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Giurisprudenza

 

 

 

Urbanistica

2003

Si veda anche: Espropriazione

 

 

  Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni

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Ristrutturazione - restauro - ricostruzione - distanze - strade - manutenzione - espropriazione - indennizzo - incarichi - responsabilità...

Abuso d'ufficio - illegittimità delibera - truffa - falso in atto pubblico - peculato - responsabilità - termini - verbali - ricorsi - accesso...

 

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Ristrutturazione - distanze - strade - restauro - ricostruzione - manutenzione - espropriazione - indennizzo - responsabilità...   

La domanda rivolta al giudice dell’ottemperanza per ottenere la restituzione di un fondo abusivamente occupato – Limiti. La domanda rivolta al giudice dell’ottemperanza proprio per ottenere la restituzione di un fondo abusivamente occupato è ammissibile soltanto qualora il fondo stesso non sia stato irreversibilmente modificato, C.d.S., sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6078; 11 luglio 2001, n. 3882; 3 aprile 1991, n. 1911. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - IMMOBILIARE PODERE TRIESTE S.R.L. (Avv. Paoletti) c. COMUNE DI ROMA (Avv. Lorusso) (conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8411 del 10 ottobre 2001). CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7778 (vedi: sentenza per esteso)

La pubblicazione degli strumenti urbanistici - termine di sessanta giorni per impugnare la previsione della strumentazione generale – decorrenza - l’onere di provare la tardività del ricorso. La pubblicazione degli strumenti urbanistici risulta costituita, secondo le previsioni dell’art. 10 della legge 17 agosto 1992, n. 1150, e successive modificazioni, da una sequenza di atti collegati. La data da cui muove il termine di sessanta giorni per impugnare la previsione della strumentazione generale decorre – come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza - dal momento conclusivo dell’ultima misura conoscitiva messa in atto; vale a dire dall’ultimo giorno del periodo di quindici giorni da quando l’avviso dell’avvenuta approvazione è stata affissa all’Albo pretorio (Cons. St., Sez. IV, n. 45 del 18.1.1996; Sez. V, n. 1489 del 27.10.1995). E’ altresì pacifico che l’onere di provare la tardività del ricorso è a carico della parte che eccepisce l’intempestività e che, in difetto di prova, il ricorso deve ritenersi tempestivo (Cons. St., Sez. IV, n. 33 del 24.1.1995). Pres. RICCIO - Est. CARINCI - Comune di Catanzaro (Avv. Mirigliani) c. Aceto ed altri (riforma Tribunale amministrativo regionale della Calabria, Catanzaro, n. 494, pubblicata in data 16 aprile 1994) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7771

La variante di un piano regolatore generale - Nuova destinazione ad aree che risultano già urbanisticamente classificate - Piano di lottizzazione approvato - Giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia - Reiterazione di un vincolo scaduto - Convenzione di lottizzazione. La variante di un piano regolatore generale che conferisce nuova destinazione ad aree che risultano già urbanisticamente classificate, necessita di apposita motivazione solo allorché le classificazioni preesistenti siano assistite da specifiche aspettative, in capo ai rispettivi titolari, fondate su atti di contenuto concreto. Deve trattarsi, cioè, di scelte che incidano su specifiche aspettative, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia, della reiterazione di un vincolo scaduto (Cons. St.; Sez. IV, n. 1732 del 4.12.1998; n. 1190 del 14.10.1997). Nel caso della lottizzazione, in particolare, occorre, perché sussista l’obbligo dell’Amministrazione di dare una specifica motivazione sulle esigenze che inducano a modificare la previsione urbanistica preesistente, che sia già intervenuta la stipula della convenzione di lottizzazione (Sez. VI, n. 173 del 14.1.2002). Pres. RICCIO - Est. CARINCI - Comune di Catanzaro (Avv. Mirigliani) c. Aceto ed altri (riforma Tribunale amministrativo regionale della Calabria, Catanzaro, n. 494, pubblicata in data 16 aprile 1994) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7771

Urbanistica - altezze massime degli edifici - la disciplina regolamentare comunale - le locuzioni: “altezza totale” e “altezza massima” - nozione di “altezza totale” - deroga alle altezze massime - limiti. La disciplina regolamentare comunale relativa alle altezze massime degli edifici utilizzando la locuzione “altezza totale”, invece di quella di “altezza massima”, intende evidentemente indicare una dimensione non solo maggiore di quella consentita, ma assoluta e non più superabile per effetto di qualsivoglia altra previsione del piano. La relativa deroga alle altezze massime previste per le singole tipologie di edifici e per le diverse zone si atteggia, in sintesi, come ultimativo e definitivo beneficio che consente, per quella esclusiva e peculiare fattispecie e nei vincolati e rigidi margini ivi previsti, l’edificazione del fabbricato oltre i limiti estremi stabiliti in via generale. La nozione di “altezza totale” appena definita comporta, inoltre, che il relativo limite non può essere ulteriormente superato e che, conseguito quel beneficio, non se ne possono cumulare altri, che consentirebbero inammissibilmente di derogare ulteriormente ad un margine di altezza che, per il suo carattere dichiarato “totale”, non tollera altre eccezioni. Ogni altra opzione esegetica va, in particolare, rifiutata, siccome contraria all’insuperabile dato letterale appena analizzato ed in quanto confliggente con il noto canone ermeneutico che impedisce di assegnare ad una disposizione un significato che preclude alla stessa di produrre qualsiasi effetto e che la priva di ogni senso ed utilità. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 novembre 2003, sentenza n. 7127 (vedi: sentenza per esteso)

Il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento - configurabilità - precedenti provvedimenti illegittimi in favore di altri soggetti - inesistenza - fattispecie: altezze massime degli edifici. Il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento non è configurabile nei riguardi di determinazioni corrette e sulla sola base della denunciata adozione di precedenti provvedimenti illegittimi nella medesima materia ed in favore di altri soggetti (cfr. ex multis C.S., Sez. V, 7 settembre 2001, n.4670). (Nella specie, il Comune ha (diversamente e legittimamente) inteso ed attuato il regime delle altezze massime degli edifici). Consiglio di Stato, Sez. V, 7 novembre 2003, sentenza n. 7127 (vedi: sentenza per esteso)

Le distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici - art. 7, comma 3, della legge delle Marche - incostituzionale. L’art. 7, comma 3, della legge delle Marche stabilisce che con atto della Giunta regionale sono determinate le distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici “destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi”, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico–artistici o individuati come edifici di pregio storico–architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi. La totale libertà attribuita alla Giunta ai fini della determinazione delle distanze minime, e la genericità ed eterogeneità delle categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di distanza minima viene previsto, configurano non già un quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un potere amministrativo in contrasto con il principio di legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti di telecomunicazione. La norma impugnata eccede pertanto i limiti della competenza regionale. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)

Espropriazione - la domanda riconvenzionale ex articolo 167 c. p. c e la domanda ex art. 43, comma 3 T.U. - presupposti e differenze - rigetto della domanda principale - misura risarcitoria. La domanda riconvenzionale ex articolo 167 c. p. c. ricorre quando il convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, opponga una controdomanda, e cioè chieda un provvedimento positivo sfavorevole all'attore, che va oltre il rigetto della domanda principale (così Cassazione civile, II sezione, n. 2860 del 2.4.1997) ovvero chieda un provvedimento giudiziale a sè favorevole, che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale (Cassazione civile, sez. I, 21 dicembre 2002, n. 18223). Viceversa, la domanda ex art. 43, comma 3 T.U., se conserva lo schema formale di quella riconvenzionale (controdomanda), si differenzia dalla sua essenza contenutistica in quanto non mira ad ampliare il thema decidendum, ma si mantiene nell’alveo di quello introdotto dall’attore, limitandosi a sollecitare, per il convenuto, una condanna ad una misura risarcitoria sì meno sgradita, ma sicuramente e potenzialmente già ricompresa nella domanda avversaria, tanto da poter essere disposta anche d’ufficio dal giudice. TAR EMILIA ROMAGNA - BOLOGNA, SEZ. I - 27 ottobre 2003 sentenza n. 2160 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica e edilizia - Costruzione di un muro di contenimento realizzato senza rispetto delle distanze di confine - Pertinenza - Muro di contenimento - Regime autorizzatorio - Autorizzazione gratuita - Contravvenzione di cui all'art. 20 lett. a L. n. 47/1985 e art. 7 L. n. 94/1982 - Sussistenza. Qualora l'opera realizzata, costruzione di un muro di contenimento, sia di natura pertinenziale, essa e' assoggettabile al regime dell'autorizzazione gratuita e l'eventuale contrasto della stessa con la prescrizione di edilizia locale disciplinante la distanza di confine integra gli estremi della contravvenzione di cui all'art. 20 lett. a Legge 28/2/1985 n. 47, indipendentemente dal fatto che sia stata o meno autorizzata. PRES. Savignano G REL. Piccialli L COD.PAR.368 IMP. Airoldi e altri PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 08/10/2003 (UD. 14/07/2003), RV. 226530, Sentenza n. 38193

Gruppo di direzione dei lavori - accettazione dell’incarico - modificazione della composizione del gruppo con provvedimento dirigenziale successivo - illegittimità. Il comune, senza indicare nessuna esigenza di pubblico interesse, non può modificare la composizione del “gruppo di direzione dei lavori” risultante da atto precedente (e corrispondente alla composizione del gruppo incaricato della progettazione), dopo che ciascuno dei professionisti aveva accettato l’incarico e si erano perfezionati i contratti di prestazione d’opera con l’amministrazione comunale. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2003, sent. n. 5891

