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Giurisprudenza

 

Appalti

Anno 2003

Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni:

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Appalti - Servizio di assistenza tutelare e domiciliare in favore dei disabili e degli anziani - Offerte anomale - Art. 25 c. 2, D. L. n. 157/1995 - Art. 1 c. 1 L. n. 327/2000 - Costo minimo del lavoro - Tabelle ministeriali - Riduzione - Possibilità - Limiti e condizioni. Il rapporto tra l’art. 25, comma 2, decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 e l’art. 1, comma 1 legge 7 novembre 2000, n. 327 chiarisce che la prima disposizione esclude, a proposito della valutazione dell’anomalia, l’ammissibilità di giustificazioni concernenti elementi i cui valori minimi sono stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, mentre la seconda impone alle amministrazioni aggiudicatrici uno specifico apprezzamento dell’adeguatezza del valore economico dell’offerta al costo del lavoro, come determinato, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro, sicché la seconda norma costituirebbe una specificazione della prima, nel senso che introduce un parametro certo - le tabelle ministeriali sul costo del lavoro - cui riferire la valutazione di anomalia delle offerte, ma non autorizza l’esclusione automatica di quelle che contengono valori inferiori a quelli minimi. In altri termini, il combinato disposto delle due fonti legislative da un lato non consente l’allegazione di giustificazioni sulla remuneratività dell’offerta riferite alle tariffe sul costo del lavoro, ma dall’altro consente di allegare l’abbattimento del costo orario indicato nelle tabelle in ragione della decurtazione derivante dai benefici previsti da norme di legge e degli altri tipi di oneri ivi indicati. CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9318

Appalti - Cessazione della materia del contendere e sopravvenuta carenza d’interesse - Impresa legittimamente esclusa dalla gara - Impugnativa esito della procedura - Legittimazione e interesse - Insussistenza. E’ improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse la censura diretta avverso il procedimento di verifica dell’anomalia nei riguardi delle offerte della altre concorrenti allorquando l’impresa ricorrente risulta esser stata legittimamente esclusa dalla gara, posto che in tale evenienza il soggetto risulta privo di qualsiasi titolo, sostanziale o processuale, a contestare lo svolgimento e gli esiti di una procedura alla quale è rimasto, oramai definitivamente, estraneo. CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9318

Appalti - Scelta del contraente - Requisiti idoneativi aggiuntivi rispetto a quelli di legge - Possibilità - Condizioni. La decisione ribadisce la consolidata giurisprudenza che ammette la facoltà delle stazioni appaltanti di introdurre requisiti idoneativi aggiuntivi per le imprese partecipanti, nel rispetto dei limiti di ragionevolezza e proporzionalità (Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2320, sez. V, 1 giugno 2001, n. 2973, sez. VI, 9 maggio 2000, n. 2682). Nel caso in esame l’impresa ricorrente aveva impugnato le previsioni del bando per l’appalto del servizio di pulizia in una struttura ospedaliera che imponevano requisiti aggiuntivi (fatturato conseguito - in esecuzione di servizi di pulizia di strutture ospedaliere dotate di più di 500 posti letto – nei tre anni precedenti non inferiore a Euro 1.900.000 di cui Euro 620.000 riferiti al solo anno 2001) rispetto all’iscrizione nel registro delle imprese, secondo il sistema di classificazione descritto dall’art. 3 d.m. n. 274/97. Il Consiglio di Stato rileva che la documentazione riassunta in tale sistema di classificazione attiene alla verifica del possesso dei requisiti minimi e non implica l’automatica qualificazione alla gara dell’impresa iscritta per la classifica di riferimento. Conclusione avvalorata nel caso degli appalti del servizio di pulizia dal fatto che l’elenco di cui al d.m. n. 274/97 omette di distinguere il tipo di servizi svolti dall’impresa iscritta e si limita a trattare l’attività di pulizia unitariamente ed indistintamente. Più in particolare, il Consiglio afferma che non è irragionevole la prescrizione che riferisce il fatturato realizzato nel triennio a servizi di pulizia resi in ambiti sanitari, poiché mira alla verifica di un’esperienza specifica maturata nel settore della pulizia sanitaria, conformemente al dettato dell’art. 13, comma 1, lett. c), d. lgs. n. 157/95, che, laddove riferisce il fatturato necessario a comprovare la capacità economica dell’impresa “ai servizi identici a quello oggetto della gara”, intende affermare la necessità di attestare l’esperienza maturata nell’esercizio delle stesse prestazioni che dovranno essere rese in esecuzione del contratto alla cui stipulazione è preordinata la gara (l’identità dei servizi non può essere intesa con esclusivo riferimento all’oggetto indefinito dell’attività - e cioè, nel caso di specie, ai servizi di pulizia - ma va anche riferita alla tipologia delle strutture destinatarie delle prestazioni). Del pari non irragionevole sarebbe, a secondo il giudice d’appello (che su tale punto ha dissentito dalla pronuncia appellata del Tar Liguria: Sezione II n. 20/2003) la clausola del bando che riferisce il fatturato a servizi di pulizia di strutture ospedaliere dotate di più di 500 posti letto. CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9305

Appalti - Servizio di manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione e di regolazione del traffico - Rinnovo - Proroga del termine - Distinzione - Conseguenze. Ribaltando la tesi del giudice di primo grado (T.A.R. Puglia-Lecce, Sez. II, n. 8416 del 18.12.2002), il Consiglio di Stato respinge il ricorso di un’impresa del settore che aveva contestato la delibera di giunta comunale di rinnovo fino al 2011 del contratto relativo al servizio di manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione e di regolazione del traffico che l’impresa intimata si era aggiudicato, a seguito di gara mediante licitazione privata, a decorrere dal 1994, per la durata di cinque anni, ma ancora in corso, in quanto tacitamente prorogato. La decisione del Consiglio di Stato si basa sulla distinzione tra rinnovo tacito del contratto (vietato) e proroga del termine di scadenza (consentita). Nel caso di specie il contratto originario era ancora in corso, poiché conteneva una clausola (consentita) di proroga automatica di anno in anno, fino ad un massimo di quattro anni, salvo disdetta da una delle parti sei mesi prima della scadenza. Clausola, questa, che non costituirebbe – a detta dei giudici d’appello, e contro l’opinione del Tar - un caso (vietato) di rinnovo tacito (colpito dalla nullità prevista dall’art. 6 della legge n. 537 del 1993 come sostituito dall’articolo 44 della legge n. 724 del 1994), ma un caso (consentito) di mera prosecuzione del contratto. Il Consiglio sottolinea che si tratta di due situazioni diverse, in quanto solo il rapporto che si instaura anche tacitamente tra le parti dopo la scadenza del periodo di durata del contratto dà vita ad un rapporto giuridicamente nuovo rispetto a quello originario, mentre la proroga riguarda lo stesso contratto originariamente stipulato. La proroga sposta in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, che resta regolato dalla convenzione accessiva all’atto di affidamento del servizio, mentre il rinnovo del contratto, anche se in forma tacita, comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, ossia un rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale (cfr. C.d.S., Sez. VI, 29.3.2002 n. 1767). Tra la proroga e la rinnovazione del contratto corre una sostanziale differenza e appunto per tale ragione deve ritenersi che l’art. 6, nella prima parte, vieta, in modo diretto ed assoluto, solo l’effetto del rinnovo, ma non impedisce l’inserimento di clausole che prevedano la prorogabilità del contratto (cfr. dec. Sez. V, 20.10.1998 n. 1508). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9302

Appalti - Rinnovo - Termine di tre mesi dalla scadenza - Decorrenza - Individuazione - Art. 6, c. 2 L. n. 537/1993 - Art. 44 L. n. 724/1994. Il disposto dell’art. 6, secondo comma, della legge n. 537 del 1993 come sostituito dall’articolo 44 della legge n. 724 del 1994, secondo il quale “entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza delle ragioni di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”, va interpretato nel senso che il termine di tre mesi va inteso come successivo alla scadenza del contratto. Anche per ragioni logiche, detto termine non può intendersi riferito al momento anteriore alla scadenza, considerato che si tratta di rinnovo e non di proroga del contratto. CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9302


Appalti - Impugnazione degli atti della gara - Legittimati. Sono legittimati ad impugnare gli atti di una gara di appalto anche le singole imprese o i professionisti riuniti in raggruppamento, oltre che il raggruppamento stesso in persona del soggetto capogruppo, atteso il concorrente autonomo e distinto interesse di ciascuno di essi alla legittima esplicazione della procedura concorsuale (Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 2003, n. 3241 e 3 febbraio 1999, n. 112). Il che vale anche in ipotesi di imprese le quali devono in seguito costituirsi in raggruppamento temporaneo, poiché il diniego di aggiudicazione alle stesse si configura come provvedimento inscindibile avverso il quale ciascuna di esse può agire in giudizio (Cons. Stato, sez. V, 10 aprile 2002, n. 1975). In tema di gara per l’aggiudicazione di contratti della pubblica amministrazione, le clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara non sono autonomamente ed immediatamente impugnabili, stante l’inconfigurabilità di un autonomo interesse del ricorrente ad una certa composizione della commissione ed a certe sue modalità di funzionamento, diverso dall’interesse sostanziale all’aggiudicazione, e cioè al conseguimento degli interessi in gioco a lui favorevoli; che costituisce lo scopo il quale l’interessato intende perseguire con la presentazione della domanda di partecipazione (Cons. Stato, ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1). L’avvenuta integrale esecuzione della prestazione oggetto di un contratto della pubblica amministrazione non determina il venire meno dell’interesse del ricorrente alla definizione del giudizio proposto contro il provvedimento di aggiudicazione della gara, anche perché l’eventuale annullamento della procedura di gara può assumere rilievo in un successivo giudizio risarcitorio diretto a ristorare il pregiudizio patito per effetto dell’illegittimità provvedimentale (Cons. Stato, ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1). D’altronde, come affermato recentemente (Cons. Stato, sez. IV, 23 ottobre 2003, n. 6666), l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione comporta l’inefficacia del contratto stipulato dall’amministrazione. L’art. 55, comma 1, del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, secondo cui “la commissione giudicatrice per il concorso di idee, per il concorso di progettazione e per gli appalti di servizi è composta da un numero di membri tecnici non inferiore a tre, esperti nella materia oggetto del concorso o dell'appalto, di cui almeno uno dipendente della stazione appaltante”, non consente che detta commissione sia costituita in modo maggioritario da professionisti ai quali la legge inibisce di effettuare la progettazione messa a concorso.
CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 23 dicembre 2003, sentenza n. 8508

 

P.A. - Costituzione del rapporto di pubblico impiego - Accertamento giudiziale del rapporto di pubblico impiego - rapporto libero-professionale. L’accertamento giudiziale del rapporto di pubblico impiego non necessita della tempestiva impugnazione degli atti che hanno qualificato il rapporto in maniera diversa da come si è concretamente caratterizzato nel suo svolgimento. La giurisprudenza di questa stessa Sezione, ha avuto modo di chiarire che “ai fini della costituzione del rapporto di pubblico impiego sono ininfluenti sia il nomen iuris attribuito all’atto che vi ha dato origine, sia l’espressa negazione della sussistenza del rapporto di impiego pubblico o l’affermazione della natura libero-professionale del rapporto, contenute sugli atti istitutivi o nell’apposita convenzione sottoscritta dalle parti, trattandosi di qualificazioni prive di diretta incidenza lesiva. Pertanto, l’accertamento giudiziale del rapporto di pubblico impiego è ammissibile indipendentemente dalla tempestiva impugnazione degli atti che qualificavano il rapporto come libero-professionale, rilevando a tal fine non tanto il contenuto dell’atto originativo del rapporto, quanto la sua concreta attuazione e, quindi, la verifica della sussistenza degli indici rivelatori del pubblico impiego”(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25 ottobre 1989, n. 672; Cons. Stato, Sez. V, 26 maggio 1992, n. 467). Pres. Frascione Est. Corradino - Comune di Pozzilli (Avv. Colalillo) c. Ruocchio (Avv. Mazzocco) (Conferma T.A.R. per il Molise, n. 397/02, pubblicata in data 7.5.2002). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 18 Dicembre 2003, Sentenza n. 8343

 

Appalti - Bando di gara - Raccolta, spazzamento, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani - requisito dell’adeguata capacità tecnico-organizzativa - Criteri ermeneutici del giudice - Lex specialis. Nessuna violazione dei principi del favor partecipationis, di adeguatezza, di proporzionalità e di non aggravamento della procedura, anche di matrice comunitaria, è dato riscontrare nell’interpretazione del bando di gara operata dal giudice di primo grado. Tali criteri ermeneutici, infatti, hanno natura sussidiaria, e vengono in rilievo nel caso in cui la lettura del bando non sia univoca e lasci spazio a dubbi e incertezze, fattispecie che non si addice al caso in esame. La lex specialis è, infatti, chiara nel richiedere la prova della capacità tecnica delle imprese concorrenti, da fornire attraverso la documentazione dello svolgimento, in Comuni con popolazione stabilmente oltre i 20.000 abitanti, di un servizio analogo a quello oggetto della gara, poiché la previsione di cui alla lettera g) del bando mira alla verifica della capacità tecnica dell’impresa concorrente, e non può, quindi, non essere letta in armonia a quanto previsto dal capitolato speciale, che individua il servizio da svolgere nella raccolta, spazzamento, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. (Nella specie si rileva che la circostanza in cui l’appaltatore non sia proprietario di tutti i mezzi necessari per l’espletamento di un servizio non incide in alcun modo sulla capacità tecnica dimostrata dallo stesso, né, tanto meno, sulla stessa configurabilità dell’appalto). Pres. Frascione - Est. Corradino - Officine OLME Srl (Avv.ti Picozza e Dore) c. Servizi Ambientali Srl ed altri (Avv.ti Romanelli e Cocchi) (Conferma T.A.R. per la Sardegna n. 646/2002, pubblicata in data 24.5.2002). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 18 Dicembre 2003, Sentenza n. 8342

 

