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Giurisprudenza
Procedure (e varie) Processo e procedure di: penale, civile, amministrativo...
2003
Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni 2011 - 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 - 2000 - 1999-92
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Giurisprudenza
Procedure (e varie)
Procedure e varie - Art. 395, n.
4) c.p.c. - Revocazione - Errore di fatto. L’art. 395, n. 4), del c.p.c.
dispone che la sentenza può essere impugnata per revocazione se “è l'effetto di
un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”, e che “vi è
questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la
cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza
di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”. La norma aggiunge poi che,
“tanto nell'uno quanto nell'altro caso”, occorre che “il fatto non costituì un
punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”. L’errore di fatto,
pertanto, quale motivo di revocazione della sentenza, deve consistere nel
supporre come sussistente un fatto incontrastabilmente insussistente e
viceversa, e non deve cadere su di un punto controverso sul quale il giudice si
sia pronunciato. CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 23 dicembre 2003, sentenza n.
8512
Procedure e varie - Giurisdizione - Misure per l’integrazione delle
statuizioni adottate da diversi plessi giurisdizionali. Ribadisce il
principio giurisprudenziale secondo il quale esula dalla competenza del giudice
dell’ottemperanza l’adozione di misure che non si limitino all’esecuzione ma
siano volte all’integrazione delle statuizioni adottate da diversi plessi
giurisdizionali (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 4/1997). Ribadisce l’orientamento
giurisprudenziale, supportato dalla lettera e della ratio dell’art. 111 del
codice di procedura civile, secondo la quale il giudicato formatosi all’esito
del giudizio svoltosi tra le parti originarie spiega naturalmente i suoi effetti
nei confronti dei successori a titolo particolare nel diritto o rapporto
controverso, indipendentemente dall’esplicazione, ad opera di costoro, del
diritto di intervento e senza che venga in rilievo una situazione
litisconsortile comportante le necessità di integrazione del contraddittorio.
CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 23 dicembre 2003, sentenza n. 8506
Procedure e varie - Atto e procedimento amministrativo - Atto generale -
Insegnanti - Immissione in ruolo. L’atto generale è immediatamente
impugnabile allorché sussista una situazione di concretezza, specificità e
puntualità idonea a ledere direttamente e immediatamente la sfera giuridica
degli amministrati cui si riferisce (Sez. VI, n. 1414 del 18 marzo 2003). La
figura di “controinteressato” in senso formale ricorre soltanto nel caso in cui
l'atto si riferisce direttamente ed immediatamente a soggetti, singolarmente
individuabili, i quali, per effetto dell’atto, abbiano (già) acquistato, una
posizione giuridica di vantaggio, e, dunque, nell’ipotesi di atto generale, ove
l’impugnazione sopravvenga allorché l’atto abbia già avuto applicazione. Di
contro, allorché l’individuazione o l’individuabilità dei beneficiari dell’atto
generale sia rinvenibile aliunde, in quanto il beneficio in esso previsto è in
ipotesi applicabile a categorie di soggetti, genericamente suscettibili di
trarre vantaggio dall’atto, per effetto di una successiva rideterminazione delle
posizioni conseguite in seguito alla applicazione di precedenti provvedimenti
amministrativi, non sussiste l’onere del ricorrente di costituire il
contraddittorio nei confronti di costoro. La Sezione ha confermato la sentenza
di primo grado che, muovendo dal quadro normativo che disciplina le graduatorie
provinciali permanenti per l’immissione in ruolo del personale insegnante
precario, con riferimento, in particolare, alla unificazione, in unico scaglione
della terza e quarta fascia ad opera del D.L. 3 luglio 2001 n. 255 e della legge
di conversione 20 agosto 2001 n. 333, ha considerato che l’attribuzione di un
punteggio aggiuntivo ai titoli abilitativi diversi dai diplomi rilasciati dalle
Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario (S.S.I.S.) è priva di
basi normative e logiche, a differenza del bonus aggiuntivo di 30 punti
attribuito dall’art. 8 del D.M. 4 giugno 368, ai diplomati presso le S.S.I.S.,
ai fini dell’inserimento nelle graduatorie permanenti e riconosciuto dalle
tabelle di valutazione di cui DD.MM. 12 febbraio 2002 n. 11 e 16 aprile 2003 n.
40. CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 23 dicembre 2003, sentenza n. 8499
Procedure - Vizio di ultrapetizione. Il vizio di ultrapetizione, ovvero la mancata corrispondenza tra le richieste formulate dalle parti ed il concreto provvedimento da parte del giudice, non ricorre quando questi decide su una domanda, pur non espressamente formulata, ma comunque contenuta nelle richieste dedotte in giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 2000, n. 3158). Pres. Frascione Est. Corradino - Comune di Pozzilli (Avv. Colalillo) c. Ruocchio (Avv. Mazzocco) (Conferma T.A.R. per il Molise, n. 397/02, pubblicata in data 7.5.2002). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 18 Dicembre 2003, Sentenza n. 8343
Procedure e varie - Notificazione ed
esecuzione delle decisioni - Art. 87 r.d. n. 642/1907 - Artt. 1 L. n. 260/1958 -
Art. 10 L. n. 103/1979. Ai sensi dell’art. 87 del r.d. 17 agosto 1907, n.
642 - inserito nel titolo IX “della notificazione e dell'esecuzione delle
decisioni” - “le decisioni sono comunicate alle autorità cui riguardano, per
mezzo del Ministero dal quale queste dipendono ed a cui debbono essere tosto
trasmesse dalla segreteria della sezione giudicante o da quella dell'adunanza
plenaria” e “la notificazione delle decisioni ad istanza delle parti interessate
deve essere fatta nelle forme stabilite per la notificazione dei ricorsi”. Nei
confronti delle amministrazioni dello Stato, in applicazione degli artt. 1 della
l. 25 marzo 1958, n. 260 e 10 della l. 3 aprile 1979, n. 103, quella
notificazione deve essere effettuata presso gli uffici dell'Avvocatura dello
Stato. Come già ritenuto con la decisione sez. VI 19 gennaio 1995, n. 41, il
termine per l’adempimento, assegnato all’amministrazione nella sentenza emessa
in sede di ottemperanza, non ha carattere meramente sollecitatorio, bensì
perentorio. Alla sua inutile scadenza l’amministrazione non dispone più del
potere di provvedere, che si trasferisce automaticamente al giudice
dell’ottemperanza, il quale può esercitarlo direttamente ovvero a mezzo del
commissario ad acta. Inoltre, gli atti adottati dall’amministrazione, dopo la
scadenza del termine ad essa assegnato per provvedere dal giudice
dell’ottemperanza, non sono radicalmente nulli se il loro contenuto sia
interamente satisfattivo in relazione al giudicato, potendo essere confermati
dallo stesso giudice. CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 17 dicembre 2003, sentenza
n. 8243
Procedure e varie - Pubblica Amministrazione - Concessione di beni pubblici - Processo amministrativo - Notificazione - Giurisdizione - Art. 5 L. n. 1034/1971. Secondo orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Sez. III, 21 maggio 1998, n. 5065), l’incorporazione di una società in un’altra, determinando l’estinzione della prima e la conseguente successione a titolo universale della seconda, trova la sua disciplina processuale nell’art. 300 c.p.c., non essendo invocabile invece l’art. 2193 c.c., la cui previsione, relativa alla presunzione di conoscenza da parte dei terzi di fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione, non opera nell’ambito del processo. In quest’ultimo, tale evento, infatti, può assumere rilevanza solo quando sia stato dichiarato in udienza o notificato alle altre parti ovvero emerga comunque dalla relazione di notifica di uno degli atti di cui all’art. 292 c.p.c. L’art. 5 della legge n. 1034 del 1971, mentre ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie attinenti a rapporti di concessione di beni pubblici, ha fatto salva, nella stessa materia, la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi. La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza prevalente nel senso che le controversie in materia di concessione di beni pubblici hanno costituito oggetto di un riparto della giurisdizione, in due sfere asimmetriche: l’una del giudice amministrativo, a carattere generale e con i tratti della giurisdizione esclusiva, nella quale riceve tutela ogni situazione soggettiva (interesse legittimo o diritto soggettivo) che si correla alla costituzione, gestione e risoluzione del rapporto; l’altra del giudice ordinario, a carattere speciale, nella quale rientrano tutte le controversie nelle quali vengono in rilievo situazioni di diritto soggettivo, che si correlano agli aspetti patrimoniali dello stesso rapporto, con esclusione, quindi, di quelle in cui sia coinvolto il potere discrezionale dell'Amministrazione volto a stabilire in concreto la misura del canone (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, V Sez., 8 ottobre 1992 n. 975; VI Sez. 13 dicembre 1990 n. 1057; Cass. civ., SS.UU., 9 novembre 1994 n. 9286). Perciò, quando tra privato e concedente si controverte sul canone dovuto per una concreta concessione, potrebbe profilarsi la giurisdizione del giudice amministrativo quando la misura del canone costituisca il risultato di scelte discrezionali nella conformazione del rapporto. Per converso, la giurisdizione del giudice ordinario non potrebbe essere esclusa quando esistano norme, regolamenti od atti generali emanati dalla pubblica amministrazione, i quali, per la determinazione del canone nel caso concreto, dettano criteri la cui applicazione presuppone non scelte discrezionali, ma apprezzamenti d’ordine tecnico (cfr. Cass., SS.UU., 17 luglio 2001, n. 9652). CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 17 dicembre 2003, sentenza n. 8238
Procedure e varie - Successione di leggi penali - Norma generale subentrata da una norma speciale - Effetti - Art. 2 c.p.. In tema di successione di leggi penali, non può ritenersi che, ove ad una norma generale succeda una norma speciale, intervenga un fenomeno abrogativo, dal momento che, in tali casi, si avrà successione di leggi nel tempo con riferimento alla parte coincidente delle due fattispecie, senza che ciò determini applicazione retroattiva della nuova norma speciale (cfr. Cass. SS.UU. 26/3/2003, 25887). L'art. 2 c.p. pone, nei commi che lo costituiscono, una sequenza di regole tra loro collegate in modo che si chiariscono a vicenda: perché operi la regola del comma 3 deve essere esclusa l'applicabilità dei commi 1 e 2. Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)
Reato permanente - Configurazione
- Successione di leggi - Applicazione. Il reato permanente si caratterizza
per il tipo di condotta e per la correlazione di questa con l’offesa
dell’interesse protetto e dunque per la durata dell’offesa che è espressa da una
contestuale duratura condotta colpevole dell’agente, qualora la permanenza
continui sotto l’impero della nuova legge, è questa soltanto che deve essere
applicata in quanto sotto il suo vigore è commesso il reato con la realizzazione
di tutti i suoi elementi costitutivi. Giud. Beltrame - Coll. Periani - Imp.
Comelli - TRIBUNALE di MILANO Ordinanza del 5 dicembre 2003 (vedi:
sentenza
per esteso)
Termine perentorio - Adempimento penalmente rilevante - Obbligo penalmente
sanzionato - Termine ordinatorio - Facoltà di decidere. Il termine per
l’adempimento penalmente rilevante è solo quello perentorio; in presenza di un
termine ordinatorio al soggetto sarebbe concessa la facoltà di decidere il
momento in cui adempiere, quindi non potrebbe mai parlarsi, entro questo ambito
di tempo, di obbligo penalmente sanzionato. Giud. Beltrame - Coll. Periani -
Imp. Comelli - TRIBUNALE di MILANO Ordinanza del 5 dicembre 2003 (vedi:
sentenza
per esteso)
La cognizione del giudice d'appello - limiti. La cognizione del giudice d'appello deve essere limitata alla sentenza appellata e ai motivi dedotti e dibattuti in primo grado, dovendo le richieste eccedenti tali limiti formare oggetto di autonoma impugnativa nei modi e nei termini di legge (Consiglio Stato sez. IV, 24 giugno 1997, n. 675). Pres. Frascione - Est. Corradino - Carla Travel Office (avv.ti Michielan e Manzi) c. Comune di Treviso (avv.ti Coniglione, Tagliasacchi, De Piazzi e Biagini) - (Conferma T.A.R. del Veneto, sez. I, n. 3487/2002 depositata in data 17 luglio 2002). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, - 1 dicembre 2003, sentenza n. 7835
Procedure e varie - Appello - Art. 334 c.p.c. - Termini. Il soggetto controinteressato formale, parte nel giudizio di primo grado, interamente soccombente dinanzi al TAR, deve notificare l’appello nei sessanta giorni dalla notifica della sentenza gravata e non può invocare il principio di cui all’articolo 334 c.p.c. come interpretato dalla Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 4640 del 7.11.1989 (ribadita da Cass. S. U. n. 652 del 23.1.1998) nel senso che le parti contro le quali è stato proposta impugnazione possono proporre impugnazione incidentale tardiva nei confronti di qualsiasi capo della sentenza, non esistendo alcun limite oggettivo. A parte l’estensibilità o meno dell’art. 334 c.p.c. nel processo amministrativo (in senso favorevole Sez. V, n. 2422 del 10.3.1997; contra sez. IV n. 1569 del 16.3.2001; sez. VI n. 366 del 22.1.2002; n. 1750 del 4.4.2003), l’impugnazione di un soggetto totalmente soccombente fa valere un proprio autonomo interesse e costituisce in sostanza un appello principale che in quanto tale deve osservare il termine perentorio di 60 giorni dalla notificazione della sentenza di 1° grado, ai sensi dell’art. 28 L. 6.12.1971 n. 1034 (sez. V, n. 1141 del 1°.3.2003). CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 1° dicembre 2003, sentenza n. 7816
Procedure e varie - Prova - C.t.u. - Liquidazione compenso al perito - Appellabilità dinanzi al Consiglio di Stato. E’ ammissibile l’appello al Consiglio di Stato avverso la sentenza interlocutoria del TAR nella parte in cui liquida il compenso al c.t.u., poiché l’art. 11 della l. 319/80, in tema di appello dei provvedimenti di liquidazione delle spese sostenute da periti e consulenti, da proporsi con apposito ricorso entro venti giorni davanti al Tribunale o alla Corte d’Appello competente (previsione normativa abrogata, da ultimo, dall’art. 299 del DPR 30 maggio 2002 n. 115, con decorrenza 1° luglio 2002), infatti, trovava applicazione per i soli procedimenti dinanzi al giudice ordinario (cfr. dPR n. 820/83). Non viene meno pertanto, per la fattispecie in trattazione, il normale dispiegarsi del doppio grado della giurisdizione amministrativa su profili di carattere decisorio, seppur nella specie di natura complementare e accessoria. CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 1° dicembre 2003, sentenza n. 7812
L’oggetto del giudizio di ottemperanza - Quadro processuale - Specifica natura del giudizio di ottemperanza - Il giudice dell’ottemperanza - I poteri sostanzialmente simili a quelli spettanti alla p.a.. La sequenza “petitum - causa petendi - motivi - decisum” L’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire all’interessato l’utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione (C.d.S., sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre 2000, n. 5512). Detta verifica, che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (C.d.S., sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607; sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1964), comporta da parte del giudice dell’ottemperanza una delicata attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza “petitum - causa petendi - motivi - decisum” (C.d.S., sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1963; sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1075): ciò implica che in sede di giudizio di ottemperanza non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (C.d.S., sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), non potendo essere neppure proposte domande che non siano contenute nel “decisum” della sentenza da eseguire (C.d.S., sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49; 10 agosto 2000, n. 4459). In ragione della specifica natura del giudizio di ottemperanza, mista di esecuzione e di cognizione insieme, non è tuttavia precluso al giudice dell’ottemperanza l’esame degli atti che l’amministrazione richiami a giustificazione della sua inottemperanza, fermo restando tuttavia che i limiti della cognizione sono segnati dal circoscritto scopo di stabilire se l’amministrazione abbia adempiuto o meno al comando contenuto nella sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che il sindacato di legittimità su tali atti deve essere pur sempre condotto secondo il procedimento ordinario di impugnazione (C.d.S., sez. V, 25 marzo 2002, n. 1696). Non va taciuto che il giudice dell’ottemperanza, esercitando poteri sostanzialmente simili a quelli spettanti alla pubblica amministrazione, ha l’obbligo di compenetrarsi nel sistema organizzatorio di quest’ultima, con la ulteriore conseguenza di non potersi esimere dal considerare le situazioni eventualmente sopravvenute al giudicato di cui si chiede l’esecuzione (C.d.S., sez. V, 13 marzo 2001, n. 1445) e che, in ogni caso, l’obiettiva impossibilità per la pubblica amministrazione di ottemperare al giudicato per fatti sopravvenuti deve consistere in una sopravvenienza normativa o fattuale successiva alla pronuncia della cui ottemperanza si tratti e cioè in una causa che non rientri nel quadro processuale prospettato o prospettabile dalle parti, esaminato dal giudice e posto a fondamento della decisione (C.G.A., 18 aprile 1997, n. 24). - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - IMMOBILIARE PODERE TRIESTE S.R.L. (Avv. Paoletti) c. COMUNE DI ROMA (Avv. Lorusso) (conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8411 del 10 ottobre 2001). CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7778 (vedi: sentenza per esteso)
Poteri attribuiti al giudice dell’ottemperanza - Limiti. I pur ampi poteri attribuiti al giudice dell’ottemperanza, devono in ogni caso trovare i loro giusti confini nell’ambito dell’oggetto dell’esecuzione, cui sono evidentemente funzionali, e, pertanto, devono assicurare non solo l’interpretazione, ma anche l’attuazione del giudicato, ma devono arrestarsi in presenza di provvedimenti che non siano ictu oculi elusivi del giudicato stesso e non siano in alcun modo ricollegabili, neppure indirettamente, al substrato giuridico e fattuale che ha costituito l’oggetto della cognizione della sentenza, della cui ottemperanza si tratta. Diversamente opinando, infatti, al giudice dell’ottemperanza sarebbe riconosciuto un potere che travalicherebbe i confine del giudizio di esecuzione, sconfinando in un inammissibile generale potere di controllo diffuso sull’attività della pubblica amministrazione, allorquando detta attività sia in qualche modo collegata, ancorchè genericamente ed indirettamente, ad una precedente pronuncia giurisdizionale. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - IMMOBILIARE PODERE TRIESTE S.R.L. (Avv. Paoletti) c. COMUNE DI ROMA (Avv. Lorusso) (conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8411 del 10 ottobre 2001). CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7778 (vedi: sentenza per esteso)
Processo amministrativo - composizione e soddisfazione degli interessi pubblici e privati. Pur non potendo revocarsi in dubbio che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, deve pur sempre considerarsi che in esso non vengono in rilievo esclusivamente interesse privati, ma devono trovare composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti, con la conseguenza che una richiesta di rinvio della trattazione del processo deve trovare il suo fondamento giuridico in gravi ragioni, idonee ad incidere - se non tenute in considerazione - proprio sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775 (vedi: sentenza per esteso)
L’intervenuta cessazione della materia del contendere e il permanere dell’interesse delle parti in giudizio. Solo in presenza di circostanze validamente documentate, che escludono in modo certo il permanere dell’interesse delle parti in giudizio, può darsi atto dell’intervenuta cessazione della materia del contendere, ovvero può procedersi alla dichiarazione del sopravvenuto difetto di interesse. Pres. RICCIO - Est. CARINCI - Comune di Catanzaro (Avv. Mirigliani) c. Aceto ed altri (riforma Tribunale amministrativo regionale della Calabria, Catanzaro, n. 494, pubblicata in data 16 aprile 1994) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7771
L’interesse a ricorrere - annullamento dell’atto lesivo - interesse diretto e immediato - riesame della situazione. L’interesse a ricorrere sussiste non solo quando l’annullamento dell’atto lesivo è di per sé idoneo a realizzare un interesse diretto e immediato, ma anche quando tale annullamento comporti, per l’Amministrazione, il riesame della situazione, con conseguente possibilità dell’adozione di provvedimenti idonei a garantire al privato il risultato perseguito (Cons. St., Sez. VI, n. 1373 del 21.10.1996). Pres. RICCIO - Est. CARINCI - Comune di Catanzaro (Avv. Mirigliani) c. Aceto ed altri (riforma Tribunale amministrativo regionale della Calabria, Catanzaro, n. 494, pubblicata in data 16 aprile 1994) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7771
Procedure e varie - Ordinamento
giudiziario - Magistrato applicato alla Procura generale della Repubblica -
Effetti - Investitura dell'ufficio a ogni effetto - Sussistenza - Conseguenze -
Legittimazione a proporre ricorso per cassazione - Eventuale inosservanza delle
regole tabellari - Irrilevanza". Il magistrato applicato, a norma dell'art.
110, comma 1, R.D. 30 gennaio 1941 n. 12 e succ. mod. (cd. ordinamento
giudiziario), alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d'appello,
è da considerare incardinato, a tutti gli effetti di legge, per l'intera durata
dell'applicazione, in detto ufficio e pertanto, a differenza di quello che abbia
solo preso parte al giudizio di appello ai sensi dell'art. 570, comma 3, cod.
proc. pen., è legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza
di secondo grado, a nulla rilevando l'eventuale inosservanza - in quanto
sprovvista di sanzione processuale - dei criteri di organizzazione dell'ufficio
come stabiliti dalla tabella approvata dal Consiglio superiore della
magistratura (nella specie, con riferimento all'attribuzione del compito di
redigere i motivi di impugnazione delle sentenze di appello). CORTE DI
CASSAZIONE, Sez. Un., del 24 novembre 2003 Sentenza n. 20
Procedure e varie - Prove (Cod. proc. pen. 1988) - Chiamata in reita "de
relato" - Requisiti per la validità come prova - Verifica della attendibilità
del chiamante e delle fonti primarie delle notizie - Necessità - Riscontri
esterni e individualizzanti - Necessità". La chiamata in reità fondata su
dichiarazioni "de relato", per poter assurgere al rango di prova pienamente
valida a carico del chiamato ed essere posta a fondamento di una pronuncia di
condanna, necessita del positivo apprezzamento in ordine alla intrinseca
attendibilità non solo del chiamante, ma anche delle persone che hanno fornito
le notizie, oltre che dei riscontri esterni alla chiamata stessa, i quali devono
avere carattere individualizzante, cioè riferirsi ad ulteriori, specifiche
circostanze, strettamente e concretamente ricolleganti in modo diretto il
chiamato al fatto di cui deve un più rigoroso e approfondito controllo del
contenuto narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa. CORTE DI
CASSAZIONE, Sez. Un., del 24 novembre 2003 Sentenza n. 20
Procedure e varie - Impugnazioni (Cod. proc. pen. 1988) - Appello - Casi -
Imputato assolto con la formula "per non aver commesso il fatto" -
Legittimazione all'appello - Esclusione - Eccezione - Fondamento".
L'imputato assolto con la formula ampiamente liberatoria "per non aver commesso
il fatto", anche se per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova
ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen., non è legittimato a proporre
appello, neanche incidentale, avverso la relativa sentenza, per carenza di un
apprezzabile interesse all'impugnazione, salvo che nell'eccezionale ipotesi in
cui l'accertamento di un fatto materiale oggetto del giudizio penale conclusosi
con sentenza dibattimentale sia suscettibile, una volta divenuta irrevocabile
quest'ultima, di pregiudicare, a norma e nei limiti segnati dall'art. 654 stesso
codice, le situazioni giuridiche a lui facenti capo, in giudizi civili o
amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari regolati dagli artt.
652 e 653 cod. proc. pen.. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., del 24 novembre
2003 Sentenza n. 20
Procedure e varie - Impugnazioni - Ricorso dell'imputato - Ricorso avverso
condanna in appello dopo proscioglimento ampio in primo grado - Deduzione di
violazioni di legge non dedotte in appello - Ammissibilità". Il ricorso per
cassazione avverso sentenza di condanna in appello dell'imputato prosciolto in
primo grado con la formula ampiamente liberatoria "per non aver commesso il
fatto" può essere proposto anche per violazioni di legge non dedotte, perchè non
deducibili per carenza di interesse all'impugnazione, in appello. CORTE DI
CASSAZIONE, Sez. Un., del 24 novembre 2003 Sentenza n. 20
Procedure e varie - Impugnazioni - Ricorso dell'imputato - Imputato
condannato in appello dopo proscioglimento con formula ampia in primo grado -
Omesso esame di prove acquisite e decisive od omessa assunzione di prove
ritenute tali - Deduzione in cassazione - Condizioni - Sindacato della Corte di
cassazione - Limiti". Nell'ipotesi di omesso esame, da parte del giudice, di
risultanze probatorie acquisite e decisive, la condanna in secondo grado
dell'imputato già prosciolto con formula ampiamente liberatoria nel precedente
grado di giudizio non si sottrae al sindacato della Corte di cassazione per lo
specifico profilo del vizio di mancanza della motivazione "ex" art. 606, comma
1, lett. e), cod. proc. pen., purchè l'imputato medesimo, per quanto carente di
interesse all'appello, abbia comunque prospettato al giudice di tale grado,
mediate memorie, atti, dichiarazioni verbalizzate, l'avvenuta acquisizione
dibattimentale di altre e diverse prove, favorevoli e nel contempo decisive,
pretermesse dal giudice di primo grado nell'economia di quel giudizio, oltre
quelle apprezzate e utilizzate per fondare la decisione assolutoria. In detta
evenienza al giudice di legittimità spetta verificare, senza possibilità di
accesso agli atti, ma attraverso il raffronto tra la richiesta di valutazione
della prova e il provvedimento impugnato che abbia omesso di dare ad essa
risposta, se la prova, in tesi risolutiva, assunta si effettivamente tale e se
quindi la denunciata omissione sia idonea a inficiare la decisione di merito.
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., del 24 novembre 2003 Sentenza n. 20
Procedure e varie - Impugnazioni - Sentenza - Annullamento - Nullità assoluta
e insanabile del giudizio di merito - Concorso con vizio irrimediabile di
mancanza o manifesta illogicità della motivazione - Annullamento della sentenza
di merito - Forma dell'annullamento". La nullità assoluta e insanabile del
giudizio di merito, dovuta alla sua celebrazione in contumacia dell'imputato
detenuto all'estero per reati colà commessi, non determina l'annullamento con
rinvio della sentenza, qualora quest'ultima debba essere annullata senza rinvio
per vizio, testualmente rilevabile, di mancanza o manifesta illogicità della
motivazione non altrimenti suscettibile di rimedio, in quanto la soluzione
pienamente liberatoria nel merito dell'accusa è destinata a prevalere in ogni
caso sull'accertata nullità di ordine generale, sia pure assoluta e insanabile,
essendo incompatibile l'inutile regressione del processo con le esigenze di
economia processuale e con lo stesso "favor rei. CORTE DI CASSAZIONE, Sez.
Un., del 24 novembre 2003 Sentenza n. 20
Procedure e varie - Impugnazioni (Cod. proc. pen. 1988) - Sentenza -
Annullamento - Forma dell'annullamento - Impossibilità di ovviare comunque al
vuoto probatorio accertato - Annullamento senza rinvio - Necessità. Nel
giudizio di cassazione l'annullamento della sentenza di condanna va disposto
senza rinvio allorchè un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria
del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e
utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare
la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata. CORTE DI
CASSAZIONE, Sez. Un., del 24 novembre 2003 Sentenza n. 20
Procedure e varie - Concorso di persone nel reato - Concorso morale - Forme
di manifestazione e prova - Obblighi del giudice di merito - Individuazione".
In tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo
causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate
e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione
del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento
del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o
approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime
il giudice di merito dall'obbligo di motivazione sulla prova dell'esistenza di
una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di
precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità
efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non
potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur
prevista dall'art. 110 cod. pen., con l'indifferenza probatoria circa le forme
concrete del suo manifestarsi nella realtà. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un.,
del 24 novembre 2003 Sentenza n. 20
Procedure e varie - Competenza (cod. proc. pen. 1988) - Competenza per territorio - Procedimenti riguardanti i magistrati - Competenza fissata dall'art. 11 cod. proc. pen. - Natura di competenza funzionale e non per territorio - Conseguenze in tema di deducibilità - Contrasto di giurisprudenza. La speciale competenza stabilita dall'art. 11 cod. proc. pen. per i procedimenti riguardanti i magistrati ha natura di competenza funzionale e non di competenza per territorio. Essa pertanto può essere eccepita o rilevata, anche di ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento ai sensi dell'art. 21, comma 1, cod. proc. pen.". CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. I, 24.11.2003, Sent. n. 45248
Procedure e varie - Ricorso
avverso provvedimento basato su motivi plurimi - Decisioni appellabili. La
sentenza di rigetto non ha, in assenza dell’annullamento dell’atto, attitudine
ad innovare l’ordine giuridico, quale che sia la portata della sua motivazione,
per i limiti connaturati al processo amministrativo che è processo di
impugnativa di atti e non su rapporto (al di fuori dei casi di giurisdizione
esclusiva e su diritti). La pronuncia sul capo di domanda è quindi valutabile
dal giudice di secondo grado, poiché anche in assenza di un motivo specifico
dell’appello principale che investa tale capo (per chiederne la conferma), non è
applicabile l’art. 329, comma 2 c.p.c., non potendosi configurare acquiescenza
dell’appellante rispetto a capi della sentenza a sé favorevoli. CONSIGLIO DI
STATO, sez. VI, 24 novembre 2003, sentenza n. 7725
L’istituto dei motivi aggiunti - la possibilità di ampliare la causa pretendi - presupposti. L’istituto dei motivi aggiunti, inizialmente creato dalla giurisprudenza per assicurare il ricorrente la possibilità di ampliare la causa pretendi a profili di illegittimità dell’atto non agevolmente percepibili al momento dell’introduzione del giudizio, è stato espressamente previsto e regolato dall’art.21, comma 1, l. n.1034/71 (come sostituito dall’art.1, comma 1, l. n.205/2000) per mezzo dell’attribuzione all’istante della facoltà di estendere anche il petitum del gravame mediante l’impugnazione di provvedimenti diversi ed ulteriori rispetto a quello o a quelli opposti con l’atto introduttivo. Il valido esercizio di tale potere risulta, peraltro, espressamente condizionato alla ricorrenza dei necessari presupposti della connessione oggettiva dell’atto impugnato successivamente a quello inizialmente opposto e della coincidenza soggettiva delle parti interessate dai provvedimenti gravati in diversi momenti del giudizio. (Pres. Quaranta - Est. Deodato - Molinari SRL (Avv. Galimberti, Di Pasquale, Placidi) c. Comune Di Pocenia (Avv. Bulfone, Verino) (Riforma TAR FRIULI VENEZIA GIULIA - TRIESTE n.842/2002) CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7632
Le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo - interpretazione ed applicazione - comunicazione dell’avvio del procedimento - instaurazione del contraddittorio. Le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non vanno applicate necessariamente e formalmente, ma debbono essere interpretate in base ad un criterio di realistica valutazione sulla effettiva conoscenza o conoscibilità di una sequenza e dei suoi effetti lesivi. (cfr., tra le più recenti, C.d.S., Sez. V, 30.9.2002 n. 5058) E’ stato, pertanto, precisato che l’esigenza di informazione del destinatario dell’azione amministrativa, che ai sensi dell’art. 7 si realizza attraverso la comunicazione dell’avvio del procedimento e l’instaurazione del contraddittorio, non sussiste ogni qualvolta lo stesso destinatario ne sia già informato, ossia allorché il procedimento consegua ad una sua istanza o gli siano noti gli elementi salienti, oppure sia una conseguenza di altri procedimenti o atti già conosciuti. Nella specie il procedimento è stato attivato da una istanza dell’appellante e, dunque, l’amministrazione non aveva alcun obbligo di comunicarne l’avvio. (Pres. Elefante - Est. Pullano - Basilio (Avv.ti. Longo e Mazzarelli) c. Comune di Aviano (Avv.ti Di Prima e Romanelli) (Conferma T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 193 dell’11.3.1997). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7544 (vedi: sentenza per esteso)
Fondazione istituita, ma non ancora riconosciuta, operatività come “fondazione di fatto” - la legittimazione degli amministratori all’azione in difesa delle ragioni della Fondazione istituita e in attesa del riconoscimento - sussistenza. La Fondazione istituita, ma non ancora riconosciuta, opera come “fondazione di fatto”, titolare di aspettative e di interessi legittimi, ancorchè non della piena disponibilità dei beni assegnatile; i suoi amministratori operano a nome e per conto della Fondazione, ma (anche) sotto la loro personale responsabilità, finchè il riconoscimento costitutivo non abbia creato, accanto alla soggettività giuridica, la piena autonomia anche patrimoniale della Fondazione. Gli amministratori della fondazione di fatto, nominati nel negozio istitutivo, hanno stretto dovere di operare a tutela e in difesa degli interessi della Fondazione a cui sono preposti, specie quando al negozio istitutivo si sia accompagnato il negozio dotativo; essi incorrerebbero in responsabilità da omissione, ove trascurassero di esercitare le azioni spettanti all’erigenda Fondazione, nelle more del suo conseguimento del riconoscimento costitutivo. Non solo non si può negare la legittimazione all’azione in difesa delle ragioni della Fondazione istituita e in attesa del riconoscimento, ma va ritenuto il loro stretto dovere di attivarsi secondo le regole della normale diligenza, per assicurare la difesa dei beni di dotazione. Questi, infatti, pur non appartenendo ancora pleno jure alla Fondazione, non appartengono nemmeno più al fondatore, se è vero che l’atto di fondazione produce l’immediato effetto di destinare i beni all’ente nascituro, sottraendoli non soltanto ad ogni altra destinazione, ma anche al suo precedente titolare, il quale non può disporre di quei beni se non con la revoca dell’atto di fondazione, nei limiti previsti dall’art.15 del codice civile (Corte di Cassazione, 15 aprile 1975 n.1427). Pres. Quaranta - Est. D’Ottavi - Fondazione Ippolito Nievo (Avv.ti Cacciavillani e Manzi) c. Comune di Colloredo di Monte Albano ed altri (avvocati Mussato e Paoletti) (Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, n. 143/96 del 25 marzo 1996). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7521
La “condizione indeterminabile” - definizione. La “condizione” è indeterminabile solo quando risulti oggettivamente impossibile determinare con la precisione necessaria l’evento dedotto in condizione. (Cass. civ., Sez. II, 9.2.1995 n. 1453). Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7236
La domanda di illecito arricchimento può essere proposta per la prima volta in grado di appello - limiti e condizioni. Pur riconoscendo che la domanda di illecito arricchimento può essere proposta per la prima volta in grado di appello, chiarisce che detta facoltà è, però, limitata ai casi in cui vi è identità dei fatti costitutivi il diritto e non sussiste allorquando l’originario oggetto del giudizio sia una richiesta di adempimento contrattuale, trattandosi di domande non intercambiabili e non costituendo articolazioni di una unica matrice, per cui l’attore, sostituendo la prima alla seconda, non solo chiede un bene diverso, rispetto all’originario petitum, ma introduce nel processo gli elementi costitutivi di una nuova situazione giuridica (proprio impoverimento ed altrui locupletazione) che erano, invece, privi di rilievo nell’ambito dl rapporto contrattuale. (Corte di Cass. Sez. III civ., 29.3.2001 n. 4612, Sez. II civ. 12.6.2000 n. 7979 e 24.5.2000 n. 6810). Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7236
Revocazione - l'errore denunciato - limiti. A norma dell'art. 395 c.p.c. e dell'art. 81 del r.d. 17 agosto 1907 n. 642, invero, perché possa rilevare ai fini della revocazione, è necessario che il fatto, sul quale cade l'errore denunciato, non abbia costituito un punto controverso su cui la decisione abbia pronunciato. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 novembre 2003, sentenza n. 7126
Processo amministrativo - istanza per regolamento di competenza contro il ricorso di primo grado sottoscritta dal difensore senza necessità di nuovo mandato. Nel processo amministrativo l’istanza per regolamento di competenza si configura come eccezione in senso proprio proposta contro il ricorso di primo grado, che si inserisce nel relativo procedimento e non dà vita ad un giudizio autonomo (cfr. VI Sez. 12.7.1991 n. 456 e 23.3.1998 n. 363): pertanto - come del resto pacifico nel rito civile: cfr. Cass. civ. sez. III 26.4.1999 n. 4157 - l’istanza può essere validamente sottoscritta dal difensore che rappresenta la parte in giudizio, senza necessità di nuovo mandato. Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6815
L’appellabilità della sentenza semplificata - l’istanza di regolamento di competenza respinta. La giurisprudenza (interpretando il disposto dell’art. 31 c. 5 della legge n. 1034 del 1971 - come modificato dall’art. 9 c. 4 della legge n. 205 del 2000) ha evidenziato l’appellabilità della sentenza semplificata con la quale il Tribunale respinge l’istanza di regolamento di competenza, ritenendola manifestamente infondata (Cfr. IV Sez. 12.7.2001 n. 3899 e Csi. 12.2.2002 n. 192). Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6633
I ricorsi per regolamento di competenza - termine - costituzione tardiva. Ai sensi dell'art. 31 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, i ricorsi per regolamento di competenza devono essere proposti a pena di decadenza nel termine di venti giorni dalla costituzione in giudizio della parte che lo produce, e tale termine decorre dalla costituzione effettiva, quando questa sia avvenuta nel termine di cui all'art. 22 stessa legge, ovvero dalla scadenza del termine ivi previsto, non potendo una costituzione tardiva spostare un termine definito decadenziale dalla legge, con la conseguenza, in tale ipotesi, ma solo in questa, di poter computare un termine perentorio di settanta giorni dall'ultima notificazione del ricorso introduttivo, derivante, unicamente nell'evenienza della tardiva costituzione, dalla somma di tutti i termini processuali calcolati nelle misure massime consentite, ossia trenta giorni per il deposito, più venti per la costituzione in giudizio della parte intimata, più venti per notificare l'istanza di regolamento (cfr., tra le più recenti di questa Sezione, n. 1726 del 18 novembre 1999 e n. 420 del 13 marzo 1998). Consiglio di Stato - Sezione IV, 23 Ottobre 2003, Sentenza n. 6550
Il procedimento volto alla declaratoria di illegittimità del silenzio-rifiuto - l’infruttuosa scadenza del termine di sessanta giorni dall’inizio d’ufficio - inammissibilità per omessa osservanza delle disposizioni della procedura per la formazione del silenzio-rifiuto. Nell’attuale assetto del procedimento volto alla declaratoria di illegittimità del silenzio-rifiuto, è sempre indispensabile l'attivazione della procedura di cui all’art. 25, primo comma, del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3 (25 febbraio 2003, n. 1027); pertanto l’interessato, dopo l’infruttuosa scadenza del termine di sessanta giorni dall’inizio d’ufficio del procedimento (che in tal caso tiene luogo dell’istanza del privato) ovvero di quello più lungo fissato dai regolamenti attuativi dell’art. 2, comma 2, della legge n. 241 del 1990, deve notificare a mezzo ufficiale giudiziario apposito atto di diffida e messa in mora, concedendo un termine non inferiore a trenta giorni affinché l’amministrazione provveda, per poi impugnare il silenzio, innanzi al giudice amministrativo, nel termine decadenziale di sessanta giorni, decorrente dallo scadere del termine assegnato con la diffida (cfr., anche Sez. VI, 11 giugno 2002, n. 3256). Nella specie deve osservarsi che il predetto atto di diffida non risulta preceduto dalla notificazione di alcuna altra richiesta a provvedere nei sensi solo in detta missiva precisati; con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, l’originario ricorso è da ritenere inammissibile per omessa osservanza delle disposizioni che disciplinano la procedura per la formazione del silenzio-rifiuto. Consiglio di Stato - Sezione IV, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6537
L’impugnazione immediata del dispositivo - valenza essenzialmente cautelare - l’esecuzione della sentenza di primo grado - l’inammissibilità dell’appello - l’appello contro il mero dispositivo della sentenza - sospensione dell’esecutività della sentenza. L’impugnazione immediata del dispositivo ha valenza essenzialmente cautelare, inerendo all’esecuzione della sentenza di primo grado, ma non impone alle parti di definire irreversibilmente i temi decisori di secondo grado (Cons. Stato, V Sez., 23 gennaio 2000, n. 327). Ne consegue, poi, l’inammissibilità dell’appello proposto contro il solo dispositivo, non seguito dalla tempestiva impugnazione della pronuncia completa di motivazione (Cons. Stato, IV Sez., 7 luglio 2000, n. 3842). Per altro verso, l’appello contro il mero dispositivo della sentenza di primo grado previsto dall’articolo 23-bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, essendo funzionale alla sospensione dell’esecutività della sentenza stessa, ben può contenere solo le ragioni a suo sostegno, né la posteriore deduzione dei motivi, tempestiva rispetto alla sentenza integrale nelle more pubblicata, può essere ritenuta tardiva (Cons. Stato, IV Sez., 15 febbraio 2002, n. 946). Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6523
La valida costituzione nel
giudizio di primo grado - la legittimità costituzionale della sentenza emessa in
forma semplificata - il principio di effettività della tutela giurisdizionale.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 546 del 20.01.2002, sez.