Affidamento ad organismi esterni dei controlli - i requisiti minimi - la documentazione dei requisiti - formazione tecnica e professionale - l’installazione e la manutenzione delle tipologie di impianti da sottoporre a verifica - la disciplina dell’abilitazione. L’art.11 comma 19 del d.P.R. n.412/93 (regolamento di attuazione della legge n.10/91) stabilisce che, in caso di affidamento ad organismi esterni dei controlli di cui al comma 18, gli enti competenti devono preventivamente accertare che gli stessi soddisfino i requisiti minimi di cui all’allegato I e che tale ultimo documento (introdotto con il d.P.R. 21 dicembre 1999, n.551) prevede, al comma 5 lett.a), che il personale incaricato deve possedere “una buona formazione tecnica e professionale, almeno equivalente a quella necessaria per l’installazione e la manutenzione delle tipologie di impianti da sottoporre a verifica”. Dall’esame degli artt.1, 2 e 3 della legge 5 marzo 1990, n.46 si evince, inoltre, che l’ampia catalogazione delle tipologie di impianti soggetti alla sua applicazione comprende anche quelli oggetto della procedura controversa e che la disciplina dell’abilitazione alla loro installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione si fonda sulla verifica puntuale del possesso dei requisiti di capacità tecnico-professionale all’esercizio delle predette attività. Ancorché, dunque, la legge n.46/90 si occupi di regolare un’attività diversa da quella disciplinata dalla legge n.10/91 (che regola specificamente il servizio oggetto dell’appalto) e possa, quindi, sembrare improprio il richiamo alla prima per la documentazione dei requisiti per lo svolgimento di un’attività riferibile all’ambito applicativo della seconda, l’espresso rinvio dell’allegato I del d.P.R. n.412/93, che definisce i requisiti per l’espletamento dell’attività di verifica e di controllo degli impianti, alla formazione tecnica e professionale necessaria per la loro installazione e manutenzione non solo consente di escludere il carattere inconferente del certificato nella specie prescritto ma impone di giudicare la relativa clausola conforme alla ricordata previsione regolamentare che stabilisce i requisiti di capacità in questione per relationem a quelli prescritti per la diversa attività contemplata dalla legge n.46/90. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5327

L’attività di controllo degli impianti - installazione e di manutenzione - conoscenza dei meccanismi di funzionamento degli impianti e la capacità della loro attivazione e cura. L’attività di controllo degli impianti, seppur ontologicamente diversa da quella di installazione e di manutenzione, esige logicamente la conoscenza dei meccanismi di funzionamento degli impianti e la capacità della loro attivazione e cura (entrambe certificate alla stregua delle regole fissate dalla legge n.46/90). Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5327

Divieto ai commissari di assumere compiti tecnici di esecuzione e di direzione dei lavori - concorso alla progettazione dell’opera - ipotesi di incompatibilità - interesse privato - pregiudizio all’imparzialità ed alla correttezza delle valutazioni tecnico-discrezionali - appalto concorso con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. La norma sancita dall’art.21 comma 5 della legge n.109/94 mira, in particolare, ad impedire la partecipazione alla commissione di soggetti che abbiano, a qualunque titolo, concorso alla progettazione dell’opera e a vietare che i commissari assumano compiti tecnici di esecuzione e di direzione dei lavori, al precipuo fine di evitare che dall’interesse privato connesso alla redazione del progetto od alla direzione dei lavori derivi un (altrimenti probabile) pregiudizio all’imparzialità ed alla correttezza delle valutazioni (tecnico-discrezionali, vertendosi in tema di appalto concorso con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) rimesse dalla legge alla commissione. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5322 (vedi: sentenza per esteso)

Ristrutturazione - demolizione e fedele ricostruzione del manufatto - prescrizione relativa al divieto di demolizione e ricostruzione - illegittimità - invalidità degli atti di sospensione dei lavori e di annullamento d’ufficio della concessione edilizia fondati sul rilievo dell’inosservanza della prescrizione illegittima. Secondo un univoco e consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis C.S., Sez. IV, 2 aprile 2002, n.1824), il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art.31 c.1 lett. d) l. n.457/78 comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto. Tale definizione del contenuto della ristrutturazione edilizia, è stata peraltro codificata dall’art.3 lett.d) del decreto legislativo 6 giugno 2001, n.378 (testo unico dell’edilizia). La riscontrata illegittimità ed il conseguente annullamento della prescrizione, contenuta nella concessione edilizia, relativa al divieto di demolizione e fedele ricostruzione del manufatto in questione implicano, in via immediata e diretta, l’invalidità degli atti di sospensione dei lavori e di annullamento d’ufficio della concessione edilizia, in quanto erroneamente fondati sul duplice rilievo dell’inosservanza della predetta (illegittima) clausola e della conseguente impossibilità di procedere alla ricostruzione dell’edificio, a seguito del suo abbattimento. Consiglio di Stato, Sezione V – 18 settembre 2003, n. 5310

Reati ambientali - applicabilità dell’articolo 165 Cp. in relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento dell'ambiente - il ricorso all'istituto generale. Per reati diversi dall'inquinamento del sito, l’istituto di carattere generale trova applicazione anche in relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento dell'ambiente è possibile ricorrere all'istituto generale disciplinato dall'articolo 165 Cp. Anzitutto perché la norma speciale esclude l'applicazione della norma generale solo per i casi tassativamente previsti nella prima, sicché al di fuori di questi ritorna applicabile la norma generale. In secondo luogo perché la clausola di salvezza prevista dall'articolo 165, secondo cui la norma codicistica si applica "salvo che la legge disponga diversamente" non opera nella soggetta materia, atteso che la norma speciale di cui trattasi non contiene una disciplina "diversa", cioè contrastante, ma solo una disciplina differente "per specializzazione". In altri termini, il ricorso all'istituto generale di cui all'articolo 165 è escluso solo quando una legge speciale preveda una disciplina con esso incompatibile (per esempio perché sottrae al giudice penale il potere di imporre un facere al condannato in determinate materie, riservandolo alla pubblica amministrazione), non già quando preveda, in relazione a determinati reati, una disciplina semplicemente "specializzante" rispetto a quella dell'articolo 165: in questo caso infatti - come già osservato - l'istituto generale resta applicabile per tutti i reati diversi da quelli contemplati nella norma speciale. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi: sentenza per esteso)

Manutenzione straordinaria o di risanamento conservativo - interventi che non alterino volumi e superfici - la redistribuzione di volumi - ristrutturazione edilizia soggetta a concessione edilizia. Solo gli interventi che non alterino volumi e superfici sono annoverabili tra quelli di manutenzione straordinaria o di risanamento conservativo (cfr. TAR Lombardia Milano, Sez.II, 9.4.2002, n.1388; TAR Sardegna 2.6.2000, n. 561, secondo cui gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino la redistribuzione di volumi, non sono configurabili né come manutenzione straordinaria, né come risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia soggetta a concessione edilizia (art.31, lettera d) L.n.457/1978; cfr. in termini, C. d. S, V, 23.5.2000, n. 2988, 25.11.99, n. 1971, 17.12.1996, n. 1551, 14.12.94, n. 1469, 13.7.92, n. 646, 23.4.91, n. 644, 2.4.91, n. 374). TAR LAZIO, SEZ. II BIS - Sentenza 25 luglio 2003 n. 6670 (vedi: sentenza per esteso)

Opere interne - interventi modificativi degli spazi interni per creare vani accessori, nuovi volumi o maggiori superfici utili - la costruzione di un solaio - concessione edilizia - necessità. La giurisprudenza ha evidenziato che l’art. 26 della legge n.47 del 1985 è inapplicabile alle opere interne che comportino, come nella specie, interventi modificativi degli spazi interni per creare vani accessori, nuovi volumi o maggiori superfici utili (cfr. C.d.S., V, 5.3.2001, n.1244) ovvero la costruzione di un solaio comportante la realizzazione di un piano ulteriore determinando una definitiva modificazione dell’interno del fabbricato e, come tale, in quanto travalicante la definizione di opere interne prevista dal citato art. 26, soggetto al rilascio di concessione edilizia (cfr. ancora, C.d.S., V, 9.2.2001, n.577, 24.2.95, n.247 e12.9.92, n.789; TAR Toscana, sez.I, 10.12.97). TAR LAZIO, SEZ. II BIS - Sentenza 25 luglio 2003 n. 6670 (vedi: sentenza per esteso)

Opere comportanti aumento di volume o di superficie utile - la modifica della sagoma dell’edificio - concessione edilizia - necessità - sanzione della demolizione. Le opere comportanti aumento di volume o di superficie utile e la modifica della sagoma dell’edificio, sono soggette a concessione edilizia e, qualora realizzate abusivamente senza tale titolo, sono soggette alla sanzione della demolizione. TAR LAZIO, SEZ. II BIS - Sentenza 25 luglio 2003 n. 6670 (vedi: sentenza per esteso)

