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Giurisprudenza
Procedure (e varie) Processo e procedure di: penale, civile, amministrativo...
2002 - 2001 - 2000 - 1999-92
Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni 2011 - 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003
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L'impugnativa di un atto amministrativo - proponibilità - titolare di un interesse legittimo. Correttamente il Tribunale amministrativo regionale evidenzia che, salvo i casi di legge di azione popolare a tutela dell'oggettiva legittimità dell'azione amministrativa, l'impugnativa di un atto amministrativo è proponibile solo da parte del soggetto che sia titolare di un interesse legittimo del quale assume la lesione in conseguenza dell'atto impugnato, interesse legittimo che, in quanto tale, deve essere, oltre che qualificato da una previsione normativa che lo prenda in considerazione insieme all'interesse pubblico, anche "adeguatamente differenziato da quello al corretto svolgimento dell'attività amministrativa, proprio della generalità dei consociati". Consiglio di Stato Sezione IV del 23/12/2002 sentenze nn. 7276 - 7277 (vedi: sentenza per esteso)
Indicazione errata della data di udienza del decreto di citazione per il giudizio di appello - irrilevanza - errore materiale - l’applicazione del criterio del minimo di diligenza e collaborazione - difensore di fiducia. Nel decreto di citazione per il giudizio di appello è stato indicato, come giorno di celebrazione dell’udienza, il 17 gennaio 2001, (anziché 17 gennaio 2002). è altresì vero che il decreto medesimo risulta emesso il 15 ottobre 2001 e notificato il successivo 22 ottobre, dunque in data tanto posteriore a quella ivi riportata da non poter ingenerare confusione alcuna sulla circostanza che fosse stato commesso un banale errore materiale; l’imputato, dunque, con l’applicazione di quel minimo di diligenza e collaborazione che l’ordinamento richiede a ciascun consociato, avrebbe potuto e dovuto chiarire l’equivoco, anche perché, particolare non certo irrilevante nella valutazione della censura, l’avviso di udienza recapitato in data 23 ottobre 2001 al suo difensore di fiducia recava l’esatta menzione del giorno fissato per il giudizio (17 gennaio 2002). Corte di Cassazione Sezione II sentenza 19 novembre 2002 (dep. 16 dicembre 2002) n. 42119
L'impugnativa di un atto amministrativo per le imprese in gara pubblica - la
"posizione giuridica differenziata". Devono condividersi le conclusioni cui
è pervenuto il giudice di prime cure (in linea con il prevalente orientamento
giurisprudenziale), secondo cui solo le imprese che in una gara pubblica abbiano
chiesto di partecipare si collocano in una "posizione giuridica differenziata"
rispetto a quella di tutte le altre imprese presenti sul mercato e, pertanto, si
ergono a titolari di un interesse legittimo giudizialmente tutelato che le
abilita a sindacare la legittimità delle statuizioni del bando della stessa
gara, alla quale hanno dimostrato "in concreto" di voler prendere parte.
Consiglio di Stato Sezione IV del 23/12/2002 sentenze nn. 7276 - 7277 (vedi:
sentenza per esteso)
La formula di stile di un ricorso giurisdizionale - individuazione dell’oggetto
specifico dell’impugnazione - diritto di difesa. La formula di stile di un
ricorso giurisdizionale che estende l’impugnazione a tutti gli atti antecedenti,
preordinati, connessi e successivi, non ha alcun valore processuale, essendo
all’indispensabile individuazione dell’oggetto specifico dell’impugnazione,
necessaria per assicurare l’effettivo esercizio del diritto di difesa.
Consiglio di Stato, IV Sezione del 20/12/2002 sentenza n. 7258
L’onere di impugnazione dell’atto. L’onere di impugnazione dell’atto
ulteriore rispetto a quello già impugnato sussiste quando il rapporto esistente
tra due atti appartenenti alla stessa sequenza procedimentale è tale che l’atto
finale, o successivo, non costituisce conseguenza inevitabile del primo, in
quanto la sua adozione implica nuove ed ulteriori ponderazioni di interessi,
anche di terzi soggetti, precedentemente mancate. Consiglio di Stato, IV
Sezione del 20/12/2002 sentenza n. 7258
Legittimati ad impugnare le sentenze dei tribunali amministrativi regionali - nozione sostanziale di controinteressato. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, devono essere considerati legittimati ad impugnare le sentenze dei tribunali amministrativi regionali non solo coloro che hanno partecipato al giudizio di primo grado, in quanto parti originarie o soggetti intervenuti nel processo, ma anche coloro che, pur a prescindere dalla loro presenza nel precedente grado di giudizio, rivestono la qualità di legittimi contraddittori, quali titolari di un interesse contrastante con quello dedotto in giudizio e tale da essere pregiudicato dalla sentenza (C.d.S., A.P., 8 maggio 1996, n. 2; sez. IV, 11 settembre 2001, n. 4731, 13 ottobre 1999 n. 1572; sez. V, 23 luglio 1997, n. 703; C.G.A. Sicilia, 2 ottobre 1997, n. 380). Ciò in omaggio ad una nozione sostanziale di controinteressato che non può coincidere con quei soli soggetti direttamente individuati o individuabili nell’atto impugnato, ma che riguarda tutti i soggetti che sono titolari di una posizione incompatibile o contraria con quella dedotta in giudizio e che quindi possono essere incisi dalla sentenza: infatti, per un verso, è la stessa cura dell’interesse pubblico cui è finalizzato il provvedimento amministrativo a poter incidere su di una pluralità di situazioni giuridiche che non sempre possono essere immediatamente identificate con il provvedimento stesso e, per altro verso, il riconoscimento della facoltà di impugnazione anche a tali soggetti risponde esattamente i principi costituzionali fissati negli articoli 3, 24 e 113. Consiglio di Stato, IV Sezione del 20 dicembre 2002 sentenza n. 7257
L’interesse ad impugnare - requisiti. L’interesse ad impugnare, quale species dell’interesse ad agire ex art. 100 C.P.C., deve -secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale- avere le caratteristiche della concretezza e dell’attualità e deve consistere in un’utilità pratica, diretta ed immediata, che l’interessato può ottenere con il provvedimento richiesto al giudice: in particolare la chiesta riforma della sentenza impugnata deve assicurargli, direttamente ed immediatamente, il bene della vita che gli è assume essergli stato sottratto o negato o disconosciuto. Consiglio di Stato, IV Sezione del 20 dicembre 2002 sentenza n. 7257
L’interesse ad agire ex articolo 100 c.p.c. - l’utilità pratica che il
ricorrente può ottenere con il provvedimento chiesto al giudice. Per
giurisprudenza consolidata l’interesse ad agire ex articolo 100 c.p.c. deve
avere le caratteristiche della concretezza e dell’attualità e deve consistere in
una utilità pratica che il ricorrente può ottenere con il provvedimento chiesto
al giudice. E’ stato peraltro chiarito che la predetta utilità pratica non deve
essere intesa nel solo limitato significato di immediata utilità finale del
provvedimento invocato, ben potendo consistere anche in una semplice utilità
strumentale, capace di soddisfare l’interesse del richiedente ogni qualvolta che
il provvedimento giudiziale richiesto comporti per l’Amministrazione l’obbligo
di riesaminare la situazione controversa e di adottare altri (e nuovi)
provvedimenti idonei a garantire un determinato risultato favorevole (C.d.S.,
sez. IV, 20 giugno 1989, n. 424; 3 marzo 1997, n. 178; 7 aprile 1998, n. 551; 10
novembre 1999, n. 1671). Consiglio di Stato, IV Sezione del 20 dicembre 2002
sentenza n. 7255
Il limite all’impugnabilità delle sentenze rese in sede di ottemperanza al giudicato. Il limite all’impugnabilità delle sentenze rese in sede di ottemperanza al giudicato deriva dal fatto che tali pronunce, a volte, contengono soltanto disposizioni meramente attuative del giudicato in sostituzione dell’Amministrazione indebitamente inerte (quali la nomina, ovvero il diniego di nomina, di un commissario ad acta), venendo allora ad esprimere, piuttosto che la funzione giurisdizionale cognitoria, attività in esplicazione di poteri di amministrazione attiva, attribuiti sostitutivamente al giudice. Unicamente in detti casi l’appello non è ammesso (salve, comunque, le ipotesi di misure aberranti). Non è, per altro, questo il caso ordinario, nel senso che usualmente le pronunce in parola, proprio in sede di cognizione, risolvono (o illegittimamente omettono di risolvere) questioni di rito del giudizio di ottemperanza, questioni sulle condizioni o soggettive dell’azione ed aspetti inerenti alla sua stessa fondatezza; situazioni queste che inducono la giurisprudenza consolidata (a partire dalla sentenza di questo Consiglio, ad. plen., 29 gennaio 1980 n. 2) a riconoscere l’appellabilità nei confronti dei relativi capi di decisione. La sentenza in esame contiene statuizioni sull’esatta interpretazione della decisione da eseguire, ossia su questione che è tipicamente cognitoria, e per tale aspetto rientra nel novero delle fattispecie in cui è consentito il ricorso in appello (cfr. C.d.S., Sez. V, 28 febbraio 1995, n. 298 e C.S.I., 8 luglio 1998, n. 426 e 25 maggio 2000, n. 278). Consiglio di Stato Sezione VI, del 12 dicembre 2002, sentenza n. 6806
Valutazione della idoneità del magistrato al conferimento delle funzioni direttive superiori - elementi. In tema di valutazione della idoneità del magistrato al conferimento delle funzioni direttive superiori, la giurisprudenza ha da tempo infatti chiarito che il Consiglio superiore della magistratura è tenuto a prendere in considerazione l'intera personalità del magistrato, quale risulta dal complesso dell'attività svolta nel corso dell'intera carriera, essendo chiamato ad esprimere una valutazione di particolare delicatezza che involge interessi superiori, con la conseguenza che è doveroso, ai detti fini, tenere conto anche di fatti - pur se già scrutinati ai fini penali o disciplinari - i quali restano appunto significativi della personalità del magistrato. ( cfr. IV Sez. 28.3.1992 n. 339; cfr. IV Sez. 5.6.1995 n. 414).). Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione IV del 9/12/2002, sentenza n. 6670. Consiglio di Stato, Sezione IV del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6671
L’eccezione di inammissibilità dell’appello - in giurisprudenza: due contrapposti indirizzi. In generale sul tema si registrano in giurisprudenza due contrapposti indirizzi, il primo dei quali - valorizzando nell’appello al Consiglio di Stato il carattere di gravame e non di rimedio impugnatorio - afferma che per la sua ammissibilità non è necessario confutare analiticamente e specificamente gli argomenti utilizzati nella sentenza ma è sufficiente proporre tesi ed argomenti incompatibili con quelli fatti propri dal giudice di primo grado. (fra le tante Sez. VI 15.10.1996 n. 1327). Secondo la diversa tesi - che qualifica l’appello nel processo amministrativo come rimedio propriamente impugnatorio - è inammissibile la mera riproposizione, da parte dell'appellante, delle censure svolte in primo grado, prive di ogni specifica e concreta impugnativa dei diversi capi della sentenza appellata, in quanto è onere dell'appellante stesso investire puntualmente il decisum di prime cure, e in particolare precisare i motivi per cui quest'ultimo sarebbe erroneo e da riformare, non avendo il giudizio di appello davanti al Consiglio di Stato per oggetto il provvedimento impugnato in primo grado, ma la sentenza con la quale è stato deciso il ricorso ( ad es. Sez. V 9.5.2000 n. 2654). A giudizio del Collegio, una questione di così complessa portata va risolta tenendo presenti contestualmente la struttura della sentenza e la natura dei motivi proposti con l’appello, sembrando evidente che nei casi in cui il Consiglio di Stato è chiamato a decidere il merito della controversia ( nei casi cioè in cui l’appello si atteggia come gravame di tipo rinnovatorio) l’appello è ammissibile qualora il ricorso, ancorché non contesti singolarmente i capi della sentenza di primo grado, sia sufficientemente specifico nei motivi e non determini incertezza sui limiti e sulla portata del riesame richiesto al giudice di secondo grado. ( cfr. Sez. IV 22.5.2000 n. 2911). Consiglio di Stato, Sezione IV del 9/12/2002, sentenza n. 6670.
Idoneità al conferimento di uffici direttivi superiori a magistrati di Cassazione - sussistenza dei requisiti necessari allo svolgimento di funzioni superiori. In proposito è invece da tempo acquisito nella giurisprudenza della Sezione che in tema di idoneità al conferimento di uffici direttivi superiori a magistrati di Cassazione, il termine di otto anni previsto dall'art. 16 L. 20 dicembre 1973 n. 831 indica il periodo di tempo decorso il quale si deve procedere alla valutazione dalla sussistenza dei requisiti necessari allo svolgimento di funzioni superiori, e non anche il periodo entro il quale va circoscritto l'accertamento dei suddetti requisiti, ben potendo il Consiglio superiore della Magistratura estendere legittimamente il suo esame a tutti i precedenti di carriera del magistrato. (Sez. IV 28.3.1992 n. 339). Consiglio di Stato, Sezione IV del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6670.
L’interesse a ricorrere - duplice ordine di fattori - giurisprudenza. Si deve prendere le mosse per analizzare la problematica dal codice di rito civile (art.100 c.p.c.) che prevede che per proporre una domanda o per contraddire alla stessa occorre avervi interesse. La norma è applicabile anche al processo amministrativo - per il suo carattere di generalità - è da ciò deriva che per agire nel processo amministrativo è necessario non solo essere titolari, a seconda dei casi di situazioni giuridiche di diritto soggettivo o di interesse legittimo, ma anche di una posizione di interesse a ricorrere, intesa non come idoneità astratta a conseguire un risultato utile, ma come interesse proprio del ricorrente al conseguimento di un vantaggio materiale o morale attraverso il processo amministrativo. Nell’ottica del processo di tipo impugnatorio si tratta di un interesse all’eliminazione dell’atto impugnato, originato dall’emanazione di un atto lesivo di interessi legittimi, ossia della sussistenza dell’interesse all’eliminazione dell’atto illegittimo. L’interesse a ricorrere, secondo la dottrina e la giurisprudenza, è qualificato da un duplice ordine di fattori: a) la lesione effettiva e concreta che il provvedimento impugnato arreca alla sfera patrimoniale o morale del ricorrente; b) il vantaggio concreto, anche se solo potenziale, che il ricorrente mira ad ottenere dall’annullamento del provvedimento impugnato. L’interesse a ricorrere deve essere caratterizzato anche dai predicati della personalità (deve riguardare specificamente e direttamente il ricorrente) e della attualità (deve sussistere al momento della proposizione del ricorso e deve continuare a sussistere nel corso del giudizio, non essendo sufficiente un'ipotesi o una mera eventualità di lesione) nonché della concretezza (l’interesse va valutato con riferimento ad una concreta lesione o pregiudizio verificatosi a danno del ricorrente). L’interesse è considerato sufficiente anche se il suo carattere è meramente strumentale, avuto riguardo alla finalità di rimettere semplicemente in discussione il rapporto controverso ai fini del riesercizio del potere in termini potenzialmente idonei ad evitare il pregiudizio sofferto o a conseguire il vantaggio sperato (e ciò in relazione al carattere peculiare del processo amministrativo che si inserisce quale momento parentetico nella dinamica di esercizio del potere). Si deve quindi ribadire l’acquisizione giurisprudenziale secondo la quale nel processo amministrativo, come nel processo civile, salva espressa previsione di legge, non è ammessa l’azione popolare, ossia l’azione volta ad ottenere un mero controllo oggettivo della legittimità di un provvedimento amministrativo da parte del giudice per iniziativa del quisque de populo. Non sono ammesse nell’ordinamento forme di controllo giurisdizionale generalizzato sulla pubblica amministrazione, nelle forme dell’azione popolare (diverso essendo lo scopo dell’azione penale in materia di reati contro la pubblica amministrazione che è quella di accertare responsabilità personali ed irrogare sanzioni penali), né sono possibili azioni dirette ad ottenere pronunce di principio al fine di orientare la futura azione amministrativa. Ciò premesso in via generale si deve inquadrare in modo particolare la tematica dell’interesse all’impugnazione in materia ambientale poiché non v’è dubbio che in tale materia esso si atteggi in modo del tutto peculiare in relazione anche al fenomeno dell’espansione del diritto pubblico dell’ambiente e del ruolo che in detta espansione svolgono le formazioni sociali e gli enti pubblici territoriali ed istituzionali. L’espansione del diritto pubblico dell’ambiente anche in forza dell’iniziativa giuridica degli organismi sovranazionali è fenomeno di ragguardevole entità in molti ordinamenti. L’estensione delle attività regolamentate comporta la correlativa espansione dell’area dei conflitti “giustiziabili” tuttavia ciò non può trasformare il processo in una sede di rappresentazione di interessi sociali che avrebbero come veicolo attori e soggetti non aventi alcuna relazione qualificata nel senso anzidetto con l’atto impugnato. Occorre quindi affrontare il tema nell’ottica dell’esame degli approdi giurisprudenziali. Essi hanno valorizzato il criterio della vicinitas al fine di radicare l’interesse a ricorrere avverso gli atti autorizzativi della creazione e dell’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (nella specie, alimentato da combustibile ricavato da rifiuti) (in argomento CdS VI 15/10/2001 n.5411). E’ ormai pacifico l’interesse a ricorrere degli enti locali quali ad es. “il comune nel cui territorio è localizzata una discarica di rifiuti, ai sensi dell'art.3 bis l. 29 ottobre 1987 n.441”, in proposito si è affermato che “è titolare dell'interesse a ricorrere avverso la delibera di localizzazione, sia in quanto ente esponenziale dei residenti, sia in quanto titolare del potere di pianificazione urbanistica su cui incide il provvedimento di localizzazione, sia in quanto soggetto che per legge può partecipare al procedimento amministrativo e che in quanto tale può impugnarne il provvedimento conclusivo” (C. Stato, sez.V, 2.3.1999, n.217; in senso analogo CdS IV 6/10/2001 n.5296). E’ del pari certo che non occorra provare l’esistenza di un danno concreto ed attuale al fine di impugnare il provvedimento di localizzazione di una discarica o di un impianto industriale ritenuto inquinante in quanto la questione della concreta pericolosità dell’impianto, valutata alla luce dei parametri normativi, è questione di merito, mentre al fine di radicare l’interesse ad impugnare è sufficiente la prospettazione di temute ripercussioni su un territorio collocato nelle immediate vicinanze ed in relazione al quale i ricorrenti sono in posizione qualificata (quali residenti o proprietari o titolari di altre posizioni giuridiche soggettive rilevanti). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)
L’interesse a ricorrere in via autonoma delle associazioni ambientalistiche riconosciute e la situazione dell'associazione di fatto - intervento ad adiuvandum. E’ ormai pacifico l’interesse a ricorrere in via autonoma delle associazioni ambientalistiche riconosciute (ai sensi dell'art.18, 5º comma, l. 8 luglio 1986 n.349 le associazioni ambientalistiche, infatti, se riconosciute da appositi decreti ministeriali, sono legittimate a ricorrere nelle controversie relative a materie corrispondenti alle loro finalità istituzionali. C. Stato, sez.VI, 25.1.1995, n.77) mentre la situazione dell'associazione di fatto, meno stabile, ai fini del riconoscimento della sua legittimazione ad agire in giudizio può essere valorizzata - a tutto concedere - solo ai fini dell'ammissione di un suo intervento ad adiuvandum (del quale esistono i presupposti formali e sostanziali). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)
L’inizio immediato di attività potenzialmente dannose per l’ambiente non si concilia con il principio di prevenzione e precauzione - l’obbligo di disapplicare la norma interna in violazione del diritto comunitario. Non si può non sottolineare come l’inizio immediato di attività potenzialmente dannose per l’ambiente (e per questo regolamentate) consentito dal d.l. n.113/1996 non si concilia con il principio di prevenzione e precauzione che è richiamato attualmente dall’art.174, a linea 2 del Trattato CE. Da ciò consegue la necessità di disapplicare, in forza del principio noto di primazia del diritto comunitario sul diritto interno con esso contrastante (su cui Corte di Giustizia 9/3/1978 causa 106/77 Simmenthal e Corte Cost. n.170/1984), la norma interna di cui al d.l. n.113/1996 che ha reso a suo tempo legittimo lo smaltimento senza autorizzazione in violazione del diritto comunitario trasposto (direttiva 75/442 e d.p.r. n.915/1982 chiaramente invocati nel ricorso introduttivo) e non potendosi la disciplina suddetta ritenere mera attuazione del potere degli Stati di dispensa dall’autorizzazione previsto dalle direttive comunitarie 91/156 e 91/689 (non ancora trasposte all’atto dell’emanazione del provvedimento impugnato e certo non invocabili, solo per quella parte, per sostenere la legittimità della normativa derogatoria introdotta con i decreti legge non convertiti). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)
Poteri del giudice amministrativo - la disapplicazione delle norme interne confliggenti con il diritto comunitario. E’ noto che al giudice amministrativo è consentito, anche in mancanza di richiesta delle parti, sindacare gli atti di normazione secondaria al fine di stabilire se essi abbiano attitudine, in generale, ad innovare l'ordinamento e, in concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa; egli può giungere alla disapplicazione della norma regolamentare che si ponga in contrasto con la legge qualora incida su una posizione di diritto soggettivo perfetto, il cui contenuto è completamente riconducibile alla norma di legge (C. Stato, sez.V, 26.2.1992, n.154). La sentenza ricordata, pur avendo un inciso che ne limita l’efficacia all’ambito di giurisdizione esclusiva su diritti soggettivi, come è stato detto in dottrina, non emerge dal nulla, ma è il portato, come generico influsso culturale, proprio di quella grandissima innovazione che è stata la disapplicazione delle norme interne configgenti con il diritto comunitario. La motivazione di tale decisione è importante per il suo carattere generale e suscettivo di ulteriore evoluzione. Ivi è detto: “Ogni ordinamento non può non prevedere un meccanismo invalidante delle norme di grado inferiore che sopraggiungano ed urtino contro precetti poziori dell’ordinamento medesimo. Per l’atto avente forza di legge il meccanismo, nel nostro ordinamento, è dato dall’invalidazione a seguito di pronuncia di incostituzionalità. Per l’atto normativo emanato dalla p.a. il meccanismo è rappresentato di fronte al giudice civile e penale, dalla disapplicazione dell’atto stesso, anche se le parti non controvertono sul punto. Ma se si tratta di atto di normazione secondaria, e se quindi per esso possano valere criteri analoghi a quelli recepiti in un qualunque caso di concorso di norme, fra loro contrastanti anche se idonee in astratto a regolare la medesima fattispecie, deve proporsi identica soluzione ove quell’atto (di normazione secondaria) sia in conflitto con un atto di normazione primaria e non sia oggetto di impugnazione al giudice amministrativo. Ne consegue che, qualora la norma primaria preesista all’atto amministrativo a contenuto normativo, questo deve essere considerato non idoneo, a causa della maggior forza della norma primaria, ad innovare sulle statuizioni da essa recate. Anche nei giudizi amministrativi, quindi, l’atto regolamentare sarà inapplicabile, come qualsiasi atto legislativo inidoneo a regolare la fattispecie. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)
L’atto amministrativo che non sia immediatamente lesivo di un interesse legittimo - l’impugnazione di atti successivi - la disapplicazione, se riconosciuti illegittimi - il principio di disapplicabilità della normazione secondaria pregiudiziale, (non presupposta). Un passo ulteriore, è stato effettuato con la pronuncia C. Stato, sez.IV, 29.2.1996, n.222, a tenore della quale “nel caso in cui un atto amministrativo non sia immediatamente lesivo di un interesse legittimo e non debba pertanto essere impugnato ex se, esso, se dotato di autonomia funzionale, può rilevare nell'impugnazione di atti successivi, in primo luogo, come atto presupposto nel giudizio di impugnazione dell'atto che lo presuppone, con conseguente sua invalidazione nel caso deciso (ed in quanto invalidante l'atto che lo presuppone ne determina l'annullamento); in secondo luogo come atto rilevante in via pregiudiziale nel giudizio di impugnazione dell'atto pregiudicato, con conseguente sua disapplicazione, se riconosciuto illegittimo, nel caso deciso; pertanto, invalidazione dell'atto presupposto e disapplicazione dell'atto pregiudiziale, pur non comportando entrambi l'annullamento dell'atto non immediatamente lesivo, si distinguono tra loro perché la prima (invalidazione) consiste nell'accertare la trasmissione del vizio dall'atto presupposto all'atto applicativo, la seconda (disapplicazione) consiste nel considerare l'atto pregiudiziale tamquam non esset, senza alcuna trasmissione di vizi”. In quel caso, in giurisdizione di legittimità, il Consiglio ha respinto l’appello, proposto da una società pubblica avverso la sentenza di un Tar che, in accoglimento di un ricorso proposto da un condominio aveva annullato l’atto di assenso ad una sopraelevazione in area vicina a zona cimiteriale. Rispetto al motivo di ricorso incentrato sull’invocazione di una norma tecnica di attuazione del PRG derogatoria alle distanze cimiteriali nel caso di edifici di pubblico interesse ha disapplicato tale disposizione, non impugnata, per contrasto con l’art.338 t.u. delle leggi sanitarie ritenuto inderogabile. Ha ritenuto disapplicabile la norma tecnica peraltro per il fatto che essa non era stata posta a presupposto dell’atto impugnato essendo solo norma che veniva in esame in via pregiudiziale. Ora con CdS IV n.222/1996 si deve ritenere affermato il principio di disapplicabilità della normazione secondaria pregiudiziale, (non presupposta), in giurisdizione generale di legittimità. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)
Il principio di disapplicabilità della normazione secondaria pregiudiziale, (non presupposta) - la rilevabilità d’ufficio - casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso. Con CdS IV n.222/1996 si deve ritenere affermato il principio di disapplicabilità della normazione secondaria pregiudiziale, (non presupposta), in giurisdizione generale di legittimità. Una recente pronuncia della Corte giustizia Comunità europee, 29.4.1999, n.224/97 ha affermato la rilevabilità d’ufficio di tale contrasto, statuendo che “un divieto emanato anteriormente all'adesione di uno stato membro all'Unione europea, non attraverso una norma generale ed astratta, bensì attraverso un provvedimento amministrativo individuale e concreto divenuto definitivo, che sia in contrasto con la libera prestazione dei servizi, va disapplicato in occasione della valutazione della legittimità di un'ammenda irrogata per l'inosservanza di tale divieto dopo la data dell'adesione” un’interpretazione adeguatrice, in un’ottica di bilanciamento di valori costituzionali, pur ammettendo la possibilità della disapplicazione dell’atto di normazione secondaria ai fini della garanzia di effettività del diritto comunitario, deve tenere pur sempre conto del principio della domanda in quanto “il diritto comunitario non impone ai giudici nazionali di sollevare d’ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie, qualora l’esame di tale motivo li obblighi a rinunciare al principio dispositivo alla cui osservanza sono tenuti esorbitando dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti e basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte interessata ha posto a fondamento della propria domanda; l’obbligo, per il giudice di attenersi all’oggetto della lite e di basare la propria pronuncia sui fatti che gli sono stati presentati, trova il proprio fondamento nel principio secondo il quale l’iniziativa di un processo spetta alle parti ed il giudice può agire d’ufficio nei soli casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso. Si tratta di un principio condiviso nella maggior parte degli Stati membri, che tutela i diritti della difesa e garantisce il regolare svolgimento del procedimento, preservandolo, in particolare, dai ritardi dovuti alla valutazione di nuovi motivi” (Corte di Giustizia 14/12/1995 in cause riunite C-430/93 e C-431/93 Van Schijndel). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)