Appalti - Scelta del contraente - Legge speciale della gara - Interpretazione - Criterio formale e criterio sostanziale-teleologico - Rapporti. I principi del favor partecipationis, di adeguatezza, di proporzionalità e di non aggravamento della procedura, anche di matrice comunitaria, hanno natura sussidiaria, e vengono in rilievo solo nel caso in cui la lettura del bando non sia univoca e lasci spazio a dubbi e incertezze. Il Consiglio ha ribadito tale pacifico principio giudicando univoca e di stretta applicazione la previsione della lex specialis di una procedura selettiva volta alla scelta dell’affidatario del servizio comunale di nettezza urbana richiedente la prova della capacità tecnica mediante la documentazione dello svolgimento, in Comuni con popolazione stabilmente oltre i 20.000 abitanti, di un servizio analogo a quello oggetto della gara. Nell’occasione il giudice d’appello, confermando la soluzione data in primo grado, ha giudicato sufficiente ai fini del possesso del requisito la dimostrazione, fornita dall’impresa aggiudicataria appellata, di aver svolto un servizio analogo presso il Comune di Sassari, con popolazione di 127.000 abitanti, anche se solo per un quinto dell’ammontare complessivo, in considerazione che quel servizio era stato ripartito in cinque lotti equivalenti, ciascuno, dunque, superiore ai 20.000 abitanti. CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 18 dicembre 2003, sentenza n. 8342

 

Appalti - Autorizzazioni e concessioni - Distributori di carburante - Nuovo impianto su strada extraurbana di tipo B - Competenza - Comune - Parere ente concessionario autostradale - Natura e funzione. Il Consiglio dirime la lite tra due operatori della distribuzione di carburanti, che concorrevano per l’apertura di una nuova stazione di servizio sulla tangenziale sud di Verona (strada extraurbana principale, classificabile di tipo B, non classificabile, invece, come autostrada). Il giudice di primo grado aveva dato ragione all’operatore economico che si era munito dell’autorizzazione della S.U.S. – Servizi Utenza Stradale, S.p.A. - in qualità di subconcessionaria della gestione della strada in questione, per la realizzazione degli svincoli di accesso alla stazione, mentre aveva respinto il ricorso del secondo operatore, che aveva invece ottenuto l’autorizzazione comunale, ma era incorso nel diniego del parere favorevole della S.U.S., a motivo del già intervenuto assentimento della domanda dell’operatore concorrente. Il Consiglio di Stato ribalta la decisione del primo giudice osservando che la competenza all’autorizzazione, per la tipologia di strada in questione, spettasse al comune, mentre il parere tecnico dell’ente proprietario (o concessionario) della strada dovesse essere emesso su richiesta del comune ed avere un contenuto meramente tecnico sulla sicurezza stradale dell’impianto. Ragion per cui doveva giudicarsi illegittimo il parere negativo espresso dal Direttore generale della S.U.S. alla richiesta del secondo operatore, siccome motivato sul fatto di avere già espresso un precedente avviso favorevole in favore dell’iniziativa del primo operatore su area contigua a quella cui si riferiva la domanda del secondo Il parere in questione ha natura esclusiva di parere tecnico e non può trasmodare, come è invece avvenuto nel caso in esame, in valutazioni attinenti alla organizzazione dei servizi di distribuzione dei carburanti e della conseguente programmazione degli impianti sulla predetta strada, spettando al Comune di Verona stabilire fra le due istanze, ove entrambe fornite di parere favorevole sulla sicurezza stradale dell’ente gestore della strada, quella da autorizzare sulla base di tutti gli altri pareri richiesti dall’art. 14 delle legge regionale n. 33 del 1988. CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 18 dicembre 2003, sentenza n. 8327

 

Appalti - Bandi per appalti pubblici - Rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni - Il rispetto della normativa a tutela dei disabili deve essere attestato al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara. La disposizione contenuta nell’art. 17 della legge n. 68 del 1999 prescrive che “le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l’ottemperanza alle norme della presente legge, pena l’esclusione”. Tale norma è stata interpretata, dalla giurisprudenza di questo Consiglio prevalentemente in termini restrittivi (con l’eccezione della decisone n. 2020 del 17 aprile 2002); si ricordano, in particolare, la decisione della Sezione n. 3733 del 6 luglio 2002 e, in senso conforme, quella 24 maggio 2002, n. 2861, nonché la decisione della Sezione VI, 21 luglio 2003, n. 4202. Va al riguardo osservato che lo scopo della disposizione non è solo quello, di garantire all’Amministrazione la conclusione del contratto con un'impresa che osservi la normativa sul diritto al lavoro dei disabili, ma anche, se non prevalentemente, quello di assicurare e di perseguire il più ampio rispetto di quest’ultima. Non v’è dubbio, in proposito, che la finalità appena illustrata risulta conseguita con maggiore efficacia ove la disposizione venga letta nel senso, prospettato dall’appellante, che il rispetto della normativa a tutela dei disabili deve essere attestato al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara. Tanto osservato circa la ratio dell’art. 17 legge. n. 68/99, va ribadito che l’esegesi della predetta disposizione maggiormente conforme alla sua finalità è senz’altro quella che qualifica l’adempimento in parola come requisito di partecipazione alla gara, e non come condizione dell’aggiudicazione, e che impone, conseguentemente, la produzione della relativa certificazione al momento della presentazione della domanda, e non, come erroneamente ritenuto dal TAR, all’esito della gara e prima dell’aggiudicazione definitiva. È anche vero che il legislatore è, successivamente, intervenuto in materia con l’articolo 77bis (L) del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), secondo cui “le disposizioni in materia di documentazione amministrativa contenute nei capi II e III si applicano a tutte le fattispecie in cui sia prevista una certificazione o altra attestazione, ivi comprese quelle concernenti le procedure di aggiudicazione e affidamento di opere pubbliche o di pubblica utilità, di servizi e di forniture, ancorché regolate da norme speciali, salvo che queste siano espressamente richiamate dall'articolo 78” (articolo aggiunto dall'art. 15 della legge 16 gennaio 2003, n. 3); e che, non essendo la norma di cui si discute contenuta nell’ora detto art. 78, ne consegue che, con l’entrata in vigore della disciplina in parola, deve ritenersi sufficiente la semplice dichiarazione in luogo della certificazione prevista dal ripetuto art. 17. Si tratta, però, non di norma interpretativa, ma modificativa del previgente assetto normativo (“Capo II - Norme di semplificazione, articolo 15: modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445: 1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono apportate le seguenti modificazioni…..”; e, tra queste, quella introduttiva del nuovo art. 77bis dianzi riportato). Pres. Frascione - Est. Buonvino - CALZONI UMBERTO s.a.s. (avv. CALZONI) c. ARCA Costruzioni s.p.a. (già s.r.l.) e Comune di PERUGIA (Annulla TAR dell’Umbria 10 marzo 2003, n. 162). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, - 10 dicembre 2003, sentenza n. 8139 (vedi: sentenza per esteso)

 

Appalti – Commissione di gara - Esclusione dalle gare di appalto di servizi per irregolarità della partecipante con il pagamento d’imposte e tasse (in specie debito relativo alla TARSU) – Ricorso avanti alle commissioni tributarie – Effetti – Inapplicabilità del d.lgs. 1995, n. 157 art. 12, comma 1, lettera e), in pendenza di ricorso innanzi al giudice tributario. L’art. 12, comma 1, lettera e), del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, prevede l’esclusione dalle gare di appalto di servizi di coloro “che non sono in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e delle tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”. In specie, al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, era stata emessa, nei confronti della S.S.I.T. s.p.a., una cartella esattoriale per il pagamento di un debito relativo alla TARSU per l’anno 2000; sennonché, tale cartella è stata tempestivamente impugnata alcuni mesi prima della pubblicazione del bando. Ora, è vero che la proposizione del ricorso avanti alle commissioni tributarie non sospende, di per sé, l’obbligo del pagamento della pretesa tributaria; ma, allorché il contribuente si sia avvalso dello specifico strumento cautelare atto a consentire la sospensione del pagamento e fino a che non sia intervenuta la relativa pronuncia, deve escludersi che l’obbligo di pagamento stesso possa venire a consolidarsi e possa consolidarsi, parallelamente, anche la sussistenza della causa di esclusione dalla gara. Ne consegue che, indipendentemente dalla risoluzione della problematica relativa all’applicabilità o meno, anche riguardo agli appalti di servizi, del criterio della definitività della pretesa tributaria (criterio espressamente sancito nel caso degli appalti di lavori dall’art. 75 del DPR 21 dicembre 1999, n. 554, come sostituito dall'art. 2, comma 1, del DPR 30 agosto 2000, n. 412), non di meno deve escludersi - con specifico riguardo alla presente fattispecie - il consolidamento dell’obbligo al pagamento della pretesa stessa fino al momento della pronuncia cautelare. Fattispecie: la Commissione di gara ha escluso la società da un’asta pubblica per la concessione del servizio di gestione delle aree destinate a parcheggio presso il Comune di Foligno. L’esclusione dalla gara era stata disposta per violazione dell’art. 12, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 157/1995, in quanto la S.S.I.T. s.p.a. non era in regola con il pagamento di imposte e tasse (in particolare, risultava non pagata la cartella esattoriale relativa alla TARSU 2000). Il TAR ha ritenuto che la norma ora detta fosse inapplicabile in pendenza di ricorso innanzi al giudice tributario – e correlata richiesta di sospensione cautelare – avverso il titolo esattoriale. A seguito della riammissione della S.S.I.T. s.p.a., conseguente alla sentenza qui appellata, la medesima è risultata aggiudicataria della gara, in luogo dell’odierna deducente. Pres. Quaranta - Est. Buonvino - S.I.P.A. s.p.a. (Avv. BUSIRI VICI) c. S.S.I.T. – Società Spoletina di Imprese Trasporti – s.p.a. (Avv.ti STEFANORI e RAMPINI) - (Conferma TAR dell’Umbria 30 novembre 2002, n. 890). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, - 1 dicembre 2003, sentenza n. 7836 (vedi: sentenza per esteso)

Appalti - Pubblica gara - Pena d'esclusione - Inosservanze non sanzionata expressis verbis - lex specialis della procedura - interesse sostanziale della p.a.. Nel caso in cui le norme regolatrici di una pubblica gara non contengano prescrizioni la cui inosservanza è sanzionata expressis verbis a pena d'esclusione, è possibile valutare la completezza e l'efficacia dell'offerta, distinguendo tra condizioni essenziali ed inderogabili ai fini dello svolgimento della gara e dell'accettazione dell'offerta e condizioni derogabili e, quindi, sanabili con diversi adempimenti. Tale valutazione deve svolgersi con la garanzia della parità di condizioni tra i concorrenti, dal momento che l'esclusione da una gara d'appalto per cause non espressamente previste dalla lex specialis della procedura può avvenire solo per la violazione di clausole che corrispondono ad un interesse sostanziale della p.a. (Consiglio Stato sez. V, 16 gennaio 2002, n. 226). Pres. Frascione - Est. Corradino - Carla Travel Office (avv.ti Michielan e Manzi) c. Comune di Treviso (avv.ti Coniglione, Tagliasacchi, De Piazzi e Biagini) - (Conferma T.A.R. del Veneto, sez. I, n. 3487/2002 depositata in data 17 luglio 2002). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, - 1 dicembre 2003, sentenza n. 7835

Appalti – Gara – Definizione - Parità fra tutti i concorrenti - Offerte omogenee e complete - Requisito di capacità organizzativa – Esclusione. La gara è, per definizione, la procedura comparativa di offerte che si fonda sull’ineliminabile e logico presupposto della omogeneità delle stesse: in mancanza di offerte omogenee e complete in tutti gli aspetti richiesti, non v’è spazio per alcuna comparazione, che anzi apparirebbe lesiva della parità fra tutti i concorrenti. In specie, ne discende che la motivazione addotta dalla determina dirigenziale gravata in primo grado è congrua e ragionevole, riportando le specifiche ragioni di esclusione (individuate, correttamente, nella mancata indicazione del soggiorno sul Lago di Garda – e non in località diversa –, del soggiorno all’estero e nella mancata rispondenza dell’offerta al requisito di capacità organizzativa richiesto ai partecipanti). Pres. Frascione - Est. Corradino - Carla Travel Office (avv.ti Michielan e Manzi) c. Comune di Treviso (avv.ti Coniglione, Tagliasacchi, De Piazzi e Biagini) - (Conferma T.A.R. del Veneto, sez. I, n. 3487/2002 depositata in data 17 luglio 2002). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, - 1 dicembre 2003, sentenza n. 7835

 

Appalti - bando di gara - annullamento - aggiudicatario provvisorio - posizione legittimante - lex specialis della gara. L’annullamento, in sede giurisdizionale, del bando di gara radica, infatti, una posizione legittimante alla proposizione dell’appello anche nel semplice aggiudicatario provvisorio; lo stesso, infatti, a fronte dell’annullamento della lex specialis della gara, viene posto in una posizione di interesse giuridicamente differenziato, tale da radicare l’interesse alla proposizione dell’appello per soddisfare la sua aspettativa alla riforma della sentenza di annullamento e di conseguente favorevole definizione delle operazioni di gara che lo hanno già visto in posizione premiante, se pure provvisoria. (Pres. Quaranta Est. Buonvino - Agenzia per le olimpiadi “Torino 2006” (avv.ti MARINI e BAROSIO) c. Società NO – Gap Controls s.r.l., S.G.S. Italia s.r.l e I.C.M.Q. s.p.a.e altri (Avv.ti Pirocchi e Cisa Asinari di Gresy) (Riforma Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Sezione Prima, 27 novembre 2002, n. 1987). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7620

 