Liquidazione delle spese giudiziali - spese della consulenza tecnica d’ufficio - compensi spettanti al c.t.u. - potere del g.a. di ridurli - compensi di ingegneri ed architetti impiegati di una pubblica amministrazione dello Stato - coefficiente riduttivo del 10%. In sede di liquidazione delle spese giudiziali e relative spese della consulenza tecnica d’ufficio, il Collegio ne ritiene equa la compensazione delle prime, mentre gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio inducono a porre a carico del Comune di Roma il relativo onere, per la cui determinazione - rispetto al compenso richiesto dal C.T.U. - il Collegio stesso ritiene che possa essere applicato il potere riduttivo, da riconoscere in applicazione estensiva del principio, di cui all’art. 62 del R.D.23.10.1925, n. 2357, da intendersi riferito ai compensi di ingegneri ed architetti, non solo "impiegati di una pubblica amministrazione dello Stato, delle Province o dei Comuni", ma anche comunque investiti di una funzione pubblicistica (cfr., per il principio, Cons. St., sez. V, ordinanza 10.3.99, n. 226; Corte dei Conti, sez. contr. 5.12.85, det. n. 1607; cfr. inoltre, per la linea di indirizzo da adottare, la legge 8.7.1980, n. 319, sui compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’Autorità Giudiziaria); nel caso in esame, detto coefficiente riduttivo viene individuato nella misura del 10%, tenuto conto della complessità delle valutazioni richieste, con onere a carico della parte parzialmente soccombente. TAR LAZIO, SEZ. II BIS – Sentenza 22 luglio 2003 n. 6570 (vedi: sentenza per esteso)

La concessione edilizia in una località classificata sismica - costruzione, sopraelevazione o riparazioni in località sismica - preavviso scritto, notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio tecnico della regione o all'ufficio del genio civile - necessità - responsabilità - effetti - distanza dal ciglio stradale. In base all’art. 17 della legge n. 64 del 1974 già citato, infatti, chi vuole eseguire in località sismica una costruzione, sopraelevazione o riparazioni è tenuto “a darne preavviso scritto, notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio tecnico della regione o all'ufficio del genio civile secondo le competenze vigenti”. Il Sindaco (oggi il dirigente dell’U.T.C.), responsabile del governo urbanistico del territorio comunale, prima di rilasciare una concessione edilizia (oggi permesso a costruire) in una località classificata sismica e per la quale è necessaria la preventiva autorizzazione degli uffici competenti, è tenuto, ad avviso della Sezione, ad accertare la regolarità di tale autorizzazione, nei suoi profili di ordine formale, in quanto tali profili si riflettono sul titolo concessorio, invalidandolo se irregolari. (La costruzione di cui alla concessione edilizia assentita è alta 18 metri mentre, in base alla normativa antisismica contenuta nel Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 16.1.1996, n. 19, non avrebbe dovuto superare gli undici metri - distanza dal ciglio stradale). Consiglio di Stato, Sezione V - 14 luglio 2003, sentenza n. 4165 (vedi: sentenza per esteso)

Rifiuti - localizzazione di un impianto di pretrattamento e stoccaggio di rifiuti solidi urbani - testo unico delle leggi sanitarie - termodistruzione - la valutazione della distanza minima. L’articolo 216 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (recante il testo unico delle leggi sanitarie) dispone che le industrie insalubri siano “isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni”. Un’attenuazione della disposizione è contenuta al quinto comma, che consente la localizzazione “nell’abitato, quante volte l’industriale che l’esercita provi che, per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato”. La Sezione ritiene di poter prescindere dalla questione se la distanza vada riferita all’impianto nel suo complesso o limitata all’impianto di trattamento e stoccaggio, e non anche a quello di termodistruzione. Ritiene, inoltre, che possa essere assunto a parametro di riferimento, sia pure non considerato in senso assoluto, per la valutazione della distanza minima, quello fissato in 200 metri dall’allegato B, punto c5, della legge regionale della Lombardia n. 21 del 1993. La misurazione a tal fine andrebbe riferita alla distanza tra l’immobile abitativo e l’impianto vero e proprio (Cons. Stato, V, 3 ottobre 1997 n. 1097). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenze nn. 3916 - 3915. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3929

Uso pubblico - definizione - disciplina delle strade comunali e “vicinali” - la costituzione di servitù per destinazione. Si ha uso pubblico, che comporta l’assoggettamento della strada alla disciplina delle strade comunali anche se esse siano “vicinali” ossia fuori dal centro abitato (decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, contenente il codice della strada, articoli 2, comma 7, e 3, comma 1, definizione n. 52) quando un’area privata venga dal proprietario destinata ad essere inserita nella rete viaria pubblica, o mediante atto negoziale oppure, in modo simile a quanto è previsto dall’articolo 1062 del codice civile per la costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, mediante una sistemazione dei luoghi nella quale sia implicita la realizzazione di una strada per uso pubblico, seguita da uso pubblico effettivo. (Nella specie la cessione seguita dall’uso pubblico effettivo, dalla toponomastica e dall’illuminazione pubblica, ha appunto realizzato in modo conclamato quanto meno la destinazione ad uso pubblico della strada, indipendentemente, anche qui, dalle vicende del procedimento amministrativo di lottizzazione). Consiglio di Stato Sez. V, - 23 giugno 2003, sentenza n. 3716 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica e edilizia - Modifica destinazione d'uso - Disciplina urbanistica - Poteri regolamentari della regione - Mutamento di destinazione d'uso di immobili, o di loro parti - All'interno degli stessi raggruppamenti - Concessione edilizia - Esclusione - Semplice autorizzazione - L. n. 662/1996, L. n. 47/1985 e D. P. R. n. 380/2001. In materia edilizia, compete alle Regioni, ai sensi dell'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, modificativo dell'art. 25 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, stabilire quali mutamenti di destinazione d'uso di immobili, o di loro parti, connessi o meno a trasformazioni fisiche, siano escluse dal regime concessorio (ora permesso di costruire) e subordinate a semplice autorizzazione, purché le previsioni regionali tengano conto delle disposizioni di principio poste dallo Stato. (In applicazione di tale principio risulta legittima la sottoposizione alla denuncia di inizio attività, prevista dalla legge Regione Calabria n. 19 del 2002, dei mutamenti di destinazione d'uso che intervengono all'interno degli stessi raggruppamenti). PRES. Savignano G REL. Squassoni C COD.PAR.368 IMP. Lattari PM. (Conf.) Di Zenzo C. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 13/06/2003 (CC. 09/04/2003), RV. 225472, Sentenza n. 25738

Le responsabilità attribuiti al direttore dei lavori - disciplina in materia di smaltimento di rifiuti - specificità dei compiti - legislazione antisismica - legge 1996 n. 662 - demolizione di fabbricati. Attesa la specificità dei compiti e delle relative responsabilità attribuiti al direttore dei lavori dall'art.6 della legge 28 febbraio 1985 n.47 e dall'art.2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996 n.662 (oltre che da altre disposizioni contenute nella legislazione antisismica ed in quella di tutela dei beni ambientali), deve escludersi che il suddetto direttore assuma alcuna posizione di garanzia con riguardo all'osservanza della disciplina in materia di smaltimento di rifiuti. (Nella specie, in applicazione di tale principio, e' stato escluso che al direttore dei lavori, solo in quanto tale, potesse addebitarsi la responsabilità del reato di deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi costituiti da materiali di risulta della demolizione di fabbricati preesistenti, al posto dei quali dovevano realizzarsi nuovi edifici). Cass. n.4957 del 21/04/2000. Tribunale di Grosseto del 12/06/2003, sentenza n. 571 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela della salute pubblica - provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini - competenza - sindaco - condizioni - l'assistenza della forza pubblica - il principio di legalità - la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica. Questi atti sono emanati in presenza di una situazione di urgenza e necessità, il cui contenuto (come si è visto) non è predeterminato dalla legge, ma si adegua in concreto ai tratti dell'emergenza sulla quale si vuole intervenire: ciò al fine di consentire all'ordinanza quei margini di elasticità indispensabili per garantirne efficacia ed efficienza. Il principio di legalità, in questi casi, è compresso nei limiti massimi concessi dall'ordinamento e la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti si traduce nell'indicazione legislativa dei soli caratteri della situazione - di necessità ed urgenza - che costituisce il presupposto della misura adottata. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela della salute pubblica - provvedimenti contingibili e urgenti - limiti - garanzie - termine di efficacia del provvedimento - imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata - esigenze prevedibili e permanenti - illegittimità - contra. L'eccezionalità e la “elasticità” dei provvedimenti contingibili e urgenti non solo li sottopone a limiti rigorosi, facendone una misura ultimativa, una vera e propria extrema ratio dell'agire amministrativo, ma esige che, in concreto, la loro adozione sia preceduta da tutte le garanzie richieste dall'ordinamento, purché siano compatibili con i presupposti ed i requisiti dell'atto. Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili ed urgenti si annovera, secondo insegnamenti pacifici, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento. In più recenti pronunce si è affermato, in particolare, che tali ordinanze, oltre al carattere della contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza nei casi di pericolo attuale od imminente, presentano quello della provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata. Di tal che non si ammette che l'ordinanza venga emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, ovvero per regolare stabilmente una situazione od un assetto di interessi (Cfr., Cons. Stato, IV Sez., 13 dicembre 1999, n. 1844; V Sez. 30 novembre 1996, n. 1448). In altri casi si è pure ammesso che le ordinanze di necessità ed urgenza possano produrre effetti non provvisori. Si ritiene che non sia la provvisorietà a connotarle, ma la necessaria idoneità delle misure imposte ad eliminare la situazione di pericolo che ne giustifica l'adozione, e che, in definitiva, tali misure possano essere tanto definitive quanto provvisorie, a seconda del tipo di rischio da fronteggiare (Cfr., Cons. Stato, V Sez., 29 luglio 1998, n. 1128). Quest'ultima affermazione non è un segnale di incoerenza con i principi generali dapprima esposti, bensì la conferma della elasticità che caratterizza necessariamente questi provvedimenti, congegnati dal Legislatore in termini di atipicità proprio allo scopo di renderli adeguati a provvedere al caso di urgenza. In sintesi, la regola è quella per cui l'ordinanza deve contenere l'apposizione di un termine, ma tale regola potrebbe anch'essa venir derogata quando, per la peculiarità del caso concreto, la misura urgente presenti l'eccezionale attitudine a produrre conseguenze non provvisorie. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)