La disapplicazione delle norme interne riguardante l’interpretazione autentica della nozione di rifiuto confliggenti con il diritto comunitario. Nessun rilievo ostativo dell’annullamento del decreto impugnato, previa disapplicazione delle norme menzionate, possono avere le norme interne successive che hanno prorogato salvato in vario modo gli effetti (artt.33, comma 6, 57, comma 6 del d.lgs. n.22/1997, nonché i d.m. 5/2/1998 art.11 comma 2, e d.m. 12/6/2001 n.161 art.9) dei vecchi titoli abilitativi ai fini della carenza sopravvenuta d’interesse per quanto già detto, essendo dette norme applicabili ai vecchi titoli abilitativi rimasti inoppugnati (dovendo l’esame dell’impugnazione dell’atto amministrativo avvenire secondo la situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione dell’atto impugnato) ed essendo invocabile lo ius superveniens di cui agli artt.31-33 del d.lgs. n.22/1997 dalla società appellata nel prosieguo dell’azione amministrativa, in difetto di prova dell’attuale conseguimento, da parte della Società Ambiente, dei titoli abilitativi taciti di cui agli artt.31-33 della legge Ronchi, ormai sostituitisi pienamente alla disciplina previgente (circostanza quest’ultima che avrebbe determinato il sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere degli appellanti con riferimento al ricorso originario). Né può dirsi rilevante la norma, contenuta in un recentissimo decreto legge (d.l. 8/7/2002 n.138 ) art.14 che contiene l’interpretazione autentica della nozione di rifiuto (14. Interpretazione autentica della definizione di «rifiuto» di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22.) 1. Le parole: «si disfi», «abbia deciso» o «abbia l'obbligo di disfarsi» di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22, e successive modificazioni, di seguito denominato: «decreto legislativo n.22», si interpretano come segue: a) «si disfi»: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.22; b) «abbia deciso»: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.22, sostanze, materiali o beni; c) «abbia l'obbligo di disfarsi»: l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n.22. 2. Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n.22.) poiché, al di là della dubbia legittimità della disposizione che sembra reintrodurre sotto forma di interpretazione autentica la distinzione fra rifiuto e residuo riutilizzabile, la norma riguarda casi marginali di totale certa innocuità del riutilizzo e di riutilizzo senza previo trattamento di recupero ai sensi del decreto Ronchi (all. c). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)
Il principio di prevenzione e precauzione - la disapplicazione di atti interni primazia del diritto comunitario - la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi - il principio tempus regit actum - ius superveniens - ius receptum. E’ ius receptum che la legittimità dei provvedimenti amministrativi va valutata con il riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della loro emanazione; pertanto per sostenerne l'illegittimità non è invocabile lo jus superveniens (C. Stato, sez.V, 6.4.1991, n.452). All’opposto vale la stessa regola, non può desumersi per il principio tempus regit actum la sopravvenuta legittimità dell’atto in forza di ius superveniens; da ciò deriva che non può eccepirsi la carenza d’interesse per la mera forza dello ius superveniens, salvo il caso eccezionale di chi, resistendo in giudizio, eccepisca l’inutilità dell’annullamento di un atto perché la riedizione del potere dovrà conformarsi ad una norma medio tempore entrata in vigore, recante una disciplina diversa da quella previgente ed assolutamente conforme all’atto a suo tempo adottato, sicché sia chiaro che la riedizione del potere porterà “necessariamente” alla medesima situazione giuridica, in forza delle norme nel frattempo entrate a far parte dell’ordinamento giuridico (e sempre che l’interesse all’annullamento non debba ritenersi in forza della pregiudizialità dello stesso rispetto ad eventuali azioni risarcitorie proponibili innanzi al giudice amministrativo o rispetto ad un qualificato interesse morale al ripristino della legalità amministrativa violata). Deve anche considerarsi che la giurisprudenza amministrativa considera l’interesse strumentale alla rinnovazione del procedimento sufficiente a fondare l’interesse ad ottenere la decisione sicché ove lo ius superveniens sia solo diverso rispetto al diritto previgente e non comporti una necessaria identità dell’atto rinnovato all’atto annullato, deve ritenersi che anche dalla mera riedizione del potere in modo conforme ai nuovi canoni legali venga soddisfatto l’interesse azionato (nella specie potranno adottarsi maggiori cautele quali previste dalle nuove norme tecniche). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6657. (vedi: sentenza per esteso)
Il mandato "ad litem” - genericità della procura. Ai sensi dell'articolo 83 comma 3 del codice di procedura civile, “il mandato "ad litem", esteso a margine o in calce al ricorso giurisdizionale e regolarmente sottoscritto dalla parte privata, equivale a procura speciale ed è sufficiente ai fini dell'ammissibilità del ricorso sottoscritto dal solo difensore. "(Consiglio Stato, sez. IV, 10 marzo 1981 n. 247). Nè giova all'appellato addurre la genericità della procura, poiché "l'indicazione nel mandato speciale, apposto a margine del ricorso giurisdizionale, dell'oggetto dell'impugnazione, delle parti contendenti, del giudice adito e di altri consimili elementi è necessaria solo per la procura conferita innanzi ad un notaio e non anche per il mandato in calce o a margine del ricorso stesso, non essendo in tal caso configurabile alcun dubbio sulla delimitazione soggettiva, oggettiva e funzionale del mandato "ad litem"."(Consiglio Stato, sez. V, 3 aprile 2000, n. 1908). Consiglio di Stato Sezione V del 2 dicembre 2002 n. 6617
Processo amministrativo - termini per ricorrere - la notificazione del ricorso decorre dalla pubblicazione dell’atto - per gli atti che non assumono carattere immediatamente lesivo la loro impugnazione è ritualmente proponibile in seguito all’adozione degli atti applicativi. La regola contenuta nell’articolo 21 della legge TAR individua la decorrenza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso giurisdizionale. a norma fa riferimento, in primo luogo, alla conoscenza effettiva, da parte del ricorrente, dell’atto oggetto di contestazione. n secondo luogo, la disposizione prende in considerazione determinate ipotesi di conoscenza (o di conoscibilità) legale del provvedimento impugnato. Si tratta dei casi di notificazione e di comunicazione individuale dell’atto e dei casi di pubblicazione del provvedimento. n tale ultima eventualità, il termine per la notificazione del ricorso decorre dalla pubblicazione dell’atto, purché questa sia prescritta da apposita norma. Le deliberazioni degli enti locali rientrano nel raggio di azione della norma, considerando la disciplina del regime di pubblicazione degli atti del consiglio e della giunta. Tuttavia, occorre considerare che, in alcuni casi, le delibere consiliari o della giunta presentano carattere generale, programmatico o normativo. In tali eventualità, gli atti non assumono carattere immediatamente lesivo e la loro impugnazione è ritualmente proponibile in seguito all’adozione di atti applicativi. In questo senso, si afferma che il termine per l'impugnazione di atti amministrativi generali che incidano in modo diretto sulla sfera giuridico-patrimoniale dei singoli soggetti privati non può decorrere se non dalla data in cui gli stessi ne conseguono sicura e piena conoscenza, in genere attraverso la conoscenza dei relativi provvedimenti di applicazione, a nulla rilevando, ai fini della decorrenza di detto termine, che tali atti generali siano stati assoggettati ad una forma di pubblicazione dalla quale non ne derivi ex lege la conoscenza legale da parte dei loro destinatari (C. Stato, sez. V, 15-01-1990, n. 44; Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 01-12-1990, n. 423; C. Stato, sez. V, 30-07-1986, n. 376.). Al di fuori di queste eccezioni, tuttavia, deve applicarsi il principio ermeneutico che prevede l’onere di immediata impugnazione delle delibere consiliari. In tal senso, si afferma che è inammissibile il ricorso avverso le delibere comunali (nella specie, aventi ad oggetto l'approvazione del regolamento per l'applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e delle tariffe inerenti alla tassa stessa) da parte di soggetto non direttamente contemplato nell'atto, ove siano decorsi sessanta giorni dalla pubblicazione delle delibere stesse (C. Stato, sez. V, 27-04-1990, n. 379). Analogamente, si è affermato che la deliberazione comunale di revisione delle tariffe per il ritiro dei rifiuti solidi urbani che stabilisca le diverse misure del tributo ragguagliabile a classi di utenti definite sia nella composizione sia nella misura è immediatamente lesiva nei confronti dei contribuenti e quindi deve essere immediatamente impugnata nel termine di decadenza; pertanto, è inammissibile il ricorso proposto contro la suddetta deliberazione unitamente agli atti applicativi, e cioè alle cartelle esattoriali (C. Stato, sez. V, 09-12-1986, n. 601). La deliberazione comunale di approvazione delle tariffe per il ritiro dei rifiuti solidi urbani che stabilisce le diverse misure del tributo in ordine alle varie classi di utenti è atto immediatamente lesivo nei confronti dei contribuenti, che va impugnato nel termine di decadenza (C. Stato, sez. V, 12-07-1996, n. 854). Nello stesso senso, la giurisprudenza ha costantemente affermato che le deliberazioni dei consorzi di bonifica che stabiliscono le misure delle tariffe irrigue, ragguagliate alla diversa ubicazione dei terreni inclusi nel comprensorio consortile e ai vari tipi di irrigazione previsti, pur se aventi carattere generale e latamente normativo, sono immediatamente lesive nei confronti dei contributi e, pertanto, vanno impugnate nel termine di decadenza decorrente dalla loro pubblicazione (C. Stato, sez. VI, 19-12-1997, n. 1867). Infine, si è affermato che il provvedimento col quale vengono fissate le tariffe relative alla concessione di posteggi nei mercati ortofrutticoli all'ingrosso, a conclusione di una serie preordinata di atti procedimentali, ha portata immediatamente lesiva indipendentemente da singoli e specifici atti applicativi, dal momento che incide sulla posizione giuridica degli operatori, i quali devono adeguare la loro organizzazione imprenditoriale alle condizioni di economicità che le tariffe praticate dal comune, gestore dello stesso mercato, concorrono a formare; pertanto, tale provvedimento è impugnabile immediatamente (C. Stato, sez. VI, 18-02-1997, n. 289). Consiglio di Stato, sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6601
Il termine per la proposizione del ricorso in materia di impiego pubblico - sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale - eccezione relativa ai giudizi in materia di lavoro. Il termine per la proposizione del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, avverso pronuncia del Consiglio di Stato in materia di impiego pubblico, è soggetto a sospensione durante il periodo feriale, atteso che l'inapplicabilità di tale sospensione per le controversie individuali di lavoro e quelle in tema di assistenza e previdenza obbligatorie, prevista dall'art. 3 della legge 7 ottobre 1969 n. 742, non riguarda le controversie attinenti al pubblico impiego (Cass. Sez. Un. sent. n. 1241 del 21-02-1984). L'art. 3 della legge 7 ottobre 1969 n. 742, che stabilisce un'eccezione relativa ai giudizi in materia di lavoro, alla regola della sospensione dei termini durante il periodo feriale, non è applicabile ai giudizi amministrativi (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 128 del 23-03-1982). Infatti, la legge 7 ottobre 1969 n. 742, stabilisce, agli artt. 2 per i giudizi penali, 3 per i giudizi civili e 5 per i giudizi amministrativi, eccezioni alla sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale. Tali norme, di natura eccezionale, non possono essere applicate al di là dei casi espressamente previsti e pertanto il citato art. 3, il quale stabilisce una deroga alla sospensione relativamente ai giudizi civili per le controversie in materia previdenziale e di lavoro, non è applicabile ai giudizi amministrativi (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 736 del 21-09-1987). Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sezione V del 29.11.2002 nn. 6597 - 6596. Consiglio di Stato Sezione V del 29.11.2002 n. 6598
L’effetto interruttivo costituito dal decesso del difensore opera automaticamente ipso iure - l’interruzione del processo. L’effetto interruttivo costituito dal decesso del difensore opera automaticamente ipso iure (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 10 ottobre 1983, n.24; Cons. St., IV, 28 luglio 1981, n.663) e si verifica indipendentemente dalla dichiarazione in giudizio o dalla comunicazione alla controparte (cfr. Cons. St., IV, 24 febbraio 2000, n.1010; id., n.663/1981 cit.); ne consegue che deve essere dichiarata l’interruzione del processo dal giorno della morte dell’avvocato stesso (cfr. art.24, 1° comma, L. n.1034/71 cit.). Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sezione IV del 29.11.2002 nn. 6538 - 6537. Consiglio di Stato Sezione IV del 29.11.2002 n. 6540
La piena conoscenza ai fini della decorrenza del termine per proporre l’impugnazione - sottoscrizione del verbale - l’omessa indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere non impedisce la decorrenza del termine stesso né legittima la concessione dell’errore scusabile. L'interessato, che ha sottoscritto il verbale redatto in triplice copia, ha, dunque, preso conoscenza sia degli estremi e degli elementi essenziali degli atti successivamente impugnati sia degli effetti, formali e materiali, da essi derivanti sulle aree di sua proprietà. Pertanto, sussistevano i requisiti che integrano la piena conoscenza ai fini della decorrenza del termine per proporre l’impugnazione (da ultimo, Cons. di Stato, sez.VI, 26 luglio 2001, n.4125; 20 aprile 2000, n.2444 ). L'appellato sostiene che il decorso del termine sarebbe impedito dalla mancata indicazione “del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere”, prescritta dall’art.3, comma 4, della legge n.241/1990. Tuttavia, è stato chiarito che l’omessa indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere non impedisce la decorrenza del termine stesso né legittima la concessione dell’errore scusabile, se non quando sia apprezzabile, per le particolari circostanze del caso, una qualche giustificata incertezza sui modi e sui tempi dell’impugnazione (Cons. Stato, Adunanza plenaria 14 febbraio 2001, n.1). Consiglio di Stato Sezione IV del 29 novembre 2002 n. 6525
La configurabilità della violazione dell'art. 120 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che prevede l'estinzione del procedimento quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto - sanzioni disciplinari per il personale del Corpo della polizia penitenziaria. Il nodo fondamentale della controversia all'esame del Collegio consiste nello stabilire se sia configurabile, nella fattispecie, la violazione dell'art. 120 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che prevede l'estinzione del procedimento quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto, per avere il Tribunale amministrativo considerato, ai fini del computo del predetto termine, la data di remissione al Ministero della relazione del funzionario istruttore (18/12/97), anziché quella di ricevimento di detta relazione da parte del Ministero stesso (26/01/98). Va, al riguardo, anzitutto premesso che ai sensi dell'art. 24 comma 5 D.L.vo 30 ottobre 1992 n. 449, in materia di sanzioni disciplinari per il personale del Corpo della polizia penitenziaria, per quanto non previsto dal decreto medesimo in materia di disciplina e procedura sono applicabili, in quanto compatibili, le corrispondenti norme contenute nello statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato col T.U. 10 gennaio 1957 n.3: nella specie, quindi, è applicabile l'art. 120 in tema di perenzione del procedimento disciplinare(cfr. TAR Lazio, I sez., n. 2233/98). Il principio affermato nel citato art. 120 è quello di evitare che il procedimento disciplinare, una volta iniziato, duri troppo a lungo, con evidenti conseguenze sfavorevoli per gli incolpati. La legge vuole invece che esso si concluda in un arco di tempo ragionevole ed a tale scopo è stato previsto il termine di 90 giorni entro il quale occorre compiere ogni ulteriore atto. La questione sottoposta all'esame del Collegio riguarda appunto la decorrenza del predetto termine ai fini dell'estinzione del procedimento disciplinare. Come la Sezione ha già avuto modo di affermare (cfr. dec. n. 561/95; n. 1230/00), gli atti che, ai sensi dell'art. 120 DPR n. 3 del 1957, valgono ad interrompere il termine di 90 giorni, previsto per l'estinzione del procedimento disciplinare, sono quelli esplicitamente contemplati nella legge e che costituiscono le varie tappe dell'iter procedimentale. In realtà, l'estinzione del procedimento disciplinare per decorrenza di un termine non inferiore a 90 giorni fra un atto e l'altro, è automatica ed è indipendente dalle ragioni che hanno determinato la stasi del procedimento stesso, essendo volta, come già detto, alla finalità di evitare che il procedimento disciplinare possa protrarsi oltre un ragionevole limite di tempo (cfr. IV Sez., n. 561 e 1230 cit; n. 509/88). Va, poi, rilevato che è influente, nell'interruzione del procedimento, il momento in cui è stato emesso l'atto da cui devono farsi decorrere i 120 giorni, se da tale data esso comincia a produrre i suoi effetti (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 206/84) e, nel caso de quo, ciò non sembra revocabile in dubbio, se si considera che la relazione del funzionario istruttore, rimessa dal medesimo all'Amministrazione in data 18/12/97, da tale data diviene definitiva nelle sue conclusioni, a nulla rilevando, in quanto non previsto dalla legge, il momento in cui essa perviene materialmente all'Amministrazione. L'accettare l'opposta tesi contrasterebbe con il summenzionato scopo della norma, che attraverso l'automaticità dell'estinzione del procedimento e l'indipendenza dalle ragioni che hanno determinato la stasi del procedimento stesso, è volta ad evitare che la eccessiva durata del procedimento si traduca in conseguenze negative per l'incolpato, salvo quando ricorrano circostanze obiettive ed esterne, nella specie non riscontrabili, che portino a giustificare il superamento del termine decadenziale perché impediscono il normale svolgimento della procedura nei modi e nei tempi prescritti, come tali non imputabili all'inerzia dell'Autorità procedente (cfr. Cons. Stato, IV Sez., n. 1230/00). Consiglio di Stato Sezione IV del 29 novembre 2002 n. 6521
A)- Art. 6, C.E.D.U. - camera di consiglio e pubblica udienza - analoghe garanzie processuali - sussistono. B)- Art. 48, R.D. n. 642/1907 - istanza di ricusazione - formulazione per iscritto - necessità - sussiste - estensibilità in forma orale - non sussiste. C)- Art. 395 n. 4, c.p.c. - revocazione per errore di fatto - prospettabilità come tale anche dell’errore di diritto su questioni già esaminate dal giudice - non sussiste. 1)- L’art. 6, C.E.D.U., conferisce agli Stati membri dell’Unione Europea la facoltà di emanare una normativa di attuazione che, nell’ordinamento italiano, trova riscontro nell’art. 25, legge n. 241/1990, il quale in materia di accesso prevede il rito della camera di consiglio, caratterizzato da garanzie non dissimili da quelle fornite dalla pubblica udienza, che in proposito si contraddistingue (oltre che per l’uso della toga) unicamente per la possibile presenza (peraltro, più teorica che pratica, come l’esperienza quotidiana insegna) del pubblico. 2)- L’istanza di ricusazione che, come prospettata nella sua formulazione scritta (la quale, come formale dichiarazione di volontà, non ammette orali operazioni integrative dei contenuti), risulti testualmente limitata a determinati ricorsi, rimane estranea ad altre vertenze, configurandosi la stessa come un’istanza non suscettibile di accoglimento ed inidonea allo scopo per l’insormontabile ostacolo costituito dal puntuale disposto di cui all’art. 48, R.D. n. 642/1907 (nella fattispecie, l’interessato aveva tentato, nel corso della sua autodifesa in camera di consiglio, di estendere oralmente ad altre controversie la portata della ricusazione stessa). 3)- Non possono prospettarsi come errori di fatto quelli che, tutt’al più, potrebbero configurarsi come errori di diritto su questioni comunque prese in esame dal collegio e risolte in modo forse non condivisibile, ma cionondimeno idoneo a chiudere definitivamente la controversia in questione, con una decisione resa nell’ultimo grado di giudizio di merito contemplato dall’ordinamento e quindi intangibile. Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sezione V del 29.11.2002 nn. 6517. Consiglio di Stato Sezione IV del 29 novembre 2002 n. 6518
Artt. 47 e 48, R.D. n. 642/1907 - ricorso per ricusazione - assenza di ogni benchè minima attendibilità - inammissibilità del ricorso - sussiste. L’istanza di ricusazione che, come prospettata nella sua formulazione scritta (la quale, come formale dichiarazione di volontà, non ammette orali operazioni integrative dei contenuti), risulti testualmente limitata a determinati ricorsi, rimane estranea ad altre vertenze, configurandosi la stessa come un’istanza non suscettibile di accoglimento ed inidonea allo scopo per l’insormontabile ostacolo costituito dal puntuale disposto di cui all’art. 48, R.D. n. 642/1907 (nella fattispecie, l’interessato aveva tentato, nel corso della sua autodifesa in camera di consiglio, di estendere oralmente ad altre controversie la portata della ricusazione stessa). E’ inammissibile, prima che infondata, l’istanza di ricusazione, in assenza di un minimo di attendibilità dell’istanza stessa, che l’ordinamento non concepisce come uno strumento adoperabile sistematicamente per ostacolare sine die il regolare funzionamento dell’apparato giurisdizionale, ma solo per porre rimedio ad isolate ed occasionali disfunzioni dello stesso, riconducibili a fenomeni per lo più imprevedibili. Consiglio di Stato Sezione IV del 29.11.2002 n. 6516.
Ritrovamento del documento decisivo - la fattispecie dell’errore revocatorio. Quanto al motivo di cui all’art. 395 n. 3 (ritrovamento del documento decisivo), la giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso che il relativo vizio revocatorio è deducibile solo in relazione a documenti non prodotti in giudizio: l’errore di percezione rispetto agli atti di causa rileva invece nella diversa prospettiva del motivo di cui al n. 4 del citato articolo del codice di rito. ( ex multis Cass. Sez. I 9.11.1994 n. 9314 e Cons, Stato Sez. IV 2.6.2000 n. 3169 ). Facendo applicazione al caso di specie dei criteri ora enunciati, può agevolmente escludersi che di per sè sola ( e cioè autonomamente considerata) integri la fattispecie dell’errore revocatorio la - asseritamente - tardiva o mancata acquisizione del fascicolo di primo grado. In effetti, l’art. 23 ultimo comma della legge 6.12.1971 n. 1034, come modificato dall’art. 1 della legge 21 luglio 2000 n. 205, nel prevedere che “Entro trenta giorni dalla data dell'iscrizione a ruolo del procedimento di appello avverso la sentenza la segreteria comunica al giudice di primo grado l'avvenuta interposizione di appello e richiede la trasmissione del fascicolo di primo grado”, detta una regola procedurale ( finalizzata allo snellimento dell’attività propedeutica al giudizio di secondo gardo) la cui eventuale violazione di per sè non concreta l’errore di fatto e non è dunque rimediabile mediante revocazione per il motivo di cui all’art. 395 n. 4 del Codice di rito. Peraltro, va comunque osservato che nel contesto della disposizione ora trascritta, analoga a quella dettata dall’art. 347 cod. proc. civ. per i giudizio civili di appello, l’acquisizione del fascicolo relativo al giudizio che ha dato luogo alla sentenza impugnata non è comminata a pena di nullità (cfr. Cass., sez. III, 26-09-2000, n. 12756 ). Tanto chiarito in punto di inammissibilità della relativa deduzione, non è quindi necessario verificare se effettivamente la decisione revocanda fu adottata, come sostiene il ricorrente, senza che il fascicolo in questione fosse stato acquisito nella disponibilità del Collegio giudicante. Consiglio di Stato Sezione IV del 23 novembre 2002 n. 6459
Configurazione di un atto di elezione di domicilio speciale - caratteri di incontroversa univocità. Perché possa configurarsi un atto di elezione di domicilio speciale occorre, infatti, che lo stesso si connoti secondo caratteri di incontroversa univocità, onde desumerne la chiara volontà della parte di riferirsi al luogo prescelto come destinazione non fungibile di tutti gli atti del processo che la riguardano (Cass. Sez. I , 10 novembre 1997, n. 11037). Nel caso di specie manca, in primo luogo, la dichiarazione della volontà della parte, che non risulta aver sottoscritto alcun atto inteso alla propria individuazione spaziale connessa con la vertenza. Non è stato neppure redatto uno specifico processo verbale idoneo a ricevere la nuova dichiarazione di volontà e da accludere al fascicolo d’ufficio (Cass. Sez. III, 11 giugno 1993, n. 6541) così da registrare l’intento negoziale della parte. Non può, in ogni caso, riconoscersi la capacità di raccogliere tale manifestazione all’ufficiale giudiziario, i cui poteri di certificazione sono limitati agli atti del suo ufficio, tra i quali non rientra, in ogni caso, quello in esame. Consiglio di Stato, Sezione V del 18 novembre 2002, sentenza n. 6385
Art. 5, D.M. Giustizia n. 115/1996 - criteri provvisori o definitivi di ripartizione degli affari penali tra i pubblici ministeri in ogni procura - provvedimenti collegati con l’attività giurisdizionale - configurabilità - sussiste - accessibilità ex art. 22, legge n. 241/1990 - non sussiste. L’accesso è consentibile solo nei confronti di atti e provvedimenti di natura strettamente amministrativa (con esclusione di quelli giurisdizionali o collegati con l’attività giurisdizionale, come i criteri, definitivi o provvisori, di ripartizione degli affari penali tra i pubblici ministeri di ciascuna Procura della Repubblica) e s’inquadra non nella figura del diritto soggettivo, ma in quella dell’interesse legittimo. Consiglio di Stato Sezione IV del 29/11/2002 n. 6511.
Art. 22, legge n. 241/1990 - accesso ad atti e documenti già ottenuti - interesse qualificato - non sussiste. Non sussiste un interesse qualificato ad accedere ad atti e documenti già in precedenza ottenuti dal medesimo ufficio. Consiglio di Stato Sezione IV del 29 novembre 2002 n. 6510.
Revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 n. 4 Cod. proc. Civ. - l'errore di fatto - elementi - rapporto di causalità. In tema di revocazione, deve premettersi in generale che l'errore di fatto, il quale può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., consiste nell'erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure nella supposizione dell'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Peraltro l’errore revocatorio è deducibile solo se il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato e presuppone quindi il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall'altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti. ( cfr. Cass. civ. 28.10.2000 n. 14256). Infine, l’errore di fatto deve essere decisivo: in tal senso, come insegna la giurisprudenza, l'erronea affermazione dell'esistenza di un fatto la cui realtà, invece, debba ritenersi positivamente esclusa in base al tenore degli atti o documenti di causa può costituire motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., solo se sussiste un rapporto di causalità necessaria fra l'erronea supposizione e la pronuncia in concreto resa dal giudice di merito, dovendosi invece escludere che tale mezzo di impugnazione possa essere utilizzato in relazione ad errori incidenti su fatti che, non decisivi in se stessi, devono essere valutati in un più ampio contesto probatorio, anche quando, nell'ambito appunto della globale valutazione degli elementi di prova, l'elemento pretermesso avrebbe potuto in concreto assumere un rilievo decisivo. (Cass. civ. Sez. lav. 28.8.1997 n. 8118). Consiglio di Stato Sezione IV del 23 novembre 2002 n. 6459
L’interesse ad impugnare in via principale una pronuncia - semplice annullamento del provvedimento. Ha osservato questo Consiglio di Stato, sez. IV con pronuncia 22 maggio 2002, n. 2934 che, diversamente da quanto si verifica nell’appello civile (in cui l’interesse ad agire in giudizio sussiste solo in presenza della soccombenza, intesa come situazione di fatto nella quale la sentenza di primo grado abbia tolto o negato alla parte un bene della vita accordandolo all’avversario), nell’appello amministrativo, relativo a giudizi di impugnazione, sussiste l’interesse ad impugnare in via principale una pronuncia quando l’interesse fatto valere con l’impugnazione potrebbe non essere integralmente soddisfatto dal semplice annullamento del provvedimento ove l’amministrazione sia tenuta ad un comportamento positivo successivo all’annullamento. In tali ipotesi l’appellante, può far accertare le modalità dell’esercizio del potere che incombe sull’amministrazione stessa, con la conseguenza che l’avvenuto annullamento posto in primo grado dal provvedimento impugnato per accoglimento di alcune censure (o, il che è lo stesso, attraverso una conformazione successiva dell’attività amministrativa che adempie alla stessa funzione dell’accoglimento solo di alcuni motivi) non esclude l’ammissibilità dell’appello da parte dell’originario ricorrente, per ottenere un giudicato completamente satisfattivo dei propri interessi). Consiglio di Stato, Sezione V del 18/11/2002, sentenza n. 6391
La pregressa alienazione di un bene inciso da un provvedimento amministrativo fa venir meno in capo all'alienante la legittimazione a proporre ricorso - pregiudizio personale - la successiva alienazione della res litigiosa non comporta il venir meno della legittimazione alla proposizione del ricorso. La pregressa alienazione di un bene inciso da un provvedimento amministrativo fa venir meno in capo all'alienante la legittimazione a proporre ricorso contro il provvedimento stesso, salvo che l'alienante alleghi e provi in concreto, che nonostante l'avvenuta alienazione ha subito un pregiudizio personale ancora attuale alla data di introduzione della lite, potenzialmente rimuovibile per effetto dell'eventuale sentenza di accoglimento del ricorso (V Sez. 25.11.1999, n. 1986); dall’altro e per contro che la successiva alienazione della res litigiosa non comporta il venir meno della legittimazione alla proposizione del ricorso (IV Sez. 19.3.1988, n. 245). Consiglio di Stato Sezione IV del 7 novembre 2002 sentenza n. 6113
Inammissibilità del ricorso - atto applicativo viziato da invalidità derivata - l’atto presupposto - divieto di disapplicazione incidenter tantum al giudice amministrativo. E’ inammissibile il ricorso teso all’annullamento di un atto applicativo viziato da invalidità derivata, quando non risulti utilmente impugnato l’atto presupposto (Cons. St., sez. V, 16 gennaio 1981, n. 3), non essendo consentita al giudice amministrativo la disapplicazione incidenter tantum di un atto presupposto non avente natura normativa. Una volta divenuto inoppugnabile l’atto presupposto, nella specie la deliberazione di determinazione delle tariffe, non possono, infatti, farsi valere gli eventuali vizi di tale atto in sede di impugnazione di atti applicativi che lo richiamino. Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6101
Il venire meno dell’ambito temporale di efficacia dei provvedimenti impugnati non fa venire meno l’interesse alla decisione - l’interesse della parte appellata a non vedere adottati successivi provvedimenti similari - gli effetti conformativi del giudicato. Va, osservato che il venire meno dell’ambito temporale di efficacia dei provvedimenti impugnati non fa venire meno l’interesse alla decisione in quanto sussiste l’interesse della parte appellata a non vedere adottati successivi provvedimenti similari (Sez. VI, 18 luglio 1998, n. 846; Sez. IV, 19 dicembre 1994, n. 1037), in relazione agli effetti conformativi del giudicato, e l’interesse all’eventuale proposizione di un’azione di risarcimento del danno per il ristoro del danno subito (Sez. IV, 12 dicembre 2000, n. 6594). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6100
La configurabilità di un atto come provvedimento impugnabile. Invero, ai fini della configurabilità di un atto come provvedimento impugnabile, non rileva la sua collocazione al termine del procedimento, ma è essenziale il carattere costitutivo degli effetti che all’atto stesso si ricollegano; anche se il modulo procedimentale prevede ulteriori atti capaci di incidere sull’efficacia del provvedimento principale (Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2001, n. 2572). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6095 (vedi: sentenza per esteso)
Annullamento in sede giurisprudenziale di un decreto di occupazione d’urgenza - l’ottemperanza del giudicato - la restituzione del fondo - limiti - accessione invertita - impossibilità di “conversione” del giudizio di ottemperanza in giudizio di cognizione. Annullato in sede giurisprudenziale un decreto di occupazione d’urgenza, il privato può ottenere dal giudice dell’ottemperanza la restituzione del fondo solo qualora lo stesso non sia stato irreversibilmente modificato e quindi acquisito alla mano pubblica ( tra le più recenti: C.d.S. IV: Sez. 3 aprile 2001, n.1911; IV Sez.: 11 luglio 2001, n.3882). D’altra parte, come affermato costantemente dalla suprema Corte di Cassazione, l’irreversibile trasformazione dell’immobile del privato, presupposto dell’acquisto alla mano pubblica per accessione invertita, non ricorre solo nel caso di realizzazione ex novo di una costruzione, ma anche laddove l’intervento pubblico abbia inciso definitivamente, attraverso la destinazione all’uso pubblico, sulla funzione originaria del bene (ex multis: Cass. Civ., SS. UU. 15 luglio 1999, n.394; Cass. Civ., Sez.I, 3 maggio 2000, n.5513). Né sarebbe possibile una eventuale “conversione” del giudizio di ottemperanza in giudizio di cognizione, in quanto ciò si risolverebbe in una violazione del doppio grado di giudizio (cfr.C.d.S. Sez. VI, 27 marzo 2001, n.1774). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6078
La domanda di risarcimento del danno per illegittima occupazione o per annullamento di atti espropriativi - procedura. Va escluso che la domanda di risarcimento del danno per illegittima occupazione o per annullamento di atti espropriativi possa venire per la prima volta formulata in sede di ricorso per l’esecuzione del giudicato, essendo una domanda del tutto nuova, che, come tale, è si proponibile, ma è soggetta all’ordinario vaglio- articolato su due gradi di giudizio- del giudice della cognizione, il quale dovrà in primo luogo verificare il fondamento della domanda risarcitoria con riferimento all’effettiva sussistenza, nell’an, di un danno patrimoniale risarcibile e, successivamente, per quanto possibile in tale sede, “ stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine” (art. 35, comma 2°, dec. leg.vo 31 marzo 1998, n.80). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6078
Evento interruttivo del processo ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ - morte della parte costituita o del suo difensore - è necessaria la dichiarazione del fatto interruttivo in pubblica udienza. Il Collegio rileva che si è verificato un evento interruttivo del processo (morte dell’appellato), ma che lo stesso non risulta dichiarato nei modi formali stabiliti dalla legge. Invero, come questo Consesso ha già avuto modo di affermare, affinché possa prodursi l’effetto interruttivo del processo ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ., che la legge connette automaticamente alla morte della parte costituita o del suo difensore, è necessaria la dichiarazione del fatto interruttivo in pubblica udienza o, comunque, la pubblicizzazione, sempre nella pubblica udienza, dell’evento interruttivo conosciuto dalle parti o dal giudice in qualsiasi altro modo, fermo restando in ogni caso che la dichiarazione deve essere formalizzata nel verbale dell’udienza, non essendo sufficiente che l’evento sia menzionato in una memoria della parte interessata all’interruzione oppure in un qualsivoglia altro documento contenuto nel fascicolo di ufficio, non potendo la presunzione di conoscenza degli atti di causa, connessa alla possibilità di consultare liberamente il fascicolo giacente presso la segreteria, sostituire l’effetto di pubblicità dell’evento caratteristico della dichiarazione della parte nel corso della pubblica udienza, successivamente verbalizzata (C. Stato, sez. IV, 3 settembre 2001, n. 4634). Consiglio di Stato, Sezione VI, del 5 novembre 2002, sentenza n. 6021
Condizione per la immediata impugnabilità della adozione del P.R.G., o di una sua variante, è che il ricorrente possa subire una lesione dalle previsioni oggetto della delibera di adozione - l’immediata impugnazione - “ ius aedificandi” - previsioni vincolistiche. Va anzitutto richiamata la nota decisione della Adunanza Plenaria n.1 del 1983 secondo la quale “un piano regolatore generale, una volta adottato, nella misura in cui è suscettibile di applicazione (mediante le misure di salvaguardia o negli altri modi consentiti dalla legge) è immediatamente lesivo e direttamente impugnabile ...”. Condizione per la immediata impugnabilità della adozione del P.R.G., o di una sua variante, è dunque - nella prospettazione della A.P. - che il ricorrente possa subire una lesione dalle previsioni oggetto della delibera di adozione. Su tale principio la giurisprudenza di questo Consesso si è sempre mostrata concorde, avendo più volte ribadito che la delibera di adozione del P.R.G. (o di una sua variante) può formare oggetto di immediata impugnazione quando da essa consegue l’eliminazione o la limitazione dello “ ius aedificandi” in forza delle previsioni vincolistiche in essa racchiuse (cfr. in tal senso tra le altre Cons. St. IV 19 ottobre 1994, n. 819; IV 10 settembre 1996, n. 1028; IV 21 giugno 2001, n. 3341). Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6016
Reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario - mancata rinnovazione della domanda di fissazione dell’udienza - modalità e termini. La mancata rinnovazione della domanda di fissazione dell’udienza con le modalità e nel termine prescritti comporta la perenzione del ricorso. (Nel caso in esame, esso non risulta pervenuto al domicilio eletto dall’appellante mancando in atti l’avviso di ricevimento della raccomandata) Consiglio di Stato, sez. V, 28 ottobre 2002, ordinanza n. 5891
Impugnazioni - notificazione - dell'atto di impugnazione - luogo di notificazione - nullita' della notificazione - costituzione della parte - sanatoria della nullita' - principio generale ex art. 156 cod. proc. civ.. La nullita' della notificazione del ricorso per cassazione eseguita in luogo diverso da quello eletto o (come nella specie) dichiarato nell'istanza di notifica della sentenza impugnata e' sanata dalla costituzione della parte, secondo il principio generale, applicabile anche al giudizio di legittimita', dettato dall'art. 156, secondo comma, cod. proc. civ.. Corte di Cassazione civile - Sezione V - sentenza Sentenza del 18/10/2002 n. 14795
La regola della riduzione alla metà di tutti i termini processuali - i termini di notificazione. La giurisprudenza amministrativa si è ormai consolidata nel senso che la regola della riduzione alla metà di tutti i termini processuali per i giudizi riguardanti le materie considerate dall’art. 23 bis della legge n. 1034, è derogata soltanto per il termine di notificazione del ricorso in primo grado, non anche per quello di deposito del medesimo (Cons. St., Sez. V, 18 marzo 2002, n. 1559). Il dubbio che la identica regola non sia dettata per il deposito dell’atto di appello non merita di essere condiviso. E’ sufficiente osservare che, per le materie di cui all’arte 23 bis della legge n. 1034 del 1971, diversamente da quanto prescritto per la proposizione del ricorso di primo grado, il termine per la proposizione l’appello è, dalla stessa disposizione (comma 7), dimidiato rispetto al termine ordinario, se decorrente dalla notificazione, e ridotto a centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza di primo grado. Se la detta abbreviazione si deve necessariamente applicare alla notificazione, non vi è motivo di ritenere che per il deposito sia consentito avvalersi del termine ordinario (in senso conforme Cons. St., Sez. V, 15 febbraio 2002, n. 919). Consiglio di Stato, sez. V, 18 ottobre 2002, n. 5770
Il divieto di nuove prove in appello non concerne l’ipotesi in cui la nuova documentazione è intesa a consentire la verifica dell’esattezza della pronuncia resa dal primo giudice. Il divieto di nuove prove in appello non concerne l’ipotesi in cui la nuova documentazione è intesa a consentire la verifica dell’esattezza della pronuncia resa dal primo giudice (cfr., in termini, Cons. Stato, V Sez., 15 novembre 1999 n. 1899). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5732
La procura speciale al difensore - l'entrata in vigore della L. 27 maggio 1997 n. 141 - la modifica al comma 3 dell'art. 83 Cod. proc. civ. - la procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su un foglio separato, che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce - la finalità - i requisiti della procura ad litem - l'interpretazione giuridica del nuovo precetto. In base alla norma processuale di cui all'art. 83 Cod. proc. civ., in particolare il comma 3, la procura speciale può essere apposta in calce o a margine del ricorso, con la finalità di conferire al difensore il potere di agire in giudizio nell'interesse della parte, e di dare alla controparte, la giuridica certezza della riferibilità dell'attività da questo svolta al titolare della posizione sostanziale controversa. Si evidenzia, cosi, la ragione dell'attribuzione al difensore dell'eccezionale potere certificatorio di autenticare la sottoscrizione della procura, in ragione della necessità di stabilire un preciso ed indubitabile collegamento tra gli atti cui la stessa si riferisce (primo fra tutti il ricorso) ed il titolare della posizione sostanziale fatta valere in giudizio. Tale potere certificatorio è, tuttavia, riconosciuto soltanto nell'ipotesi in cui la procura sia posta in calce o a margine degli atti cui normalmente si riferisce, cioè quelli espressamente indicati dalla norma testè richiamata, ovvero su un foglio allegato che faccia corpo unico con uno di questi. Si è ritenuta, di conseguenza, la nullità della procura autenticata dal difensore, rilasciata su foglio staccato dall'atto processuale cui si riferisce (o legato allo stesso da una mera spilletta) senza arrivare a fare un corpo unico con esso, non assolvendo alla funzione sopra richiamata di fornire la giuridica certezza della riferibilità dell'attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa. (cfr. Cass. SS.UU. 22 novembre 1994 n. 9869, in Cons. Stato 1995, II, 653). Con l'entrata in vigore della L. 27 maggio 1997 n. 141 è stata introdotta una modifica al comma 3 dell'art. 83 Cod. proc. civ., che ha stabilito che la procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su un foglio separato, che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce. La novella così introdotta dal legislatore, integrando il testo dell'art. 83 Cod. proc. civ., ha, pertanto, individuato i requisiti della procura speciale. La norma che, in base all'art. 3, risulta applicabile nella sua nuova configurazione anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, può trovare, quindi, applicazione nel giudizio in esame. La disposizione è stata, peraltro, oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali, che hanno fornito un'interpretazione del nuovo precetto che consente di assicurare, caso per caso, quel collegamento tra l'atto processuale, l'autore della procura ed il difensore incaricato di rappresentare la parte in giudizio, che è sempre a fondamento della funzione della procura speciale, cosi come chiarito dalla Cassazione nella pronuncia richiamata. E' stato, quindi, affermato come, pur a seguito dell'entrata in vigore della modifica dell'art. 83 del Cod. proc. civ., “la procura al difensore si considera apposta in calce alla citazione o al ricorso anche se rilasciata su foglio separato, che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce. Tale ipotesi ricorre allorché la pagina finale del ricorso sottoscritta fino all'ultimo rigo non consente l'inserimento della procura nello stesso foglio, rendendo pertanto necessario l'impiego di un foglio aggiunto, spillato al precedente e collegato ad esso dalla numerazione progressiva delle pagine ed impiegato per scrivere la procura nei primi righi utili formando un corpo unico con il ricorso che precede” (Cass. civ., II Sez., 13 maggio 1998 n. 4810). Allo stesso modo, si è ancora precisato che il necessario nesso di riferimento della procura speciale al ricorso cui accede, esige una serie indiscutibile di elementi che assicurino detto collegamento: a tal fine non sono richieste formule sacramentali o particolarmente dettagliate, e, tuttavia, non possono mancare espressioni e condizioni che rivelino inequivocabilmente che la procura è riferita al ricorso. (Nel caso di specie, la procura ad litem risulta redatta su foglio separato e solo sottoscritta dalla parte ricorrente. Il foglio, privo di numerazione, risulta poi inserito nel fascicolo e contiene la sola firma dell’originario ricorrente e la data di redazione. Appare chiaro, pertanto, che detto foglio contenente la procura ad litem non può ritenersi parte integrante del ricorso cui pretende di accedere. Di conseguenza, pur tenendo conto della novella introdotta all'art. 83 Cod. proc. civ., trattandosi di procura che, per le peculiarità sin qui evidenziate, non può considerarsi “materialmente” congiunta con il ricorso nel senso indicato dal legislatore e meglio chiarito dalla giurisprudenza sopra richiamata, la stessa deve considerarsi nulla, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5730 (vedi: sentenza per esteso)
La motivazione dell'atto amministrativo - la funzione - l'attività amministrativa vincolata - i presupposti di fatto e di diritto per l'adozione. E’ principio pacifico quello secondo il quale la motivazione dell'atto amministrativo assolve la funzione di rendere palesi le ragioni che hanno indotto l'Amministrazione ad adottarlo al fine di consentire il successivo ed eventuale sindacato di legittimità; peraltro, quando l'attività amministrativa è vincolata, tale funzione deve considerarsi assolta se il provvedimento indichi con precisione i presupposti di fatto e di diritto la cui presenza o la cui mancanza ne hanno reso necessaria l'adozione, senza che occorrano ulteriori e più ampie argomentazioni rivolte, in particolare, a confutare analiticamente le deduzioni svolte dalle parti interessate (cfr. per tutte Cons. Giust. Sic. 25 gennaio 1988 n. 9). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5730 (vedi: sentenza per esteso)
Gli atti di controllo - funzioni - natura non discrezionale. E' principio pacifico che gli atti di controllo, proprio perché posti in essere in veste “neutra” ed al solo fine di verificare la legittimità dei provvedimenti, non hanno natura discrezionale. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5730 (vedi: sentenza per esteso)
La notificazione dell’appello a più parti presso l’unico procuratore o domiciliatario - decisione in forma semplificata - la consegnata delle copie - ricorso collettivo. Il Collegio, integralmente richiamata la motivazione della predetta pronunzia -valendosi della facoltà di decisione in forma semplificata prevista dall’articolo 26, ultimo comma della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, come sostituito dall’articolo 9 della l. 21 luglio 2000, n. 205- conferma il principio ivi enunciato per cui, ai sensi dell’articolo 330 cod. proc. civ., la notificazione dell’appello a più parti presso l’unico procuratore o domiciliatario va effettuata mediante consegna di tante copie quante sono le parti contro le quali l’impugnazione è diretta, pena l’inesistenza della notificazione stessa; pertanto l’appello è inammissibile nel caso in cui sia stata consegnata una sola copia di esso al difensore dei ricorrenti in primo grado, essendovi obiettiva incertezza circa l’identità della parte appellata. Non appaiono, infatti, decisivi gli argomenti che vengono portati a fondamento del contrario indirizzo, che pure in passato ha trovato parziale seguito nella giurisprudenza di questo Consiglio (Sez. V, 3 giugno 1996, n. 610; Sez. IV, 12 dicembre 1997, n. 1413), che ritiene sufficiente la notificazione di unica copia del ricorso in appello al procuratore di più parti quando le stesse avessero proposto in primo grado un ricorso collettivo.A tale riguardo può osservarsi che: - il ricorso collettivo postula pur sempre la presenza di una pluralità di parti in giudizio, non potendosi considerare come proposto da un’unica parte soggettivamente complessa; - non appare utilmente richiamabile il principio per cui non può mai pronunziarsi la nullità della notificazione del ricorso introduttivo del grado di giudizio qualora l’atto abbia raggiunto lo scopo cui era destinato; la notificazione del gravame in unica copia ad una pluralità di parti che abbiano proposto in primo grado un ricorso collettivo, infatti, non è idonea ad assolvere lo scopo tipico dell’atto perché determina un’oggettiva ed insuperabile situazione di incertezza circa l’effettivo destinatario giuridico della notifica, incertezza che non verrebbe meno neppure a seguito della costituzione, in sede di gravame, di tutti le controparti. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5729
La domanda di risarcimento del danno - inaccoglibilità - indispensabile il requisito dell’annullamento degli atti amministrativi presupposti. Inaccoglibile si appalesa la domanda di risarcimento del danno difettando l’indispensabile requisito dell’annullamento degli atti amministrativi presupposti (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 18 marzo 2002, n. 1562; sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 952; sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6281; sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4082). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714 (vedi: sentenza per esteso)
Giudizio definito con sentenza succintamente motivata quando il giudice ravvisa la manifesta irricevibilità del ricorso. Ritenuto che il presente giudizio può essere definito con sentenza succintamente motivata, ai sensi dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, così come novellato dall’art. 9, comma 1, primo periodo, della legge 21 luglio 2000, n.205; Ritenuto che, quando il giudice ravvisa la manifesta irricevibilità del ricorso, è possibile pronunciare sentenza succintamente motivata anche quando si tratta di causa trattata in udienza pubblica (v. Cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 2001, n.268). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5706
Notificazioni (cod. proc. pen. 1988) - forma - forme particolari - avviso al difensore della udienza di cui all'art. 309, comma 8, cod. proc. pen. - notificazione a mezzo fax - validità - contrasto di giurisprudenza. In tema di riesame, è valida ed efficace la notificazione dell'avviso della udienza camerale (ex art. 309, comma 8, cod. proc. pen.) al difensore dell'imputato effettuata nelle forme previste dall'art. 150 cod. proc. pen., a mezzo fax, quando la trasmissione del messaggio inviato al numero di utenza fornito dallo stesso difensore risulti confermata dall'apparecchio trasmittente; in tal caso compete al destinatario del messaggio, nella specie al difensore, addurre le ragioni della mancata ricezione, le quali comunque non possono validamente consistere nell'inosservanza delle regole idonee a garantire l'efficienza dell'apparecchio. Corte Cassazione, Sez. VI, del 17.10.2002, Sent. n. 34860
La manifesta infondatezza del ricorso ravvisata dal giudice - sentenza succintamente motivata. Quando il giudice ravvisa la manifesta infondatezza del ricorso, è possibile pronunciare sentenza succintamente motivata anche quando si tratta di causa trattata in udienza pubblica (v. Cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 2001, n.268) Consiglio di Stato Sezione IV, 16 ottobre 2002 n. 5651
Le controversie in materia di esistenza od estinzione di un diritto esclusivo di pesca appartengono alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Le controversie in materia di esistenza od estinzione di un diritto esclusivo di pesca appartengono alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche (v. Cass., sez. un., 28 aprile 1993, n.4994, che configura la giurisdizione del Tribunale superiore come giurisdizione esclusiva sul rapporto, tale da non implicare la necessità di impugnazione del provvedimento amministrativo. Consiglio di Stato Sezione IV, 16 ottobre 2002 n. 5651
Rogatorie - rapporti giurisdizionali con autorità straniere (cod. proc. pen. 1988) all'estero - Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 - trasmissione diretta della rogatoria all'autorità elvetica - legittimità - orientamento di giurisprudenza. In tema di rogatorie internazionali, è ammissibile, perchè conforme alle norme convenzionali richiamate dall'art. 696, comma 1, c.p.p. ed in particolare alle prassi instauratesi sulla base di dette convenzioni - richiamate dall'art. 31, par. 3, lett. b) della Convenzione Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969, ratificata con legge 12 febbraio 1974, n. 112 - la trasmissione diretta della rogatoria tra autorità giudiziarie di Stati aderenti alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, ancorchè non facenti parte della cooperazione in ambito Schengen (nella specie, la Svizzera), al di là dei limiti fissati dall'art. 15 di tale convenzione, che tuttavia non riguardano le richieste di indagini preliminari, tra le quali si pone anche la richiesta di sequestro probatorio per le quali è prevista in ogni caso la possibilità di comunicazione diretta. Corte di Cassazione, Sez. I, del 15.10.2002, Sent. n. 34576
Conflitto tra il diritto comunitario direttamente applicabile e quello nazionale interno - disapplicazione della norma interna incompatibile. L'eventuale conflitto tra il diritto comunitario direttamente applicabile e quello interno, proprio perché suppone un contrasto tra quest'ultimo con una norma prodotta da una fonte esterna avente un proprio regime giuridico e abilitata a produrre diritto nell'ordinamento nazionale entro un proprio ambito di competenza, non dà luogo a ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest'ultima ..." (Cfr. Corte Cost. n. 389 del 11.07.1989, in Foro ital. 1991, I, p. 1076; analogamente Corte Cost. n. 170 del 5.06.1984, in Foro It., 1984, I, p. 2062). Tribunale di Udine Ordinanza 14 ottobre 2002 (vedi: sentenza per esteso)
La dichiarazione della cessazione della materia del contendere - demolizione nelle more del giudizio di 1° grado di un muretto di sostegno di una roulotte - il presupposto della volontaria (parziale) demolizione effettuata. La circostanza che gli interessati (avverso della sentenza hanno proposto appello, sostenendo che per effetto della demolizione effettuata, nelle more del giudizio di 1° grado, del muretto di sostegno la roulotte poggiava direttamente sul terreno e di conseguenza era venuto meno il carattere di stabilità dell'opera, per cui il TAR avrebbe dovuto dichiarare la cessazione della materia del contendere non essendovi alcunchè da demolire) abbiano demolito nelle more del giudizio di 1° grado il muretto di sostegno della roulotte è aspetto che non incide sulla legittimità dell'impugnato ordine di demolizione, il quale anzi costituisce il presupposto della volontaria (parziale) demolizione effettuata. Per cui il TAR non poteva dichiarare la cessazione della materia del contendere, che invece persisteva. Consiglio di Stato Sezione V, 11 ottobre 2002 n. 5503
Prove - mezzi di ricerca della prova - sequestri - restituzione - procedimento - decisione del gip a seguito di parere del pm - atto abnorme - sussistenza - contrasto di giurisprudenza. In tema di procedimento per la restituzione delle cose sequestrate (art. 263 cod. proc. pen.), non è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari provveda - a seguito di parere negativo espresso dal Pubblico Ministero - su una richiesta di restituzione di cose sottoposte a sequestro probatorio, in quanto il parere negativo, irritualmente espresso dal PM, è assimilabile al decreto di rigetto previsto dall'art. 263, comma 4, cod. proc. pen. che precede il provvedimento del giudice, purchè quest'ultimo non sia adottato de plano ma in esito all'udienza camerale di cui all'art. 127 cod. proc. pen.. Corte Cassazione, Sez. VI, del 7.10.2002, Sent. n. 33393
Il computo del termine - la scadenza del termine perentorio di impugnazione - sciopero - improrogabilità del termine. La norma contenuta nel primo comma dell’art.155 c.p.c. (e analogamente nel secondo comma dell’art.2963 c.c.), secondo cui se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo, deve ritenersi costituire eccezione alla regola generale secondo cui i termini si calcolano secondo il calendario comune, non computando il giorno iniziale, ma quello finale (dies a quo non computatur … dies ad quem computatur). Nessuna norma prevede la possibilità di prorogare al giorno successivo la scadenza del termine perentorio di impugnazione nel caso di sciopero dei dipendenti dell’Autorità emanante. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5374
Il termine per la proposizione dell'appello avverso la sentenza del tribunale amministrativo regionale pronunciata nei giudizi. L’art. 23 bis L. n. 1034 del 1971 e succ. modif. (le cui disposizioni ai sensi del comma 1 si applicano tra l’altro nei giudizi aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti, nonché quelli relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle predette opere) così recita al comma 7: “ Il termine per la proposizione dell'appello avverso la sentenza del tribunale amministrativo regionale pronunciata nei giudizi di cui al comma 1 è di trenta giorni dalla notificazione e di centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza”. Consiglio di Stato Sezione IV, 9 ottobre 2002, n. 5369
Configurazione di un mero atto preparatorio - gli estremi di un atto autonomamente lesivo e autonomamente impugnabile - legittimazione ad impugnare da parte dell'Associazione nazionale Italia Nostra Onlus i provvedimenti amministrativi lesivi dei valori ambientali e culturali. L’Associazione nazionale Italia Nostra Onlus è certamente legittimata ad agire in giudizio non solo per la tutela degli interessi ambientali in senso stretto (che possono essere individuati negli aspetti fisico - naturalistici di una certa zona o di un certo territorio), bensì anche per quelli ambientali in senso lato, comprendenti proprio la conservazione e valorizzazione dei beni culturali, dell’ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale e naturale, dei monumenti e dei centri storici e della qualità della vita, intesi tutti come beni e valori ideali idonei a caratterizzare in modo originale, peculiare e irripetibile un certo ambito geografico e territoriale rispetto ad ogni altro ambito geografico e territoriale e pertanto capaci di assicurare ad ogni individuo che entra in contatto con tale ambito una propria specifica utilità che non può essere assicurata da un altro ambiente (è significativo in tal senso, ad avviso della Sezione, il puntuale riferimento statutario proprio alla tutela, conservazione e valorizzazione dei paesaggi urbani, rurali e naturali e della qualità della vita). Sotto tale prospettiva l’Associazione Nazionale Italia Nostra Onlus è sicuramente legittimata ad impugnare quei provvedimenti amministrativi capaci di ledere immediatamente o di esporre a pericolo i ricordati valori e di privare conseguentemente l’individuo delle relative utilità, con la ovvia precisazione che tale legittimazione, del tutto eccezionale, è concorrente con quella normalmente facente capo ai singoli soggetti ed è finalizzata a rendere quanto più effettiva e puntuale possibile la tutela di tali beni e valori. Infatti, non può considerarsi mero atto preparatorio il provvedimento con il quale la Pubblica Amministrazione provveda in una determinata istanza, sebbene proveniente da altra amministrazione, intervenendo sugli assetti degli interessi in gioco, li configuri in maniera diversa da quella preesistente, ciò integrando gli estremi di un atto autonomamente lesivo e autonomamente impugnabile; l'atto preparatorio è diverso dall'atto presupposto, non avendo il primo, per sua stessa natura, valore provvedimentale e carattere lesivo. (In specie l'Associazione Italia Nostra Onlus è stata legittimata ad impugnare provvedimenti amministrativi lesivi dei valori ambientali ed in particolare il provvedimento con il quale la Provincia Autonoma di Bolzano ha autorizzato la demolizione dell'edificio sede dell'ex tribunale di Monguelfo, rimuovendo il vincolo ex lege esistente ai sensi degli artt.2 e 5 D.Lgs. n. 490/1999, è carente di motivazione, non riportando alcuna menzione del parere, favorevole o contrario, del Sovrintendente per i Beni Ambientali della provincia di Bolzano, cui spetta ai sensi della L.P. 12 giugno 1975, n. 26 la tutela dei beni storici, artistici e popolari della Provincia). Giova del resto segnalare che la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, proprio in relazione al problema della legittimazione ad agire in giudizio dell’Associazione Italia Nostra, che quest’ultima è legittimata ad agire per la salvaguardia di interessi latu sensu ambientali, dovendo ascrivere al novero di tali interessi anche la salvaguardia di beni e complessi monumentali di interesse storico - artistico, tutelati ai sensi della legge n. 1089 del 1° giugno 1939, oltre che, più in generale, la salvaguardia dei centri storici (C.d.S., sez. V, 5 novembre 1999 n. 1841); più recentemente sostanzialmente nello stesso senso è stato affermato che ai sensi degli articoli 13 e 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349 le associazioni ambientalistiche sono legittimate ad impugnare le deliberazioni comunali nel caso in cui, pur presentando aspetti urbanistici e sanitari, sono suscettibili di pregiudicare il bene dell’ambiente, compromettendone l’adeguata tutela (C.d.S., sez. I, parere 1217/2001 del 23 gennaio 2002). Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5365 (vedi: sentenza per esteso)
Differenza tra atto preparatorio e atto presupposto. Non può considerarsi mero atto preparatorio il provvedimento con il quale la Pubblica Amministrazione provveda in una determinata istanza, sebbene proveniente da altra amministrazione, intervenendo sugli assetti degli interessi in gioco, li configuri in maniera diversa da quella preesistente, ciò integrando gli estremi di un atto autonomamente lesivo e autonomamente impugnabile; l'atto preparatorio è diverso dall'atto presupposto, non avendo il primo, per sua stessa natura, valore provvedimentale e carattere lesivo. Consiglio di Stato, sezione V, 9 ottobre 2002, n. 5365 (vedi: sentenza per esteso)
Ipotesi di sospensione del giudizio amministrativo in attesa della definizione di un giudizio civile pregiudiziale - cessata la causa di sospensione non occorre un atto di riassunzione - l’istanza di fissazione d’udienza è sufficiente ad impedire la perenzione del ricorso. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nell’ipotesi di sospensione del giudizio amministrativo in attesa della definizione di un giudizio civile pregiudiziale, ai fini della prosecuzione della causa, una volta cessata la causa di sospensione, non occorre un atto di riassunzione, non previsto dal processo amministrativo, essendo sufficiente la presentazione di un’istanza di fissazione d’udienza, sufficiente ad impedire la perenzione del ricorso. (C.d.S., sez. IV, 14 luglio 1997 n. 706; 14 aprile 1998 n. 610). Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5364