Appalti - le offerte – l. 109/94 - verifica delle offerte anomale - pena di esclusione delle offerte non documentate - giustificazioni a corredo dell'offerta. L'articolo 21 comma 1 bis della legge n. 109 del 1994, laddove prescrive che le offerte devono essere corredate sin dalla presentazione di giustificazioni, impone alle imprese un onere di collaborazione, in funzione di accelerazione della successiva fase di verifica delle offerte anomale. Tuttavia, la presentazione delle giustificazioni a corredo dell'offerta non è imposta senz'altro a pena di esclusione delle offerte non documentate, venendo in rilievo la mancata documentazione solo in via eventuale, nella fase successiva della verifica di anomalia, se ed in quanto l'offerta risulti sospetta di anomalia” (cfr. Cons Stato, sez. VI, 11 dicembre 2001, n. 6217). Pres. Frascione - Est. Allegretta - LAVORI GENERALI s.r.l.ed altri (Avv. Sasso e Soprano) ICED s.r.l. e PACO s.r.l. (Avv. Magliocca e Ferola) (Annulla Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione I sentenza n. 3235 in data 31 maggio 2002). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7615

 

Appalti - P.A. - le infiltrazione della delinquenza mafiosa nel settore dei pubblici appalti - obbligo di presentazione del modello G.A.P. - lex specialis - esclusione dalla gara - legittimità - imprese che partecipano alle pubbliche gare - lotta contro delinquenza mafiosa - l'obbligo di presentare il modello G.A.P. - causa di esclusione dalla gara - bando di gara - sanzione dell'esclusione in caso di omissione negli adempimenti documentali - dichiarazione d'impegno del fideiussore - garanzia definitiva - cauzione provvisoria. La giurisprudenza amministrativa (Cfr. C.G.A. 6 maggio 1998, n. 298) ha chiarito che "l'obbligo di presentare il modello G.A.P. sin dalla fase del concorso risponde ad una esigenza sostanziale: consentire all'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro delinquenza mafiosa di avere accesso a notizie riguardanti le imprese che partecipano alle pubbliche gare, posto che anche la sola partecipazione può costituire utile dato per rilevare la ingerenza della criminalità organizzata nei rapporti economici con l'amministrazione pubblica". L'essenzialità della produzione del predetto modello G.A.P. è stata ribadita dal Giudice di appello con recente decisione (Cfr. C.G.A. 3 marzo 2003, n. 94), nella quale è stato affermato testualmente:"...con riferimento all'obbligo di presentazione del modello G.A.P. deve ritenersi che il documento in questione adempia al sensi delle leggi n. 726/1982 e 410/ 1991 ad un essenziale funzione di tutela dell'ordine pubblico quale indefettibile strumento conoscitivo ai fini della lotta contro le infiltrazione della delinquenza mafiosa nel settore dei pubblici appalti con la conseguenza che la rilevanza sostanziale dell'interesse pubblico sotteso alla clausola inosservata implica, pur in difetto di espressa previsione della lex specialis l'esclusione dalla gara dell'impresa resasi inadempiente ". In sostanza, il concorrente che non produca il modello G.A.P. richiesto dal bando di gara dev'essere escluso addirittura anche quando nel bando non sia contenuta un'esplicita comminatoria di esclusione. Nel caso in cui il bando di gara, per la manutenzione di impianti termici, preveda espressamente la sanzione dell'esclusione in caso di omissione negli adempimenti documentali, deve essere esclusa l'impresa che abbia omesso di produrre la dichiarazione d'impegno del fideiussore a rilasciare la garanzia di cui all'art. 30 comma 2, l. 11 febbraio 1994 n. 109, senza che vi sia spazio per la valutazione di un errore scusabile nell'interpretazione del bando. L'impegno del fideiussore a rilasciare la garanzia definitiva deve essere contestuale all'offerta e, quindi, alla prestazione della cauzione provvisoria. Consiglio di Stato, sez. V, 15 giugno 2001, n. 3183. TAR SICILIA - CATANIA, SEZ. III - 12 novembre 2003 sentenza n. 1893 (vedi: sentenza per esteso)

Bando di gara - lotta contro la delinquenza mafiosa - modello G.A.P. - mancata presentazione - esclusione - legittimità. Il modello G.A.P. è stato istituito dalla L. 726/1982, al fine di consentire all'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa di avere immediato accesso a notizie di carattere organizzativo, finanziario e tecnico delle imprese partecipanti a gare pubbliche. L'art. 1, comma 5, del D.L. 6 settembre 1982 n. 629, convertito in L. 12 ottobre 1982 n. 726, così dispone: “A richiesta dell'Alto commissario, le imprese, sia individuali che costituite in forma di società aggiudicatarie o partecipanti a gare pubbliche di appalto o a trattativa privata, sono tenute a fornire allo stesso notizie di carattere organizzativo, finanziario e tecnico sulla propria attività, nonché ogni indicazione ritenuta utile ad individuare gli effettivi titolari dell'impresa ovvero delle azioni o delle quote sociali”. Per tale motivo il modello G.A.P. ai sensi dell’art. 1, 5° comma, della citata L. n. 726/1982, va prodotto dalle imprese non soltanto in sede di aggiudicazione, ma anche all'atto della presentazione dell'offerta; deve ritenersi in particolare che il concorrente che non produca il modello G.A.P. richiesto dal bando di gara dev'essere escluso addirittura anche quando nel bando non sia contenuta un'esplicita comminatoria di esclusione, posto che anche la sola partecipazione può costituire utile dato per rilevare la ingerenza della criminalità organizzata nei rapporti economici con l'amministrazione pubblica. TAR SICILIA - CATANIA, SEZ. III - 12 novembre 2003 sentenza n. 1893 (vedi: sentenza per esteso)

Appalti - garanzie e coperture assicurative - impegno del fideiussore a rilasciare la cauzione definitiva in caso di aggiudicazione - Necessità - lavori d'importo a base d'asta fino a 150.000 euro. L'art. 30 comma 1 bis, della L. n. 109/1994 che riporta in rubrica la dizione "Garanzie e coperture assicurative", (recentemente introdotto dalla L.reg. Sicilia n. 7/2002 e s.m.), prescrive: a) una cauzione provvisoria del 2%, dell'importo dei lavori, da prestare anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa ... e dall'impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia di cui al comma 2 qualora l'offerente risultasse aggiudicatario; b) una cauzione definitiva del 10% a carico dell'aggiudicatario esecutore dei lavori. Per i lavori d'importo a base d'asta fino a 150.000 euro la cauzione non è richiesta", il Legislatore regionale ha inteso eliminare la "cauzione provvisoria " di cui al comma 1, mantenendo fermi sia "l'impegno" del fideiussore a rilasciare la cauzione definitiva, in caso di aggiudicazione, sia la "cauzione definitiva" stessa. TAR SICILIA - CATANIA, SEZ. III - 12 novembre 2003 sentenza n. 1893 (vedi: sentenza per esteso)

 

Le regole stabilite nel bando di gara - la portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara - l’esclusione obbligatoria - limiti alla discrezionalità amministrativa - autovincolo amministrativo - lex specialis. La portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara esige (Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 1997, n.763), che alle stesse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura, senza che in capo all’organo amministrativo cui compete l’attuazione delle regole stabilite nel bando residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento (che non può, pertanto, essere in alcun modo disattesa) e che, quindi, qualora il bando commini espressamente l’esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, l’amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione (Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1999, n.228), restando preclusa, anche all’interprete, ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, l’incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza l’amministrazione si è, invero, autovincolata al momento dell’adozione del bando (C.S., Sez. V, 19 febbraio 2003, n.918). Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7237

 

Appalti – Sicurezza sul lavoro – Attività lavorativa sanitaria - Guanti chirurgici e da esame sterili – Qualificazione nel bando come DPI di III^ categoria piuttosto che come dispositivi medici di II^ classe – Legittimità – Esposizione a particolari agenti biologici – Insindacabile giudizio del datore di lavoro – Valutazione discrezionale dell’amministrazione. Il bando di gara per la fornitura di dispositivi di protezione individuale che qualifichi quale DPI di III categoria (d.lgs. 4.12.1992 n. 475) i guanti chirurgici e da esame sterili, piuttosto che come dispositivi medici di classe II a (d.lgs. 24.2.1997 n. 46, come mod. dall’art. 2 del d.lgs. 25.2.1998 n. 95) deve ritenersi legittimo, atteso che la scelta del materiale protettivo dipende dai rischi correlati all’ambito dell’attività lavorativa sanitaria: in caso di esposizione a particolari agenti biologici, può rendersi indispensabile, ad insindacabile giudizio del datore di lavoro, l’uso di guanti riconosciuti come “dispositivi di protezione individuale”. La scelta della tipologia dei prodotti deve comunque ritenersi rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione e non è sindacabile in sede di legittimità se non in presenza di gravi errori. Pres. Ruoppolo, Segr. Grassucci – Ansell Italy s.r.l. c. Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Napoli - CONSIGLIO DI STATO, Sez. I – 19.11.2003, Parere n. 4077

 

Appalti - la disponibilità dell’istituto bancario ad esaminare eventuali richieste di affidamento in caso di aggiudicazione dell’appalto - le formule “senza impegno” e “senza responsabilità e garanzia” - le dichiarazioni attestanti il possesso da parte dell’impresa di mezzi tecnici adeguati. Le formule “senza impegno” e “senza responsabilità e garanzia”, sono espressioni che gli istituti bancari sono soliti inserire nelle referenze da essi rilasciate (quasi come clausole di stile) per escludere che tali attestazioni possano assumere anche il valore di un impegno o di una garanzia acconsentite in favore dei clienti ai quali si riferiscono. Le dichiarazioni attestanti il possesso da parte dell’impresa di mezzi tecnici adeguati e la circostanza che l’impresa ha sempre fatto fronte con regolarità ai propri impegni, pertanto, quand’anche fossero accompagnate dalle espressioni “senza impegno” o da altre dello stesso tenore, non cesserebbero di essere un’attestazione dei fatti e delle situazioni ai quali si riferiscono. Si tratta, quindi, di dichiarazioni valide per attestare gli elementi di fatto ai quali si riferiscono, trattandosi di dati di oggettiva rilevanza, che gli istituti bancari non certificherebbero se non sulla base degli elementi effettivamente in loro possesso o di loro conoscenza. Gli istituti bancari, del resto, non essendovi tenuti, potrebbero declinare il rilascio di tali dichiarazioni. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 novembre 2003, sentenza n. 7129

 

Appalti - problemi connessi alle discordanze tra le varie parti dell’offerta - criterio unificatore e vincolante della percentuale di ribasso - esecuzione dell’opera pubblica - errori irrilevanti. Il d.P.R. n. 554 del 1999, ha profondamente modificato, in attuazione dell’art. 21 della legge n. 109 del 1994, il sistema di cui all’art. 5 della legge 2 febbraio 1973 n. 14, ed ha inteso risolvere in modo chiaro i problemi connessi alle discordanze tra le varie parti dell’offerta indicando come criterio unificatore e vincolante quello della percentuale di ribasso, in precedenza non prescritta, onde considerare irrilevanti i possibili errori che la concorrente abbia commesso nell’indicazione del prezzo complessivo offerto per l’esecuzione dell’opera pubblica. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6767

 

Appalti - aggiudicazione provvisoria della gara di appalto di opera pubblica - natura - impugnazione - atto endoprocedimentale - aggiudicazione definitiva - natura - l’aggiudicazione definitiva necessita sempre di autonoma impugnazione - improcedibilità del primo ricorso. L’aggiudicazione provvisoria della gara di appalto di opera pubblica ha natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse della ditta che non è risultata vincitrice (a divenire tale), lesione che si verifica, appunto, soltanto con l’aggiudicazione definitiva (cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 7 settembre 2001, n. 4677). L’aggiudicazione definitiva non è atto meramente confermativo o esecutivo, ma provvedimento che, anche quando recepisce in toto i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione rispetto alla stessa, pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale. Ne consegue che l’aggiudicazione definitiva necessita sempre di autonoma impugnazione (anche avvalendosi dell’istituto dei motivi aggiunti in corso di causa, proponibili, ai sensi della legge n. 205 del 2000, avverso atti diversi da quello originariamente gravato, soluzione da preferirsi per evidenti ragioni di economia processuale), anche se è già stata impugnata quella provvisoria. Se l’aggiudicazione provvisoria è stata impugnata immediatamente e autonomamente, la parte ha perciò l'onere di impugnare, in un secondo momento, pure l’aggiudicazione definitiva sopravvenuta, la quale non rappresenta conseguenza inevitabile della prima, pena, si badi bene, l’improcedibilità del primo ricorso (Cons. Stato, VI, 16 novembre 2000 n. 6128 , 11 febbraio 2002, n. 785 e 22 ottobre 2002, n. 5813; V, 3 aprile 2001, n. 1998 e 21 giugno 2002, n. 3404). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6762 (vedi: sentenza per esteso)