IV, n. 3929 del 12.07.2002 e n. 3931 del 12.07.2001), ha più volte precisato che
la valida costituzione nel giudizio di primo grado si ha con la rituale
intimazione delle parti interessate. Né il Collegio ritiene meritevole di
accoglimento la richiesta di sospensione del giudizio con rimessione alla Corte
Costituzionale di suddetta normativa per la violazione degli artt. 24, 103 e 113
Cost., in relazione al diritto di difesa, all’effettività della tutela
giurisdizionale, e all’obbligo di motivazione, posto che la giurisprudenza ha,
più volte, sancito la legittimità costituzionale della sentenza emessa in forma
semplificata. Infatti, la Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost., 10 novembre
1999, n. 427) ha già affermato che la sentenza, ancorché succintamente motivata,
è idonea a definire un giudizio a cognizione piena, non essendovi alcuna
reciproca interdipendenza tra semplificazione della motivazione e sommarietà
della cognizione, e la giurisprudenza amministrativa (cfr., per tutte,
Cons.Stato, sez. V, n. 268 del 26.01.2001) ha ribadito che la semplificazione
della motivazione, nei casi speciali previsti dalla legge, è strumentale
all’esigenza di garantire una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art.
111, comma 2°, Cost., essendo compatibile con il principio di effettività della
tutela giurisdizionale. Consiglio di Stato, Sez. V - Sentenza 8 Settembre
2003 n. 5032 (vedi:
sentenza
per esteso)
Il giudizio di legittimità costituzionale di norme aventi natura regolamentare - limiti della giurisdizione della Corte Costituzionale - il controllo di legittimità di un regolamento è demandato al giudice ordinario ed al giudice amministrativo - poteri di disapplicazione o annullamento del regolamento illegittimo. Il giudizio di legittimità costituzionale di norme aventi natura regolamentare eccede i limiti della giurisdizione della Corte Costituzionale, secondo la definizione che di questa è data dall’art. 134 Cost., il quale la limita al caso dell’illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge (C.cost. 14 giugno 2001, n.194 [ord.]; 18 ottobre 2000, n.427; 25 luglio 1997, n.273; 27 giugno 1997, n.208 [ord.]; 23 aprile 1993, n.199). Peraltro, il pieno esplicarsi della garanzia della Costituzione nel sistema delle fonti - con particolare riferimento a quelle di valore regolamentare adottate, come nella specie, in sede di delegificazione - non è pregiudicato dall’anzidetta limitazione della giurisdizione del giudice costituzionale, in quanto la relativa garanzia è da ricercare (nei casi in cui, come si è innanzi rilevato, non sia configurabile un vizio di costituzionalità delle legge abilitante all’adozione del regolamento), nel controllo di legittimità del regolamento, ove il vizio sia proprio ed esclusivo dello stesso, demandato al giudice ordinario ed al giudice amministrativo, nell’ambito dei poteri ad essi spettanti, controllo che può condurre, rispettivamente, alla disapplicazione o all’annullamento del regolamento. Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2003, Sentenza n. 6335 (vedi: sentenza per esteso)
Preclusione processuale - inammissibilità dell’appello per carenza di legittimazione - giudicato cd. interno - difesa erariale. Va respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza di legittimazione a ricorrere relativamente alla reiterata richiesta di giudizio dalla difesa erariale, sulla eccezione si è pronunciato, ritenendola infondata, il giudice di primo grado nella sentenza appellata, non impugnata in parte qua dall’Avvocatura dello Stato, determinando con ciò il verificarsi di una preclusione processuale sul punto, derivante da giudicato cd. interno, che non può non essere rilevata dal giudice del grado successivo (cfr. Cass. n.2388/98). Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2003, Sentenza n. 6335 (vedi: sentenza per esteso)
La nomina degli arbitri - la nomina è compiuta dal presidente del tribunale - casi. La nomina degli arbitri, compreso - a fortiori - il presidente del collegio, non può che essere attribuita alle parti, alla stregua del principio fondante, contenuto nel codice di procedura civile (art. 810), secondo il quale la nomina è compiuta dal presidente del tribunale soltanto nei casi in cui una parte abbia omesso di nominare il proprio arbitro ovvero le parti non abbiano trovato l’accordo entro una dato termine ovvero abbiano demandato ad un terzo che non vi abbia provveduto o al presidente stesso la nomina di uno o più arbitri. Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2003, Sentenza n. 6335 (vedi: sentenza per esteso)
La individuazione delle norme nel procedimento arbitrale -
disponibilità delle parti - gli arbitri - diritto di difesa delle parti o il
principio del contraddittorio. La individuazione delle norme che devono
essere osservate nel procedimento arbitrale appartiene alla disponibilità delle
parti (art. 816 comma 2 c.p.c.), salva la facoltà degli arbitri, in caso di
mancanza di tali norme, di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che
ritengono più opportuno (art. 816 co.3), fatti salvi il diritto di difesa delle
parti o il principio del contraddittorio (Cass. 29 gennaio 1992 n. 923 e 4
giugno 1992 n. 6866). Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2003, Sentenza
n. 6335 (vedi:
sentenza
per esteso)
La legittimità dell’atto sopravvenuto delibata nell’ambito del giudizio di ottemperanza - limiti - adozione di atti violativi del giudicato. La legittimità dell’atto sopravvenuto possa essere delibata nell’ambito del giudizio di ottemperanza solo se la nuova determinazione risulti palesemente elusiva delle regole di azione dettate nella decisione della quale viene chiesta l’esecuzione (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 565/1998) - oltre che nel caso di adozione di atti violativi del giudicato da cui discendono obblighi puntuali nel senso suddetto - dovendosi altrimenti denunciarne l’invalidità mediante un autonomo ricorso nelle forme del giudizio ordinario (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 4459/2000; Cons. St., sez. V, n. 2197/2003). Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6334 (vedi: sentenza per esteso)
Ricorso collettivo - assenza di situazioni contraddittorie o incerte derivanti dall’accoglimento del ricorso - ammissibilità. Il ricorso collettivo è inammissibile quando, per mancata specificazione dei fatti, o delle posizioni di ciascuno dei ricorrenti oppure per l’effettiva diversità delle posizioni, impedisce di conoscere gli effetti, sui diversi ricorrenti, della decisione che si chiede al giudice amministrativo, o addirittura si sostanzia nella richiesta di una decisione sfavorevole a taluno dei ricorrenti. Il ricorso è ammissibile ove non c’è possibilità che l’accoglimento del ricorso crei situazioni contraddittorie o incerte. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2003, sent. n.5891
Deposito del ricorso
amministrativo - termini - notificazione tramite servizio postale - il dies a
quo per la decorrenza va identificato con la data di spedizione, non con quella
di consegna al destinatario. Quando la notificazione avviene tramite il
servizio postale, il dies a quo per la decorrenza del termine per il deposito
del ricorso non può essere costituito dal giorno della consegna al destinatario
del plico contenente il ricorso da parte dell’ufficiale postale - perché la
parte notificante potrebbe venirne a conoscenza anche dopo la scadenza del
termine per il deposito (per ritardi o disguidi del servizio postale) - ma deve
necessariamente identificarsi con la data nella quale l’ufficiale giudiziario
effettua la spedizione che risulta dalla relazione di notificazione apposta
sull’originale e sulle copie dell’atto. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre
2003, sent. n. 5897
Riconoscimento dell’errore scusabile - il termine di decadenza per la proposizione del ricorso - limiti. Ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile, che consente la rimessione in termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale, è necessario che l’errore tragga origine da incertezze e difficoltà obiettive di interpretazione della legge, dalla novità della questione, ovvero dall’oscillazione della giurisprudenza, circostanze tutte che devono essere accertate prudentemente dall’interprete per verificare la diligenza del ricorrente nel prendere conoscenza degli atti da impugnare. In altri termini la giurisprudenza esclude che l’errore scusabile, pur essendo istituto di applicazione generale, possa essere utilizzato per eludere il termine di decadenza per la proposizione del ricorso (Cons. St., Sez. IV, 13 settembre 2001 n. 4791; Sez. VI, 23 ottobre 2001 n. 5567; Sez. V, 4 luglio 2002, n. 3681; Sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5315). Consiglio di Stato Sezione V - 3 ottobre 2003, Sentenza n. 5758
Le materie di competenza statale
esclusiva o concorrente - i principî di sussidiarietà e di adeguatezza -
l'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato - limiti. Una volta
stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in
virtù dell'art. 118, primo comma, la legge può attribuire allo Stato funzioni
amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di
diritto, essa è anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne
l'esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale, resta da
chiarire che i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il
normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono
giustificarne una deroga solo se la valutazione dell'interesse pubblico
sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia
proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno
scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con
la Regione interessata. Che dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, primo
comma, sia desumibile anche il principio dell'intesa consegue alla peculiare
funzione attribuita alla sussidiarietà, che si discosta in parte da quella già
conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 15 marzo
1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni
amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già operante
nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine
prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo
della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla
primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione
della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti,
attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di
operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni
stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell'ordine in
vista del soddisfacimento di esigenze unitarie. Ecco dunque dove si fonda una
concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell'adeguatezza.
Si comprende infatti come tali principî non possano operare quali mere formule
verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge
nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò equivarrebbe a
negare la stessa rigidità della Costituzione. E si comprende anche come essi non
possano assumere la funzione che aveva un tempo l'interesse nazionale, la cui
sola allegazione non è ora sufficiente a giustificare l'esercizio da parte dello
Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all'art. 117 Cost. Nel
nuovo Titolo V l'equazione elementare interesse nazionale = competenza statale,
che nella prassi legislativa previgente sorreggeva l'erosione delle funzioni
amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, è divenuta
priva di ogni valore deontico, giacché l'interesse nazionale non costituisce più
un limite, né di legittimità, né di merito, alla competenza legislativa
regionale. Ciò impone di annettere ai principî di sussidiarietà e adeguatezza
una valenza squisitamente procedimentale, poiché l'esigenza di esercizio
unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche
quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità
costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui
assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento
orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al
principio di lealtà. Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 Sentenza n. 303
(vedi: sentenza per
esteso)
La corretta instaurazione del giudizio
di legittimità costituzionale - l'onere di individuare è raffrontare le
competenze statutarie e le presunte violazioni. Ai fini di una corretta
instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale la ricorrente (nella
specie la Provincia autonoma di Trento) ha l'onere di individuare è raffrontare
le competenze statutarie e le presunte violazioni, che sono oggetto di
impugnazione, non può quindi limitarsi al mero richiamo all'art. 117 Cost.. Le
censure genericamente formulate sono inammissibili. Corte Costituzionale 1
ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi:
sentenza per esteso)
La titolarità del potere di
impugnazione di leggi statali - il potere di proporre ricorso per conflitto di
attribuzione. L'art. 127 Cost. prevede che «La Regione, quando ritenga che
una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione
leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità
costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla
pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge». Con formulazione
dal tenore inequivoco, la titolarità del potere di impugnazione di leggi statali
è dunque affidata in via esclusiva alla Regione, né è sufficiente l'argomento
sistematico invocato dal ricorrente per estendere tale potere in via
interpretativa ai diversi enti territoriali. Analogo discorso deve ripetersi per
il potere di proporre ricorso per conflitto di attribuzione. Nessun elemento
letterale o sistematico consente infatti di superare la limitazione soggettiva
che si ricava dagli art. 134 della Costituzione e 39, terzo comma, della legge
11 marzo 1953, n. 87 e, comunque, sotto il profilo oggettivo, resta ferma, anche
dopo la revisione costituzionale del 2001, la diversità fra i giudizi in via di
azione sulle leggi e i conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni, i quali
ultimi non possono riguardare atti legislativi. Corte Costituzionale 1
ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi:
sentenza per esteso)
Giudizio promosso in via principale -
il vizio di eccesso di delega - fattispecie: la disciplina delle infrastrutture
di telecomunicazioni strategiche comprime le attribuzioni regionali - Codice
delle comunicazioni elettroniche. Nel giudizio promosso in via principale il
vizio di eccesso di delega può essere addotto solo quando la violazione
denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni o Province autonome ricorrenti
(sentenze n. 353 del 2001, n. 503 del 2000, n. 408 del 1998, n. 87 del 1996).
Nella specie non può negarsi che la disciplina delle infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche, che si assume in contrasto con la legge di delega
n. 443 del 2001, comprima le attribuzioni regionali sotto più profili. Il più
evidente tra essi emerge dalla lettura dell'art. 3, comma 2, secondo il quale
tali infrastrutture sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e
sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale anche in deroga agli
strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento. In
questi casi la Regione è legittimata a far valere le proprie attribuzioni anche
allegando il vizio formale di eccesso di delega del decreto legislativo nel
quale tale disciplina è contenuta. Nella specie l'eccesso di delega è evidente,
a nulla rilevando, in questo giudizio, la sopravvenuta entrata in vigore del
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante il Codice delle
comunicazioni elettroniche, che riguarda in parte la stessa materia. Corte
Costituzionale 1 ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi:
sentenza per esteso)
Corte Costituzionale -
intervento ad adiuvandum delle
Associazioni Onlus - inammissibilità. In via preliminare va dichiarato
inammissibile il congiunto intervento ad adiuvandum dell'Associazione Italia
Nostra-Onlus, di Legambiente-Onlus, dell'Associazione italiana per il World Wide
Fund For Nature (WWF) -Onlus, nel giudizio instaurato con il ricorso della
Regione Toscana avverso la legge n. 166 del 2002. Va qui ribadito l'orientamento
consolidato di questa Corte secondo il quale nei giudizi di legittimità
costituzionale in via di azione non è ammessa la presenza di soggetti diversi
dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio
è oggetto di contestazione.
Corte Costituzionale 1 ottobre 2003
Sentenza n. 303 (vedi:
sentenza per esteso)
E’ inammissibile l'istanza per regolamento di competenza che non sia stata notificata a tutte le parti alle quali era stato notificato il ricorso originario - l'istanza per regolamento di competenza va notificata a tutte le parti evocate in giudizio - perentorietà del termine. Secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria (Cons. Stato, Ad. Plen., 16/05/1985, n. 15) è inammissibile l'istanza per regolamento di competenza che non sia stata notificata a tutte le parti alle quali era stato notificato il ricorso originario, nonché a quelle altre comunque costituitesi in giudizio fino al momento della costituzione della parte istante. Nella stessa occasione è stato ribadito che la possibilità di integrare successivamente il contraddittorio, prevista per il ricorso giurisdizionale amministrativo dall'art. 21, 1° comma, non è data anche per l'istanza di regolamento di competenza la quale, entro il termine di venti giorni, deve essere notificata a pena di inammissibilità a tutte le parti in causa, intendendosi per tali tutte le parti alle quali era stato notificato il ricorso originario e quelle comunque costituitesi in giudizio fino al momento della costituzione della parte istante. Di recente è stato ribadito che l'istanza per regolamento di competenza va notificata a tutte le parti evocate in giudizio, anche se non costituite ed è escluso che il Consiglio di Stato possa disporre l'integrazione del contraddittorio, in considerazione delle peculiari esigenze di celerità del procedimento incidentale e della perentorietà del termine di cui all'art. 31 l. T.a.r. (Cons. Stato, Sez. IV, 02/12/1999, n. 1782; si veda inoltre: Cons. Stato, Sez. IV, 30/12/1994, n. 1101; Cons. Stato, Sez. IV, 04/08/1988, n. 699; Cons. Stato, Sez. VI, 19/12/1986, n. 918). Consiglio di Stato Sezione V - 1 ottobre 2003, Sentenza n. 5685
Ricorso incidentale -
l’impugnativa di atti ulteriori e diversi purché strumentalmente e
funzionalmente collegati a quelli impugnati con il ricorso principale -
ammissibilità. Il ricorso incidentale, secondo il consolidato orientamento
della giurisprudenza, non deve necessariamente investire i medesimi atti oggetto
di impugnazione nel ricorso principale, potendo viceversa concernere anche
l’impugnativa di atti ulteriori e diversi, purché strumentalmente e
funzionalmente collegati a quelli impugnati con il ricorso principale.
Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5676 (vedi:
sentenza
per esteso)
La declaratoria dell’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di
interesse - presupposto. La declaratoria dell’improcedibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza di interesse postula un univoco accertamento dell’inutilità
della sentenza. Tale verifica, a sua volta, esige che la presupposta,
rigorosa indagine circa l’utilità consequenziale per effetto della definizione
del ricorso conduca al sicuro convincimento che la modificazione della
situazione di fatto o di diritto intervenuta in corso di causa impedisca di
riconoscere in capo al ricorrente alcun interesse, anche meramente strumentale o
morale alla decisione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 3318 del 2003; Cons.
Stato, sez. V, 6 febbraio 2003, n. 632; Cons. Stato, sez. IV, 1 agosto 2001, n.
4206). Sulla base di tali rigidi parametri, occorre rilevare che nel caso di
specie l’interesse dei sigg.ri Rubino alla decisione del ricorso da parte del
T.A.R. era sicuramente sussistente. Consiglio di Stato - Sezione V, 1°
Ottobre 2003, Sentenza n. 5675 (vedi:
sentenza
per esteso)
Procedure e varie - Prove - Mezzi di ricerca della prova - Sequestri - Decreto - Richiesta di riesame - Sequestro di documentazione - Acquisizione di copie - Dissequestro degli originali - Interesse all'impugnazione - Contrasto di giurisprudenza. E' ammissibile l'istanza di riesame di un provvedimento di sequestro probatorio di documentazione, successivamente restituita dal pubblico ministero previa estrazione di copie, sussistendo l'interesse del richiedente a verificare che l'uso del mezzo tendente all'acquisizione della prova sia avvenuto nei casi ed entro i limiti previsti dalla legge (in applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame che, nel ritenere inammissibile per carenza di interesse la richiesta di riesame proposta dell'indagato, aveva omesso di svolgere la richiesta attività di controllo sulla sussistenza del fumus commissi delicti). CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, del 25.9.2003, Sent. n. 36775
La volontà dei ricorrenti di impugnare la norma - contenuto del ricorso - thema decidendum. Dal tenore e dal contenuto del ricorso, sulla base dei quali il giudice deve ricostruire il thema decidendum a prescindere dall'enunciazione delle norme nell'epigrafe del ricorso (per tutti, cfr. Cons. Stato, Sez.V, 06/03/1991, n. 204) può cogliersi la volontà dei ricorrenti di impugnare la norma de qua in ognuna delle fonti in cui essa è prevista tra le quali appunto il Regolamento comunale che la prevedeva. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5457
La motivazione della sentenza impugnata - la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo - l’inammissibilità dell’appello. Costituisce specifico onere dell’appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l’oggetto del giudizio d’appello è costituito da quest’ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado, e che il suo assolvimento esige la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata (cfr. ex multis C.S., Sez. V, 12 novembre 2002, n.6243). Il rilevato mancato assolvimento di tale onere, con le modalità appena precisate, determina, quindi, l’inammissibilità dell’appello. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5456 (vedi: sentenza per esteso)
Associazioni e comitati - Associazioni in generale - Accesso ai documenti - Limiti - Finalità statutarie. E’ inammissibile la richiesta, avanzata da un’associazione di volontariato, di accesso al procedimento amministrativo inerente lavori realizzati, in materia eccedente le finalità statutarie e redatta in termini a tal punto generici da rendere incomprensibile l’interesse generale concretamente perseguito. Ciò in quanto, nel sistema introdotto dalla L. 7 agosto 1990 n.241, il cd. potere esplorativo riconosciuto alle associazioni di volontariato trova un limite preciso non solo nella necessità di evitare che esso si traduca in un controllo generalizzato sull’attività della Pubblica amministrazione, ma anche nelle finalità che la singola associazione si è statutariamente assegnata. Pres. PENNETTI, Est. FERRARI - Palumbo (Avv. Lacerra) c. Comune di Palazzo San Gervasio (Avv. Brienza) - T.A.R. Basilicata - 19 settembre 2003, n. 891
La modificazione della
legislazione di natura processuale deve ricevere immediata applicazione nei
processi in corso - applicabilità. Costituisce principio indiscusso nel
nostro ordinamento che la modificazione della legislazione di natura processuale
deve ricevere immediata applicazione nei processi in corso (Cass. Civ. Sez. III,
12 maggio 2000, n. 6099); e, pertanto, si rivela ininfluente la circostanza che
la normativa invocata dall’appellata sia entrata in vigore successivamente alla
formazione del silenzio-diniego ma prima della scadenza dei termini per
l’appello. (In senso conforme: Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003,
sentenza n. 5324). Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza
n. 5326 (vedi:
sentenza
per esteso)
Ricorso al generale - riduzione alla metà di tutti i termini processuali -
limiti - notificazione dell’atto introduttivo del giudizio - deposito dell’atto
notificato - precedente giurisprudenza. La giurisprudenza amministrativa,
nella sua sede più autorevole (Ad. Plen. 31 maggio 2002 n. 5), ha affermato che
la novella legislativa di cui alla legge n. 205 del 2000, che ha introdotto
l’art. 23 bis nella legge n. 1034 del 10971, nel sottrarre la proposizione del
ricorso al generale regime della riduzione alla metà di tutti i termini
processuali, ha inteso riferirsi alla sola notificazione dell’atto introduttivo
del giudizio, non anche al deposito dell’atto notificato. Con ciò confermando,
con consistente anticipo rispetto ai tempi che hanno interessato l’odierna
vicenda, un orientamento largamente condiviso dalla precedente giurisprudenza,
che non aveva ravvisato per la formalità del deposito l’esigenza di derogare,
come per la notificazione, al principio di speditezza e di accelerazione cui si
ispirava la riforma (Cons. St., Sez. VI 8 aprile 2002 n. 1906; C.G.A. 12 giugno
2001 n. 287; Sez. IV 28 agosto 2001 n. 4562; 29 agosto 2001 n. 4570). (In senso
conforme: Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenze nn. 5324 -
5320). Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza n. 5326
(vedi:
sentenza per esteso)
Abbreviazione del termine per il deposito del ricorso - la comune diligenza
da osservarsi da parte del soggetto interessato. Deve essere tenuto
presente, poi, che l’art. 23 bis si è innestato su una disciplina preesistente
anche più rigorosa (art. 19 del d.l. n. 67 del 1997), che pacificamente
prevedeva l’abbreviazione del termine per il deposito del ricorso. Anche ad
ammettere quindi qualche margine di incertezza sull’interpretazione della nuova
disposizione, la comune diligenza da osservarsi da parte del soggetto
interessato doveva consigliare l’adempimento nel termine più breve (in senso
conforme Sez. IV, 9 ottobre 2002 n. 5363). (In senso conforme: Consiglio di
Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenze nn. 5324 - 5320). Consiglio di
Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza n. 5326 (vedi:
sentenza
per esteso)
L’onere di riproposizione dei motivi rimasti assorbiti dalla decisione impugnata - cognizione del giudice di secondo grado - thema decidendum del giudizio d’appello - motivi. L’onere di riproposizione dei motivi rimasti assorbiti dalla decisione impugnata esige, invero, per il suo rituale assolvimento, che la parte appellata indichi specificamente le censure che intende siano devolute alla cognizione del giudice di secondo grado, all’evidente fine di consentire a quest’ultimo una compiuta conoscenza delle relative questioni ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse. Ne consegue che un indeterminato rinvio alle censure assorbite ed agli atti di primo grado che le contengono, senza alcuna ulteriore precisazione del loro contenuto, si rivela inidoneo ad introdurre nel thema decidendum del giudizio d’appello i motivi in tal modo dedotti. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5322 (vedi: sentenza per esteso)
L’impugnabilità dinanzi al Consiglio di Stato delle sentenze di ottemperanza - limiti - il giudice di prime cure - questioni di natura cognitoria - pronuncia ordinatoria - l’ammissibilità dell’appello - principio della tassatività dei mezzi di gravame. L’impugnabilità dinanzi al Consiglio di Stato delle sentenze di ottemperanza postula il loro carattere sostanzialmente decisorio - e cioè che con le stesse il giudice di prime cure, invece, di limitarsi ad emanare mere misure attuative del giudicato, abbia risolto anche questioni di natura cognitoria, di rito o di merito - (cfr. ex multis C.S., Sez. VI, 22 ottobre 2002, n.5796), nella fattispecie considerata il T.A.R., lungi dal decidere la ricorrenza dei presupposti condizionanti la nomina dell’organo esecutivo, si è limitato a provvedere a quest’ultima, con pronuncia senz’altro ordinatoria (sin nella forma) e priva dell’esercizio di qualsivoglia potestà decisionale. Ne consegue che, in ossequio al principio della tassatività dei mezzi di gravame ed in mancanza di una norma espressa che autorizzi l’impugnazione del tipo di ordinanza in questione (non catalogabile, per altro verso, come provvedimento sostanzialmente decisorio), va negata l’ammissibilità dell’appello in esame. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5319
Associazioni di categoria - legittimazione ad impugnare. L’Associazione dei commercianti, come ogni associazione di categoria, è legittimata ad impugnare solo gli atti che comportano una lesione dell’interesse collettivo statutariamente tutelato, una lesione, cioè, che riguardi la categoria rappresentata nel suo complesso. Consiglio di Stato, Sezione V - 18 settembre 2003, n. 5307
Mansioni superiori - diritto dei sanitari U.S.L. al trattamento retributivo maggiore - posto vacante in pianta organica. La giurisprudenza di questo Consiglio è ferma nel riconoscere che il diritto dei sanitari delle U.S.L. al trattamento retributivo maggiore, per lo svolgimento di mansioni superiori, sorge esclusivamente se queste corrispondano ad un posto vacante in pianta organica, considerato che l’attribuzione di mansioni più elevate si giustifica con l’assenza del titolare di uno specifico posto, non già con scelte o valutazioni soggettive, quali sono state sopra esemplificate (conf. Sez. V 29 gennaio 2003, n. 441; 13 maggio 2002, n. 2588; 5 maggio 2000, n. 2626; 19 ottobre 1999, n. 1574; 27 settembre 1999, n. 1199). Consiglio di Stato, V Sezione - 18 settembre 2003, n. 5306
Carenza di interesse - parametri. I parametri che presiedono alla declaratoria dell’improcedibilità del ricorso per carenza di interesse, per come definiti dall’univoco e consolidato orientamento giurisprudenziale sono: l’accertamento dell’inutilità della sentenza (cfr. ex multis Cons. Stato, IV Sez., 6 ottobre 2001, n.5296) e il sicuro convincimento, esito di tale presupposta, rigorosa indagine, che la modificazione della situazione di fatto e di diritto intervenuta in corso di causa impedisce di riconoscere in capo al ricorrente alcun interesse, anche meramente strumentale e morale, alla decisione. Consiglio di Stato, V Sezione - 18 settembre 2003, n. 5302
Quantificazione della pena in considerazione della gravità della condotta - legittimità - (sprezzo dimostrato per le norme di legge e le prescrizioni dell'autorità competente - conseguimento di profitti economici a scapito altrui). Correttamente la corte di merito ha confermato la sanzione inflitta dal primo giudice, in considerazione della gravità della condotta, dello sprezzo dimostrato per le norme di legge e le prescrizioni dell'autorità competente, nonché della motivazione meramente utilitaristica dell'agente volta a conseguire profitti economici a scapito altrui. Considerazioni che non appaiono in contraddizione logica con altri passaggi motivazionali della sentenza. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi: sentenza per esteso)
La deliberazione dello stato di
emergenza - parametri indicati dalla legge - protezione civile. La
deliberazione dello stato di emergenza implica l'esercizio di un'amplissima
potestà discrezionale, che trova un limite - rigoroso, attesi i principi
costituzionali in giuoco - nell'effettiva esistenza di una situazione di fatto,
consistente in calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità
ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, da
cui derivi un pericolo in atto o possa derivare un pericolo all'integrità delle
persone ovvero ai beni, agli insediamenti e all'ambiente, e nella ragionevolezza
di questo potere discrezionale, oltre che evidentemente nella impossibilità di
poter altrimenti fronteggiare la situazione (Cfr. Cons. St., IV, 19 aprile 2000,
n. 2361). Dunque, la situazione che dà luogo alla dichiarazione dello stato di
emergenza deve risultare in modo irrefutabile, alla stregua dei parametri
indicati dalla legge, e non può essere fronteggiata con mezzi e poteri ordinari:
di ciò va data contezza nella dichiarazione stessa. T.A.R. del Friuli -
Venezia Giulia, 30 agosto 2003 Sentenza n. 641 (vedi:
sentenza
per esteso)
La deliberazione dello stato di emergenza - potestà discrezionale - limiti -
parametri indicati dalla legge - protezione civile - mezzi e poteri
straordinari. La deliberazione dello stato di emergenza implica l'esercizio
di un'amplissima potestà discrezionale che trova un limite - rigoroso, attesi i
principi costituzionali in giuoco - nell'effettiva esistenza di una situazione
di fatto, consistente in calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per
intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri
straordinari, da cui derivi un pericolo in atto o possa derivare un pericolo
all'integrità delle persone ovvero ai beni, agli insediamenti e all'ambiente, e
nella ragionevolezza di questo potere discrezionale, oltre che evidentemente
nella impossibilità di poter altrimenti fronteggiare la situazione. Detto
questo, va osservato che la lett. c) del comma 1 dell'art. 2 della legge 14
febbraio 1992, n. 225 sussume nella tipologia di eventi a cui si ricollega la
predetta normativa, anche « ... altri eventi (oltre le calamità naturali e le
catastrofi) che, per intensità ed estensione debbono essere fronteggiati con
mezzi e poteri straordinari». Con la locuzione: “altri eventi“ - ritiene il
Collegio - il Legislatore si è basato su di un criterio oggettivo e cioè
l'esistenza di una situazione che necessita di interventi straordinari,
indipendentemente dalla causa che l'ha determinata: interventi - si ribadisce -
pur sempre mirati alla tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli
insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni. T.A.R. del
Friuli - Venezia Giulia, 30 agosto 2003 Sentenza n. 641 (vedi:
sentenza
per esteso)
I poteri straordinari deliberati con lo stato di emergenza per eventi
naturali, catastrofi o altri eventi, non sono, diretti a fronteggiare lo “stato
di blocco dell’occupazione con gravi ripercussioni sull’intera economia di
un’area” - Servizio nazionale della protezione civile - grave situazione di
emergenza socio-economico-ambientale. Non sono riconducibili, le situazioni
di emergenza ambientale “ordinarie” e relativamente allo stato di inquinamento
delle risorse idriche nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani,
speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica e risanamento ambientale
dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela
delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione, al paradigma
delle “calamità naturali, catastrofi” o, tampoco, in quello di “altri eventi”
(lett. c) del comma 1 dell'art. 2 della legge 14 febbraio 1992, n. 225) che, per
intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri
straordinari; inoltre, il legislatore, ha esclusivamente avuto di mira la tutela
dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai
danni o dal pericolo di danni. Nella specie non risulta sia stata perseguita la
tutela di questi beni e valori, nella parte in cui i gravati provvedimenti fanno
riferimento allo “stato di blocco dell’occupazione con gravi ripercussioni
sull’intera economia della Carnia”; infine, deve risultare in modo irrefutabile
- e ciò non è avvenuto - che la situazione non può essere fronteggiata con mezzi
e poteri ordinari. I poteri straordinari deliberati con lo stato di emergenza
non sono, però (ovviamente), diretti a fronteggiare lo “stato di blocco
dell’occupazione con gravi ripercussioni sull’intera economia di un’area”
(l’art. 5 prevede che, al verificarsi degli eventi indicati nell'art. 2 lett. c)
e cioè eventi naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed
estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, il
Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza determinandone la durata e
la estensione territoriale, in stretto riferimento alla qualità e alla natura
degli eventi), bensì la situazione che potrebbe determinare - di riflesso -
questo “blocco”. Ciò non significa che una situazione di difficoltà nel settore
della depurazione e dello smaltimento dei rifiuti, solidi urbani ed
assimilabili, speciali, tossici e nocivi, la quale potrebbe anche dar luogo a
responsabilità politiche, amministrative o penali degli organi istituzionalmente
preposti, non incida sulla necessità di attivare gli interventi di protezione
civile, allorquando si sia determinata una situazione di tale gravità da poter
creare danni o pericolo di danni all'integrità delle persone, ai beni, agli
insediamenti o all'ambiente. Il ricorso al rimedio extra ordinem dello stato di
emergenza riposa, però, su ben altri presupposti. T.A.R. del Friuli - Venezia
Giulia, 30 agosto 2003 Sentenza n. 641 (vedi:
sentenza
per esteso)
Il permanere dell’interesse della
parte ricorrente - cessazione della materia del contendere. Solo in presenza
di circostanze, validamente documentate, che escludono in modo certo il
permanere dell’interesse della parte ricorrente, può darsi atto dell’intervenuta
cessazione della materia del contendere, ovvero procedere alla dichiarazione del
sopravvenuto difetto di interesse. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio
2003, sentenza n. 4356
Il visto di esecutività ha natura meramente dichiarativa - provvedimento
amministrativo - anticipata esecuzione - legittimità. Il visto di
esecutività ha natura meramente dichiarativa e, una volta intervenuto, gli
effetti retroagiscono al momento in cui l’atto controllato è stato adottato (Cons.
St., Sez. VI, n. 25 ottobre 1991, n. 728). Alla luce di tale indirizzo deve
escludersi che un provvedimento amministrativo di cui sia stata anticipata
l’esecuzione debba considerarsi illegittimo, ove il provvedimento presupposto
abbia poi conseguito - come pacificamente risulta nella fattispecie in esame -
il prescritto visto di esecutività. Sotto altro aspetto, risulta che l’adozione
del piano oggi in contestazione è stato adottato dal Comune per superare la
rilevata impossibilità di dare attuazione al piano già in precedenza adottato,
al quale si è sostituito. Donde ne restano chiaramente esclusi i dedotti profili
di eccesso di potere per confusione o sovrapposizione, restando il nuovo atto
individuabile nel suo reale contenuto. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29
luglio 2003, sentenza n. 4356
Errore scusabile - concesso d’ufficio. L’errore scusabile, il cui
beneficio può essere concesso d’ufficio, prescindendo da qualsiasi istanza di
parte (C.d.S., sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1407). Consiglio di Stato, Sezione
IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4352 (vedi:
sentenza
per esteso)
La declaratoria di estinzione del
giudizio - effetti. La declaratoria di estinzione del giudizio in fase di
gravame una volta venuto meno ogni interesse alla decisione, non può tradursi in
una mera pronuncia di inammissibilità o improcedibilità della impugnazione, che
avrebbe l’effetto di eliminare quest’ultima ma non anche il provvedimento
giurisdizionale impugnato: il quale lungi dal restarne travolto, ne
risulterebbe, anzi confermato (cfr. da ultimo C.d.S. sez. IV, 29 gennaio 1999,
n. 84; 17 dicembre 1998, n. 1516; 30 aprile 1988, n. 709; Cass. sez. I, civile,
9 aprile 1997, n. 3075). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003,
sentenza n. 4349
La ritualità della rinunzia giudizio -
estinzione. La ritualità della rinunzia ai sensi dell’art. 46 r.d. n. 642
del 1907, deve dichiararsi l’avvenuta estinzione del giudizio introdotto con il
ricorso di primo grado (cfr. in termini Cons. Stato, sez. IV, 30 aprile 1998, n.
709; sez. VI, n. 136 del 1986). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio
2003, sentenza n. 4349
L’interruzione per morte - o perdita di capacità processuale - effetto interruttivo del processo - principio dell’attuale sistema del processo civile - l’evento menzionato in una memoria. Solo il procuratore della parte colpita dall’evento è dunque legittimato a rendere nel giudizio tale comunicazione, mentre non vi sono legittimate le altre parti che dall’evento possono, semmai, essere avvantaggiate (cfr. C.G.A.R.S. 1° ottobre 1996, n. 280; il principio dell’attuale sistema del processo civile per il quale l’interruzione per morte - o perdita di capacità processuale - della parte costituita non è automatica, ma consegue esclusivamente ad apposita dichiarazione fatta dal procuratore della parte stessa, essendo in pratica rimesso alla disponibilità di questo, doverosamente avvertiti gli aventi causa della parte cessata, se e quando dichiarare in giudizio l’evento, ha di recente superato il vaglio di costituzionalità, essendo adeguatamente garantiti - atteso l’obbligo del procuratore, rilevante sia in sede civile che disciplinare, di informare il successore della parte originariamente costituita in giudizio dell’effetto interruttivo del processo - i diritti di difesa ex art. 24 Cost. della parte potenziale, e quindi dei successori della parte originaria: Corte Cost. ord. 10 aprile 2002, n. 102). In ogni caso, la circostanza che l’evento sia menzionato in una memoria della parte (perdipiù non interessata all’interruzione) non può di certo surrogare la formale dichiarazione del fatto interruttivo in udienza da parte del soggetto legittimato, o comunque la pubblicizzazione, sempre nella pubblica udienza, dell’evento interruttivo conosciuto dalle parti o dal giudice in qualsiasi altro modo, fermo restando in ogni caso che la dichiarazione deve essere formalizzata nel verbale di udienza (cfr. anche Cons. Stato, VI, 5 novembre 2002, n. 6021). Consiglio di Stato, Sezione V, 29 luglio 2003, sentenza n. 4308
L'appello ha carattere di gravame e
non di rimedio impugnatorio - difetto di motivazione della sentenza impugnata.