Provvedimenti contingibili e urgenti - limiti - esigenze prevedibili e permanenti - illegittimità. L'eccezionalità e la “elasticità” dei provvedimenti contingibili e urgenti non solo li sottopone a limiti rigorosi, facendone una misura ultimativa, una vera e propria extrema ratio dell'agire amministrativo, ma non si può ammettere la loro adozione se l'ordinanza venga emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, ovvero per regolare stabilmente una situazione od un assetto di interessi (Cfr., Cons. Stato, IV Sez., 13 dicembre 1999, n. 1844; V Sez. 30 novembre 1996, n. 1448). Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)

Il tipo di “copertura” che può trasformare un balcone - balcone chiuso - balcone aperto - “chiusura perimetrale del fabbricato” - esclusione dal piano di facciata ai fini della verifica del rispetto della distanza. Un balcone chiuso, non è più un balcone secondo il comune significato del termine, e quindi diventa elemento componente del piano di facciata, non è altrettanto chiaro cosa debba intendersi per balcone aperto, ma coperto, poiché la copertura può consistere in un fatto accidentale dovuto, ad esempio, alla sovrapposizione di identico balcone al piano superiore. Ritiene il Collegio che, a tal fine, debba farsi ricorso all’interpretazione logico sistematica della disposizione, emergente dal confronto tra le due proposizioni sopra ricordate, ed affermare che il tipo di “copertura” che può trasformare un balcone, elemento di per sé estraneo al piano di facciata, in elemento di “chiusura perimetrale del fabbricato” deve essere tale da renderlo assimilabile strutturalmente, agli altri corpi aggettanti (vetrate, verande, bowindows, ecc.) che la norma ricomprende nel piano di facciata, in ragione della loro attitudine a creare ambienti interni alla costruzione. E’ quindi necessario che la copertura sia concepita come componente autonoma del balcone e che ad essa si aggiungano elementi ulteriori, quali ad esempio le pareti laterali, che realizzano un corpo funzionalmente omogeneo con la parete. Tali caratteristiche non possono attribuirsi ai balconi di cui alla controversia in esame, nei quali la “copertura” costituisce elemento accidentale, mentre non si rinvengono altri dati strutturali idonei a qualificarli funzionalmente, nel senso sopra delineato. Essi andavano quindi esclusi dal piano di facciata ai fini della verifica del rispetto della distanza. Consiglio di Stato sez. V del 20.05.2003 sentenza n. 2754

Immobili destinati ai profughi in stato di bisogno - immobili di edilizia residenziale pubblica - competenza della gestione - adozione di provvedimenti di rilascio - competenza del Sindaco. La gestione degli immobili realizzati a norma della legge n. 137/1952 fu affidata agli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP), e tali Istituti disponevano del potere di gestire i detti immobili per profughi con gli stessi strumenti gestionali loro attribuiti dalla legge per le altre ipotesi di edilizia residenziale pubblica. Con riguardo ai provvedimenti di rilascio di abitazioni detenute sine titulo l’art. 18 del d.P.R. n. 1035 prevedeva il decreto del Presidente dell’Istituto. Con il d.lgs. del 24 luglio 1977 n. 616 le funzioni in precedenza svolte dagli IACP vennero trasferite ai comuni “salva la competenza dello Stato per l’assegnazione degli alloggi da destinare a dipendenti civili e militari dello Stato per esigenze di servizio”. Nessuna deroga è stata disposta con riguardo alle abitazioni per i profughi, che, sul piano della competenza alla gestione, hanno seguito fin dalla loro istituzione il regime degli immobili di edilizia residenziale pubblica. La giurisprudenza ha anche rilevato che la sopravvivenza di un regime speciale degli alloggi per profughi, sia con riguardo alla determinazione del canone, ovvero alla riserva per tale categoria introdotta dalla legge 26 dicembre 1981 n. 763, non appare in contrasto con il trasferimento alle regioni e ai comuni delle competenze relative alla sistemazione dei profughi. Consiglio di Stato, Sezione V, 29.04.2003, sentenza n. 2185

Urbanistica e Edilizia - Disposizioni di cui al T. U. n. 380/2001 - Ristrutturazione edilizia - Demolizione e ricostruzione di immobili - Nozione - Ricostruzione di rudere - Esclusione - Nuova costruzione - Art. 3 D. P. R. n. 380/2001. In materia edilizia, anche in base alle nuove disposizioni contenute nel D. P.R. 6 giugno 2001 n. 380, costituisce nuova costruzione l'intervento di demolizione e di successiva ricostruzione di un rudere, in quanto la demolizione per essere ricondotta alla nuova nozione legislativa di 'ristrutturazione edilizia' deve essere contestualizzata temporalmente nell'ambito di un intervento unitario volto nel suo complesso alla conservazione di un edificio che risulti ancora esistente e strutturalmente identificabile al momento dell'inizio dei lavori. Pres. Vitalone C - Est. Fiale A - Imp. Pellegrino M - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 28 Marzo 2003 (UD.04/02/2003) RV. 224571, Sentenza n. 14455

Edilizia – distanze legali - demolizione e ricostruzione non fedele all’edificio preesistente – conservazione delle deroghe alle distanze – perdita. Importa la perdita di efficacia della deroga alla normativa in materia di distanze, non potendo essere la nuova costruzione ricompresa tra le “ristrutturazioni” di cui all’art. 31 lett. d) l. n. 457 del 1978, conservabile unicamente nei casi di demolizione e ricostruzione fedele dell’edificio, quantomeno nelle medesime dimensioni esterne. (Nella specie la nuova costruzione risultava dissimile alla precedente per l’altezza, per volumetria e per la sagoma). (Est. Giovanetti – Lattuadai ed altri (avv.ti Giusti, Agozzino) c. Basilico (avv. Rossini). TRIBUNALE DI MONZA – 27 marzo 2003

L’apposizione dei termini per le espropriazioni attinenti ai piani di zona per l’edilizia economica e popolare. L’art. 13, l. n. 2359 del 1865, in materia di apposizione dei termini, non è applicabile per le espropriazioni attinenti ai piani di zona per l’edilizia economica e popolare, essendo sostituito ed assorbito dalle disposizioni che delimitano nel tempo ope legis l’efficacia dei piani stessi. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica e Edilizia - Disciplina edilizia - Ristrutturazione edilizia - Realizzazione di un organismo edilizio in parte diverso dal precedente - Permesso di costruire - Necessità - Condizioni di esclusione del provvedimento “concessorio” - Individuazione - L. n. 443/2001 - Artt. 3 e 10 D. P. R. n. 380/2001 - L. n. 47/1985. Per la recente disciplina urbanistica ed edilizia, ivi compresa quella di cui all'art. 1 comma 6, della legge 21 dicembre 2001 n. 443 e agli art 3, comma 1, e 10, comma 1, del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) realizza l'ipotesi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457, con conseguente necessità della concessione (ora sostituita dal permesso di costruire) la realizzazione di un organismo edilizio in parte diverso dal precedente, atteso che non e' subordinato al preventivo rilascio del provvedimento "concessorio" solo l'intervento che non comporti aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici. (Fattispecie nella quale la Corte ha ravvisato l'ipotesi di ristrutturazione edilizia nell'integrale sostituzione della struttura di copertura di un immobile, realizzata a falde inclinate, con la creazione di nuovi pilastri e di un cordolo di appoggio). Pres. Papadia U - Est. Teresi A - Imp. Iacovacci B - PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 17 Marzo 2003 (CC. 25/02/2003) RV. 224364, Sentenza n. 12369

Urbanistica - sostituzione della struttura di copertura di un edificio – interventi di ristrutturazione e permesso di costruire – configurazione legislativa - D.P.R. 380/2001 - applicazione. Sono assoggettate alle prescrizioni della ristrutturazione gli interventi definiti nell’art. 31, L. 457/1978 e nell’art. 3, lett. d), D.P.R. 380/2001, (nella specie si è trattato di: integrale sostituzione della struttura di copertura di un edificio, creazione di nuovi pilastri e di un cordolo di appoggio, copertura a falde inclinate e tamponatura) solo qualora non abbiano dato luogo a organismo edilizio in parte diverso dal precedente. I lavori che non comportino aumento di unità immobiliari o modifiche al volume o della sagoma, dei prospetti o delle superfici o, limitatamente agli immobili inclusi nelle zone omogenee A, se non producono mutamenti delle destinazioni d’uso, non sono subordinati a permesso di costruire. Iacovacci - CASSAZIONE PENALE sezione III del 17 marzo 2003