Appalti - Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici - tesi della equivalenza delle qualificazioni - la potestà di “vigilanza sul sistema di qualificazione” delle imprese - potestà, competenze e limiti - verifica della compatibilità dell’interpretazione della AVLP con il quadro normativo di riferimento - necessità - la qualificazione per l’esecuzione delle diverse lavorazioni - difetto del requisito specifico - lex specialis. In presenza di una lex specialis che richieda la qualificazione per OS28 e OS30, il difetto del requisito specifico non può essere sanato con la qualificazione per OG11, argomentando dal divieto emergente dal combinato disposto di cui all’art. 13, comma 7, della legge n. 109 del 1994 e all’art. 74, comma 2 del d.P.R. n. 544 del 1999 (sent. n. 5976 del 30 ottobre 2002). Sull’argomento si è pervenuti, invece, con recente sentenza n. 2857 del 26 maggio 2003, alla conclusione opposta, basata sulla tesi della equivalenza delle due qualificazioni, da parte dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. In linea generale occorre chiarire che la potestà di “vigilanza sul sistema di qualificazione” delle imprese, attribuita all’Autorità dall’art. 4, comma 4, lett. i) della legge 11 febbraio 1994 n. 109, non ha contenuto indeterminato, ma deve essere esercitata nelle forme indicate dall’art. 14 del d.P.R. 25 gennaio 2000 n. 34, che rappresenta la fonte regolamentare precipuamente destinata a disciplinare, in applicazione dell’art. 8 della legge n. 109 cit., il sistema delle qualificazioni. Come emerge dalla lettura della disposizione, si tratta dello svolgimento di controlli sul comportamento delle SOA, affinché: a) rispettino le procedure previste per l’attestazione; b) evitino ipotesi di conflitto di interessi; c) si attengano nel rilascio delle attestazioni ai requisiti prescritti nel Titolo III; d) applichino le tariffe stabilite. Ne consegue che l’attività di vigilanza non può manifestarsi nella emanazione di criteri o direttive concernenti il sistema della qualificazione delle imprese, sia perché il conferimento di tale potestà avrebbe dovuto essere esplicitato con indicazione dell’ambito di intervento nella stessa sedes materiae nella quale si sono definite le forme della vigilanza, sia perché la legge n. 109 del 1994, art. 8, demanda la disciplina dei requisiti necessari per la qualificazione al Regolamento n. 34 del 2000, che li enuncia nel Titolo III, sulla cui osservanza, come si visto, l’Autorità deve vigilare, senza alcun potere di integrazione o interpretazione adeguatrice. Né potrebbe trarsi argomento, in senso contrario, dalla menzione, tra i compiti dell’Autorità, della definizione di “criteri cui devono attenersi nella loro attività i soggetti autorizzati al rilascio delle attestazioni di qualificazione”, figurante nell’art. 2, comma 1, lett. o) del Regolamento n. 34 del 2000. Si è già visto infatti che i comportamenti da vigilare sono quelli indicati dall’art. 14 del d.P.R. n. 34/2000, recante la riaffermazione del carattere vincolante per le SOA, e quindi anche per l’Autorità che ne vigila l’azione, delle prescrizioni del Titolo III in materia di qualificazioni necessarie per l’esecuzione delle diverse lavorazioni. In altri termini, le determinazioni, che l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici assume in risposta ai quesiti rivolti dagli operatori del settore circa l’interpretazione della normativa vigente nella materia, costituiscono la manifestazione di opinioni dotate di indiscutibile autorevolezza, in ragione della particolare competenza dell’Organo, che possono anche conseguire un apprezzabile effetto di uniformità e di chiarezza nell’applicazione della legge. Si tratta tuttavia di pronunciamenti che non possono risolversi nella funzione di interpretazione autentica, o di integrazione, della normativa, difettando l’Autorità del relativo potere, e, pertanto, non rappresentano neppure un vincolo per le Amministrazioni nello svolgimento delle procedure di selezione di loro competenza (v. Cons. St., Sez. V, 21 aprile 2002 n. 2180, in materia di bando-tipo redatto dall’Autorità). Cosicché la conformità del provvedimento impugnato all’interpretazione offerta dall’Autorità non è sicura garanzia dell’infondatezza di vizi denunciati nella sede giurisdizionale, dovendo verificarsi la compatibilità di tale interpretazione con il quadro normativo di riferimento. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6762 (vedi: sentenza per esteso)
 

Appalti - l’annullamento con effetti ex tunc degli atti amministrativi emanati in vista della conclusione del contratto -deliberazione di contrattare, bando, aggiudicazione - giurisprudenza del giudice ordinario - posizione del giudice amministrativo - contrasti dei vari orientamenti giurisprudenziali - art. 1441 c.c., - la nullità del contratto (caso di incompetenza assoluta dell’organo stipulante) - tesi della caducazione automatica - annullamento in autotutela dell’aggiudicazione - principio di conservazione degli atti - di nullità per violazione di norme imperative ex artt. 1418, primo comma c.c. (c.d. nullità virtuale o extratestuale) - carenza di potere della P.A. (rinegoziazione, dopo la gara, delle condizioni economiche previste in sede di aggiudicazione). La giurisprudenza del giudice ordinario ritiene che l’annullamento con effetti ex tunc degli atti amministrativi emanati in vista della conclusione del contratto – deliberazione di contrattare, bando, aggiudicazione – incida sulla sua validità, in quanto priva l’Amministrazione della legittimazione e della capacità stessa (art. 1425 c.c.) a contrattare, determinando l’annullabilità del contratto; siffatto annullamento, però, può essere pronunciato solo su richiesta dell’Amministrazione contraente, la quale sarebbe l’unica parte interessata ai sensi dell’art. 1441 c.c., secondo cui <<l’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge>> (cfr. Cass., Sez. II, 8 maggio 1996, n. 4269; Cass., Sez. I, 28 marzo 1996, n. 2842; Cass., Sez. II, 21 febbraio 1995, n, 1885). Altro orientamento del giudice ordinario propende, invece, per la tesi della nullità per mancanza del consenso (cfr. Cass., Sez. III, 9 gennaio 2002, n. 193). Viene, poi, riconosciuta la nullità del contratto nel caso di incompetenza assoluta dell’organo stipulante (cfr. Cass., 9 ottobre 1961, n. 2058; Cass., 10 aprile 1978, n. 1668). La posizione del giudice amministrativo non coincide con quella del giudice ordinario. L’orientamento prevalente del giudice amministrativo, infatti, afferma la tesi della caducazione automatica (così Cons. St., Sez. V, 25 maggio 1998, n. 677, in un caso di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione; id., 30 marzo 1993, n. 435, che afferma il travolgimento automatico del contratto per effetto dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione; Cons. St., Sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244, muovendo dal principio di conservazione degli atti, per cui la graduatoria della gara conserva i suoi effetti per il caso in cui venga meno la prima aggiudicazione, afferma che l’annullamento dell’aggiudicazione in favore del primo graduato comporta l’aggiudicazione automatica in favore del secondo graduato; di recente, Cons. St., Sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218; Cons. St., Sez. VI, 14 marzo 2003, n. 1518). Il profilo della caducazione automatica è stato, poi, di recente approfondito dalla VI Sezione di questo Consiglio (cfr. dec. 5 maggio 2003, n. 2332), che ha ripreso la tesi, di matrice dottrinaria, della inefficacia del contratto per mancanza legale del procedimento, vale a dire per carenza del presupposto legale di efficacia del contratto costituito dalla fase di evidenza pubblica mancanza legale del procedimento), riconducendone l’effetto al principio generale, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via necessaria, secondo cui simul stabunt, simul cadent. Altro orientamento della VI Sezione di questo Consiglio ritiene accoglibile l’impostazione tradizionale relativa alla normale efficacia caducante dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto conseguente, ma con il temperamento costituito dalla salvezza dei diritti dei terzi in buona fede in applicazione analogica degli artt. 23, comma 2 e 25, comma 2, del codice civile, applicabili alla Pubblica amministrazione in quanto persona giuridica ex art. 11 dello stesso codice (cfr. Cons. St., Sez. VI, 30 maggio 2003, n. 2992). Secondo un orientamento dei giudici amministrativi di primo grado, invece, nella fattispecie si sarebbe in presenza di un’ipotesi di nullità per violazione di norme imperative ex artt. 1418, primo comma c.c. (c.d. nullità virtuale o extratestuale: cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. I, 29 maggio 2002, n. 3177; TRGA Bolzano, 12 febbraio 2003, n. 48; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 28 gennaio 2003, n. 394; TAR Sicilia, Catania, Sez. II, 7 maggio 2002, n. 802). Per la tesi della nullità si è, poi, di recente pronunciata la V Sezione di questo Consiglio (cfr. dec. 13 novembre 2002, n. 6281), che, però, ha esaminato il caso particolare della carenza di potere della P.A. (rinegoziazione, dopo la gara, delle condizioni economiche previste in sede di aggiudicazione). Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6666 (vedi: sentenza per esteso)

L’annullamento dell’atto di aggiudicazione per illegittimità dell’azione amministrativa - il risarcimento del danno - lucro cessante - definizione. S'intende per lucro cessante, l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per illegittimità dell’azione amministrativa - generalmente reputato pari al 10% del valore dell’appalto, criterio cui fa riferimento la giurisprudenza in applicazione analogica dell’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, sulle opere pubbliche, ora sostanzialmente riprodotto dall’art. 122 del regolamento emanato con D.P.R. n. 554/99, che quantifica in tale misura il danno risarcibile a favore dell’appaltatore in caso di recesso della P.A. (ciò sia allo scopo di ovviare ad indagini alquanto difficoltose ed aleatorie sia allo scopo di cautelare la P.A. da eventuali richieste di liquidazioni eccessive) - la giurisprudenza riconosce la spettanza nella sua interezza dell’utile di impresa nella misura del 10% qualora l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi. Nel caso in cui, invece, tale dimostrazione non sia stata offerta – come nella specie è avvenuto – è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori (o servizi o forniture), così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità; in tale ipotesi il risarcimento può essere ridotto in via equitativa, in misura pari al 5% dell’offerta dell’impresa (cfr. Cons. St., 8 luglio 2002, n. 3796; Cons. St., Sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5860; v. pure Cons. St., Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393, che esclude l’utilizzo dell’art. 345 L. n. 2248/1865 all. F ove non sia fornito un principio di prova sulle opportunità alternative alle quali l’interessato ha dovuto rinunciare). Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6666 (vedi: sentenza per esteso)

Le valutazioni della Commissione di gara in sede di verifica dell'anomalia delle offerte - potere di natura tecnico-discrezionale - limiti - potestà dell'Amministrazione. Le valutazioni della Commissione di gara in sede di verifica dell'anomalia delle offerte costituiscono espressione di un potere di natura tecnico-discrezionale, i cui limiti di sindacato sono correlati alla manifesta illogicità, alla incongruità della motivazione, all'errore di fatto (cfr. da ultimo, Cons. Stato, IV Sez., 14 febbraio 2002, n. 882 e V Sez., 4 maggio 2001, n. 2517), a profili, cioè che non vanno minimamente a scalfire la sfera di autonomia decisionale riservata in tale ambito alla potestà dell'Amministrazione.
Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6640.

 

Appalti - svolgimento della gara pubblica - l’escussione della cauzione provvisoria - articolo 10, comma 1-quater, della legge n. 109/1994 - perentorietà del termine - bando - lettera d'invito - la richiesta documentale in prossimità dell'apertura delle buste contenenti le offerte - il beneficio dell'errore scusabile - ipotesi eccezionale - la sanzione dell'incameramento della cauzione in favore della stazione appaltante - ipotesi in cui l'Autorità di vigilanza valuti il ritardo incolpevole. La giurisprudenza del Consiglio di Stato, pienamente condivisa dalla Sezione, si è ormai consolidata nel senso della perentorietà del termine stabilito dall’articolo 10, comma 1-quater, della legge n. 109/1994. Le acquisizioni giurisprudenziali sul punto, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, depongono invero per la perentorietà del termine fissato dalla norma (IV Sezione N.1189/2003, VI Sez., 18 mag-gio 2001, n. 2780; V Sez., 24 aprile 2002, n. 2207; C.G.A.R.S. 28 gen-naio 2002, n. 44.). Secondo tale orientamento, “è ben vero che la disposizione dell'art. 10, comma 1 quater, non qualifica espressamente il termine come perentorio; tuttavia, la natura perentoria di un termine ben può desumersi da un'espressa comminatoria di decadenza prevista dalla specifica disposizione: e l'automaticità delle sanzioni per il concorrente che non abbia comprovato i requisiti richiesti entro il termine di dieci giorni non può che orientare per la perentorietà del termine medesimo. Ciò non senza rilevare che il termine che ne occupa è posto a garanzia del corretto e rapido svolgimento della gara; che la norma stessa prevede la richiesta documentale in prossimità dell'apertura delle buste contenenti le offerte (adempimento, questo, caratterizzato da ovvie esi-genze di celerità); che la documentazione, per essere indicata nel bando o nella lettera d'invito, è ben nota al concorrente e che è quindi configurabile un onere di premunirsi in maniera tempestiva per l'eventualità della richiesta stessa. Va ancora osservato che una qualificazione del termine come meramente sollecitatorio sarebbe in ogni caso incompatibile con i tempi di svolgimento di una gara pubblica. Quanto alla pretesa rilevanza della non imputabilità del ritardo, il Collegio è meditatamente dell'avviso che, nel silenzio della disposizione, è la stessa qualificazione di perentorietà del termine ad escludere la possibilità che rilevino le cause del ritardo medesimo. Se un termine è perentorio, e alla sua scadenza è correlata l'automaticità della sanzione, non vi è scusabilità del ritardo che rilevi: un termine perentorio che sia soggetto a dilatazione in ragione della discrezionale valutazione delle cause del ritardo appare invero figura giuridica di dubbia collocazione nell'ordinamento, in mancanza di espressa configurazione normativa in senso diverso. E va ricordato che, laddove si è ritenuto di introdurre il temperamento della "ipotesi eccezionale" (cfr. VI Sez. n. 2780 del 2001, cit.), non si è andati oltre la comprovata impossibilità, per l'impresa sottoposta a verifica, di produrre documentazione non rientrante nella sua disponibilità: ipotesi di oggettivo e assoluto impedimento che non ri-corre nel caso all'esame della Sezione. In tale quadro, l'avviso espresso dal Consiglio dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici - che ha ritenuto di riconoscere il beneficio dell'errore scusabile a favore della Simeoli con riguardo a comprovati motivi di salute di familiari del titolare dell'impresa - non appare idoneo a radicare il prospettato vizio di disparità di trattamento e contraddittorietà fra atti (id est, atto dell'Autorità e atto della stazione appaltante), in presenza di una statuizione giudiziale sulla assoluta "inescusabilità" del ritardo. Né può utilmente sostenersi la configurabilità di un'ipotesi di contrasto con i canoni di cui agli artt. 3 e 97 Cost. sotto tali profili. Secondo l'appellante, la sanzione dell'incameramento della cauzione in favore della stazione appaltante non può essere comminata nell'ipotesi in cui l'Autorità di vigilanza valuti il ritardo incolpevole e conclude il procedimento con un provvedimento di archiviazione; diversamente opinando, si determinerebbe contraddittorietà tra atti, consistente nella diversa ratio delle sanzioni, l'una diretta a punire la mera inottemperanza nel termine perentorio e l'altra a sanzionare solo le omissioni colpevoli e fraudolente; la disparità di trattamento si determinerebbe fra le due Amministrazioni perché consentirebbe alla prima di incamerare la cauzione in ogni caso e, all'altra, di comminare la sanzione pecuniaria solo dopo aver valutato l'elemento psicologico del comportamento assunto dal concorrente: una tale interpretazione contrasterebbe con le norme costituzionali in precedenza indicate. L'assunto ipotizza peraltro, sostanzialmente, una interpretazione della norma che contempla, da un lato, un effetto sanzionatorio automatico correlato alla perentorietà del termine e, dall'altro, una "scusabilità" del ritardo: con conseguente possibile contraddittorietà di determinazioni e disparità di situazioni; e solo per l'ipotesi che prevalga tale interpretazione si solleva la relativa questione di costituzionalità. Senonché, nell'interpretazione accolta dal Collegio, non vi è spazio per profili di "scusabilità" del ritardo: il che priva in radice la tesi prospettata di uno dei presupposti cardine della paventata contraddittorietà e disparità e ne comporta la manifesta infondatezza.” Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6528 (vedi: sentenza per esteso)