Il mantenimento nel rito abbreviato del termine ordinario per la notificazione del ricorso (anche incidentale) - l’interesse pubblico - il dimezzamento dei termini processuali previsto dall’art. 23 bis legge n. 1034 del 1971 si applica anche al termine per il deposito del ricorso di primo grado - i presupposti per la rimessione. Il mantenimento nel rito abbreviato del termine ordinario per la notificazione del ricorso (anche incidentale) risponde soprattutto all’esigenza di assicurare al soggetto inciso dal provvedimento amministrativo o al notificatario del ricorso principale, che non dispongono ancora di un difensore, un “congruo margine di valutazione” (Corte cost. 10.11.1999 n. 427) e quindi un ragionevole lasso di tempo per organizzare la propria, eventuale iniziativa processuale. Ma, una volta notificato il ricorso col patrocinio obbligatorio di un legale, questa esigenza di particolare tutela della parte sostanziale è destinata a recedere, a fronte dell’interesse pubblico ad una sollecita definizione delle controversie sottoposte al rito abbreviato. Deve dunque concludersi che il dimezzamento dei termini processuali previsto dall’art. 23 bis legge n. 1034 del 1971 si applica anche al termine per il deposito del ricorso di primo grado. Essendo tale assunto del tutto in linea con quanto sin qui costantemente ritenuto dalla concorde giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (in tal senso di rinvia alle recenti decisioni V Sez. 31.5.2002 n. 3043, VI Sez. 8.4.2002 n. 1906, Csi. 5.4.2002 n. 183 - quest’ultima circolante con erronea massimazione -, Csi. 12.6.2001 n. 287, IV Sez. 28.8.2001 n. 4562 e IV Sez. 29.8.2001 n. 4570) non sussistono i presupposti per la rimessione della causa alla Adunanza Plenaria. In tal senso, la circostanza che la Sezione con ord.za 10.1.2002 n. 122 abbia deferito alla Adunanza Plenaria la questione relativa al termine di deposito del ricorso (principale ) in appello non appare significativa. In disparte il rilevo che come è noto l’Adunanza ha poi riconosciuto l’applicabilità del dimezzamento anche al termine suddetto (Ap. 31.5.2002 n. 5), sta di fatto che il dubbio allora prospettato - comunque non condiviso dall’orientamento giurisprudenziale prevalente, come si desume da Sez. V 15.2.2002 n. 919 nonchè dalla motivazione della citata CSi. n. 183 del 2002 - riguardava esclusivamente il regime dell’appello, per la cui “proposizione” l’art. 23 bis reca, come si è visto, una specifica disciplina al comma 7. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5363 (vedi: sentenza per esteso)
L’applicabilità della regola generale sul dimezzamento dei termini processuali - esclusione - disciplina acceleratoria - termine di adempimento per la proposizione dell’appello - la deroga alla regola del dimezzamento dei termini. La applicabilità della regola generale sul dimezzamento dei termini processuali va esclusa nel caso in cui nell’ambito della stessa disciplina acceleratoria è prevista una disposizione che introduce uno specifico termine di adempimento: il che è quanto avviene al comma 7 dell’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971 ove per la proposizione dell’appello si prevede un termine lungo "speciale" di 120 giorni. La deroga alla regola del dimezzamento dei termini prevista dall’art. 4 comma 2 legge n. 205 del 2000 per la proposizione del ricorso principale non può non trovare applicazione, pena in caso diverso la sua incostituzionalità, anche per il ricorso incidentale, trattandosi nell’uno e nell’altro caso di posizioni di contestazione del provvedimento - o in secondo grado della sentenza - che vanno tutelate in maniera omogenea. (VI Sez. 27.3.2001 n. 1807 e da ultimo, con riferimento all’appello, Ap. 31.5.2002 n. 5). La tardività del deposito del ricorso incidentale di primo grado non rientra nell’ambito delle eccezioni in senso proprio o stretto alle quali soltanto si riferisce il divieto di proposizione ex novo in appello introdotto dal nuovo testo dell’art. 345 comma secondo cod. proc. civ.. (cfr. IV sez. 11.4.2002 n. 1977). In effetti, la cosiddetta eccezione in rito è in realtà una mera difesa, mediante la quale la parte sollecita l’esercizio di poteri officiosi del giudice ed è noto che il giudice d'appello può controllare d'ufficio l'ammissibilità del ricorso di primo grado ove il T.A.R. non abbia espressamente esaminato e risolto, con esito positivo o negativo, tale specifica questione preliminare. (cfr. ad es. Csi 26.4.1996 n. 115 e V Sez. 13.7.1994 n. 753). Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5363 (vedi: sentenza per esteso)
La congruità dei termini processuali nel rito abbreviato. Non potendosi ritenere che il rito abbreviato comprima oltre i limiti di ragionevolezza e di effettività il diritto alla difesa, dovendo del resto la congruità dei termini processuali essere valutata non solo in rapporto alle esigenze di chi ha l’onere di osservarli ma anche con riguardo alla funzione - rapida definizione delle controversie in settori particolarmente delicati della vita amministrativa - cui detti termini assolvono. (cfr., con riferimento al rito dettato per le opere pubbliche dall’art. 19 DL n. 67 del 1997, la citata Corte cost. 10.11.1997 n. 427). Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5363 (vedi: sentenza per esteso)
La giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cass. civ. - in tema di rimessione in termine per scusabilità dell’errore. In generale la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, differenziandosi dal restrittivo indirizzo sostenuto dalla Suprema Corte in tema di rimessione in termine ( cfr. fra le recenti Cass. civ. 5.7.2001 n. 9090, fra le risalenti Cass. civ. 14.12.1988 n. 6811), riconosce tendenzialmente la scusabilità dell’errore nel caso in cui il mancato rispetto di un termine processuale sia imputabile all’U.G. ( cfr. Ap. 3.7.1997 n. 11). Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5363 (vedi: sentenza per esteso)
L’azione di esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato - la diffida ad adempiere quale indispensabile presupposto processuale - disciplina del giudizio di ottemperanza - deposito del ricorso - necessità di notifica - la pienezza del contraddittorio. In mancanza, di un’espressa previsione normativa che estenda anche all’azione di esecuzione delle sentenze di primo grado, non sospese dal Consiglio di Stato, la puntuale disciplina del giudizio di ottemperanza, la Sezione è dell’avviso che l’azione di esecuzione delle sentenze non sospese non può ritenersi correttamente introdotta con il solo deposito del ricorso nella segreteria del giudice adito, in quanto tale modalità introduttiva del giudizio non consente la corretta e completa instaurazione del contraddittorio, dovendo limitarsi il segretario del giudice adito a comunicare all’amministrazione intimata solo l’avvenuto deposito del predetto ricorso. Tale modalità, che ben si giustifica in presenza di un giudicato che ha già fissato l’assetto definitivo degli interessi, pubblici e privati, coinvolti, così che è ragionevole richiedere all’amministrazione intimata solo di presentare memorie per far conoscere al giudice adito l’attività intrapresa ai fini dell’esecuzione e per fare il punto sulla eventuale attività sostitutiva da svolgere, non può ritenersi ragionevole nel caso di esecuzione di sentenze non sospese, ove invece bisogna assicurare la pienezza del contraddittorio onde consentire all’amministrazione di svolgere adeguatamente le proprie difese proprio per la delicatezza della fase in atto, in cui gli assetti pubblici e privati in gioco, che sono ancora in itinere, devono essere salvaguardati al fine di conservarli per quanto possibile integri ed effettivi per la concreta attuazione della decisione finale. Pertanto il ricorso per l’esecuzione di una sentenza non sospesa dal Consiglio di Stato deve essere notificato, secondo le modalità proprie del procedimento ordinario, proprio per consentire all’amministrazione intimata di poter svolgere adeguatamente e completamente le proprie difese. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5352 (vedi: sentenza per esteso)
Giudizio di ottemperanza - impugnazione per erronea convinzione della mancata costituzione in giudizio - la violazione del termine - conseguenze di procedura o di forma - l’ambito di efficacia dell’esecutività della sentenza di primo grado non sospesa non coincide con l’area del giudicato. La violazione del termine di venti giorni entro cui l’amministrazione intimata nel giudizio di ottemperanza può presentare le proprio osservazioni non implica alcuna decadenza in ordine alla costituzione in giudizio, che può avvenire in qualsiasi momento fino a quando la causa non viene trattenuta in decisione. Del tutto erroneamente quindi il Tribunale, come risulta dall’epigrafe della sentenza impugnata, ha dichiarato non costituito in giudizio il Comune di Varese. Tale errore non si esaurisce in un mero lapsus calami, ma si riflette sulla sentenza impugnata, che, essendo stata deliberata nell’erronea convinzione della mancata costituzione in giudizio del Comune di Varese e senza esaminarne le relative deduzioni difensive, ha violato i fondamentali principi del diritto di difesa e del contraddittorio che non possono soffrire compressioni né in ragione del rito (camera di consiglio), né in ragione della materia (esecuzione delle sentenza non sospese, ai sensi dell’articolo 33 della legge 6 dicembre 1971 n. 1074). Esso, tuttavia, non costituisce vizio di procedura o di forma cui si ricollega, ai sensi dell’articolo 35 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, l’annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice (C.d.S., sez. V, 23 maggio 1997 n. 543), ma impone al giudice di appello di esaminare direttamente la controversia nel merito, tenendo ovviamente conto anche delle tesi difensive prospettate dalla parte erroneamente dichiarata non costituita in giudizio. L’ambito di efficacia dell’esecutività della sentenza di primo grado non sospesa non coincide con l’area del giudicato. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5352 (vedi: sentenza per esteso)
L’azione di esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato - obbligo della diffida ad adempiere. Deve peraltro aggiungersi che proprio per le finalità che essa intende perseguire, anche l’azione di esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato non può non essere preceduta dalla diffida ad adempiere, sulla falsariga di quanto avviene per il giudizio di ottemperanza, dovendosi attraverso essa raggiungersi la ragionevole prova dell’inadempimento dell’amministrazione, almeno attraverso la qualificazione del suo comportamento inerte o omissivo. Nel caso di specie tale indispensabile presupposto processuale è mancato. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5352 (vedi: sentenza per esteso)
Annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice - vizio di procedura o di forma - giudice di appello - le tesi difensive prospettate dalla parte erroneamente dichiarata non costituita in giudizio. Non costituisce vizio di procedura o di forma cui si ricollega, ai sensi dell’articolo 35 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, l’annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice (C.d.S., sez. V, 23 maggio 1997 n. 543), ma impone al giudice di appello di esaminare direttamente la controversia nel merito, tenendo ovviamente conto anche delle tesi difensive prospettate dalla parte erroneamente dichiarata non costituita in giudizio. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5352 (vedi: sentenza per esteso)
Necessità di notifica ad almeno uno dei controinteressati - criteri d’individuazione. La posizione qualificata e differenziata delle persone in questione e la loro agevole identificabilità, sono i due elementi in base ai quali è rilevabile la presenza di controinteressati in senso processuale, insieme a quello, dell’acquisizione di una situazione di vantaggio dal provvedimento impugnato (conf. IV Sez. n. 112 del 10.1.2002; C. si. n. 558 del 2.11.2001; IV, n. 4627 del 3.9.2001; V, n. 1806 del 17.12.1998). Ad essi, o ad almeno uno di loro a pena d’inammissibilità, doveva essere notificato il ricorso introduttivo: art. 21, comma 1, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Consiglio di Stato, sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5332
La rilevabilità del difetto di giurisdizione in appello deve essere, coordinata col sistema delle impugnazioni - appello incidentale. La rilevabilità del difetto di giurisdizione in appello deve essere, coordinata col sistema delle impugnazioni: essa è pertanto preclusa in assenza di appello incidentale, che abbia posto nuovamente in discussione la statuizione del primo giudice. Si è, in altre parole, formato il giudicato interno sull’espressa decisione sulla giurisdizione, non investita da specifica e rituale impugnazione (conf. Cass., SS.UU.: n. 14 del 27 gennaio 2000; n. 93 del 4 aprile 2000; n. 6149 del 30 maggio 1991; C.d.S.: IV Sez., n. 621 del 14 aprile 1998; V Sez., n. 1040 del 15 luglio 1998; IV Sez. 978 del 25 novembre 1991). Consiglio di Stato, sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5332
Il decorso del termine breve per proporre appello avverso la notifica della sentenza. La notificazione della sentenza di primo grado, (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 febbraio 2000, n.950), una volta eseguita, determina il decorso del termine breve per proporvi appello nei riguardi non solo della parte notificataria, ma anche del notificante in ordine ai capi decisi a suo sfavore e, nell’ipotesi di più notificazioni, tale termine decorre dalla prima di esse. Consiglio di Stato, sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5280
La possibilità del giudice amministrativo di pronunciarsi su questioni di diritto “incidenter tantum” non è illimitata - situazioni di diritto soggettivo - rilascio della concessione edilizia - titolo di proprietà - esibizione dell’atto notarile. La possibilità del giudice amministrativo di pronunciarsi su questioni di diritto “incidenter tantum” non è illimitata, esulando dalla sua competenza l’esame delle situazioni di diritto soggettivo che non implichino una semplice indagine incidentale sui presupposti di fatto e di diritto del provvedimento impugnato, ma rendano necessaria - come nella fattispecie - una pronuncia giurisdizionale definitiva. Sulla base di tale condiviso presupposto, va anche ribadita la legittimità dell’operato del Sindaco in quanto questi in sede di rilascio della concessione edilizia non è tenuto a svolgere complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà del richiedente, essendo sufficiente l’esibizione di un titolo che formalmente abiliti al rilascio dell’autorizzazione, facendo ovviamente salvi i diritti dei terzi. E questo è accaduto nella fattispecie in cui il Sindaco ha rilasciato l’autorizzazione sulla base dell’esibizione da parte del controinteressato-richiedente di un atto notarile, rimanendo impregiudicata per gli attuali appellanti l’azione giudiziaria davanti al competente giudice circa l’effettiva proprietà della strada. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5165
Distinzione tra la cessata materia del contendere - e la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del gravame - dichiarazione dell’appellante. Davanti alla dichiarazione dell’appellante che rappresenta, nelle more della fissazione dell’udienza di discussione, la cessata materia del contendere; è chiede, pertanto, di darsene atto, il collegio ha ritenuto, non essendo stati offerti, né indicati, elementi probatori atti a supportare la cessazione della materia del contendere, che non può darsi corso ad una pronuncia in tal senso. Non di meno, la dichiarazione anzidetta è indice della sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del gravame, con la conseguenza che l’appello deve essere, in ogni caso, dichiarato improcedibile. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5161
Il criterio più sicuro per individuare un “collegio perfetto” è costituito dalla previsione, in aggiunta ai componenti effettivi, di componenti supplenti. E’ condiviso il principio, per cui, nel silenzio della legge, il criterio più sicuro per individuare un collegio perfetto è costituito dalla previsione, in aggiunta ai componenti effettivi, di componenti supplenti (Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 1997, n.1100), potendosi agevolmente trarre, solo in questa ipotesi, il convincimento circa l’univoca volontà del legislatore che il valido funzionamento dell’organo richieda la presenza di tutti i membri del collegio. Consiglio di Stato, sezione V, 1 ottobre 2002, n. 5139 (vedi: sentenza per esteso)
Azione penale (cod. proc. pen. 1988) - querela - dichiarazione e forma - mancata identificazione del proponente - invalidità - orientamento di giurisprudenza - costituzione di parte civile. La mancata identificazione del soggetto che presenta la querela, da parte dell'autorità che la riceve, non genera invalidità dell'atto allorchè risulti altrimenti certo che il proponente è il soggetto legittimato a proporla. (Nella specie la Corte ha ritenuto che la certezza della provenienza della querela fosse assicurata dalla conseguente rituale costituzione di parte civile). Corte di Cassazione, Sez. Feriale, del 27.9.2002 Sent. n. 32190
La responsabilità delle procedure d’appalto dei dirigenti (oltre alla presidenza delle relative Commissioni valutatrici) - la verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara - la responsabilità piena del funzionario. Come ritenuto, in più occasioni, dalla Sezione, infatti, l’art. 6, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, ha novellato l’art. 51 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nel senso di rimettere ai dirigenti “la responsabilità delle procedure d’appalto” (oltre alla presidenza delle relative Commissioni valutatrici) e la stipula dei contratti; ebbene, se è rimessa ai dirigenti la responsabilità di tali procedure, ne segue che ai medesimi compete anche il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara, a questa ricollegandosi quel perfezionamento dell’iter procedimentale al quale solo può ricollegarsi la responsabilità piena del funzionario (cfr. le decisioni della Sezione 6 maggio 2002, n. 2408; 12 aprile 2001, n. 2293; 26 gennaio 1999, n. 64). Consiglio di Stato, sezione V, 26 settembre 2002, n. 4938
La giurisdizione per controversie aventi per oggetto atti del procedimento di scelta del contraente per la realizzazione di opere in materia di acque pubbliche - poteri di cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche - sono di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di lavori. Sulla questione concernente la giurisdizione per controversie aventi per oggetto atti del procedimento di scelta del contraente per la realizzazione di opere in materia di acque pubbliche la giurisprudenza si è ripetutamente affermata nel senso dell’attribuzione al giudice amministrativo, trattandosi di provvedimenti che non incidono, se non in via indiretta, sul regime delle acque. Questo orientamento è stato di recente confermato in una vertenza attinente alla stessa procedura di gara ora in oggetto, dalla quale l’appellante era stato escluso con il provvedimento impugnato con l'attuale ricorso originario (Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 2001, n. 5006). Non è pertinente il riferimento alle due sentenze della Corte di Cassazione (SS.UU. 14 luglio 2000, n.493, e 4 agosto 2000, n.541), che il T.A.R. ha ritenuto indicative di una “interpretazione estensiva” della materia rientrante nei poteri di cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Si tratta in quei casi di controversie non concernenti gare d’appalto. Nè sono condivisibili le considerazioni basate sul disposto dell’art.6 della legge 21 luglio 2000, n.205, giacché nulla lascia intendere che nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di lavori il legislatore abbia voluto modificare la ripartizione di giurisdizione fra il complesso T.A.R. - Consiglio di Stato e il Tribunale superiore delle acque. In ogni caso, l’art.7, comma 3, della stessa legge n.205/2000 chiarisce in modo esplicito che nulla è innovato in ordine alla giurisdizione di quest’ultimo Tribunale. Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4937 nello stesso senso Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4931
Qualificazione come nuova doglianza - nuovo thema decidendum rimasto estraneo all’oggetto del primo grado del giudizio - inammissibilità - la violazione del divieto di cui all’articolo 345 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo. Anche quando venga dedotta la violazione della medesima disposizione di legge o della lex specialis della gara, la doglianza deve qualificarsi come nuova quando, modificando nel suo nucleo essenziale la prospettazione dei fatti, introduce un nuovo thema decidendum rimasto estraneo all’oggetto del primo grado del giudizio. In tal guisa l’appellante introduce per la prima volta in sede di gravame una censura nuova, come tale inammissibile perché proposta in violazione del divieto di cui all’articolo 345 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo (cfr. ex multis, sez. VI, 31 luglio 1987, n. 506; sez. V, 29 dicembre 1987, n. 833; id. 16 aprile 1987, n. 251). (Nel caso di specie nel primo grado non era mai stato dedotto, neppure mediante la proposizione di motivi aggiunti, che la percentuale indicata dalle aggiudicatarie per le voci in esame fosse inferiore a quella prescritta, né il Collegio è stato chiamato ad accertare tale fatto ed a decidere su tale specifica censura, mentre l’unica questione dedotta atteneva - come già rilevato - all’assoluta omissione dell’indicazione e valutazione di tali voci. Sicchè, l'appello va dichiarato inammissibile restando confermata per l'effetto, l'impugnata decisione). Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4926
All’interveniente adesivo non è attribuito il diritto di esercitare l’azione principale spettante ad altri soggetti - interventore” ad opponendum”. All’interveniente adesivo non è attribuito il diritto di esercitare l’azione principale spettante ad altri soggetti. Sullo specifico punto si è formato un costante indirizzo giurisprudenziale cui il Collegio ritiene di doversi attenere non sussistendo ragioni per discostarsene. In una prima fase la facoltà di appellare è stata riconosciuta soltanto alle parti necessarie del giudizio di primo grado( cfr. tra le altre Sez. V°n.397/27 aprile 1990 e n.1414/1° dicembre 1992; C.S.I. n.198/1° giugno 1993), successivamente vi è stata un’apertura nei confronti di altre parti con riguardo, però, alla posizione del solo interventore” ad opponendum” ( cfr. tra le altre Sez.V° n.456/6 maggio 1997 e n.1420/ 7 ottobre 1998) mentre l’orientamento è rimasto fermo al principio suindicato nei riguardi dell’interventore adesivo cui è stata riconosciuta la legittimazione ad impugnare solo i capi della sentenza che direttamente coinvolgono la sua posizione processuale come quelli che decidono sulla ritualità dell’intervento ovvero sulle spese( in tal senso da ultimo cfr. Sez.VI° n.20 del 3 gennaio 2000). Consiglio di Stato, sezione V, 5 settembre 2002, n. 4461
Carenza di interesse - inammissibilità del ricorso - procedibilità anche d'ufficio - mancanza dei requisiti. Il principio di diritto da applicarsi nella fattispecie - difetto di interesse della ricorrente - è relativo alla necessità di dichiarare, anche d'ufficio, inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso proposto contro l'atto di aggiudicazione di un appalto quando il ricorrente non ha comunque i titoli per risultarne aggiudicatario (cfr., in generale, Cons. Stato, V, 3 agosto 1995, n. 1159). Consiglio di Stato, sezione V, 2 settembre 2002, n. 4393
La statuizione del TAR sulle spese e sugli onorari del giudizio - potere discrezionale, il cui esercizio non richiede una diffusa motivazione. Per la costante giurisprudenza, la statuizione del TAR sulle spese e sugli onorari del giudizio costituisce espressione di un suo ampio potere discrezionale, il cui esercizio non richiede una diffusa motivazione (Sez. VI, 22 gennaio 2001, n. 177; Sez. IV, 22 marzo 1993, n. 336 ; Sez. V, 5 dicembre 1991, n. 1358 ; Sez. VI, 10 giugno 1991, n. 369 ; Sez. V, 13 febbraio 1990, n. 129 ; Sez. V, 15 dicembre 1978, n. 1615). Tale principio rileva anche quando il soccombente sia stato condannato al relativo pagamento (Sez. VI, 5 giugno 2001, n. 3015; Sez. V, 28 aprile 1995, n. 639 ; Sez. V, 31 gennaio 1991, n. 95) ovvero, come è avvenuto nella specie, quando il TAR abbia disposto la compensazione delle spese e degli onorari tra le parti (Sez. VI, 5 giugno 2001, n. 3015; Cons. giust. amm., 26 febbraio 2001, n. 103; Cons. giust. amm., 1° febbraio 2001, n. 26). Poiché nel caso di specie non sono stati proposti, né emergono, elementi tali da far ritenere che il TAR abbia statuito irrazionalmente, la censura dell’appellante va respinta. Consiglio di Stato Sezione VI, 27 agosto 2002, n. 4301.
L’art. 21 L. TAR, non consente, in un caso di litisconsorzio necessario quale è quello di atto proveniente da più autorità, l’integrazione del contraddittorio - termini di impugnazione - decadenza di sessanta giorni - il diverso regime giuridico di prescrizione e decadenza. Quanto, infine, al dedotto dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 21 L. TAR, perché lo stesso non consente, in un caso di litisconsorzio necessario quale è quello di atto proveniente da più autorità, l’integrazione del contraddittorio, a differenza della disciplina processualcivilistica, lo stesso appare manifestamente infondato. La differente disciplina del processo amministrativo rispetto a quello civile non è irragionevole, essendo diverse le situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio e gli interessi in gioco e conseguentemente la struttura del processo e segnatamente i termini di impugnazione. Nel processo civile vengono dedotti diritti soggettivi, e l’azione può essere proposta entro il termine di prescrizione, sicché l’integrazione del contraddittorio può essere ordinata senza che si violino decadenze già verificatesi. Neppure si viola la disciplina dei termini di prescrizione, perché la prescrizione è interrotta dall’azione con cui si promuove il giudizio (art. 2943 cod. civ.) e l’atto interruttivo della prescrizione nei confronti di un dato soggetto, ha effetto anche nei confronti degli altri cui la causa è comune (argomenta dall’art. 1310 cod. civ.). Nel processo amministrativo vengono dedotti interessi legittimi, e l’azione può essere proposta entro il termine di decadenza di sessanta giorni. L’integrazione postuma del contraddittorio non è dunque di regola possibile, perché comporterebbe la violazione di una decadenza già verificatasi. D’altro canto la decadenza,a differenza della prescrizione, non è suscettibile di interruzione (art. 2964 cod. civ.). Il diverso regime giuridico di prescrizione e decadenza, la prima suscettibile di interruzione, la seconda no, giustifica il diverso regime delle azioni giudiziarie in tema di diritti soggettivi e di interessi legittimi, e la possibilità di integrazione del contraddittorio nelle cause su diritti soggettivi, ma non in quelle su interessi legittimi, salve ipotesi eccezionali ed espressamente previste. Consiglio di Stato Sezione VI, 21 agosto 2002, n. 4245. (vedi: sentenza per esteso)
Procedure e varie - Sequestro preventivo - Verifica della legittimità - Presupposti - Fumus boni juris. Ai fini della verifica della legittimità del provvedimento con il quale e' stato ordinato il sequestro preventivo di un bene pertinente ad uno o più reati è preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi è sufficiente la presenza del fumus boni juris, ovvero l'ipotizzabilità in astratto della commissione del reato, con conseguente possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato (Giurisprudenza consolidata, Cass. Sez. Unite Sent. N. 4 del 23/04/93 (cc 25/03/93) rv 193117; Cass. Sez. 3^ Sent. N. 1656 del 09/06/99 (cc 04/05/99) rv 213736; Cass. Sez. 1^ Sent. N. 2181 del 06/06/96 (cc 03/04/96) rv 202615; Cass. Sez. 6^ Sent. n. 741 del 06/10/99 (cc 24/02/99) rv 214626; Cass. Sez. 6^ Sent. n. 2672 del 05/09/99 (cc 09/07/99) rv 214185; Cass. Sez. 5^ Sent. n. 2108 del 20/10/95 (cc 24/09/95) rv 203009). Pres. Savignano G - Est.. Gentile M - Imp. P.M. in proc. Capuzzi C - PM. (Parz. Diff.) D'Ambrosio L.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 06/08/2002 (UD.21/06/2002), Sentenza n. 29099 (vedi: sentenza per esteso)
La previsione di onere delle spese di giudizio a carico delle parti. La previsione di onere delle spese di giudizio a carico delle parti non può comportare, di per sé, alcuna violazione dei principi costituzionali invocati dal giudice a quo (artt. 3, 24, 101, 111 della Costituzione), costituendo anzi principio pacifico che la legge può imporre oneri patrimoniali a carico di coloro nei cui confronti si eserciti una attività di giudizio, non esistendo una generale garanzia di gratuità della protezione giudiziaria (sentenze n. 268 del 1984; n. 30 del 1964; n. 41 del 1972). D’altro canto la norma è destinata ad operare per tutti i giudizi avanti alla Giunta, essendo irrilevanti i modi di ripartizione e i limiti previsti per i giudizi presso altro giudice. Corte Costituzionale Sentenza del 25 luglio 2002, n. 393. (vedi: sentenza per esteso)
La semplificazione della motivazione - sussistenza dei presupposti per la decisione in forma semplificata. Dalla lettura del combinato disposto dell’art.9 e dell’art.3 discende la regola che il Collegio, oltre alla previa verifica dell’integrità del contraddittorio, dovrà anche previamente accertare la completezza dell’istruttoria e la sussistenza dei presupposti per la decisione in forma semplificata (manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità, infondatezza e fondatezza del ricorso), sentendo sul punto le parti costituite. Premesso che la sentenza, ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a cognizione piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra semplificazione della motivazione e sommarietà della cognizione (cfr. Corte Cost., 10 novembre 1999, n.427) e che la semplificazione della motivazione, nei casi speciali previsti dalla legge, è strumentale all’esigenza di garantire una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art.111, comma 2, Cost., essendo compatibile con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (cfr. Cons. St., V, 26 gennaio 2001, n.268), deve dirsi che, ad avviso del Collegio, diverse saranno le conseguenze in caso di decisione di primo grado in forma semplificata omissiva di alcuno dei suddetti adempimenti procedurali o che non abbia adeguatamente valutato la sussistenza dei medesimi, dal momento che: 1) in caso di incompletezza del contraddittorio o di violazione del diritto di difesa di una delle parti la decisione sarà senz’altro appellabile e, in applicazione dell’art.35 L. n.1034/71, il Consiglio di Stato potrà annullarla con rinvio al primo giudice per difetto di procedura (cfr., per il caso di mancanza di integrità del contraddittorio, Cons. St., VI, 19 luglio 1999, n.997; C.G.A., 14 marzo 2000, n.96; per il caso di violazione del diritto di difesa, Con. St., 20 luglio 2000, n.3860; C.G.A., 15 marzo 1999, n.27); 2) in caso di incompletezza dell’istruttoria, l’omissione di accertamenti istruttori da parte del T.A.R. non concreta un vizio di procedura e non richiede, pertanto, rinvio al tribunale medesimo, spettando al Consiglio di Stato, qualora l’omissione venga specificamente rilevata come vizio della sentenza, provvedere agli accertamenti non effettuati (cfr. Cons. St., V, 16 novembre 1976, n.1393; id., 14 marzo 1980, n.262; Cons. St., IV, 17 novembre 1981, n.885); 3) in caso di sentenza del T.A.R. che abbia erroneamente dichiarato (manifestamente) irricevibile, inammissibile o improcedibile il ricorso, il Consiglio di Stato trattiene la causa per l’esame del merito e non la rinvia al giudice di primo grado (cfr., per l’erronea declaratoria di irricevibilità e inammissibilità, Cons. St., VI, 17 ottobre 1988, n.1152; id., 24 febbraio 1981, n.84; id., 30 settembre 1980, n.794; per l’erronea declaratoria di improcedibilità, cfr. Cons. St., V, 8 febbraio 1988, n.54), dal momento che, come statuito dall’Adunanza Plenaria (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 7 luglio 1978, n.22; id, 4 luglio 1978, n.4; id, 30 giugno 1978, n.18), occorre interpretare restrittivamente le espressioni contenute nel primo comma dell’art.35 della legge n.1034 del 1971, circa le ipotesi di rinvio al primo giudice della controversia, dovendosi rimettere la causa al primo giudice “non ogni volta che la pregressa fase del processo abbia dato luogo ad una pronunzia diversa da quella di merito, ma solo quando sia mancata del tutto, per esplicita statuizione del giudice, la risoluzione della lite (art.353 c.p.c.), oppure quando il giudizio svolto in prime cure presenti vizi o lacune tali da comportare la nullità dell’intero procedimento o di una parte di esso o della sentenza (art.354 c.p.c.)”; 4) nel caso, infine, di sentenza del T.A.R. che abbia erroneamente dichiarato (manifestamente) fondato oppure (manifestamente) infondato il ricorso, è sufficiente che il soccombente si dolga dell’erroneità della sentenza di primo grado, chiedendo un nuovo giudizio di merito sulla controversia, perché l’intera materia del contendere si devolva al giudice di secondo grado (c.d. effetto devolutivo), naturalmente nei limiti di quei soli capi che abbiano formato oggetto di appello (tantum devolutum quantum appellatum), e così anche nei casi di carenza di motivazione, che non comportano annullamento con rinvio al giudice di primo grado, ma sono semplicemente causa di integrazione della motivazione da parte del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., IV, 17 giugno 1980, n.662; id., 22 febbraio 1980, n.114; id., 17 novembre 1981, n.877) ed in quelli di mancata pronuncia del giudice di primo grado su determinate censure, che non integrano il vizio di procedura di cui all’art.35 L. n.1034/71, ma solo un difetto di motivazione, sul quale può provvedere il giudice di secondo grado in forza dell’effetto devolutivo dell’appello (cfr. Cons. St., IV, 23 novembre 1995, n.952; Cons. St., VI, 6 luglio 1988, n.921). Consiglio Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3931. (vedi: sentenza per esteso)
La legittimazione del terzo al ricorso contro il titolo edilizio - stabile collegamento con zona interessata dall’attività edilizia. La legittimazione del terzo al ricorso contro il titolo edilizio, che si assume illegittimo, è data dallo stabile collegamento tra lo stesso terzo ricorrente e la zona interessata dall’attività edilizia assentita con la concessione di costruzione impugnata. Consiglio Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3931. (vedi: sentenza per esteso)
Accesso agli atti - l’interesse ambientale oggettivo delle associazioni - obbligo al rilascio dei documenti - illegittimità della motivazione del “carico di lavoro degli uffici”. E’ legittima la richiesta di accesso agli atti, presentato dalle associazioni ambientaliste, in un territorio particolarmente vincolato qual é quello del Comune di Riomaggiore, inserito nel Parco della Cinque Terre e caratterizzato da un insediamento urbano arroccato e da una edificazione sparsa distribuita in un’ area di pregio naturalistico molto elevato, il rilascio di concessioni edilizie e l’esecuzione di opere pubbliche e private incida sull’assetto del territorio e sull’ambiente e sia dunque soggetto alla disciplina sul diritto di accesso alle informazioni in materia ambientale dal D.lgs. 39/97 attribuito a “chiunque”. Tra l’altro, nel caso di specie, ogni dubbio circa l’interesse ambientale oggettivo relativo alle istanze proposta dal WWF, viene a cadere se si scorrono alcune delle domande presentate (ad es. opere concernenti la copertura di un torrente; opere di ripristino di danni ambientali provocati da agenti metereologici, etc.). Quanto poi alle eccezioni di incostituzionalità, queste sono manifestatamente infondate e irrilevanti, anzitutto perché, con riferimento al preteso contrasto con la direttiva comunitaria 90/313 CEE, non appare irragionevole, anche in considerazione dell’interesse alla protezione ambientale di cui é portatore il WWF, la richiesta contestuale dei documenti relativi a svariate concessioni edilizie rilasciate dal Comune. Inoltre, non sussiste il dedotto contrasto con l’art. 97 della Costituzione poiché il Comune avrebbe potuto legittimamente scaglionare nel tempo il rilascio dei documenti richiesti giustificando, sulla base del carico di lavoro degli uffici, il numero di richieste in grado di evadere gradualmente. Tribunale Amministrativo Regionale Liguria - Genova del 12 luglio 2002, sentenza n. 836
Il contrasto giurisprudenziale insorto circa l’applicabilità al processo amministrativo dell’art.297 c.p.c. - la questione di costituzionalità - le soluzioni. L’art. 297 codice di procedura civile prevede che “se col provvedimento di sospensione non è fissata l’udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla cessazione della causa di sospensione”. Il Collegio al riguardo non ignora il contrasto giurisprudenziale insorto circa l’applicabilità al processo amministrativo del citato art.297 c.p.c., in particolare con riferimento al termine semestrale ivi previsto in luogo dell’ordinario termine biennale di perenzione, ipotesi quest’ultima che è stata accolta dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., IV, 14 aprile 1998, n.610; Cons. St., VI, 24 marzo 1990, n.400; contra: Cons. St., VI, 19 aprile 1996, n.582). Ora, la Corte Costituzionale ha risolto la questione di costituzionalità con sentenza n.197 del 28 maggio 1999, pubblicata in G.U. n.22 del 2 giugno 1999, per cui la parte interessata (nella specie, l’appellante) avrebbe dovuto presentare istanza di fissazione di udienza per la prosecuzione del giudizio nei termini di cui all’art.297 c.p.c., espressamente richiamato nella prefata ordinanza di sospensione, vale a dire nel termine di sei mesi dalla cessazione della causa di sospensione, id est dalla pubblicazione della sentenza della Corte nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta in data 2 giugno 1999, mentre nella specie l’istanza di fissazione di udienza è stata depositata in data 8 settembre 2001, vale a dire non solo oltre il termine semestrale di estinzione, ma anche oltre lo stesso termine biennale di perenzione. Nei casi in cui, come nella specie, la sospensione del giudizio sia avvenuta solo in considerazione del fatto che altro giudice ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, deve ritenersi, infatti, che la pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale abbia valore di pubblicità legale (che produce la legale scienza, che si sostituisce alla scienza effettiva), ai fini della decorrenza dei termini (mentre solo nel caso in cui tale sentenza sia stata provocata da ordinanza del giudice a quo di sospensione del giudizio con contestuale trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, il termine entro cui il giudizio deve essere ripreso decorre dalla data di comunicazione dell’avviso di segreteria di avvenuta restituzione degli atti). Consiglio Stato, sez. IV, 11 luglio 2002, n. 3926.