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che nel ricorso d’appello è
inammissibile una tale censura (difetto di motivazione della sentenza impugnata)
nei confronti della pronuncia del giudice di primo grado, giacché l'appello ha
carattere di gravame e non di rimedio impugnatorio, con la conseguenza che
l'eventuale carenza di motivazione è di per sé irrilevante, potendo in merito
provvedere il giudice di secondo grado in forza dell'effetto devolutivo
dell'appello (Cons. St., Sez. V, n. 5471 del 16.10.2001; n. 1218 del 3.3.2001;
Sez. VI, n. 1197 del 15.9.1999). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV,
25 luglio 2003, sentenze nn. 4261 - 4260 - 4259. Consiglio di Stato, Sezione
IV, 25 luglio 2003, sentenza n. 4262
Errore di giudizio - ipotesi art. 395,
n. 3, c.p.c. - il documento trovato successivamente alla sentenza deve essere
decisivo - documento potenzialmente idoneo a formare un diverso convincimento da
parte del giudice - requisito della decisività - impossibilità della produzione
- cause di forza maggiore - fatto dell’avversario - ignoranza dell’esistenza dei
documenti - richiesta al giudice dell’esibizione - termine per proporre la
revocazione. Non sussiste il lamentato errore di giudizio nell’ipotesi di
cui all’art. 395, n. 3, c.p.c., in quanto, secondo consolidata giurisprudenza,
il documento trovato successivamente alla sentenza deve essere decisivo, nel
senso che, se acquisito agli atti, sarebbe stato potenzialmente idoneo a formare
un diverso convincimento da parte del giudice e, perciò, a condurre ad una
diversa decisione (Cass. civ. n. 8342/1990): si esclude, pertanto, che esista il
requisito della decisività ove il documento non sia destinato a costituire la
prova di un determinato fatto, ma rappresenti soltanto un mezzo di conoscenza di
un fatto decisivo (Cass. civ. n. 9213 del 1990). L’impossibilità della
produzione deve dipendere da cause di forza maggiore o da fatto dell’avversario:
la prevalente giurisprudenza è orientata nel senso che la predetta impossibilità
riguardi la mancata conoscenza dell’esistenza del documento, incombendo su chi
agisce in revocazione l’onere di dimostrare che l’ignoranza dell’esistenza dei
documenti e dei luoghi dove essi si trovano non dipende da sua colpa (Cass. civ.
n. 8342 cit.) e che ha eseguito le ricerche necessarie, nei luoghi in cui il
documento avrebbe potuto essere riposto (Cass. Civ. n. 8289 del 1992). Si
ritiene, inoltre, che ove la parte sia a conoscenza del documento, ma non ne
abbia la disponibilità, essa debba richiederne al giudice l’esibizione, di
talchè, ove non si sia avvalsa di tale potere, la revocazione è inammissibile
(Cass. civ. n. 1879/92). La giurisprudenza, inoltre, ritiene che il termine per
proporre la revocazione decorra dal momento in cui la parte abbia avuto
conoscenza del documento, per cui la data in questione costituisce oggetto di
uno specifico onere probatorio (Cass. civ. n. 4688 del 1987). Consiglio di
Stato, Sezione IV, 25 luglio 2003, sentenza n. 4247
Il termine per proporre la revocazione
- decorrenza - conoscenza del documento - errore di giudizio - ipotesi art. 395,
n. 3, c.p.c.. Il termine per proporre la revocazione decorre dal momento in
cui la parte abbia avuto conoscenza del documento, per cui la data in questione
costituisce oggetto di uno specifico onere probatorio (Cass. civ. n. 4688 del
1987; Cons. st., IV Sez. n. 1096/94). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25
luglio 2003, sentenza n. 4247
Il regolamento di procedura - art. 36 R.D. 1907 n. 642 - applicabile anche ai giudizi innanzi ai tribunali amministrativi regionali - le domande di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato - notificazione agli interessati - deposito di memorie o istanze - termini. L’articolo 36 del regio decreto 17 agosto 1907 n. 642, concernente il regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, applicabile anche ai giudizi innanzi ai tribunali amministrativi regionali in forza del rinvio contenuto dall’articolo 19, comma 1, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, dispone che le domande di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, quando non sono contenute direttamente nel ricorso, devono essere notificate agli interessati e all’amministrazione e depositate nella segreteria (comma 1). Gli interessati e l’amministrazione, nei dieci giorni successivi alla notifica, possono depositare memorie o istanze (comma 2); pur essendo espressamente previsto che il presidente possa abbreviare tale termine (comma 3), la sezione può decidere solo nella prima udienza successiva alla scadenza del predetto termine (comma 4). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 luglio 2003, sentenza n. 4244
La notifica presso un procuratore al quale è stato revocato il mandato alla lite - notifica - nullità - inesistenza - anomalia del procedimento - insanabilità - notificazione del controricorso - rinnovazione dell’atto nel termine assegnato dal giudice. La notifica presso un procuratore al quale è stato revocato il mandato alla lite, in un domicilio eletto diverso da quello comunicato dalla parte già nel giudizio di primo grado e chiaramente risultate dalla sentenza non è affetta da nullità, bensì da inesistenza. Il problema è stato risolto in questo senso dalla Cassazione con numerose sentenze (tra le quali n. 8125 del 10 agosto 1990; 11799 del 21 novembre 1998) nelle quali ha affermato tra l’altro che la notifica è inesistente anche quando il nuovo procuratore sia stato nominato successivamente alla conclusione del giudizio di primo grado, con l’atto di appello, onde la notifica dell’appello incidentale al procuratore risultante dalla sentenza è affetta da inesistenza. In particolare l’ultima delle sentenze citate ha affermato, in generale che “la notificazione dell’impugnazione ad un soggetto sfornito sia della rappresentanza processuale della parte, sia della qualità di domiciliataria della stessa comporta non la semplice nullità, ma l’inesistenza della notificazione”. (Nella fattispecie la massima citata dalla difesa dell’Amministrazione si riferisce al diverso caso nel quale la Cassazione ha ritenuto sanabile la notifica fatta al procuratore originariamente costituito e non al procuratore nominato in sostituzione in quanto il primo si era costituito anche in appello e il secondo aveva indicato lo stesso domiciliatario (i due avvocati inoltre avevano lo stesso cognome e il primo, anche se non ne era stata fornita la prova, risultava deceduto in corso di giudizio). In tal caso la Cassazione ha ritenuto che esistesse un nesso tra il destinatario dell’atto e la persona che aveva ricevuto la notifica, e che pertanto la notificazione non potesse considerarsi inesistente, ma dovesse ritenersi nulla. Nel caso però si deve dire che la decisione è stata anche favorita dal fatto che la tempestiva notificazione del controricorso, ha consentito di ritenere che la notificazione avesse raggiunto il suo scopo. Nel caso in esame manca invece qualsiasi collegamento tra il destinatario dell'atto e la persona o il luogo della consegna, onde si deve concludere che la notificazione dell’appello era affetta da inesistenza, cioè da quella anomalia del procedimento, ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza, per la quale si può escludere in astratto, con un giudizio ex ante, qualsiasi possibilità di raggiungimento dello scopo dell'atto, cioè della conoscenza di esso da parte del destinatario. Con la conseguenza che il vizio non può essere sanato ai sensi dell'art. 291 c.p.c., con la rinnovazione dell’atto nel termine assegnato dal giudice). Consiglio di Stato, Sezione IV - 24 luglio 2003, sentenza n. 4243
Spese e onorari del giudizio - pagamento - manifestamente irrazionale - tariffe professionali. La statuizione del Tribunale Amministrativo Regionale sulle spese e sugli onorari del giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale, anche quando il soccombente sia stato condannato al relativo pagamento, per cui in sede di appello può essere sindacata la statuizione relativa a tale condanna solo quando essa sia stata posta a carico di una parte soccombente, oppure risulti manifestamente irrazionale o in contrasto con la normativa riguardante le tariffe professionali (cfr, di recente, questa Sezione, 27 agosto 2001, n. 4515). Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4210
Il principio della alternatività tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario - condizioni. Il principio della alternatività tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario opera in presenza di due concorrenti condizioni: la identità del soggetto ricorrente e la identità dell’atto impugnato. Ne consegue che non può costituire preclusione per la proposizione del ricorso giurisdizionale o, come nel caso in esame, per la instaurazione del giudizio di appello, la intervenuta decisione del ricorso straordinario al Capo dello Stato che, pur riguardando il medesimo provvedimento amministrativo, sia stato però azionato da un soggetto diverso. Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4194
Giudizio amministrativo di
appello - appello incidentale per far valere i motivi di impugnazione
pretermessi - parte vittoriosa in primo grado - non è necessario - art. 346 Cod.
proc. civ. - censure assorbite. Nel giudizio amministrativo di appello non è
necessario che la parte vittoriosa in primo grado proponga appello incidentale
per far valere i motivi di impugnazione pretermessi nel primo giudizio perché
ritenuti assorbiti dall'accoglimento della domanda principale, essendo
sufficiente, a norma dell'art. 346 Cod. proc. civ., che detta parte si limiti a
riproporre nel giudizio di appello, in un suo qualsiasi scritto difensivo,
puramente e semplicemente le relative questioni, e bastando dunque all'uopo la
mera richiesta di esame delle censure assorbite (cfr., in termini, Cons. Stato,
V Sez., 2 novembre 1998 n. 1562; IV Sez., 17 aprile 2000 n. 2298). Consiglio
di Stato, Sezione IV - 14 luglio 2003, sentenza n. 4157
La sopravvenuta carenza di interesse - dichiarazione fatta in udienza
dal difensore dell’appellante - improcedibilità dell’appello. La
dichiarazione fatta in udienza dal difensore dell’appellante circa la
sopravvenuta carenza di interesse del suo assistito alla decisione dell’appello
comporta la improcedibilità dell’appello, non potendo in tal caso - in omaggio
al principio dispositivo - il giudice decidere la controversia nel merito.
Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 luglio 2003, sentenza n. 4153.
Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 luglio 2003, sentenza n. 4154
Procedure e varie - Rituale
deposito da parte dei ricorrenti dell'istanza ex art. 369, cod. proc. civ. -
Mancanza del fascicolo d'ufficio della fase di merito - Irrilevanza al fine
della decisione. La mancanza del fascicolo d'ufficio della fase di merito,
nonostante il rituale deposito da parte dei ricorrenti dell'istanza ex art. 369,
cod. proc. civ., nell'osservanza delle prescrizioni recate da detta norma, è
irrilevante, stante la non indispensabilità del medesimo al fine della decisione
(tra le molte, Cass., n. 3852 del 2002, sia pure in riferimento al caso di
mancanza conseguente dall'omesso deposito dell'istanza dell'art. 369, cod. proc.
civ.). Pres. SAGGIO - Est. SALVATO - SANTANGELO e altro (avv. SATTA FLORES) c.
COMUNE DI NAPOLI (avv. BARONE) -
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 10 luglio 2003, (ud. 19.03.2003) Sentenza
n. 10857
(vedi:
sentenza per esteso)
Notificazione del ricorso a mezzo
del servizio postale - , il mancato deposito agli atti del giudizio dell’avviso
di ricevimento - decisione interlocutoria per consentire al ricorrente di
comprovare l’avvenuta notifica. Per giurisprudenza costante, in caso di
notificazione del ricorso a mezzo del servizio postale, il mancato deposito agli
atti del giudizio dell’avviso di ricevimento previsto dall’art. 149 cod. proc.
civ. non consente di considerare eseguita la notifica, né la previsione di cui
all’art. 5 della legge 20 novembre 1982 n. 890 comporta che il giudice debba
adottare una decisione interlocutoria per consentire al ricorrente di comprovare
l’avvenuta notifica, tramite eventualmente l’allegazione dei duplicati
ottenibili dall’Ente postale. Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio
2003, sentenza n. 4127
Ricorso giurisdizionale notificato a mezzo del servizio postale
- dichiarazione di inammissibilità per mancanza del necessario contraddittorio -
mancanza di costituzione delle parti intimate. Il ricorso giurisdizionale
notificato a mezzo del servizio postale va, pertanto, dichiarato inammissibile,
ai sensi dell’art. 36 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054, per mancanza del
necessario contraddittorio, qualora non siano stati depositati, prima del
passaggio della causa in decisione, gli avvisi di ricevimento delle
notificazioni, in mancanza di costituzione delle parti intimate (Cons. Stato, V,
14 giugno 1994, n. 657; IV, 12 dicembre 1994, n. 1008; VI, 19 luglio 1999, n.
980; cfr. anche Cons. Stato, IV, 12 giugno 1998, n. 927). Consiglio di Stato,
Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4127
L’atto di reiezione di una proposta di iniziativa privata nell’ambito
del Programma di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUSST)
“Valdemone” - prova dell’avvenuta regolare notificazione dell’istanza di
regolamento di competenza - dichiarazione di inammissibilità. L’istanza di
reiezione di una proposta di iniziativa privata, che doveva essere notificata -
ai sensi di legge (art. 31, comma 3, l. 1034/71) - a tutte le parti in causa,
debba essere, in disparte la fondatezza nel merito, inevitabilmente dichiarata
inammissibile, atteso che, tra l’altro, le esigenze di speditezza proprie di
siffatto procedimento incidentale impongono di non ammettere l’integrazione del
contraddittorio pur a fronte della regolare notifica ad almeno una delle
controparti (cfr., in tema, Cons. Stato, IV, 2 febbraio 2000, n. 540, nonché,
VI, 4 dicembre 2001, n. 6075). Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio
2003, sentenza n. 4127
La disciplina regolamentare interna in materia d’accesso - actio ad
exhibendum - principi generali sulla gerarchia delle fonti - l'esercizio di un
diritto soggettivo. Nell'actio ad exhibendum di cui all'art. 25 della legge
n. 241 del 1990, la disciplina regolamentare interna in materia d’accesso, ove
si riveli in contrasto con la suddetta legge e col suo regolamento governativo
attuativo approvato con il D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, non è idonea ad
impedire l'accesso e dev'essere disapplicata "senza che occorra una formale
impugnazione del regolamento" interno, giacché in base ai principi generali
sulla gerarchia delle fonti, "nel conflitto di due norme diverse occorre dare
preminenza a quella legislativa, di livello superiore rispetto alla disposizione
regolamentare ogni volta che preclude l'esercizio di un diritto soggettivo" (cfr.
Cons. St., Sez. IV, 24 marzo 1998 n. 498 e Sez. VI, 26 gennaio 1999 n. 59).
Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4049.
Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4051
L'accesso ai documenti - gli atti dei procedimenti disciplinari -
“provvedimento” finale. L'accesso ai documenti ai sensi dell'art. 22 della
legge 7 agosto 1990 n. 241 “è escluso, ai sensi del secondo e quarto comma
dell'art. 24 della stessa legge e dell'art. 8, comma quinto, lettera d) D.P.R.
27 giugno 1992 n. 352, per tutti gli atti dei procedimenti disciplinari anche
per le fasi preliminari (per i quali l'accesso è consentito solo all'incolpato e
al Pubblico Ministero)”. La norma in parola ha un senso proprio perché,
derogando ad una disciplina generale, consente l’estensibilità anche della
motivazione, tanto più che il testo circoscrive il divieto a tutti “gli atti”
del procedimento e non anche al “provvedimento” finale. Conforme:
Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4049. Consiglio
di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4051
L’esercizio del diritto di accesso - legge n. 241 del 1990 - i
principi fissati dall’art. 97 della Costituzione. Occorre ricordare che la
norma primaria (art. 24, comma 2, della legge n. 241 del 1990) ha obbligato ogni
amministrazione a dotarsi di un apposito regolamento per disciplinare
concretamente l’esercizio del diritto di accesso, il cui specifico contenuto è
stato precisato dalla norma secondaria (art. 8 del D.P.R. n. 352 del 1992). Il
legislatore ha inteso contemperare nel modo più efficace e coerente possibile,
secondo i principi fissati dall’art. 97 della Costituzione, gli opposti
interessi in gioco; quello del privato, di accedere agli atti
dell’amministrazione in ossequio al principio di trasparenza dell’azione
amministrativa; e quello pubblico, di sottrarre all’accesso determinate
categorie di atti, la cui pubblicità avrebbe potuto recare pregiudizio agli
interessi, ritenuti prevalenti, individuati nelle lettere a), b), c) e d) del
comma 2 dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990 (Cfr. C.d.S., Sez. IV, 25
luglio 2001, n. 4064). In tal senso l’indicazione degli atti sottratti
all’accesso contenuta nei decreti adottati dalle singole amministrazioni ai
sensi dei più volte ricordati articoli 24, comma 4, della legge n. 241 del 1990
e 8 del D.P.R. n. 352 del 1992 (e per il caso che ne occupa nell’ultimo punto
del regolamento interno) è il frutto di una valutazione fatta
dall’Amministrazione, in virtù dello specifico potere conferito dal legislatore,
circa la prevalenza in quei casi degli interessi pubblici attinenti ai motivi di
tutela della riservatezza, rispetto all’interesse dei privati: valutazione
ampiamente discrezionale che, inerendo al merito dell’azione amministrativa,
sfugge al sindacato di legittimità, salva la sua eventuale arbitrarietà,
irragionevolezza od illogicità, che nel caso di specie non sussistono.
Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4049.
Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4051
L'accertamento dell'interesse all'esibizione degli atti amministrativi
riguardanti il soggetto che richiede l'accesso - legame tra finalità dichiarata
e documento richiesto - concretezza dell'interesse personale all'acceso -
posizione legittimante all'accesso. Se è vero, per un verso, che
l'accertamento dell'interesse all'esibizione degli atti amministrativi
riguardanti il soggetto che richiede l'accesso ai sensi dell'art. 22 legge 7
agosto 1990, n. 241, va effettuato con riferimento alle finalità che egli
dichiara di perseguire, (Cfr., Sez. V, 12 ottobre 2002, n. 5516), non potendosi
operare alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della
domanda o della censura che sia stata proposta o si intenda proporre, la cui
valutazione spetta solo al giudice chiamato a decidere (C.d.S., A. plen., 28
aprile 1999, n. 6), è altrettanto vero che, sotto il profilo logico, deve pur
sempre sussistere un legame tra finalità dichiarata e documento richiesto. Ciò
perché “concretezza dell'interesse personale all'acceso ai documenti
amministrativi significa che la posizione legittimante all'accesso non va
confusa con quella di altri soggetti o con l'interesse pubblico nè può essere
caratterizzata da un eccessivo grado d'astrazione: con la conseguenza che il
titolare deve esternare non solo le ragioni per cui intende accedere ma,
soprattutto, la coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui realizzazione il
diritto d'accesso è preordinato" (Consiglio Stato sez. V, 13 dicembre 1999, n.
2109). In altri termini, se il giudizio circa la concreta pertinenza della
documentazione alla causa non può che spettare all’autorità giudiziaria adita,
non di meno spetta all'amministrazione valutare, in ordine al diritto d’accesso,
l’astratta inerenza dell’istanza a quel giudizio. Diversamente opinando,
infatti, l’intenzione annunciata di proporre un’azione giudiziaria
giustificherebbe la richiesta di qualsivoglia documento. Conforme:
Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4049. Consiglio
di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4051
Esigenza di tipo probatorio per l’individuazione dei “magistrati”
asseritamene coinvolti. Qualsiasi esigenza di tipo probatorio che dovesse
essere ritenuta rilevante con riguardo all’individuazione dei “magistrati”
asseritamene coinvolti, è questione, la cui soddisfazione non può che trovare la
sede naturale nell'ambito di quel giudizio (cfr. C. d. S., Sez. VI, 20 febbraio
2002, n. 1036). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio
2003, sentenza n. 4049. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003,
sentenza n. 4051
Inammissibilità del ricorso - giudice di primo grado - appello - la
mera riproposizione dei motivi di primo grado. Nel caso in cui venga
appellata una sentenza del giudice di primo grado che ha accertato cause di
inesistenza o di irregolarità di un presupposto processuale, e conseguentemente
ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, la mera riproposizione dei motivi
di primo grado senza specifiche censure rivolte all'autonoma pronuncia di
inammissibilità non costituisce impugnazione della parte della sentenza in
questione e non impedisce la formazione del giudicato sul punto (cfr. Cons St.,
Ad. plen. 22 gennaio 1997, n. 3). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio
2003, sentenza n. 4043
Giudizio di appello, che non è un iudicium novum - la cognizione del
giudice - nullità dell'atto di appello caratterizzato dalla genericità dei
motivi di impugnazione. Nel giudizio di appello - che non è un iudicium
novum (in termini da ultimo, Cons. St., sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6311; sez.
IV, 17 febbraio 2000, n. 911; sez. IV, 2 giugno 1999, n. 963) - la cognizione
del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso
l'enunciazione di specifici motivi; tale specificità dei motivi esige che, alle
argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle
dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico - giuridico delle
prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle
argomentazioni che le sorreggono; ragion per cui, alla parte volitiva
dell'appello deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e
contrasti le ragioni addotte dal primo giudice; pertanto, non si rivela
sufficiente il fatto che l'atto di appello consenta di individuare le
statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la
sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua intierezza, che le ragioni
sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di
specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata
(cfr. in termini sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6311; sez. IV, 17 febbraio 2000,
n. 911; Cass. civ. sez. I, 21 febbraio 1997, n. 1599; C.d.S. sez. V, 12 giugno
1997, n. 628; sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1102; 21 ottobre 1997, n. 1162; sez. V,
22 giugno 1996, n. 783; sez. IV, 13 novembre 1995, n. 932; Cons. giust. amm. 14
ottobre 1997, n. 425; nel senso della nullità dell'atto di appello
caratterizzato dalla genericità dei motivi di impugnazione che non consentano di
individuare le ragioni addotte dal primo giudice a fondamento della decisione,
Cass., sez. un. civ., 20 settembre 1993, n. 9628). Consiglio di Stato,
Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4043
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia
urbanistica ed edilizia - provvedimenti di rilascio o diniego della
concessione edilizia - determinazione o liquidazione del contributo di
concessione e delle sanzioni. La giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo deve ritenersi comunque sussistente in materia sulla base
dell’art. 7 L. 21.7.2000 n. 205, che nel sostituire l’art. 34 del D. L.vo
31.3.1998 n.80, gli ha espressamente devoluto “le controversie aventi per
oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni
pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed
edilizia”. In specie, la controversia non rientra nell’art. 16 L. 8.1.1997 n.
10, il quale ha previsto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
avverso i provvedimenti di rilascio o diniego della concessione edilizia, e la
determinazione o liquidazione del contributo di concessione e delle sanzioni
di cui ai successivi artt. 15 e 18. Né può escludersi l’applicabilità delle
nuove disposizioni in materia di giurisdizione di cui all’art. 7 L. n.
205/2000 per il fatto che la controversia risale all’anno 1994, atteso che il
principio di cui all’art. 5 c.p.c. (secondo cui la giurisdizione si determina
in base alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della
proposizione della domanda, con irrilevanza dei successivi mutamenti), trova
applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza di giurisdizione del
giudice originariamente adito ma non anche allorchè il mutamento dello stato
di diritto o di fatto viene a comportare l’attribuzione della giurisdizione al
giudice che ne era privo inizialmente (V. Cass. S.U. n.15885 del 12.11.2002).
Con la conseguenza che in quest’ultima ipotesi (come nel caso in esame)
evidenti ragioni di economia processuale impediscono al giudice, in mancanza
di norme transitorie specifiche, di declinare la giurisdizione, che viene ad
essere convalidata dalla normativa sopravvenuta nel corso del giudizio (V. la
decisione di questa Sezione n. 4236 del 6.8.2001). Conforme: Consiglio
di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenze nn. 3982 - 3981. Consiglio
di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3983
Le norme in materia di partecipazione al procedimento - la comunicazione di avvio del procedimento - l'omissione della comunicazione - effetti sul provvedimento finale. Costituisce principio ormai acquisito che le norme in materia di partecipazione al procedimento non debbono essere applicate meccanicamente e a fini meramente strumentali, ma solo quando la comunicazione di avvio del procedimento apporti una qualche utilità all'azione amministrativa, coerentemente alla funzione di arricchimento sul piano del merito e della legittimità che possa derivare dalla partecipazione del destinatario del provvedimento; pertanto, l'omissione della comunicazione predetta non vizia l'atto conclusivo tutte le volte che la partecipazione dell’interessato non avrebbe potuto, comunque, apportare elementi di valutazione eventualmente idonei ad incidere, in termini a lui favorevoli, sul provvedimento finale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 marzo 2003 n. 1357; id., 23 aprile 1998 n. 474; Cass. civ., SS.UU., 1 aprile 2000 n. 82). Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3969
Il compenso al commissario ad acta - determinazione. Il compenso al commissario ad acta può essere determinato sulla base di quanto espresso dal D.P.R. 1988 n. 352 in favore dei periti e consulenti tecnici, applicabile nel giudizio amministrativo in via analogica (C.d.S., sez. IV, 30 maggio 2001, n. 2957; sez. VI, 1° ottobre 1999 n. 1297), tenuto conto della peculiarità delle funzioni svolte, della specifica attività svolta e dell’impegno profuso, nonché dei titoli professionali e del risultato prodotto (C.d.S., sez. V, or. N. 226 del 10 marzo 1999). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3926
Competenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale del Lazio -
provvedimenti adottati da organi centrali dello Stato. La giurisprudenza
di questo Consiglio è ferma nel ritenere che appartengono alla competenza
territoriale del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in
Roma, i ricorsi con i quali vengono impugnati provvedimenti adottati da organi
centrali dello Stato, destinati ad avere effetto in ambito territoriale
ultraregionale o in ambito nazionale e, quindi, non limitato alla
circoscrizione di un Tribunale amministrativo (cfr., fra le tante, A.P., 1
giugno 2000 n. 14; IV Sez., 11 ottobre 2001 n. 5354; VI Sez., 1 marzo 2001 n.
1124 e 3 giugno 2002 n. 3102; C.G.A.R.S. 12 aprile 2002 n. 192). Consiglio
di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3919
Il giudizio di ottemperanza per le decisioni della Corte dei Conti -
proposizione - principio di unità ed esclusività della giurisdizione contabile
e pensionistica. Per effetto della disposizione introdotta dall’art. 10
comma 2 della L. 21 luglio 2000 n. 205, il giudizio di ottemperanza per le
decisioni della Corte dei Conti deve essere ormai proposto dinanzi allo stesso
giudice contabile che ha emesso la sentenza della cui ottemperanza si discute,
(cfr. Cons. Stato, IV Sez., 3 aprile 2001 n. 1949 e 7 novembre 2002 n. 6051;
VI Sez., 30 gennaio 2002 n. 539), in ragione di una interpretazione estensiva
della disposizione medesima, quale espressione di una volontà normativa intesa
all’attuazione del principio di unità ed esclusività della giurisdizione
contabile e pensionistica, con assegnazione allo stesso giudice della fase
ulteriore della concreta ed effettiva attribuzione alla sfera giuridica della
parte vittoriosa del bene della vita sul quale si è incentrata la fase
cognitoria. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3918
La dichiarazione fatta in udienza dal difensore degli appellanti - la
sopravvenuta carenza di interesse - improcedibilità dell’appello. La
dichiarazione fatta in udienza dal difensore degli appellanti circa la
sopravvenuta carenza di interesse dei suoi assistiti alla decisione
dell’appello comporta la improcedibilità dell’appello, non potendo in tal caso
- in omaggio al principio dispositivo - il giudice decidere la controversia
nel merito. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3904
Ammissibilità del ricorso in appello che non tenda alla integrale
caducazione della sentenza di annullamento di primo grado - la modificazione
di singoli punti o dell’intera motivazione. Va, fatta puntuale
applicazione del principio in base al quale è ammissibile il ricorso in
appello che non tenda alla integrale caducazione della sentenza di
annullamento di primo grado, ma si limiti a richiedere la modificazione di
singoli punti o dell’intera motivazione, allorché questi siano suscettibili di
indirizzare in un senso anziché nell'altro la susseguente attività
amministrativa (cfr. in termini, Sez. V°, n. 5319 dell’8 ottobre 2002).
Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3903
La dichiarazione di rinuncia all’appello - fattispecie estintiva del
giudizio. La rituale dichiarazione di rinuncia all’appello è una
fattispecie estintiva del giudizio ai sensi dell’art. 36 del R.D. 17 agosto
1907 n. 642, di cui il giudice non può che prendere atto. Consiglio di
Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3900
La sospensione del giudizio disciplinata dall’art. 295 c.p.c. trova logica
applicazione anche nel caso di pendenza di controversia promossa con ricorso
straordinario al Capo dello Stato avente contenuto pregiudiziale. La
sospensione del giudizio disciplinata dall’art. 295 c.p.c., in quanto
espressione dell’esigenza di ordine generale di ovviare a possibili contrasti
fra giudicati - e in tale senso immanente nel sistema della giustizia
amministrativa comprensivo del rimedio del ricorso straordinario - trova
logica applicazione anche nel caso di pendenza di controversia promossa con
ricorso straordinario al Capo dello Stato avente contenuto pregiudiziale,
atteso il carattere definitorio della controversia stessa, del relativo
provvedimento giustiziale, insuscettibile di annullamento, revoca o riforma da
parte dell’amministrazione interessata (cfr. ex plurimis sez. V, 13 aprile
1999, n. 406; sez. V, 17 marzo 1998, n. 301; sez. VI, 13 febbraio 1991, n.
92). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896
(vedi:
sentenza per esteso)
Estinzione del giudizio introdotto con il ricorso di primo grado - rinunzia. La ritualità della rinunzia ai sensi dell’art. 46 r.d. n. 642 del 1907, deve dichiararsi l’avvenuta estinzione del giudizio introdotto con il ricorso di primo grado (cfr. in termini Cons. Stato, sez. IV, 30 aprile 1998, n. 709; sez. VI, n. 136 del 1986). La sentenza impugnata deve essere annullata, in quanto la declaratoria di estinzione del giudizio in fase di gravame una volta venuto meno ogni interesse alla decisione, non può tradursi in una mera pronuncia di inammissibilità o improcedibilità della impugnazione, che avrebbe l’effetto di eliminare quest’ultima ma non anche il provvedimento giurisdizionale impugnato: il quale lungi dal restarne travolto, ne risulterebbe, anzi confermato (cfr. da ultimo C.d.S. sez. IV, 29 gennaio 1999, n. 84; 17 dicembre 1998, n. 1516; 30 aprile 1988, n. 709; Cass. sez. I, civile, 9 aprile 1997, n. 3075). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30 giugno 2003, sentenza n. 3895
L’attività notarile - nozione - mancanza di legittimazione attiva del Codacons avverso i rogiti. L’attività notarile, inoltre, contrariamente a quella svolta da altri professionisti, ha inoltre, come connotazione tipica essenziale ed esclusiva, quella di dare certezza legale alle transazioni e agli atti unilaterali. L’articolo 1 della legge 16 febbraio 1993, n. 89 definisce i notai “pubblici ufficiali istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro fede pubblica, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti”. Tale funzione, che ricorre per altre professioni solo marginalmente (avvocati, ingegneri, etc.) costituisce la ragione stessa dell’esistenza della professione notarile che, sotto tale profilo non è pertanto paragonabile alle altre. Il notaio effettivamente non eroga un servizio, ma certifica i negozi giuridici e in tale opera garantisce il rispetto delle normative di settore, così svolgendo una funzione rispetto alla quale i cittadini non possono essere definiti né consumatori, né utenti. Il Codacons non ha tra le sue finalità i rapporti tra i cittadini e le libere professioni, improntati alla caratteristica della personalizzazione della prestazione, anche se il valore delle prestazioni è individuato da tariffe generali. Inoltre si deve escludere che il Codacons possa agire in giudizio, quale associazione di promozione sociale, a tutela esclusiva di interessi economici perché ciò comporterebbe una distorsione delle finalità della legge 383/2000, volta a valorizzare le associazioni che promuovono “attività di utilità sociale” con esclusione di quelle che hanno come finalità la tutela esclusiva degli interessi economici degli associati, con ciò implicitamente escludendo che la tutela giurisdizionale ad esse accordata possa riguardare esclusivamente interessi economici, anche se le loro finalità statutarie sono più vaste. La mancanza di legittimazione attiva del Codacons si riverbera naturalmente anche sulle richieste istruttorie di acquisizione e di accesso a documentazione relativa al giudizio, che non può trovare accoglimento. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30 giugno 2003, sentenza n. 3876
La riproposizione dei motivi dichiarati assorbiti o comunque non esaminati dalla sentenza di primo grado mediante semplice memoria difensiva va tenuta distinta dall’appello incidentale in senso stretto - l’accertamento di un vizio di legittimità del provvedimento impugnato diverso da quello individuato dal giudice di primo grado. La riproposizione dei motivi dichiarati assorbiti o comunque non esaminati dalla sentenza di primo grado può avvenire in appello mediante semplice memoria difensiva, non soggetta, quindi, alle forme ed ai términi dell’appello incidentale in senso stretto, il quale tende alla riforma di un capo esplicitamente sfavorevole della decisione; ciò atteso che, anche se concettualmente anche tale riproposizione configura una ipotesi di appello incidentale, tuttavia essa va tenuta distinta dall’appello incidentale in senso stretto, a nulla rilevando la circostanza che l’eventuale accoglimento delle censure così riproposte nel giudizio di secondo grado, determinando l’accertamento di un vizio di legittimità del provvedimento impugnato diverso da quello individuato dal giudice di primo grado, possa comportare una modifica, più o meno marcata, del contenuto precettivo della sentenza appellata (cfr. Cons. St., IV, 20 ottobre 1992, n. 904 e V, 26maggio 1997, n. 567). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 24 giugno 2003, sentenza n. 3818
La immediata definizione del merito dell’appello - presupposti - la
completezza del contraddittorio - attività istruttoria - valutazione
discrezionale del giudice amministrativo. Sussistono i presupposti per la
immediata definizione del merito dell’appello, stante la completezza del
contraddittorio e non essendovi necessità di ulteriore attività istruttoria,
non ostando a tanto la mancata presenza della sola parte costituita (e
appellante): sul punto è opportuno rilevare che è rimessa all’esclusiva
valutazione discrezionale del giudice amministrativo nel superiore interesse
alla sollecita definizione dei processi una tale scelta, laddove la tutela
dell’interesse (eventualmente contrario) delle parti è sufficientemente
tutelato con la possibilità che esse siano sentite, se presenti (C.d.S., sez.
V, 30 dicembre 2002, n. 8252; 20 febbraio 2002, n. 1033). Consiglio di
Stato, Sezione IV, - 24 giugno 2003, sentenza n. 3813
La decisione del Tribunale amministrativo resa in sede di giudizio di ottemperanza - le misure esecutive della pronunzia giurisdizionale passata in giudicato - atto amministrativo - misura attuativa - regime di impugnativa. Quando la decisione del Tribunale amministrativo, (Cons. Stato, A.P., 10 gennaio 1980, n. 2), resa in sede di giudizio di ottemperanza, si limita ad indicare meramente le misure esecutive della pronunzia giurisdizionale passata in giudicato e della quale si reclama l’esecuzione, essa, pur formalmente qualificata come sentenza, va sostanzialmente assimilata ad un atto amministrativo, sostituendosi il giudice all’Amministrazione, con assoggettamento della misura attuativa (intrapresa o comunque pretesa) al regime di impugnativa proprio degli atti amministrativi, mentre, al contrario, ove la pronunzia del primo giudice non abbia una valenza meramente esecutiva, essa, rivestendo un carattere decisorio ed in toto giurisdizionale, è appellabile conformemente ai principi generali. (cfr. Cons. Stato, V, 24 maggio 2002, n. 2856; 18 giugno 2001, n. 3215 e 13 dicembre 1999, n. 2106; IV, 30 settembre 2002, n.4979; VI, 29 marzo 2001, n. 1871; 10 luglio 2002, n. 3838; 22 ottobre 2002, n. 5796 e, da ultimo, 31 gennaio 2003, n. 485). Consiglio di Stato Sez. V, - 23 giugno 2003, sentenza n. 3719
Fonti del diritto - la successione di leggi penali - applicabilità dell'art. 2, terzo comma, cod. pen. - criteri - condizioni - limiti. In tema di successione di leggi penali, perchè sia applicabile la regola del terzo comma dell'art. 2 cod. pen., occorre che il fatto costituente reato secondo la legge precedente sia tuttora punibile secondo la nuova legge, mentre non sono più punibili i fatti commessi in precedenza e rimasti fuori del perimetro della nuova fattispecie. Tale situazione va verificata in base al criterio di coincidenza strutturale tra le fattispecie previste dalle leggi succedutesi nel tempo, senza che sia necessario, di regola, fare ricorso ai criteri valutativi del bene tutelato o delle modalità di offesa. L'art. 2 cod. pen. infatti, pone, nei commi che lo costituiscono, una sequenza di regole tra loro collegate in modo che si chiariscono a vicenda: perchè operi la regola del terzo comma deve essere esclusa l'applicabilità del primo e del secondo comma. Ne consegue che un fatto è punibile se, astrattamente considerato e sulla base dei criteri enunciati, rientra nell'ambito normativo di disposizioni che si sono succedute nel tempo e, quando ciò accade e nei limiti in cui accade, non opera l'effetto abolitivo della disposizione successiva. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, del 16.6.2003 Sentenza n. 7
Legge penale - successione di
leggi - norma generale sostituita da norma speciale - fatto commesso nella
vigenza della norma generale - punibilità - condizioni - limiti. In tema di
successione di leggi penali nel tempo, la punibilità di un fatto commesso nel
vigore di una norma generale, che sia stata sostituita da una norma speciale,
non costituisce applicazione retroattiva di questa, ma piuttosto ne esclude
l'efficacia abolitrice per la porzione della fattispecie prevista dalla norma
generale che coincide con quella della norma successiva, salvo che il
legislatore con la medesima legge speciale stabilisca, in deroga alla
disposizione dell'art. 2, terzo comma, cod. pen., la punibilità dei reati in
precedenza commessi. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, del 16.6.2003
Sentenza n. 7
I motivi su cui si fonda il ricorso amministrativo - la esposizione sommaria dei fatti - la indicazione degli articoli di legge o di Regolamento che si ritengono violati e le conclusioni - la funzione dei motivi - la giurisprudenza - una violazione di legge di un determinato provvedimento amministrativo non può dedursi in sede di ricorso giurisdizionale con una semplice memoria - notificazione del ricorso introduttivo - atto contenente motivi aggiuntivi - la mancata illustrazione dei motivi di ricorso con successiva memoria non equivale ad abbandono dei motivi stessi. Secondo l’art. 6 del Reg. di procedura (R.D. n. 624/1907) <<Il ricorso […] deve contenere: […] 3) la esposizione sommaria dei fatti, i motivi su cui si fonda il ricorso, con la indicazione degli articoli di legge o di Regolamento che si ritengono violati e le conclusioni>>: la funzione dei motivi, che vincolano il giudice alla pronuncia esclusivamente su di essi, è, pertanto, quella di definire con precisione le censure rivolte all’atto gravato sì da delimitare l’oggetto del giudizio. Alla luce delle superiori considerazioni la giurisprudenza ha chiarito che nel giudizio amministrativo, in sede di memoria difensiva, è possibile solo illustrare una censura già avanzata in modo definitivo col ricorso o con i motivi aggiunti, mentre è inammissibile dare una diversa formulazione ai motivi di ricorso o dare per la prima volta concretezza ad un motivo di gravame genericamente preannunciato in sede di impugnazione, o addirittura, avanzato nella memoria per la prima volta (Cons. Stato, Sez. IV, 11/02/1992, n. 192). E' stato così correttamente sostenuto che una violazione di legge di un determinato provvedimento amministrativo non può dedursi in sede di ricorso giurisdizionale con una semplice memoria, necessitando di essere proposta, successivamente alla notificazione del ricorso introduttivo, con apposito atto contenente motivi aggiuntivi; infatti, si può prescindere dalla necessità di articolare un motivo aggiunto solo se sia già risultato dal ricorso originario, in maniera chiara ed in tutte le sue implicazioni, il vizio che si è inteso dedurre (Cons. Stato, Sez.VI, 25/11/1994, n. 1704). La regola in esame (valevole anche nel giudizio elettorale: Cons. Stato, Sez.V, 18/06/2001, n. 3212) è confermata, per così dire, in negativo, dall’orientamento secondo cui nel processo amministrativo, la mancata illustrazione dei motivi di ricorso con successiva memoria non equivale ad abbandono dei motivi stessi, non avendo il ricorrente l'onere di riproporre tutti i motivi nei successivi scritti difensivi (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez.V, 07/11/1990, n. 760): tale assunto si basa sull’ovvio presupposto che il ricorrente abbia assolto l’onere di specificare, in modo chiaro ed inequivoco, nel ricorso introduttivo (o nei successivi atti, ma nel rispetto delle condizioni anzidette) tutte le doglianze che intende rivolgere all’atto gravato. Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3381
Acquiescenza di un provvedimento
amministrativo. Si ha acquiescenza ad un provvedimento amministrativo nel
caso in cui ci si trovi in presenza di comportamenti univoci posti liberamente
in essere, che dimostrino la chiara volontà dell’interessato di accettarne gli
effetti (Cons. St., Sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5443). Consiglio di Stato
Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3360
L'appello proposto contro diverse sentenze di analogo contenuto e pronunciate nei confronti della stessa amministrazione resistente - inammissibilità. E’ inammissibile l'appello proposto contro diverse sentenze, ancorché di analogo contenuto e pronunciate nei confronti della stessa amministrazione resistente, le quali abbiano definito in primo grado ricorsi che avevano avuto trattazione distinta in separati processi, poiché altrimenti si consentirebbe alla parte di esercitare un potere che l'ordinamento processuale attribuisce unicamente al giudice. (Consiglio Stato sez. VI, 26 maggio 1999, n. 685). Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3359
Ricorso in appello - è
inammissibile il motivo d’appello che si limita alla mera riproposizione delle
doglianze proposte in primo grado. La giurisprudenza è ormai da tempo
orientata nel ritenere che è inammissibile il motivo d’appello che si limita
alla mera riproposizione delle doglianze proposte in primo grado, senza svolgere
alcuna censura alla sentenza appellata (Consiglio di Stato Sez. V, 9.12.00 n.
6539; Sez. V, 29.07.00 n. 4208), o che si limiti a riprodurre testualmente le
doglianza articolate in primo grado e specificamente disattese dall’impugnata
sentenza (Consiglio di Stato Sez. IV, 21.11.01 n. 5906). Consiglio di Stato
Sez. V, del 13 giugno 2003, sentenza n. 3337
L’ambito territoriale di efficacia di un provvedimento amministrativo - la competenza del Tribunale amministrativo. L’ambito territoriale di efficacia di un provvedimento amministrativo va individuato con riferimento agli effetti che lo stesso produce nell’ambito del territorio dello Stato, e la competenza del Tribunale amministrativo va stabilita in relazione appunto a tale ambito, anche se con il singolo gravame viene impugnata la sola parte lesiva dell'interesse del ricorrente (Cons. St., Sez. VI, 23.3.1998, n. 363; 20 gennaio 1998, n. 113; Sez. IV, 14.2.2001, n. 891). Consiglio di Stato, Sezione IV - 12 giugno 2003 - sentenza n. 3328
La declaratoria dell’improcedibilità
del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse - accertamento dell’inutilità
della sentenza. La declaratoria dell’improcedibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza di interesse postula un univoco accertamento dell’inutilità
della sentenza (V, 6 febbraio 2003 n. 632; IV, 6 ottobre 2001 n. 5296). “Tale
verifica, a sua volta, esige che la presupposta, rigorosa indagine circa
l’utilità conseguibile per effetto della definizione del ricorso conduca al
sicuro convincimento che la modificazione della situazione di fatto o di diritto
intervenuta in corso di causa impedisce di riconoscere in capo al ricorrente
alcun interesse, anche meramente strumentale o morale, alla decisione” (V, n.