 

Gara per l'affidamento del servizio di tesoreria - contratto di sponsorizzazione - la par condicio dei partecipanti alla gara. In una gara per l'affidamento del servizio di tesoreria, l’attribuzione di punteggio aggiuntivo in relazione alla disponibilità, manifestata dal concorrente, a stipulare un contratto di sponsorizzazione e a farsi carico dei relativi oneri, può considerarsi legittima a condi-zione che: a) il pagamento di un corrispettivo in denaro per la sponsorizzazione delle indicate iniziative ed i criteri di attribuzione dei punteggi siano previsti espressamente nella lettera di invito, sicché sia garantita la par condicio dei partecipanti alla gara, una volta resi edotti della clausola e della sua parziale e potenziale incidenza ai fini dell’aggiudicazione; b) i criteri di valutazione delle offerte tengano conto della mera accessorietà del contratto di sponsorizzazione al quale si riferisce la dichiarazione di disponibilità alla stipula, in rapporto ad altri criteri di scrutinio delle offerte medesime, che vanno ancorati a parametri più idonei ad evidenziare particolari capacità nell’espletamento dell’affidando servizio di tesoreria; il punteggio conferibile in relazione alle sponsorizzazioni dovrà quindi essere modulato in termini più che altro residuali e tali da non costituire l’elemento discriminante principale e – per la sua oggettiva portata – tendenzialmente risolutivo dell’iter concorsuale. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6521 (vedi: sentenza per esteso)

 

Appalti - aggiudicazione provvisoria - atto preparatorio e non conclusivo del procedimento - inesistenza di un onere di immediata impugnativa - aggiudicazione definitiva - immediata impugnazione - necessità - rilievo anche dei vizi propri della aggiudicazione provvisoria - legittimità. Il Collegio ritiene di aderire alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio che si è espressa ripetutamente nel senso dell’inesistenza di un onere di immediata impugnativa rispetto all’aggiudicazione provvisoria, rilevando che “l’aggiudicazione provvisoria, in quanto atto preparatorio e non conclusivo del procedimento, non obbliga all’immediata impugnazione; questa può essere differita al momento in cui si ricorre contro l’aggiudicazione definitiva. Il termine per ricorrere contro l’aggiudicazione di un pubblico contratto, pertanto, decorre dalla piena conoscenza di quella definitiva, con la possibilità di far valere nel relativo giudizio anche i vizi propri di quella provvisoria” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 maggio 2002, n. 2863; così anche Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2000, n. 6128). Consiglio di Stato - Sezione V - 29 settembre 2003, Sentenza n. 5509 (vedi: sentenza per esteso)

Appalti - l’aggiudicazione dell’appalto pubblico - i criteri individuati nel bando di gara - lettera di invito - la lex specialis - il potere di autoannullamento - riunione di imprese le domande di partecipazione - le domande di partecipazione redatte e sottoscritte dalle singole imprese e poi presentate dalla capogruppo - imprese mandanti - la carenza dei requisiti minimi di ammissione - possibilità di integrazione ex post - casi e limiti - formulazione delle offerte - principio della contestualità e simultaneità della valutazione delle imprese partecipanti alla gara. In sede di gara pubblica l’amministrazione è tenuta ad applicare i criteri individuati nel bando di gara, atteso che questo costituisce, unitamente alla lettera di invito, la lex specialis della stessa, in quanto tale destinata a prevalere sul contenuto di indizione della gara stessa, non potendo essere disapplicata, né modificata nel corso del procedimento neppure in caso di illegittimità, salvo il potere di autoannullamento. (In specie, il bando di gara, prevedeva espressamente, ed in modo preciso, che in caso di riunione di imprese le domande di partecipazione dovessero essere redatte e sottoscritte dalle singole imprese e poi presentate dalla capogruppo. Invece, come risulta dagli atti, la ATI con impresa capogruppo Farid Municipal Vehicles LTD ha prodotto una unica domanda di partecipazione regolarmente sottoscritta solo dalla stessa capogruppo, senza che sia stata prodotta la documentazione da parte delle imprese mandanti. Tale circostanza costituisce senza dubbio una violazione del bando di gara, e induce a ritenere la carenza dei requisiti minimi di ammissione in capo alle imprese costituenti l’ATI, così come specificati nello stesso bando. Né, in proposito, può darsi rilievo, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, alla nota dell’amministrazione del 3.6.99, prot. N. 3764, con cui si stabilisce che la documentazione relativa alla costituzione del raggruppamento di imprese che partecipa alla gara per l’aggiudicazione dell’appalto pubblico può essere legittimamente presentata anche in un momento successivo. Infatti, tale possibilità di integrazione ex post è ammissibile solo in assenza di apposita prescrizione del bando di gara o della lettera di invito, mentre nella fattispecie oggetto del presente giudizio l’amministrazione ha definito in modo puntuale ed analitico le formalità e le modalità di partecipazione alla gara e di formulazione delle offerte. Va, del pari, ritenuta irrilevante l’ulteriore considerazione del ricorrente in base alla quale l’impresa capogruppo ha dichiarato di essere in grado di documentare i requisiti minimi di ammissione in capo a sé stessa, e quindi avrebbe potuto partecipare alla gara come impresa singola. Deve ritenersi, infatti, che la modificazione soggettiva di una ATI intervenuta successivamente alla fase di prequalificazione debba ritenersi illegittima per contrasto con il principio della contestualità e simultaneità della valutazione delle imprese partecipanti alla gara. Consiglio di Stato - Sezione V - 29 settembre 2003, Sentenza n. 5509 (vedi: sentenza per esteso)

 

L’istituto dell’arbitrato in materia di lavori pubblici a partire dalla c.d. legge quadro (L.11 febbraio 1994, n.109). Il testo originario dell’art. 32 di tale legge, dopo aver previsto, al primo comma, la conciliazione in via amministrativa delle controversie, al secondo comma, per il mancato raggiungimento dell’accordo, da un lato, devolveva le controversie alla competenza del giudice ordinario e, dall’altro, vietava che nei capitolati generali o speciali fosse previsto il deferimento delle controversie ai collegi arbitrali. Tale disposizione fu contestata sia per il suo possibile contrasto con numerose disposizioni della Costituzione (artt.24, 113, 3 e 97) sia perchè privava il settore di un istituto avente una crescente rilevanza, in dipendenza del mutamento in atto nell’assetto dello Stato: nella struttura amministrativa, nell’organizzazione giudiziaria, nei rapporti con i cittadini. Ciò in relazione all’aumento del valore dell’autonomia privata ed alla luce della moderna concezione del diritto amministrativo, fondata sul pluralismo istituzionale e sull’esercizio di compiti pubblici non in forza del principio dell’autorità dell’amministrazione bensì con la collaborazione dei soggetti interessati e con il ricorso ad istituti convenzionali e paritari. Il Governo, con numerosi decreti-legge, via via reiterati fino al D.L. 31 gennaio 1995, n.26, sospese, fino al 30 giugno 1995, l’applicazione di quasi tutte le disposizioni della legge n.109/1994, fra cui quelle contenute nell’art.32. Con l’art. 9 bis del D.L. 3 aprile 1995, n.101, convertito in legge, con modificazioni, dalla L.2 giugno 1995, n.216, si ebbe il capovolgimento della previsione in materia, in quanto esso disponeva, al comma 1, che, qualora non si fosse raggiunto l’accordo bonario previsto dall’articolo precedente, la definizione delle controversie “è attribuita ad un arbitrato ai sensi delle norme del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile”. Anche questa disposizione diede luogo a problemi, soprattutto in relazione alla sua formulazione che sembrava prevedere un arbitrato obbligatorio, istituto, questo, ritenuto incostituzionale (come si vedrà in seguito) dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale. L’art. 10 della L.18 novembre 1998, n.415 contiene un testo interamente sostitutivo dell’art. 32 della legge n.109/1994 ed è quello vigente (salvo modificazioni, che in questa sede non interessano, introdotte dall’art. 7 della L.1° agosto 2002, n.166). Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2003, Sentenza n. 6335 (vedi: sentenza per esteso)

 

L’alternativa del ricorso all’arbitrato - deroga al principio della giurisdizione statuale - lo schema unitario dell’arbitrato - dottrina. Chi vuol far valere un diritto in giudizio non può rivolgersi che ai giudici ordinari di cui all’art. 102 Cost. oppure ai giudici speciali elencati nell’art. 103 o comunque contemplati dalla VI disp. trans.; con la sola alternativa del ricorso all’arbitrato, come descritto dal codice di rito e caratterizzato dalla libera scelta delle parti, unica valida deroga al principio della giurisdizione statuale. Sentenza 14 luglio 1977, n.127, seguita da numerose altre, assolutamente costanti nell’affermare i medesimi principi (cfr. C.cost. 27 dicembre 1991, n.488; 10 giugno 1994, n.232; 27 febbraio 1996, n.54; 9 maggio 1996, n.152; 11 dicembre 1997, n.381; 24 luglio 1998, n.325; 21 aprile 2000, n.115). Resta così confermata la prospettiva che la moderna dottrina ha utilizzato per ricomporre ad unità il sistema dell’arbitrato. Esiste cioè una pluralità di modelli arbitrali, i quali, tuttavia, sono sussumibili in uno schema unitario caratterizzato da elementi comuni e, in primo luogo, dalla libertà delle parti di optare per il giudizio arbitrale. Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2003, Sentenza n. 6335 (vedi: sentenza per esteso)

 

Asta pubblica - ammissione all’asta - servizio postacelere - equiparazione al c.d. diritto di raccomandazione - completa soddisfazione delle esigenze di certezza - compito di certificare gli estremi della spedizione - registri di protocollo delle poste. Il servizio postacelere, istituito con decreto ministeriale 28 luglio 1987, n.564 ed assoggettato al medesimo regime dei servizi postali e di telecomunicazioni (art.2 d.m. cit.), comprende la registrazione delle essenziali informazioni relative alla spedizione (identità del mittente e del destinatario e date di invio e di ricezione) e risulta affidato al (e gestito dal) servizio postale pubblico. Ne consegue che il servizio in questione va equiparato, ai fini che qui interessano, a quello raccomandato (imponendo, tra l’altro, il pagamento di una tariffa comprensiva del c.d. diritto di raccomandazione) e che il suo utilizzo consente, in definitiva, la completa soddisfazione delle esigenze di certezza postulate dall’amministrazione con l’imposizione dell’adempimento in questione e perseguite con l’affidamento al servizio pubblico del compito di certificare gli estremi della spedizione, sulla base del corretto presupposto che i registri di protocollo delle poste costituiscono una fonte di prova privilegiata che fa fede fino a querela di falso per la posizione e la responsabilità di cui sono investiti gli addetti alla relativa tenuta (C.S., Sez.VI, 26 maggio 1999, n.693). Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6332 (vedi: sentenza per esteso)

Presentazione delle offerte con specifica modalità espressa chiaramente nel bando di gara - esclusione - irregolare trasmissione dei plichi - prevalenza all’interesse pubblico - ampia partecipazione di concorrenti. La volontà di sanzionare con l’esclusione l’inosservanza di una specifica modalità di presentazione delle offerte deve essere chiaramente espressa nel bando di gara (C.S., Sez.V, 16 gennaio 2002, n.226), sicchè, in mancanza di tale univoca previsione, resta preclusa all’amministrazione ed all’interprete ogni diversa conclusione in ordine a non previste conseguenze sanzionatorie dell’irregolare trasmissione dei plichi, e che, in ogni caso, nell’incertezza circa l’interpretazione della portata precettiva di una clausola ambigua, deve accordarsi prevalenza all’interesse pubblico alla più ampia partecipazione di concorrenti (C.S., Sez. VI, 29 aprile 2002, n.2284). Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6332 (vedi: sentenza per esteso)

La validità della trasmissione di un titolo di credito con un mezzo vietato ma pervenuto puntualmente a destinazione - il divieto di includere valori nelle corrispondenze - rapporti di Poste con gli utenti del servizio. Il divieto di includere valori nelle corrispondenze si riferisce esclusivamente ai rapporti di Poste con gli utenti del servizio e serve a limitare gli obblighi di rimborso ascrivibili alla società che lo gestisce, con la conseguenza che la sua eventuale violazione implica, come espressamente stabilito dall’art.83 d.P.R. 29 marzo 1973, n.156, il solo effetto che all’interessato “non compete nessuna indennità nei casi di smarrimento, avaria o manomissione” e non anche quello, ulteriore ed estraneo sia alla ratio del divieto sia al suo ambito applicativo, dell’invalidità della trasmissione di un titolo di credito con un mezzo vietato ma pervenuto puntualmente a destinazione. Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6332 (vedi: sentenza per esteso)

 