La determinazione dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici è da ascriversi alla categoria delle circolari ‘interpretative’ ma con effetti non necessariamente vincolanti - nel caso di singoli costruttori, deve escludersi di un interesse a ricorrere in capo all’Associazione. Vi è l’insussistenza di una possibile lesione della sfera giuridica dei destinatari, che in realtà risultano essere le amministrazioni destinate ad applicare, in sede di formulazione dei bandi di gara per l’affidamento di lavori pubblici, la normativa esaminata nell’atto impugnato (determinazione 20 dicembre 2001 n. 25 dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, concernente la redazione dei bandi di gara e le modalità di partecipazione alle gare d’appalto, nella parte in cui, in tema di categorie superspecializzate previste dall’art. 13 della legge n. 109 del 1994 e dall’art. 72 del d.P.R. n. 554 del 1999, si ritengono incluse nel divieto di subappalto anche le categorie di opere generali che siano indicate nel bando di gara come scorporabili). Quest’ultimo, pertanto, non può che ascriversi alla categoria delle circolari ‘interpretative’, in quanto destinato appunto ad orientare la successiva attività delle amministrazioni vigilate, ma con effetti non necessariamente vincolanti su di esse, le quali se ne possono discostare nel caso in cui lo reputino contra legem. Quanto esposto si salda perfettamente con il potere che l’Autorità ha espressamente dichiarato di esercitare: elaborare un documento che “possa” costituire un “inquadramento generale” degli aspetti riguardanti l’ordinamento dei lavori pubblici trattati nei quesiti rivoltile. In definitiva, non diversamente che nel caso di singoli costruttori, deve escludersi di un interesse a ricorrere in capo all’Associazione ricorrente.Pertanto, la specifica eccezione avanzata al riguardo da parte resistente va condivisa e, di conseguenza, il proposto ricorso deve essere ritenuto inammissibile. T.A.R. Lazio, Sez. III - Sentenza 10 luglio 2002, n. 6241
La revocazione di una decisione - errore di fatto consistente in una falsa percezione della realtà processuale da parte del giudice. Affinché ci possa essere la revocazione di una decisione, occorre la esistenza di un errore di fatto, consistente in una falsa percezione della realtà processuale da parte del giudice, cioè in una svista -obiettivamente ed immediatamente rilevabile- che abbia portato ad affermare l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti, invece, positivamente accertato. Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3823. (vedi sentenza per esteso)
La certezza della sottoscrizione desunta dalla dichiarazione circa l'autenticità della firma. Va disattesa l’eccezione d’inammissibilità in quanto sarebbe illeggibile la firma apposta sulla procura dal legale rappresentante dell'ente. La certezza della sottoscrizione va infatti desunta dalla dichiarazione del commissario prefettizio circa l'autenticità della firma, depositata in atti il 21 giugno 2001 insieme al decreto di nomina. (Cass., I, 2 giugno 1998, n. 5381; Cons. Stato, V, 6 giugno 1996, n. 667). Consiglio Stato, sez. IV, 8 luglio 2002, n. 3804.
Motivazione di una sentenza attraverso il semplice riferimento alla motivazione di un’altra decisione ancorché resta nella medesima materia. Non vale a costituire sufficiente motivazione di una sentenza il riferimento alla motivazione di un’altra decisione ancorché resta nella medesima materia, quando il richiamo sia semplice e generico senza ulteriore precisazione (Cons. Stato, VI, 31 ottobre 1991, n. 777). Consiglio Stato, sez. IV, 8 luglio 2002, n. 3804.
L’onere dell’appellante acquisire le informazioni necessarie a corroborare la sua tesi difensiva presso l’ufficio competente - nel processo amministrativo il principio dell’onere della prova riceva una applicazione attenuata - il giudice deve acquisire ex officio elementi di cui la parte non può disporre. E’ onere dell’appellante acquisire le informazioni necessarie a corroborare la sua tesi difensiva presso l’ufficio competente. Va ricordato, infatti, che, sebbene nel processo amministrativo il principio dell’onere della prova riceva una applicazione attenuata, consentendosi al giudice di fare uso dei suoi poteri per acquisire ex officio elementi di cui la parte non può disporre, di tale più limitata operatività la parte non può avvalersi quando non si riscontrino obiettivi impedimenti all’accesso diretto alle informazioni presso pubblici uffici. Nella specie l’appellante ha bensì svolto infruttuose ricerche presso l’Ufficio del registro della imprese e presso la Camera di commercio di Bologna, ma ha omesso di rivolgersi all’Amministrazione competente alla vigilanza sui consorzi di cooperative, secondo quanto si è detto più sopra, in violazione di un principio che, sia pure con i limiti ricordati, deve essere osservato anche nel processo amministrativo (Cons. St., Sez. V, 20 aprile 2000, n. 2429; Sez. IV, 9 marzo 2000, n. 1236; Sez. VI, 3 novembre 1999, 1702). Consiglio di Stato, sez. V, 8 luglio 2002, n. 3781
L’obbligo di specificità dei motivi nell’atto d’appello - l’onere di confutare le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata. Stante l’obbligo di specificità dei motivi sancito dall’art. 6, n. 3, del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, l’appellante ha l’onere di confutare, anche se in modo sommario, le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, dalle quali non sono scindibili le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado (cfr. Sez. V, 16 marzo 1999, n. 256); è onere, quindi, dell’appellante investire puntualmente il decisum di prime cure e, in particolare, precisare i motivi per cui quest’ultimo sarebbe erroneo e da riformare (Sez. V, 9 maggio 2000, n. 2654). (Nell’atto d’appello, la puntuale ricostruzione della vicenda, in fatto e in diritto, operata dai primi giudici, non è apparsa in alcun modo partitamente contestata; al contrario, in modo del tutto apodittico e assolutamente indimostrato (non avendo prodotto, neppure in questa sede, alcun atto a supporto dei propri assunti difensivi) l’appellante si è limitato, in modo, per vero, del tutto generico, a ribadire l’eccezione di tardività dell’originario ricorso, senza contestare in alcun modo le articolate argomentazioni svolte in sentenza, reiettive dell’eccezione stessa, già sollevata in primo grado. Con la conseguente inammissibilità del motivo d’appello, poiché, come è noto, nell’appello devono, anzitutto, essere puntualmente contestate le argomentazioni poste dai primi giudici a supporto della propria decisione). Consiglio di Stato, sez. V, 8 luglio 2002, n. 3780
I motivi aggiunti possono essere configurati come ampliamento del giudizio in corso - la notificazione. Sulla base di una giurisprudenza di questo Consiglio, mai efficacemente messa in discussione, poiché i motivi aggiunti possono essere configurati come ampliamento del giudizio in corso, e pertanto come atto del giudizio stesso, è da ritenersi comunque legittima e rituale la notificazione degli stessi presso il domicilio eletto dalla parte intimata e non in quello reale risultante dalla relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio (cfr. Cons. Stato, V, 11 marzo 1976, n. 426; IV, 27 settembre 1977 n. 781). Consiglio di Stato Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717.
Processo simultaneo con riunione di azioni connesse ed ampliamento dell’ambito originario. La novella legislativa, (legge 21 luglio 2000, n. 205) prendendo probabilmente spunto dall’orientamento più aperto e avveduto, anche se non maggioritario, della giurisprudenza, che propendeva per l’ammissibilità dell’impugnazione dei provvedimenti sopravvenuti, purché collegati al provvedimento impugnato originariamente, con conseguente possibilità per l’interessato di scegliere tra il ricorso autonomo e la forma dei motivi aggiunti ed un indubbio vantaggio sotto il profilo della speditezza del procedimento e dei conseguenti costi processuali (Cons. Stato, V, 23 marzo 1993, n. 398; C.G.A.R.S. 26 febbraio 1987, n. 61 e 4 novembre 1995, n. 343, cit.), innovando ha concesso definitivamente l’imprimatur all’idea di un processo simultaneo con riunione di azioni connesse ed ampliamento dell’ambito originario (presupponendo però che la domanda e l’oggetto nuovi rientrino nella giurisdizione del giudice amministrativo adito, non esistendo la necessità costituzionale che, dopo l’avvio di un giudizio tra due soggetti, tutti i rapporti e le pretese successive vadano concentrati avanti ad un unico giudice in deroga alle usuali previsioni di riparto di giurisdizione ed al principio di precostituzione del giudice stesso: Corte Cost., ord. 18 dicembre 2001, n. 414). Consiglio di Stato Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717.
La formalizzazione della censurabilità delle determinazioni amministrative adottate nelle more dello svolgimento di un processo già pendente - la possibilità di censurare con motivi aggiunti. La formalizzazione della censurabilità delle determinazioni amministrative adottate nelle more dello svolgimento di un processo già pendente, avente ad oggetto la medesima vicenda che aveva portato a richiedere l’intervento del giudice amministrativo, oltre a rispondere all’intento spesso posto alla base degli istituti di elaborazione giurisprudenziale, e quindi alla soddisfazione di esigenze concrete (nella specie la necessità di fronteggiare la possibilità per l’amministrazione resistente di sottrarsi alle preclusioni ed agli obblighi conformativi che potrebbero derivare da una decisione di accoglimento del ricorso principale utilizzando l’espediente dell’emanazione di un nuovo provvedimento), involge certo il più generale principio che vuole che il reale oggetto del giudizio amministrativo sia costituito dalla pretesa azionata e dall'accertamento della sua fondatezza. Non per questo, va precisato per incidens, è comunque venuta meno la possibilità di censurare con motivi aggiunti, sotto diversi profili, il provvedimento già originariamente gravato quando il ricorrente sia venuto a conoscenza, grazie al deposito di nuovi atti in corso di giudizio ovvero all’emergere aliunde di fatti e circostanze nuovi e significativi, di ulteriori vizi di legittimità ad esso relativi (Cons. Stato, VI, 17 luglio 2001, n. 3962; V, 7 settembre 2001, n. 4682). Consiglio di Stato Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717.
Non è necessario un mandato autonomo, rispetto a quello rilasciato per la proposizione del ricorso originario ai fini della rituale proposizione di motivi aggiunti nel processo amministrativo - i motivi aggiunti possano essere proposti e firmati dal solo avvocato. Vige da tempo un fermo orientamento di questo Consiglio, secondo cui non è necessario un mandato autonomo, rispetto a quello rilasciato per la proposizione del ricorso originario, ai fini della rituale proposizione di motivi aggiunti nel processo amministrativo, in quanto il mandato originario deve ritenersi comprensivo - salve espresse eccezioni - di tutti i poteri processuali finalizzati alla rimozione della lesione subita dal ricorrente (Cons. Stato, V, 16 dicembre 1977 n. 1130; V, 23 marzo 1993, n. 398; C.G.A.R.S. 4 novembre 1995, n. 343, cit.). L’affermazione che i motivi aggiunti possano essere proposti e firmati dal solo avvocato, in virtù del mandato conferitogli per il ricorso principale, senza dunque la necessità di una nuova procura ad litem, non può essere messa in discussione alla luce della novella di cui alla l. 205/00, anzi è corroborata dai principi e dalla ratio del recente intervento del Legislatore. Viene, infatti, ad essere rafforzata l’idea di un istituto (motivi aggiunti) visto come mezzo per integrare le censure prospettate non tanto nei confronti del primo provvedimento, ma nei riguardi dell’intero esercizio del potere che ha comportato la lesione della situazione soggettiva nel suo insieme. In questo senso dette conclusioni si appalesano come il logico corollario della concezione dell’istituto come mezzo finalizzato ad arricchire il thema decidendum, così come prospettato con l’atto introduttivo del giudizio. In questo ambito, non trattandosi di un ricorso formalmente autonomo, il ricorrente non è tenuto a conferire un incarico ad hoc al proprio legale per introdurre ulteriori motivi rispetto a quelli dedotti con il ricorso originario. Consiglio di Stato Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717.
Deposito di documenti in giudizio - onere del ricorrente di accertare in segreteria l'eventuale deposito - termine per la proposizione di motivi aggiunti. E’ principio acquisito che nel caso di deposito di documenti in giudizio, poiché è configurabile un onere del ricorrente di accertare in segreteria l'eventuale deposito, il termine per la proposizione di motivi aggiunti generalmente decorre dalla data del deposito stesso, mentre quando i termini di deposito, peraltro ordinatori, siano rimasti inosservati, non avendo il ricorrente un siffatto onere, la decorrenza del termine è legata all'effettiva conoscenza del deposito stesso, con dimostrazione di questa a carico della controparte che eccepisce la tardività (Cfr. Cons. Stato, IV, 17 novembre 1983 n. 815; V, 11 novembre 1994 n. 1272). Consiglio di Stato Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717.
La riduzione a metà di tutti i termini processuali - unica eccezione per il solo termine di proposizione del ricorso introduttivo. Il Legislatore, confermando la regola sancita dall’art. 19 del d.l. 67/97, ha sancito la riduzione a metà di tutti i termini processuali, introducendo tuttavia un’unica espressa, e quanto mai rilevante, eccezione per il solo termine di proposizione del ricorso introduttivo. Tale eccezione non è stata esplicitamente estesa all’istituto dei motivi aggiunti, seppur al medesimo, come accennato, la novella legislativa ha incisivamente riservato una nuova configurazione. Orbene, è ben noto al Collegio che diffusi ed autorevoli arresti giurisprudenziali hanno affermato con particolare rigore che alla proposizione di motivi aggiunti debbano applicarsi le stesse disposizioni che regolano il ricorso principale, per quanto concerne i termini per la loro deduzione e il loro deposito (cfr., da ultimo, C.G.A.R.S. 12 giugno 2001, n. 287). Consiglio di Stato Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717.
L’eccezione al dimezzamento dei termini introdotta dalla l. 205/00 va interpretata secondo canoni di rigida tassatività. In realtà, dinanzi alla logica acceleratoria che permea l’intero provvedimento legislativo, l’eccezione al dimezzamento dei termini introdotta dalla l. 205/00 va interpretata secondo canoni di rigida tassatività, tanto più che nel caso dei motivi aggiunti non sussiste la necessità di dare seguito a quelle esigenze di tutela del diritto alla difesa in settori nevralgici, finalizzate a concedere al privato cittadino ed al soggetto imprenditoriale il tempo necessario per imbastire ed articolare la propria difesa con l’assistenza ed il patrocinio ritenuti più idonei, atteso che tra l’altro nella specie - come sopra accennato - si può fare a meno di affidare un nuovo mandato. Consiglio di Stato Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717.
La rinuncia irrituale - dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente. Secondo l’orientamento giurisprudenziale che appare preferibile, la rinuncia irrituale, quale può considerarsi quella intervenuta nel caso de quo, può essere presa in considerazione dal giudice come dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente (cfr. Cons. St., V, 15 marzo 1990, n.305; Cons. St., IV, 29 ottobre 1991, n.866). Tale orientamento è ribadito anche per la rinuncia irrituale all’appello, dal momento che anche in tale atto si ritiene insita la dichiarazione dell’appellante di non avere più interesse a coltivare il giudizio (cfr. Cons. St., V, 16 dicembre 1993, n.1323). (Nella fattispecie si è costituita l’appellata “Veneta Scavi”, mediante deposito di atto di costituzione, memoria e documenti, deducendo, in particolare, che sarebbe venuta meno la materia del contendere in quanto, nelle more del presente giudizio d’appello, la Regione Veneto avrebbe istruito ex novo la pratica, acquisendo il parere favorevole del C.T.R.A.E. in data 20 maggio 1994 ed avrebbe rilasciato, con deliberazione della Giunta Regionale n.3393 del 26 luglio 1996, l’autorizzazione ad aprire e coltivare la cava in questione, dettando opportune condizioni e prescrizioni (parere della CT.R.A.E. e delibera della Giunta sono stati entrambi depositati in data 21 gennaio 2002); quanto al merito, con articolate controdeduzioni, ha eccepito l’infondatezza dell’appello avversario, chiedendone il rigetto. Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2002, il difensore della società appellata ha depositato una lettera, prot. n.1574/41.02 dell’11 febbraio 2002, con cui il Dirigente della Direzione Regionale Affari Legali comunica l’intenzione della Giunta di voler pervenire alla rinuncia all’appello, a spese compensate, come da accordi intercorsi per le vie brevi ed il difensore dell’appellante ha confermato tale intento dell’Amministrazione; la causa, quindi, è stata assunta in decisione. L’appello in esame deve, a ben vedere, essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse). Consiglio di Stato Sezione IV, sentenza 2 luglio 2002, n. 3609.
Ordini professionali - il compito di tutelare anche in giudizio la professionalità e l’immagine della categoria. La giurisprudenza amministrativa, nelle sue pronunce largamente prevalenti, ha riconosciuto agli ordini professionali il compito di tutelare anche in giudizio la professionalità e l’immagine della categoria (Cons. St. Sez. IV, 7 ottobre 1993, n. 849; Sez. V, 3 giugno 1996, n. 624). Il Collegio ritiene che il detto indirizzo, pur potendo incontrare alcune eccezioni (vedi infatti, in senso contrario, Sez. IV, 23 ottobre 1998 n. 1378), vada nella sostanza confermato, nel senso che, quando sia effettivamente riconoscibile nel provvedimento amministrativo una capacità lesiva di interessi unitari della categoria, l’Ente esponenziale della medesima sia legittimata far valere in giudizio anche ragioni ed interessi che non si riferiscano alle attribuzioni proprie dell’Ordine come soggetto (v. da ultimo, Sez. V, 1 ottobre 2001, n. 5193). E’ vero, come ricordato dall’interveniente, che tale recente pronuncia si è conclusa con un dispositivo di inammissibilità del gravame proposto da un Ordine professionale, ma la motivazione chiarisce che, nella specie, il provvedimento impugnato era privo una qualche portata lesiva degli interessi che l’appellante intendeva, ed era legittimato, a tutelare. Consiglio Stato Sez. V, 01 luglio 2002, n. 3586.
La prova dell’effettiva e piena conoscenza del provvedimento impugnato deve essere dimostrata in modo assolutamente rigoroso e non meramente induttivo da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione. La prova dell’effettiva e piena conoscenza del provvedimento impugnato deve essere dimostrata in modo assolutamente rigoroso da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione (fra le tante: Cons. St., Sez.IV, 4 dicembre 2000 n.6486), sicché l’effettiva e piena conoscenza della concessione edilizia rilasciata a terzi deve essere provata da chi eccepisce la tardività della sua impugnazione in modo rigoroso, e non meramente induttivo (fra le tante: Cons. St., Sez. VI, 14 marzo 2002 n.1533). TAR Abruzzo - Pescara, Sentenza 28 giugno 2002 n. 595 (vedi: sentenza per esteso)
La conoscenza piena del provvedimento amministrativo lesivo - nel corso del processo da parte del difensore - mancanza. Non può ritenersi acquisita la conoscenza piena del provvedimento amministrativo lesivo, quando questa avvenga nel corso del processo da parte del difensore, occorrendo che la conoscenza piena sia acquisita personalmente dal soggetto interessato (Cons. St., Sez.IV, 7 settembre 2000 n.4725). TAR Abruzzo - Pescara, Sentenza 28 giugno 2002 n. 595 (vedi: sentenza per esteso)
Non può ritenersi la conoscenza piena degli atti amministrativi da parte del soggetto interessato che abbia presentato esposti o denunce per lamentarne la lesività o l’eventuale illegittimità. Non si può ritenersi acquisita la conoscenza piena degli atti amministrativi da parte del soggetto interessato che abbia presentato esposti o denunce per lamentarne la lesività o l’eventuale illegittimità (fra le tante: Cons. St., Sez.V, 17 dicembre 1990 n.890). Nel caso in esame, dunque, il Collegio è dell’avviso che le circostanze addotte dalla parte controinteressata non siano idonee a far ritenere che il ricorrente abbia effettivamente e personalmente acquisito in epoca anteriore, e comunque in occasione delle citate udienze in sede penale o del deposito della citata perizia nella stessa sede oppure della presentazione di esposti e denunce, la conoscenza piena, prescritta dall’art.21 della legge n.1034 del 1971, delle concessioni edilizie impugnate in questa sede e, pertanto, valuta infondata la relativa eccezione di tardività dell’impugnazione, non risultando eccepito, né provato, che il ricorso sia stato proposto quando i lavori di costruzione dell’edificio erano completati oppure che dal ricorrente fossero anteriormente conosciuti i contenuti dei progetti assentiti con le citate concessioni edilizie. TAR Abruzzo - Pescara, Sentenza 28 giugno 2002 n. 595 (vedi: sentenza per esteso)
Il risarcimento del danno per l’annullamento di un atto in sede giurisdizionale non è una conseguenza automatica - i requisiti. Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento di un atto in sede giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge; pertanto, oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (danno ingiusto), è indispensabile che siano accertate la colpa (o il dolo) dell’Amministrazione e l’esistenza di un danno al patrimonio con nesso causale tra l’illecito ed il danno subito (Cons. St., Sez.IV, 14 giugno 2001 n.3169). TAR Abruzzo - Pescara, Sentenza 28 giugno 2002 n. 595 (vedi: sentenza per esteso)
Giurisdizione della Corte dei conti e cognizione del giudice ordinario in materia di trattamento pensionistico - le preesistenti regole di riparto della giurisdizione. La controversia, proposta da un dipendente in quiescenza delle Poste italiane s.p.a., che abbia direttamente ad oggetto il trattamento di pensione (nella specie, il riconoscimento di un trattamento pensionistico calcolato sulla base di una retribuzione comprensiva dell'intero aumento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva), senza alcun riflesso sul rapporto di lavoro già risolto, appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti, atteso che la L. n. 71 del 1994, che ha trasformato l'amministrazione postale in ente pubblico economico, ha affidato alla cognizione del giudice ordinario solo le controversie concernenti il rapporto di lavoro di diritto privato con detto ente, senza modificare le preesistenti regole di riparto della giurisdizione per quanto riguarda le questioni relative al trattamento pensionistico. Corte di Cassazione Sezioni unite civili, 27 giugno 2002 n. 9343
La perenzione dei ricorsi ultradecennali - decorso infruttuoso del termine. L’appello è stato proposto nel 1983 e, pertanto, essendo trascorsi più di dieci anni dal suo deposito, la Sezione deve applicare l’art. 9, comma 2, della legge 21.7.2000, n. 205, relativo alla perenzione dei ricorsi ultradecennali. La norma ora richiamata dispone che: “a cura della segreteria è notificata alle parti costituite, dopo il decorso di dieci anni dalla data di deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del quale è fatto onere alle parti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso medesimo”. Il decorso infruttuoso del termine assegnato comporta la perenzione del ricorso. La disposizione si applica anche ai ricorsi in appello. La Sezione, pertanto, deve rinviare il fascicolo relativo all’appello in epigrafe alla Segreteria perché provveda agli incombenti di cui alla disposizione sopra richiamata. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 25 giugno 2002, n. 3434.
Spetta alla Corte dei conti conoscere la controversia relativa a determinazione di trattamento pensionistico spettante ad un dipendente di ente locale, collocato a riposo per infermità non dipendente da causa di servizio ex art. 2, co. 12°, della L. 8 agosto 1995 n. 335. La giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni dei dipendenti pubblici collocati a riposo per infermità non dipendente da causa di servizio, secondo il combinato disposto degli artt. 13 e 62 del R.D. 12 luglio 1934 n.1214, si fonda non tanto sul carattere pubblico o privato del rapporto d'impiego, quanto sul rilievo che il trattamento pensionistico dei soggetti, che si trovano nelle condizioni prima indicate, continua a gravare, in tutto od in parte, sul bilancio pubblico se le amministrazioni pubbliche sono tenute a riversare le contribuzioni previste dalla legge; e, pertanto, spetta alla Corte dei conti conoscere la controversia relativa a determinazione di trattamento pensionistico spettante ad un dipendente di ente locale, collocato a riposo per infermità non dipendente da causa di servizio ex art. 2, co. 12°, della L. 8 agosto 1995 n. 335. Corte di Cassazione Sezioni unite civili, 25 giugno 2002 n. 9285/Ord.
Ricorso incidentale per cassazione. Quando la sentenza impugnata abbia risolto, sia pure implicitamente, in senso sfavorevole alla parte che poi risulti vittoriosa, una questione preliminare o pregiudiziale, il ricorso per cassazione dell'avversario impone a detta parte, che intenda sottoporre all'esame della Corte la questione stessa, di proporre ricorso incidentale, in considerazione della struttura del giudizio di legittimità, il quale non è soggetto alla disciplina dettata per l'appello dall'art. 346 c.p.c., con la conseguenza che l'onere di impugnazione gravante sull'intimato, va riferito non solo alla soccombenza pratica, ma anche a quella teorica, e non può essere assolto con la sola riproposizione della questione con il controricorso o con la memoria illustrativa di questo (Cass. n. 3102 del 1999, Cass. n. 10888 del 1996, Cass. n. 11808 del 1993). È a questo orientamento giurisprudenziale che il Collegio intende prestare adesione, non condividendosi il diverso orientamento espresso di recente da Cass. n. 12386 del 2000, a termini del quale la parte vittoriosa nel giudizio di appello non ha l'onere di proporre ricorso incidentale per far valere domande o eccezioni non accolte dal giudice di merito, poiché l'accoglimento del ricorso principale comporta pur sempre la possibilità di riproposizione nel giudizio di rinvio di dette domande e eccezioni. Questo orientamento, invero, sembra trascurare il giudicato implicito che viene a formarsi sulla questione prospettata in appello sotto forma di eccezione (o di domanda) una volta che essa sia stata (anche tacitamente) respinta dal giudice del gravame. Nello stesso modo Cass. 10 marzo 2000 n. 2796. Cassazione sez. lavoro del 22 giugno 2001, sentenza n. 8537
Il termine per impugnare inizia a decorrere dalla data dell’avvenuta notificazione dell’atto - L. n.1034/71 dies a quo - nozione di piena conoscenza di un provvedimento amministrativo - conoscenza degli elementi essenziali. Dalla lettura del I comma dell’art.21 L. n.1034/71 si ricava, univocamente che la previsione relativa all’individuazione del dies a quo nell’ultimo giorno della pubblicazione dell’atto si applica, come correttamente ritenuto dal T.A.R., nei soli riguardi dei soggetti non direttamente contemplati nel provvedimento (Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 1999, n.1076; Cons. Stato, Sez. V, 11 maggio 1998, n.543), posto che nei confronti di questi ultimi, secondo un’esegesi letterale della disposizione in esame, il termine per impugnare inizia a decorrere dalla data dell’avvenuta notificazione dell’atto, fatti sempre salvi in entrambi i casi gli effetti di un’eventuale anteriore piena conoscenza aliunde acquisita. In applicazione di detto principio, deve, quindi, ritenersi inapplicabile al caso di specie la disposizione invocata dall’appellante, atteso che la delibera di aggiudicazione dell’appalto contempla espressamente la società istante e che il suo contenuto risulta direttamente notificato a quest’ultima. Ai fini dell’individuazione del momento iniziale del termine per l’impugnazione della delibera di aggiudicazione occorre, quindi, avere riguardo al giorno della comunicazione all’odierna appellante del dispositivo della determinazione conclusiva della procedura selettiva controversa. L’analisi dell’idoneità della comunicazione alla ricorrente del contenuto dispositivo del provvedimento di aggiudicazione a costituire momento iniziale del termine per impugnare quell’atto postula la preliminare definizione della nozione di piena conoscenza, ai fini dell’applicabilità dell’art.21 I comma. Deve, in proposito, osservarsi che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 19 settembre 2000 n.4838, Cons. Stato, Sez. V, 20 aprile 2000 n.2436, Cons. Stato, Sez. IV, 3 maggio 2000, n.2612), condiviso da questo Collegio, la piena conoscenza di un provvedimento amministrativo, ai fini del decorso del termine per impugnare, non postula che questo sia conosciuto in tutti i suoi elementi ma solo che il destinatario sia stato reso edotto di quelli essenziali, quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo. La conoscenza di siffatti elementi essenziali costituisce, infatti, in capo al destinatario dell’atto un onere di immediata impugnazione, fatta salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento emergano ulteriori profili di illegittimità. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 21 giugno 2002, n. 3408.
Il criterio della conoscenza effettiva dell’atto per la generalità dei cittadini non diretti destinatari dell’atto - termine per l’impugnativa - decorrenza dal momento in cui questo è reso pubblico con la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sui Bollettini o su altri giornali ufficiali. Il criterio della conoscenza effettiva dell’atto, che la tesi in esame vorrebbe fosse adottata per l’impugnativa da parte dei consociati non direttamente contemplati dall’atto ma interessati ad impugnarlo perché lo ritengono lesivo delle proprie posizioni giuridiche soggettive, lascerebbe nella incertezza ed indefinitamente esposti ad una loro eventuale caducazione, atti adottati dalla pubblica amministrazione nella cura di interessi pubblici. L’ordinamento, per contemperare l’esigenza di accordare tutela a coloro che, pur non essendone diretti destinatari, si ritengono lesi da atti dell’amministrazione con l’anzidetta esigenza di certezza, stabilisce che, per la generalità dei cittadini non diretti destinatari dell’atto, il termine per l’impugnativa debba decorrere dal momento in cui questo è reso pubblico con la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sui Bollettini, su altri giornali ufficiali ovvero, come nel caso in esame, in albi pretori, secondo le particolari forme “stabilite da disposizioni di legge o di regolamento”. Tale sistema è del tutto ragionevole, risultando inattuabile una partecipazione individuale e diretta che riguardi tutti i consociati potenzialmente interessati all’atto, come quella dovuta quando l’atto abbia un destinatario determinato. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 21 giugno 2002, n. 3405.