632 del 2003, citata; v. pure IV, 1° agosto 2001 n. 4206). Consiglio di
Stato, Sezione IV - 12 giugno 2003 - sentenza n. 3318
La sopravvenienza in appello di un provvedimento diverso da quello impugnato
in primo grado - orientamenti del Consiglio di Stato. L’orientamento di
questo Consiglio di Stato non appare univoco. Secondo un primo indirizzo, la
sopravvenienza in appello di un provvedimento diverso da quello impugnato in
primo grado determina comunque la carenza di interesse all’originaria
impugnazione e quindi la necessità di dichiarare improcedibile il ricorso di
primo grado e annullare la sentenza (vedi, ex multis: V, 7 marzo 2001 n. 1334;
IV, 31 marzo 1998 n. 709). Secondo un altro indirizzo, invece, la sopravvenuta
carenza di interesse in appello determina la semplice improcedibilità
dell’appello, con la conseguenza che la sentenza di annullamento non viene
toccata dalla relativa pronuncia (vedi, tra le altre: IV, 17 gennaio 2002 n.
248; IV, 29 ottobre 1987 n. 641). Consiglio di Stato, Sezione IV - 12 giugno
2003 - sentenza n. 3318
Giudizio cautelare -
notificazione del ricorso introduttivo e della domanda cautelare - poteri del
giudice - in caso di mancata costituzione delle parti intimate o di mancata
presenza delle parti costituite alla camera di consiglio - presupposto -
conseguenze. Assodata la ritualità della notificazione del ricorso
introduttivo e della domanda cautelare (contestuale o successiva), la mancata
costituzione delle parti intimate o la mancata presenza delle parti costituite
alla camera di consiglio, in alcun modo puo' paralizzare l'esercizio della
potestà processuale del giudice di definire, nel merito, l'incidente cautelare a
mente degli artt. 3 e 9, l. n. 205 del 2000. Consiglio di Stato, Sez. IV, del
12.6.2003, Sent. n. 3312
Giudizio amministrativo - appello - sentenza tar - artt. 3 e 9 l. n. 205 del
2000 - annullamento con rinvio - presupposti. Va annullata con rinvio la
sentenza emessa dal giudice di primo grado, a mente degli artt. 3 e 9, l. n. 205
del 2000, qualora sul punto non siano state sentite le parti costituite e
presenti secondo le risultanze del verbale di udienza. Consiglio di Stato,
Sez. IV, del 12.6.2003, Sentenza n. 3312
Giudizio amministrativo - sentenza in forma semplificata - artt. 3 e 9 l. n.
205 del 2000 - emanazione anteriore alla data di scadenza dei termini per la
proposizione del ricorso incidentale - conseguenze. Nel caso in cui il T.A.R.,
ai sensi degli artt. 3 e 9, l. n. 205 del 2000, abbia definito un giudizio in
camera di consiglio con sentenza in forma semplificata in data anteriore a
quella della scadenza dei termini per la proposizione del ricorso incidentale,
deve ammettersi la possibilità che i motivi di ricorso incidentale, che non sia
stato possibile far valere in primo grado, si convertano in motivi di appello
contro la sentenza. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 12.6.2003, Sentenza n.
3312
Giudizio amministrativo - appello - sentenza in forma semplificata -
annullamento con rinvio al giudice di primo grado - fattispecie. Costituisce
vizio di procedura, che comporta l'annullamento della sentenza con rinvio al
primo giudice, solamente l'ipotesi in cui, in presenza di una formale richiesta
di termini a difesa per proporre motivi aggiunti, il giudice pronunci comunque
sentenza in forma semplificata. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 12.6.2003,
Sentenza n. 3312
Giudizio amministrativo - sentenza in forma semplificata - a seguito di
istanza cautelare - termini ex art. 22, comma 1, l. n. 1034 del 1971 -
osservanza - non occorre. Il giudice amministrativo, per pronunciare la
sentenza in forma abbreviata che definisce nel merito l'incidente cautelare a
mente degli artt. 3 e 9 l. n. 205 del 2000, non deve attendere che siano
consumati i termini per la costituzione delle parti sanciti dall'art. 22, comma
1, l. n. 1034 del 1971. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 12.6.2003, Sentenza
n. 3312
La concreta individuazione dei casi di sopravvenuta carenza d’interesse - la
declaratoria di improcedibilità del ricorso - criteri - effetti conformativi e/o
ripristinatori della sentenza. La concreta individuazione dei casi di
sopravvenuta carenza d’interesse, precludendo l’esame del merito della
controversia, deve essere condotta con criteri particolarmente rigorosi,
evitando così che la relativa declaratoria di improcedibilità del ricorso si
traduca in un sostanziale diniego di giustizia, e tenendo conto che l’interesse
residuo alla pronuncia del merito deve essere inteso in senso assai ampio, in
relazione non solo agli effetti conformativi e/o ripristinatori della sentenza,
ma anche alle (accennate) possibili ulteriori iniziative attivate o attivabili
dal ricorrente per ottenere la soddisfazione delle di lui pretese (Cons. Stato,
V, 3 ottobre 1997 n. 1089; IV, 13 settembre 2001, n. 4807). Consiglio di
Stato, Sezione V - 11 giugno 2003 - sentenza n. 3301
Atti di esclusione - la presenza di controinteressati - opposizione di terzo
nel caso di sopravvenuto diritto autonomo - incompatibilità. E’ notorio che
in ordine agli atti di esclusione è ex se inconfigurabile la presenza di
controinteressati, tanto più che, come rammenta lo stesso Comune eccepente, la
pretesa impresa controinteressata, pur essendo rimasta unica in gara, non è
assurta al ruolo di formale aggiudicataria per i motivi sopraindicati; motivi
peraltro contenuti nello stesso provvedimento dirigenziale in contestazione,
relativamente al quale dunque, semmai, la Serist era titolare di un autonomo
interesse all’impugnativa, non certo di un “controinteresse” volto alla sua
conservazione. Resta, inoltre, impregiudicata la possibilità di proporre
opposizione di terzo nel caso di sopravvenuto diritto autonomo e incompatibile
con la posizione risultata vittoriosa nell’attuale giudizio (cfr. Cons. Stato,
IV, 17 ottobre 2000, n 5514). Consiglio di Stato, Sezione V - 11 giugno 2003
- sentenza n. 3301
L’eccezione di difetto di contraddittorio - infondatezza nel merito
dell’intero gravame - necessità di riproporre con appello incidentale.
L’eccezione di difetto di contraddittorio, consapevolmente ignorata dal TAR alla
stregua della ritenuta infondatezza nel merito dell’intero gravame (la necessità
di riproporre con appello incidentale, da parte dell’appellato resistente,
risultato totalmente vittorioso nel merito in prime cure, le eccezioni di
inammissibilità del ricorso introduttivo va limitata, peraltro, a quelle
espressamente disattese - e non quindi a quelle meramente accantonate - in primo
grado: cfr., in tema, Cons. Stato, VI, 30 settembre 1998, n. 1326, 2 novembre
1998, n. 1485 e 26 luglio 2001, n. 4116), è pertanto in ogni caso infondata.
Consiglio di Stato, Sezione V - 11 giugno 2003 - sentenza n. 3301
La eccezione di inammissibilità in sede di azione revocatoria - appello
incidentale. Sono inammissibili, in sede di azione revocatoria, le censure
dirette a contestare profili della sentenza appellata non specificamente dedotti
come causa di revocazione. Le eccezioni in rito, infatti, possono essere
sollevate per la prima volta anche in appello, in quanto solo le domande nuove
ampliano, contro il divieto dello ius novorum, il thema decidendum, non le nuove
eccezioni che ne precisano solo i limiti e i contenuti (Cfr: V, 19.3.2001, n.
1629). La eccezione di inammissibilità del ricorso originario, come si è
rilevato, è stata sollevata per la prima volta in appello. Non doveva essere
proposta con appello incidentale, ma poteva essere opposta anche solo nelle
controdeduzioni della parte appellata. L’appello incidentale, infatti, è dato
invece alla parte appellata per riproporre, in grado di appello, questioni, di
rito o di merito, sulle quali si è già pronunciato il giudice di primo grado.
Consiglio di Stato, Sezione V - 11 giugno 2003 - sentenza n. 3299
Cassazione - ricorso per violazione di legge - mancanza o mera apparenza della motivazione - deducibilità - fondamento - impugnazioni (cod. proc. pen. 1988) - l'obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali - fattispecie in tema di ricorso ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, compenso a difensore di imputato ammesso al patrocinio dei non abbienti. Qualora il ricorso per cassazione sia ammesso esclusivamente per violazione di legge, è comunque deducibile la mancanza o la mera apparenza della motivazione, atteso che in tal caso si prospetta la violazione della norma che impone l'obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso con il quale si denunciava la sostanziale inesistenza della motivazione di un'ordinanza di liquidazione del compenso a difensore di imputato ammesso al patrocinio dei non abbienti). Corte di Cassazione, Sez. Unite. del 10.6.2003 Sent. n. 12
Patrocinio dei non abbienti - compenso al difensore - ordinanza che decide sul reclamo avverso il decreto di liquidazione - ricorso per cassazione - ammissibilità. In tema di patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato, i provvedimenti emessi dal Tribunale o dalla Corte d'appello in sede di reclamo avverso il decreto di liquidazione del compenso al difensore sono ricorribili per cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, in quanto, pur non essendo formalmente qualificati come sentenze, hanno carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su diritti soggettivi. Corte di Cassazione, Sezione Unite, del 10.6.2003, Sentenza n. 12
Decorrenza del termine per l'impugnazione di un atto innanzi al giudice amministrativo - la piena conoscenza - integrale cognizione dell'atto in relazione a tutte le sue molteplici componenti - atti indispensabili al fine di valutare la legittimità del provvedimento consegnati dalla pubblica amministrazione solo dopo la scadenza del termine per l’impugnazione - legittimità a ricorrere. Ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione di un atto innanzi al giudice amministrativo, la piena conoscenza si consegue solo con l'integrale cognizione dell'atto stesso in relazione a tutte le sue molteplici componenti (cfr. ad esempio Cons. Stato, Sez.V, 14/04/2000, n.2228). Pertanto, in difetto di puntuale dimostrazione del contrario, non si ha tale piena conoscenza in capo al destinatario del provvedimento che abbia tempestivamente chiesto gli atti indispensabili al fine di valutare la legittimità del provvedimento e questi siano stati consegnati dalla pubblica amministrazione solo dopo la scadenza del termine per l’impugnazione. Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3247
I vizi del provvedimento impugnato rilevati dal giudice amministrativo indipendentemente dall'indicazione, o dalla errata indicazione, delle norme di legge sulle quali essi si fondano. Il giudice amministrativo ben può individuare i vizi del provvedimento impugnato dedotti dal ricorrente, allorché siano desumibili chiaramente, indipendentemente dall'indicazione, o dalla errata indicazione, delle norme di legge sulle quali essi si fondano. (Consiglio Stato sez. IV 20 ottobre 1992 n. 910). Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3242
La qualità di controinteressato -
individuazione - proposizione del ricorso (c.d. elemento sostanziale) e (c.d.
elemento formale) - interesse giuridicamente qualificato. La qualità di
controinteressato va individuata non in rapporto ad esigenze processuali, bensì
in seguito al riconoscimento della titolarità di un interesse analogo e
contrario a quello che legittima la proposizione del ricorso (c.d. elemento
sostanziale) ed alla circostanza che il provvedimento impugnato riguardi
nominativamente un soggetto determinato, esplicitamente menzionato, o comunque
agevolmente individuabile (c.d. elemento formale), il quale abbia un interesse
giuridicamente qualificato alla conservazione del provvedimento stesso. (cfr.,
per tutte, C.d.S., A.P., 21 giugno 1996, n. 9) Consiglio di Stato Sez. VI, -
6 giugno 2003, sentenza n. 3187
Provvedimento meramente confermativo - nozione - nuova situazione di diritto
o di fatto. Non può ritenersi meramente confermativo un provvedimento che,
pur avendo il medesimo contenuto di altro precedente, risulti adottato a seguito
del verificarsi di una nuova situazione di diritto o di fatto, od anche di un
riesame dei presupposti già considerati (cfr., di recente, questa Sezione, 29
luglio 2002, n. 4063). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza
n. 3187
Ermeneutica sull’ammissibilità dell’impugnazione dei provvedimenti
sopravvenuti - il ricorso autonomo e la forma dei motivi aggiunti - speditezza
del procedimento e dei conseguenti costi processuali - processo simultaneo con
riunione di azioni connesse ed ampliamento dell’ambito originario della
controversia. La novella legislativa di cui all’art. 1, comma 1, della legge
21 luglio 2000, n. 205, prendendo probabilmente spunto dall’orientamento più
aperto e avveduto, anche se non maggioritario, della giurisprudenza, che
propendeva per l’ammissibilità dell’impugnazione dei provvedimenti sopravvenuti,
purchè collegati al provvedimento impugnato originariamente, con conseguente
possibilità per l’interessato di scegliere tra il ricorso autonomo e la forma
dei motivi aggiunti ed un indubbio vantaggio sotto il profilo della speditezza
del procedimento e dei conseguenti costi processuali (C.d.S., Sez. V, 23 marzo
1993, n. 398; C.G.A.R.S., 26 febbraio 1987, n. 61 e 4 novembre 1995, n. 343),
innovando ha concesso definitivamente l’imprimatur all’idea di un processo
simultaneo con riunione di azioni connesse ed ampliamento dell’ambito originario
della controversia (così C.d.S., Sez. V, 6 luglio 2002, n. 3717). Difficoltà
ermeneutiche suscita, peraltro, la summenzionata disposizione legislativa nella
parte in cui, consentendo l’impugnazione mediante proposizione di motivi
aggiunti avverso i connessi provvedimenti sopravvenuti, richiede che tali
provvedimenti interessino le stesse parti (“in pendenza del ricorso tra le
stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso”). Nel pronunciarsi su
tale questione (sentenza 22 ottobre 2002, n. 5813), questa Sezione ha espresso
l’avviso che la formula legislativa vada interpretata nel senso che devono
sussistere profili di connessione tra i provvedimenti, inerendo gli stessi alla
medesima vicenda procedimentale, e che l’identità di parti, per quel che
riguarda la parte pubblica, vada intesa in senso lato, dovendosi ritenere la
“stessa parte pubblica” come comprensiva di tutte le Pubbliche amministrazioni,
ancorché soggettivamente distinte, che intervengono nella stessa vicenda
procedimentale per la cura del medesimo interesse pubblico o di interessi
pubblici conessi perché inerenti al medesimo bene della vita appetito dalla
parte privata. Ad avviso del Collegio, la riferita soluzione ermeneutica può
essere adottata, ove ricorrano gli stessi presupposti, in relazione ai
controinteressati, e siffatta soluzione appare tanto più idonea nelle ipotesi in
cui, come nella fattispecie in esame, la posizione del nuovo controinteressato
trae origine, per un fenomeno di successione particolare nel rapporto giuridico,
da quella del controinteressato convenuto originariamente in giudizio. Né
potrebbe opporsi che in tal modo vi sarebbe il rischio di comprimere il diritto
di difesa che spetta a tali soggetti, in quanto è ben possibile che gli stessi,
in relazione alle attività già svolte in loro assenza, assumano un ruolo di
contestazione piena, in maniera da non venire pregiudicati nei loro interessi,
in analogia a quello che si verifica nel processo civile per gli interventori
litisconsortili. Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza n.
3187
Giudizio di appello - la deduzione di nuovi motivi di doglianza - limiti - il divieto di proposizione di motivi nuovi nel processo amministrativo. Nel giudizio di appello è consentito all’originario ricorrente, soccombente nel primo grado, un aggiustamento della posizione difensiva svolta innanzi al tribunale amministrativo, ma non la deduzione di nuovi motivi di doglianza, i quali vanno dichiarati inammissibili anche se la difesa dell’amministrazione ha replicato contro di essi mostrando di accettare il contraddittorio ( C. Stato, sez. IV, 03-12-1996, n. 1277 ). Va ricordato inoltre che il divieto di proposizione di motivi nuovi nel processo amministrativo costituisce la logica conseguenza dell’onere di specificità delle censure dedotte in primo grado contro il provvedimento amministrativo, non trova fondamento quindi nell’art. 345 c.p.c. ed è quindi riferibile solo al ricorrente originario, e non anche ai resistenti (autorità emanante e controinteressato), i quali, nell’insorgere contro la decisione ad essi sfavorevole, possono addurre qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge ed in particolare dal nuovo art. 345 c.p.c.) che essi ritengono utile per dimostrare al giudice di secondo grado l’infondatezza della domanda del ricorrente accolta dal giudice di primo grado (C. Stato, sez. V, 30-09-1998, n. 1363). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza n. 3186 (vedi: sentenza per esteso)
Sanatoria di interventi su area
paesaggisticamente vincolata - il parere reso dall’autorità competente alla
gestione del vincolo - autorizzazione paesaggistica - potere ministeriale di
annullamento dei pareri favorevoli resi dalle regioni o dagli enti subdelegati -
il parere richiesto per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria.
Secondo la giurisprudenza costante del Consiglio di Stato il parere reso
dall’autorità competente alla gestione del vincolo non si differenzia
dall’autorizzazione o dal nulla osta paesaggistico ai fini della soggezione al
potere statale di annullamento. In tal senso si è pronunciata la Sezione con la
recente sentenza secondo cui il parere richiesto ex art. 32 l. 28 febbraio 1985
n. 47, ai fini della sanatoria di interventi su area paesaggisticamente
vincolata non si differenzia, ontologicamente e funzionalmente,
dall’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 l. 29 giugno 1939 n. 1497, ai fini
della soggezione al potere ministeriale di annullamento (C. Stato, sez. VI,
19-06-2001, n. 3233). Con un precedente decisum la Sezione aveva concluso in
senso analogo rilevando che l’art. 1 l. 13 marzo 1988 n. 68, nel prescrivere che
il parere richiesto per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, per
opere eseguite in zone con vincolo paesaggistico (nella specie, costruzione di
albergo in località Fuenti della costiera amalfitana), è reso dall’autorità
preposta alla tutela del vincolo ai sensi dell’art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977 n.
616, come modificato dall’art. 1 l. 8 agosto 1985 n. 431, non si limita ad
individuare il soggetto chiamato ad esprimere il parere ma comprende anche la
restante disciplina, ivi compreso il potere di annullamento del ministro dei
pareri favorevoli resi dalle regioni o dagli enti subdelegati. (C. Stato, sez.
VI, 28-01-1998, n. 114). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003,
sentenza n. 3186 (vedi:
sentenza
per esteso)
Autorizzazione paesaggistica - annullamento di un nulla osta per deroga al
vincolo - incompatibilità delle prescrizioni autorizzatorie con la stessa ratio
impositiva del vincolo. L’esercizio del potere ministeriale di annullamento
dell’autorizzazione paesaggistica, pur limitandosi alla sola verifica di
legittimità del nulla osta rilasciato dalla regione, deve essere adeguatamente
motivato sotto il profilo dell’effettiva incidenza dell’opera assentita sui
valori paesaggistici (C. Stato, sez. VI, 22-02-1995, n. 207). Il giudizio
dell’organo statale conducente all’annullamento di un nulla osta per deroga al
vincolo si colloca al confine con il controllo avente ad oggetto il riesame di
merito della fattispecie, differenziandosene solo perché l’autorità statale,
valutando l’atto comunale come obiettivamente derogatorio rispetto al vincolo,
assume l’abnormità del contenuto dell’autorizzazione e la radicale
incompatibilità delle prescrizioni autorizzatorie con la stessa ratio impositiva
del vincolo. Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza n.
3186 (vedi:
sentenza
per esteso)
Sanatoria di interventi su area paesaggisticamente vincolata - in sede di
esame delle domande di condono edilizio si deve tener conto di tutti i vincoli
esistenti sull’area siano essi originari o sopravvenuti - vincolo sopravvenuto
rispetto all’esecuzione ma vigente al momento della domanda. In merito ai
parametri valutativi per l’espressione del parere di cui all’art. 32 della legge
n. 47/1985: di recente la Sezione ha ritenuto che in sede di esame delle domande
di condono edilizio si deve tener conto di tutti i vincoli esistenti sull’area,
siano essi originari o sopravvenuti: pertanto, ha rilevanza il vincolo
paesistico sopravvenuto rispetto all’epoca dell’abuso edilizio e anteriore alla
data di presentazione della domanda di condono edilizio (C. Stato, sez. VI,
20-10-1999, n. 1509) e tale indirizzo è stato confermato dalla successiva
sentenza secondo la quale l’art. 32 l. n. 47 del 1985, laddove impone una
congrua valutazione da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in
merito alla compatibilità del mantenimento dell’opus con le ragioni poste a
fondamento del regime vincolistico, si applica anche in caso di vincolo
sopravvenuto rispetto all’esecuzione ma vigente al momento della domanda (C.
Stato, sez. VI, 22-01-2001, n. 181). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6
giugno 2003, sentenza n. 3186 (vedi:
sentenza
per esteso)
L’autorizzazione paesaggistica costituisce atto non recettizio - il termine
perentorio di sessanta giorni - comunicazione o notificazione - decorrenza del
dies a quo. E’ ius receptum nella giurisprudenza del Consiglio che il
provvedimento con cui il ministero dei beni culturali ed ambientali può
annullare, ai sensi dell’art. 82, 9º comma, d.p.r. n. 616 del 1977, come
modificato dalla l. 8 agosto 1985 n. 431, l’autorizzazione paesaggistica di cui
all’art. 7 l. 29 giugno 1939 n. 1497, costituisce atto non recettizio e pertanto
la sua efficacia non è subordinata alla successiva notifica all’interessato; ne
consegue che il termine perentorio di sessanta giorni entro cui il potere
ministeriale può esercitarsi, si riferisce soltanto all’adozione del
provvedimento, e non anche alla successiva fase di comunicazione o
notificazione, trattandosi questi ultimi di incombenti del tutto esterni
rispetto al perfezionamento dell’iter procedimentale relativo al controllo
ministeriale. (ex plurimis C. Stato, sez. VI, 27-12-2000, n. 6873; C. Stato,
sez. VI, 28-12-2000, n. 7044; C. Stato, sez. VI, 28-01-2000, n. 421; C. Stato,
sez. II, 04-06-1997, n. 1249/97 C. Stato, sez. II, 10-09-1997, n. 468/97; C.
Stato VI 17- 04-1997 n. 609 ;C. Stato, sez. VI, 19-07-1996, n. 968 ; C. Stato,
sez. VI, 30-12-1996, n. 1825). Quanto poi alla decorrenza del termine perentorio
di sessanta giorni per l’adozione del provvedimento ministeriale di annullamento
di nulla osta paesistico si è ritenuto che esso inizia a decorrere solo da
quando la documentazione perviene all’organo competente a decidere, che è il
ministro, e non gli organi periferici dell’amministrazione dei beni culturali e
ambientali; ai fini della decorrenza del dies a quo, pertanto, non rileva
l’arrivo degli atti alla soprintendenza, occorrendo invece che gli atti
pervengano al ministero, inteso come amministrazione centrale (C. Stato, sez.
VI, 28-12-2000, n. 7044; C. Stato, sez. VI, 10-08-1999, n. 1025). Consiglio
di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza n. 3186 (vedi:
sentenza
per esteso)
La regola della domiciliazione
presso la Segreteria del TAR - la notifica della sentenza - la notifica
dell’appello. La regola della domiciliazione per legge presso la Segreteria
del TAR, valevole sia per la notifica della sentenza ai fini della decorrenza
del termine breve per appellare, sia anche per la notifica dell’appello, si
applica ad ogni procuratore, anche quando questi appartenga alla medesima
circoscrizione del TAR adito, qualora non sia stato eletto il domicilio nel
Comune dove ha sede il Tribunale (cfr. Cons. St. Ad Plen. 19.6.1984 n.13; Sez
VI, 25.2.1989, n,174). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza
n. 3177
Ricorso per regolamento di competenza - la competenza del T.A.R. del Lazio.
Sussiste invero la competenza del T.A.R. del Lazio, indicato dalla odierna
ricorrente nella istanza di regolamento, in quanto con il ricorso proposto in
primo grado sono stati impugnati anche atti generali, aventi validità
sull’intero territorio nazionale (D.M. n.123/2000; D.M. n.146/2000 e C.M. n.174/2000).
Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza n. 3176
La legittimazione ad impugnare in
materia ambientale - limiti - associazione ambientalista - soggetto
colegittimato - principio della cd. fungibilità dell’azione. L’art. 18,
comma 5, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (per il quale “le associazioni
individuate in base all’articolo 13 possono… ricorrere in sede di giurisdizione
amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi”), e il corrispondente
art. 17, comma 46, della legge 15 maggio 1997, n. 127, evidenziano l’intento del
legislatore per cui ogni modifica di qualsiasi parte del territorio nazionale
deve basarsi su un atto amministrativo legittimo (Ad. Plen., 14 dicembre 2001,
n. 9; Sez. VI, 26 luglio 2001, n. 4123; Sez. V, 1° dicembre 1999, n. 2030).
Infatti, poiché l’ordinamento vigente non prevede la figura del pubblico
ministero nel processo amministrativo, alle associazioni ‘individuate’ è stato
conferito un rilievo pubblicistico, in quanto esse - unitamente a quelle
legittimate in base ai criteri elaborati dalla giurisprudenza - concorrono, con
i propri ricorsi giurisdizionali, alla concreta affermazione del principio di
legalità. La richiamata normativa, pur avendo consentito l’impugnazione degli
atti che incidano sull’ambiente, non ha però attribuito anche la legittimazione
ad impugnare senz’altro le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali
pronunciate in materia ambientale: l’associazione ambientalista può impugnare la
sentenza che abbia deciso il suo ricorso ed abbia determinato la sua soccombenza
anche parziale. Qualora tale ricorso sia invece mancato, si applicano i consueti
principi affermati da questo Consiglio circa la legittimazione alla impugnazione
delle sentenze: oltre alla parte soccombente, soltanto la parte necessaria
pretermessa (anche quale controinteressato sopravvenuto e beneficiario del
provvedimento finale o consequenziale) può impugnare la sentenza lesiva (con un
atto avente natura di appello, se ancora pende il relativo termine, o di
opposizione di terzo, se è decorso il termine annuale previsto dall’art. 327
c.p.c.). E’ invece inammissibile l’appello di chi, non avendo proposto un
ricorso di legittimità pur essendovi legittimato, omissio medio impugni la
sentenza che abbia deciso il ricorso proposto da un soggetto colegittimato (in
tal caso, da un lato rileva l’acquiescenza all’atto impugnabile e dall’altro non
è ravvisabile una soccombenza). Tale regola si applica anche quando l’appello
sia proposto da chi proponga omissio medio l’appello, dopo non avere impugnato
in primo grado - pur essendovi legittimato - una concessione edilizia ai sensi
dell’art. 10 della legge del 6 agosto 1967, n. 765, ovvero un atto che consente
l’alterazione dell’ambiente. Pertanto, così come il vicino che non abbia
impugnato la concessione edilizia non può impugnare la sentenza che abbia
respinto il ricorso proposto dall’altro vicino ricorrente, l’associazione
ambientalistica - che non abbia impugnato il provvedimento che consente
l’alterazione dell’ambiente - non può impugnare la sentenza che abbia respinto
il ricorso di chi abbia impugnato il medesimo provvedimento. La medesima regola
si applica anche se, come è avvenuto nella specie, in primo grado sia stato
accolto il ricorso del beneficiario della autorizzazione paesistica avverso il
provvedimento statale di annullamento della autorizzazione: l’associazione
ambientalistica - non avendo assunto in primo grado la qualità di parte formale
e sostanziale - non è legittimata ad impugnare la sentenza (ferma restando
l’impugnabilità della stessa autorizzazione paesistica). La divergente
disciplina della legittimazione a proporre il ricorso di primo grado e l’atto di
appello neppure si pone in contrasto col principio di ragionevolezza, poiché: -
la sussistenza della legittimazione a proporre il ricorso in primo grado della
associazione ambientalistica si fonda sulla esigenza - sopra rilevata - per cui
ogni modifica di qualsiasi parte del territorio nazionale avvenga sulla base di
atti legittimi (avendo il legislatore agevolato - sul piano processuale -
l’annullamento in sede giurisdizionale di quelli illegittimi); - la mancata
previsione della legittimazione della associazione ad appellare le sentenze rese
dal TAR su ricorsi di altri legittimati evidenzia come il legislatore ritenga
che le regole generali del processo - e le iniziative processuali delle parti
soccombenti - siano sufficienti per la eventuale definizione del giudizio in
grado di appello. Costituisce pertanto uno ius singulare, non suscettibile di
applicazione analogica, la disciplina contenuta nell’art. 83/12 del testo unico
approvato per i giudizi elettorali col d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, il quale -
sulla base del principio della cd. fungibilità dell’azione elettorale - ha
espressamente previsto l’appellabilità delle sentenze di primo grado da parte di
“ogni altro cittadino elettore o diretto interessato”, anche se non abbia
proposto il ricorso originario (Sez. V, 15 febbraio 1994, n. 92; Sez. V, 21
maggio 1982, n. 416; Sez. V, 9 febbraio 1979, n. 83). Consiglio di Stato Sez.
VI, - 6 giugno 2003, sentenza n. 3165 (vedi:
sentenza
per esteso)
Il termine breve per la proposizione dell’appello - decorrenza - la notifica
della sentenza - l’onere di impugnare la sentenza in via incidentale - la
notifica dell’appello - il termine annuale. Il termine breve per la
proposizione dell’appello comincia a decorrere dalla notifica della sentenza che
il vincitore della lite ha effettuato nei confronti del soccombente (e non dalla
data, eventualmente precedente, in cui l’appello sia stato proposto da un altro
soccombente): la parte che abbia ricevuto la notifica dell’appello dall’altro
soccombente ha l’onere di impugnare la sentenza in via incidentale qualora
voglia evitare di incorrere in preclusioni a causa della mancata riunione dei
giudizi, ma ben può proporre anche l’appello in forma autonoma ed entro il
termine annuale previsto dall’art. 327 c.p.c. (cfr. Sez. V, 3 febbraio 2000, n.
661; Sez. V, 15 marzo 1993, n. 357). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno
2003, sentenza n. 3165 (vedi:
sentenza
per esteso)
Le tariffe professionali non
rendono lecita una prestazione inclusa, se questa esuli dalla competenza di quel
professionista - le competenze dei singoli professionisti - cognizione del
giudice ordinario. Le competenze dei singoli professionisti attengono alla
sfera di competenza professionale e concretano fattispecie di diritti soggettivi
demandati alla cognizione del giudice ordinario. Le tariffe professionali -
secondo la giurisprudenza (Corte cost. 21 luglio 1995 n. 345 e 26 ottobre 2000
n. 441; Cons. Stato, IV, 8 ottobre 1996 n. 1087) - sono inidonee a determinare
la sfera della competenza delle singole professioni, esaurendo piuttosto la loro
funzione tipica nel determinare l’onorario del professionista in relazione alle
sue prestazioni. In altri termini, le tariffe professionali non rendono lecita
una prestazione inclusa, se questa esuli dalla competenza di quel
professionista. Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n.
3039 (vedi:
sentenza
per esteso)
Il giudizio di ottemperanza non
rende di per sè inammissibile il ricorso per l'esecuzione del giudicato proposto
al giudice amministrativo - l'esecuzione forzata - l'esecuzione in sede
amministrativa. Il giudizio di ottemperanza è da ritenersi praticabile per
l'attuazione di qualsiasi tipo di giudicato, da qualsiasi giudice, anche
speciale, esso provenga, e che l'esistenza di diversi strumenti di tutela, anche
davanti ad altri giudici, non rende di per sè inammissibile il ricorso per
l'esecuzione del giudicato proposto al giudice amministrativo (C.d.S., IV,
2.11.1993 n. 964). Anche per le sentenze di condanna dell'Amministrazione al
pagamento di somme di danaro da parte del giudice ordinario, il soggetto
interessato può scegliere tra l'esecuzione forzata secondo le norme del codice
di rito e l'esecuzione in sede amministrativa ex art. 27, n.4 del R..D.
26.6.1924, n. 1054 (C.d.S., IV, 29.6.82 n. 412; VI, 16.4.94 n. 527).
Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3031
Il decreto ingiuntivo non opposto - impugnazione - limiti -
ricorso per l’ottemperanza. Il decreto ingiuntivo non opposto, in quanto
definisce la controversia al pari della sentenza passata in giudicato, essendo
impugnabile solo con la revocazione o con l’opposizione di terzo nei limitati
casi di cui all’articolo 656 C.P.C., ha valore di cosa giudicata (Cass., sez.
III, 13 febbraio 2002, n.2083; sez. I, 13 giugno 2000, n. 8026) anche ai fini
della proposizione del ricorso per l’ottemperanza previsti dall’articolo 37
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e dall’articolo 27, n. 4, del R.D. 26
giugno 1924, n. 1054 (C.d.S., IV, 20 dicembre 2000, n. 6843, 3 febbraio 1996, n.
105, 7 luglio 1993, n. 678; sez. V, 16 febbraio 2001, n. 807, 28 marzo 1998, n.
807). Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3031
Carenza di interesse - dichiarazione fatta in udienza dal
difensore degli appellanti - improcedibilità dell’appello. La dichiarazione
fatta in udienza dal difensore degli appellanti circa la sopravvenuta carenza di
interesse dei suoi assistiti alla decisione dell’appello comporta la
improcedibilità dell’appello, non potendo in tal caso - in omaggio al principio
dispositivo - il giudice decidere la controversia nel merito. Consiglio di
Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3030
Il giudice competente - individuazione
della competenza territoriale - atti emessi da organi centrali dello Stato o di
enti pubblici a carattere ultraregionale - il criterio del forum destinatae
solutionis - criterio dell’efficacia - in materia di realizzazione di opere
pubbliche. La legge 6 dicembre 1971, n. 1034, dopo aver posto, all’articolo
2, in via generale e primaria la regola del foro della sede dell’autorità
emanante ai fini dell’individuazione della competenza territoriale, pone, con
riferimento agli atti emessi da organi centrali dello Stato o di enti pubblici a
carattere ultraregionale il criterio del forum destinatae solutionis, stabilendo
(art. 3) la competenza del Tribunale regionale per gli atti “la cui efficacia è
limitata territorialmente alla circoscrizione del tribunale” medesimo (in
generale: C.d.S. IV, 20 giugno 1994 n. 1401). La giurisprudenza di questo
Consiglio appare non univoca nell’applicazione del criterio dell’efficacia, e in
particolare in materia di realizzazione di opere pubbliche, rinvenendosi sia
pronunce che individuano il giudice competente nel Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio (IV, 2 dicembre 1999 n. 1783), sia pronunce orientate a
riconoscere competente il tribunale amministrativo locale (IV, 28 gennaio 2002
n. 451; IV, 9 luglio 1998 n. 1078; VI, 15 settembre 1986 n. 685). La Sezione
ritiene che, una volta che debba farsi ricorso al foro dell’efficacia
territoriale, questo imponga di prendere in considerazione l’ambito territoriale
in cui l’atto produrrà effetti, cioè il luogo in cui il provvedimento è
destinato a produrre gli effetti tipici suoi propri. In via generale, va
ricordato quell’orientamento giurisprudenziale che demanda al tribunale locale
la controversia sui provvedimenti emessi da organi centrali dello Stato e
destinati spiegare effetti nell’ambito del territorio di più regioni, qualora il
gravame sia proposto in relazione agli effetti prodotti nell’ambito di una sola
regione (IV, 11 marzo 1997 n. 249; VI, 26 luglio 1979 n. 621). Consiglio di
Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3018
Diritto di accesso - azionato dai sindacati per garantire la trasparenza della condotta dell’Amministrazione - legittimità - carenza per i singoli iscritti. Allorquando il diritto di accesso viene azionato per garantire la trasparenza della condotta dell’Amministrazione ed al fine di salvaguardare un interesse giuridicamente rilevante (nonché concreto ed effettivo), di cui sia portatore anche il Sindacato e non i singoli iscritti devesi ritenere pienamente legittimato il Sindacato in relazione ad interessi super individuali (cfr. C.d.S., Sez. IV, 5 maggio 1998, n. 752). Consiglio di Stato, Sezione VI - 30 maggio 2003 - sentenza n. 3000
Giudizio di ottemperanza -
proposizione di nuove questioni di fatto e di diritto - divieto. In sede di
giudizio di ottemperanza non può essere formulata, per la prima volta, una
pretesa che comporti la soluzione di questioni di fatto e di diritto, nuove e
diverse rispetto a quelle sulle quali si è formato il giudicato (Sez. IV, 9
gennaio 2001, n. 49; Cons. giust. Amm., 19 marzo 2001, n. 124). Consiglio di
Stato - Sez. VI - Sentenza 27 maggio 2003 n. 2967
Il sistema della impugnazioni - il
riesame non è consentito al giudice di appello se la questione non sia
riproposta in via di impugnazione, nelle forme di rito - l’eccezione di difetto
di giurisdizione. l principio generale enunciato dall'art. 37 comma 1 Cod.
proc. civ., non derogato dalla normativa sul giudizio amministrativo ed allo
stesso applicabile, deve essere coordinato con le norme ed i principi che
governano il sistema della impugnazioni; con la conseguenza che, ove la sentenza
contenga statuizioni espresse sul punto, il riesame non è consentito al giudice
di appello se la questione non sia riproposta in via di impugnazione, nelle
forme di rito. Il principio, più volte affermato dal Consiglio di Stato (per
tutte, fra le più recenti, Sez. VI, n. 5867 del 20 novembre 2001 e Sez,. V, n.