Beni culturali e ambientali – Immobili sottoposti a vincolo paesaggistico - Interventi di manutenzione straordinaria - D.P.R. n. 380/2001 – Autorizzazione - Casi si esonero – Limiti - art. 31, comma 1 lett. b), l. n. 457/1978. La qualificazione d’interventi di manutenzioni straordinaria (D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 testo unico in materia edilizia) e il relativo esonero dell’autorizzazione paesaggistica per gli immobili sottoposti a vincolo è previsto solo per interventi contemplati dall’art. 31, comma 1 lett. b), della Legge n. 457/1978 a condizione che la realizzazione delle opere non producano, in nessun caso, alterazione dello stato dei luoghi. Haggiag e altri - CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 3 marzo 2003 (ud. Del 23 gennaio 2003) RV 224175 Sentenza n. 9519 (vedi: sentenza per esteso)

Il termine per impugnare l’atto di approvazione del progetto di opera pubblica avente effetto di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, nonché di variante speciale al p.r.g. - insufficienza della pubblicazione dell’atto per l’effettiva conoscenza - decorrenza - conoscenza individuale del proprietario - la notificazione individuale dell’atto di approvazione regionale - obbligo. Il termine per impugnare l’atto di approvazione del progetto di opera pubblica ai sensi dell’art. 1, l. n. 1 del 1978, avente effetto di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, nonché di variante speciale al p.r.g. (perché relativa ad un bene specifico sopra il quale viene impresso un vincolo di destinazione pubblica), decorre dalla conoscenza individuale che ne abbia avuto il proprietario, essendo insufficiente a tal fine la pubblicazione dell’atto, in quanto il provvedimento ha effetti specifici e circoscritti all’area da espropriare per l’esecuzione dell’opera, e quindi è rivolto a soggetti determinati per quanto non esplicitamente nominati (cfr. sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 452, sez. II, 27 febbraio 2002, n. 294\2001). Nello specifico, la notificazione individuale dell’atto di approvazione regionale è imposta dall’art. 8, comma 5, l. n. 167 del 1962, richiamato dall’art. 1, comma 5, l. n. 1 del 1978, come sostituito dall’art. 4, comma 3, l. n. 415 del 1998. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)

Dall’annullamento di un provvedimento amministrativo non discende in via automatica l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno - necessità di dimostrare il nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati. Dall’annullamento di un provvedimento amministrativo non discende in via automatica l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno, occorrendo la dimostrazione, fra gli altri elementi costitutivi, del danno patrimoniale in concreto subito e del nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati (cfr. Cons. giust. amm. 22 aprile 2002, n. 202; sez. VI, 26 aprile 2000, n. 2490). Pertanto la richiesta di c.t.u. volta a fornire la prova dell’esistenza del danno deve essere disattesa, potendo intervenire tale mezzo ausiliario di conoscenza del giudice solo per determinare il quantum debeatur, purchè a monte sia stato soddisfatto l’onere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)

Manutenzione ordinaria e straordinaria - conservazione delle parti e servizi comuni dell’edificio - responsabilità e poteri dell’amministratore. L’amministratore è titolare ope legis - salvo diverse disposizioni statutarie o regolamentari - non solo del dovere di erogazione delle spese attinenti alla manutenzione ordinaria e alla conservazione delle parti e servizi comuni dell’edificio, ai sensi dell’articolo 1130 numeri 3 e 4 Cc, ma anche del potere di «ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente» con l’obbligo di «riferirne nella prima assemblea dei condomini», ai sensi dell’articolo 1135 comma 2 Cc; di talché deve riconoscersi in capo allo stesso l’obbligo giuridico di attivarsi senza indugio per la eliminazione delle situazioni potenzialmente idonee a cagionare la violazione della regola del neminem laedere (Cassazione, sezione prima, 4 marzo 1997, Cancelliere; 19 giugno 1996, Vitale; sezione quarta, 6 maggio 1983, Scarabelli, rv. 159977; sezione sesta, 22 aprile 1980, Lavagna, rv. 145901; 4 maggio 1973, Parisi, rv. 125614; sezione terza, 13 luglio 1962, La marca, rv. 98901). Negli edifici condominiali ‑ poiché l’articolo 677 Cp prevede che anche persona diversa dal proprietario sia tenuta alla conservazione, manutenzione o riparazione dell’edificio ‑ l’obbligo giuridico di rimuovere il pericolo derivante dalla minacciante rovina di parti comuni della costruzione incombe sull’amministratore, pur potendo esso risorgere in via autonoma a carico dei singoli condomini qualora, per cause accidentali (ad esempio: indisponibilità dei fondi necessari o rifiuto dei condomini di contribuire alla costituzione del fondo spese occorrente), l’amministratore non possa adoperarsi allo scopo suindicato con la necessaria urgenza. Corte di Cassazione Sez. I Penale - Sentenza 25 febbraio 2003, n. 9027

La circostanza che l’edificio sia stato abbandonato, con conseguente crollo di parte della sua struttura, non è preclusiva sull’intervento di recupero - interventi di ristrutturazione e di ampliamento - la destinazione abitativa nelle zone agricole - illegittimità del diniego di concessione edilizia. Non può, dubitarsi che il manufatto in questione (l’edificio è stato abbandonato, con conseguente crollo di parte della sua struttura), per come classificato nel vecchio catasto (allegato dalla ricorrente sub 12) per la sua ubicazione nel territorio e per le sue caratteristiche strutturali, sia stato ab origine destinato a casa colonica (non risultando, peraltro, documentate o suggerite diverse utilizzazioni, compatibili con le sue dimensioni e la sua posizione) e, quindi, ad abitazione di contadini. La disciplina edilizia di riferimento, posto che il combinato disposto degli artt.8 c.7 della L.R. dell’Umbria n.53/74 e 13 delle N.T.A. ammette gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, nella zona (B/2) in cui ricade l’immobile della ricorrente, dei fabbricati destinati ad abitazione esistenti al momento dell’adozione da parte del Comune del P.R.G. In tale senso depone, anzitutto, l’esame della lettera della disposizione di riferimento (che, richiedendo la mera destinazione abitativa, pare indicare una tipologia di edificio piuttosto che il suo stato di conservazione) ma, soprattutto, l’indagine della sua ratio che, conducendo all’agevole individuazione della finalità di favorire il recupero, per mezzo della ristrutturazione e dell’ampliamento, dell’uso di manufatti altrimenti inidonei ad assolvere l’originaria destinazione abitativa nelle zone agricole, impone di preferire l’opzione ermeneutica che assegna alla norma un contenuto precettivo coerente con il suo scopo e, quindi, compatibile con l’ammissibilità della ristrutturazione di edifici parzialmente demoliti (purchè inizialmente destinati ad abitazione). Il diniego di concessione edilizia impugnato in primo grado deve, in definitiva, giudicarsi illegittimo siccome erroneamente assunto sulla base di ragioni impeditive infondatamente basate su uno scorretto apprezzamento della documentazione tecnica attestante la volumetria dell’edificio e su un’errata valutazione del requisito della destinazione abitativa. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 985

Intervento di restauro e risanamento conservativo - la trasformazione di una stalla - fabbricato agricolo - cambiamento della destinazione d’uso. La trasformazione di una stalla, aperta su tre lati, in una o più unità abitative, non può configurarsi come un intervento di restauro e risanamento conservativo, ma come una radicale trasformazione dell’immobile. A questa nuova destinazione devono, pertanto, commisurarsi gli oneri di urbanizzazione ed il contributo di costruzione, di cui alla citata legge n. 10 del 1977. Questa Sezione ha, infatti, avuto modo, di recente, di porre in rilievo che il rifacimento di un fabbricato agricolo, con opere anche interne, con il fine di un radicale cambiamento della destinazione d’uso, da rurale a quella di civile abitazione, comporta un maggior cari-co urbanistico (n. 4397 del 10 agosto 2000). Ne segue che, se è illegittima la richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione se non si verifica la variazione del carico predetto (n. 3251 del 20 giugno 2001), è invece conforme a legge l’imposizione degli oneri al mutamento del carico stesso. Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 798

Le regole inerenti al contributo per il rilascio della concessione - l’oblazione da corrispondere per la sanatoria delle opere abusive. L’art. 35 riguarda l’oblazione da corrispondere per la sanatoria delle opere abusive, come è reso palese dall’art. 34, nel quale sono stabiliti i criteri per la determinazione della somma dovuta a tale titolo, e dallo stesso art. 35, nel quale ancora dell’oblazione si tratta: al comma 1, ai commi 6 (ora 11), 7, 8, 9, 11, e 15 (ora, rispettivamente, 12, 13, 14, 16 e 20). Le regole inerenti al contributo per il rilascio della concessione di cui all’art. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, sono, invece, mantenute ferme con il successivo art. 37 della stessa legge n. 47/1985. Ivi si dispone, infatti, che il versamento dell’oblazione non esime i soggetti, che chiedono la sanatoria, dal pagamento, “ai fini del rilascio della concessione”, del con-tributo in questione. E non sono stabilite regole particolari, né è fatto richiamo al precedente art. 35, in tema di prescrizione del diritto del Comune. Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 798