Responsabilità amministrativo-contabili correlate a gestioni anteriori alla privatizzazione di un ente pubblico - giurisdizione della Corte dei conti. La cognizione di fattispecie di responsabilità amministrativo-contabili correlate a gestioni anteriori alla privatizzazione di un ente pubblico spetta alla giurisdizione della Corte dei conti. La proroga del termine per le deduzioni, anche se disposta dal Procuratore regionale ad istanza e nell'interesse del presunto responsabile, non comporta l'automatico differimento del dies a quo del termine di 120 giorni per l'emissione della citazione, che va infatti chiesto alla Sezione giurisdizionale ai sensi dell'art. 5, co. 1°, D.L. 15 novembre 1993 n. 453, convertito dalla L. 14 gennaio 1994 n. 19. Corte dei Conti - Sezione I centrale, 11 giugno 2002 n. 185/A
La volontà di obbligarsi della Pubblica Amministrazione non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo esser manifestata nelle forme richieste dalla legge - l’atto scritto ad substantiam. La volontà di obbligarsi della Pubblica Amministrazione non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo esser manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad substantiam." (Cass. Civ. Sezioni Unite sent. n. 12769 del 28-11-1991, Cass. Civ. Sez. I sent. n. 9246 del 12-07-2000, Cass. Civ. Sez. III sent. n. 188 dell’11-01-2000, Cass. Civ. Sez. III sent. n. 6406 del 30-06-1998). Tribunale di Brindisi, Sez. Distaccata di Fasano Sentenza 10 giugno 2002 n. 82 (vedi: sentenza per esteso)
Nullità di tutti i contratti stipulati dalla P.A. - anche quando agisca iure privatorum - se manca la forma scritta ad substantiam es. conferimento dell’incarico, dell’appalto o della fornitura. Tutti i contratti stipulati dalla P.A. - anche quando agisca iure privatorum - richiedono la forma scritta ad substantiam, non rilevando a tal fine la deliberazione dell’organo collegiale dell’ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, dell’appalto o della fornitura ove tale deliberazione - costituente mero atto interno e preparatorio del negozio - non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la concreta sistemazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguirsi e al compenso da corrispondersi; il contratto privo della forma richiesta ad substantiam è nullo e pertanto insuscettibile di qualsivoglia forma di sanatoria, dovendosi quindi escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalide o ratifiche successive. (Cassazione Civile Sez. I sent. n. 59 del 03-01-2001). Tribunale di Brindisi, Sez. Distaccata di Fasano Sentenza 10 giugno 2002 n. 82 (vedi: sentenza per esteso)
L'ufficiale giudiziario è tenuto, per specifico dovere ordinamentale a corrispondere all'erario la tassa del 10% su diritti ed indennità percepiti per l'effettuazione di servizi a richiesta di privati - il mancato versamento evidenzia un danno pubblico conseguente ad una violazione di doveri di servizio - giurisdizione della Corte dei conti - la sentenza penale recante condanna - la costituzione dell'amministrazione danneggiata come parte civile nel processo penale - limiti - il processo contabile - fatti materiali e loro illiceità penale. Stante che l'ufficiale giudiziario è tenuto, per specifico dovere ordinamentale a corrispondere all'erario la tassa del 10% su diritti ed indennità percepiti per l'effettuazione di servizi a richiesta di privati, l'eventuale mancato versamento evidenzia un danno pubblico conseguente ad una violazione di doveri di servizio e non già soltanto l'inadempimento di un'obbligazione tributaria, di tal che va riconosciuta nella fattispecie la giurisdizione della Corte dei conti. La sentenza penale recante condanna - pur se per gli stessi fatti materiali - dei responsabili di danno contabile a generico risarcimento del danno non esclude la giurisdizione della Corte dei conti sulla concorrente fattispecie di responsabilità amministrativo-contabile. L'allegata preclusione dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile, che conseguirebbe alla costituzione dell'amministrazione danneggiata come parte civile nel processo penale, non è prospettabile neppure come difetto di giurisdizione. Atteso che il Pubblico ministero contabile non è legittimato nel giudizio penale, l'azione di responsabilità amministrativo-contabile non può essere esercitata in quel giudizio, risultando quindi inapplicabile l'art. 75 c.p.p.. Nel processo contabile fanno stato, ai sensi dell'art. 651 c.p.p., i fatti materiali e la loro illiceità penale, se accertati da sentenza pronunciata dal giudice penale a seguito di dibattimento. Corte dei Conti - Sezione I centrale, 4 giugno 2002 n. 178/A
Il ricorso per cassazione avverso le decisioni della Corte dei conti e del Consiglio di Stato - ammissibilità e limiti. Il ricorso per cassazione avverso le decisioni della Corte dei conti e del Consiglio di Stato è ammesso solamente qualora vengano dedotti motivi inerenti alla giurisdizione, essendo il sindacato della Corte di cassazione circoscritto all'osservanza dei limiti esterni della giurisdizione stessa e cioè all'eventuale esistenza di vizi che attengono all'essenza della funzione, rimanendo escluso ogni controllo sul modo di esercizio della funzione medesima, con la conseguenza che la deduzione di eventuali errori, commessi dalla Corte dei conti e dal Consiglio di Stato, o nell'attività posta in essere per giungere alla decisione finale o in sede di ragionamento contenuto in tale decisione devono essere dichiarati inammissibili. Corte di Cassazione Sezioni unite civili, 3 giugno 2002 n. 7981.
Termine del deposito del ricorso - la “vocatio in ius “ - deposito del ricorso - notificazione del ricorso - i termini processuali nella riduzione a metà in materia di affidamento ed esecuzione di opere pubbliche. La dizione utilizzata dalla norma 1034/1971 “ i termini processuali sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso” non ricomprende , nella eccezione alla regola della riduzione per i giudizi indicati nel primo comma, anche il termine del deposito del ricorso. In primo luogo viene in considerazione l’elemento letterale secondo cui l’espressione “proposizione” si correla esclusivamente alla prima attività di composizione dell’atto introduttivo del giudizio e della sua notifica all’Amministrazione intimata nonché ad almeno uno dei controinteressati se esistenti ed individuabili. Dopo lo svolgimento di tali attività il ricorso è proposto e la “vocatio in ius “ c’è stata. Iniziano allora le attività di radicamento del rapporto processuale presso l’organo giudiziario adito con il deposito del ricorso. La distinzione dei due momenti è fissata anche nell’art. 21, primo e secondo comma , dove è ben delineata la necessaria successione degli adempimenti connessi al deposito rispetto a quelli afferenti alla notificazione del ricorso ed ancor più chiaramente nel quarto comma in cui si stabilisce che gli obblighi dell’Amministrazione intimata di versare gli atti necessari o utili per il giudizio decorrono dal momento del deposito con il che si chiarisce la distinzione netta dei due termini di notificazione e deposito del ricorso. Non appare decisiva la considerazione , svolta abilmente nella memoria della ditta appellata, circa il significato da attribuire all’utilizzo del plurale nel secondo comma dell’art. 23-bis suindicato posto che, nello stesso articolo, il settimo comma utilizza con riguardo all’instaurazione del giudizio di appello il singolare (“il termine per la proposizione dell’appello”). In questa disposizione il riferimento alla sola notificazione dell’appello per la “proposizione “ dello stesso è chiaro ed univoco. Del resto anche tenendo conto di elementi di interpretazione evolutiva si giunge alla stessa conclusione. La norma in esame ha modificato un regime derivante dall’art. 19 del D.L. 25 marzo 1997 n.67, convertito dalla L. 23 maggio 1997 n.135 che comprendeva “tutti “ i termini processuali nella riduzione a metà con riguardo ai giudizi in materia di affidamento ed esecuzione di opere pubbliche. La dizione “tutti” era stata aggiunta dalla citata legge di conversione anche per eliminare dubbi insorti sulla applicazione della riduzione al termine di notificazione del ricorso (cfr. Ad. Plen n.1 del 14 febbraio 2001). La modifica del regime suddetto , apportata con l’art. 23-bis , secondo comma della legge 1034/1971 proprio sullo specifico punto, con la previsione di una speciale esclusione dalla regola di snellimento dei giudizi e di abbreviazione degli stessi, non può che essere letta in modo restrittivo come norma di deroga ed appare in sostanza limitata al caso della notificazione del ricorso( cfr. nello stesso senso Sez. quarta n.4562 del 28 marzo 2001). In tale contesto l’estensione della eccezione anche al termine per il deposito del ricorso avrebbe dovuto essere esplicitamente prevista. Consiglio di Stato, Sez. V, 31 maggio 2002, n. 3043.
Notificata - termini - periodo feriale. La sentenza, oggetto dell’appello in esame, è stata notificata dalla difesa dell’Amministrazione alla società interessata in data 12 luglio 1989. Peraltro, l’appello è stato notificato il 2 novembre 1989 e, quindi, oltre il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (precisamente, vanno conteggiati 19 giorni anteriormente al periodo feriale e 46 successivamente allo stesso periodo: 19 + 45= giorni 65). Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2891.
L'appello incidentale avverso le decisioni della Corte dei conti - il termine perentorio di notifica - l'estinzione del giudizio. L'appello incidentale avverso le decisioni della Corte dei conti deve essere notificato entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica dell'impugnazione principale e deve essere, quindi, depositato, con la prova della notifica, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla notifica in questione. L'estinzione del giudizio ai sensi dell'art. 50, co. 2°, c.p.c. può essere dichiarata o dal giudice della riassunzione e prosecuzione o dal giudice appositamente adito, ovvero incidenter tantum, da quello dinanzi al quale è proposta nuovamente la stessa domanda di merito, ma non può né essere eccepita né dichiarata in gradi del giudizio successivi a quello in cui si è verificata la fattispecie estintiva. Corte dei Conti - Sezione I centrale, 22 maggio 2002 n. 164/A
Notificazione e del deposito del ricorso caratteristiche e finalità diverse dei due momenti - ripartizione della cognizione dei giudizi - competenza - deposito del ricorso - termine perentorio - notificazione - inammissibilità - vocatio iudicis - errore scusabile - ricorso incidentale. Nel processo amministrativo, hanno caratteristiche e finalità diverse i due momenti della notificazione e del deposito del ricorso. Il primo esprime la volontà di agire in giudizio, dinanzi ad un determinato organo giurisdizionale, ed è l’atto preliminare della procedura introduttiva del giudizio. Il secondo realizza in concreto la presa di contatto tra il ricorrente e l’organo giurisdizionale, che deve pronunziarsi nel processo, e postula la partecipazione delle controparti: i suoi effetti sono connessi con la consegna dell’originale del ricorso notificato alla segreteria dell’organo giurisdizionale (in termini: Ad. plen. 28 luglio 1980, n. 35). Con riguardo al caso di specie, l’organo giurisdizionale investito, per effetto del deposito, non è quello dinanzi al quale è stata espressa, alle controparti, la volontà di agire in giudizio. Va poi considerato che è pur vero che, in tema di ripartizione della cognizione dei giudizi fra Tribunale amministrativo regionale sedente nel capoluogo e sezione staccata, non si fa questione di competenza, quale regolata dall’art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Infatti, l’art. 32, comma 2, prevede che, su tempestiva eccezione di una parte, la questione sia definita, con ordinanza motivata non impugnabile, dal presidente del T.A.R. Ciò non comporta, tuttavia, che si possa concludere per l’unicità del tribunale, nel senso implicitamente o esplicitamente sostenuto con l’appello, e cioè dell’irrilevanza del deposito del ricorso presso la sede del capoluogo o della sezione staccata, nonostante l’intestazione del ricorso - viceversa -alla sezione staccata o alla sede capoluogo. Una siffatta irrilevanza è smentita da quanto dispone l’art. 32, comma 1, della legge n. 1034/71. Ivi si prescrive che il deposito dell’atto introduttivo, nei ricorsi da devolvere alle sezioni staccate, va eseguito con le modalità indicate nell’art. 21 e presso gli uffici della sezione staccata. Ne segue: a) che il termine perentorio stabilito per il deposito, di trenta giorni dall’ultima notificazione, rimane tale in ambedue i casi. Sicché, se il deposito viene tempestivamente curato presso la sede non adita, ciò non salva, da una pronuncia assolutoria dell’obbligo di decidere nel merito, il ricorso tardivamente depositato presso la sede espressamente adita con l’intestazione dell’atto; b) che la sezione cui il ricorso non è intestato, e quindi non è diretto, deve, se esso è tuttavia depositato presso i suoi uffici, dichiararne l’inammissibilità. Essa infatti non è destinataria della vocatio iudicis esplicitata e che consente, se seguita da corretto deposito, l’altrettanto corretta instaurazione del giudizio. Il deposito del ricorso presso l’organo giurisdizionale non espressamente adito priva, del resto, se si dovesse ritenere regolare l’instaurazione del giudizio, le controparti della possibilità di tutelarsi tempestivamente ed adeguatamente contro l’avversa iniziativa giudiziaria. La perentorietà dei termini per la notificazione ed il deposito del ricorso introduttivo deve intendersi stabilita anche a garanzia di siffatte posizioni. In conclusione, dinanzi ad un atto introduttivo indirizzato ad altro organo giurisdizionale, quello, materialmente ma non espressamente, adito con il deposito del ricorso non può che dichiararsi privo del potere di giudicare, con dichiarazione di inammissibilità del ricorso presentato. Nella specie, non v’è, poi spazio, per la concessione dell’errore scusabile, non derivando l’individuazione del giudice adito da incertezze di intepretazione di norme di particolare complessità. Né, infine, si può condividere la tesi di una sorta di effetto sanante, derivante dallo svolgimento della fase cautelare d’appello, nella quale invece il Comune intimato si è costituito. Invero : a) l’incidente cautelare esige una sommaria cognizione del giudice. Questa, per sua natura, non preclude alcuna diversa decisione nel merito, né sul rito; b) l’effetto di inammissibilità, come quello di irricevibilità, si è prodotto con il deposito del ricorso introduttivo presso la sezione del T.A.R. priva della potestà di decidere. Esso quindi non è modificabile in virtù di attività successive di una od altra parte, quali la proposizione di un ricorso incidentale presso lo stesso organo giurisdizionale ovvero la costituzione dinanzi al giudice d’appello, pur se nella fase cautelare. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2722.
L’omessa indicazione degli estremi del provvedimento amministrativo formalmente annullato non determina la nullità della pronuncia. La pronuncia di accoglimento del ricorso, nel processo amministrativo di impugnazione, comporta come automatica conseguenza che il provvedimento amministrativo formalmente impugnato sia annullato e, pertanto, non determina la nullità della pronuncia la circostanza che nel dispositivo non sia stato espressamente enunciato tale annullamento. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2720.
Ricorso giurisdizionale - il privato non può agire a tutela degli interessi generali - la legittimazione alla impugnativa e titolarità di un interesse legittimo - criterio della cd. vicinitas - localizzazione degli impianti di trattamento e di smaltimento di rifiuti (discarica). Il T.A.R. ha correttamente applicato alla fattispecie il principio per il quale il ricorso giurisdizionale è proponibile solo da chi ha la titolarità di un interesse legittimo e dimostri che tale interesse ha subito una lesione per la illegittimità dell’atto impugnato. (Gli appellanti non hanno indicato e tantomeno, quindi, hanno dimostrato il pregiudizio che deriverebbe ad essi dagli atti impugnati, ma si sono solo lamentati della localizzazione dell’impianto prevista dagli atti impugnati, ritenendo evidentemente sufficiente a dimostrare il loro interesse alla impugnativa il fatto di essere proprietari di aree site nelle vicinanze dei due capannoni (preesistenti e dismessi da privati imprenditori) individuati dal Comune di San Casciano Val di Pesa per la collocazione del nuovo impianto di compostaggio). La Sezione, peraltro, già in fattispecie analoga, con riferimento al criterio della cd. vicinitas, ha chiarito che: ”la mera vicinanza di un fondo ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento autorizzativo dell’opera, essendo al riguardo necessaria la prova del danno che da questa riceve” (V, 13.7.1998, n. 1088). (Gli appellanti hanno insistito sul fatto che le aree di loro proprietà distano “al massimo, alcune centinaia di metri dal sito in cui sorgerà l’impianto”, ma tale elemento, di per sè, è del tutto insufficiente, come si è già rilevato, a determinare una loro legittimazione al ricorso. La sentenza appellata, inoltre, ha escluso, in punta di fatto, che i ricorrenti avessero in atto attività (agrituristiche, di affittacamere ed altre), che verrebbero compromesse dalla futura realizzazione dell’impianto). Neppure la legittimazione alla impugnativa potrebbe derivare, come invece si sostiene con l’atto di appello, dalla esigenza di salvaguardare l’ambiente, la salute e, più in generale, le condizioni di vita dei proprietari delle aree circostanti al luogo prescelto per il nuovo impianto, che risulterebbero messi in pericolo da atti assunti dall’amministrazione in violazione della normativa che disciplina la materia della localizzazione degli impianti di trattamento e di smaltimento di rifiuti. Con tale prospettazione, infatti, gli appellanti si ergono a tutela non di un loro interesse individuale, ma di interessi genericamente riferiti ad una pluralità indistinta di persone. Ma tali interessi, in quanto tali, trovano la loro tutela unicamente nell’obbligo di buona amministrazione che grava a carico degli enti esponenziali della comunità e degli altri enti pubblici istituzionalmente preposti alla cura dei predetti interessi. Il privato non può agire a tutela di tali interessi. Ciò è escluso dal carattere di giurisdizione soggettiva e non di giurisdizione oggettiva che la normativa costituzionale e ordinaria assegnano al vigente sistema di giustizia amministrativa e dalla inesistenza di specifiche azioni popolari relativamente alle materie dell’ambiente e della salute. Il privato può contrastare in via giurisdizionale la illegittima azione dell’amministrazione solo, come si è già rilevato, ripetendo principi elementari del diritto processuale amministrativo, quando da essa derivi una specifica, individuale e diretta lesione di una sua posizione giuridica soggettiva. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2714.
Perenzione dei ricorsi ultradecennali. L’art. 9, comma 2, della legge 21.7.2000, n. 205, relativo alla perenzione dei ricorsi ultradecennali, dispone che: “a cura della segreteria è notificata alle parti costituite, dopo il decorso di dieci anni dalla data di deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del quale è fatto onere alle parti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso medesimo”. Il decorso infruttuoso del termine assegnato comporta la perenzione del ricorso. (Nella fattispecie, il ricorrente appella la sentenza del 28.1.1981, n. 21, con la quale il T.A.R. della Sardegna ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento dell’ordinanza del Sindaco di La Maddalena che gli aveva intimato di rimuovere un manufatto privo di concessione edilizia sito nella frazione dell’isola di S. Maria su suolo di proprietà Viggiani). Consiglio di Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2701.
La violazione del termine di emissione della citazione - termine perentorio - rilevabilità d'ufficio da parte del giudice - deposito. La violazione del termine di emissione della citazione, che è termine perentorio, è rilevabile d'ufficio da parte del giudice e non impinge, quindi, nel divieto di nova in appello, come posto dall'art. 345, co. 2°, c.p.c.. Nel giudizio contabile l'impedimento del termine perentorio di 120 giorni posto al P.M., per emettere l'atto di citazione, dall'art. 5, co. 1°, D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla L. 14 gennaio 1994 n. 19 e ulteriormente modificato dalla L. 20 dicembre 1996, n. 639, si verifica a seguito del deposito di tale atto nella segreteria della Sezione giurisdizionale competente. Corte dei Conti Sezione II centrale, 13 maggio 2002, sentenza, n.158/A
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), in relazione all'art. 1 della legge-delega 8 ottobre 1997, n. 352 (Disposizioni sui beni culturali) e all'art. 127 dello stesso decreto, sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione. Le norme incriminatrici relative alla contraffazione, al commercio e alla autenticazione di opere d’arte contraffatte o alterate, contenute nella legge n. 1062 del 1971 e trasfuse nell’art. 127 del decreto legislativo n. 490 del 1999, continuano ad applicarsi anche alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquanta anni. La formulazione dell'art. 2, comma 6, del Titolo primo del testo unico n. 490 del 1999, secondo cui - con riferimento al comma 1, lettera a), che indica tra i beni culturali disciplinati dal testo unico <<le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o demo-etno-antropologico>> - non sono soggette <<alla disciplina di questo Titolo [...] le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquanta anni>>, è frutto della meccanica trasposizione della esclusione che figurava, espressa nei medesimi termini, nell'art. 1, terzo comma, della legge n. 1089 del 1939, ove era però riferita alla disciplina della <<presente legge>>, che a differenza dell'attuale testo unico era dedicata esclusivamente alla tutela dei beni culturali, definiti come <<cose di interesse storico e artistico>>. La legge n. 1089 del 1939 non prevedeva alcuna disciplina penale sulla contraffazione delle cose di interesse storico o artistico. Si è in presenza di un mero difetto di coordinamento formale tra l'originario testo della legge n. 1089 del 1939 e l'impianto del Titolo primo del testo unico, come d'altronde emerge dalla constatazione che il legislatore delegato si è limitato a riprodurre il contenuto delle fattispecie incriminatrici già previste dagli artt. da 3 a 7 della legge n. 1062 del 1971, senza apportarvi alcuna modifica sostanziale, nel pieno rispetto dei criteri direttivi posti dall'art. 1, comma 2, lettera b), della legge-delega n. 352 del 1997, che lo legittimava ad apportare esclusivamente <<le modificazioni necessarie per il [...] coordinamento formale e sostanziale>> delle disposizioni legislative vigenti (nel senso che nell'interpretazione della legge delegata va privilegiato il criterio della conformità alla legge di delegazione, v., da ultimo, sentenze n. 96 del 2001, n. 425 e n. 276 del 2000). La necessità di aderire ad una interpretazione logico-sistematica degli artt. 2, comma 6, e 127 del decreto legislativo, suggerita dalle rispettive sfere di applicazione delle due leggi n. 1089 del 1939 e n. 1062 del 1971, quali erano state individuate prima della trasfusione nel Titolo primo del testo unico, trova infine conferma nell'espressa esclusione dall'abrogazione dell'art. 9, comma 2, della legge del 1971: non avrebbe infatti alcuna ragione continuare a prevedere che il giudice debba assumere come testimone l'autore a cui è attribuita l'opera d'arte contraffatta se le fattispecie incriminatrici contenute nell'art. 127 non si riferissero anche alle opere di autori viventi. Le norme incriminatrici relative alla contraffazione, al commercio e alla autenticazione di opere d’arte contraffatte o alterate, contenute nella legge n. 1062 del 1971 e trasfuse nell’art. 127 del decreto legislativo n. 490 del 1999, continuano ad applicarsi anche alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquanta anni. Corte Costituzionale, Sentenza n. 173 del 10 maggio 2002.
L'effettuazione della notificazione con le formalità di cui all'art. 140 c.p.c. - nullità della notificazione dell'invito a dedurre. L'effettuazione della notificazione con le formalità di cui all'art. 140 c.p.c. è consentita soltanto quando l'ufficiale notificatore non reperisca - nella residenza, domicilio o dimora dell'intimato - persone disposte a ricevere l'atto, ma non quando tali luoghi siano stati erroneamente individuati. La nullità della notificazione dell'invito a dedurre non è sanata dalla costituzione delle stesse persone convenute nel successivo giudizio di responsabilità. Corte dei Conti Sezione III centrale, 10 maggio 2002, sentenza, n. 145/A
Concessione provvisoria di tributi - il principio del congelamento dei contributi - concessione definitiva - finanziamenti già erogati - Agenzia per le agevolazioni industriali - domanda di integrazione. L’art. 1 del D.L. n. 415/1992 stabilisce il principio del congelamento dei contributi, che vanno erogati nella misura fissata in sede di concessione provvisoria, senza possibilità di aumento in sede di concessione definitiva, in funzione dei maggiori investimenti realizzati. Detta disposizione opera sia con riguardo ai finanziamenti successivi alla sua entrata in vigore sia con riguardo ai finanziamenti già erogati, alla suddetta data, in via provvisoria. Ciò si ricava dalla lettura congiunta dell’art. 1, comma 2, lett. d) (il quale dispone, per l’avvenire, che il C.I.P.E. e il C.I.P.I. definiscono i criteri per la concessione delle agevolazioni, sulla base dei parametri di legge, tra cui quello, appunto, secondo cui “gli stanziamenti individuati dal C.I.P.I. e gli impegni assunti per le agevolazioni industriali con provvedimento di concessione provvisoria non potranno essere aumentati in relazione ai maggiori importi dell’intervento finanziario risultanti in sede di consuntivo”) e del successivo comma 4, che pone il principio del congelamento anche dei contributi già erogati in via provvisoria, laddove prevede che “gli stanziamenti già individuati dal C.I.P.I. e gli impegni assunti dall'Agenzia per le agevolazioni industriali, con provvedimento di concessione provvisoria, non potranno essere aumentati in relazione ai maggiori importi dell'intervento finanziato risultanti in sede di consuntivo”. Ne consegue che del tutto irrilevante si presenta, nella specie, la circostanza che la domanda di integrazione sia stata presentata prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 415/92, posto che non è contestato che a quest’ultima data era intervenuto il solo provvedimento di concessione provvisoria e, quindi, si realizzava proprio la fattispecie normativa di cui sopra. La formula del divieto contenuto nel citato art. 1, comma 4, nel prescrivere che gli stanziamenti già individuati con contratto di concessione provvisoria non possano essere aumentati “in relazione ai maggiori importi dell’intervento finanziato risultanti in sede di consuntivo”, non consente di operare una distinzione in relazione né alla causa dell’incremento (sia stato esso determinato dalla espansione dell’intervento rispetto a quello ritenuto ammissibile ai benefici oppure alla lievitazione dei costi) né all’oggetto dell’attività finanziata (nuovi insediamenti o ampliamento di quelli esistenti), essendo tale formulazione comprensiva di tutte le ipotesi anzidette ed essendo comune a tutte l’obiettivo non solo di contenimento ma anche di certezza della spesa pubblica perseguito dalla disposizione (cfr., al riguardo, anche Cons. St. VI Sez. n. 1448 del 18 ottobre 1999). Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 maggio 2002, n. 2518.
Interpretazione della norma giuridica. Non può in alcun caso essere adottato un metodo interpretativo che superi il confine invalicabile costituito dalla parola della legge, giacchè esso finirebbe con l’affidare l’applicazione della norma giuridica alle vedute soggettive e quindi all’arbitrio del giudice (cfr.: Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 1998, P.M. in proc. Bernardini, RV 210332). Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali Sentenza 8 maggio 2002 n. 17178 (vedi: sentenza per esteso)
La notifica ed il successivo deposito dell'appello entro il termine breve di 60 giorni dalla notifica della sentenza impugnata non salva il gravame dall'inammissibilità - del termine di 30 giorni. La circostanza che la notifica ed il successivo deposito dell'appello siano entrambi avvenuti entro il termine breve di 60 giorni dalla notifica della sentenza impugnata non salva il gravame dall'inammissibilità conseguente al mancato rispetto del termine di 30 giorni dalla notifica fissato, per il deposito nella segreteria del giudice di appello, dall'art. 1, co. 5° bis, D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla L. 14 gennaio 1994, n. 19, nel testo risultante dalle modificazioni apportate dalla L. 20 dicembre 1996, n. 639. Corte dei Conti - Sezione I centrale, 7 maggio 2002 n. 141/A
Fattispecie estintiva - rinuncia al ricorso. Risulta verificatasi la fattispecie estintiva prevista dall’articolo 46 del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, secondo cui in qualunque stato della controversia si può rinunciare al ricorso mediante dichiarazione sottoscritta dalla parte o dall’avvocato, munito di mandato speciale, da notificarsi alla controparte ovvero fatta oralmente all’udienza. La Sezione, in omaggio al principio dispositivo che caratterizza il processo amministrativo, non può che prendere atto della predetta rituale rinuncia al ricorso proposto in primo grado innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (RG. 4039/1996) ed agli effetti della relativa sentenza n. 1621 del 29 febbraio 2000, che deve essere annullata senza rinvio, ai sensi dell’articolo 34 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 6 maggio 2002, n. 2433.
Notifica di citazioni, ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale - l'obbligo di notificare alle Amministrazioni dello Stato - inammissibilità del ricorso. È noto che l’art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, per come novellato dall’art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260, dispone che “tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente” (comma I); e che “le notificazioni di cui ai comma precedenti devono essere fatte presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullità da pronunciarsi anche d'ufficio” (comma III). La disposizione è applicabile alle Regioni alle condizioni indicate dall’art. 10 della legge 3 aprile 1979, n. 103, per cui “le funzioni dell'Avvocatura dello Stato nei riguardi dell'amministrazione statale sono estese alle regioni a statuto ordinario che decidano di avvalersene con deliberazione del consiglio regionale” (comma I); in tal caso, “l'articolo 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260, si applica anche nei giudizi dinanzi al Consiglio di Stato ed ai tribunali amministrativi regionali” (comma III), anche se “le regioni che abbiano adottato la deliberazione di cui al primo comma, possono tuttavia, in particolari casi e con provvedimento motivato, avvalersi di avvocati del libero Foro” (comma V). La giurisprudenza ha pertanto ormai da tempo preso atto di tale assetto normativo, statuendo che “l'obbligo di notificare alle Amministrazioni dello Stato ai sensi dell'art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 (T.U. delle leggi sull'Avvocatura dello Stato) e dell'art. 10, terzo comma, della legge 3 aprile 1979 n. 103, gli atti ivi indicati, presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria adita, è esteso - ai sensi dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 103 del 1979 - alle notifiche da eseguirsi alle Regioni che abbiano deciso di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ai sensi del primo comma dell'art. 10 ult. cit.” (C.d.S., IV, 12 luglio 1989, n. 465); e che “ove la Regione abbia deciso di avvalersi, in via generale, del patrocinio legale dell'Avvocatura dello Stato, in attuazione dell'art. 10 della legge 3 aprile 1979 n. 103, il ricorso avverso i suoi atti va notificato al presidente della Giunta regionale presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato” (C.d.S., IV, 7 marzo 1991, n. 151); infatti, “in base alla disposizione di cui all'art. 10, comma terzo, della legge 3 aprile 1979 n. 103 i ricorsi vanno notificati all'Amministrazione statale presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto ha sede il giudice al quale il ricorso è diretto. Non può essere riconosciuta la scusabilità dell'errore nel caso di notificazione diretta presso gli uffici dell'Amministrazione, avvenuta a distanza di circa quattro anni dall'entrata in vigore della legge 3 aprile 1979 n. 103” (C.d.S., IV, 16 maggio 1985, n. 183). Era dunque nulla la notifica del ricorso di primo grado alla Regione Umbria, Ente che ha emesso i provvedimenti impugnati, perché è stata effettuata non già presso l’Avvocatura dello Stato, bensì presso la Sede della Regione stessa. La circostanza che la Regione Umbria non si sia costituita in primo grado ha escluso peraltro ogni ipotesi di sanatoria dell’indicata nullità. Il ricorso di primo grado risulta dunque essere stato inammissibile, perché non notificato, nei termini di legge, all’Ente che aveva emesso i provvedimenti impugnati; è ovviamente assorbito ogni altro profilo. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 6 maggio 2002, n. 2431.
Trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario - mancato esercizio della facoltà - preclusione ai controinteressati - principio dell’insindacabilità giurisdizionale - difetto di notifica del ricorso straordinario - istanza di revocazione - casi previsti. È noto che, ai sensi dell’art. 10, III comma, del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, “il mancato esercizio della facoltà di” richiedere la trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario, prevista dal I comma dello stesso articolo, “preclude ai controinteressati, ai quali sia stato notificato il ricorso straordinario, l'impugnazione dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale della decisione di accoglimento del Presidente della Repubblica, salvo che per vizi di forma o di procedimento propri del medesimo”. Il principio dell’insindacabilità giurisdizionale per vizi anteriori al parere del D.P.R. che ha deciso un ricorso straordinario non è soggetto ad altre eccezioni oltre quella - nella specie non ricorrente - relativa ad un difetto di notifica del ricorso straordinario che abbia precluso ad una parte che ne avrebbe avuto titolo la possibilità di richiedere la ricordata trasposizione (cfr. C.d.S., IV, 14 dicembre 1982, n. 828). L’unico strumento che la ricorrente in prime cure avrebbe potuto e dovuto attivare per dolersi di quanto occorso è, cioè, quello previsto e disciplinato dall’art. 15 dello stesso D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, vale a dire l’istanza di revocazione del D.P.R. decisorio del ricorso straordinario che sarebbe stato assunto senza integrale acquisizione delle difese di parte ricorrente. Dispone infatti il citato art. 15, I comma, che “i decreti del Presidente della Repubblica che decidono i ricorsi straordinari possono essere impugnati per revocazione nei casi previsti dall'art. 395 del codice di procedura civile”, entro i termini indicati dal II comma dello stesso articolo. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 6 maggio 2002, n. 2428.