2640 del 14 maggio 2001), trova conferma nell’orientamento della Suprema Corte
regolatrice della giurisdizione (per tutte, fra le tante, Cass. SS. UU. n.. 157
del 18 marzo 1999, n. 34 del 5 febbraio 1999, n. 12518 del 24 novembre 1992), e
deve trovare applicazione nel caso in esame. Il giudice di primo grado ha,
infatti, espressamente respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione opposta
dall’Amministrazione costituita in giudizio; pertanto, a riportare la questione
alla cognizione del giudice di appello, non é sufficiente la riproposizione, in
questa sede, della medesima eccezione, nelle forme del controricorso non
notificato, in quanto, sul punto, si è formato il giudicato interno che
preclude, in assenza di specifica e tempestiva impugnazione, ogni ulteriore
indagine. Conforme: Consiglio di Stato - Sez. VI - 27 maggio 2003
Sentenze nn. 2964 - 2963 - 2962 - 2961 - 2960 - 2959. Consiglio di Stato -
Sez. VI - Sentenza 27 maggio 2003 n. 2965
Il vizio di incompetenza dell’Autorità
che ha emanato l’atto impugnato - motivi di illegittimità dedotti con il ricorso
introduttivo - questioni pregiudiziali - il controllo giurisdizionale. Il
vizio di incompetenza dell’Autorità che ha emanato l’atto impugnato, quale che
sia l’ordine impresso dal ricorrente ai motivi di illegittimità dedotti con il
ricorso introduttivo (e con gli eventuali motivi aggiunti), deve essere
esaminato prioritariamente, una volte superate eventuali questioni
pregiudiziali, in quanto dalla sua eventuale fondatezza consegue che
sull’assetto degli interessi cui si riferisce l’atto impugnato deve decidere
l’Autorità competente, con la conseguenza che, ove il vizio sussista, il
controllo giurisdizionale non può che arrestarsi a questo punto, con il
consequenziale annullamento del provvedimento impugnato, senza ulteriore
accertamento sul fondamento degli altri profili di illegittimità, che si
risolverebbe in un indebito giudizio anticipato, non essenziale ai fini della
tutela giurisdizionale richiesta, il più delle volte di natura meramente
incidentale (per essere inidoneo ad assumere forza e valore di giudicato nei
confronti dell’Autorità competente per l’emanazione dell’atto, ordinariamente
estranea al giudizio) e però interferente, in modo anomalo, sull’attività futura
di altra Autorità (per tutte, Sez. V, 29 ottobre 1992 n. 1095 e Sez. VI, 8
febbraio 2001, n. 551). Consiglio di Stato, Sezione VI - 27.05.2003, sentenza
n. 2958
Accesso documenti - silenzio rifiuto - il termine perentorio di trenta giorni - diffida ad adempiere. Ma ai sensi dell’art. 25, commi 4 e 5, della legge n. 241/1990 “decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta” (d’accesso) questa si intende respinta e contro il rifiuto tacito od espresso il ricorso al TAR va proposto entro il successivo termine perentorio di trenta giorni. Nel sistema stabilito dalla norma non è quindi previsto, ed è quindi logicamente escluso attese le specifiche esigenze di celerità del rito, che il termine perentorio per ricorrere in sede giurisdizionale possa essere interrotto o riaperto dalla proposizione di una diffida ad adempiere. Consiglio di Stato, Sezione VI - 27.05.2003, sentenza n. 2938 (vedi: sentenza per esteso)
La legge di depenalizzazione del reato - i provvedimenti di trasformazione di reati in illeciti amministrativi - la trasmissione degli atti agli enti competenti per l'applicazione delle sanzioni amministrative - obbligato da parte del giudice - limite intrinseco al principio di irretroattività della norma di depenalizzazione. Quando la legge di depenalizzazione non prevede espressamente la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa, la trasmissione deve essere tuttavia disposta in applicazione degli artt. 40 e 41 della legge 689/1981, che assurgono a principi generali per tutti i casi di trasformazione del reato in illecito amministrativo (così Cass. Sez. I, n. 12659 del 15.6.1990, Daversa, rv. 185428, in tema di depenalizzazione del porto d'arma per uso di caccia disposta dalla legge 21.2.1990 n. 36), e quindi si configurano come limite intrinseco al principio di irretroattività della norma di depenalizzazione. In altri termini, la norma di depenalizzazione si applica ai fatti precedentemente connessi sia in virtù dell'art. 2, comma 2 c.p. (per il profilo penale), sia in virtù dell'art. 40 legge 689/1981 (per il profilo amministrativo). In questa linea si inserisce una giurisprudenza della Cassazione Civile, che ha anche teorizzato la ratio del principio. Cass. Sez. Lav. sent. N. 92 del 9.9.1996, Ispettorato provinciale del lavoro di Salerno c. Carola, rv. 495271, in tema di opposizione all'ordinanza ingiunzione prevista dalla legge 689/1981, ha così statuito: "Anche le disposizioni della legge n. 689 del 1981 dettate, diversamente dai principi generali di cui ai primi dodici articoli, in riferimento agli specifici casi di depenalizzazione operati dalla medesima legge, possono trovare applicazione nelle depenalizzazioni disposte da leggi successive, nelle quali sia ravvisabile una lacuna normativa contrastante con le loro finalità. In particolare l'art. 40 della legge n. 689 del 1981, secondo cui le sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni (già penalmente sanzionate) commesse anteriormente all'entrata in vigore di detta legge di depenalizzazione, é analogicamente applicabile anche alla depenalizzazione, attuata dall'art. 26 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, dell'assunzione di lavoratori senza il prescritto tramite dell'Ufficio di collocamento (fattispecie già sanzionata penalmente dall'art. 33, dodicesimo comma, e dall'art. 38 della legge n. 300 del 1970). Infatti una simile depenalizzazione non ha la finalità di sanare i precedenti illeciti, ma quella di alleggerire la punizione dei responsabili e alleviare i compiti della oberata giurisdizione penale. Su tale retroattività della legge di depenalizzazione peraltro prevale - come in ogni altro caso analogo - la precedente estinzione del recato per amnistia o prescrizione che sia invocata dall'interessato in sede di opposizione all'ordinanza - ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa." Cassazione Penale, Sez. III, 26 maggio 2003, sentenza n. 22932
La procura speciale apposta in calce o
a margine dell’atto processuale - la procura speciale ad impugnare una sentenza
non può essere anteriore alla data di pubblicazione della sentenza medesima.
Secondo consolidato orientamento, la procura speciale apposta in calce o a
margine dell’atto processuale, deve riferirsi specificamente all’atto per cui
viene rilasciata, sicché: la procura speciale ad impugnare una sentenza, ove si
tratti di ricorso innanzi alle giurisdizioni superiori, se apposta in calce o a
margine dell’atto di impugnazione, non può essere anteriore alla data di
pubblicazione della sentenza medesima (Cass. civ., sez. lav. 5 agosto 2000, n.
10319); deve essere contestuale o successiva all’atto cui si riferisce.
Consiglio di Stato, Sezione VI - 26.05.2003, sentenza n. 2900
Notifica del ricorso - le parti
processuali. Quando più sono le parti processuali, il ricorso va notificato
in tante copie quante sono le parti medesime, ancorché in ipotesi impersonate da
un’unica persona fisica: nella specie, essendo le parti un ente consortile quale
parte resistente e il suo Presidente quale controinteressato la cui elezione
veniva impugnata, il ricorso andava notificato ad entrambi, e non solo al
Consorzio in persona del suo Presidente (argomenta da Cass., sez. un., 10
ottobre 1997, n. 9859, relativa alla notifica di atto di impugnazione a più
parti presso unico difensore, in un numero di copie inferiore al numero delle
parti). Consiglio di Stato, Sezione VI - 26 maggio 2003, sentenza n. 2900
La reiezione del ricorso -
infondatezza - verifica d’ufficio la ricevibilità e l’ammissibilità. Per
costante giurisprudenza, la reiezione del ricorso di primo grado - per la sua
infondatezza - non comporta alcuna statuizione implicita in ordine ai relativi
presupposti processuali, sicché il Consiglio di Stato, in sede di appello, può
verificarne d’ufficio la ricevibilità e l’ammissibilità (Ad. Plen., 22 dicembre
1982, n. 21; Sez. VI, 17 luglio 2001, n. 3962; Sez. V, 21 ottobre 1995, n. 1470;
Sez. IV, 22 ottobre 1993, n. 918; Sez. IV, 20 marzo 1992, n. 324; Sez. IV, 8
novembre 1990, n. 866). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione VI - 26.05.2003,
sentenze nn. 2887 - 2886 - 2885 -2883. Consiglio di Stato, Sezione VI -
26.05.2003, sentenza n. 2888
Incompetenza territoriale - ricorso per regolamento di competenza - necessità di notifica - inammissibilità. Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, è inammissibile il ricorso per regolamento di competenza che non sia stato notificato a tutte le parti evocate nel giudizio di primo grado, siano esse costituite o meno, non essendo ammessa la successiva integrazione del contraddittorio, stanti le peculiari esigenze di celerità imposte per tale tipo di giudizio (cfr., ex plurimis, Cons. St., Ad. Plen., 16 maggio 1985, n.15; Cons. St., IV, 2 dicembre 1999, n.1782; id., 22 maggio 1998, n.821). A tale ipotesi deve, evidentemente, equipararsi quella in cui manchi la prova dell’avvenuta notifica a tutte le parti evocate nel giudizio di primo grado, né può disporsi all’uopo un ulteriore rinvio, stanti le predette esigenze di celerità. Deve, dunque, essere dichiarata l’inammissibilità del proposto regolamento. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2829
Principio della effettività della prestazione lavorativa - l’obbligo di retribuzione - l'indennità accessoria legata alla specifica prestazione di lavoro svolta - la facoltà di optare per l'indennità economicamente più vantaggiosa. In omaggio al principio della effettività della prestazione lavorativa alla quale è direttamente collegato l’obbligo di retribuzione, ad ogni dipendente spetti soltanto l'indennità accessoria legata alla specifica prestazione di lavoro svolta, salva la facoltà di optare per l'indennità economicamente più vantaggiosa. La facoltà in parola, sebbene non espressamente prevista, deve considerarsi ammissibile in base al canone fondamentale del divieto di reformatio in peius del trattamento economico del pubblico dipendente (C.d.S., IV Sez., 6 aprile 2000, n. 1971). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2828
Termini processuali ridotti alla metà - il tardivo deposito del ricorso avverso il dispositivo. Come è noto l’art. 23 bis della legge 6.12.1971 n. 1034 prevede che nei giudizi amministrativi aventi tra l’altro ad oggetto particolari tipologie di controversie (fra le quali rientra quella all’esame) i termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso. Come è parimenti noto, la giurisprudenza è ormai attestata nel ritenere che il dimezzamento si applica al termine per il deposito del ricorso o dell’appello (cfr. per tutte Ap. 31.5.2002 n. 5). Senonché, la peculiarità del caso in esame sta in ciò che dopo il tardivo deposito del ricorso avverso il dispositivo, l’appellante ha notificato e depositato nel termine legale i motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, la cui motivazione era stata nelle more pubblicata. La Suprema Corte precisa che l’inammissibilità dell’appello proposto, ai sensi dell’art. 433, 2º comma, c.p.c., anteriormente al deposito della sentenza (e in difetto d’inizio di esecuzione della medesima) non impedisce di riconoscere nel successivo atto di deposito dei motivi un nuovo appello, valido ed autonomamente rilevante, ove in esso si rinvengano tutti i requisiti di siffatta impugnazione, indicati dagli art. 434 e 414 c.p.c., non potendosi avere irreparabile consumazione del diritto all’impugnazione quando questa sia stata proposta una prima volta in mancanza del suo oggetto, costituito dalla sentenza completa di tutti i suoi elementi costitutivi e ritualmente pubblicata. (Cass., sez. III, 16-11-1999, n. 12687, Cass. sez. lavoro 11.8.2000 n. 10647). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2823
Il giudizio di ottemperanza per le decisioni della Corte dei Conti deve essere ormai proposto dinanzi allo stesso giudice contabile - principio di unità ed esclusività della giurisdizione contabile e pensionistica. Per effetto della disposizione introdotta dall’art. 10 comma 2 della L. 21 luglio 2000 n. 205, il giudizio di ottemperanza per le decisioni della Corte dei Conti deve essere ormai proposto dinanzi allo stesso giudice contabile che ha emesso la sentenza della cui ottemperanza si discute, in ragione di una interpretazione estensiva della disposizione medesima, quale espressione di una volontà normativa intesa all’attuazione del principio di unità ed esclusività della giurisdizione contabile e pensionistica, con assegnazione allo stesso giudice della fase ulteriore della concreta ed effettiva attribuzione alla sfera giuridica della parte vittoriosa del bene della vita sul quale si è incentrata la fase cognitoria. (cfr. Cons. Stato, IV Sez., 3 aprile 2001 n. 1949 e 7 novembre 2002 n. 6051; VI Sez., 30 gennaio 2002 n. 539). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2819
Le ordinanze di necessità ed urgenza -
effetti non provvisori - giustificazione dell'adozione. In casi particolari
si è ammesso che le ordinanze di necessità ed urgenza possano produrre effetti
non provvisori. Si ritiene che non sia la provvisorietà a connotarle, ma la
necessaria idoneità delle misure imposte ad eliminare la situazione di pericolo
che ne giustifica l'adozione, e che, in definitiva, tali misure possano essere
tanto definitive quanto provvisorie, a seconda del tipo di rischio da
fronteggiare (Cfr., Cons. Stato, V Sez., 29 luglio 1998, n. 1128).
Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 -
sentenza n. 202 (vedi:
sentenza
per esteso)
L'ordinanze contingibili e urgenti
devono contenere l'apposizione di un termine - eccezionale deroga al principio.
Per l’adozione di provvedimenti contingibili e urgenti deve ritenersi che la
regola è quella per cui l'ordinanza deve contenere l'apposizione di un termine,
ma tale regola potrebbe anch'essa venir derogata quando, per la peculiarità del
caso concreto, la misura urgente presenti l'eccezionale attitudine a produrre
conseguenze non provvisorie.
Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 -
sentenza n. 202 (vedi:
sentenza
per esteso)
Adozione di provvedimenti contingibili
e urgenti - dimostrazione particolarmente circostanziata - necessità - art. 844,
comma 1 del Codice civile. Per l’adozione di provvedimenti contingibili e
urgenti non basta che il Sindaco si limiti a riferire genericamente dei “gravi
disagi lamentati dalla popolazione”, sulla base della nota n. 4 della Azienda
per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, la quale postulava la esigenza che
la società ricorrente riducesse drasticamente le emissioni diffuse in modo da
non arrecare molestie (segnatamente: congiuntiviti ed irritazioni alle vie aeree
superiori) ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante
l’impianto. Il Sindaco non ha dimostrato la sussistenza di una situazione
sanitaria, riguardante la comunità locale, talmente grave - di emergenza, per
l’appunto - da richiedere la assunzione della misura adottata. La gravità -
ritiene il Collegio - non può essere ricondotta a molestie che “non superano la
normale tollerabilità”, secondo il paradigma dell’art. 844, comma 1 del Codice
civile: disposizione questa che si ritiene applicabile - in quanto espressiva di
un principio generale - nella fattispecie in esame; eppertanto, anche sotto
questo profilo, si imponeva una dimostrazione particolarmente stringente e
circostanziata, segnatamente per quello che riguardava il superamento del
parametro della “normale tollerabilità”. Tribunale Amministrativo
Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202
(vedi:
sentenza per esteso)
Domanda di risarcimento del danno ex
art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80. L'art. 35 dà in sostanza veste
normativa alla clausola generale di responsabilità, espressiva di un principio
fondamentale dell'ordinamento(neminem laedere), secondo cui la lesione contra
ius arrecata alla posizione giuridica soggettiva altrui (qualsivoglia essa sia),
se produttiva di effetti dannosi, direttamente o indirettamente patrimoniali,
obbliga chi ha causato il danno al ripristino della posizione lesa, attraverso
la reintegrazione delle utilità perdute o in forma specifica o mediante la
corresponsione di una somma di denaro. Tribunale Amministrativo
Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202
(vedi:
sentenza per esteso)
La responsabilita' aquiliana ex art.
2043 c.c. - risarcimento del danno ingiusto - carattere atipico del fatto
illecito - lesione, interesse legittimo, diritto soggettivo - attivita'
illegittima della p.a.. La normativa sulla responsabilita' aquiliana ex art.
2043 c.c. ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto,
intendendosi come tale il danno arrecato non iure, il danno, cioe', inferto in
assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un
interesse rilevante per l'ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione
formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello
stesso in termini di diritto soggettivo. Peraltro, avuto riguardo al carattere
atipico del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., non e' possibile
individuare in via preventiva gli interessi meritevoli di tutela: spetta,
pertanto, al giudice, attraverso un giudizio di comparazione tra gli interessi
in conflitto, accertare se, e con quale intensita', l'ordinamento appresta
tutela risarcitoria all'interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prende in
considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, una esigenza di
protezione. Ne consegue che anche la lesione di un interesse legittimo, al pari
di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente
rilevante, puo' essere fonte di responsabilita' aquiliana, e, quindi, dar luogo
a risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per
effetto dell'attivita' illegittima della p.a., l'interesse al bene della vita al
quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela
alla stregua del diritto positivo. Corte di Cassazione Sezioni Unite 22 luglio
1999, n. 500. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia
Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi:
sentenza
per esteso)
La pretesa risarcitoria susseguente all’annullamento di un atto lesivo degli interessi legittimi oppositivi. “Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell'interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere. Cosi confermando, nel risultato al quale si perviene, il precedente orientamento, qualora, il detto interesse sia tutelato nelle forme del diritto soggettivo, ma ampliandone la portata nell'ipotesi in cui siffatta forma di tutela piena non sia ravvisabile e tuttavia l'interesse risulti giuridicamente rilevante nei sensi suindicati”. Suprema Corte di Cassazione Sezioni Unite 22 luglio 1999, n. 500. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)
Notificazioni all'imputato -
domicilio dichiarato o eletto - distinzione - elezione di domicilio presso lo
studio del difensore - successiva dichiarazione di domicilio presso indirizzo
diverso dalla residenza - notifica del decreto di citazione per il giudizio di
secondo grado presso il domicilio originariamento eletto - contrasto di
giurisprudenza. In tema di notificazioni all'imputato, il domicilio eletto
si distingue dal domicilio dichiarato perchè, mentre in questo è indicato solo
il luogo in cui gli atti debbono essere notificati, nel domicilio eletto viene
indicata anche la persona (cosiddetto domiciliatario) presso la quale la
notificazione deve eseguirsi e presuppone l'esistenza di un rapporto fiduciario
fra il domiciliatario e l'imputato, rapporto fiduciario in virtù del quale il
primo si impegna, nei confronti del secondo, a ricevere gli atti a questo
destinati e a tenerli a sua disposizione. La dichiarazione e l'elezione di
domicilio sono, pertanto, istituti che si differenziano per natura e funzione in
virtù del quale il primo si impegna, nei confronti del secondo, a rivedere gli
atti a questo destinati e a tenerli a sua disposizione. La dichiarazione e
l'elezione di domicilio sono, pertanto, istituti che si differenziano per natura
e funzione: la prima, corrispondendo a una dichiarazione reale, in quanto
implica l'effettiva esistenza di una relazione fisica tra l'imputato e il luogo
dichiarato, ha carattere di mera dichiarazione, la seconda, invece,
rappresentando la manifestazione di un potere di autonomia dell'imputato di
stabilire un luogo, (diverso da quello della residenza, della dimora o del
domicilio) e la persona (o l'ufficio) presso i quali intende che siano eseguite
le notificazioni, ha carattere negoziale costitutivo recettizio. Ne consegue
necessariamente che l'indicazione di un luogo per le notificazioni coincidente
con l'abitazione dell'imputato deve essere intesa come dichiarazione di
domicilio, anche se in essa sia stato fatto uso improprio del termine
"elezione", e che la revoca di una precedente elezione di domicilio deve essere
espressamente rappresentata in una contraria manifestazione di volontà.
(Fattispecie nella quale l'imputato lamentava la mancata notificazione, del
decreto di citazione per il giudizio di secondo grado, presso il domicilio
eletto, ossia presso l'indirizzo, pur diverso da quello coincidente con la
residenza, indicato nel verbale di interrogatorio in epoca successiva alla
"elezione" di domicilio, che era stata effettuata presso il difensore e non
revocata; la S.C., nell'enunciare il principio di cui in massima, ha ritenuto
corretta la notificazione eseguita presso lo studio del difensore, anche per la
mancata indicazione delle generalità del domiciliatario). Corte di
Cassazione, Sez,. III, del 23.5.2003 Sent. n. 22844
La specialità del diritto di origine
concordataria sott'ordinato alle norme costituzionali - i principi supremi
dell'ordinamento statuale - l’inquinamento elettromagnetico provocato da Radio
Vaticana - la non ingerenza e le prerogative dell'immunità - limiti -
Convenzione di Vienna - tutela giurisdizionale (civile e penale) dei cittadini
da parte dello Stato italiano. La specialità del diritto di origine
concordataria, che però non ha la forza di negare i principi supremi
dell'ordinamento statuale, lo fa essere necessariamente sott'ordinato alle norme
costituzionali, come ripetutamente ha affermato il giudice delle leggi, che ha
ammesso la possibilità del sindacato di costituzionalità delle norme di
derivazione pattizia rese esecutive in Italia e di conseguenza inserite
nell'ordinamento interno, pur limitandone il giudizio di conformità in relazione
ai soli lavori essenziali dell'ordinamento costituzionale (sentenze 30, 31 e
32/1971, 16, 17 e 18/1982). Ineludibile conclusione, considerando il caso in
esame (in specie l’inquinamento elettromagnetico provocato da Radio Vaticana), è
che non subisce limitazione alcuna l'intervento nella repressione dei fatti
illeciti conseguenti a condotte poste in essere da soggetti che non godano di
immunità e che siano produttive di eventi verificatisi in territorio italiano
rilevanti per il diritto penale. Qualunque atto di rilevanza esterna comunque
riconducibile agli enti centrali citati che interferisca con la vita di
relazione e con gli interessi protetti dei cittadini deve, pertanto, assumere il
connotato del giuridicamente illecito per l'ordinamento italiano. La non
ingerenza (articoli 11 del Trattato, 2, 19 del Concordato modificato
dall'articolo 3 numero 2 dell'Accordo, 27, 30, 39 del Concordato, 7, numero 4
dell'Accordo in riferimento allo stesso articolo 2 del Concordato) si traduce
nell'obbligo di non intervento dello Stato, assunto per garantire l'esercizio
sovrano, autonomo di attività inerenti all'alto magistero della Chiesa; ma non
comporta affatto una rinunzia generalizzata alla sovranità e, quindi, alla
giurisdizione. L'immunità, invece, è una prerogativa di carattere personale (o
reale) dettata da ragione di necessità o da opportunità di carattere politico,
limitativa dell'efficacia obbligatoria della legge penale sancita dall'articolo
3 c.p. Le prerogative dell'immunità sono previste dal specifiche norme che in
maniera tassativa limitano la sovranità dello Stato e non sono in alcun modo
estensibili a casi non contemplati, vigendo in materia di accordi internazionali
il criterio dell'interpretazione restrittiva di impegni che comportino per uno
dei contraenti l'accettazione di limiti della propria sovranità (Corte
costituzionale sentenza 169/71; vedi anche articolo 31 della Convenzione di
Vienna per l'interpretazione di un trattato internazionale anche nel contesto
generale dell'accordo e tenendo conto dell'oggetto e dello scopo). Lo Stato
italiano, assumendosi pattiziamente l'obbligo di non ingerenza nei termini e nei
limiti suesposti e riconoscendo l'assoluta sovranità e l'indipendenza della
Chiesa cattolica in ordine all'attività spirituale e di evangelizzazione
(articoli 7 comma 2 Costituzione, 2, 3, 4, 11, 26 del Trattato e poi 1 e 2
dell'Accordo), ha peraltro conservato la propria sovranità nell'ordine
temporale, in particolare non subendo limiti all'esercizio della giurisdizione
penale per fatti illeciti i cui eventi si verifichino in territorio italiano e
siano legati da rapporto di causalità con condotte poste in essere in territorio
appartenente alla Santa Sede. Con la conseguente possibilità di tutela
giurisdizionale (civile e penale) di diritti e interessi dei cittadini
giuridicamente garantiti da norme ordinarie o costituzionali, lesi da soggetti
il cui operato sia funzionalmente riferibile agli enti indicati dall'articolo 11
del Trattato Lateranense. Corte di Cassazione Sezione I penale 21 maggio
2003, Sentenza n. 22516 (vedi:
sentenza per esteso)
Il riconoscimento al giudice amministrativo del potere di disapplicazione. Il riconoscimento al giudice amministrativo del potere di disapplicazione si sia è andato progressivamente affermando nella giurisprudenza, sia con riferimento ad ipotesi di regolamenti illegittimi che sacrifichino posizioni soggettive di diritto o di interesse legittimo attribuite dalla legge (Sez. IV, 29 febbraio 1996 n. 222; Sez. VI. 12 aprile 2000, n. 2183; Sez. V, 30 ottobre 2002 n. 5972; Sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657) sia con riguardo al caso, che qui interessa, di disposizione di rango regolamentare che attribuisca un diritto in contrasto con norme sovraordinate (oltre Sez. V, 9 settembre 1995, n. 1332, Sez. VI, 6 luglio 2000, n. 3789). Consiglio di Stato sez. V del 20.05.2003 sentenza n. 2750
Procedure e varie - Parte civile (c.p.p. 1988) - Impugnazioni - Sentenza assolutoria dell'imputato - Condanna in secondo grado su appello del solo pubblico ministero - Diritto di partecipazione e di chiedere pronuncia per lei favorevole - Contrasto di giurisprudenza". In tema di impugnazioni, alla parte civile costituita non può riconoscersi il risarcimento del danno se, assolto l'imputato nel giudizio di primo grado, vi sia condanna dello stesso su appello del solo pubblico ministero. E invero la parte lesa, una volta costituitasi parte civile, può liberamente decidere di insistere, nei gradi successivi del processo penale, nell'attivata azione per le restituzioni e/o il risarcimento del danno, nonostante l'assoluzione dell'imputato e ciò quantunque il pubblico ministero abbia optato per l'accettazione della decisione; oppure scegliere non di non coltivare l'azione stessa, anche quando il pubblico ministero attivi l'impugnazione nell'interesse dello Stato, con la conseguenza di far formare il giudicato in ordine al relativo rapporto, con effetti sia sostanziali, sia processuali. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 15 maggio2003, Sentenza n. 21443
Il travisamento del fatto - vizio
della sentenza. E’ pacifica affermazione giurisprudenziale che il
travisamento del fatto può assurgere a vizio della sentenza, deducibile in
questa sede di legittimità, in quanto risulti dal testo del provvedimento
impugnato (cfr., tra le altre, Cass., sez. 4, 20.10.1999, n. 6504, rv. 216690).
Cassazione Penale, Sez. V, 05 maggio 2003, sentenza n. 20073
Processo amministrativo -
compensazione delle spese di giudizio del doppio grado - riforma della sentenza
impugnata solo nel punto di “spese di giudizio” anche in caso di rigetto
dell’appello - legittimità. Ai sensi dell’art.68, 3º comma, r.d. 17 agosto
1907 n.642, nel processo amministrativo la compensazione delle spese di giudizio
ha carattere ampiamente discrezionale, in quanto implica una complessiva
valutazione della materia controversa, del suo esito, del comportamento delle
parti e di ogni altro elemento (C. Stato, sez.VI, 16.3.1995, n.289) pertanto,
stante il carattere integralmente devolutivo dell’appello ove l’impugnazione
investa anche il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese,
basandosi su argomenti che evidenziano un’assoluta peculiarità della fattispecie
che non si concili con la condanna alle spese disposta in primo grado, può
giustificarsi una compensazione delle spese del doppio grado di giudizio, con
riforma della sentenza impugnata solo in punto di spese, anche in caso di
rigetto dell’appello. Consiglio di Stato, Sezione VI - 5 maggio 2003 -
sentenza n. 2334
L’azione di ottemperanza - esecuzione. In via generale, l’emanazione di un nuovo provvedimento sul medesimo rapporto conosciuto e definito con statuizione irrevocabile costituisce ottemperanza al giudicato (Cons. Stato, Sez. IV, 15 giugno 1999, n.1020) e che la legittimità dell’atto sopravvenuto può essere delibata nell’ambito del giudizio di ottemperanza solo se la nuova determinazione risulti palesemente elusiva delle regole di azione dettate nella decisione della quale viene chiesta l’esecuzione (Cons. Stato, Sez. IV, 10 aprile 1998, n.565), dovendosi altrimenti denunciarne l’invalidità con autonomo ricorso nelle forme del giudizio ordinario (Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2000, n.4459). Consiglio di Stato Sezione IV, 29/04/2003, sentenza n. 2197
Legittimazione all’impugnativa - interesse alla decisione e azione di risarcimento danni. In tema di legittimazione all’impugnativa, l’interesse alla decisione sussiste non solo quando l’annullamento dell’atto lesivo è di per sè idoneo a realizzare l'interesse diretto e immediato del privato, ma anche quando dall'annullamento può derivare un’utilità solo di carattere strumentale, intendendosi con ciò un vantaggio non direttamente scaturente dall'annullamento o conseguente dall’ulteriore attività cui è tenuta l’amministrazione, ma che può consistere nell’eventuale azione di risarcimento danni (cfr. ad es. Consiglio Stato sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4056). Tribunale Amministrativo Regionale Liguria, sezione I, 30 Aprile 2003- sentenza n. 544
Procedure e varie - Esecuzione cod. proc. pen. 1988 - Giudice dell'esecuzione - Procedimento - Sospensione condizionale della pena - Applicabilità in sede esecutiva - Eccezionalità - Contrasto di giurisprudenza". Il potere del giudice dell'esecuzione di concedere la sospensione condizionale della pena non ha portata generale, ma è strettamente connesso al riconoscimento del concorso formale o della continuazione, come prescrive l'art. 671, comma 3 cod. proc. pen. (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice dell'esecuzione che aveva rigettato la richiesta di applicazione della sospensione condizionale della pena, fondata sull'intervenuta riabilitazione in ordine a condanne pregresse per le quali era stato concesso il predetto beneficio. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, del 26 aprile 2003 Sentenza n. 18172
Impugnazione degli atti abnormi - termini - in genere - osservanza dei termini ordinari previsti dalla legge processuale - contrasto di giurisprudenza. L'atto abnorme è impugnabile con ricorso per cassazione indipendentemente dall'osservanza dei relativi termini. Corte di Cassazione, Sez. III, Sent. del 16.4.2003 n. 18079
Parte civile - impugnazioni - appello del p.m. avverso assoluzione dell'imputato - sentenza di secondo grado dichiarativa di prescrizione sopravvenuta - possibilità di condanna contestuale al risarcimento del danno in favore della parte civile - contrasto di giurisprudenza. E’ illegittima la condanna in appello dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, pronunciata come effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione con la quale il giudice di secondo grado, su impugnazione del P.M., abbia riformato la sentenza assolutoria di prime cure. Corte di Cassazione, Sez. IV, del 14.4.2003 - Sentenza n. 239
Ricorso avverso il silenzio rifiuto - rito speciale - adozione da parte dell’Amministrazione di un provvedimento di rigetto - improcedibilità del ricorso. Il ricorso avverso il silenzio rifiuto, ai sensi dell’art. 21 bis L. 6.12.1971 n.1034 (come introdotto dall’art. 2 L. 21.7.2000 n. 205), segue un rito speciale (decisione in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, sentenza succintamente motivata, appello della decisione entro 30 giorni dalla notificazione o entro 90 giorni dalla comunicazione della pubblicazione) ed è diretto ad accertare se il silenzio abbia violato il dovere dell’Amministrazione di adottare un provvedimento esplicito sull’istanza del privato, imponendosi in caso di accoglimento del ricorso di provvedere sull’istanza nel termine assegnato (salvo l’interevento sostitutivo del commissario ad acta), senza alcuna possibilità per il giudice di determinare il contenuto, anche se vincolato, dell’atto che l’amministrazione dovrà adottare a soddisfazione dell’interesse del ricorrente (V. la decisone di questo Consiglio, A.P. del 9.1.2002). Ne discende che una volta adottato dall’Amministrazione un provvedimento di sostanziale rigetto dell’istanza non può che essere dichiarato dal giudice l’improcedibilità del ricorso avverso il silenzio rifiuto per carenza sopravvenuta di interesse. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 aprile 2003, sent. n. 1836
Istanza cautelare - sentenza in forma semplificata assunta in camera di consiglio - presupposti processuali e condizioni sostanziali. La possibilità di definire immediatamente il ricorso con sentenza in forma semplificata assunta nella camera di consiglio fissata per la decisione sull’istanza cautelare, sussiste - ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 9 della legge 21 luglio 2000, n.205 - ogni qual volta siano presenti i seguenti presupposti processuali e condizioni sostanziali:a) sia stato rispettato il principio della completezza del contraddittorio (unico adempimento previsto dalle citate disposizioni), con la rituale notifica del ricorso ed il rispetto dei termini per la discussione sull’istanza incidentale; b) sia completa l’istruzione dell’affare, nel senso che i fatti affermati nell’atto o provvedimento impugnato non siano in contraddizione con i documenti depositati; c) non ci sia stata la esplicita opposizione delle parti costituite in giudizio; d) ci sia la “manifesta fondatezza” ovvero “manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità, infondatezza del ricorso”. Non è, invece, necessario - ai fini della decisione del ricorso con sentenza in forma semplificata - la costituzione in giudizio dell’appellato né la previa acquisizione del consenso delle parti presenti. Consiglio di Stato, sez. IV, 5 aprile 2003, n. 1787
Reati contro l'ordine pubblico -
delitti - in genere - violazione degli obblighi di comunicazione previsti a
carico di condannati per associazione di tipo mafioso e di sottoposti a misure
di prevenzione in quanto indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose -
compravendita immobiliare realizzata per atto pubblico trascritto - dolo -
sussistenza - contrasto di giurisprudenza. Nel reato previsto dall'art. 31
della legge 13 settembre 1982 n. 646, avente ad oggetto l'omissione dell'obbligo
- gravante sui condannati per associazione di tipo mafioso e sui soggetti
sottoposti con provvedimento definitivo a misura di prevenzione in quanto
indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose - di comunicazione al nucleo
di polizia tributaria delle variazioni patrimoniali relative ad elementi di
valore non inferiore a venti milioni di lire, il dolo è configurabile anche
qualora l'omissione abbia ad oggetto una compravendita immobiliare effettuata
per atto pubblico e, come tale, soggetta a trascrizione nei registri
immobiliari, in quanto la conoscibilità dell'avvenuto trasferimento derivante
dall'adempimento delle formalità connesse alla trascrizione non garantisce
all'amministrazione finanziaria la reale conoscenza dei mutamenti dello stato
patrimoniale dell'interessato, assicurata invece dalla segnalazione eseguita ai
sensi dell'art. 30 della citata legge. Corte di Cassazione, Sez. V, del
1.4.2003 Sent. n. 380
L’interesse all’accesso ai documenti - si configura
indipendentemente da ogni giudizio sull'ammissibilità o fondatezza della domanda
giudiziale. L’interesse all’accesso si configura indipendentemente da ogni
giudizio sull'ammissibilità o fondatezza della domanda giudiziale eventualmente
proponibile sulla base dei documenti acquisiti mediante l'accesso. (ad es. IV
Sez. 19.3.2001 n. 1621). Consiglio di Stato Sezione IV, del 31.3.2003
sentenza n. 1677
Le materie ricomprese nei casi di esclusione dall'accesso ai documenti -
ammissibilità dell'accesso ai mandati di pagamento emessi da una Amministrazione
in un determinato periodo, trattandosi di atti di ufficio. Le materie
ricomprese nei casi di esclusione dall'accesso ai documenti previsti dall'art.