La certificazione di conformità dei lavori eseguiti al progetto approvato - il rispetto delle prescrizioni vigenti in materia di sicurezza antincendio - il valore sostitutivo provvisorio del nulla osta antincendi - esclusione dalla gara - legittimità - Commissione - limiti. L’art. 3 del D.P.R. 12.1.1998 n. 37 attribuisce valore sostitutivo provvisorio del nulla osta antincendi, in attesa degli accertamenti del caso, non alla mera richiesta di sopralluogo ma alla ricevuta rilasciata dai Vigili del Fuoco in ordine a specifica domanda della Ditta, corredata da certificazione di conformità dei lavori eseguiti al progetto approvato, con la quale viene attestato il rispetto delle prescrizioni vigenti in materia di sicurezza antincendio e l’impegno al rispetto degli obblighi di cui al successivo art. 5. (Nella specie, correttamente le appellanti sono state escluse dalla gara in quanto una delle società non aveva allegato alla documentazione presentata il nulla osta prevenzione incendi, richiesto espressamente dal bando di gara per ciascun partecipante all’associazione. L’unico documento prodotto in sede di gara, come risulta dal relativo verbale, è stata una copia della domanda di sopralluogo al Comando provinciale dei vigili del fuoco, che però non ha alcun valore sostitutivo provvisorio del nulla osta. Né la Commissione era tenuta a richiedere l’integrazione della documentazione, in quanto nella specie non si trattava di chiarire o integrare il contenuto del documento esibito ma di produrre un diverso documento). Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6330

 

Appalti - provvedimento di affidamento - trattativa privata - partecipazione - condizioni legittimanti - interesse all’annullamento. La partecipazione La partecipazione (senza specifica riserva), dando seguito a richiesta della Amministrazione appaltante, ad una trattativa privata preclude l’incardinamento dell’interesse all’annullamento della procedura per motivi attinenti all’assenza delle condizioni legittimanti la scelta di tale metodo di contrattazione, od al difetto di motivazione circa la stessa scelta, atteso che con il proprio comportamento l’impresa ha sostanzialmente prestato acquiescenza al provvedimento di indizione della gara e quindi all’operato a monte dell’Amministrazione. Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenza n. 6072

 

Valutazione delle offerte in una gara d'appalto pubblico - offerta in cifre ed offerta in lettere - offerta erroneamente formulata, con tre cifre decimali - fattispecie. Nella valutazione delle offerte in una gara d'appalto pubblico, (cfr., Conforme: Con. Stato, Sez. V, 6 maggio 1997 n. 466; id. 21 ottobre 1995 n. 1467), non sussiste discordanza d'espressione tra offerta in cifre ed offerta in lettere, tale da dover giustificare la prevalenza di quest'ultima ai sensi dell'art. 72 R.D. 23 maggio 1924 n. 827, nel caso in cui l'offerta in cifre sia erroneamente formulata, con tre cifre decimali, in centesimi, anziché in millesimi, stante l'immediata riconoscibilità dell'errore in cui l'offerente è incorso. (Nella specie, non v’è dubbio il numero 20,895, enunciato in lettere con l’espressione “venti e centesimi ottocentonovantacinque” si legga e significhi venti e 895 millesimi, secondo il corretto valore aritmetico corrispondente all'espressione numerica adoperata, e non ventotto e novantacinque centesimi, come del tutto abitrariamente l’ha inteso correggere l’Amministrazione). Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenza n. 6070

 

Fornitura pubblica - dimezzamento dei termini processuali - il dimezzamento non si applica ai termini per la proposizione del ricorso - si applica ai termini per il deposito del ricorso. La controversia che ha per oggetto una fornitura pubblica, concerne una materia tra quelle contemplate dall’art. 23 bis, primo comma, della legge n. 1034 del 1971, come introdotto dall’art. 4 della già citata legge n. 205 del 2000, per le quali il comma secondo dello stesso articolo 23 bis dispone che: “i termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso”. Tale disposizione, nel profilo in cui dispone il dimezzamento dei termini processuali si applica, secondo principi ormai pacifici in giurisprudenza, anche al termine stabilito per il deposito del ricorso (da ultima, V, 25.2.2003, n. 1074). La deroga al dimezzamento dei termini si riferisce alla proposizione del ricorso principale e alla proposizione del ricorso incidentale, in quanto sono identiche le ragioni che, sul piano sostanziale, hanno indotto a non derogare per tali atti al termine ordinario. Sotto il profilo sostanziale, infatti, per detti atti, è stata considerata l’esigenza che all’interessato, nonostante l’obiettivo di rendere più celere il giudizio amministrativo relativo ad alcune materie, fosse assegnato un più congruo spatium deliberandi dalla conoscenza dell’atto o del comportamento lesivo ovvero dall’azione altrui per decidere ed organizzare la propria tutela giurisdizionale. Tali motivi, evidentemente, non riguardano il deposito del ricorso, che costituisce un adempimento di carattere meramente materiale (anche se dal deposito del ricorso prende vita il rapporto processuale amministrativo). Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2003, sent. n. 5897

 

Gara per la fornitura di ricambi di autobus - clausola che impone la parametrazione al listino di un determinato produttore - alterazione del confronto concorrenziale - lesione della par condicio. L’imposizione della formulazione dell’offerta con riferimento al listino di un determinato produttore determina un’evidente alterazione della regolarità del confronto concorrenziale ed una lesione della par condicio dei concorrenti, finendo per attribuire un palese ed ingiustificato vantaggio alle imprese partecipanti che offrono ricambi originali del produttore e per gravare, invece, le altre (quelle, cioè, che, valendosi della relativa facoltà espressamente riconosciuta dal disciplinare di gara, propongono la fornitura di ricambi equivalenti) di un onere aggiuntivo che li costringe ad una complessa operazione di conoscenza del listino di riferimento, di individuazione in questo delle voci corrispondenti dei ricambi oggetto dell’offerta e di articolazione della propria proposta su parametri riferiti a prodotti aventi caratteristiche strutturali diverse da quelli (solo nella funzionalità) equivalenti e, soprattutto, li espone, in definitiva, alle revisioni dei prezzi ed a qualsiasi altra modifica del listino deliberate da un’impresa produttrice concorrente (in evidente spregio delle più elementari regole poste a presidio della concorrenza). Risulta agevole, allora, concludere che la prescrizione considerata si rivela idonea ad alterare la posizione paritaria dei partecipanti alla gara, determinando contestualmente vantaggi e svantaggi in relazione ad un’opzione presupposta (fornitura di ricambi originali od equivalenti) ammessa come indifferente dallo stesso disciplinare, e, conseguentemente, a pregiudicare irrimediabilmente il corretto svolgimento del confronto concorrenziale, introducendo proprio quel fattore che l’art.19 comma 5 d. lgs. N.158/95 si propone evidentemente di evitare. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2003, sent. n. 5896

 

Appalto di importo superiore alla soglia comunitaria - termine decadenziale di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione - decorrenza dall’ultimo giorno di pubblicazione all’Albo pretorio - irrilevanza, ai fini del computo del termine, della pubblicazione sulla GUCE. La pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione di appalto (di importo superiore alla soglia comunitaria) sulla GUCE non è alternativa ed inclusiva rispetto a quella effettuata all’Albo comunale, ma costituisce un ulteriore mezzo di diffusione della notizia. Ciò non comporta l’inefficacia della pubblicazione all’Albo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 21 della L. n. 1034 del 1971, tramite la quale si deve presumere che il ricorrente abbia avuto conoscenza del provvedimento di aggiudicazione dell’appalto, che, pertanto, andava impugnato entro il prescritto termine decadenziale di 60 giorni decorrenti dall’ultimo giorno della pubblicazione. Dalle norme che esigono che le amministrazioni che abbiano aggiudicato un appalto pubblico di servizi inviino all’ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee un avviso in merito ai risultati della procedura di aggiudicazione, non è dato in alcun modo evincere che il legislatore comunitario e, quindi, il legislatore nazionale abbiano inteso introdurre uno strumento di conoscenza dal quale far decorrere il termine per l’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2003, sent. n. 5893

 

Illegittima mancata aggiudicazione di gara - risarcimento dei danni alla ditta che sarebbe risultata aggiudicataria - danno per mancata aggiudicazione - va commisurato alla diminuzione patrimoniale, non al lucro cessante. Il risarcimento del danno derivato dalla illegittima mancata aggiudicazione di una gara, nel caso in cui la conclusione di un ordinario procedimento di gara avrebbe visto aggiudicataria la ditta, la cui offerta era risultata la migliore, non va commisurato al lucro cessante, dovendo essere risarcito l’intero danno per mancata aggiudicazione. Il danno subito dall’impresa non è quello connesso all’astratta possibilità di un esito favorevole della gara, cosiddetta “chance”, tutelabile avuto riguardo al numero dei concorrenti, (nella fattispecie, un terzo dell'utile dell'impresa, valutato pari al dieci per cento del prezzo a base d’asta come ribassato in base all’offerta presentata), bensì quello della mancata aggiudicazione del contratto e deve essere individuato nella conseguente diminuzione patrimoniale. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2003, sent. n. 5892


Pubblica gara - punteggio numerico attribuito alle componenti dell’offerta - limiti - generale obbligo di motivazione imposto all’amministrazione. Ai fini dell’adempimento dell’obbligo motivazionale imposto all’amministrazione dall’art. 3, l. n. 241/1990, in una pubblica gara, il solo punteggio numerico alle componenti della offerta può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, senza una ulteriore motivazione specifica, solo quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati (Consiglio di Stato - Sezione VI - 10 gennaio 2003, n. 67). Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2003, sent. n. 5899 (vedi: sentenza per esteso)

Procedure di gara e di concorso - problema relativo alla idoneità del solo punteggio numerico a costituire adempimento dell’obbligo motivazionale imposto all’amministrazione dall’art. 3, l. n. 241/1990 - indirizzi interpretativi. Secondo un primo orientamento, è necessaria una apposita motivazione per la valutazione delle prove di gara o di concorso, attesa l’insufficienza di una mera valutazione numerica; secondo tale orientamento, il punteggio numerico costituisce esternazione del risultato e non già della motivazione del giudizio valutativo, mostrandosi inadeguato a porre il partecipante ad una gara ovvero ad un concorso in condizioni di conoscere i motivi sottesi al giudizio di segno negativo e, richiamando a sostegno di tale opzione proprio la previsione ex art. 3 L. n. 241/1990. Su altro fronte, invece, l’orientamento in forza del quale l’onere della motivazione dei giudizi è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio numerico, configurandosi quest’ultimo come formula sintetica, ma non per questo non eloquente, di esternazione della valutazione tecnica compiuta peraltro asseritamente priva di valenza schiettamente provvedimentale. Secondo una diversa prospettiva, infine, il problema relativo alla possibilità di utilizzare il punteggio numerico in luogo della motivazione non può essere risolto in astratto, ma deve essere risolto in concreto e con specifico riferimento ai criteri di massima, risultando sufficiente soltanto ove questi ultimi siano predeterminati rigidamente e insufficiente nel caso in cui si risolvano in espressioni generiche. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2003, sent. n. 5899 (vedi: sentenza per esteso)
 

Partecipazione alla gara - le clausole della lex specialis ritenute illegittime - impugnazione - limiti. Le clausole della lex specialis ritenute illegittime devono essere immediatamente impugnate solamente quando la loro applicazione incida effettivamente, in senso impeditivo, sulla possibilità del ricorrente, soggettivamente individuato, di partecipare alla gara, sul presupposto che solo in tale ipotesi sussiste un pregiudizio diretto ed attuale nonché una lesione immediata del suo interesse azionato, che non derivi, invece, dall’interpretazione e dalla successiva applicazione della lex specialis data dall’Organo di gara (cfr., in tema, Cons. Stato, A.P. 29 gennaio 2003, n. 1). Consiglio di Stato Sezione V - 1 ottobre 2003, Sentenza n. 5680

 

Discarica rifiuti - approvazione del progetto degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti - strumento urbanistico - declaratoria di pubblica utilità - termini di potere di espropriazione - termini dimidiati - appalto di opere pubbliche. Il fatto che l’approvazione del progetto degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti comportasse l’eventuale variante dello strumento urbanistico e la declaratoria di pubblica utilità con ogni conseguenza in termini di potere di espropriazione, non cambiava i termini del problema, nella considerazione che, a tenore della fattispecie dei termini dimidiati di cui all’art. 19 del d.l. 67/97, era l’attività principale quella che determinava la procedura e non viceversa e nel caso di specie quella non era assimilabile, all’evidenza, all’appalto di opere pubbliche. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5679. (vedi: sentenza per esteso)

 

L’appalto per la conduzione e manutenzione del depuratore per acque reflue civili ed assimilabili nell’ambito del Comune - speciale disciplina acceleratoria - aggiudicazione provvisoria - termini processuali ridotti alla metà - errore scusabile - mancanza di presupposti. L’appalto per l’affidamento del servizio pubblico comunale di conduzione e manutenzione del depuratore delle acque reflue civili (V. art. art.6 L. 10.5.1976 n. 319), rientra nella speciale disciplina acceleratoria di cui all’art. 23 bis L. 6.12.1971 n.1034, come introdotto dall’art.4 L. 21.7.2000 n. 205, la quale statuisce (comma 2°) che “i termini processuali previsti (nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa) sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso”. In particolare, rientra tra i termini processuali ridotti alla metà quello relativo al deposito del ricorso, che normalmente è di 30 giorni dall’ultima notifica (v. artt.21 e 28 L. n. 1034/1971), per cui nei giudizi di cui al menzionato art.23 bis tale termine è ridotto a 15 giorni, come del resto chiarito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio con la decisone n.5 del 31.5.2002, da cui non vi è motivo per discostarsene. Né sussistono i presupposti per concedere d’ufficio l’errore scusabile, in quanto all’epoca del deposito del ricorso in appello( dicembre 20002) erano ormai trascorsi più di sei mesi dalla pubblicazione della decisone dell’Adunanza plenaria. (Nella specie l’ultima notifica utile è intervenuta il 4.12.2002, essendo irrilevante ai fini della decorrenza del termine di deposito dell’appello quella effettuata dal Comune nei confronti della società DE.PA.S (aggiudicataria provvisoria), la quale era stata soccombente nel giudizio di 1° grado ed in quanto tale cointeressata rispetto alla posizione di soccombenza del Comune e perciò soggetto cui non era necessario notificare l’appello (V. le decisioni di questo Consiglio, Sez. VI n.1593 del 28.10.1999 e n. 6118 del 16.11.2000; Sez. IV n.382 del 4.5.1994, n. 1189 del 23.9.1998 e n.6440 del 23.11.2002). L’atto di appello è stato depositato il 20.12.2002 e cioè con un giorno di ritardo rispetto al termine perentorio ultimo per il deposito, che era il 19.12.2002). Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5678 (vedi: sentenza per esteso)