Il termine di 120 giorni posto per l'emissione della citazione ex L. 14 gennaio 1994 n. 19. Il termine di 120 giorni posto per l'emissione della citazione dall'art. 5 co. 1° D.L. 15 novembre 1993 n. 453, convertito dalla L. 14 gennaio 1994 n. 19, non ha natura processuale e non è, quindi, soggetto a sospensione feriale. Corte dei Conti Sezione III centrale, 2 maggio 2002, sentenza, n.133/A
La legittimazione ad impugnare Piani Regolatori da parte delle associazioni. Le Associazioni Italia Nostra e World Wide Fund for Nature (W.W.F.) o.n.l.u.s., sono legittimate ad impugnare atti con connotazione urbanistica e non esclusivamente ambientale. Nella fattispecie, il Tribunale ha ritenuto che, il provvedimento di cui trattasi non abbia una mera valenza urbanistica, ma incida decisamente sull'ambiente e, in particolare, sul paesaggio. Si rende infatti edificabile un'area che, altrimenti non lo sarebbe se non negli angusti limiti previsti per le zone agricole. Ebbene, un intervento della specie ha all’evidenza un impatto ambientale. T. A. R. Umbria - Perugia, 1° maggio 2002, n. 307.
Onere di immediata impugnazione - provvedimenti per i quali non sia richiesta la notifica individuale - decorrenza - potenzialità lesiva del provvedimento amministrativo - conoscenza legale. In linea di principio, le norme regolamentari, avendo natura generale ed astratta, vanno impugnate assieme all'atto applicativo, che rende concreta la lesione degli interessi legittimi di cui sono portatori i destinatari delle stesse. Quando, per converso, queste ultime, per il loro carattere specifico e concreto, siano idonee ad incidere direttamente nella sfera degli amministrati, siano essi soggetti singoli o enti esponenziali di interessi collettivi o diffusi, sorge l'onere di immediata impugnazione. Poiché, nella specie, i ricorrenti, con il loro comportamento processuale, hanno ritenuto immediatamente lesive alcune disposizioni contenute nel citato D.P.R. n. 554/99, essi erano tenuti a adire immediatamente il giudice amministrativo, a norma dell'art. 21 comma 1 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, il quale - tanto nella versione originaria quanto in quella introdotta dall'art. 1 della legge 21 luglio 2000 n. 205 - stabilisce che, nei confronti dei provvedimenti per i quali non sia richiesta la notifica individuale, il ricorso deve essere notificato entro il termine di sessanta giorni decorrente dal giorno della pubblicazione dell'atto, se tale forma di pubblicità, come nel caso in esame, è quella espressamente prevista da disposizioni di legge o di regolamento. (Il TAR, accogliendo l’eccezione delle amministrazioni, ha ritenuto che il termine per proporre impugnativa avverso la normativa contenuta nel D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 decorreva dalla conoscenza legale dell'atto, risalente alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 28 aprile 2000, a nulla rilevando, per converso, che esso fosse destinato ad entrare in vigore tre mesi dopo la sua pubblicazione, ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge 11 febbraio 1994 n. 109. Ha, pertanto, respinto la tesi degli originari ricorrenti, secondo i quali, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, sarebbe necessaria la potenzialità lesiva del provvedimento amministrativo). Non vi sarebbe dubbio, quindi, che le disposizioni impugnate sono (in tesi) immediatamente efficaci e, quindi, lesive, in quanto la vacatio, oltre a non presentare alcun margine di incertezza nell'an e nel quid, risponde esclusivamente all'esigenza di consentire l'adattamento dei comportamenti individuali alle norme giuridiche che si introdotte nell'ordinamento e, quindi, si pone su un piano del tutto diverso da quello che attiene alla "conoscenza legale" del provvedimento ai fini impugnatori. Del resto, non si è mai dubitato che il periodo ordinario di vacatio possa prolungare corrispondentemente il termine di impugnazione di cui all'art. 21 della citata legge n. 1034/71 che, testualmente, decorre sempre e comunque dalla “conoscenza dell’atto. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. del 17 aprile 2002, n. 2032. (vedi: sentenza per esteso)
Effetti della vacatio legis - pubblicità-notizia - esecutorietà all’atto normativo ed obbligatorietà erga omnes conseguente alla pubblicazione - atti diretti a destinatari non determinati - decorrenza del termine per impugnare - immediata lesività dalla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Sotto un profilo generale, si deve ribadire che la vacatio implica solo la non obbligatorietà dei precetti contenuti nell’atto normativo, ma non influisce minimamente sulla sua perfezione ed esecutività. E’ pacifico, infatti, che la pubblicazione dell’atto normativo nella Gazzetta Ufficiale vale solo ai fini della conoscenza e realizza, dunque, una forma di pubblicità-notizia. L’atto che, invece, attribuisce immediata efficacia o se si vuole esecutorietà all’atto normativo è la promulgazione, che si distingue dalla obbligatorietà erga omnes conseguente alla pubblicazione. Sotto il profilo più strettamente di diritto positivo, deve rilevarsi che sia l'art. 21 primo comma L. 6 dicembre 1971 n. 1034, sia l'art. 2 R.D. 17 agosto 1907 n. 642, prevedono che, per gli atti diretti a destinatari non determinati, la decorrenza del termine per impugnare inizia dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e negli altri Fogli di annunzi legali. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr., Sez. IV, 26 gennaio 1998, n. 76; Sez. V, 6 giugno 1996, n. 661) ha, difatti, chiarito che la previsione dell'art. 21 primo comma L. 6 dicembre 1971 n. 1034, nella parte in cui non contempla espressamente, ai fini della decorrenza del termine per impugnare gli atti amministrativi, la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e negli altri Fogli di annunzi legali integra ma non sostituisce la previsione contenuta nell'art. 2 R.D. 17 agosto 1907 n. 642, che invece a tali forme di pubblicazione faceva espresso richiamo, sottolineando che la pubblicazione nei Giornali ufficiali (nel caso di specie, Bollettino ufficiale della Regione) risponde a un’esigenza di ordine generale dell'ordinamento circa la legale conoscenza degli atti normativi e a contenuto generale, e rileva anche ai fini della decorrenza dei termini per proporre impugnazione giurisdizionale. In tale senso si è pronunciata anche la Corte costituzionale (Cfr. Corte cost. 30 dicembre 1987 n. 611), la quale, nel precisare quale sia il criterio posto a base delle disposizioni disciplinanti i termini di impugnazione in materia di giustizia amministrativa, ha sottolineato che quando un atto ufficiale possiede una natura normativa e non è comunque diretto a destinatari determinati e, come tale, non può non avere un'efficacia indivisibile o non differenziabile da soggetto a soggetto (o, peggio ancora, da ufficio a ufficio), la sua pubblicazione nel giornale ufficiale è assorbente e determinante rispetto a qualsiasi altra forma di conoscenza legale e determina la decorrenza del termine di impugnazione. E nello stesso senso sono anche i precedenti invocati dagli appellanti (CdS, Sez. VI, 27 aprile 2001, n. 2459 e CGA, 17 maggio 2000, n. 233), posto che in tali decisioni è confermato il principio secondo il quale, attesa la natura di atti generali dei regolamenti e il loro regime di pubblicità, il termine per ricorrere contro di essi decorre, per i soggetti direttamente ed immediatamente lesi dalle norme, dalla pubblicazione del regolamento. Né può ritenersi che le disposizioni regolamentari impugnate non fossero immediatamente lesive fino all'adozione dei provvedimenti applicativi, atteso che rispetto alle previsioni contenute nelle norme denunciate non residua alcuno spazio deliberativo all'organo preposto alla concreta applicazione, trattandosi non di semplice direttiva, ma di un vero e proprio obbligo. Da ciò consegue l'immediata lesività delle disposizioni censurate per la sfera soggettiva degli originari ricorrenti, i quali, quindi, come esattamente ritenuto dal TAR, avevano l’onere di proporre tempestiva impugnazione dalla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Correttamente, pertanto, il ricorso è stato dichiarato tardivo, perché notificato ben oltre il sessantesimo giorno dalla legale conoscenza derivante dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. del 17 aprile 2002, n. 2032. (vedi: sentenza per esteso)
Mutamento della situazione di fatto e di diritto - pronuncia di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse - accertamento da compiersi dal giudice in ogni stato e grado di giudizio - dichiarazione di improcedibilità. Il decesso dell’originario ricorrente, comportando un mutamento della situazione di fatto e di diritto direttamente incidente sulla sostanziale pretesa del ricorrente, priva di qualsiasi utilità l’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado e determina la sopravvenuta carenza d'interesse al ricorso. La pronuncia di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse è basata sull'accertamento dell'esistenza delle condizioni della decisione giurisdizionale domandata dal ricorrente a tutela di una concreta situazione giuridica di vantaggio, accertamento da compiersi dal giudice in ogni stato e grado di giudizio, anche d'ufficio, e pertanto anche nel corso del procedimento di appello, da qualunque parte promosso. La carenza d'interesse in ordine all'annullamento del provvedimento originariamente impugnato, sopravvenuta nelle more del giudizio di appello, comporta la dichiarazione di improcedibilità, non soltanto dell'appello, ma altresì dell’originario ricorso proposto davanti al Tribunale amministrativo regionale, e determina, quando non si verta in ipotesi di vizio o difetto inficiante la sola fase d'appello, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 34 primo comma L. 6 dicembre 1971 n. 1034 (Cfr. IV Sez. 6 luglio 1979 n. 570, IV Sez. 14 dicembre 1979 n. 1165 e V Sez. 21 novembre 1980 n. 947, nonché VI Sez. 24 aprile 1981 n. 155). Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. del 17 aprile 2002, n. 2031.
Unità della giurisdizione amministrativa - potere di cognizione e di decisione del giudice amministrativo. L’unità della giurisdizione amministrativa tende a concentrare i poteri di cognizione del giudice intorno alla complessiva vicenda dei rapporti giuridici che tutelano un determinato interesse o bene della vita del soggetto privato nei confronti dell’azione della pubblica amministrazione. In questa ottica, l’attivazione della tutela giurisdizionale attraverso il rito semplificato previsto per il silenzio della PA dall’art. 21 bis della legge n. 1074 del 1971, così come introdotto dall’art. 2 della legge n. 205 del 2000, tende comunque, in ultima analisi, alla determinazione, attraverso la via giudiziale, del giusto assetto dei rapporti controversi: e questo obiettivo di giustizia, ove non si configurino limitazioni dei diritti degli altri soggetti portatori di interessi in conflitto potenziale ed attuale con quello del ricorrente, può ben essere perseguito attraverso lo strumento generale della introduzione di motivi aggiunti, secondo lo schema disciplinato dal citato art. 1 della legge n. 205 del 2000. In sostanza vi è una unità del potere di cognizione e di decisione del giudice amministrativo, speculare a quello del giudice ordinario, che rende possibile tale conversione del rito, tutte le volte che risultino rispettati i termini e le modalità previsti per il rito ordinario, a garanzia di difesa per tutti i soggetti contro interessati. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 10 aprile 2002, n. 1974.
Accesso ai documenti - attività privatistica della pubblica Amministrazione - gli atti disciplinati dal diritto privato sono suscettibili di accesso ex art. 22 L. n.241/90 - accesso agli atti provenienti dai privati intervenuti nel relativo procedimento - limite. Si osserva riguardo all’accesso ai documenti che la giurisprudenza più recente ha chiarito, in relazione alle perplessità avanzate sull’ammissibilità dell’accesso con riferimento agli atti che sono espressione di attività privatistica della pubblica Amministrazione o di concessionari di pubblici servizi, che non solo l’attività autoritativa (in quanto esercizio di una pubblica potestà) ma anche quella comunque rivolta alla cura di interessi pubblici, pur se soggetta al diritto privato quanto a formazione degli atti, deve ritenersi sottoposta all’obbligo di trasparenza e di conoscibilità da parte degli interessati (V. la citata decisione sez. IV n.649/97). Tale orientamento è stato ribadito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio, che con decisione n.4 del 22.4.1999 ha precisato che tutte le tipologie di attività delle pubbliche Amministrazioni (ora anche dei meri gestori di pubblici servizi ex art. 4 L.3.8.1999 n.265, che ha sostituito l’art. 23 L.241/1990), e quindi anche gli atti disciplinati dal diritto privato sono suscettibili di accesso ex art. 22 L. n.241/90, e dalla successiva giurisprudenza di questo Consiglio (V. sez. IV n.1821 del 30.3.2000 e la decisione di questa Sezione n.3253 dell’8.6.2000). Per cui in linea di massima non vi può essere ostacolo alcuno in ordine alla facoltà di accesso rispetto atti formati dai soggetti di cui all’art. 23 L. n. 241/90, tra cui rientrano senz’altro nel caso in esame le deliberazioni di aggiudicazione dei contratti relativi alle specifiche fatture indicate dalla Società. Per quanto concerne invece gli atti provenienti dai privati intervenuti nel relativo procedimento, l’accesso in tanto è consentito in quanto si tratti di atti utilizzati ed in qualche modo rilevanti nell’iter del procedimento, ai sensi dell’art. 22, 2° comma, L.n.241/90, e non solo occasionalmente detenuti dall’Amministrazione (V. la decisione di questo Consiglio, sez. VI, n.191 del 22.1.2001). Peraltro, nell’ambito degli atti privati utilizzati ai fini dell’attività amministrativa occorre distinguere quelli che sono gli atti di soggetti terzi e quelli che sono gli atti propri del soggetto richiedente l’accesso (o del suo mandante). Per questi ultimi l’accesso deve essere negato, altrimenti l’Amministrazione verrebbe a sopperire a negligenze e disfunzioni che sono imputabili esclusivamente al privato, che consegna l’atto da lui formato senza curarsi di farsene un duplicato. Invero, non bisogna dimenticare che l’accesso ai documenti amministrativi in tanto ha senso in quanto si tratta di documenti nella disponibilità esclusiva dell’Amministrazione. Di conseguenza non può essere chiesta all’Amministrazione l’esibizione di fatture e di bolle di consegna per verificarne il contenuto, essendo atti provenienti dal privato, anche se per circostanze varie (ma comunque imputabili a sé stesso o al proprio mandante) siano eventualmente andate smarrite, come sembra accaduto nella specie. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 11 marzo 2002, n. 1443.
Segretari comunali - trasferimenti d’ufficio - indicazione delle ragioni specifiche - limite al trasferimento. La giurisprudenza amministrativa ha affermato che i trasferimenti d’ufficio dei segretari comunali ex art. 28 della legge 8 giugno 1962, n. 604, possono essere disposti soltanto per esigenze di servizio, e ha ritenuto illegittimo il trasferimento di un segretario comunale motivato con riferimento ad asserita incompatibilità ambientale (Cons. St., Sez. IV, n. 341 del 13.9.1985). (Come pure osservato dal Tribunale amministrativo, gli atti depositati in giudizio denotano che gli “episodi incresciosi”, più che alla Segretaria, siano attribuibili al comportamento degli amministratori, ai quali la dipendente aveva inteso opporsi a tutela della legittimità di operazioni che apparivano non corrette sotto il profilo finanziario. Da ciò è nata l’incomprensione). La giurisprudenza ha ulteriormente precisato che nei trasferimenti di servizio dei segretari comunali l’Amministrazione deve indicare le ragioni specifiche che l’hanno indotta ad avvalersi della procedura di cui all’art. 28 della citata legge del 1962, a nulla valendo il generico richiamo alla sistemazione dell’ufficio di segreteria (Con. St., Sez. IV, n. 669 del 1.7.1992). In effetti il legislatore, anche in considerazione della particolare posizione di tali dipendenti - appartenenti a un ruolo organico distinto da quello del personale degli enti - ha voluto stabilire, attraverso l’indicata disposizione, forme volte a garantire l’indipendenza e l’autonomia della loro funzione, anche a tutela della legittimità dell’azione amministrativa, prescrivendo regole precise da seguire nel caso di un loro eventuale trasferimento d’ufficio, collegate imprescindibilmente alla presenza di concrete e reali esigenze di servizio. Consiglio Stato Sez. IV, 14 febbraio 2002, n. 888. (vedi: sentenza per esteso)
Ammissibilità dell’appello - potestas iudicandi del giudice amministrativo - divieto di introdurre censure non formulate. Ai fini dell’ammissibilità dell’appello deve aversi riguardo non solo alle censure espressamente enunciate nel relativo atto, ma anche a quelle che, pur se non formalmente esposte in un titolo, possono essere desunte agevolmente dall’esposizione dei fatti e dal contesto del ricorso. Rientra propriamente nella potestas iudicandi del giudice amministrativo il compito di apprezzare le censure anche malamente o imprecisamente o impropriamente formulate, secondo un criterio sostanziale volto a privilegiare la volontà dell’appellante, così come desunta dall’esposizione del libello, con l’unico limite del divieto di introdurre censure non formulate e sempreché sia rispettato il fondamentale principio del contraddittorio. Consiglio Stato Sez. IV, 06 febbraio 2002, n. 664. (vedi: sentenza per esteso)
Legittimazione processuale - ordini professionali (degli Architetti) - limiti.
Proprio in tema di affidamenti di incarichi di progettazione di opere pubbliche
si è ritenuto legittimato un Ordine professionale (degli Architetti), a
perseguire giudizialmente l’osservanza di prescrizioni a garanzia della par
condicio dei partecipanti a procedure selettive, nonostante fosse stato
avvantaggiato un singolo socio. Gli ordini professionali, infatti, sono
legittimati a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei
soggetti di cui hanno la rappresentanza istituzionale, non solo quando si tratti
della violazione di norme poste a tutela della professione stessa, ma anche
ogniqualvolta si tratti di perseguire comunque il conseguimento di vantaggi, sia
pure di carattere puramente strumentale, giuridicamente riferibili alla sfera
della categoria (cfr. Cons. St., sez. V, 7 marzo 2001, n. 1339; sez. VI, 3
giugno 1996, n. 624). Con l’unico limite derivante dal divieto di occuparsi di
questioni concernenti i singoli iscritti e di quelle relative ad attività non
soggette alla disciplina o potestà dell’ordine professionale, come ad
esempio, in tema di impugnativa di provvedimenti concernenti i requisiti
richiesti dalla pubblica amministrazione per l’acceso all’impiego,
circostanza questa che non ricorre nella vicenda in trattazione (cfr. Cons. St.,
sez. V, 23 maggio 1997, n. 527). La dichiarazione di improcedibilità del
ricorso di primo grado, anche in sede di appello, consegue unicamente alla
radicale modificazione della situazione di fatto e di diritto esistente al
momento della proposizione della domanda, tale da rendere certa e definitiva
l’inutilità della sentenza anche sotto un profilo meramente strumentale (che
non ricorrerebbe nella fattispecie odierna, cfr. Cons. St., sez. IV, 1 agosto
2001, n. 4206; sez. IV, 10 novembre 1999, n. 1671); o morale, che invece deve
ritenersi sussistente in considerazione della già delineata peculiare natura
dell’interesse corporativo di cui è portatore l’ente esponenziale,
ravvisabile anche nel precetto conformativo dell’azione amministrativa de
futuro: sotto tale angolazione, si è escluso che l’avvenuta esecuzione
dell’opera pubblica nelle more del giudizio, possa determinare l’improcedibilità
per sopravvenuta carenza di interesse al ricorso proposto contro gli atti
relativi al concorso per il progetto di opera pubblica (cfr. Cons. St., sez. V,
25 giugno 2001, n. 3361). Consiglio Stato sez. IV, 23
gennaio 2002, n. 391.
(Vedi: sentenza
per esteso)
Errore di fatto contenuto nella sentenza - casi di legittimazione al ricorso per revocazione. In diritto l’errore di fatto contenuto nella sentenza idoneo a legittimare il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4), c.p.c., deve rispondere a tre distinti requisiti, consistenti: a) nel derivare esso da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto; b) nell’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente pronunciato; c) infine, nell’essere stato elemento determinante della decisione adottata, risultando inammissibile, sotto tale angolazione, il ricorso in revocazione con il quale si tende ad investire un momento tipicamente valutativo della decisione impugnata (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. I, 28 marzo 2001, n. 180\2001; sez. VI, 25 settembre 1995, n. 985). Consiglio Stato Sez. IV, 28.01.2002, n. 454.
Domanda cautelare - rispetto del contraddittorio - giudizio di merito - giudizio in forma semplificata. L’art.21, comma IX, della legge 6 dicembre 1971, n.1034, come modificato dall’art.3 della legge 21 luglio 2000, n.205, così recita: “In sede di decisione sulla domanda cautelare, il tribunale amministrativo regionale, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria ed ove ne ricorrano i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio nel merito norma dell’art.26”. Quest’ultima norma, nel testo modificato dall’art.9 della legge n.205/2000, prevede che: a) nel caso di “manifesta fondatezza” ovvero di “manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità, infondatezza del ricorso” il giudice amministrativo decide “con sentenza succintamente motivata” (comma IV); b) la “decisione semplificata” è assunta, nel rispetto del contraddittorio, nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare ovvero fissata d’ufficio a seguito dell’esame istruttorio” (comma V). La disciplina del passaggio dal giudizio cautelare al giudizio di merito è definita, in via generale e in modo compiuto, dall’art.21, comma IX, della legge n.1034/1971, che indica i presupposti processuali (completezza del contraddittorio e dell’istruttoria; l’audizione delle parti costituite) e sostanziali (quelli stabiliti dal successivo art.26) necessari. L’art.26 si riferisce alla fase decisoria e stabilisce i casi in cui il giudice ha facoltà di definire il giudizio in forma semplificata, come emerge anche dalla rubrica (“decisioni in forma semplificata). Nella parte in cui richiede il “rispetto della completezza del contraddittorio” (comma V) pone una condizione processuale minima, valida in tutti i casi in cui la decisione può essere adottata in forma semplificata, ma ciò non incide sulla disciplina della conversione del giudizio cautelare in giudizio di merito, che è e resta stabilita dall’art.21. Consiglio Stato Sez. IV, 28.01.2002, n. 453.
Presupposto processuale - inammissibilità dell’appello. L'appello deve ritenersi inammissibile, in conformità alla costante giurisprudenza che giunge a tale conclusione quando la sentenza impugnata si regge, come nel caso di specie (violazione dell'art. 46, l. r. n. 40 del 1980, ma non muove alcuna critica a quello concernente la violazione degli articoli 9, l. n. 1150 del 1942 e 42 della l. r. n. 40 del 1980 cit.), su una pluralità di motivi autonomi, ognuno dei quali è da solo in grado di sostenerla perché fondato su specifici presupposti logico giuridici e l'appellante abbia omesso di contrastarli tutti (cfr. Cons. St., sez. IV, 24 marzo 1998, n. 492; sez. VI, 5 febbraio 1997, n. 246). Consiglio di Stato Sez. IV, 23 gennaio 2002 Sentenza n. 392.
Enti Locali - risarcimento di danno conseguente a sinistro - copertura
assicurativa - responsabilità contabile del sindaco conseguente alla mancata
chiamata in garanzia della società assicuratrice.
Il Comune di Silvi fu condannato dal V. Pretore di Teramo a risarcire i danni
conseguenti a sinistro, pur essendo in corso regolare copertura assicurativa,
che garantiva per l’appunto l’Ente locale con riferimento all’evento. La Procura
Regionale per la Regione Abruzzo ha ritenuto sussistenti in capo al sindaco
elementi di responsabilità amministrativo-contabile in relazione a un
comportamento contrario ai propri doveri di ufficio e gravemente colposi,
consistente nell'essersi astenuto da preoccuparsi, una volta ricevuta la
citazione in giudizio dei soggetti danneggiati, di attivarsi affinché
l’assicurazione mallevasse l’Ente locale del danno prodotto da un albero di
proprietà comunale. Il danno erariale in evidenza nella presente fattispecie, in
ipotesi ascrivibile al convenuto, risulterebbe dal risarcimento corrisposto ai
danneggiati, di esclusiva spettanza della Società assicuratrice. L'esame degli
atti di causa evidenzia, infatti, la insussistenza di ragioni ostative alla
chiamata in garanzia dell’assicurazione, o giustificative della grave omissione
di evidenti obblighi connessi al diligente adempimento del mandato di Sindaco di
Silvi, chiamato a presiedere al regolare andamento dei servizi comunali. Risulta
da elementari regole di comune diligenza la necessità che l’Amministrazione si
metta in moto per conoscere ed, eventualmente, attivare, le coperture
assicurative inerenti a un sinistro di cui l’Ente locale è responsabile. La
intempestività della trattazione di atti sensibili può indurre la causazione di
rilevanti danni erariali (specie quando si tratti di svolgere attività connesse
a procedimenti giudiziari, sanzionatori o tributari). Corte dei Conti, Sez.
Giur. Regione Abruzzo - Sentenza 23 gennaio 2002 n. 32.
Le associazioni ambientalistiche sono legittimate ad impugnare le deliberazioni comunali, pur presentando aspetti urbanistici e sanitari, quando queste contrastano o compromettono il bene dell’ambiente. Ai sensi degli articoli 13 e 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349 le associazioni ambientalistiche sono legittimate ad impugnare le deliberazioni comunali nel caso in cui, pur presentando aspetti urbanistici e sanitari, sono suscettibili di pregiudicare il bene dell’ambiente, compromettendone l’adeguata tutela. Consiglio di Stato sez. I, parere 1217/2001 del 23 gennaio 2002.
Segretari comunali - disposizioni a tutela dei segretari comunali - la nomina ha
durata corrispondente a quella del mandato del sindaco - revoca con
provvedimento motivato per violazione dei doveri d’ufficio - cessazione del
rapporto funzionale.
Le disposizioni a tutela dei segretari comunali sono invece contenute, oltre che
nell’art. 15 del D.P.R. n. 645/97 ("regolamento recante disposizioni in
materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali, a norma dell’art.
17 della legge n. 127/97"), nel recente T.U. che ribadisce quanto già
regolato dal D.P.R. citato. L’art. 99 sancisce che "salvo quanto previsto
dall’art. 100, la nomina ha durata corrispondente a quella del mandato del
sindaco… che lo ha nominato. Il segretario cessa automaticamente
dall’incarico con la cessazione del mandato del sindaco…, continuando ad
esercitare le funzioni sino alla nomina del nuovo segretario", mentre
l’art. 100 stabilisce che "il segretario può essere revocato con
provvedimento motivato dal sindaco…, previa deliberazione della giunta, per
violazione dei doveri d’ufficio". (La facoltà dei Comuni di utilizzare
lo strumento della convenzione - utile soprattutto per gli enti di piccole
dimensioni per motivi economici, ottenendosi un risparmio sulla retribuzione
dovuta al segretario comunale - è espressamente prevista dall’art. 10 del
D.P.R. n. 645/97 ed è ribadita nell’art. 98, 3° comma del T.U.
sull’ordinamento degli enti locali, secondo cui "I comuni possono
stipulare convenzioni per l’ufficio di segretario comunale, comunicandone
l’avvenuta costituzione alla Sezione regionale dell’Agenzia"). Dalle
lettura delle suindicate disposizioni emerge che il legislatore ha voluto
salvaguardare la stabilità del rapporto instauratosi tra il segretario e
l’ente di appartenenza per tutta la durata del mandato del soggetto che gli ha
affidato l’incarico, salvo la revoca prima del termine per violazione dei
doveri d’ufficio con provvedimento motivato. La ratio è evidente:
poiché il segretario viene individuato dal capo dell’Amministrazione senza
alcun vincolo, ma in virtù di una mera scelta politico-fiduciaria, viene
assicurata la stabilità della funzione fino alla decadenza automatica, che si
verifica al termine del mandato del Sindaco. Il carattere fiduciario che connota
il rapporto non osta con la previsione di un termine di durata, in quanto
proprio perché è rimessa alla discrezionalità del capo dell’amministrazione
la scelta del soggetto cui affidare le rilevanti funzioni di cui all’art. 97
(consultive, referenti, di assistenza agli organi dell’ente, nonché roganti e
di autentica) si vuole garantire la collaborazione del funzionario incaricato
per tutto il periodo di mandato del sindaco. Ne consegue che, avendo il
legislatore individuato, quale causa di cessazione del rapporto funzionale,
unicamente la mancata conferma o la revoca per gravi ragioni ravvisabili nella
violazione di doveri d’ufficio, appare censurabile la condotta del Comune
resistente che, dopo aver confermato la Candela nelle funzioni di segretario
comunale dei due comuni convenzionati, ha in corso di mandato revocato alla
predetta tali funzioni al di fuori delle fattispecie espressamente sancite dalla
vigente normativa. Per quanto attiene alla tutela invocabile, va evidenziato che
è stato leso il diritto soggettivo della Candela - acquisito con il decreto
di conferma - al mantenimento del rapporto fino al termine del mandato del
sindaco. Ritiene quindi il giudicante che, indipendentemente dalla
qualificazione da attribuirsi alla revoca quale atto di licenziamento o di
dimensionamento, la ricorrente abbia diritto non solo al risarcimento del danno
(che non viene preteso in questa sede), ma all’immediata reintegra
nell’incarico precedentemente ricoperto.
Tribunale
di Mantova - Sentenza 27 dicembre 2001 n. 186.
Spese processuali - superamento degli importi previsti dalla tariffa
professionale - discrezione del giudice - inammissibilità.
La statuizione sulle spese processuali riveste carattere ampiamente
discrezionale e non può essere sindacata dal giudice d'appello, salvo che per
le ipotesi di violazione dei limiti massimi e minimi della tariffa
professionale, ovvero del principio secondo cui la parte completamente
vittoriosa non può essere giammai condannata alle medesime spese (Cons. Stato,
sez. VI, 5 giugno 2001, n. 3015; sez. V, 30 dicembre 1998, n. 1957; 6 dicembre
1987, n. 1489; Cass. 10 aprile 1986, n. 2504; 24 ottobre 1983, n. 6236; 17 marzo
1981, n. 1550); nella specie, l'appellante non deduce il superamento degli
importi previsti dalla tariffa professionale né, comunque, specifica ciò che
sia dovuto o non dovuto e perciò la sua doglianza si rivela inammissibile oltre
che infondata (Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 1996, n. 204; 19 aprile 1994, n.
293; Cass., sez. II, 3 aprile 1999, n. 3267; 29 gennaio 1985, n. 515; 5 aprile
1984, n. 2195). Al di fuori delle predette ipotesi, la statuizione sulle spese
è rimessa alla discrezione del giudice e questo è libero di compensare le
medesime in tutto o in parte o di condannare alla totalità di esse la parte
risultante parzialmente soccombente (Cons. Stato, sez. V, 2 dicembre 1998, n.
1776; 12 dicembre 1997, n. 1532; Cass., sez. lav., 30 marzo 1999, n. 3093; sez.
I, 11 novembre 1996, n. 9840 21 ottobre 1971, n. 2969). Consiglio
di Stato Sez. IV sentenza del 13.12.2001 sent. n. 6238.