24 L. 7 agosto 1990 n. 241 e dall'art. 8 D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352 si
riferiscono ai documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di
persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con
particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale,
finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari;
pertanto, va escluso che abbiano attitudine ad incidere sulla riservatezza di
terzi l'accesso ai mandati di pagamento emessi da una Amministrazione in un
determinato periodo, trattandosi di atti di ufficio, attuativi di disposizioni
legislative o di delibere pubblicate nelle forme di legge. (Cons.di Stato IV
Sez. 24.2.1996 n. 176). Consiglio di Stato Sezione IV, del 31 marzo 2003
sentenza n. 1677
La legittimazione a ricorrere
nella materia ambientale - la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze
naturali inerisca al godimento concreto di tali beni - l’interesse diffuso può
assumere le caratteristiche dell’interesse legittimo - principio che lega
legittimazione ad agire e differenziazione dell’interesse - possibilità di
individuare in concreto ipotesi di legittimazione a ricorrere di singoli o
associazioni - interesse alla partecipazione procedimentale - posizioni
giuridiche soggettive e situazioni di interesse legittimo. In tema di
protezione dei beni ambientali posizioni di interesse legittimo sono ravvisabili
in capo al singolo cittadino nei casi in cui la salvaguardia del paesaggio e
delle bellezze naturali inerisca al godimento concreto di tali beni, con
l’avvertenza peraltro, che la loro individuazione non è configurabile in
astratto ma richiede un’indagine caso per caso per stabilire se l’interesse del
singolo si differenzi da quello della collettività e si qualifichi come
legittimo (CdS Ad. Plen. 19/10/1979 n.24). In via generale - si è ritenuto - la
tutela dei beni ambientali costituisce una finalità di esclusivo interesse
pubblico. Non sussistono interessi legittimi al corretto esercizio di tale
tutela da individuare in capo a singoli soggetti indifferenziati ma interessi di
mero fatto. Tuttavia è possibile configurare un interesse legittimo del
cittadino tutelabile in sede giurisdizionale nel caso in cui la salvaguardia del
paesaggio e delle bellezze naturali sia inerente al godimento concreto di detti
beni (del pari quel cittadino è titolare di un diritto soggettivo all’ambiente
salubre quale riflesso del suo diritto alla salute costituzionalmente tutelato
ex artt.2 e 32 Cost.). Interessi diffusi sono anche quelli che, pur essendo
caratterizzati dalla simultaneità del loro riferimento a tutti o ad una parte
dei componenti di una collettività in concreto sono imputabili a ciascuno di
essi. In tal caso l’interesse diffuso può assumere le caratteristiche
dell’interesse legittimo ove non si identifichi con gli interessi generali della
collettività, ma venga specificamente in evidenza relativamente all’oggetto
della tutela giurisdizionale ed in ordine al rapporto fra un cittadino o più
cittadini determinati ed un certo bene (CdS Ad. Pen. 19/10/1979 n.24). Si è
ritenuto - in applicazione del principio che lega legittimazione ad agire e
differenziazione dell’interesse - che la qualità di cittadino e visitatore di
una determinata zona non è di per sé elemento sufficiente ad integrare una
posizione soggettiva di interesse legittimo e non è dunque titolo idoneo a
legittimare un ricorso in sede di giurisdizione amministrativa contro atti
lesivi dell’ambiente di quel luogo (CDS VI 16/7/1990 n.728). Proprio al fine di
creare un centro di imputazione di interessi, legittimato a ricorrere in sede di
giurisdizione amministrativa il legislatore ha normativamente sancito all’art.5
dell’art.18 della legge n.349 del 1986 la legittimazione a ricorrere innanzi al
giudice amministrativo anche ad aggregazioni di soggetti in quanto
rappresentative esse stesse come collettività dei medesimi interessi legittimi
facenti capo a ciascun componente della comunità. L’attribuzione della
legittimazione è tuttavia, riferita all’art.18, esclusivamente a quelle
associazioni che in possesso di determinati requisiti, siano individuate dal
Ministro dell’Ambiente, con proprio decreto a mente del precedente art.13 della
legge n.349. Ipotesi di legittimazione a ricorrere molto vicine a quelle
normativamente qualificate prima indicate si hanno in capo ai comuni come enti
esponenziali di comunità, costituzionalmente riconosciuti, quali enti
amministrativi aventi fini generali e quindi anche di protezione dell’ambiente
delle collettività locali (cfr. Tar Lazio III 1/8/1985 n.1229 che riconosce non
solo in capo al comune nel cui territorio debba essere localizzato una centrale
elettrica ma anche ai comuni viciniori, l’interesse ad impugnare il
provvedimento di localizzazione). Ciò non esclude la possibilità di individuare
in concreto ipotesi di legittimazione a ricorrere di singoli o associazioni
anche al di fuori delle ipotesi nominate dalla norma, stante l’esigenza di
garantire i diritti inviolabili dell’uomo, fra cui il diritto all’ambiente
salubre, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità e l’affermazione del diritto di singoli o associazioni che vi
abbiano interesse alla partecipazione procedimentale, ai sensi degli artt.7 e
ss. della legge n.241/1990 (ed in particolare dell’art.9). A dette posizioni
giuridiche soggettive si affiancano poi le situazioni di interesse legittimo dei
singoli connotate dalla possibilità, nel sistema di giustizia dello Stato a
diritto amministrativo, di attivare il sindacato giurisdizionale, a fini di
annullamento degli atti impugnati. Consiglio di Stato Sezione VI, del 27
marzo 2003 sentenza n. 1600 (vedi:
sentenza
per esteso)
La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale - le
peculiari caratteristiche del bene protetto - la tutela dell’ambiente - il
soggetto singolo - l’azione popolare - la legittimazione di aggregazioni di
individui - la legittimazione ad insorgere “uti singulus” - il concetto di
vicinitas e “zone limitrofe” - la legitimatio ad causam: il rischio della
degradazione urbanistica ed ambientale di una zona - la vicinitas quale
requisito legittimante all’azione innanzi al giudice amministrativo. La
legittimazione a ricorrere nella materia ambientale per le peculiari
caratteristiche del bene protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela
dell’ambiente infatti, lungi dal costituire un autonomo settore d’intervento dei
pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele
giuridiche predisposte a favore dei diversi beni della vita che nell’ambiente si
collocano (assumendo un carattere per così dire trasversale rispetto alle
ordinarie materie e competenze amministrative, che connotano anche le
distinzioni fra Ministeri); l’ambiente inoltre è un bene pubblico che non è
suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile,
unitario, multiforme e ciò rende problematica la sua tutela a fronte di un
sistema giudiziario che non conosce, se non quale eccezione, l’azione popolare,
che guarda con sfavore la legittimazione di aggregazioni di individui che si
facciano portatori occasionali di interessi esistenti allo stato diffuso. Ne
deriva che il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale
contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell’ambiente
in cui vive ha l’obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita che
dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio,
l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare
che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad
una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la
totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato
essenziale dell’interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in
una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a
sua difesa (di qui il requisito della finitimità o “vicinitas” in base al quale
si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa
finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la
cui autorizzazione si impugni ) (C.d.S. IV 11/4/1991 n. 257). La vicinitas è
intesa come finitimità anche se, talvolta, nella giurisprudenza di primo grado,
si dà rilievo alla residenza nella località interessata, sia pure nei limiti di
una precisa zona (Tar Lombardia Sez. Brescia 5/10/19877 n.681 in un caso in cui
si impugnava il rilascio di una concessione edilizia da parte non di vicini ma
di soggetti residenti che lamentavano la lesione di valori urbanistici intesi in
senso ampio, quali valori inerenti l’ambiente di vita sociale garantiti dalle
prescrizioni urbanistiche di zona; Tar Sicilia Sez.II Catania 26/7/1991 n.629
per un caso di degradazione urbanistica di una zona). Anche il Consiglio ha
considerato rilevante quale elemento che possa fondare la legitimatio ad causam
il rischio della degradazione urbanistica ed ambientale di una zona ma sempre
che il ricorrente riceva un danno o pregiudizio diretto ed attuale dal
provvedimento impugnato, a causa del collegamento della sua posizione con lo
stato dei luoghi, cosa che non abbisogna di dimostrazioni nel caso di
proprietario limitrofo (CdS V 24/10/1980 n.862). Altre volte la residenza è
valorizzata ma solo per i soggetti abitanti nelle “zone limitrofe” (CdS V,
8/2/1997 n.139 in tema di impugnazione di atti autorizzatori di un maggior
conferimento di rifiuti in una discarica) o nelle “immediate vicinanze” (CdS V
1/9/1986 n.426 in tema di alterazione ambientale conseguente alla realizzazione
di un manufatto autorizzata dal rilascio di concessione edilizia) o che
dimostrino un concreto collegamento fra l’interesse di cui sono portatori e
l’area oggetto del provvedimento impugnato (non essendo sufficiente l’elemento
della residenza o della abituale frequenza con detto territorio cfr. Tar Abruzzo
Sez. L’Aquila 14/11/1994 n.780). La vicinitas quale requisito legittimante
all’azione innanzi al giudice amministrativo può anche essere definita come
stabile e significativo collegamento - da indagarsi caso per caso - del
ricorrente con l’ambiente che si vuole proteggere. Consiglio di Stato Sezione
VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1600 (vedi:
sentenza
per esteso)
La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale del
soggetto singolo - requisiti - le peculiari caratteristiche del bene protetto -
la tutela dell’ambiente - la posizione differenziata tale da legittimarlo ad
insorgere “uti singulus” a sua difesa. Il soggetto singolo che intenda
insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo
esplicante i suoi effetti nell’ambiente in cui vive ha l’obbligo di
identificare, innanzitutto, il bene della vita che dalla iniziativa dei pubblici
poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il
proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si tratta di un bene che
pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di
soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la
quale costituisce invece il connotato essenziale dell’interesse legittimo), ma
che rispetto ad esso egli si trova in una posizione differenziata tale da
legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa (di qui il requisito della
finitimità o “vicinitas” in base al quale si è riconosciuta legittimazione ad
agire al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero al comunista che
vive e lavora in prossimità della discarica la cui autorizzazione si impugni )
(C.d.S. IV 11/4/1991 n.257). Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003
sentenza n. 1600 (vedi:
sentenza
per esteso)
Il ricorso per revocazione - la falsa percezione, da parte del
giudice - l'errore di fatto che legittima il ricorso per revocazione delle
sentenze - mero errore attinente all'attività valutativa del giudice -
inammissibilità. L'errore di fatto che legittima il ricorso per revocazione
delle sentenze consiste in una falsa percezione, della realtà risultante dagli
atti di causa in ordine ad un elemento decisivo, ossia in una svista materiale
che abbia indotto il giudice a supporre l'esistenza di un fatto che
obiettivamente non esiste oppure a considerare inesistente un fatto che,
viceversa, risulta positivamente accertato; pertanto, è inammissibile il ricorso
per revocazione nel quale la censura prospettata denunci un vizio che - pur se
in ipotesi sussistente - si risolverebbe in un mero errore attinente
all'attività valutativa del giudice, come tale non deducibile in sede di
revocazione (C. Stato, sez. VI, 01-12-1997, n. 1770). Consiglio di Stato
Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1597
L’ammissibilità del ricorso in appello - elementi. Ai fini
dell’ammissibilità del ricorso in appello non è necessaria la confutazione
analitica e specifica degli argomenti utilizzati nella sentenza di primo grado,
essendo sufficiente proporre tesi e considerazioni incompatibili con quelle
prospettate dal giudice di primo grado (Sez. IV, 22 maggio 2000 n. 2911; Sez. V,
16 ottobre 2001 n. 5471). Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003
sentenza n. 1594 (vedi:
sentenza
per esteso)
Impugnazioni avverso tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati - giudice di pace - competenza del Tar Lazio. L’articolo 17, secondo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, come modificato dall’articolo 4 della legge n. 74 del 1990, stabilisce la competenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sede in Roma, a conoscere delle impugnazioni avverso “tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati” adottati su conforme delibera del Consiglio superiore della Magistratura. Né la competenza derogatoria può essere esclusa dalla circostanza che la controversia riguarda magistrati onorari, quali sono i giudici di pace, in quanto la norma richiamata si riferisce ai provvedimenti che concernono indistintamente tutti i magistrati, allo scopo di assicurare uniformità di interpretazione in ordine a tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati, emessi su delibere dell’organo di autogoverno. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2003, sent. n. 1548
La sussistenza del potere del giudice di disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivamente costruito anche nell'ipotesi in cui l'edificazione risulti già ultimata - l'utilizzazione dell'immobile costruito in violazione degli strumenti urbanistici vigenti. La giurisprudenza assolutamente preponderante della Corte è nel senso di ritenere la sussistenza del potere del giudice di disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivamente costruito anche nell'ipotesi in cui l'edificazione risulti già ultimata. Al riguardo, è stato affermato che le conseguenze che il legislatore intende neutralizzare mediante il sequestro preventivo non sono identificabili con l'evento del reato in senso naturalistico e neppure con l'evento in senso giuridico (cioè, la lesione del bene penalmente tutelato), cosicché esse possono essere aggravate o protratte anche dopo la consumazione del reato medesimo. In particolare, si è detto che l'utilizzazione dell'immobile costruito in violazione degli strumenti urbanistici vigenti non modifica il perfezionamento del reato già avvenuto e nulla aggiunge alla lesione del bene formalmente tutelato, che è quello del previo controllo pubblico sulle trasformazioni del territorio, ma sicuramente aggrava e prolunga la lesione dell'equilibrio urbanistico del territorio, che è il valore sostanziale al quale è finalizzato il controllo pubblico sulle trasformazioni del territorio (vedi così, tra le decisioni più significative: Cassazione, sezione terza, 23.2.95, Forti; 15.1.97, Messina; 15.2.00, Scritturale; 12.6.01, D'Amora). In altre decisioni (vedi così: Cassazione, sezione terza, 11.1.02, Luongo) si è specificato che la costruzione abusiva, anche dopo il suo completamento, può determinare conseguenze negative sul regolare assetto del territorio aggravando i cosiddetti carichi urbanistici. In più recenti sentenze del citato orientamento prevalente (vedi Cassazione, sezione terza, 8.2.02, Gullotta; 19.3.02, Volpe; 4.10.02, Grilli) si sottolinea, peraltro, la necessità che il giudice configuri le conseguenze del reato, che la misura cautelare deve impedire, in termini di pericolosità attuale e concreta; in specie, occorre che il giudice manifesti una valutazione prognostica in concreto di detti effetti, senza ricorrere ad enunciazioni astratte o generiche attesa la illegittimità dell'"equazione tra pertinenzialità della cosa ed automatica emissione della misura cautelare reale". Corte di Cassazione, Sezioni unite penali, 20 marzo 2003, sentenza n. 12878. (vedi: sentenza per stesso)
Impugnazioni (Cod. proc. pen.
1988) - notificazione - destinatari - parte privata - necessità - difensore -
necessità - esclusione. In tema di impugnazioni, la notifica del relativo
atto alla parte privata non impugnante a cura della cancelleria, prevista
dall'art. 584 cod. proc. pen., va eseguita solo nei confronti della parte
medesima e non del difensore. Corte di Cassazione,
Sezioni unite penali, 20 marzo 2003, sentenza n. 12878. (vedi:
sentenza per stesso)
Impugnazioni (Cod. proc. pen. 1988) - notificazione -
omissione - conseguenze. L'omessa notificazione alla parte privata
dell'impugnazione proposta da altra parte non dà luogo all'inammissibilità del
gravame, ma solo all'obbligo della cancelleria di provvedere alla notifica non
eseguita, salvo che risulti altrimenti, in capo al destinatario di essa, la
conoscenza dell'atto di impugnazione. Corte di Cassazione,
Sezioni unite penali, 20 marzo 2003, sentenza n. 12878. (vedi:
sentenza per stesso)
Ammissibilità del ricorso
giurisdizionale - non è necessario che nella copia notificata sia ripetuta la
firma del mandato conferito al difensore - l’ufficiale giudiziario attesti la
conformità della copia all’originale - sottoscrizione del ricorrente e
dell’autenticazione del difensore. La giurisprudenza (C. Stato, sez. IV,
15-05-2000, n. 2733; idem C. Stato, sez. V, 23-07-1994, n. 794 e C. Stato,
sez. V, 25-10-1993, n. 1070) ha chiarito che “Ai fini dell’ammissibilità del
ricorso giurisdizionale, non è necessario che nella copia notificata sia
ripetuta la firma del mandato conferito al difensore e neppure che, in difetto
di ciò, l’ufficiale giudiziario attesti la conformità della copia
all’originale, essendo sufficiente che nella copia stessa sia riprodotto il
contenuto della procura e sia dato atto dell’avvenuta apposizione
(nell’originale) della sottoscrizione del ricorrente e dell’autenticazione del
difensore”. Tribunale Amministrativo Regionale Trentino-Alto Adige - Sede
di Trento, 20 marzo 2003 - sentenza n. 119
Ricorso per regolamento di competenza - la mancanza della firma e
dell’autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti -
firma del difensore munito di procura speciale - attestazione dell’ufficiale
giudiziario. Nel caso in cui l’originale del ricorso per regolamento di
competenza rechi la firma del difensore munito di procura speciale e
l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte che
gli ha conferito la procura, la mancanza della firma e dell’autenticazione
nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purché la copia stessa
contenga elementi idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore
munito di mandato speciale, essendo a tal fine sufficiente l’attestazione
dell’ufficiale giudiziario che la notificazione è eseguita su istanza del
difensore del ricorrente (C. Stato, sez. VI, 30-01-1998, n. 121). Addirittura
il Consiglio di Stato, sez. V, 11-12-1992, n. 1432, ha ritenuto che
“L’apposizione, nella copia notificata del ricorso, a margine del primo
foglio, della dicitura «vi è mandato a margine dell’originale», è sufficiente
per l’ammissibilità del ricorso, in considerazione del fatto che la conformità
della copia notificata all’originale è certificata dall’ufficiale giudiziario,
il che, è idoneo a garantire che la procura, contestuale all’atto
introduttivo, sia stata rilasciata anteriormente alla notificazione del
ricorso stesso”. Sul punto è stato, inoltre, espressamente affermato che “È
irrilevante che la copia del ricorso notificata non comporti il testo del
mandato speciale conferito al difensore nell’originale dell’atto introduttivo
del giudizio, ma solo la menzione del suo rilascio, atteso che non esiste
alcuna norma che imponga al ricorrente di riportare nella copia del ricorso il
testo della procura conferita al difensore in calce o a margine
dell’originale, limitandosi l’art. 6 r.d. 17 agosto 1907 n. 642 a richiedere
soltanto che il conferimento del mandato speciale sia anteriore alla
notificazione del ricorso" (C. Stato, sez. IV, 04-08-1988, n. 675). Infine,
anche il Cons. giust. amm. sic. 25-02-1987, n. 34; 16-12-1985, n. 218 ha avuto
modo di ritenere che "È irrilevante che nella copia del ricorso notificato
alla controparte non risulti riprodotta la procura rilasciata al difensore
nell’originale del ricorso, quando non sussistono elementi che facciano
dubitare dell’effettivo rilascio di detta procura, anche se l’atto
introduttivo del giudizio sia stato sottoscritto non dall’interessato ma solo
dal suo difensore”. In sostanza "La mancata riproduzione ed anche la mancata
menzione della procura alla lite nella copia del ricorso notificato alla parte
intimata non produce alcuna irregolarità in merito alla corretta instaurazione
del contraddittorio, dovendosi a tal fine semplicemente verificare la
correttezza della procura contenuta nell’originale del ricorso” (T.a.r. Valle
d’Aosta, 25-05-1984, n. 54). Tribunale Amministrativo Regionale
Trentino-Alto Adige - Sede di Trento, 20 marzo 2003 - sentenza n. 119
Il pubblico ministero che riceve il verbale di un sequestro eseguito in via di urgenza dalla polizia giudiziaria ha il potere di qualificarlo giuridicamente - sequestro preventivo (richiesta al giudice della convalida) - sequestro probatorio (può convalidarlo egli stesso). Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, il pubblico ministero che riceve il verbale di un sequestro eseguito in via di urgenza dalla polizia giudiziaria ha il potere di qualificarlo giuridicamente. Pertanto, se lo ritiene sequestro preventivo, richiede al giudice la convalida; se invece lo ritiene sequestro probatorio, può convalidarlo egli stesso, a norma dell'art. 355, 1° comma, c.p.p. (vedi Cass.: Sez. III, 28.9.1995, n. 1038; Sez. VI, 26.1.1993, n. 3981; Sez. VI, 10.11.1992, n. 3981; Sez. VI, 7.7.1992, n. 2085; Sez. Un., 18.6.1991, Caltabiano). (Nella fattispecie, si trattava di un sequestro a sorpresa di un campione di percolato proveniente da una discarica di rifiuti comunale). Cassazione Penale, Sez. III, 19 marzo 2003, n. 8112 (vedi: sentenza per esteso)
Inosservanza del termine
stabilito dall'art. 589 cod. proc. pen. per la dichiarazione di rinuncia -
termini della rinuncia all'impugnazione - l'inizio della discussione - effetti
- decadenza, invalidità, inefficacia o mera irregolarità - contrasto di
giurisprudenza. L'art. 589 cod. proc. pen., statuendo le forme ed i
termini della rinuncia all'impugnazione, non prevede alcuna decadenza; ne
deriva che l'inosservanza del termine previsto per la dichiarazione di
rinuncia, e cioè "l'inizio della discussione", non comporta alcuna decadenza
nè determina l'invalidità o l'inefficacia della rinuncia all'impugnazione, non
essendo tali effetti previsti dalla legge, ma si configura come una mera
irregolarità che non incide sugli effetti della dichiarazione di rinuncia".
Corte di Cassazione, Sez. II, del 19.3.2003 Sent. n. 12845
La notifica alle persone giuridiche - modalità di
esecuzione - l’ufficiale giudiziario. L’art. 145, primo comma, c.p.c.
dispone che “la notifica alle persone giuridiche si esegue nella loro sede
mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata
di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede
stessa”. Il terzo comma soggiunge che “se la notificazione non può essere
eseguita a norma dei commi precedenti e nell’atto è indicata la persona fisica
che rappresenta l’ente, si osservano le disposizioni degli artt. 138, 139 e
141”. In particolare, l’art. 138 prevede che “l’ufficiale giudiziario può sempre
eseguire la notificazione mediante consegna della copia nelle mani proprie del
destinatario, ovunque lo trovi nell’ambito della circoscrizione dell’ufficio
giudiziario al quale è addetto”. Consiglio di Stato, Sezione V del 17 marzo
2003, Sentenza n. 1387
Imputato contumace - il termine per proporre l'impugnazione - notifica dell'estratto contumaciale prima della scadenza del termine per il deposito della sentenza - decorrenza del termine per l'impugnazione dalla notifica dell'avviso di deposito con l'estratto contumaciale. Per l'imputato contumace, il termine per proporre l'impugnazione, anche ove la notifica dell'estratto contumaciale sia avvenuta in data anteriore alla scadenza del termine stabilito dalla legge per il deposito della sentenza, decorre comunque dalla notifica dell'avviso di deposito con l'estratto del procedimento. Infatti, l'imputato contumace ha diritto ex lege a trenta giorni di tempo per proporre impugnazione, senza che possa avvantaggiarsi del numero di giorni che vanno dal deposito della sentenza alla scadenza del termine per il deposito della stessa. Corte di Cassazione, Sez. IV, del 17.3.2003 Sent. n. 12260
Gli effetti della notificazione - notificazioni a mezzo posta - notificazioni a mezzo di ufficiale giudiziario - il notificante - la tardività della notificazione - il beneficio dell’errore scusabile - la rimessione in termine. La Corte Costituzionale, invero, con sentenza 20-26 novembre 2002, n. 477, ha ritenuto che gli effetti della notificazione - per quanto riguarda il notificante - devono essere ricollegati al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, “essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante” (e ciò secondo il principio già enunciato dalla stessa Suprema Corte nella sentenza n. 69/1994). Vero che la sentenza della Corte attiene al combinato disposto di cui agli artt. 149 c.p.c. e 4, comma terzo, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (e, dunque, alle notificazioni a mezzo posta); ma la stessa contiene principi estesi, come si è visto, a ogni forma di notificazione e, quindi, anche a quelle - di cui alla presente fattispecie - operata direttamente a mezzo di ufficiale giudiziario. Ad ogni buon conto, anche a non volere ritenere direttamente applicabili - in ipotesi - alla presente fattispecie i principi ora enunciati, non di meno, nell’ipotesi in cui la tardività della notificazione sia da ritenere direttamente imputabile all’ufficiale giudiziario, deve, in conformità con i principi stessi, ritenersi accordabile il beneficio dell’errore scusabile, con la conseguente rimessione in termine. (Nella specie, il ricorso in appello era stato affidato all’ufficiale giudiziario in un ambito orario che gli avrebbe agevolmente consentito la notificazione entro il 26 novembre 1996 (espressamente indicata come giorno di scadenza); trattandosi di notificazione da effettuare al domicilio eletto presso il TAR e, quindi, presso un pubblico ufficio, era logicamente e professionalmente onere dell’ufficiale giudiziario curare che la notificazione intervenisse nell’orario di apertura degli uffici; con la conseguenza che il ritardo nella notificazione non può fare carico alla parte che tempestivamente si era attivata a quel fine). Consiglio di Stato, V sezione, del 17 marzo 2003 sentenza n. 1370
Udienza preliminare (cod. proc.
pen. 1988) - sentenza di non luogo a procedere - impugnazioni - in genere -
termini - decorrenza - dal momento della notificazione o comunicazione
dell'avviso di deposito della sentenza - contrasto di giurisprudenza. In
tema di decorrenza del termine per l'impugnazione della sentenza di non luogo a
procedere, è applicabile - poichè detta sentenza interviene all'esito di
procedimento camerale - la norma di cui alla lett. A) del comma 2 dell'art. 585
cod. proc. pen., di talchè il termine decorre a far tempo dalla data di
notificazione o comunicazione dell'avviso del deposito del provvedimento in
cancelleria. Corte di Cassazione, Sez. VI del 13.3.2003 Sent. n. 11891
Cancellazione della causa dal ruolo disposta in assenza della parte - mancata conoscenza - inerzia ultrabiennale - perenzione. La mancata conoscenza della cancellazione della causa dal ruolo disposta in assenza della parte fa venir meno l’imputabilità alla parte medesima dell’inerzia ultrabiennale successiva alla cancellazione ai fini della dichiarazione della perenzione del giudizio (C.d.S., Sez. V, 6 dicembre 1993, n. 1248). Consiglio di Stato, Sezione VI del 13 marzo 2003, sentenza n. 1353
La riunione dei procedimenti relativi a cause connesse per l’oggetto e per il titolo - la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pure essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise e ciascuna è soggetta al rispettivo regime di impugnazione. E’ principio affermato dalla costante giurisprudenza della Cassazione che la riunione dei procedimenti relativi a cause connesse per l’oggetto e per il titolo non fa venire meno l’autonomia delle singole cause e della posizione delle parti in ciascuna di esse, e pertanto la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pure essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise e ciascuna è soggetta al rispettivo regime di impugnazione (v.tra le altre, le sentenze n. 2402/1995, n. 12703/1993, n. 5773/1991). Consiglio di Stato, Sezione IV del 11.3.2003, sentenza n. 1320
Individuazione dei controinteressati - interesse a ricorrere - piano di zona. Al momento in cui fu impugnato il piano di zona ne consegue che, i ricorrenti, non solo non erano controinteressate al relativo ricorso, ma se per ipotesi il piano stesso fosse stato immediatamente annullato, il procedimento che ha fatto emergere il loro interesse non sarebbe neppure iniziato. All’epoca dell’impugnazione del piano di zona si ignorava infatti quali sarebbero state le cooperative alle quali sarebbero stati assegnati i lotti se la procedura fosse giunta al suo termine naturale. Né si può ritenere, secondo il costante insegnamento di questo Consiglio (tra le tante: IV, 877 del 30 ottobre 1979, VI, 271 dell’8 luglio 1980; VI; 71 del 20 febbraio 1987; IV, 418 dell’8 ottobre 1985; C.si 462 del 13 novembre 1991) che fatti sopravvenuti possano incidere sulla individuazione dei controinteressati che sono esclusivamente quelli individuabili al momento della adozione del provvedimento impugnato. Consiglio di Stato, Sezione IV del 11.3.2003, sentenza n. 1320
La statuizione sulle spese e gli onorari di giudizio - potere discrezionale del giudice - limiti. Come rilevato dall’Avvocatura dello Stato, la statuizione sulle spese e gli onorari di giudizio costituisce l’espressione di un ampio potere discrezionale del giudice e, in quanto tale, non è sindacabile se non in caso di macroscopica erroneità, come avverrebbe se le spese fossero poste a carico della parte totalmente vittoriosa o se fossero liquidate in misura palesemente esorbitante (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre 2002, n.5649). Consiglio di Stato, Sezione IV del 11.3.2003, sentenza n. 1316
L'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. La giurisprudenza è univoca nel ritenere che l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, ex artt. 7 e ss. della L. n. 241 del 1990, sussiste solo quando l'Amministrazione si attivi d'ufficio, e non anche quando essa adotti un provvedimento, ancorché di segno negativo, in seguito ad una iniziativa del destinatario dell'atto (cfr., tra le dec. più recenti, C.d.S., Sez. VI, 25.9.2002 n. 4879). Consiglio di Stato, Sezione V del 10.3.2003, sentenza n. 1283
La piena conoscenza di un provvedimento amministrativo - termine per impugnare - decorrenza - conoscenza degli elementi essenziali. Secondo consolidata ed univoca giurisprudenza (cfr., tra le decisioni più recenti, C.d.S., Sez. IV, 30.9.2002 n. 4987; Sez. VI, 20.9.2002 n. 4780; Sez. V, 21.6.2002 n. 3408) la piena conoscenza di un provvedimento amministrativo, ai fini del decorso del termine per impugnare, non postula che questo sia conosciuto in tutti i suoi elementi, ma solo che l’interessato sia stato edotto di quelli essenziali, quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo. La conoscenza di siffatti elementi essenziali comporta, pertanto, in capo all’interessato, un onere di immediata impugnazione, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento emergano ulteriori profili di illegittimità. Consiglio di Stato, Sezione V del 10 marzo 2003, sentenza n. 1275
Nullità della sentenza - mero errore materiale - l’omessa menzione del nome di una parte nell'intestazione - legittimità se la sentenza è idonea a raggiungere, nei confronti di tutte le parti, i fini a cui essa tende. Nella giurisprudenza del Consiglio inoltre è stato ritenuto che non sia motivo di nullità della sentenza l’omessa menzione del nome di una parte nell'intestazione se dal contesto risulti con sufficiente chiarezza l'identificazione di tutte le parti; in tal caso, infatti, la sentenza è idonea a raggiungere, nei confronti di tutte le parti, i fini a cui essa tende e l'omissione va considerata come mero errore materiale, che può essere corretto con la procedura prevista dagli artt.287 e 288 c.p.c. (Consiglio Stato, sez.IV, 28 ottobre 1993, n.950). (Ma nel caso di specie l’intestazione della sentenza appellata è precisa nel rilevare che in giudizio vi è la presenza della sig.ra Franca Tomaiuolo, controinteressata non costituita in giudizio sicché a ben vedere null’altro era necessario poi specificare per dar conto della presenza di tale parte necessaria nel giudizio non essendovi una necessaria disamina della posizione del controinteressato da effettuare quando questa non sia richiesta dalla portata logica dei motivi proposti dal ricorso o dalle difese spiegate nel corso del giudizio). Consiglio di Stato, Sezione VI del 10 marzo 2003, sentenza n. 1271
Processo amministrativo - disciplina positiva della connessione - assenza - il ricorso giurisdizionale. Nel processo amministrativo, in assenza di una disciplina positiva della connessione, il principio secondo il quale il ricorso giurisdizionale deve essere diretto contro un solo atto o contro atti diversi, ma collegati, si fonda sulla necessità di evitare la confusione tra controversie del tutto diverse, il che si verifica quando in un solo giudizio confluiscono atti che promanano da autorità differenti, che difettano di ogni collegamento ed attengono a rapporti diversi; peraltro, la sussistenza di casi di specie connesse, quale presupposto per la proponibilità del ricorso cumulativo, deve essere assunta in termini di ragionevolezza e di giustizia sostanziale, senza quindi formalismi privi di fondamento logico e, comunque, di per sé inidonei a giustificare una maggiore gravosità degli oneri processuali posti a carico di chi vuol tutelarsi avverso atti della p.a. ritenuti non legittimi.(ex plurimis C. Stato, sez. IV, 11-06-1997, n. 629). Consiglio di Stato, Sezione VI del 6 marzo 2003, sentenza n. 1255
Giudizi soggetti alle disposizioni del rito speciale (o abbreviato) - la riduzione a metà di tutti i termini processuali - eccezione - la proposizione del ricorso. Il disposto dell’art. 4 comma 7 della legge n. 109/1994 è superato, implicitamente, dall’art. 23 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dalla legge n. 205/2000, che, al comma 1 lett. d), include nei giudizi soggetti alle disposizioni del rito speciale (o abbreviato), quelli aventi ad oggetto i provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti, prevedendo la riduzione a metà di tutti i termini processuali tranne di quelli per la proposizione del ricorso. Consiglio di Stato, Sezione VI del 6.3.2003, sentenza n. 1227 (vedi: sentenza per esteso)
Contestazione e notificazione - sanzioni amministrative - applicazione - disciplina ex legge n. 689 del 1981 - applicabilità delle disposizioni normative sulla partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo - esclusione - fondamento. Nelle fattispecie regolate dalla normativa di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689 in materia di irrogazione di sanzioni amministrative, non trovano applicazione le disposizioni sulla partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo (art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241), le quali configurano una normativa generale su cui prevale la legge speciale, in quanto idonea - mediante i meccanismi di informazione e di difesa previsti dagli artt. 17 e 18 - ad assicurare garanzie di partecipazione non inferiori al "minimum" prescritto dall'anzidetta normativa generale. Corte di Cassazione, Sez. L, del 5.3.2003, Sent. n. 3254
La statuizione sulle spese del giudizio - potere ampiamente discrezionale del giudice - specifica motivazione non necessita. In base alla costante giurisprudenza di questo Consiglio la statuizione sulle spese del giudizio è il risultato di un potere ampiamente discrezionale del giudice, espressione anche di regole di equità e convenienza, come tale insindacabile in appello (fatta eccezione per i casi di condanna della parte totalmente vittoriosa o a somme palesemente esorbitanti o in sicura violazione dei limiti minimi legali), senza che sia richiesta una specifica motivazione (cfr. ex plurimis sez.V, 25 giugno 2001, n. 3364; sez. IV, 30 giugno 1998, n. 1005). Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)
Provvedimento amministrativo -
nomen iuris e contenuto intrinseco - Commissione per gli esami di avvocato -
esecuzione provvisoria della decisione. Il provvedimento amministrativo - a
prescindere dal nomen iuris dato dall´autorità emanante - deve essere
qualificato in base a quanto effettivamente statuisce, ossia con riferimento al
suo contenuto intrinseco. Nel caso in cui la sentenza di primo grado abbia
accolto il ricorso per insufficienza della motivazione avverso i giudizi
negativi, espressi con votazione numerica, dalla Commissione per gli esami di
avvocato, la Commissione di concorso - in sede di esecuzione provvisoria della
decisione - può non limitarsi ad integrare la motivazione ma può spingersi fino
a sostituire la valutazione data in precedenza (nella specie, nuova correzione
degli elaborati accompagnata da chiare ed esaurienti esplicitazioni degli
aspetti negativi e positivi rilevati). Poiché tale sopravvenuta valutazione -
sostituendo il precedente giudizio negativo - deve essere considerata come un
quid novi l´Amministrazione non ha interesse all´appello e alla riforma della
sentenza di annullamento di un atto che essa stessa ha sostituito,
posteriormente alla pronunzia giurisdizionale. Consiglio di Stato, Adunanza
Plenaria 27 febbraio 2003, n. 3
Legge 1034/1971, modificata dall’art. 4 L. 205/2000 - termini processuali ridotti alla metà nei procedimenti aventi ad oggetto affidamenti di opere, forniture e servizi da parte della P.A. - deposito del ricorso. L’art 23 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 nel testo risultante dall’art. 4 della legge 21 luglio 2000 n. 205, come è noto, ha ridotto alla metà i termini processuali nei procedimenti aventi per oggetto gli affidamenti di opere, forniture e servizi da parte di Pubbliche Amministrazioni con l’unica esclusione del termine per la notificazione dell’appello. Sullo specifico punto questa Sezione si è pronunciata con decisione n. 3043 del 31 maggio 2002 i cui contenuti vengono qui di seguito integralmente richiamati. Tale indirizzo è stato confermato con decisione dell’Adunanza Plenaria del n. 5 del 31 maggio 2002. In effetti la dizione utilizzata dalla norma richiamata “i termini processuali sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso” non ricomprende, nella eccezione alla regola della riduzione per i giudizi indicati nel primo comma, anche il termine del deposito del ricorso. In primo luogo viene in considerazione l’elemento letterale secondo cui l’espressione “proposizione” si correla esclusivamente alla prima attività di composizione dell’atto introduttivo del giudizio e della sua notifica all’Amministrazione intimata nonché ad almeno uno dei controinteressati se esistenti ed individuabili. Dopo lo svolgimento di tali attività il ricorso è proposto e la “vocatio in ius“ c’è stata. Iniziano allora le attività di radicamento del rapporto processuale presso l’organo giudiziario adito con il deposito del ricorso. La distinzione dei due momenti è fissata anche nell’art. 21, primo e secondo comma, dove è ben delineata la necessaria successione degli adempimenti connessi al deposito rispetto a quelli afferenti alla notificazione del ricorso ed ancor più chiaramente nel quarto comma in cui si stabilisce che gli obblighi dell’Amministrazione intimata di versare gli atti necessari o utili per il giudizio decorrono dal momento del deposito con il che si chiarisce la distinzione netta dei due termini di notificazione e deposito del ricorso. Non appare decisiva la considerazione circa il significato da attribuire all’utilizzo del plurale nel secondo comma dell’art. 23-bis suindicato posto che, nello stesso articolo, il settimo comma utilizza con riguardo all’ instaurazione del giudizio di appello il singolare (“il termine per la proposizione dell’appello”). In questa disposizione il riferimento alla sola notificazione dell’appello per la “proposizione “ dello stesso è chiaro ed univoco. Del resto anche tenendo conto di elementi di interpretazione evolutiva si giunge alla stessa conclusione. La norma in esame ha modificato un regime derivante dall’art. 19 del D.L. 25 marzo 1997 n.67, convertito dalla L.23 maggio 1997 n. 135 che comprendeva “tutti “ i termini processuali nella riduzione a metà con riguardo ai giudizi in materia di affidamento ed esecuzione di opere pubbliche. La dizione “tutti” era stata aggiunta dalla citata legge di conversione anche per eliminare dubbi insorti sulla applicazione della riduzione al termine di notificazione del ricorso (cfr. Ad. Plen n. 1 del 14 febbraio 2001). La modifica del regime suddetto , apportata con l’art. 23-bis , secondo comma della legge 1034/1971 proprio sullo specifico punto, con la previsione di una speciale esclusione - per la proposizione del ricorso-dalla regola di snellimento dei giudizi e di abbreviazione degli stessi, non può che essere letta in modo restrittivo come norma di deroga ed appare in sostanza limitata al caso della notificazione del ricorso (cfr. nello stesso senso Sez. quarta n. 4562 del 28 marzo 2001). In tale contesto l’estensione della eccezione anche al termine per il deposito del ricorso avrebbe dovuto essere esplicitamente prevista. ). Consiglio di Stato, sez. V, del 25 febbraio 2003, sent. n. 1074
Questioni prospettate al giudice - priorità. La giurisprudenza (C.d.S., Sez. IV, 21.11.1992 n. 925 e Tar Valle Aosta 24.9.1996 n. 156) chiarisce che, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., il giudice, nell’esaminare le varie questioni che gli sono prospettate è tenuto a dare priorità a quelle che per la loro natura e contenuto meritano logicamente e giuridicamente precedenza di trattazione, sicchè egli è vincolato all’ordine seguito dalle parti solo se esso corrisponda ad una imprescindibile esigenza di carattere logico-giuridico. Nella specie il Tar ha correttamente esaminato in via prioritaria i profili di illegittimità dedotti che, riguardando vizi dell’atto presupposto e del procedimento (motivi I, II e IV), sarebbero stati idonei, ove accolti, a travolgere l’intera gara. Consiglio di Stato, sez. V, del 25 febbraio 2003, sent. n. 1073
Valutazioni tecnico-discrezionali - insindacabilità in sede giurisdizionale. Secondo costante giurisprudenza, le valutazioni espressione di un potere di natura tecnico discrezionale, sono di per sé insindacabili in sede giurisdizionale, salva l’ipotesi in cui si tratti di valutazioni manifestamente illogiche o fondate su una insufficiente motivazione. Peraltro, anche la giurisprudenza più recente, la quale si è fatta carico di riesaminare il tema della sindacabilità giurisdizionale della discrezionalità tecnica a seguito della riforma del processo amministrativo, ha comunque concluso che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici può anche consistere nella verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo, fermo restando, però, il principio secondo cui non spetta al giudice amministrativo riesaminare le autonome valutazioni effettuate dall’amministrazione sulla base delle cognizioni tecniche acquisite (cfr. C.d.S., Sez. V, 3.3.2001 n. 1247). Consiglio di Stato, sez. V, del 25 febbraio 2003, sent. n. 1073
Ricorso per revocazione - termini. Il ricorso per revocazione, nel caso
dell’errore di fatto, va proposto, ai sensi degli art. 326 e 327 c.p.c., entro
il termine di giorni 30 dalla notificazione della sentenza revocanda o, in
difetto, entro l'anno della pubblicazione della stessa. Consiglio di Stato,
sez.. V, del 24 febbraio 2003, sent. n. 1071
Manifesta infondatezza del ricorso - la decisione può essere assunta con le modalità semplificate anche quando la causa è stata trattata in pubblica udienza. Nel caso di manifesta infondatezza del ricorso, la decisione può essere assunta con le modalità semplificate anche quando la causa è stata trattata in pubblica udienza (Cons. Stato, Sez. V, 26 gennaio 2001, n.268). (Sentenza succintamente motivata, ai sensi dell’art.26 della L. 6 dicembre 1971 n.1034 così come novellato dall’art.9 comma 1 primo periodo della L. 10 agosto 2000 n.205). Nella specie è stato rilevato che la sicura soggezione di un chiosco metallico al regime concessorio e la pacifica mancanza del titolo prescritto esimono dalla disamina degli altri argomenti addotti a sostegno del primo motivo di gravame. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per esteso)
La perenzione del ricorso - decorso infruttuoso del termine di dieci anni -
deposito dei ricorsi - procedure. L’art. 9, comma 2, della legge 21.7.2000,
n. 205, relativo alla perenzione dei ricorsi ultradecennali dispone che: “a cura
della segreteria è notificata alle parti costituite, dopo il decorso di dieci
anni dalla data di deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del quale è
fatto onere alle parti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza
con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso
medesimo”. Il decorso infruttuoso del termine assegnato comporta la perenzione
del ricorso. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 977
La domanda di accesso ad atti e documenti amministrativi - la richiesta di
accesso degli atti adottati dall’Ufficio del Pubblico Ministero nella fase delle
indagini preliminari - casi di ammissibilità e limiti - la secretazione delle
iscrizioni nel registro delle notizie di reato. La Giurisprudenza ha infatti
da tempo precisato che la domanda di accesso ad atti e documenti amministrativi,
nel disegno della legge 7 agosto 1990 n. 241, può considerarsi ammissibile solo
se ha ad oggetto documenti ed attività qualificabili come amministrative, quanto
meno in senso oggettivo e funzionale, perché facenti capo all’apparato
amministrativo, anche se espresse mediante atti di diritto privato. All’opposto,
non è ammissibile la domanda di accesso agli atti processuali ed a quelli
espressione della funzione giurisdizionale, ancorché non immediatamente
collegati a provvedimenti che siano espressione dello ius dicere, purchè
intimamente e strumentalmente connessi a questi ultimi. (cfr. Cons. Stato, IV
Sez. 14.2.2002 n. 883). Nella fattispecie all’esame, la richiesta di accesso
riguarda eventuali atti adottati dall’Ufficio del Pubblico Ministero nella fase
delle indagini preliminari e dunque atti che, per la loro provenienza nonché per
la funzione prodromica all’esercizio dell’azione penale, non sono in alcun modo
e sotto alcuna prospettiva riferibili all’esercizio della funzione
amministrativa, con conseguente inapplicabilità della normativa generale
sull’accesso. A ciò si aggiunga che, come esattamente evidenziato dal Tribunale,
il regime di conoscibilità di tali atti è invece minuziosamente disciplinato dal
Codice di procedura penale, il quale (per quanto rileva ai fini in controversia)
oltre a prevedere la possibilità di secretazione delle iscrizioni nel registro
delle notizie di reato, individua con precisione all’art. 335 i soggetti che
hanno titolo ad acquisire conoscenza dell’ eventuale iscrizione. Nè giova
all’appellante sostenere che la richiesta di accesso era volta all’acquisizione
non di atti specifici ma di informazioni sulla eventuale esistenza di atti, in
quanto il Codice con specifiche norme individua le sole ipotesi in cui viene
meno il regime di segretezza che copre le informazioni relative agli atti di
indagine compiuti dal P.M. (artt. 117 e 118 in relazione all’art. 329 cod. proc.
pen.). Al riguardo è peraltro da osservare che la disciplina della legge n. 241
del 1990 non può comunque essere invocata allorché l’interessato non chieda
all’Amministrazione di esibire documenti di cui sia certa l’esistenza, ma
piuttosto di provare se determinati atti esistono o meno. (cfr. Csi. 14.10.1997
n. 423). Consiglio di Stato Sezione IV, del 22 febbraio 2003, Sentenza n. 961
Le spese e sugli onorari del giudizio - in sede di appello può essere
sindacata. La statuizione del Tribunale amministrativo regionale sulle spese
e sugli onorari del giudizio costituisce espressione di un ampio potere
discrezionale anche quando il soccombente sia stato condannato al relativo
pagamento, per cui in sede di appello può essere sindacata la statuizione
relativa a tale condanna solo quando essa sia stata posta a carico di una parte
non soccombente, oppure risulti manifestamente irrazionale (VI Sez. 21.8.2000 n.
