realizzazione di un corpo di fabbrica ulteriore per superficie e volumetria rispetto a quello assentito, è legittimo il sequestro preventivo dell’intero cantiere e non solo della porzione edificata in più rispetto al progetto approvato. Cass. pen., sez. III, 17 maggio 1999, n. 1104

Edilizia e urbanistica - Spontanea demolizione delle opere illecitamente realizzate - Mancanza di un danno penalmente rilevante - Presupposti. L’avvenuta spontanea demolizione delle opere illecitamente realizzate da parte del responsabile dell’abuso può costituire prova - oltre che della buona fede dell’imputato - anche della mancanza di un danno penalmente rilevante. CORTE DI CASSAZIONE Penale - Sez. III, 30 maggio 1990

Costruzione abusiva - sequestro penale - legittimità - sanatoria - irrogazione e pagamento della sanzione pecuniaria - effetti. Poiché la realizzazione di una costruzione abusiva è destinata a rimanere tale anche dopo l'eventuale irrogazione ed il pagamento della sanzione pecuniaria in quanto la stessa non equivale a sanatoria nè autorizza il contravventore a realizzare, proseguire o terminare l'opera abusiva. Per tale ragione il sequestro penale non può essere revocato, e deve essere, inoltre, evitato che il reato venga portato a ulteriori conseguenze. Pretura Sorrento, 20 aprile 1978

Vedi sullo stesso argomento le massime dell'anno 

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