Enti Pubblici - valutazione dei curricula - deve essere affidata ad un organo tecnico - non può essere operata dalla giunta comunale, organo politico - imparzialità dell’azione amministrativa. A salvaguardia della imparzialità dell’azione amministrativa, la valutazione dei curricula presentati da un’Associazione Temporanea fra professionisti deve essere affidata ad un organo tecnico composto, almeno a maggioranza, di esperti della materia, secondo quanto insegnato dalla Corte Cost. con la sent. 15 ottobre 1990 n. 453, e non può quindi essere legittimamente operata da un organo squisitamente politico qual è la giunta comunale. Né vale opporre che la determinazione finale spetta comunque alla Giunta, dato che ciò non vale certo a precludere la preventiva costituzione di apposita commissione quale organo tecnico consultivo di supporto, restando ferma la competenza della giunta ad approvare gli atti della procedura di selezione; né può sostenersi che nella specie non si trattava di valutare delle prove tecniche né tanto meno dei progetti, ma soltanto i curricula: è evidente infatti che la valutazione della “maggior esperienza”, maturata su lavori analoghi, criterio al quale si è attenuta la giunta, presuppone necessariamente la conoscenza di regole tecniche per stabilire la maggiore o minore professionalità ed esperienza dei progettisti partecipanti alla gara, conoscenza di regole tecniche che non poteva certamente essere della Giunta, in quanto, si ripete, organo politico. Cons. di Stato, V Sez., 7 dic. 2001, n. 6167.
Dirigenti - presidenza delle commissioni giudicatrice - differenza tra compiti di governo di indirizzo e coordinamento e quelli di gestione - mansioni conferite ai dirigenti - inidoneità dello statuto dell’ente di ripartire i compiti di gestione - responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso dei dirigenti - lo statuto municipale non è abilitato a derogare competenze per legge stabilite. Deve intendersi correttamente interpretato l’articolo 51 comma terzo della legge 8 giugno 1990, n. 142, ai sensi del quale la presidenza delle commissioni giudicatrici di gara e di concorso spetta ai dirigenti dell’ente locale territoriale e non già agli organi di governo politico. Tale disposizione deve ritenersi immediatamente precettiva per le amministrazioni locali, essendo fondata sulla concezione del riparto tra compiti di governo di indirizzo e coordinamento (spettanti agli organi elettivi o a quelli che, ancorché non elettivi, ripetono dai primi la legittimazione a operare, quali gli assessori di giunta comunale e provinciale) e quelli di gestione (affidati in via esclusiva alla dirigenza dello stesso ente) che costituisce struttura fondante dell’intera riforma delle autonomie locali e, poi, del sistema di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, come testimonia il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, articolato anch’esso sulla stretta ripartizione tra attività di indirizzo e controllo di natura politica e di gestione. L’immediata precettività della norma in esame si deduce altresì dalla coerenza delle mansioni conferite ai dirigenti con la loro responsabilità per l’andamento degli uffici, quest’ultima certo non incidibile da prescrizioni statutarie, (C.d.S.,V, 5 maggio 1999, n. 505) nonché dalla inidoneità dello statuto dell’ente di ripartire i compiti di gestione tra le diverse figure professionali presenti nell’ente al di fuori degli ambiti già precisati dalla legge n. 142 del 1990 (C.d.S., V, 27 agosto 1999, n. 1004). La novella contenuta nell’articolo 6 della legge 15 maggio 1997, n. 127, che ha in parte modificato l’originaria formulazione dell’articolo 51 della legge sulle autonomie locali n. 142 del 1990, non ha alterato la suindicata ripartizione dei compiti, ma ne ha, a tutto concedere, meglio rappresentata la diversa configurazione. In particolare la prevista responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso dei dirigenti non si pone in logica antitesi con il dovere che grava sugli stessi, di presiedere le commissioni di concorso, essendo entrambi questi compiti correlati alla responsabilità piena del funzionario, articolata fino al potere di approvazione delle gare stesse (C.d.S., V, 26 gennaio 1999, n. 64). La formula legislativa di cui al comma 3 del summenzionato articolo 51, nella sua ampiezza, estende la presidenza dei dirigenti a ogni tipo di gara, apparendo del tutto irrazionale l’esclusione, da quel novero, della procedura di appalto concorso, come prevista dall’articolo 16 del regolamento comunale annullato con la pronuncia di prime cure: l’appalto concorso è, infatti, per la disciplina nazionale e comunitaria procedura a evidenza pubblica e, per questo, va compreso tra le gare previste dalla norma in esame. La seconda censura dell’appellante, che sostiene il permanere di una competenza residuale del sindaco a presiedere le commissioni per l’aggiudicazione di gara con il metodo dell’appalto concorso sul rilievo che l’articolo 51 comma quarto dello statuto della città di Potenza richiamerebbe il predetto articolo 16 del regolamento comunale di disciplina contrattuale, è palesemente erronea, posto che, come sopra rilevato, lo statuto municipale non è abilitato a derogare competenze per legge stabilite. Consiglio di Stato, Sez. V Sentenza 15 novembre 2001 n. 5833.
Associazioni ambientaliste - costituzione di parte civile - requisiti. In conformità alla prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione, si deve ritenere che la costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste sia possibile ove per continuità dell'azione, attiva presenza sul territorio, rilevanza del loro contributo, sensibilizzazione della pubblica opinione (si veda Cass., Sez. 3, 1 ottobre 1996, n. 9837) sia possibile stabilire un nesso tra fatto lesivo e lesione del diritto soggettivo dell'associazione stessa (quale formazione sociale; Cass. pen., Sez. 3, 9 luglio 1996 n. 8699) ad un ambiente salubre, diritto derivato e connesso a quello dei singoli soci che in quella formazione sociale esplicano la loro personalità nella convinta adesione ai fini e scopi statutari. Tribunale di Venezia, Sez. penale, ordinanza del 19.9.2001.
Bando di gara - previsione di invio delle domande con Raccomandata A.R. a pena di esclusione - illegittimità - funzione della raccomandata e dell’avviso di ricevimento. La previsione dell’invio della domanda con Raccomandata con Avviso di Ricevimento è illegittima per eccesso di potere, per illogicità ed inutile aggravio del procedimento a carico degli interessati. Infatti, l’invio attraverso la mera Raccomandata costituisce una modalità che garantisce la finalità cui è preordinata la disposizione in quanto l’Avviso di Ricevimento costituisce un mero elemento di prova dell’avvenuto invio, a favore dell’istante, ma nulla muta, dal punto di vista dell’Amministrazione, per quanto concerne la sicurezza del mezzo postale prescelto. L’invio con A.R., pertanto, può costituire una facoltà per i privati per adempiere al suddetto onere, ma non un obbligo, a pena di esclusione. Per tali ragioni il bando è illegittimo nella parte in cui prevede, a pena di esclusione, l’invio delle domande con Raccomandata con Avviso di Ricevimento e non semplicemente tramite raccomandata, così come è conseguentemente illegittimo, per illegittimità derivata, il provvedimento applicativo di esclusione. TAR Emilia Romagna Sez. di Parma, Sent. 25 ottobre 2001, n. 882.
L’adempimento di un onere formale di informazione non è senza rilievo nel settore ambientale - il c.d. monitoraggio ecologico consente l’effettuazione in tempi rapidi di altre indagini. Secondo quanto sostenuto in varie pronunce da questa Corte, l’adempimento di un onere formale di informazione non è senza rilievo nel settore ambientale, giacché permette di offrire la possibilità di un immediato e completo controllo del rispetto della normativa, dei correlati standards e del c.d. monitoraggio ecologico, consentendo l’effettuazione in tempi rapidi di altre indagini. Pertanto l’interesse tutelato, che non deve essere necessariamente sostanziale, sarebbe, in ogni caso, violato. Cassazione penale, sez. III, Sent. 23 ottobre 2001, n. 2885
Concessione pubblici servizi a trattativa privata - "circostanze speciali" - articolo 267 del r.d. n. 1175 del 1931. La Sezione ritiene di dover ribadire il proprio orientamento secondo il quale le "circostanze speciali" che, ai sensi dell’articolo 267 del citato r.d. n. 1175 del 1931, consentono di dare in concessione pubblici servizi a trattativa privata non possono essere quelle connesse alla mera presunta maggiore convenienza tecnico-economica dell’intervento come prospettato dall’Autorità procedente. Diversamente opinando l’Amministrazione verrebbe ad operare la scelta del concessionario non basandosi sull’offerta più confacente, sul piano tecnico-economico, all’interesse pubblico, ma solo sulla base di propri apprezzamenti soggettivi e al di fuori di ogni confronto concorrenziale di mercato. Pertanto, la norma va interpretata in senso restrittiva e conforme all’attuale orientamento del legislatore, inteso a privilegiare il confronto concorrenziale tutte le volte in cui non vi ostino fatti oggettivamente impeditivi, con la conseguenza che, non diversamente dalle ipotesi di appalti di lavori o di servizi, anche nel caso di concessione di pubblici servizi il ricorso alla trattativa privata deve ritenersi circoscritto in limiti ristretti e coincidenti con l’impossibilità, per la pubblica amministrazione, di fare ricorso a pubbliche gare in ragione dell’estrema urgenza nel provvedere, ovvero in relazione alla sussistenza di presupposti d’ordine tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate sul previo confronto concorrenziale (Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 1999, n. 546). Consiglio di Stato, Sez. V - Sentenza del 18 giugno 2001 n. 3213.
Interesse legittimo - risarcimento del danno - elementi di ammissibilità della domanda. La domanda di risarcimento del danno deve essere accompagnata dalla dimostrazione dell'effettivo pregiudizio patrimoniale e del necessario nesso eziologico con i provvedimenti dei quali si assuma l'illegittimità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2000 n. 244); dimostrandosi inammissibile la domanda formulata in modo del tutto generico e senza alcuna concreta dimostrazione degli elementi probatori a fondamento della pretesa fatta valere (cfr. T.A..R Lazio, sez. I-ter, 17 gennaio 2001 n. 252). Vuole, in altri termini, affermarsi che le coordinate "minime" identificative dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria non possono non essere individuate: nella presenza di un pregiudizio suscettibile di ristoro; nella derivazione causale del danno da un atto, ovvero da una condotta riferibile alla Pubblica Amministrazione; nonché nella ascrivibilità, sotto il profilo eziolologico, del danno stesso ad un comportamento almeno colposo osservato dalla Pubblica Autorità; siffatti elementi di ammissibilità della domanda dovendo necessariamente formare oggetto di compiuta dimostrazione ad opera della parte che intenda far valere in giudizio la pretesa stessa. TAR Lazio, Sez. II, 25 agosto 2001 n. 7025.
Partecipazione del privato al procedimento amministrativo - Il principio è applicabile anche ai procedimenti ablativi per occupazione d’urgenza. La L. 241/90 sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo consente al privato di partecipare al procedimento prima dell’inizio dei lavori e della ablazione degli immobili, né può sostenersi che la generica dichiarazione di indifferibilità e urgenza sia idonea ad esonerare l’Amministrazione dal suddetto onere. Il principio del contraddittorio in tema di procedimento amministrativo, introdotto dalla legge 241 del 1990 impone l’obbligo della partecipazione al procedimento dei soggetti incisi dall’atto finale ovvero l’intervento dei soggetti che comunque possano riceverne un pregiudizio. Tale principio si pone dunque come momento essenziale nell’esercizio dell’attività autoritativa della P.A., tendenzialmente finalizzato alla realizzazione del giusto procedimento e della trasparenza, e pertanto preordinato al concreto raggiungimento di quel coordinamento dell’interesse pubblico con gli interessi dei soggetti privati coinvolti, che permette la realizzazione dei fini istituzionali dell’ente pubblico con il minor sacrificio possibile delle situazioni giuridiche soggettive dei privati.A tal proposito la giurisprudenza, nell’interpretare l’impianto normativo costituito dagli artt. 7 e 8 della legge 241/90, ha avuto più volte occasione di affermare che il principio della partecipazione del privato all’azione amministrativa ha una portata di carattere generale che non ammette deroghe se non nei casi espressamente previsti ed ancora, sia pure dopo una iniziale oscillazione, che il suddetto principio è comunque applicabile anche ai procedimenti ablativi per occupazione d’urgenza, ancorché per gli stessi procedimenti siano già previste dagli artt. 10 e 11 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 specifiche forme di pubblicità (v. ad es. Cons. Stato, IV, 30.04.1999, n. 753). TAR Lazio, SEZ. I TER - Sentenza 28 luglio 2001 n. 6851.
Segretario comunale - le minute dei verbali delle sedute assembleari non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie procedimentale - efficacia della verbalizzazione formale - diniego di accesso - impugnazione per falso. Deve, invero, ritenersi che in carenza di una specifica normazione positiva, anche di livello secondario, che attribuisca alle minutazioni dei verbali delle riunioni degli organi collegiali, la veste ufficiale di atti o documenti amministrativi, ancorché strumentali e prodromici, siccome finalizzati al successivo adempimento della verbalizzazione formale, relativa alla determinazione finale e conclusiva effettivamente assunta dall’organo deliberante, la redazione, necessariamente affrettata ed approssimativa, di un testo informale, che, sulla scorta della comune esperienza, si rivela più assimilabile ad un brogliaccio che ad un resoconto assembleare, non possa valere se non per ciò che essa realmente rappresenta: cioè a dire, una serie di appunti ed annotazioni resi a futura memoria, che il segretario verbalizzante compila, ad uso interno e personale del proprio ufficio, e che, pertanto, sono destinati a restare nell’esclusiva disponibilità del medesimo, al fine della loro utilizzazione in sede di stesura definitiva del verbale di assemblea, senza che alcuno possa ritenersi investito della legittimazione di accedervi, per effettuare su di essi una consultazione a riscontro della veridicità e della fedeltà di riproduzione delle operazioni e delle discussioni svolte nel corso della seduta. Poiché, dunque, le minute dei verbali non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie procedimentale, ma si pongono quali semplici strumenti di supporto dell’attività demandata ai funzionari addetti alla verbalizzazione, esse non rivestono alcuna rilevanza giuridica nell’iter formativo della documentazione ufficiale e, non rientrando, quindi, nel concetto di documenti amministrativi in senso proprio, non possono ritenersi soggette alla disciplina dell’accesso. Di conseguenza, correttamente l’Amministrazione comunale ha opposto l’impugnato diniego, nel presupposto del carattere non ufficiale ed indisponibile delle minute redatte dal segretario verbalizzante. In realtà, deve ammettersi che, in sede di approvazione del verbale relativo alla seduta precedente, ciascun componente del collegio conserva il diritto di integrare il documento, chiedendo l’inserimento in esso delle rettifiche che ritenga opportune e facendo constare atti e dichiarazioni che, a suo avviso, non siano stati correttamente riportati nel testo dal funzionario verbalizzante. Senza contare che, in ultima analisi, resta sempre ferma la possibilità di sottoporre ad impugnativa di falso il verbale che, ad avviso di taluno dei componenti, non corrisponda esattamente al contenuto dell’adottato partito di deliberazione. TAR Lazio, Sez II - Sentenza 9 maggio 2001 n. 4025.
Accesso ai documenti amministrativi - documento amministrativo definizione - atti interni al procedimento amministrativo - diritto di accesso. L’art.22 della legge n.241/90, in materia di accesso ai documenti amministrativi, testualmente recita, al primo comma: "Al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge." Al secondo comma, il legislatore del 1990 si premura di precisare: "E’ considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa." Oggetto del diritto di accesso è, dunque, il documento amministrativo, inteso come bene mobile materiale, avente carattere strumentale ed accessorio, formato dalla pubblica amministrazione, in funzione rappresentativa o riproduttiva di un fatto o di un atto giuridicamente rilevante, ed utilizzato nell’esercizio dell’attività amministrativa. Ciò posto, si osserva che, se è vero che la legge sopra richiamata fornisce un’ampia nozione di documento amministrativo, ricomprendendo in essa, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa, non solo gli atti interni al procedimento amministrativo, ma anche quelli riconducibili all’attività svolta dalla P.A. iure privatorum, nonché quelli posti in essere da privati investiti di una pubblica funzione, in quanto, in ogni caso, volti a perseguire scopi e finalità di interesse generale e collettivo, non sembra al Collegio che le minute dei verbali delle sedute assembleari siano ex se suscettibili di entrare a far parte del novero degli atti o documenti amministrativi, in relazione ai quali la legge consente agli interessati l’esercizio del diritto di accesso. TAR Lazio, Sez II - Sentenza 9 maggio 2001 n. 4025.
Differenza tra opera pubblica ed un’opera privata di interesse pubblico. La giurisprudenza, ha sempre escluso l’equiparazione tra un’opera pubblica, in quanto appartenente alla Pubblica Amministrazione, ed un’opera privata di interesse pubblico al fine della estensione a quest’ultima categoria di una disciplina speciale e derogatoria (vedi ad esempio per il procedimento espropriativo Cons. Stato, Ad. Plen. 13/12/1995, n. 35). Tar Emilia - Romagna, sez. staccata di Parma, sent. del 20 aprile 2001 n. 226. (vedi: sentenza per esteso)
Legittimazione attiva dell’ente territoriale a tutela di un diritto proprio della collettività (es. diritto alla salute). Sussiste la legittimazione attiva dell'ente territoriale ogni qualvolta esso, nella sua controversa qualità di ente esponenziale degli interessi della collettività insediata nel proprio territorio, agisce a tutela di un diritto proprio della collettività quale certamente ha quello alla salute e, ad esempio ulteriore, quello della salubrità ambientale od ancora all'integrità del territorio et similia (cfr. Cass. S.U. 400/91; Cass. 3807/98, nonchè tra le tante TAR Lazio 1.8.85 n. 1229; TAR Piemonte 4.6.1988 n. 241; C. Stato 559/97; Tribunale Parma 21.7.00; Pretura Bari 12.4.89). Trib. Parma, Sez. Staccata di Fidenza, Ord. 12 marzo 2001, n. 915
L'Amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado, vale a dire di annullamento, di revoca o di sospensione di un proprio precedente provvedimento, è tenuta a dare avviso del relativo procedimento ai soggetti interessati. Costituisce ormai ius receptum il principio secondo cui, ogni volta che l'Amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado, vale a dire di annullamento, di revoca o di sospensione di un proprio precedente provvedimento, è tenuta a dare avviso del relativo procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art.7 della legge 7 agosto 1990, n.241, recepita nella Regione siciliana con la citata legge n.10/1991 (tra le tante, C.G.A., 1 ottobre 1996, n.269; 8 agosto 1998, n. 455; Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2000, . 2443; T.A.R. Sicilia, sez. I, 27 maggio 1999, n. 1148, sez. II, 25 luglio 2000, n. 1653). TAR Sicilia sez. II 14 novembre 2000, n. 1877.
Il principio di leale cooperazione tra Stato e Regione. L’interferenza ed il particolare reciproco legame delle funzioni regionali e statali, nella specifica materia di tutela dei beni paesaggistici, con la previsione del potere dello Stato di annullamento di autorizzazioni rilasciate dalla regione, esigono la piena attuazione del principio di leale cooperazione, che deve caratterizzare le relazioni degli organi istituzionali, cui sono affidate le funzioni previste dall’art. 9 della Costituzione, "nella direttrice della primarietà del valore estetico-culturale e della esigenza di una piena e pronta realizzazione di esso, secondo un modello ispirato" al detto "principio" (sentenza n. 151 del 1986). Tale principio di leale cooperazione deve attuarsi in forme concrete ed effettive ed operare reciprocamente (non in modo unidirezionale: v. sentenza n. 341 del 1996 citata) tra Stato e Regione autonoma della Valle d’Aosta: di modo che, come questa Regione è soggetta all’obbligo di comunicare immediatamente le rilasciate autorizzazioni di cui all’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e di trasmettere la relativa documentazione (con decorrenza del termine per l’intervento statale), così lo Stato deve essere tenuto all’obbligo di dare, alla stessa Regione (avente specifica competenza nella materia in base a statuto), tempestiva notizia che il riesame-controllo di mera legittimità sta dando avvio ad una procedura (di secondo grado) per l’annullamento della autorizzazione. Corte Costituzionale Sentenza 25 ottobre 2000 n. 437. (vedi: sentenza per esteso)
Va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nel caso di una controversia che riguardi la concessione di costruzione e gestione di opera di utilità pubblica. Tale controversia rientra infatti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche per ciò che concerne la domanda riconvenzionale, la quale pure afferisce ad inadempienze della convenzione concessoria. In base al citato art. 5, l. 6/12/1971 n. 1034 e 31 - bis l. 11/2/1994 n. 109, introdotto con l’ art. 9 del d.l. 101 del 1995, le controversie relative a rapporti di concessione di beni o servizi pubblici sono devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Si reputa pacificamente dalla giurisprudenza che l’ art. 5 riguardi non solo le concessioni di servizi pubblici, ma anche le concessioni di funzioni pubbliche. Data l’ indubbia natura pubblicistica della convenzione de qua, avente ad oggetto la costruzione e gestione di opera di utilità pubblica, viene in rilievo la disposizione appena citata. Non viene invece in rilievo l’ art. 7, comma terzo, l. T.A.R., che riserva all’ autorità giudiziaria ordinaria, nonostante la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali, dovendosi intendere tali pretese, secondo l’ indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza, come quelle derivanti da un illegittimo comportamento della P.A., e dunque dall’ illegittimità dell’ atto amministrativo, accertata in sede giurisdizionale o nell’ esercizio dell’ autotutela. In omaggio a tale principio è stato ad esempio affermato, in fattispecie simili a quella di cui alla presente controversia, che la domanda del titolare di una concessione amministrativa diretta a conseguire la condanna della P.A. concedente al risarcimento dei danni sofferti per l’ inadempimento, da parte della medesima, di determinati obblighi di comportamento derivanti dalla convenzione, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass. 21/2/97 n. 1618; 28/11/96 n. 10614). Con riferimento a tale quadro normativo, deve accertarsi quale sia l’ ambito di incidenza dell’ art. 31-bis, quarto comma, summenzionato, a mente del quale ai fini della tutela giurisdizionale le concessioni in materia di lavori pubblici sono equiparate agli appalti, con disposizione che, secondo quanto recita l’ ultimo comma dello stesso articolo, si applica anche alle controversie relative ai lavori appaltati o concessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge. Deve cioé accertarsi in che misura la norma in questione sottragga le controversie relative a concessione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Tribunale di Bari, Sez. II Civile - Sentenza 11 aprile 2000. (vedi: sentenza per esteso)
Accesso documenti - diritto alla riservatezza. Quando, l'accertamento di un abuso edilizio è fondato su autonomi atti di ispezione dell'autorità amministrativa, l'esposto del privato ha il solo effetto di sollecitare il promovimento d'ufficio del procedimento, senza acquisire efficacia probatoria. Ne consegue che in tali evenienze, di regola, per il destinatario del provvedimento finale non sussiste la necessità dì conoscere gli esposti al fine di difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano esibite particolari esigenze. Pertanto, la domanda di accesso ai documenti avanzata dal destinatario di una ordinanza di demolizione tendente ad ottenere copia della denuncia di alcuni condomini, da cui era scaturito il procedimento sanzionatorio non può essere accolta, ove risulti, espressamente, che l’ordinanza di demolizione sia fondata su specifici ed autonomi atti di ispezione dell'autorità amministrativa. Infatti, il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 prevale sull'esigenza di riservatezza del terzo ogniqualvolta l'accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente (Cons. Stato, Ad. plen., 4 febbraio 1997, n. 5). Va peraltro osservato che la preordinazione dell'accesso alla cura e alla difesa di interessi giuridici, dalla quale soltanto dipende la prevalenza del diritto di accesso sul diritto alla riservatezza dei terzi, non può risolversi in una clausola dì stile, ma deve essere effettiva, in relazione alla situazione di fatto e di diritto nella quale la domanda di accesso si inserisce e che tale effettività deve essere controllabile dal giudice dell'accesso. Consiglio di Stato, Sez. V - Sentenza 3 aprile 2000 n. 1916.
Accesso alle informazioni. Il d.lg. 24 febbraio 1997 n. 39 ha lo scopo d'assicurare a chiunque la libertà d'accesso alle informazioni relative all'ambiente, in possesso delle autorità pubbliche e, in particolare, quelle che incidono o possono incidere negativamente sulle componenti (acqua, aria, suolo, fauna, flora, ecc.) dell'ambiente, per cui non sussiste il diritto a tale accesso nei confronti di uno strumento urbanistico adottato da un comune, ma restituitogli dalla regione per essere rielaborato, in quanto tale evento ha posto in quiescenza tale provvedimento, e, quindi, ne esclude ogni effetto anche potenzialmente pregiudizievole verso l'ambiente. Consiglio Stato sez. V, 22 febbraio 2000, n. 939
Atto di annullamento, revoca o sospensione - obbligo di avviso del procedimento - derogabilità qualora sussistano particolari esigenze di celerità. Costituisce ormai ius receptum il principio secondo cui, ogni volta che l'Amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado, vale a dire di annullamento, di revoca o di sospensione di un proprio precedente provvedimento, è tenuta a dare avviso del relativo procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art.7 della legge 7 agosto 1990, n.241, recepita nella Regione siciliana con la citata legge n.10/1991. Anche a proposito dei provvedimenti sanzionatori in materia edilizia l’Amministrazione, prima di adottare un atto interdittivo conseguente ad eventuali abusi edilizi, deve inviare all’interessato apposita comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, anche al fine di utilmente agevolare la c.d. “composizione procedimentale” degli interessi in gioco. Ma il primo comma del citato art. 7 della legge n. 241/1990 contempla una deroga all’obbligo di effettuare detta comunicazione qualora sussistano “particolari esigenze di celerità” del procedimento. Tar Sicilia - Palermo - Sez. II, Sent. n. 1877/2000
PROCEDURE E VARIE - Giudice di Pace - Giudizio di equità - Funzione. L'equità del giudice di pace ha natura sostitutiva, non già correttiva o integrativa della regola di diritto, sicché questi non è tenuto a seguire i principi regolatori della materia ricavandoli in via di generalizzazione dalla norme specifiche dettate dal legislatore per disciplinare il rapporto dedotto in giudizio né ad individuare le norme giuridiche astrattamene applicabili, ma crea egli stesso la regola della decisione con un giudizio di tipo intuitivo fondato su valori preesistenti nella realtà sociale. Pres. FONSECA - Rel. FINOCCHIARO - Enel c. Cantoni e altro. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. Un., 15 ottobre 1999 (26/03/1999), n. 716
Il sequestro preventivo - l'ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato. Il sequestro preventivo può essere disposto solo in relazione a cose pertinenti al reato, per impedirne la protrazione o l'aggravamento, o l'agevolazione alla commissione di altri reati, secondo la previsione dell'art. 321 c.p.p.; occorre dunque che la richiesta di tale misura prospetti l'esistenza del "fumus commissi delictì", ovvero l'ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato - che è cosa diversa dalla ricorrenza di indizi di colpevolezza, ma deve, in ogni caso, riferirsi ad ipotesi penale certa (cfr. Sez. I, 25.3.1997, n. 2396). Cassazione penale, Sezione I, 13 ottobre 1999, n. 5592.
Impugnazione di atti urbanistici - legittimazione. La legittimazione ad impugnare atti di rilevanza urbanistica, va riconosciuta, come da consolidata giurisprudenza, non a “chiunque” ma soltanto a favore di coloro che si trovino in un particolare relazione di fatto in quanto possessori di beni nella stessa via o quartiere e comunque residenti in una zona localizzata in modo tale da risentire direttamente del danno eventualmente determinato dal nuovo insediamento edilizio. TAR Emilia-Romagna, sez. staccata di Parma, 11 marzo 1999, n. 133
Beni culturali e ambientali - Urbanistica e edilizia - Condono Edilizio - Presupposti inesistenti - Sanatoria - Sospensione del procedimento penale - Esclusione - Art. 101 del D.P.R. n. 380/2001 (già art. 26 L. n. 64/1974). Quando non sussistano i presupposti del condono edilizio, non solo non può essere applicata la sanatoria ma neppure può ritenersi la sospensione del procedimento penale (con le ovvie conseguenze con riguardo alla prescrizione del reato) e ciò indipendentemente dal fatto che il giudice abbia disposto o negato la sospensione del procedimento dovendosi nel primo caso ritenere la sospensione inesistente. Ric. Sadini. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite 24.11.1999, sentenza n. 22
Procedure e varie - Inquinamento - Derubricazione in reato ablabile - Proposizione fuori termine - Causa estintiva - Esclusione. In caso di derubricazione in reato ablabile di una contestazione in origine preclusiva di detta causa estintiva, non può dolersi dell'impossibilità di addivenire ad ablazione, l'imputato che non abbia tempestivamente invocato la più favorevole qualificazione giuridica del fatto e, conseguentemente, la possibilità di essere ammesso all'ablazione (Cass. 19.4.1985, Bertone, Foro it., Rep. 1986, voce Ablazione, n. 10; 18.12.1984, Meloni, ibid., n. 11 e 10.7.1981, Villa, id., Rep. 1982, voce cit. , n. 10). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sezione I, 17 dicembre 1998 (10.11.1998), n. 13278 (vedi: sentenza per esteso)
PROCEDURA E VARIE - Autorità giudiziaria ordinaria - Conformità a legge di un "arret" di un'altra giurisdizione - Limiti. L'autorità giudiziaria ordinaria non ha il potere di valutare la conformità a legge di un "arret" di un'altra giurisdizione: ciò in quanto il cittadino - pena la vanificazione dei suoi diritti civili - non può essere privato della facoltà di fare affidamento sugli strumenti della tutela giurisdizionale posti a sua disposizione dall'ordinamento". Ric. Ciaburri. CORTE DI CASSAZIONE Sezione III, del 3.4.1996, decisione n. 54
Procedure e varie - Difesa dell’imputato - Imputazione contestata e sentenza - Principio di correlazione - Mutamento del fatto. Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione e "...vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione”. Ric. Di Francesco. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite del 22.10.1996, sentenza n. 16
Costituzione di parte civile delle associazioni per inquinamento. L'associazione Legambiente, quale ente esponenziale dell'interesse (diffuso) all'integrità dell'ambiente, e' legittimata a costituirsi parte civile e a richiedere il risarcimento dei danni in un procedimento penale per inquinamento da rumore. Pretura Castiglione Lago, 16 maggio 1996
Sequestro e confisca - autonomia dei provvedimenti - sopravvenuta inefficacia - legittimità della confisca. La confisca, in tema di applicazioni di sanzioni amministrative, integra una sanzione autonoma e distinta rispetto alla misura del sequestro e, pertanto, le vicende inerenti a questo - ivi inclusa la sua sopravvenuta inefficacia - non spiegano influenza sulla legittimità della confisca stessa. Cassazione Civile - Sez. I, del 30 dicembre 1994 sent. n. 11293
Operatività immediata dei vincoli ambientali. I vincoli ambientali stabiliti dalla legge n. 431 del 1985 (di conversione, con modifiche, del D.L. n. 312 del 1985), emanata per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale, sono immediatamente operativi. (La Cassazione ha evidenziato che con la legge in questione il legislatore ha invertito la precedente tendenza ad attendere i provvedimenti regionali, ponendo in via preventiva il vincolo sulle zone in detta legge indicate e lasciando alle regioni il compito di adempimenti successivi). Cass. pen., sez. un., 7 novembre 1992, n. 6 (c.c. 27 marzo 1992).
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