4506). Consiglio di Stato Sezione IV, del 22.02.2003, Sentenza n. 961
Costituiscono principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato quelli che risultano espressi dalla legge 353/2000 - la tutela dell’ambiente non può ritenersi propriamente una materia, essendo l’ambiente da considerarsi un valore costituzionalmente protetto che riguarda altresì campi di azione amministrativa connessi ma distinti, quali ad esempio il governo del territorio e la tutela della salute - la potestà normativa regionale non può derogare alle indicazioni fondamentali connesse alla tutela del valore costituzionalmente protetto. Secondo il testo dell’art. 117 Cost. ante riforma del Titolo V, la potestà legislativa concorrente sussiste per varie materie, fra le quali alcune in ipotesi possono ricomprendere una parte dell’ambito tutelato dalla disposizione in oggetto: urbanistica, agricoltura e foreste. Peraltro, tale potestà legislativa deve sempre essere esercitata ed inquadrata nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato: orbene, questi ultimi risultano espressi dalla legge 353, non solo per la previsione specifica e letterale di cui all’art. 1 comma 1 (a tenore della quale appunto le disposizioni della presente legge sono finalizzate alla conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita e costituiscono principi fondamentali dell'ordinamento ai sensi dell'art. 117 della Costituzione), ma anche alla luce della natura delle disposizioni stesse, costituenti diretta applicazione di principi superiori dell’ordinamento previsti e tutelati dagli artt. 2, 9 e 32 Cost.: ciò giustifica altresì la richiamata previsione dell’intervento sanzionatorio di livello penale. Inoltre, è pur vero che lo stesso orientamento sopra richiamato della Corte costituzionale lascia aperta (“di norma”) la possibilità, quantomeno in termini di opportunità per un’applicazione orientata secondo il superiore criterio della ragionevolezza, di verificare la congruità della disciplina anche alla luce del rinnovato assetto istituzionale. Anche in tale ottica, peraltro, la norma statale in esame appare costituire, da un lato, materia esclusiva ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. s), dall’altro principio fondamentale ex art. 117 comma 3 per gli ambiti di competenza residuali facenti capo alla sfera di cognizione delle regioni (ad esempio governo del territorio, valorizzazione dei beni ambientali e culturali). Infatti la norma in esame, osserva il Collegio, appare diretta in via primaria alla tutela dell’ambiente leso, rappresentato in particolare dal patrimonio boschivo nazionale. La Corte (cfr. ad es. sentenze 26 luglio 2002 n. 407 e 20 dicembre 2002 n. 536) ha poi avuto modo recentemente di precisare che la tutela dell’ambiente non può ritenersi propriamente una materia, essendo l’ambiente da considerarsi un valore costituzionalmente protetto che riguarda altresì campi di azione amministrativa connessi ma distinti, quali ad esempio il governo del territorio e la tutela della salute; di conseguenza, le suddette finalità ambientali possono riguardare anche provvedimenti su “materie” distinte ma pur sempre legate alla tutela di un valore di tale rilievo. Da ciò ne discende che, comunque, il valore ambiente protetto con la presente disposizione, dettata dalla discrezionalità del legislatore, ed i relativi principi non possono che investire anche gli ambiti eventualmente rimessi alla potestà normativa regionale: quest’ultima pertanto non può evidentemente derogare alle indicazioni fondamentali connesse alla tutela del valore suddetto. T.A.R. Liguria, 21 febbraio 2003, sentenza n. 225 (vedi: sentenza per esteso)
Conferenza dei servizi - procedimento per il rilascio della
concessione edilizia - non preclude l'impugnativa né implica acquiescenza.
Neppure la circostanza che in sede di conferenza dei servizi ex art. 14, l. 7
agosto 1990 n. 241, l’interessato abbia convenuto sulla conclusione del
procedimento mediante il rilascio della concessione edilizia per un solo
fabbricato, con riserva, peraltro, di verificare e rivendicare ulteriori diritti
edificatori sul terreno interessato, non precluda l'impugnativa né implichi
acquiescenza, dal momento che questa deve derivare da un atto non equivoco, tale
cioè da non lasciare dubbi sulla volontà dell'interessato di disporre della
propria posizione giuridica soggettiva (cfr. ad es. T.A.R. Lazio sez. Latina, 17
dicembre 1999, n. 1020). A maggior ragione va esclusa qualsiasi acquiescenza nel
caso de quo dove, a fronte dell’approvazione di uno strumento attuativo e del
successivo rilascio di una connessa concessione, in variante rispetto alla
vigente pianificazione generale, da nessun atto o comportamento può trasparire
qualsiasi presunto assenso degli odierni ricorrenti a causa del silenzio
mantenuto avverso una pianificazione generale ormai superata. (In specie il
ricorrente lamenta la violazione della legge n. 353 del 2000 in materia di
incendi boschivi, nonché diversi profili di eccesso di potere, in quanto i
titoli edilizi sarebbero stati rilasciati nonostante la vigenza del divieto di
edificare per dieci anni trattandosi di aree interessate dal fuoco). T.A.R.
Liguria, 21 febbraio 2003, sentenza n. 225 (vedi:
sentenza
per esteso)
La legittimazione attiva ai
soggetti proprietari di immobili confinanti o viciniori con quello oggetto della
concessione edilizia - verifica della sussistenza in concreto di un loro
interesse differenziato - tutela degli interessi dei soggetti collegati in modo
stabile e concreto. La giurisprudenza, ha più volte riconosciuto l’interesse
ad impugnare una licenza edilizia rilasciata a terzi da parte del proprietario
di aree vicine a quelle ove devono realizzarsi le opere, in ragione dello
stabile collegamento con la zona oggetto di intervento, senza necessità della
prova di ulteriori specifici danni. A ben vedere, però, il presupposto assunto a
base di tale enunciazione di principio, è rinvenibile nella circostanza per cui
il contestato intervento venga ad incidere in modo apprezzabile sugli assetti
edilizi, urbanistici od ambientali relativi all’intera zona considerata, e
quindi implicitamente anche sugli interessi dei soggetti a questa collegati in
modo stabile e concreto. Ed è in questo senso che la richiamata giurisprudenza
ha riconosciuto la legittimazione del terzo “radicato nella zona”, ad impugnare
una concessione edilizia che consentisse una nuova edificazione oggettivamente
in grado di incidere sull’assetto urbanistico-edilizio della zona stessa, ovvero
che limitasse un’area destinata a verde, o che intervenisse sui parametri
urbanistici garantiti dalle prescrizioni del P.R.G., o che interessasse i
particolari valori architettonici ed ambientali esistenti, e che quindi
determinasse una apprezzabile modifica dell’assetto territoriale preesistente
nel senso considerato. In altri termini, a giudizio del Collegio, l’assunto per
cui in materia urbanistica si deve riconoscere la legittimazione attiva ai
soggetti proprietari di immobili confinanti o viciniori con quello oggetto della
concessione edilizia, non può comunque prescindere dalla verifica della
sussistenza in concreto di un loro interesse differenziato, alla stregua del
generale principio che regola l’accesso alla tutela giurisdizionale
amministrativa avverso i provvedimenti della pubblica amministrazione. T.A.R.
Liguria, 21 febbraio 2003, sentenza n. 225 (vedi:
sentenza
per esteso)
La notifica della sentenza nei confronti della parte personalmente invece che
del suo procuratore costituito in giudizio non è idonea a far decorrere il
termine breve per l’impugnazione della sentenza per il destinatario e nemmeno
per il notificante - inapplicabilità del principio di cui all’art. 156 c.p.c.
relativo alla sanatoria delle nullità per il raggiungimento dello scopo
dell’atto. La notifica della sentenza avvenuta, in violazione degli art. 170
e 285 c.p.c., nei confronti della parte personalmente invece che del suo
procuratore costituito in giudizio, non è idonea a far decorrere il termine
breve per l’impugnazione della sentenza per il destinatario e nemmeno per il
notificante, essendo improduttiva di effetti la conoscenza della sentenza
acquisita al di fuori della specifica forma stabilita dalla legge e non essendo
neppure applicabile il principio di cui all’art. 156 c.p.c. relativo alla
sanatoria delle nullità per il raggiungimento dello scopo dell’atto (Cass., sez.
lav., 27-01-2001, n. 1152). Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003
- Sentenza n. 915
La sentenza appellata annullata
senza rinvio - principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Deve essere annullata senza rinvio, la sentenza appellata, quando non vi sono
altre doglianze del ricorso originario da esaminare, in quanto basata su una
censura che in effetti non erano state proposte in primo grado, per violazione
del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui
all’art. 112 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo (V. la
decisone di questo Consiglio n.1558 del 23.3.2000). (Nella specie, le censure
effettivamente dedotte in 1° grado, che sono state assorbite dal TAR, non sono
state riproposte in appello e perciò non possono essere esaminate, principio che
vale anche nel caso in cui la parte appellata, vittoriosa in primo grado, non si
sia costituita nel giudizio di appello (V. la decisone di questo Consiglio, sez.
VI n. 25 del 25.1.2001), come è avvenuto nel caso in esame). Consiglio di
Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 914
La decorrenza del termine breve d’impugnazione - la notifica della sentenza alla parte costituitasi mediante procuratore - necessità. Ai fini della decorrenza del termine breve d’impugnazione, la notifica della sentenza alla parte costituitasi mediante procuratore deve essere effettuata - a norma del combinato disposto di cui agli art. 170, 285, 326 c.p.c. e 58 disp. att. stesso codice - a tale procuratore e nel domicilio del medesimo, per cui, ove l’amministrazione si sia costituto in giudizio eleggendo domicilio presso l’ufficio legale della propria sede provinciale, la notifica della sentenza eseguita, presso tale ufficio, nei riguardi dell’ente, anziché del procuratore nominato, è inidonea a far decorrere il termine breve suddetto” (Cass., sez. lav., 04-05-1999, n. 4443). Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 915
Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato sancito dall'art. 112 c.p.c., infatti, è applicabile anche nel processo amministrativo e implica, tra l’altro, il divieto di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nelle domande, pur non precludendo, nell'ambito della situazione fattuale allegata dal ricorrente, una valutazione giuridica autonoma e difforme rispetto a quella prospettata (C.d.S., IV, 23 marzo 2000, n. 1558). Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 906
La remissione della controversia. L'adesione prestata dalla controparte sulla rimessione del giudizio davanti ad un Tribunale diverso da quello adito con il ricorso introduttivo, anche se formulata quando il Consiglio di Stato era stato già investito dell'istanza di regolamento di competenza proposta dall'Amministrazione resistente, preclude al Consiglio una pronuncia di merito su detta istanza, in quanto nel giudizio amministrativo la competenza è derogabile e non vi è un termine perentorio entro il quale le parti possono accordarsi in ordine alla competenza. ( cfr. VI Sez. 13.2.2001 n. 705). Ne consegue che, essendosi le parti accordate per la remissione della controversia al TAR Puglia - Sezione di Lecce, va dichiarata cessata la materia del contendere. Consiglio di Stato Sezione IV, - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 897
Il giudice amministrativo ha il potere di pronunciarsi, in via incidentale (incidenter tantum) e senza valore extraprocessuale su questioni pregiudiziali attinenti a diritti - limiti. Ai sensi degli artt.28 R.D. n.1054/1924 ed 8 L. TAR, il giudice amministrativo ha il potere di pronunciarsi, in via incidentale (incidenter tantum) e senza valore extraprocessuale (cfr. C.G.A.R.S., 27 febbraio 1991, n.27), su questioni pregiudiziali attinenti a diritti (con esclusione dell’incidente di falso e delle questioni sullo stato e capacità delle persone), ai limitati fini della soluzione della vertenza ad esso demandata in via principale (ed ancorché sulla questione sia pendente giudizio dinanzi al giudice dei diritti: cfr. Cons. St., V, 1 ottobre 1986, n.485). Ciò, tuttavia, senza sconfinare nella “tutela dei diritti” riservata all’autorità giudiziaria ordinaria, ma limitandosi a svolgere accertamenti ed eventuali valutazioni critiche sulle situazioni giuridiche quali appaiono dai fatti e dagli atti che l’ordinamento appresta per dare concretezza alle situazioni stesse, e, quindi, per quanto riguarda le proprietà immobiliari e i diritti reali immobiliari, attenendosi alle risultanze dei contratti scritti, dei libri e registri immobiliari e delle sentenze che accertano o costituiscono diritti immobiliari, senza poter accertare fatti od atti modificativi di tali situazioni giuridiche (cfr. Cons. St., V, 4 maggio 1995, n.700). Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 736
La posizione di controinteressato deve ricollegarsi direttamente ed immediatamente all’atto impugnato e non già ad atti successivi. La posizione di controinteressato deve ricollegarsi direttamente ed immediatamente all’atto impugnato e non già ad atti successivi, anche se essi trovino nell’atto impugnato il loro presupposto e va accertata alla data di emanazione del provvedimento impugnato, non avendo alcuna rilevanza le situazioni ed i fatti sopravvenuti (cfr. Cons. St., V, 15 febbraio 2000, n.815; Cons. St., IV, 14 febbraio 1997, n.1283; Cons. St., V, 1 aprile 1992, n.351). Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 736
Impugnazioni - appello - cognizione del giudice d'appello - divieto di reformatio in pejus - esclusione di una circostanza aggravante - corrispondente riduzione della pena inflitta in primo grado - condizioni - orientamenti di giurisprudenza - Cassazione - spese e sanzione pecuniaria per rigetto o inammissibilità del ricorso - soccombenza di tutte le parti private - condanna al pagamento delle spese processuali - soggetti destinatari - orientamenti di giurisprudenza. . Non viola il divieto di reformatio in pejus il giudice di appello che, su gravame del solo imputato, pur escludendo l'esistenza di una circostanza aggravante, lasci inalterata la misura della pena inflitta in primo grado, qualora a quella esclusione non consegua una automatica riduzione di questa, ma la necessità di un rinnovato giudizio comparativo tra aggravanti residue e attenuanti, nella formulazione del quale il giudice di secondo grado conserva piena facoltà di conferma del precedente giudizio di valenza, il cui esercizio è insindacabile in cassazione, se congruamente motivato. (Fattispecie nella quale il giudice di appello aveva escluso l'aggravante della premeditazione, ma confermato quella dei futili motivi, mantenendo fermo il giudizio di equivalenza con le attenuanti come formulato in prime cure). Nel giudizio di cassazione, la soccombenza di tutte le parti private ricorrenti comporta la loro condanna solidale al pagamento delle spese processuali, a nulla rilevando che esse siano portatrici di interessi contrastanti, trattandosi di obbligazione con unicità di causa, di oggetto e di titolo, per la quale opera il principio di solidarietà tra condebitori stabilito dall'art. 1294 cod. civ. ed è, conseguentemente, esclusa la rilevanza della parziale vittoria delle parti civili soccombenti dovuta al mancato accoglimento del ricorso dell'imputato. (Fattispecie concernente dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi sia dell'imputato, sia delle parti civili). Corte di Cassazione, Sez. I, del 6.2.2003, Sentenza n. 5697
Procedure - rinvio ad udienza fissa - presenza del difensore di fiducia - avviso della nuova udienza all'imputato in precedenza dichiarato contumace - obbligo non sussiste - principio generale di economia processuale. Costituisce principio generale di economia processuale che il rinvio ad udienza fissa, se è presente il difensore di fiducia, non implica la necessità di un avviso della nuova udienza all'imputato in precedenza dichiarato contumace, come si desume dagli artt. 148, comma 5, 477 comma 2, 488 comma 2 e 420 quater, 2 comma c.p.p., proprio perché l'imputato quando si procede in contumacia è rappresentato dal suo difensore (Cass. Sez. III, 8544 del 30-7-1992; rv. 191523; Cass. Sez. III, sent. 3980, del 574-1994, rv. 197593; Cass. Sez. VI, sent. 5502 del 4-6-1996, rv. 204988). Pres. TORIELLO - Est. POSTIGLIONE - P.M. ALBANO Ric. G. M. e N. A. - CASSAZIONE PENALE, Sezione III, 5 febbraio 2003 (Ud. 19 dicembre 2002), n. 5441 (vedi: sentenza per esteso)
Il diritto di accesso - l’interesse ad agire per l’accesso la trasparenza
dell’azione amministrativa - lo svolgimento imparziale - la tutela di una
posizione giuridicamente rilevante - la declaratoria di illegittimità del
diniego opposto dall’Amministrazione. Sebbene il diritto di accesso previsto
dall'articolo 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241 sia finalizzato ad assicurare
la trasparenza dell’azione amministrativa e a favorirne lo svolgimento
imparziale, è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza di questo stesso
consesso (da ultimo, Sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2283) che attraverso esso non è
stato introdotto alcun tipo di azione popolare di controllo generalizzato
sull’attività amministrativa: l’accesso deve ritenersi consentito, pertanto,
solo a coloro ai quali gli atti, di cui si domanda l’esibizione o
l’acquisizione, si riferiscono direttamente o indirettamente e che se ne possono
avvalere per la tutela di una posizione giuridicamente rilevante,
indipendentemente dal fatto che essa sia da qualificarsi come diritto soggettivo
o come interesse legittimo (Sez. VI, 2 marzo 2000, n.1122). L’interesse ad agire
per l’accesso, ai sensi dell’articolo 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241,
quindi, oltre a doversi caratterizzare per i noti requisiti dell’attualità e
della concretezza (nel senso che l’Amministrazione impedendo l’accesso abbia
realizzato un fatto lesivo in senso ampio, che senza il processo non potrebbe
essere ripristinato, in termini sez. IV, 24 luglio 2000, n. 4092), presuppone in
ogni caso in capo al richiedente l’esistenza di una posizione giuridicamente
rilevante, astrattamente idonea a rendere utile la pronuncia giurisdizionale
volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del diniego opposto
dall’Amministrazione. Consiglio di Stato, Sezione IV del 4 febbraio 2003,
sentenza n. 569 (vedi:
sentenza per
esteso)
L’istituto del diritto di accesso - l’azione popolare di controllo
generalizzato sull’attività amministrativa - l’interesse ad agire per l’accesso
- posizione giuridicamente rilevante. Attraverso l’istituto del diritto di
accesso, di cui all’articolo 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, non è stato
introdotto alcun tipo di azione popolare di controllo generalizzato
sull’attività amministrativa, in quanto esso deve ritenersi consentito solo a
coloro ai quali gli atti, di cui si domanda l’esibizione o l’acquisizione, si
riferiscono direttamente o indirettamente e che se ne possono avvalere per la
tutela di una posizione giuridicamente rilevante, indipendentemente dal fatto
che essa sia da qualificarsi come diritto soggettivo o come interesse legittimo.
L’interesse ad agire per l’accesso, ai sensi dell’articolo 22 della legge 7
agosto 1990 n. 241, oltre a doversi caratterizzare per i noti requisiti
dell’attualità e della concretezza (nel senso che l’Amministrazione impedendo
l’accesso abbia realizzato un fatto lesivo in senso ampio, che senza il processo
non potrebbe essere ripristinato, presuppone in ogni caso in capo al richiedente
l’esistenza di una posizione giuridicamente rilevante, astrattamente idonea a
rendere utile la pronuncia giurisdizionale volta ad ottenere la declaratoria di
illegittimità del diniego opposto dall’Amministrazione. Consiglio di Stato,
Sezione IV del 4 febbraio 2003, sentenza n. 569 (vedi:
sentenza per
esteso)
La statuizione del giudice sulle spese del grado di giudizio - amplissimo
potere discrezionale - la concreta determinazione degli onorari di avvocato
costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, insindacabile, non
abbisognevole di motivazione. La statuizione del giudice sulle spese del
grado di giudizio è espressione di un amplissimo potere discrezionale, che la
rende sindacabile solo se la condanna alle spese sia stata posta a carico di una
parte non soccombente ovvero quando risulti manifestamente irrazionale ovvero in
contrasto con la normativa riguardante le tariffe professionali (C.d.S., sez. V,
17 settembre 2001, n. 4847; 1 giugno 2001, n. 2966; 2 maggio 2001, n. 2479; 15
febbraio 2001, n.779). Anche la concreta determinazione degli onorari di
avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice,
insindacabile, se compreso tra il minimo ed il massimo della tariffa
professionale, e non abbisognevole di motivazione, con la conseguenza che ai
fini della ammissibilità della relativa censura è necessaria la puntuale
specificazione delle singole voci tariffarie asseritamente violate (Cass. Sez.
lav., 12 novembre 2001, n. 14011). Consiglio di Stato, Sezione IV del 4
febbraio 2003, sentenza n. 569 (vedi:
sentenza per
esteso)
L’improcedibilità dei ricorsi proposti avverso lo scioglimento di un organo collegiale. In linea generale, la giurisprudenza della Sezione propende per l’improcedibilità dei ricorsi proposti avverso lo scioglimento di un organo collegiale allorché i ricorrenti non abbiano poi provveduto ad impugnare il provvedimento col quale l’organo stesso viene ricostituito. ( fra le recenti cfr. IV Sez. 24.9.2002 n. 3733; contra cfr. VI Sez.31.10.1997 n. 1540). Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 564
I motivi d'appello - la pena di
inammissibilità. Si osserva che i motivi d'appello, operando quali strumenti
di determinazione del quantum appellatum, devono essere, a pena di
inammissibilità, articolati in maniera sufficientemente specifica, con la
conseguenza che quando un'argomentazione decisiva della sentenza di primo grado
non è censurata in alcun modo, essa sopravvive all'esame dei motivi di gravame,
consolidandosi (cfr. Sez. V, 7.2.2000, n. 672). Consiglio di Stato, Sez. IV -
4 febbraio 2003 - Sentenza n. 538
La mancata indicazione nel
provvedimento impugnato dei termini e dell'autorità - mera irregolarità - la
concessione dell'errore scusabile - la mancata osservanza della norma sul
procedimento amministrativo (l. n. 241 del 1990)- effetti - opposizione. La
mancata indicazione nel provvedimento impugnato dei termini e dell'autorità cui
ricorrere concreta unicamente una mera irregolarità, non incidente sulla
legittimità dell'atto, ma, ai sensi dell'art. 1, 3º comma, d.p.r. 24 novembre
1971 n. 1199 e dell'art. 3, 4º comma, l. 7 agosto 1990 n. 241, dà titolo al
destinatario dell'atto di ottenere la concessione dell'errore scusabile, al fine
di attivarsi nella giusta sede (C. Stato, sez. IV, 30-03-2000, n. 1814). Al
riguardo, si è chiarito che la mancata osservanza della norma, dettata dall'art.
3, 4º comma, l. n. 241 del 1990 in materia di procedimento amministrativo, che
impone di indicare, «in ogni atto notificato al destinatario» l'autorità a cui è
possibile ricorrere contro l'atto stesso e il relativo termine, non può
considerarsi né una mera irregolarità priva di ogni effetto, né un'omissione che
automaticamente renda il provvedimento impugnabile in ogni tempo; deve
ritenersi, infatti, che la violazione della disposizione in esame renda
rilevante sul piano processuale l'eventuale scusabilità dell'errore in cui sia
incorso il ricorrente (fattispecie relativa al termine per impugnare davanti al
consiglio nazionale forense il provvedimento del locale consiglio dell'ordine di
cancellazione di un praticante dall'elenco degli ammessi all'esercizio del
patrocinio davanti alle preture per il compimento del periodo massimo di legge)
(Cass., sez. un., 18-05-2000, n. 362). Il principio è applicato anche in tema di
sanzioni amministrative: l'omessa indicazione nell'ordinanza ingiunzione (o, in
sua mancanza, nella cartella di pagamento) del termine per proporre
l'opposizione e dell'autorità competente a decidere sulla stessa, ai sensi
dell'art. 3, 4º comma, l. n. 241 del 1990, impedisce la decadenza dal diritto di
proporre opposizione (Cass., sez. III, 25-07-2000, n. 9725). Consiglio di
Stato, Sez. V - 31 gennaio 2003 - Sentenza n. 501
La nozione di “atti obbligatori per
legge”. La nozione di “atti obbligatori per legge” va ristretta agli atti
espressamente sottoposti dalla legge a un termine perentorio (lì dove di regola
i termini apposti all’esercizio della funzione amministrativa, in mancanza di
una diversa qualificazione espressa di legge, sono meramente acceleratori, con
esclusione di effetti di decadenza del potere). T.A.R. Campania Napoli, sez.
I, 31 gennaio 2003, n. 511
La nozione di “autorità indipendenti”
assunta dalla legge processuale amministrativa. Deve comunque ritenersi che
la nozione di “autorità indipendenti” assunta dalla legge processuale
amministrativa a suo presupposto ai fini dell’applicabilità del rito speciale
accelerato (per il caso di impugnativa degli atti adottati da tali autorità)
debba essere intesa in senso proprio e ristretto, come riferita a quegli
organismi collegiali, dotati di specifici apparati organizzatori autonomi,
appartenenti allo stato cd. “comunità” con indipendenza dallo stato cd.
“apparato” o “amministrazione”, posti da leggi speciali di settore a
sovrintendere a ordinamenti settoriali sensibili e di particolare rilievo
sociale, in funzione di regolazione e controllo a tutela di interessi
costituzionalmente rilevanti (Autorità per i servizi di pubblica utilità - legge
481/1995; Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - legge 249/1997;
Autorità garante della concorrenza e del mercato - legge 287/1990; Garante dei
dati personali - legge 675/1996; Commissione di garanzia per l’attuazione della
legge sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali -
legge 146/1990; Autorità di vigilanza sui lavori pubblici - legge 109/1994;
Consob - legge 1974; decreto legge 95/1974, conv. con modif. in legge 216/1974 e
legge 281/1985; Isvap - legge 576/1982; Banca d’Italia, relativamente a talune
funzioni di vigilanza sul settore creditizio). E’ proprio in considerazione
della particolare sensibilità delle materie affidate alle suddette Autorità e
dell’attinenza delle stesse ad interessi di rilevanza costituzionale (tutela dei
minimi garantiti di servizi di pubblica utilità; garanzia della concorrenza;
garanzia del pluralismo e delle libertà nelle comunicazioni; regolazione e
controllo nei settori sensibili dei lavori pubblici, dell’attività creditizia e
delle assicurazioni; diritti di personalità; diritto di sciopero nei servizi
pubblici essenziali) che il legislatore della legge 205 del 2000, nel riformare
la legge processuale amministrativa, ha ritenuto di riservare un trattamento
speciale - improntato a canoni di accelerazione - ai giudizi aventi ad oggetto i
provvedimenti adottati dalle autorità indipendenti. Del resto, una diversa e più
ampliativa nozione di Autorità indipendenti, tale da includere nell’area di
applicabilità della suddetta normativa processuale speciale anche gli atti del
difensore civico regionale, si esporrebbe a fondate critiche di costituzionalità
sotto il profilo dell’ingiustificata compressione dei diritti di difesa
(derivante dalle previsioni acceleratorie de quibus) a fronte di atti e
provvedimenti (del difensore civico regionale) che di regola non investono
settori sensibili a rilevanza costituzionale e perciò non offrono una base
giustificativa ragionevole e sufficiente sul piano del bilanciamento degli
interessi costituzionali coinvolti (cfr. Corte Cost. 10 novembre 1999 n. 427).
T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 31 gennaio 2003, n. 511
L’azione popolare che legittimi qualsiasi cittadino ad impugnare il provvedimento che consente la costruzione di un’opera - la posizione qualificata e differenziata in capo al proprietario di un immobile sito nella zona in cui la costruzione - stabile collegamento con la zona - interesse ad agire - titolare dell’interesse commerciale. La giurisprudenza di questo Consiglio ha, da tempo, affermato che l’art. 31, comma 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (nel testo di cui all’art. 10 della l. 6 agosto 1967, n. 765), non ha introdotto un’azione popolare che legittimi qualsiasi cittadino ad impugnare il provvedimento che consente la costruzione di un’opera, ma ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in capo al proprietario di un immobile sito nella zona in cui la costruzione è permessa ed a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa (confr., fra le più recenti, V Sez. 24.10.2001 n. 5601; C. si. 3.12.2001 n. 621; IV 8.7.2002 n. 3805). Il legislatore ha, in tal modo, espresso l’esigenza di tutelare, nella sede giurisdizionale, in misura più ampia, i valori urbanistici, e quindi l’insediamento inteso quale stabile ubicazione degli interessi di vita dei soggetti (familiari, economici, di rapporti sociali consolidati e rilevanti). In altri settori, in cui pure si avverte l’esigenza di non escludere dalla tutela giurisdizionale interessi meritevoli, nessun utile riflesso avrebbe potuto avere l’introduzione, in via eccezionale, di una singolare azione popolare, limitatamente all’impugnazione delle sole licenze edilizie (confr. V Sez. 9.6.1970 n. 523). È per questa ragione che è stato perciò affermato che è carente di interesse, chi si opponga ad un permesso di costruire, adducendo la lesione di un interesse tipicamente commerciale che deriverebbe dalla realizzazione dell’opera (confr. V Sez. 10.7.1981, n. 360), quando il titolare dell’interesse commerciale non sia insediato nella zona (IV 30.1.2001 n. 312). Consiglio di Stato, Sez. V - 30 gennaio 2003 - Sentenza n. 469
Procedure e varie - Sequestro probatorio operato dalla polizia giudiziaria - Presupposti – Condizioni Convalida - Termini di legge (48 ore) - Effetti - Caducazione del sequestro provvisorio - Obbligo conseguente di restituzione - Art. 355 c.p.p.. Il sequestro probatorio eseguito su iniziativa dalla polizia giudiziaria, l’art. 355 c.p.p. configura due obblighi alternativi del pubblico ministero: l’adozione del provvedimento di convalida del vincolo reale nel rispetto dei termini di legge ( 48 ore) o la restituzione della res all’interessato per caducazione del sequestro provvisorio. Determina l’inefficacia del sequestro l’omessa convalida del vincolo reale da parte del pubblico ministero nel rispetto del termine perentorio di quarantotto ore e l’obbligo di provvedere alla restituzione delle cose sequestrate. Coforme: Cass. Sez. III, 26 settembre 2000, Fossi. Pres. Zumbo - Rel. Squassoni - P.M. Siniscalchi (concl. diff.) - Castiello. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III –29 gennaio 2003 (C.c. 11 dicembre 2002), Sentenza n. 4068
Il termine venti giorni per l’esercizio del controllo regionale sugli atti degli enti locali - termine decadenziale - la data dell’assunzione della decisione - Comitato Regionale di Controllo sugli enti locali. Va ricordato come la giurisprudenza abbia avuto occasione di precisare che il termine venti giorni per l’esercizio del controllo regionale sugli atti degli enti locali riguarda l’adozione del provvedimento e la comunicazione all’ente del dispositivo, e non anche la trasmissione del testo dell’atto di controllo (Cons. St., Sez. V, 23 novembre 1996 n. 1408; 23 gennaio 1995, n. 94). Ne consegue che ai fini del rispetto del termine decadenziale assume rilievo la data dell’assunzione della decisione, ossia quella in cui si è tenuta la riunione del Comitato, non quella in cui viene redatto il provvedimento, che impropriamente viene definito verbale, e che reca la motivazione. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 449
Impugnazione del provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo - il privato non è tenuto a menzionare specificamente i singoli atti procedimentali - gli atti che hanno funzione meramente preparatoria rispetto al contenuto del provvedimento finale. Nell’impugnare il provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo il privato non è tenuto a menzionare specificamente i singoli atti procedimentali intervenuti non aventi una propria autonomia funzionale e strutturale, come appunto i pareri che hanno una funzione meramente preparatoria rispetto al contenuto del provvedimento finale (V. le decisioni di questa Sezione n. 625 del 13.7.1973 e n.2064 del 6.12.1999). Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 439
L’interesse all’annullamento del provvedimento impugnato - l'interesse di natura morale. Non può dubitarsi, sulla scorta di giurisprudenza pacifica ed univoca, che e cioè attinente alla declaratoria dell’illegittimità dell’atto gravato per le conseguenze comunque dispiegate nella sfera giuridica del destinatario, è sufficiente a sorreggere la persistenza dell’interesse all’annullamento del provvedimento impugnato. Tar Puglia - Sede di Bari - Sezione I, - 28 gennaio 2003 - Sentenza n. 395 (vedi: sentenza per esteso)
Impugnazione del silenzio - inadempimento dell’amministrazione - poteri del giudice - la nomina di commissario ad acta nello stesso giudizio. In tema di impugnazione del silenzio - inadempimento dell’amministrazione, l’adunanza plenaria di questo Consesso ha statuito che il giudice può solo accertare l’illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, ma non anche accertare la fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, anche nel caso di atti vincolati (C. Stato, ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1: <<Il giudizio sul silenzio della pubblica amministrazione, di cui all’art. 21 bis, L. TAR, ha natura di accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere con atto espresso, ma non di verifica della fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente, nemmeno nel caso di atti vincolati o di atti a discrezionalità limitata: in tal senso depone l’oggetto del giudizio, individuato dall’art. 21 bis nel <<silenzio>>, e la previsione che il giudice non si sostituisce all’amministrazione, ma si limita ad ordinare a questa di provvedere, ovvero a nominare, in caso di perdurante inerzia, un commissario ad acta; né tale meccanismo processuale appare poco satisfattivo, in quanto il vantaggio è da ravvisare nei tempi veloci della tutela processuale e nella possibilità di ottenere la nomina di commissario ad acta nello stesso giudizio, senza necessità di promuovere ulteriore giudizio di ottemperanza, pur non essendovi il vantaggio della sostituzione giudiziale>>). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenze nn. 431 - 430 - 429 - 428 - 427 - 426. Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 432
L’errore di fatto idoneo a sorreggere il ricorso per revocazione - requisiti. E’ giurisprudenza consolidata, al fine di ipotizzare un errore di fatto idoneo, ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., a sorreggere il ricorso per revocazione, è necessario che vi sia stata una errata percezione del contenuto degli atti del giudizio, derivante da svista o abbaglio dei sensi, che abbia indotto il giudicante a supporre l'esistenza di un fatto che obiettivamente non esiste oppure a considerare inesistente un fatto che risulta, invece, positivamente accertato, sempre che, tuttavia, l'errore non verta su un punto controverso che è stato oggetto di decisione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, VI Sez. n. 3536 del 27 giugno 2001). E’ necessario, altresì, che l’errore si riveli decisivo, nel senso che sussista un rapporto di necessaria causalità fra l'erronea supposizione e la pronuncia emessa (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, VI Sez., n. 4104 del 25 luglio 2001). Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 407
La disciplina del processo amministrativo nella controversia avente per oggetto diritti soggettivi in materie riservate alla giurisdizione amministrativa esclusiva - domande riconvenzionali - decadenza - le modalità procedurali disposte dal codice di rito per il processo civile - “comparsa di risposta” - notifica. Anche nel processo amministrativo, ove la controversia concerna diritti soggettivi in materie riservate alla giurisdizione amministrativa esclusiva, trova applicazione il principio di cui all’articolo 167, comma 2 c.p.c., per cui il convenuto “a pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali […]” nella prima comparsa di risposta - con conseguente preclusione alla sua proposizione nell'ulteriore corso del giudizio (cfr. Cass. civ., 13 marzo 1998, n. 2747) -, dovendo essere rispettate le modalità procedurali disposte dal codice di rito per il processo civile da cui tale forma di azione trae origine. In particolare, nel rito amministrativo per “comparsa di risposta” deve intendersi la prima memoria con cui è effettuata la costituzione in giudizio della parte intimata; tale memoria, a questi fini, deve essere debitamente notificata a tutte le parti interessate. In relazione alla disciplina del processo amministrativo appare, invece, priva di fondamento processuale la distinzione, prospettata dall’appellante, fra la memoria di costituzione ai fini della decisione sulla domanda cautelare e la memoria depositata per l’udienza di discussione del merito, che costituirebbe secondo il Comune l’unica memoria rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 167, comma 2 c.p.c.. In senso contrario deve osservarsi che nel rito amministrativo il giudizio cautelare può inserirsi solo quale incidente nell’ambito di un giudizio contestualmente pendente ai fini della decisione di merito, sicché la prima memoria di costituzione in giudizio depositata ai sensi dell’articolo 22 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ancorché contenga difese specificamente riferite alle questioni da esaminare nella sede cautelare, non può non rilevare anche come memoria depositata per la discussione del merito ed atto nel quale, a pena di decadenza, devono proporsi le eventuali domande riconvenzionali. Nel caso di specie la domanda riconvenzionale risultava irricevibile perché il Comune di Grumo Appula si è costituito in giudizio in data 17 gennaio 2000 ed ha depositato ulteriore memoria di puntuali controdeduzioni in data 18 gennaio 2000, proponendo poi domanda riconvenzionale soltanto in data 19 gennaio 2001. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenze nn. 382; 381; 380; 379; 378; 377; 376; 375; 374; 373; 372; 371; 370; 369; 368; 367; 366; 365; 364; 363; 362; 361. Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 383
La compensazione delle spese del giudizio in deroga al principio della soccombenza - discrezionale apprezzamento del Collegio giudicante ed è insindacabile in appello se non per manifesta illogicità - motivazione “giusti motivi”. In ordine all’eccezione pregiudiziale della parte appellata può, infatti, osservarsi che se è vero, come affermato da questo Consiglio (cfr. dec. Sez. VI 2.3.1999 n. 234), che la valutazione dei giusti motivi ritenuti tali da giustificare la compensazione delle spese del giudizio in deroga al principio della soccombenza appartiene al discrezionale apprezzamento del Collegio giudicante ed è insindacabile in appello se non per manifesta illogicità, bisogna tuttavia convenire con la società appellante che, nella specie, la sentenza impugnata, non fa neanche un generico riferimento ai “giusti motivi”, in quanto afferma apoditticamente che le spese del giudizio possono essere compensate. Pertanto, in mancanza anche di una minima precisazione posta a sostegno della statuizione suddetta, la disposta compensazione può essere sindacata in appello. Consiglio di Stato, Sezione V - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 360
Natura della conferenza di servizi - le tipologie di conferenza di servizi (istruttoria e decisoria) - accelerazione dei tempi procedurali - l’adozione del provvedimento finale. Le argomentazioni dei primi giudici non ne vengono, dunque, a soffrire, e sono, in effetti, ulteriormente confortate dal richiamo del pacifico orientamento giurisprudenziale che, prendendo le mosse dall’inquadramento generale di entrambe le fondamentali tipologie di conferenza di servizi (istruttoria e decisoria) nell’ambito dei moduli organizzativi suscettibili di produrre un’accelerazione dei tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici coinvolti, ha sottolineato la natura di tale istituto come modulo procedimentale, non costituendo esso anche un ufficio speciale della pubblica amministrazione, autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano; con la conseguenza ulteriore che tale modulo riverbera i suoi effetti (che sono di natura procedimentale) sull’atto finale, onde non è necessario notificare il ricorso contro l’atto finale alla conferenza di servizi, che è organo insussistente (cfr. Cons. Stato, IV, 8 luglio 1999, n. 1193). La particolare natura della conferenza di servizi consente ai soggetti a vario titolo interessati al provvedimento finale di far conoscere il proprio punto di vista secondo lo schema della partecipazione funzionale, per cui ciascun apporto mantiene la sua autonomia. La conferenza stessa costituisce una formula organizzativa non lontana dal previo concerto, ed è strumento procedimentale di emersione e comparazione di interessi pubblici, destinati a sintetizzarsi nel provvedimento finale, e non un vero e proprio organo collegiale ove le singole manifestazioni di volontà si fondono in una. La conferenza di servizi non è il luogo giuridico in cui si assumono le decisioni finali, ma solo la sede ove tutti gli interessi pubblici rilevanti in un certo ambito vengono palesati e confrontati e, quale strumento di collaborazione e di accelerazione del procedimento, il suo valore resta determinato dall’ampiezza degli interessi considerati e dalla qualità dei singoli apporti tecnici. Quanto all’atto di indizione della conferenza, parimenti gravato in prime cure, ancor più inconfutabile, se possibile, risulta la natura di atto endoprocedimentale non immediatamente lesivo. Può, attribuirsi rilievo preponderante ed assorbente alla sostanziale condivisibilità della declaratoria di inammissibilità formulata in prima istanza in merito agli atti concretamente impugnati, sulla scorta anche del precedente conforme della Sezione, la quale in tempi recenti ha concluso nel senso dell’inammissibilità, a differenza dell’impugnativa dell’eventuale parere negativo del rappresentante della Regione (che bloccherebbe il normale corso procedimentale ed in tal senso assumerebbe concreta ed attuale lesività), dell’impugnazione proposta avverso il parere positivo espresso da questo tipo di conferenza di servizi, attesa la natura di “atto preparatorio obbligatorio ma non vincolante relativo ad un progetto che doveva ancora essere sottoposto alle valutazioni conclusive dell’Amministrazione comunale per l’adozione del provvedimento finale” (Cons. Stato, V, 13 marzo 2002, n. 1500). Consiglio di Stato, Sezione V - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 349
La notifica delle citazioni, dei ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi - le notificazioni fatte presso la competente Avvocatura dello Stato - la pena di nullità da pronunciarsi anche d'ufficio - giudizi avanti al Consiglio di Stato ed ai Tribunali amministrativi regionali - la difesa tecnica. L’art. 11 primo comma R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 - nel testo modificato dall’art. 1 della L. 25 marzo 1958 n. 260 - stabilisce che “Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente”. A sua volta il comma terzo dello stesso articolo prevede che le notificazioni di cui sopra devono essere fatte presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullità da pronunciarsi anche d'ufficio. L’applicabilità della richiamata normativa nei giudizi avanti al Consiglio di Stato ed ai Tribunali amministrativi regionali - revocata in dubbio per l’effetto dell’entrata in vigore della legge 6.12.1971 n. 1034 il cui art. 21 prevede che il ricorso va notificato all’organo che ha emesso l’atto impugnato - è stata espressamente ribadita dall’art. 10 comma terzo della legge 3.4.1979 n. 103, di talchè la Giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti dell’Amministrazione statale che non sia stato ad essa notificato presso l’Avvocatura dello Stato ( ad es. IV Sez. 17.7.1996 n. 862) salvi gli effetti di sanatoria determinati dall’eventuale costituzione in giudizio dell’Amministrazione stessa, ai sensi della sentenza della Corte cost. 26.6.1967 n. 97. Ne deriva che nel caso in esame, in cui il gravame non è stato notificato presso l’Avvocatura e non si è verificata la sanatoria di cui sopra, il ricorso di primo grado risulta, come eccepito dall’appellante, effettivamente inammissibile. A giudizio del Collegio - che ritiene a seguito di una approfondita riflessione sulla questione di dover adottare delle conclusioni di segno opposto a quella cui era pervenuta la Sezione con la decisione 29.10.2001 n. 5636 - le considerazioni ora svolte non sono inficiate per effetto delle innovazioni introdotte dalla legge 21.7.2000 n. 205 nel rito speciale concernente la materia dell’accesso. Come è noto, il citato art. 4 della legge n. 205 ( rubricato “ Disposizioni particolari sul processo in determinate materie”) così recita al comma 3: “Nei giudizi ai sensi dell'articolo 25, commi 5 e seguenti, della legge 7 agosto 1990, n. 241 il ricorrente può stare in giudizio personalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente”. In sostanza la nuova disciplina, al fine di rendere più semplice e spedito il processo speciale per le controversie in materia di accesso, ha eliminato l’obbligo della difesa tecnica sia per il ricorrente che per l’Amministrazione. Consiglio di Stato, Sezione IV del 23 gennaio 2003, n. 257
Procedimenti speciali - procedimento per decreto - opposizione - restituzione nel termine - richiesta di restituzione nel termine per proporre opposizione al decreto penale di condanna - competenza a decidere - contrasto di giurisprudenza. La competenza a decidere sull'istanza di restituzione in termine, per proporre opposizione al decreto penale di condanna, spetta al G.i.p. e non al giudice del dibattimento (art. 462 e 175, comma 4, cod. proc. pen.). Corte di Cassazione Penale, Sez. IV, del 22.1.2003, Sent. n. 3030
La cessazione della materia del
contendere in ordine alla questione di competenza - rimessione consensuale della
causa ad altro Tribunale amministrativo regionale - principio della fungibilità
dei T.A.R. e della derogabilità delle regole in materia di competenza
territoriale. Il Collegio ritiene che debba essere dichiarata la cessazione
della materia del contendere in ordine alla questione di competenza, la quale si
ha, infatti, allorché la parte, nei confronti della quale sia stata proposta
l’istanza di regolamento, abbia aderito alla rimessione della causa ad altro
Tribunale amministrativo regionale (cfr. Cons. St., VI, 18 ottobre 1999, n.1446;
Cons. St., IV, 14 agosto 1995, n.624; Cons. St., VI, 29 marzo 1983, n.169). Tale
adesione, invero, secondo l’orientamento che pare preferibile, può utilmente
intervenire prima della decisione del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., VI, 8
febbraio 2000, n.704; id., 23 giugno 1988, n.878; id., 19 novembre 1984, n.636;
id., 10 giugno 1977, n.603; contra, Cons. St., VI, 7 maggio 1996, n.649, secondo
cui l’adesione avvenuta successivamente alla trasmissione degli atti al
Consiglio di Stato esclude l’applicabilità dell’art.31 L. 6 dicembre 1971, n.1034
ai fini della trasmissione degli atti al T.A.R. indicato come competente e
richiede la decisione del ricorso da parte del giudice della competenza), con la
conseguenza che essa comunque preclude o esonera il Consiglio di Stato dal
prendere in esame il merito della domanda di regolamento (cfr. Cons. St., IV, 14
luglio 1994, n.600): ciò, a ben vedere, appare in linea con la sistematica di
cui alla L. n.1034/71, ispirata al principio della fungibilità dei T.A.R. e
della derogabilità delle regole in materia di competenza territoriale.