Partecipazione alla gara - esclusione - presentazione della domanda di partecipazione - forme - modalità di invio e sottoscrizione delle istanze - adempimenti - presentazione della fotocopia del documento - la possibilità di regolarizzazione o integrazione del documento mancante - preclusione - disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa - dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà - par condicio tra i concorrenti - semplificazione amministrativa - inammissibilità - lex specialis - minimo ineludibile di formalità - i principi della massima partecipazione. La circostanza dell’avvenuta presentazione della fotocopia del documento (in specie il TAR di Lecce con l’impugnata sentenza in forma semplificata, preso atto delle prescrizioni della lettera di invito (previste esplicitamente a pena di esclusione, peraltro, per quanto attiene al contenuto della busta “A – Documentazione”) ha espresso l’avviso che l’allegazione di copia del documento di identità costituisca adempimento di valore essenziale in quanto volto a garantire l’esatta provenienza della documentazione esibita, e che l’obbligo di produrre copia del documento di identità, come imposto dal DPR 445/00, risulti inderogabile in considerazione della sua introduzione quale forma di semplificazione.) in sede di presentazione della domanda di partecipazione è da ritenersi irrilevante, stante la funzione innanzi indicata di garanzia della provenienza di ogni singolo documento cui la stessa fotocopia è destinata ad accompagnarsi; deve, pertanto, ritenersi preclusa la possibilità di regolarizzazione o integrazione del documento mancante, nel rispetto anche della par condicio tra i concorrenti. In particolare, per quello che qui interessa, l’art. 47 del t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al DPR 28 dicembre 2000, n. 445, in tema di dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, prevede, ai commi 1 e 3, che l’atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo con l’osservanza delle modalità di cui all’articolo 38 e che, fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la P.A. tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. A sua volta, l’art. 38, comma 3, in tema di modalità di invio e sottoscrizione delle istanze, prevede tassativamente che le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica siano sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e “presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore”. Tanto premesso, è evidente che non è contemplata né ammessa alcuna forma equipollente alla previsione di semplificazione amministrativa in questione e che per ogni singola dichiarazione si debba procedere nei modi sopradescritti. La ratio è, altresì, ben nota ed è messa in luce dalla stessa giurisprudenza richiamata dal deducente: asseverare, anche ai fini dell’assunzione di responsabilità, la provenienza delle dichiarazioni rese; il che, deve ritenersi, riguarda ogni singola dichiarazione sostitutiva od attestazione che dir si voglia. L’Amministrazione, sia per l’attestazione SOA che per le varie dichiarazioni sostitutive, si è vincolata al rispetto delle prescrizioni della legge, esplicitamente richiamata nella lex specialis, la quale se da una parte semplifica la procedura, agevolando quindi la posizione del privato/impresa richiedente, dall’altra pretende, nell’ambito della realizzazione di una fattispecie complessa, l’ossequio ad un minimo ineludibile di formalità (che non è certo un rilevante aggravio), a garanzia della consapevole e responsabile provenienza della documentazione. Non giova, pertanto, al ricorrente invocare i principi della massima partecipazione, né pretendere che l’omissione (non rilevando tra l’altro la riconducibilità ad una fortuita dimenticanza) decada al rango di mera irregolarità formale, sanabile anche in virtù dell’inclusione della copia nella domanda di partecipazione o in diverso plico (contenente l’offerta economica) disgiunto dalle dichiarazioni interessate e destinato a diversa fase di apertura. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5677 (vedi: sentenza per esteso)

 

Appalti - associazione temporanea di imprese - requisiti e documentazione - bando di gara - esclusione dalla gara. Ai sensi dell’art. 11 del d.lg. 157/95, come modificato dall’art. 9 del d.lg. 65/2000, espressamente richiamato dal capitolato speciale, per il caso di associazione temporanea di imprese, ciascuna delle imprese raggruppate deve produrre, tra le altre, la documentazione richiesta nel bando, a pena di esclusione dalla gara. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5676 (vedi: sentenza per esteso)

Appalti - bando di gara - partecipazione alla gara - cauzione provvisoria - la funzione di garanzia - risarcibilità del danno da inadempimento - incameramento dall’organo preposto all’esecuzione del contratto - evoluzione della configurazione dell’istituto - commisurazione rapportata al valore reale complessivo dell’appalto - caparra confirmatoria - atti di una gara d’appalto - i requisiti richiesti alle imprese partecipanti - principio di massima concorrenza - l’interesse pubblico all’individuazione della migliore offerta - adempimenti per l’ammissione alla gara. La cauzione provvisoria svolge senza dubbio la funzione di garantire la serietà dell’offerta, nel senso che l’aggiudicatario, ove non si presenti per la stipulazione del contratto, decade dall’aggiudicazione e la cauzione viene incamerata dall’organo preposto all’esecuzione del contratto, sulla base della mera constatazione dell’inadempienza. La tradizionale prospettazione della cauzione di cui si discute, finalizzata - come si accennava - a coprire la mancata sottoscrizione del contratto per fatto proprio dell’aggiudicatario, come istituto svolgente la medesima funzione della clausola penale, atteso che è diretta a predeterminare la conseguenza dell’inadempimento (incameramento della cauzione) in funzione di liquidazione forfettaria del danno, prescindendo dall’esatta quantificazione del nocumento patito dalla Pubblica amministrazione, tant’è che generalmente non viene prevista espressamente la risarcibilità del danno eventualmente non coperto dalla cauzione in parola, è stata di recente rivisitata, nel senso che si è affermato che il suo incameramento non esclude la possibilità del committente di richiedere il maggior danno per la lesione patrimoniale derivatagli dal comportamento dell’aggiudicatario, trattandosi più correttamente di una caparra confirmatoria, che non preclude la risarcibilità del maggior danno da inadempimento (cfr. Cons. Stato, IV, 29 marzo 2001, n. 1840 che ha meditatamente riformato la posizione espressa da TAR Lazio, III, 29 marzo 2000, n. 2443). Orbene, la recente evoluzione della configurazione dell’istituto de quo nel dibattito giurisprudenziale, oltre che in quello dottrinario, conforta l’opzione interpretativa che vuole la sua commisurazione rapportata al valore reale complessivo dell’appalto. Ma, al tempo stesso, e qui entra in gioco la fattispecie in trattazione, occorre dare conto del generalissimo e consolidato principio per cui la Pubblica amministrazione, nel predisporre gli atti di una gara d’appalto, ha l’onere di indicare con estrema chiarezza i requisiti richiesti alle imprese partecipanti, onde evitare che il principio di massima concorrenza tra le stesse imprese, cui si correla l’interesse pubblico all’individuazione della migliore offerta, possa essere in concreto vanificato da clausole equivoche non chiaramente percepibili dai soggetti partecipanti; pertanto, le disposizioni con le quali siano prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara, ove indichino in modo equivoco taluni dei detti adempimenti, vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo all’interesse pubblico di assicurare un ambito più vasto di valutazioni e, quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili (cfr. già Cons. Stato, VI, 12 giugno 1992, n. 481). Se pertanto, da una parte, la circostanza dell’indicazione, negli atti di gara, del solo importo a base d’asta annuale e non di quello complessivo può essere spiegata con l’impossibilità di determinare preventivamente in modo compiuto e puntuale l’importo complessivo dell’appalto, non può però pretendersi, dall’altra parte, l’applicazione rigida di misure espulsive sulla base di opzioni interpretative che, per quanto obiettivamente più logiche, scontano, e non di poco, una sembianza formale della normativa di gara per più versi fuorviante. Il tutto, deve concludersi, nel doveroso perseguimento dell’interesse pubblico a veder ampliata la platea degli aventi diritto alla partecipazione alla gara, sicuramente prevalente, nel caso di specie, rispetto all’esigenza di imporre, fin da subito, cauzioni e garanzie di importo maggiore, che di per sé non denotano una maggiore affidabilità delle ditte offerenti (cfr. Cons. Stato, V, 18 febbraio 2003, n. 873). Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5676 (vedi: sentenza per esteso)

Appalti - normativa in materia di sicurezza sul lavoro - norme per la sicurezza degli impianti - mancanza di certificazione - esclusione dalla gara - legittimità. E’ legittima l’esclusione dalla gara della partecipante che pur avendo presentato la dichiarazione di aver avviato la procedura per ottenere la certificazione ISO 9001 non avrebbe però comprovato tale dichiarazione allegando l’ulteriore dichiarazione dell’Ente certificatore attestante che il relativo iter era effettivamente in corso. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5676 (vedi: sentenza per esteso)
 

Bando di gara - preciso obbligo posto dal bando - pubbliche forniture - requisiti - iscrizione alla Camera di Commercio industria ed agricoltura - esclusione - legittimità - dichiarazione sostitutiva di atto notorio - errore materiale - vizio dell'offerta - affidamento dell'appalto all'offerente. L'obbligo di indicare, sotto pena di esclusione, "l'oggetto dell'iscrizione alla Camera di Commercio industria ed agricoltura" risponde non solo ad un preciso obbligo posto dal bando di gara ( punto 82, lettera c e punto 10) e dal capitolato d'appalto (articolo 7), ma da un'esigenza di tipo sostanziale, in quanto l'oggetto sociale (articolo 2328, n. 3, c.c.) delimita i poteri di rappresentanza attribuiti agli amministratori (articoli 2384 e 2384 bis c.c.) e quindi incide sulla legittimazione negoziale e sulla responsabilità dei soggetti che intendono assumere pubbliche forniture. Il fatto quindi che l'impresa, nel redigere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, sia incorsa in un errore materiale non può essere ascritta ad una mera irregolarità di tipo formale, ma costituisce un vizio dell'offerta che non consente all'amministrazione di concludere il procedimento nel senso dell'affidamento dell'appalto all'offerente. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5463 (vedi: sentenza per esteso)

Bando di gara - rettifiche delle dichiarazioni o delle istanze erronee o incomplete - limiti - par condicio - l'aggiudicazione di contratti della pubblica amministrazione - la sostituzione di una dichiarazione inefficace con altra dichiarazione - pubblico incanto - l'arresto procedimentale - principio di concentrazione delle operazioni concorsuali - dilatazione temporale del procedimento. Il principio secondo il quale il responsabile del procedimento amministrativo è tenuto ad invitare i partecipanti alla gara a rettificare le dichiarazioni o le istanze erronee o incomplete è applicabile anche ai procedimenti di gara d'appalto per l'aggiudicazione di contratti della pubblica amministrazione, "a condizione che non sia turbata la par condicio tra i concorrenti e che non vi sia una modificazione del contenuto della documentazione presentata." (Consiglio Stato sez. V, 3 settembre 2001, n. 4586). (Nel caso di specie, non si trattava di "completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati" (articolo 16 del D. Lgs. 17/03/1995, n. 157) ma della sostituzione di una dichiarazione inefficace con altra dichiarazione. Inoltre, trattandosi di un pubblico incanto, nel quale la verifica del possesso dei requisiti dei concorrenti non si traduce in una autonoma fase procedimentale ma è contestuale all’esperimento della gara, l'arresto procedimentale reso necessario dall’esperimento istruttorio, di certo avrebbe inciso negativamente sul principio di concentrazione delle operazioni concorsuali, posto a tutela sia dell’amministrazione che degli altri concorrenti, che non consentiva una dilatazione temporale del procedimento). Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5463 (vedi: sentenza per esteso)

 

La cumulabilità in capo alla stessa persona fisica delle funzioni di responsabile del procedimento e di componente della commissione di valutazione in una procedura di affidamento di un appalto - dirigenti degli enti locali - commissioni di gara - procedura di affidamento di un appalto - responsabilità delle procedure d’appalto. La questione principalmente controversa, riassumibile nel problema della cumulabilità in capo alla stessa persona fisica delle funzioni di responsabile del procedimento e di componente della commissione di valutazione in una procedura di affidamento di un appalto, è stata già esaminata e definita da questa Sezione (ancorchè con riferimento all’art.6 comma 2 della legge 15 maggio 1997, n.127, che aveva novellato l’art.51 comma 3 legge 8 giugno 1990, n.142, poi abrogato dall’art.274 d. lgs. 18 agosto 2000, n.267) nel senso della legittimità del contestuale espletamento da parte del medesimo dirigente degli incarichi sopra indicati (e, in generale, di tutte le funzioni connesse alla responsabilità delle procedure d’appalto, ivi comprese quelle relative alla presidenza delle commissioni valutatrici). Tale orientamento della Sezione (cfr. C.S., Sez. V, 12 aprile 2001, n.2293, 6 maggio 2002, n.2408 e 26 settembre 2002, n.4938) ormai univoco e consolidato, va senz’altro condiviso e confermato in quanto correttamente formatosi in esito ad un’analisi compiuta e coerente del sistema normativo di riferimento e della ratio della contestuale attribuzione ai dirigenti degli enti locali della presidenza delle commissioni di gara e della responsabilità delle procedure d’appalto (adesso confermata dall’art.107 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, che ha sostituito l’analoga disposizione contenuta nella legge n.142/90). Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5322 (vedi: sentenza per esteso)