Competenze professionale dei geometri sulle verifiche in materia di sicurezza impianti - soggetti abilitati - l’attività di progettazione e direzione dei lavori per le costruzioni civili di modeste dimensioni - competenza anche ai relativi impianti tecnici. E’ illegittima l’esclusione della categoria professionale dei geometri dalla possibilità di iscrizione negli elenchi dei soggetti abilitati alle verifiche in materia di sicurezza impianti, custoditi presso la C.C.I.A.A. Pertanto, appare più che fondato il motivo volto a censurare il provvedimento impugnato per violazione dell’art. 16 lett. m. R.D. n. 274/29 che, riconducendo alla competenza professionale dei geometri l’attività di progettazione e direzione dei lavori per le costruzioni civili di modeste dimensioni, implicitamente estende detta competenza anche ai relativi impianti tecnici. TAR Lombardia - Milano, Sez. III Ordinanza 11 febbraio 2003 n. 260

Responsabilità direttore lavori - violazioni edilizie - direttore dei lavori - prescrizioni contenute nella concessione o nelle disposizioni regolamentari locali - violazione - responsabilita' penale - sussistenza - esposizione del cartello indicante gli estremi della concessione edilizia e degli altri elementi prescritti. In tema di violazioni edilizie, grava sul direttore dei lavori la responsabilità per la mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute nell'atto di concessione o nelle disposizioni regolamentari locali, atteso che questi rientra tra i destinatari del precetto di cui all'art. 6 della legge 28 febbraio 1985 n. 47. (fattispecie relativa alla mancata esposizione del cartello indicante gli estremi della concessione edilizia e degli altri elementi prescritti). Si veda anche: Cass. 1995 n. 10131; Cass. 1997 n. 04535; Cass. 1998 n. 00460. Corte di Cassazione Penale Sez. III, del 04/02/2003 (UD.17/12/2002) Sentenza n. 05149

Indennità di espropriazione - deposito di una somma a titolo di indennità - l’effetto ablatorio - occupazione acquisitiva - risarcimento del danno. Il deposito di una somma a titolo di indennità di espropriazione presso la Cassa Depositi e Prestiti ha efficacia liberatoria, ai sensi dell’articolo 48, comma 1 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, soltanto nell’ambito della procedura espropriativi conclusa con efficace decreto di esproprio, mentre, nel caso in cui l’effetto ablatorio si produca a seguito di occupazione acquisitiva, la somma depositata e non riscossa non può essere computata mella determinazione del risarcimento del danno subito in conseguenza della perdita del bene (in tal senso Cass., 7 aprile 1997, n. 3003). In particolare, nella fattispecie in esame la sentenza Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Roma, 17 marzo 1998, n. 4/98 condanna l’Amministrazione non al pagamento di un’indennità di espropriazione, bensì al “risarcimento del danno da illecita appropriazione del suolo dell’attore”. Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 542

Legge della Regione Marche n.31 del 1979 - figura della ristrutturazione edilizia, secondo la definizione dell’art.31, lettera d) della legge n.457 del 1978. Il carattere specifico della legislazione regionale de qua sta proprio nel fatto che essa intende riferirsi ad una ben precisa tipologia di strutture edilizie già esistenti per le quali, in deroga alla normativa generale ed in via del tutto transitoria, sono consentiti soltanto ampliamenti e sopra elevazioni: deve trattarsi di case ad un piano fuori terra e di costruzioni che avuto riguardo alla struttura edilizia esistente ed agli edifici circostanti presentano evidenti caratteristiche di non completezza. Lo scopo della legge è molto specifico: si tratta di favorire l’integrazione nel tessuto urbano circostante di case che concepite in una diversa fase dello sviluppo edilizio presentano comunque un qualche pregio urbanistico, ed hanno bisogno ora di essere completate e rese omogenee con l’assetto circostante, conservando in sostanza l’organismo edilizio preesistente. Quindi la legge regionale non può esser interpretata utilizzando lo schema della ristrutturazione edilizia, che risponde in via generale ad altre finalità e scopi. La precarietà e l’incompletezza dei fabbricati interessati dalla legge regionale, doveva condurre ad autorizzare interventi tali da non realizzare un incremento della domanda di servizi cioè ad un incremento della pressione urbanistica che caratterizza il comparto in cui l’intervento viene assentito. La legge presuppone quindi la sostanziale conservazione dell’organismo edilizio già esistente, che andava completato, anche attraverso una sopraelevazione, utilizzando le stesse strutture esistenti. Il fatto che l’appellante per dimostrare la legittimità della concessione deve spostare l’asse dell’interpretazione della legge regionale de qua sulla figura della ristrutturazione, quale definita della legislazione statale, è la dimostrazione che lo scopo della legge regionale è altro e che la concessione assentita in realtà, come correttamente osserva il giudice di prime cure, ha utilizzato lo schema della legge regionale n.31/1979 per finalità che potevano eventualmente essere conseguite attraverso altri strumenti legislativi ed urbanistici , ma non con quello impropriamente evocato nella concessione. Dagli atti emerge che un villino unifamiliare è stato trasformato in un fabbricato di civile abitazione composto da n.6 appartamenti e dalle caratteristiche strutturali ed architettoniche completamente diverse: il fatto che l’appellante insiste sulla non modificazione finale della volumetria dell’edificio è la dimostrazione che egli continua a svolgere un ragionamento, fattuale e giuridico, tutto dentro lo schema della ristrutturazione edilizia, schema non utilizzabile nella tecnica della legge regionale de qua. E che si tratti di ristrutturazione che ha radicalmente modificato la natura e l’impatto urbanistico dell’edificio preesistente, è dimostrato anche da fatto che l’altezza finale dell’edificio risulta non solo in contrasto con la concessione, ma con le norme del PRG vigente. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 445

L'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall'art.879, comma 2, c.c., per le costruzioni a confine con le piazze e vie pubbliche - regolamento edilizio locale. L'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall'art.879, comma 2, c.c., per le costruzioni a confine con le piazze e vie pubbliche, si giustifica con l’obbligo alternativo di osservare “le leggi e i regolamenti che le riguardano”. Nella specie, non è contestata l’affermazione dell’appellata, secondo cui il regolamento comunale impone la distanza di cinque metri da strade e piazze. Infine, non trovano applicazione, nel caso in esame, gli articoli 905 e 907 c.c., la cui disciplina ha natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo diversi da quelli relativi alla disciplina di cui all'art.873 c.c.. Quest’ultima norma – come integrata dall’art.45 del regolamento edilizio locale – va comunque e preliminarmente rispettata, con l’osservanza della distanza tra le costruzioni (Cass. civ. sez.II, 26 febbraio 2001, n.2765 e 22 marzo 2000, n.3421). Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 419 (vedi: sentenza per esteso)

Interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente - condizioni - manutenzione ordinaria - manutenzione straordinaria - restauro - risanamento conservativo - ristrutturazione edilizia e urbanistica - conservazione o rinnovazione della funzionalità - avvenuta pregressa ultimazione del manufatto - necessità - mancanza - possibilità di ricorso a procedure semplificate - interventi eseguiti su edifici non ultimati - esclusione. Rientrano negli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, previsti dall'art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457, gli interventi di manutenzione ordinaria, quelli di manutenzione straordinaria, di restauro o risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia e urbanistica, che presuppongono un edificio già ultimato e funzionante, del quale si intende conservare o rinnovare la funzionalità, atteso che deve trattarsi di "recupero" del patrimonio edilizio esistente. Conseguentemente non e' possibile applicare il regime semplificato dell'autorizzazione o della denuncia di inizio attività, previa qualificazione delle opere come di manutenzione straordinaria o restauro, per gli interventi eseguiti su edifici non ultimati. Si veda anche: Cass. 1998 n. 01029. Corte di Cassazione Penale Sez. III, del 24/01/2003 (UD.05/12/2002) Sentenza n. 03526

L'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche - decadenza della D.I.A. - il provvedimento di decadenza - poteri di vigilanza attribuiti all'Amministrazione in ordine all'esecuzione dell'opera autorizzata. Ai sensi dell'articolo 31 legge 17 agosto 1942, n. 1150: « ... La licenza edilizia non può avere validità superiore ad un anno; qualora entro tale termine i lavori non siano stati iniziati l'interessato dovrà presentare istanza diretta ad ottenere il rinnovo della licenza. L'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data d'inizio» Di conseguenza, il provvedimento di decadenza oggetto della presente impugnazione, espressione dei permanenti poteri di vigilanza che, nel pubblico interesse, sono attribuiti all'Amministrazione in ordine all'esecuzione dell'opera autorizzata, sia stato emanato nel rispetto della disciplina edilizia. Considerato che, nel caso di specie, non risulta previsto specificatamente, a pena di decadenza della D.I.A., un termine di inizio dei lavori, ma solo quello finale di tre anni e ritenuto che all'attività edilizia a seguito di presentazione della D.I.A., in assenza di specifiche previsioni, debba essere applicata la medesima disciplina che regola le edificazioni subordinate alla concessione edilizia, ai sensi dell'articolo 4, comma 10, della legge n. 493 del 1993. In definitiva, anche se i termini espressi per la DIA riguardano solo l’ultimazione dei lavori (tre anni), quando i lavori previsti non iniziano entro l’anno, è perfettamente legittimo il provvedimento Comunale di decadenza, ribaltando sulla DIA quanto è previsto per la concessione edilizia. TAR Lombardia - Brescia - Ordinanza 14 gennaio 2003 n. 27