Consiglio di Stato, Sezione IV del 21 gennaio 2003, n. 219
E’ inammissibile il ricorso per regolamento di competenza che
non sia stato notificato a tutte le parti evocate nel giudizio di primo grado,
siano esse costituite o meno. Secondo la giurisprudenza prevalente, invece,
è inammissibile il ricorso per regolamento di competenza che non sia stato
notificato a tutte le parti evocate nel giudizio di primo grado, siano esse
costituite o meno, non essendo ammessa la successiva integrazione del
contraddittorio, stanti le peculiari esigenze di celerità imposte per tale tipo
di giudizio (cfr., ex plurimis, Cons. St., Ad. Plen., 16 maggio 1985, n.15;
Cons. St., IV, 2 dicembre 1999, n.1782; id., 22 maggio 1998, n.821). Deve,
dunque, essere dichiarata l’inammissibilità del proposto regolamento. Conforme:
Consiglio di Stato, Sezione IV del 21 gennaio 2003, n. 217. Consiglio di
Stato, Sezione IV del 21 gennaio 2003, n. 218
Definizione di “tutte le parti in causa” - è inammissibile e
non soltanto improcedibile il ricorso per regolamento di competenza che non sia
notificato, entro il termine di venti giorni, a tutte le parti formali del
giudizio - luogo della notificazione. Secondo il prevalente indirizzo di
questo Consiglio, l'espressione <<tutte le parti in causa>>, si riferisce a
tutte le parti evocate in giudizio, anche se non costituite, o comunque presenti
nel giudizio perché spontaneamente costituitesi fino al momento della
costituzione del soggetto che propone l'istanza di regolamento, con esclusione,
quindi, di tutti i possibili controinteressati ai quali l'atto introduttivo del
giudizio non sia stato o non sia stato ancora notificato, nonché con esclusione
di tutti i possibili interventori non ancora costituitisi (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 1 febbraio 2001, n. 400; sez. IV, 2 febbraio 2000, n. 540; sez. IV, 12
novembre 1996, n. 1559; sez. VI, 2 marzo 1987, n. 78; Ad. Plen. 16 maggio 1985,
n. 15). Conseguentemente, è inammissibile e non soltanto improcedibile il
ricorso per regolamento di competenza che non sia notificato, entro il termine
di venti giorni, prescritto dall'art. 31, 2 comma, l. n. 1034 cit., a tutte le
parti formali del giudizio, atteso che le peculiari esigenze di celerità del
procedimento incidentale previsto per la risoluzione della questione di
competenza e la perentorietà del termine sopra indicato escludono che il giudice
possa disporre l'integrazione del contraddittorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n.
540 del 2000 cit.; sez. VI, 22 maggio 1998, n. 821; sez. VI, 22 gennaio 1986, n.
50). Quanto al luogo della notificazione del regolamento esso va identificato,
per le parti costituite, nel domicilio del procuratore a mente dell’art. 170, co.1,
c.p.c. (cfr. sez. VI, n. 363 del 1998; sez. IV, n. 652 del 1991; sez. VI, n. 460
del 1979). L’onere della notificazione dell’istanza per regolamento di
competenza non può, pertanto, ritenersi adempiuta, in quanto invalidamente
eseguita la notificazione. Consiglio di Stato, Sezione IV del 21 gennaio
2003, n. 216
Il difetto di motivazione della sentenza di primo grado -
inammissibile quale rimedio impugnatorio - l’erroneità della decisione
impugnata. La giurisprudenza è costante nel ritenere che la censura con cui
si contesta il difetto di motivazione della sentenza di primo grado è
inammissibile, giacché l’appello ha carattere di gravame e non di rimedio
impugnatorio, con la conseguenza che l’eventuale carenza di motivazione è di per
sé irrilevante. E’ sufficiente, invero, dedurre l’erroneità della decisione
impugnata, perché l’intera materia del contendere passi all’esame del nuovo
giudice, salvi i soli capi del giudicato interno eventualmente formatosi sui
capi autonomi della decisione che non abbiano formato oggetto di specifici
motivi d’impugnazione (Cons. St., Sez. V, n. 3098 del 29.5.2000; Sez. VI, n.
1197 del 15.9.1999). Consiglio di Stato, Sezione IV del 21 gennaio 2003, n.
214
La comunicazione ai destinatari dell’atto finale - i
procedimenti c.d. semplici - l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento.
La necessità della comunicazione ai destinatari dell’atto finale è stata
prevista in generale dal menzionato art. 7 non soltanto per i procedimenti
complessi che si articolano in più fasi (preparatoria, costitutiva ed
integrativa dell’efficacia), ma anche per i procedimenti semplici che si
esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque
comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante. La
portata generale del principio è confermata dal fatto che il legislatore stesso
(art 7, 1° comma, ed art. 13 L. 241/90) si è premurato di apportare delle
specifiche deroghe ( speciali esigenze di celerità, atti normativi, atti
generali, atti di pianificazione e di programmazione, procedimenti tributari)
all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, con la conseguenza che negli
altri casi deve in linea di massima garantirsi tale comunicazione, salvo che non
venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento
adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la
relativa formalità ( V. le decisioni di questo Consiglio, sez. V n.2823 del
22.5.2001 e sez. VI n.686 del 7.2.2002). Consiglio di Stato, Sezione V del 20
gennaio 2003, n. 178
Provvedimento illegittimo interruttivo del rapporto lavorativo - il principio della restitutio in integrum - il giudicato di annullamento di un provvedimento negativo - diniego di nomina a qualifica superiore. La giurisprudenza, con costante ed univoco orientamento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2001, n. 2286), ha affermato il principio per cui la restitutio in integrum a fini economici è configurabile nei soli casi in cui la prestazione è stata impedita per l’adozione di un provvedimento illegittimo interruttivo del rapporto (sospensione, destituzione ecc.), mentre il giudicato di annullamento di un provvedimento negativo della costituzione del rapporto, cui è equiparabile quello del diniego di nomina a qualifica superiore in esito ad un concorso giudicato illegittimo, dà diritto, in applicazione del principio generale della sinallagmaticità, alla sola retrodatazione della nomina a fini giuridici ma non economici. Consiglio di Stato, Sezione V del 20 gennaio 2003, n. 169
Provvedimenti impugnati che provengono
da organi centrali dello Stato ed hanno efficacia su tutto il territorio
nazionale - competenza del T.a.r. Lazio. I provvedimenti impugnati (D.M. 4
dicembre 2001 e DPCM 29 novembre 2001) provengono da organi centrali dello Stato
ed hanno efficacia su tutto il territorio nazionale, per cui non vi sono dubbi
che il ricorso rientra nella competenza del Tribunale amministrativo regionale
del Lazio a norma dell'art. 3, commi 1 e 3 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034.
Consiglio di Stato, Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 164
La notifica del ricorso in appello in
luogo diverso da quello prescritto non integra il vizio di inesistenza - nullità
sanabile retroattivamente. La giurisprudenza di questo consesso ha chiarito
che la notifica del ricorso in appello in luogo diverso da quello prescritto non
integra il vizio di inesistenza, ma di nullità sanabile retroattivamente o con
la costituzione in giudizio dell’appellato ovvero in caso di notifica effettuata
a mani proprie della parte personalmente, purché nell’ambito di competenza
dell’ufficiale giudiziario (sez. IV, 7 maggio 2001, n. 2555; in senso conforme
anche Cass. Civ., sez. II, 7 aprile 2000, n. 4356). Consiglio di Stato,
Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 162
La notifica dell’atto di appello -
inammissibilità. L’articolo 330 c.p.c., applicabile anche al processo
amministrativo, dispone - tra l’altro - che la notifica dell’atto di appello
deve essere fatta, in mancanza di diversa indicazione, alla parte presso il
procuratore costituito (in primo grado): la violazione di tale prescrizione, in
difetto della costituzione in giudizio dell’appellato, e la mancanza di
qualsiasi nesso di collegamento fra il luogo in cui è concretamente avvenuta la
notifica e/o il legale presso cui la stessa è stata effettuata e la parte del
tutto nulla e rende inesistente la notifica, con conseguente inammissibilità
dell’appello. Consiglio di Stato, Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 162
L’art. 120 della Costituzione fissa solo il principio dell’intervento sostitutivo del Governo - principio di sussidiarietà e di leale collaborazione. L’art.120 della Costituzione fissa solo il principio dell’intervento sostitutivo del Governo, demandando ad un’apposita legge di attuazione “le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione”. Nello stesso senso: TAR Toscana sez. I, del 16 gennaio 2003 sentenze nn. 10-12. TAR Toscana sez. I, del 16 gennaio 2003 sentenza n. 11
I principi generali in materia di diritto di accesso - il requisito della personalità dell’interesse che legittima l’accesso - il diritto alle informazioni in materia ambientale. I principi generali in materia di diritto di accesso ed in particolare il requisito della personalità dell’interesse che legittima l’accesso non sono applicabili nel caso di accesso alle informazioni in materia di ambiente, materia questa disciplinata dalla normativa speciale, di origine comunitaria, prevista dal D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 39. Il legislatore, infatti, nel prevedere che il diritto alle informazioni in materia ambientale spetta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dimostrare il proprio interesse, ha svincolato l’accesso da una particolare posizione legittimante del richiedente, dando per presupposto, attesa la particolare rilevanza del bene in questione, l’interesse all’informazione sulle condizioni ambientali e consentendo altresì il controllo diffuso su detti beni. TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126 (vedi: sentenza per esteso - con commento)
Gli ordini professionali sono
legittimati ad impugnare in sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della
sfera giuridica dell’ente come soggetto di diritto, ma anche gli interessi di
categoria dei soggetti appartenenti all’ordine, di cui l’ente ha la
rappresentanza istituzionale. Secondo il costante orientamento
giurisprudenziale, gli ordini professionali sono legittimati ad impugnare in
sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della sfera giuridica dell’ente
come soggetto di diritto, ma anche gli interessi di categoria dei soggetti
appartenenti all’ordine, di cui l’ente ha la rappresentanza istituzionale
(T.A.R. Marche 11/2/2000 n. 167; C.d.S. Sez. VI 15/4/99 n. 471; C.d.S. Sez. V
7/3/01 n. 1339; ecc.); essi, infatti, per la loro peculiare posizione
esponenziale nell’ambito della rispettiva categoria e per le funzioni di
autogoverno della categoria stessa, costituiscono enti che, pur se su base
associativa e volontaristica, sono istituzionalmente preordinati a curare gli
interessi giuridici ed economici della categoria obiettivamente ed unitariamente
considerata (così T.A.R. Sicilia Sez. I Catania 1/8/95 n. 1982) e vantano
pertanto una posizione legittimante quando contestino la legittimità di un atto
amministrativo suscettibile di recare danno ad un interesse generale della
categoria rappresentata, comprimendo arbitrariamente la sfera delle attribuzioni
professionali o, comunque, incidendo negativamente sulla stessa (T.A.R. Calabria
Sez. Catanzaro 29/10/97 n. 627). TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15
gennaio 2003 n. 126 (vedi:
sentenza
per esteso - con commento)
La legittimazione all’accesso ai documenti amministrativi da parte di un
soggetto portatore di un interesse collettivo - l’interesse giuridicamente
rilevante che legittima la richiesta di accesso - presupposti. Abbastanza
recentemente la giurisprudenza si è occupata della questione relativa alla
legittimazione all’accesso da parte di un soggetto portatore di un interesse
collettivo (nella fattispecie si trattava del Codacons) ed ha chiarito che il
diritto di accesso ai documenti amministrativi ex art. 22 comma 1 della L.
7/8/90 n. 241 non può legittimamente concernere gli atti contenenti elementi
informativi estranei alla sfera soggettiva del richiedente, in quanto, è
necessario un diretto nesso di strumentalità tra il contenuto dei documenti che
il privato chiede di conoscere ed il fine di tutela della situazione
giuridicamente rilevante di cui egli è titolare (cfr. C.d.S. Sez. V 19/1/99 n.
45). L’interesse giuridicamente rilevante che legittima la richiesta di accesso
deve essere infatti concreto e personale, e cioè immediatamente riferibile al
soggetto che pretende di conoscere i documenti e specificamente inerente alla
situazione da tutelare (C.d.S. Sez. VI 3/12/98 n. 1649). In altre parole,
proprio perché l’accesso non è consentito a “chiunque”, ma solo a chi vanti un
interesse qualificato per la tutela di una posizione giuridicamente rilevante
(posizione più ampia di quella richiesta per l’interesse all’impugnazione), che
ricorre, in sintesi, quando il documento in questione sia idoneo a spiegare
effetti diretti o indiretti nei suoi confronti (C.d.S. Sez. IV 3/2/96 n. 98;
14/1/99 n. 32; ecc.), nel caso della richiesta di accesso presentata da un
soggetto deputato alla cura di un interesse collettivo, qual è l’ordine
professionale, deve trattarsi di un documento inerente al medesimo interesse
collettivo di cui è titolare. L’ordine professionale, non potrebbe quindi
chiedere, alla stregua dei principi sopra esposti, informazioni non aventi
alcuna pertinenza con gli interessi di categoria, dovendo sempre sussistere quel
legame teleologico tra gli interessi di competenza dell’ordine ed i documenti
dei quali si chiede l’esibizione. TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15
gennaio 2003 n. 126 (vedi:
sentenza
per esteso - con commento)
Il diritto alle informazioni in materia ambientale spetta a chiunque ne
faccia richiesta senza che questi debba dimostrare il proprio interesse. Nel
sistema, delineato dalla L. 7/8/90 n. 241, il diritto di accesso ai documenti
amministrativi non si atteggia come una sorta di azione popolare diretta a
consentire una sorta di controllo generalizzato sull’Amministrazione - giacché
da un lato l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, da accertare
caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto
stesso da uno specifico nesso, e dall’altro la documentazione richiesta deve
essere direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben
individuabile - (C.d.S. Sez. VI 17/3/2000 n. 1414; 3/11/2000 n. 5930), si
innesta la disciplina speciale, di origine comunitaria, che riguarda
propriamente la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente. Il
D.Lgs. 24 febbraio 1997 n. 39, nel suo settore di applicazione, stravolge il
sistema comune ampliando sia soggettivamente che oggettivamente l’accesso alle
informazioni ambientali, ed introducendo quell’azione popolare che la
giurisprudenza aveva negato in relazione alla disciplina contenuta nella L. n.
241/90. Il legislatore, nel prevedere che il diritto alle informazioni in
materia ambientale spetta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba
dimostrare il proprio interesse, ha svincolato l’accesso da una particolare
posizione legittimante del richiedente, dando per presupposto, attesa la
particolare rilevanza del bene in questione, l’interesse all’informazione sulle
condizioni ambientali e consentendo altresì il controllo diffuso su detti beni.
Anche dal punto di vista oggettivo vi è stata un’estensione del diritto di
accesso, che non riguarda più soltanto i documenti (anche se estensivamente
individuati) ma le “informazioni relative all’ambiente” intese come “qualsiasi
informazioni in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati
riguardante lo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della
flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché le attività, comprese
quelle nocive, o le misure che incidono o possono incidere negativamente sulle
predette componenti ambientali e le attività o le misure destinate a tutelarle,
ivi compresi le misure amministrative e i programmi di gestione dell’ambiente”.
TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126 (vedi:
sentenza
per esteso - con commento)
Il diritto all’informazione ambientale - limiti - la legittimazione.
L’art. 4 del D.Lgs. n. 39/97 esclude il diritto all’informazione ambientale
quando dalla divulgazione dei dati possa derivare un danno all’ambiente stesso,
ovvero in casi tassativamente determinati dalla medesima disposizione; il
rifiuto può essere altresì disposto quando la richiesta sia talmente generica da
non consentire l’individuazione dei dati da mettere a disposizione. Pertanto,
solo ove si tratti di informazioni ambientali, può ritenersi sussistente la
legittimazione da parte del Consiglio dell’Ordine Professionale, giacché nel
concetto di “chiunque” previsto dall’art. 1 del più volte citato D.Lgs. n.
39/97, non può non ricomprendersi qualunque soggetto, e quindi anche l’ordine
professionale. TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126
(vedi:
sentenza per esteso - con commento)
La richiesta di accesso agli studi compiuti sulla sicurezza dei laboratori
sotterranei e delle attività ivi svolte - la sicurezza degli impianti, delle
gallerie, e le misure adottate è un interesse che trascende la tutela ambientale
- la sicurezza e l’incolumità delle persone che operano all’interno dei
laboratori - disciplina sulla trasparenza in materia ambientale. Sebbene il
Legislatore abbia ricompreso nell’ambito delle informazioni in materia
ambientale non soltanto quelle relative allo stato dei beni ambientali, ma anche
quelle relative alle “attività, comprese quelle nocive,… che incidono o possono
incidere negativamente sulle predette componenti ambientali” ovvero “le attività
o le misure destinate a tutelarle”, nondimeno ritiene il Collegio che la
richiesta di accesso agli studi compiuti sulla sicurezza dei laboratori
sotterranei e delle attività ivi svolte, al fine di consentire allo stesso
soggetto richiedente di poter valutare quali siano i rischi connessi allo
svolgimento dell’attività di ricerca ivi svolta, esuli dall’ambito di
applicazione della predetta disposizione. Il Collegio, in mancanza di
informazioni da parte dell’Istituto intimato, non conosce compiutamente quale
sia l’attività propriamente svolta all’interno dei laboratori sotterranei del
Gran Sasso, e se vi sia una qualche tipologia di attività che non possa essere
divulgata (e correlativamente non possano essere oggetto di esibizione gli
eventuali progetti che la riguardano), ma in generale ritiene che la
divulgazione degli studi sulla sicurezza delle strutture sotterranee, degli
impianti ivi realizzati (a quanto consta, già da molto tempo) per poter svolgere
l’attività di ricerca, non possa essere giustificata da ragioni ambientali che
risultano adeguatamente soddisfatte attraverso l’acquisizione diretta delle
informazioni su tutte le sue componenti. La sicurezza degli impianti, delle
gallerie, e le misure adottate perché l’attività di ricerca non arrechi danni a
terzi, è un interesse che trascende la tutela ambientale, investendo anche e
soprattutto, la sicurezza e l’incolumità delle persone che operano all’interno
dei laboratori. Pertanto, ritiene il Collegio, che non possa ragionevolmente
fondarsi sulla disciplina sulla trasparenza in materia ambientale, la richiesta
di accesso agli studi sulla sicurezza dei laboratori. Né potrebbe ritenersi
legittimato l’ordine professionale in questione sulla base della disciplina
comune della L. n. 241/90, non essendo istituzionalmente deputato alla cura
della sicurezza né dei luoghi, né delle persone che vi operano. Il Consiglio
dell’Ordine è legittimato ad agire solo per la cura di interessi collettivi e
può richiedere la sola documentazione ad essa pertinente: la sicurezza dei
laboratori sotterranei non rientra negli interessi della categoria, non essendo
gli ingegneri, liberi professionisti, istituzionalmente deputati alla
valutazione dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività di ricerca svolta
presso i laboratori dell’I.N.F.N. Ritiene il Collegio, però, che nonostante non
possa ritenersi ammissibile l’accesso alle informazioni “sugli studi, progetti e
dati inerenti alla sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e
delle attività ivi svolte, delle gallerie stradali e della compresenza di
persone”, nondimeno attraverso l’acquisizione di tutte le altre informazioni
richieste con l’istanza del 10/6/02 e relative propriamente ai beni ambientali,
l’interesse del ricorrente sia sostanzialmente soddisfatto ben potendo conoscere
compiutamente qual’è la condizione attuale del territorio, delle captazioni
idropotabili e delle falde idriche, elementi questi che, dalla lettura degli
atti, paiono particolarmente significativi per il Consiglio dell’Ordine
ricorrente. La conoscenza dei dati in possesso dell’Amministrazione intimata e
relativi ai suddetti elementi, può scongiurare quei rischi paventati nel
ricorso, e consentire agli iscritti di poter validamente svolgere la loro
attività di progettazione. In conclusione, il ricorso deve essere accolto solo
in parte, disponendosi l’ordine per l’I.N.F.N. di fornire tutte le informazioni
disponibili in forma scritta visiva o sonora relative alle captazioni
idropotabili, alle falde idriche del Gran Sasso, allo stato delle acque,
dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del territorio interessato,
alle attività, alle misure e agli strumenti di tutela delle predette componenti
ambientali. TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126
(vedi:
sentenza per esteso - con commento)
Il termine quinquennale di
prescrizione, previsto dall’art. 2949 c.c. - giurisprudenza - il diritto al
risarcimento del danno - l’azione di responsabilità del Procuratore regionale
della Corte dei conti - esperibilità. Secondo parte della giurisprudenza
della Corte di Cassazione (cfr. n. 634/1965) il termine quinquennale di
prescrizione, previsto dall’art. 2949 c.c., al quale è soggetta l’azione di
responsabilità della società contro i loro amministratori decorre dalla
deliberazione assembleare che ai sensi dell’art. 2364 n. 4 c.c. autorizza
l’esercizio dell’azione. Altra parte della giurisprudenza (cfr. Cass. n.
3887/1969) ritenendo che il termine quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c.
decorra dal fatto dannoso compiuto dall’amministratore, afferma che il decorso
di tale termine è sospeso finchè gli amministratori sono in carica. In ambedue i
casi viene in rilievo, se pure con diverse modalità, la possibilità concreta per
la società e per i soci di conoscere il comportamento illecito dei propri
amministratori. Quanto al profilo oggettivo va ricordato che nel campo dei
diritti di credito il termine iniziale della prescrizione coincide con il
momento in cui la prestazione dovuta è esigibile dal creditore. In tal senso la
giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. per tutte n. 1306 del 15 marzo
1989) precisa che il concetto di fatto da cui decorre il termine di prescrizione
non deve considerarsi ristretto all’azione od omissione, ma deve essere esteso
all’evento, la cui certezza ed attualità integra la responsabilità. In detti
termini va letta la norma di cui ai commi 2 e 2 ter dell’art. 1 della L. n.
20/1994 e successive modificazioni, secondo la quale il diritto al risarcimento
del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni. In proposito queste Sezioni
Riunite (sentenza n. 7/2000/QM del 24 maggio 2000) hanno già precisato che
l’azione di responsabilità del Procuratore regionale della Corte dei conti è
condizionata nella sua esperibilità, tra l’altro, da una domanda diretta ad
ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale ossia il ristoro di una
diminuzione del patrimonio dell’ente. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15
gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi:
sentenza per esteso)
L’accesso ai documenti amministrativi - la sospensione feriale dei termini processuali - il termine perentorio per ricorrere. Pur calcolando la sospensione feriale dei termini processuali fissata dalla legge n. 742/69, per costante giurisprudenza (Cons. di Stato, VI, nn. 184/96 e 260/97) applicabile anche al rito speciale previsto per l’accesso ai documenti amministrativi, il termine perentorio per ricorrere risulta, in specie, comunque superato, sia pure di pochi giorni. Dispone infatti il comma 5 dell’art. 25 della legge n. 241/90 che “contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso…è dato ricorso, nel termine di trenta giorni,…” decorrenti dalla data di ricezione del diniego (Cons. di Stato, VI, n. 1414/00). Va precisato che, nonostante l'intestazione del ricorso, non vi è dubbio che trattasi di un giudizio di tipo impugnatorio; diversamente, nella specie, non avrebbe senso la previsione normativa del predetto termine decadenziale. Il ricorso pertanto è irricevibile. TAR Toscana - Firenze sez. III, del 15 gennaio 2003 sentenza n. 8
Manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge
11 giugno 1998, n. 180 e succ. mod. (Misure urgenti per la prevenzione del
rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella
regione Campania). La Corte Costituzionale dichiara la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2,
del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180 (Misure urgenti per la prevenzione del
rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella
regione Campania), convertito, con modificazioni, in legge 3 agosto 1998, n.
267, e dell’art. 8, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 20 settembre
1999, n. 354 (Disposizioni per la definitiva chiusura del programma di
ricostruzione di cui al titolo VIII della legge 14 maggio 1981, n. 219, e
successive modificazioni, a norma dell’articolo 42, comma 6, della legge 17
maggio 1999, n. 144), sollevata dal Collegio arbitrale di Napoli con ordinanza
del 18 febbraio 2002, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41 e 97 della
Costituzione, e con ordinanza del 5 marzo 2002, in riferimento agli artt. 2, 25,
41 e 97 della Costituzione. Corte Costituzionale 15 gennaio 2003 Ordinanza n.11.
Risarcimento danni - creditore danneggiato - obbligo di
attivarsi per la risarcibilità i danni - l’onere di prova che incombe al
debitore. L’istituto al quale sono stati ricondotti gli argomenti difensivi
considerati (previsto e regolato dall’art.1227 II comma c.c.) impone, com’è
noto, al creditore danneggiato un vero e proprio obbligo di attivarsi, nei
limiti dell’ordinaria diligenza, per evitare le conseguenze patrimoniali dannose
e sanziona l’inosservanza di tale dovere escludendo dall’ambito della
risarcibilità i danni che avrebbero potuto essere attivati con la diligente
osservanza del precetto. Qualificando tale strumento di difesa come eccezione in
senso stretto, la giurisprudenza civile ha, in proposito, stabilito che incombe
al debitore, e cioè all’autore dell’illecito, l’onere di provare, con il dovuto
rigore, che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare una parte del
pregiudizio patrimoniale, usando l’ordinaria diligenza (cfr. ex multis, Cass.
Civ. Sez. Lav., 20 novembre 2001, 14592). Per negare qualsiasi fondatezza ai
motivi in esame, appare, quindi, sufficiente osservare che, nel caso di specie,
il Comune ricorrente si è limitato ad affermare la non imputabilità a sé del
tempo occorso per la definizione dei ricorsi proposti dalla società danneggiata,
senza, tuttavia, dimostrare se ed in che misura l’eventuale attivazione di
diversi e più celeri strumenti di tutela (a dire il vero difficilmente
immaginabili) avrebbe potuto ridurre il ritardo con cui sono stati, infine,
rilasciati i titoli edilizi dal Commissario ad acta. Nello stesso senso:
C.d.S., Sez. V, 14/01/2003 n. 87. Consiglio di Stato, V Sezione del 14
gennaio 2003 sentenza n. 88
Risarcimento danni - i termini al fine di ottenere l’accertamento dell’illecito. Il tempo occorrente per la definizione di un giudizio tempestivamente azionato dal danneggiato, proprio al fine di ottenere l’accertamento dell’illecito, non può in alcun modo risolversi in danno del creditore e servire alla riduzione del risarcimento ai sensi dell’art.1227 II comma c.c., posto che in tale condotta non è ravvisabile alcuna negligente inerzia nella (doverosa) conservazione del patrimonio (Cass. Civ., Sez. Lav., 29 maggio 1995, n.5993). Nello stesso senso: C.d.S., Sez. V, 14/01/2003 n.87. Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 88
Caso di contestuale pronuncia su più domande connesse - valenza sostanziale autonoma - fondate su censure od argomenti tra loro indipendenti - il principio del limitato effetto devolutivo dell’appello. Nel caso di contestuale pronuncia su più domande che, ancorchè connesse, presentano una valenza sostanziale autonoma e risultano, perciò, fondate su censure od argomenti tra loro indipendenti, il principio del limitato effetto devolutivo dell’appello (tantum devolutum quantum appellatum) esige che con l’atto di impugnazione vengano specificamente criticate tutte le parti della decisione riferibili alle questioni relative ad ognuna delle domande e che l’omessa esplicita contestazione con l’appello di uno o più capi implica, in applicazione del II comma dell’art.329 c.p.c., l’acquiescenza alle parti non impugnate (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 settembre 1999, n.1434). Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 87
L’ammissibilità dell’adozione da parte del Giudice Amministrativo di provvedimenti propulsivi che assicurino l’attuazione dell’ordinanza di sospensione - fase cautelare la tutela esecutiva del giudizio di ottemperanza. L’ammissibilità dell’adozione da parte del Giudice Amministrativo di provvedimenti propulsivi che assicurino l’attuazione dell’ordinanza di sospensione e, quindi, la produzione dei connessi effetti satisfattivi, ancorchè in via interinale, dell’interesse azionato era stata, infatti, riconosciuta ed affermata da un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, ord. n.2167 del 16 novembre 1999) anche prima che la riforma processuale del 2000 estendesse espressamente alla fase cautelare la tutela esecutiva del giudizio di ottemperanza. Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 87
Il sindacato di legittimità sul vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione - limiti - il compito del giudice di legittimità - la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione debbono risultare dal testo del provvedimento impugnato. Il sindacato di legittimità sul vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione è circoscritto al riscontro di un logico apparato argomentativo sui ponti della decisione impugnata, perchè il legislatore non ha previsto la verifica dell'adeguatezza delle argomentazioni di cui al giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, nè la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. Un. n. 6402 del 1997). Di conseguenza il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. Sez. Un. n. 930 del 1996). Infine, come risulta dal chiaro testo della norma invocata dallo stesso ricorrente (art. 606 lett. e c.p.p.), la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione debbono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che detto testo è manifestamente carente di motivazione e/o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Cass. Sez. Un. n. 16 del 1996). Corte di Cassazione, Sezione II Penale, del 13 gennaio 2003 sentenza n. 960 (vedi: sentenza per esteso)
Il c.d. diritto di impugnazione non costituisce esercizio di una azione autonoma - la revocazione - impugnazioni - procedimento di revocazione - legittimazione a proporla. Va, in proposito, ricordato, su di un piano generale che nell’ambito del processo, il c.d. diritto di impugnazione non costituisce esercizio di una azione autonoma, ma piuttosto di un potere riconosciuto a coloro che furono coinvolti dalla domanda già proposta, nonché da essa, in qualche modo “gravati”. Si tratta perciò di un potere processuale avente lo scopo precipuo, di eliminare la soccombenza (Cass., 7 luglio 2000 n. 9065). E’, per tale ragione che, è stata ritenuta inammissibile l’impugnazione proposta ad opera di un soggetto che non sia stato parte nel precedente grado e non sia risultato soccombente (Cass., Sez. I, 23 febbraio 1993 n. 2214). Già sul piano della teoria generale del processo, il requisito fondamentale ai fini della legittimazione e dell’interesse all’impugnazione è costituito dalla soccombenza della parte che ha proposto l’impugnazione; dal fatto cioè, che la sentenza impugnata abbia disposto di un rapporto controverso, rispetto al quale la parte impugnante sia ancora parte in senso sostanziale; ovvero, il che è lo stesso dal fatto, che il rapporto sostanziale dedotto in giudizio, riguardi (ancora) la parte che propone l’impugnazione e che la sentenza di cui richiede l’impugnazione abbia effettivamente disposto di tale rapporto. Anche per la revocazione devono, pertanto, trovare applicazione i principi generali in tema di interesse e di legittimazione ad impugnare che disciplinano, ai sensi dell’art. 323 e seguenti del codice di procedura civile, i rimedi ordinari (Cass., Sez. I, 7 luglio 2000 n. 9065); la revocazione, è infatti, inquadrabile fra le impugnazioni, posto che il codice di rito civile la colloca nel Titolo III del libro II ad essa dedicato e che l’art. 400 del medesimo codice stabilisce che nel procedimento di revocazione dinnanzi al giudice adito trovano applicazione le norme poste per il procedimento davanti a lui, se non derogate da quelle dettate in tema di revocazione. La circostanza che anche per la revocazione debbono trovare applicazione i principi generali sull’interesse e sulla legittimazione ad impugnare che disciplinano, ai sensi dell’art. 323 c.p.c., i rimedi ordinari, è stata, d’altra parte, correttamente posta in relazione al fatto che la revocazione riproduce il medesimo oggetto del giudizio del procedimento anteriore (Cass., n. 9065 del 2000, cit.), senza che possano trovare ingresso, nel medesimo giudizio di revocazione questioni che del giudizio anteriore di appello non facevano più parte, in quanto in esso non introdotte dalle parti con apposito mero di gravami. E’, in tale prospettiva, pertanto, che deve essere correttamente intesa l’affermazione tradizionale secondo cui una sentenza può essere impugnata per revocazione soltanto dagli stessi soggetti che sono stati parti nel giudizio cui si riferisce la pronuncia di cui viene chiesta la revocazione. I soggetti che chiedono la revocazione di una pronuncia di appello devono pertanto, aver preso parte al relativo procedimento non soltanto perché destinatari della notificazione del gravame (eventualmente come denunciatio litis); ma anche perché titolari del rapporto di cui si discute nel relativo giudizio, e di conseguenza, pregiudicati dalla sentenza che lo definisce. Anche la revocazione, come tutte le impugnazioni, può essere proposta soltanto da un soggetto che ha interesse alla medesima, perché soccombente nel precedente giudizio, la sua domanda di revocazione deve, d’altra parte, riguardare una pronuncia giurisdizionale che lo ha pregiudicato, e deve tendere ad eliminare la soccombenza un tale giudizio verificatosi. Consiglio di Stato Sezione VI, 8 gennaio 2003 sentenza n. 19
La revocazione - l’errore di diritto
che si estrinseca nell’erronea applicazione di norme sostanziali e processuali -
l’errore di fatto revocatorio. Il Collegio osserva che l’errore di fatto
che, ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., può dar luogo alla revocazione della
pronuncia impugnata consiste, in via generale, in una falsa percezione, da parte
del giudice, della realtà risultante dagli atti di causa, e più precisamente in
una svista materiale che abbia indotto a supportare l’esistenza di un fatto che
obiettivamente non esiste oppure a considerare inesistente un fatto che,
viceversa, risulta positivamente accertato, sicché esorbita dall’ambito della
revocazione, configurandosi invece, come errore di diritto, quello che attiene
alla attività valutativa del giudice, ed in particolare quello che si estrinseca
nell’erronea applicazione di norme sostanziali e processuali (Sez. VI, 7 agosto
1999 n. 1081; 3 agosto 2000 n. 4278; 8 novembre 2000 n. 5992). In questo più
generale contesto, la giurisprudenza ha ammesso che l’errore di fatto
revocatorio possa riguardare anche la percezione degli atti processuali, ed in
particolare ne ha ammesso la configurabilità anche quando cada sull’esistenza o
sul contenuto degli atti processuali e determini, una omissione di pronuncia,
purché esso sia identificabile attraverso la motivazione della sentenza (Cons.
Stato, Ad. Plen., 22 gennaio 1997 n. 3 ). E’, infatti la motivazione che rivela
l’abbaglio (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 3 1997, cit.; 30 luglio 1980 n. 36 ). A
tale indirizzo si è uniformata la Sezione (Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2000 n.
1092; 9 marzo 2000 n. 1237). E’ stato, altresì precisato che l’errore di fatto è
configurabile anche in ordine a documenti e atti processuali, ma solo
nell’attività di lettura e di percezione del loro incontestabile significato
letterale e logico da parte del giudice (Cons. Stato Sez. IV, 2 marzo 2001 n.
1159; 18 ottobre 1996 n. 1137), giacchè l’errore di interpretazione e di
valutazione dei fatti è un errore di diritto, nei cui confronti è inammissibile
la revocazione (Sez. IV, n. 1159 del 2001 cit.). Con riferimento all’errore di
fatto sulla percezione degli atti processuali, la motivazione della sentenza
deve, pertanto far emergere l’errore sul contenuto degli atti processuali.
Consiglio di Stato Sezione VI, 8 gennaio 2003 sentenza n. 19
L’errore scusabile. L’Adunanza
Plenaria ha, d’altra parte, di recente riconosciuto il beneficio dell’errore
scusabile, in una ipotesi di mancato rispetto del termine dimidiato (ai fini del
deposito del ricorso in appello) introdotto dall’art. 4 della legge n. 205 del
2000 in relazione ad alcune materie espressamente identificato. (Ad. Plen., 31
maggio 2002 n. 5). Appare allora del tutto ragionevole riconoscere tale
beneficio in una ipotesi in cui si discute del rispetto del termine dimezzato
introdotto dall’art. 19 del decreto legge n. 67 del 1997, e cioè della norma che
costituisce l’antecedente storico dell’art. 4 della legge n. 205 del 2000.
Consiglio di Stato Sezione VI, 8 gennaio 2003 sentenza n. 19
Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni
2011 - 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 - 2000 - 1999-92
(N.B.: queste pagine continueranno ad essere aggiornate)