Il termine prescrizionale acquisitivo a titolo originario di un diritto di servitu' in tema di distanze tra costruzioni - paratie frangivento - il proprietario frontista - danno. Per il principio "tantum praescriptum quantum possessum", il termine prescrizionale acquisitivo a titolo originario di un diritto di servitu', nel caso di modifica dell' opera per il suo esercizio rispetto ad altra precedente, decorre dall' effettuata trasformazione (nella specie iniziali paratie frangivento ed un tendone di copertura erano stati sostituiti da una veranda, con infissi in ferro, chiusi da vetri, a distanza inferiore da quella legale rispetto ad una soprastante veduta Cass. 21-10-1998 n. 10481). Tale affermazione risulta precisata in termini assolutamente rispondenti alla situazione in esame dalla recente pronuncia n. 12483/2002 secondo la quale:” in tema di distanze tra costruzioni, l'eventuale diritto del proprietario frontista a mantenere un fabbricato preesistente sin dall'origine costruito a distanza inferiore a quella legale rispetto all'immobile limitrofo non conferisce al predetto l'ulteriore diritto di apportare al manufatto aggiunte e/o modifiche di qualsiasi natura nella parte che, in base alla normativa attualmente vigente, risulti a distanza inferiore a quella minima legale, atteso che dette aggiunte o modifiche costituirebbero un'ulteriore e non consentita violazione della normativa in materia di distanze”. Stabilito, pertanto, con giudizio del tutto condivisibile che non sussiste il potere in capo al soggetto che ha usucapito il diritto di mantenere una costruzione a distanza inferiore a quella legale di effettuare qualsiasi modifica o aggiunta alla costruzione originaria poiché da detto momento ricomincia a decorrere altro termine per l'usucapione in relazione alla nuova costruzione, sicchè il proprietario frontista ben può reagire con l'azione di cui agli artt. 872 ed 873 c.c. deve, pertanto, accogliersi la domanda esperita dagli attori nel caso in esame limitatamente all'eliminazione di tutte le finestre scorrevoli in alluminio anodizzato realizzate nel corso del 1995 e di cui alla perizia in atti e ritratte alle fotografie da n.1 a n.4 del supllemento di ctu. ”Il danno conseguente alla violazione delle norme del cod. civ. e integrative di queste, relative alla distanze nelle costruzioni, si identifica nella violazione stessa, determinando quest'ultima un asservimento di fatto del fondo del vicino, al quale, pertanto, compete il risarcimento senza la necessita' di una specifica attivita' probatoria (Cass. 25-9-99 n. 10600 ed anche 24-2-2000 n. 2095). Tribunale di Sanremo I Civ. 13 gennaio 2003 (vedi: sentenza per esteso)

L'esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, attribuito al Sindaco - presupposti - situazione di pericolo - le esigenze di protezione dell'igiene e della salute pubblica. L'esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, attribuito al Sindaco, presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte mediante ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (Consiglio di Stato, sezione quinta, 4 febbraio 1998, n. 125). Occorre, inoltre, che sussista e sia indicata nel provvedimento impugnato una situazione di pericolo quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente. Ciò è stato precisato dalla giurisprudenza anche con riferimento all'articolo 38 della legge n. 142 del 1990, l'unica norma richiamata nel provvedimento impugnato, in quanto il collegamento con le esigenze di protezione dell'igiene e della salute pubblica pur rappresentando un presupposto necessario per giustificare il ricorso al potere di ordinanza contingibili urgenze, tuttavia non appare sufficiente ove non sussistano gli ulteriori particolari requisiti di urgenza e, quindi, di pericolo per la pubblica incolumità, sopra evidenziati (Consiglio di Stato, sezione quinta, 2 aprile 2001, n. 1904). (Nel caso in esame il provvedimento impugnato pur affermando, in modo apodittico, che risulta la necessità di disporre la rimozione immediata degli impianti in quanto collocati in difformità rispetto alle prescrizioni normative, non indica nessuno dei presupposti sopraindicati ovvero la necessità di intervenire prontamente, per evitare un pericolo incombente, in ordine ad una situazione eccezionale ed imprevedibile. Anzi, la necessità di intervenire prontamente sembra contraddetta dallo stesso provvedimento nel momento in cui dispone un adeguamento normativo dell'impianto in parola da realizzarsi entro 60 giorni dalla avvenuta notifica dell'ordinanza e quindi in un lasso di tempo talmente lungo da essere incompatibile con l'esigenza di una rimozione immediata degli impianti. Certamente in presenza di una situazione di irregolarità nella collocazione degli impianti termici l'Amministrazione ben può intervenire ma a tal fine dovrà utilizzare i poteri ordinari e tipici per far fronte a tali necessità). Si veda anche: Consiglio di Stato, Sez. V, 4 febbraio 1998, n. 125; Consiglio di Stato, Sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904; Corte di Giustizia Amministrativa, 9 ottobre 2002 Sentenza n. 582 Consiglio di Stato, Sez. V 9 ottobre 2002 Sentenza n. 5423; TAR Liguria, Sez. II 5 novembre 2002 Sentenza n. 1077; TAR Lazio, Sez. II – Sentenza 26 giugno 2002 Sentenza n. 5904; TAR Liguria - Genova, Sez. I - 29 settembre 2000 Ordinanza n. 910.TAR EMILIA-ROMAGNA, Sezione di Parma - Sentenza 10 gennaio 2003 n. 1

Urbanistica – distanze stradali – vincolo assoluto – inderogabilità. La disciplina in tema di distanze in materia urbanistica di cui agli art 19 l. 6 agosto 1967, n. 765 e 4 d.m. 1 aprile 1968, ha lo scopo di garantire la sicurezza della circolazione stradale nei confronti di quanti transitano o abitano nelle immediate vicinanze del nastro stradale. L’applicazione delle suddette norme impone il divieto assoluto di edificabilità in esecuzione dell’art. 33 l.28 febbraio 1985 n.47. (Pres. Morea – Est. Rotondo – Minelli (Avv. Lorusso) c. Comune di Monopoli (Avv. Semeraro) e Anas (Avv. Stato). TAR PUGLIA Sez. II – 8 gennaio 2003 n. 20

 

Abuso d'ufficio - illegittimità delibera - truffa - falso in atto pubblico - peculato - verbali - procedure - azioni in genere...     ^

Legittimazione al ricorso contro un provvedimento che consente la costruzione di un’opera - posizione qualificata e differenziata - situazione di stabile collegamento con la zona - il commerciante operante nel territorio comunale ha la legittimazione al ricorso. L’art. 31, comma 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (nel testo di cui all’art. 10 della l. 6 agosto 1967, n. 765), non ha introdotto un’azione popolare che legittimi qualsiasi cittadino ad impugnare il provvedimento che consente la costruzione di un’opera, ma ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in capo al proprietario di un immobile sito nella zona in cui la costruzione è permessa ed a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa ( V Sez. 24.10.2001 n. 5601; C. si. 3.12.2001 n. 621; IV 8.7.2002 n. 3805). (In specie era stata sollevata, senza esito, l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, sostenendo che i ricorrenti in quanto commercianti operanti nel territorio comunale non avrebbero legittimazione al ricorso. In questo quadro, il commerciante può essere ritenuto privo di interesse “solo” quando questi “non” sia insediato nella zona) (V. da ultimo V, 30.1.2003 n. 469 IV 30.1.2001 n. 312). Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3290

Pubblica Amministrazione - Reati contro la pubblica amministrazione - Delitti - Dei pubblici ufficiali - Concussione - Promessa della indebita prestazione, da parte del soggetto passivo, al solo scopo di favorire l'accertamento del fatto già denunciato - Consumazione del reato - Contrasto di giurisprudenza. In tema di concussione, deve qualificarsi come delitto solo tentato la fattispecie nella quale il soggetto passivo effettua la promessa di una prestazione, nei confronti del pubblico ufficiale, all'unico scopo di favorire la prosecuzione delle indagini scaturite dalla sua pregressa denuncia, poichè in tal caso non si perfeziona la sequenza che dovrebbe collegare la promessa, e dunque la consumazione del reato, al "metus" provocato dalla condotta dell'agente. (In motivazione la Corte ha chiarito come risulti invece irrilevante la sollecitazione, dopo l'effettuazione della promessa, di un intervento della polizia giudiziaria, poichè la relativa richiesta è successiva, in tal caso, al perfezionamento del reato). CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, dell'11.3.2003, Sent. n. 11384

Diritto di accesso - limitazione alla definizione di "ambiente" ex articolo 2 del D.lgs. 39/97 - linea evolutiva della legislazione nazionale - legislazione concorrente - profilo funzionale: "misure che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali". Non può darsi credito alla tesi secondo la quale la definizione di "ambiente" articolo 2 del D.lgs. 39/97 sia tale da comprendere "tutti gli atti che comportino trasformazioni del territorio". Giacché in tal modo le materie dell'urbanistica e dell'edilizia si confonderebbero con l'ambiente, in contraddizione con una linea evolutiva della legislazione nazionale che ha portato a distinguere (articolo 117 comma secondo e terzo della Costituzione nel testo sostituito dall'articolo 2 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) "la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", come materia attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato, dal "governo del territorio"affidato invece alla legislazione concorrente. Il nesso, semmai, potrebbe essere individuato sotto il profilo funzionale valorizzando quella parte della norma che pone l'accento "sulle misure che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali", ma ciò implica una più precisa definizione dell’oggetto, che può essere fatta solo indicando nella richiesta di accesso il nesso concreto dal quale sia possibile desumere l’incidenza concreta della misura amministrativa sui valori giuridici considerati dall’articolo 2 del D.lgs. 39/97. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 816 (vedi: sentenza per esteso)

La necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale - la portata generale del principio - specifiche deroghe. La necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale è stata prevista in generale dal menzionato art. 7 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi (preparatoria, costitutiva ed integrativa dell’efficacia), ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante. La portata generale del principio è confermata dal fatto che il legislatore stesso (art 7, 1° comma, ed art. 13 L. 241/90) si è premurato di apportare delle specifiche deroghe (speciali esigenze di celerità, atti normativi, atti generali, atti di pianificazione e di programmazione, procedimenti tributari) all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, con la conseguenza che negli altri casi deve in linea di massima garantirsi tale comunicazione, salvo che non venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità (V. le decisoni di questo Consiglio, sez. V n. 2823 del 22.5.2001 e sez. VI n. 686 del 7.2.2002). Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 803

L'obbligo di dare comunicazione dell'avvio del procedimento - dichiarazione di pubblica utilità. Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, l'obbligo di dare comunicazione dell'avvio del procedimento, ai sensi del predetto art.7, sussiste anche in caso di dichiarazione di pubblica utilità implicita nell'approvazione del progetto di opera pubblica (cfr., sul punto, Cons. St., Ad. Plen., 15 settembre 1999, n.14; C.G.A., 22 dicembre 1999, n.658; Cons. St., IV, 14 giugno 2001, n.3169). Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 736

La pendenza di un giudizio amministrativo non opera, di regola, preclusioni né sulla sussistenza del diritto di accesso ai documenti amministrativi, né sull’ammissibilità dell’azione - il diniego o l’inerzia dell’amministrazione - la tutela disancorata. Di regola, la pendenza di un giudizio amministrativo non opera preclusioni né sulla sussistenza del diritto di accesso ai documenti amministrativi disciplinato dalla legge 7.8.1990, n.241, né sull’ammissibilità dell’azione prevista dall’art.25 della stessa legge, restando al libero apprezzamento dell’interessato la scelta di avvalersi della tutela giurisdizionale apprestata dall’art.25 cit. o di conseguirne la conoscenza nel diverso giudizio, mediante l’esibizione istruttoria (cfr. Cons. Stato, VI, 10.8.1994, n.1299; Cons. Stato, IV, 15.10.1994, n.811; Cons. Stato, V, 8.2.1994, n.78; Cons. Stato, VI, 16.6.1994, n.1015); perciò la tutela speciale di cui all’art.25 offerta contro il diniego o l’inerzia dell’amministrazione si estende anche all’ipotesi in cui il giudice amministrativo sia stato investito dal sindacato di legittimità sull’operato dell’amministrazione e quindi sia pendente procedimento giurisdizionale (cfr. Cons. St., VI, 1.10.1996, n.1288), conclusione questa che appare confermata anche dall’ultimo capoverso del primo comma dell’art.21 della legge 6.12.1971, n.1034, introdotto dall’art.1 della legge 21.7.2000, n.205, che, appunto, prevede la possibilità per il ricorrente di proporre in corso di causa l’azione di cui all’art.25, comma 5, L. n.241/90 contro il diniego espresso o implicito di accesso ai documenti con apposita istanza notificata alle controparti, la quale origina un giudizio incidentale che la sezione definisce con ordinanza istruttoria. E’, inoltre, indubbio che l’accesso ai documenti goda in via generale di una tutela disancorata dalla dimostrazione della impugnabilità e della stessa lesività degli atti di cui si chieda di acquisire conoscenza. Tuttavia, ad avviso del Collegio, occorre fare alcune precisazioni. La domanda di accesso documentale, ove proposta nell’ambito di un processo in atto (come consentito dalla novella), non può non assumere un carattere strumentale rispetto alle domande e alle eccezioni ivi formulate, cosicché in tal caso il diritto di accesso risulta processualmente condizionato, nel senso che l’istanza dovrebbe essere dichiarata inammissibile ogni qualvolta riguardi atti non rilevanti ai fini del decidere, mentre, ove proposta in via autonoma in pendenza di un giudizio contro gli atti cui si riferisce la richiesta di accesso (come è pure consentito e come è avvenuto nel caso di specie), essa non può riguardare atti inutilmente acquisibili in quanto già acquisiti nel corso del processo in corso. Quindi, solo se l’istruttoria non dovesse funzionare la parte potrà attivare (anche in corso di causa) l’art.25, comma 5, l. n.241/1990, dando evidenza alle proprie esigenze di acquisizione del materiale documentale, mentre, una volta che il diritto di accesso ai documenti sia stato soddisfatto in via giurisdizionale non appare ammissibile una reiterazione dell’istanza. Diversamente opinando, l’utilizzo dello speciale rimedio di cui all’art.25 L. n.241/90, lungi dal costituire legittimo esercizio del diritto all’informazione, si configurerebbe come una rivendicazione giudiziaria di carattere emulativo (quod alii nocet et sibi non prodest non licet, come avvertiva l’Accursio), vale a dire come una rivendicazione giudiziale di un diritto che in astratto spetta a colui che lo rivendica, ma che, in concreto, non comporta alcun vantaggio apprezzabile e degno di tutela giudiziaria a favore di tale soggetto. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 734

Domanda di sanatoria di abusi edilizi - l’istituto del silenzio rifiuto/inadempimento - inapplicabilità - termine decadenziale - ipotesi di silenzio significativo - difetto di motivazione - violazione del dovere di provvedere. Ai sensi del citato art. 13, infatti, l’omessa pronunzia espressa dell’Amministrazione sulla domanda di sanatoria nel termine di sessanta giorni ha valore legale di rigetto implicito della domanda, senza che sia necessaria la notifica di un apposito atto di diffida, anche se l’Amministrazione non perde il potere-dovere di provvedere nel senso di un rigetto esplicito. Pur non occorrendo alcuna diffida e messa in mora dell’Amministrazione, resta dunque fermo l’onere di impugnativa del comportamento omissivo, per come legalmente perfezionatosi, nell’ordinario termine decadenziale. In virtù della previsione legale di implicito diniego, il silenzio tenuto dall’Amministrazione non può, infatti, essere inteso come mero fatto di inadempimento, abilitante l’interessato alla proposizione di impugnazione anche una volta decorso dal suo perfezionarsi il termine decadenziale di impugnazione di sessanta giorni. Del resto, in giurisprudenza, ed anche da parte di questa Sezione, si è già affermato, con particolare fermezza, che il silenzio dell’Amministrazione su una istanza di sanatoria di abusi edilizi costituisce ipotesi di silenzio significativo, al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego, con la conseguenza che si viene a determinare una situazione del tutto simile a quella che si verificherebbe in caso di provvedimento espresso; peraltro, il provvedimento, in quanto tacito, è già di per sé senza motivazione e il diniego derivante dal silenzio è quindi impugnabile non per difetto di motivazione, ma per il suo contenuto di rigetto (cfr. C.G.A.R.S. 21 marzo 2001, n. 142; Cons. Stato, V, 6 settembre 1999, n. 1015). E, giova aggiungere, anche ove si considerasse il diniego implicito per ciò stesso illegittimo, in quanto comportamento assunto in violazione del dovere di provvedere, sarebbe comunque onere dell’interessato quello di impugnarlo entro il termine decadenziale, salva la eventuale successiva adozione di un provvedimento esplicito di rigetto, a sua volta impugnabile, anche con motivi aggiunti ove meramente confermativo. Consiglio di Stato, Sezione V - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 706

L’azione popolare che legittimi qualsiasi cittadino ad impugnare il provvedimento che consente la costruzione di un’opera - la posizione qualificata e differenziata in capo al proprietario di un immobile sito nella zona in cui la costruzione - stabile collegamento con la zona - interesse ad agire - titolare dell’interesse commerciale. La giurisprudenza di questo Consiglio ha, da tempo, affermato che l’art. 31, comma 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (nel testo di cui all’art. 10 della l. 6 agosto 1967, n. 765), non ha introdotto un’azione popolare che legittimi qualsiasi cittadino ad impugnare il provvedimento che consente la costruzione di un’opera, ma ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in capo al proprietario di un immobile sito nella zona in cui la costruzione è permessa ed a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa (confr., fra le più recenti, V Sez. 24.10.2001 n. 5601; C. si. 3.12.2001 n. 621; IV 8.7.2002 n. 3805). Il legislatore ha, in tal modo, espresso l’esigenza di tutelare, nella sede giurisdizionale, in misura più ampia, i valori urbanistici, e quindi l’insediamento inteso quale stabile ubicazione degli interessi di vita dei soggetti (familiari, economici, di rapporti sociali consolidati e rilevanti). In altri settori, in cui pure si avverte l’esigenza di non escludere dalla tutela giurisdizionale interessi meritevoli, nessun utile riflesso avrebbe potuto avere l’introduzione, in via eccezionale, di una singolare azione popolare, limitatamente all’impugnazione delle sole licenze edilizie (confr. V Sez. 9.6.1970 n. 523). È per questa ragione che è stato perciò affermato che è carente di interesse, chi si opponga ad un permesso di costruire, adducendo la lesione di un interesse tipicamente commerciale che deriverebbe dalla realizzazione dell’opera (confr. V Sez. 10.7.1981, n. 360), quando il titolare dell’interesse commerciale non sia insediato nella zona (IV 30.1.2001 n. 312). Consiglio di Stato, Sez. V - 30 gennaio 2003 - Sentenza n. 469

 

Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni:

(N.B.: queste pagine continueranno ad essere aggiornate)