Competenze assommabili in capo al dirigente responsabile - assegnazione al dirigente della responsabilità piena del procedimento di gara - finalità di assicurare economicità ed efficienza dell’azione amministrativa - la gestione unitaria ed uniforme - direzione della gara ed alla verifica del suo corretto svolgimento - esclusione di compiti dalla sfera di attribuzioni del dirigente responsabile - illegittimità. L’assegnazione al dirigente della responsabilità piena del procedimento di gara (desumibile da una lettura testuale e sistematica della disposizione che valorizzi la contestuale assegnazione allo stesso, senza la fissazione di ulteriori vincoli, anche della presidenza delle commissioni di gara) esige, per la completa attuazione dell’intestazione di tutti i compiti connessi alla procedura ad un medesimo soggetto e per la realizzazione dell’evidente finalità di assicurare economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, che nel novero delle competenze assommabili in capo al dirigente responsabile siano comprese tutte le funzioni amministrative direttamente riferibili alla direzione della gara ed alla verifica del suo corretto svolgimento. L’esclusione di taluno dei compiti considerati dalla sfera di attribuzioni del dirigente responsabile, oltre a non essere imposta dalla disposizione menzionata (che impegna, semmai, all’assegnazione di tutte le funzioni rilevanti della procedura al medesimo dirigente), vanificherebbe, peraltro, gli interessi chiaramente sottesi alla disposizione menzionata, frammentando le competenze direttive connesse al procedimento di gara tra più soggetti ed impedendo, così, la gestione unitaria ed uniforme dello stesso. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5322 (vedi: sentenza per esteso)

L’assegnazione allo stesso dirigente della responsabilità unitaria del complesso procedimento di gara non pregiudica in alcun modo la regolarità della procedura - ricezione delle offerte - valutazione da parte della commissione - affidamento dell’appalto - principi costituzionali - riserva dei compiti manageriali ai dirigenti - responsabilità - obiettivi dell’Ente - correttezza ed efficienza dell’azione amministrativa e al conseguimento dei risultati di gestione - sovrapposizione delle funzioni di controllato e controllore - atti di gara. Risulta inammissibilmente diretta contro una disposizione di legge (più che contro la sua vincolata esegesi), l’assegnazione allo stesso dirigente della responsabilità unitaria del complesso procedimento di gara, che si articola nelle diverse fasi della sua indizione, della ricezione delle offerte, della loro valutazione da parte dell’apposita commissione, dell’approvazione dei relativi lavori e dell’affidamento dell’appalto, lungi dal configgere con i richiamati principi costituzionali, si rivela, infatti, coerente con il libero (ed insindacabile da questo giudice) disegno politico del legislatore (agevolmente ravvisabile nella produzione normativa degli ultimi dieci anni in materia) di riservare ai dirigenti compiti manageriali caratterizzati dalla diretta responsabilità in merito al raggiungimento degli obiettivi dell’Ente, alla correttezza ed efficienza dell’azione amministrativa e al conseguimento dei risultati di gestione e di escludere l’organo di indirizzo politico da ogni ipotesi di responsabilità in ordine alla legittimità dell’esercizio di compiti di amministrazione attiva (come già rilevato da C.S., Sez. V, 6 maggio 2002, n.2408, nel giudicare manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art.51 comma 3 della legge n.142/90 per presunto contrasto con l’art.97 Cost.). Né merita condivisione l’ulteriore argomento dell’indebita sovrapposizione delle funzioni di controllato e controllore: l’approvazione degli atti di gara e, in particolare, dell’operato della Commissione non può essere, infatti, tecnicamente ascritta alla nozione di controllo, che esige l’espressa attribuzione normativa, nella specie inconfigurabile, ad un organo terzo di compiti di verifica della legittimità di provvedimenti od attività, ma si risolve nella diversa funzione di (ultima) revisione, interna al procedimento, della correttezza del suo svolgimento ed implica l’esercizio di una potestà funzionalmente connessa alla responsabilità unitaria del procedimento di gara, sicchè la sua attribuzione allo stesso dirigente che ne ha assunto la gestione fin dal principio non pregiudica in alcun modo la regolarità della procedura e l’utilità dell’approvazione dei suoi esiti (garantita, anzi, proprio dalle nuove forme di responsabilità dirigenziale). Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5322 (vedi: sentenza per esteso)

Divieto ai commissari di assumere compiti tecnici di esecuzione e di direzione dei lavori - concorso alla progettazione dell’opera - ipotesi di incompatibilità - interesse privato - pregiudizio all’imparzialità ed alla correttezza delle valutazioni tecnico-discrezionali - appalto concorso con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. La norma sancita dall’art.21 comma 5 della legge n.109/94 mira, in particolare, ad impedire la partecipazione alla commissione di soggetti che abbiano, a qualunque titolo, concorso alla progettazione dell’opera e a vietare che i commissari assumano compiti tecnici di esecuzione e di direzione dei lavori, al precipuo fine di evitare che dall’interesse privato connesso alla redazione del progetto od alla direzione dei lavori derivi un (altrimenti probabile) pregiudizio all’imparzialità ed alla correttezza delle valutazioni (tecnico-discrezionali, vertendosi in tema di appalto concorso con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) rimesse dalla legge alla commissione. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5322 (vedi: sentenza per esteso)

 

Contratti della P.A. - soggetto condannato per concussione per fatti attinenti ad una gara pubblica - affidamento dell’appalto - esclusione - affidabilità professionale del concorrente - professionalità di medico, ingegnere o avvocato - sentenze di condanna - mancata dichiarazione - condanne penali ex art. 444 c.p.p. - funzionari dell’Amministrazione - ragioni di opportunità - legittimità - fattispecie. L’attività di amministratore di una USL non costituisce affatto una attività politica ma di amministrazione di risorse finanziarie pubbliche e di strutture ,personali ed organizzative, anch’esse pubbliche . L’attività svolta in tale contesto, sia per i risvolti positivi che per quelli negativi, costituisce parte integrante del bagaglio professionale di ciascun amministratore e non può essere cancellata nel valutare la sua affidabilità professionale solo perché, cessata l’attività di gestione dell’Ente pubblico, egli riprenda la sua attività ordinaria secondo la sua specifica specializzazione o professionalità di medico, ingegnere o avvocato. In altri termini una volta esaurita l’attività di gestione la professionalità del singolo è costituita anche da questa sua esperienza e coerentemente la sua moralità professionale dovrà essere valutata anche con riguardo agli eventi che tale attività hanno caratterizzato. Quando si deve valutare la affidabilità professionale o la moralità professionale di un soggetto non può prescindersi anche dalla considerazione della sua professionalità per come nel tempo si è manifestata. E’, peraltro , corretto sostenere che ciò debba avvenire avendo riguardo al tipo di rapporto che con un determinato soggetto deve essere instaurato , alla gravità del reato in relazione alla tipologia del rapporto ed alle condizioni che in concreto inducono a ritenere che un vincolo contrattuale con quel soggetto non debba essere costituito. Nel caso di specie tutti questi elementi concorrono positivamente: il reato per cui è intervenuta condanna ( richiesta ed accettata) è la concussione continuata compiuta nell’ambito di procedure di aggiudicazione e la vicenda amministrativa qui in esame riguarda l’aggiudicazione di un appalto di servizi, il reato di concussione è tra i più gravi in relazione alla prevista possibilità di instaurare un rapporto contrattuale con il condannato e , quindi, la valutazione discrezionale sulla necessità di escluderlo non può ,coerentemente con le premesse svolte, che essere condivisa. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5321 (vedi: sentenza per esteso)

Contratti della P.A. - soggetto condannato per concussione per fatti attinenti ad una gara pubblica - appalti di servizi soprasoglia - affidamento dell’appalto - esclusione - affidabilità professionale del concorrente - sentenze di condanna - mancata dichiarazione - condanne penali ex art. 444 c.p.p. - funzionari dell’Amministrazione - ragioni di opportunità - legittimità - fattispecie. La norma dell’art. 12 del D. Lvo 157/1995 prende in considerazione alcune sentenze di condanna conferendo alle Amministrazioni aggiudicatici il potere discrezionale di valutarne le conseguenze in termini di affidabilità professionale del concorrente ( cfr. sul punto la decisione n.1145 del 1° marzo 2003 di questa Sezione) e riguarda tutti gli appalti di servizi soprasoglia; la gravità del reato per cui è intervenuta condanna non è stata valutata nel caso in esame in relazione alla tipologia astratta del reato ma invece in modo congruo e puntuale in relazione alla fattispecie concreta: in ordine cioè alla inopportunità dell’ affidamento dell’appalto ad un soggetto condannato per concussione per fatti attinenti ad una gara pubblica; il lamentato contrasto con altri provvedimenti presi dal Comune di Torino nei confronti dell’appellante e di segno positivo non sussiste se si tiene conto che la sentenza di cui trattasi risale al 22 febbraio 2002, che non è provato che i diversi funzionari dell’Amministrazione fossero a conoscenza del precedente penale di cui trattasi mentre rendevano le dichiarazioni esibite in giudizio e che l’Amministrazione comunale appellata ha, con memoria presentata per l’udienza di discussione, indicato le ragioni di opportunità – a ben vedere non condivisibili- dell’affidamento di un incarico di collaborazione nella direzione di alcuni lavori al ricorrente. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5321 (vedi: sentenza per esteso)

 

Bandi indicativi - la pubblicità dei bandi di gara e dei termini per la presentazione delle domande e delle offerte - l’obbligo per le amministrazioni appaltatrici “di dare notizia della pubblicazione dei bandi di gara sui bollettini - pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e, per estratto, su due quotidiani a diffusione nazionale - pubblicità relativa agli effettivi bandi di gara relativi agli appalti di fornitura. L’obbligo per le amministrazioni appaltatrici “di dare notizia della pubblicazione dei bandi di gara sui bollettini da esse utilizzati, tramite pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e, per estratto, su due quotidiani a diffusione nazionale” non riguarda la gara oggetto della presente controversia. La disposizione, infatti, si riferisce ai “bandi indicativi”, con i quali le amministrazioni comunicano, entro il termine di quarantacinque giorni dall’inizio dell’esercizio finanziario, “il totale delle forniture, per settore di prodotti, che esse intendono aggiudicare nel corso dei dodici mesi successivi”. Si tratta quindi delle forniture per far fronte ad esigenze già note all’inizio dell’esercizio finanziario e della programmazione di massima delle relative gare che saranno poi effettivamente indette nel corso dell’anno. Di tali bandi indicativi si dà notizia (si “comunicano”), fin dall’inizio del relativo esercizio finanziario, anche sulla Gazzetta Ufficiale e su due quotidiani. Il D.P.R. n. 573 del 1994, attraverso tale disposizione, persegue obiettivi di speditezza negli approvvigionamenti ricorrenti nel corso dell’anno e nelle relative procedure e detta, quindi, misure idonee a dare un’anticipata conoscenza alle imprese fornitrici dei vari settori delle gare programmate che le amministrazioni aggiudicatrici porranno in essere nel corso dell’anno finanziario. Per la gara oggetto della presente controversia è applicabile non l’art. 6 fin qui esaminato ma il precedente art. 5 dello stesso D.P.R. n. 573 del 1994, che si riferisce alla pubblicità relativa agli effettivi bandi di gara relativi agli appalti di fornitura (definiti dall’art. 1 dello stesso D.P.R. quelli “aventi per oggetto l'acquisto, la locazione finanziaria, la locazione, l'acquisto a riscatto con o senza opzioni per l'acquisto”). L’art 5 ora citato, al secondo comma, prevede: “per assicurare la pubblicità dei bandi di gara e dei termini per la presentazione delle domande e delle offerte, le amministrazioni aggiudicatrici, oltre alle modalità già previste da altre disposizioni di legge, pubblicano periodicamente, con congruo anticipo rispetto al termine di presentazione, specifici bollettini o, se già dispongono di bollettini ufficiali, in apposite sezioni di questi ultimi”. La pubblicità della gara in parola mediante pubblicazione del bando all’albo pretorio del Comune e sul B.U.R. è da ritenere quindi sufficiente a soddisfare l’esigenza di pubblicità stabilita per la gara di cui trattasi. (Nella specie, secondo il C.d.S., il primo motivo del ricorso originario, con il quale la ditta M. aveva denunciato la violazione dell’art. 6 del D.P.R. 18.4.1994, n. 573, non essendosi poste in essere le forme di pubblicità del bando che tale disposizione prescrive per gli appalti di fornitura di valore inferiore alle 200.000 unità di conto europee, doveva essere respinto perché manifestamente infondato). Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5311

 

Licitazione privata - costituzione di un’A.T.I. successivamente alla prequalificazione e anteriormente alla presentazione delle offerte - legittimità - principio della immodificabilità soggettiva delle imprese concorrenti. L’art.11 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n.157 ammette espressamente le imprese temporaneamente raggruppate “a presentare offerte”, con ciò individuando esplicitamente in quest’ultima fase procedimentale il momento ultimo che unicamente rileva ai fini della legittima costituzione dell’a.t.i. Dalla predetta disposizione, logicamente coerente con l’esigenza di sancire e definire la possibilità del raggruppamento di imprese con riferimento alla sola fase immediatamente antecedente lo svolgimento della competizione vera e propria (e cioè la presentazione delle offerte), può, quindi, trarsi la conclusione che la validità della costituzione dell’a.t.i. va giudicata con esclusivo riguardo al momento della formulazione dell’offerta; nel senso che vanno ritenute legittime le offerte congiuntamente presentate da imprese appositamente e tempestivamente raggruppate e che resta del tutto irrilevante la circostanza che, nelle procedure indette con il metodo della licitazione privata, la costituzione dell’a.t.i. sia intervenuta dopo la fase di prequalificazione (e tra imprese singolarmente invitate). L’a.t.i. non estingue la soggettività delle imprese già qualificate e, quindi, il raggruppamento non può definirsi quale soggetto ontologicamente nuovo e diverso da quelli invitati. Di conseguenza, non pare configurabile la violazione del principio di immodificabilità soggettiva delle imprese concorrenti. Tale conclusione risulta, peraltro, avvalorata e corroborata dal disposto di cui all’art.93 comma 2 d.P.R.21 dicembre 1999, n.554 (prima art.22 comma 2 decreto legislativo 19 dicembre 1991, n.406) che, laddove ammette espressamente l’impresa invitata individualmente a presentare l’offerta quale capogruppo di imprese riunite (peraltro non chiarendo se queste ultime debbano o meno essere state, a loro volta, invitate), sancisce positivamente il principio dell’ammissibilità che alla gara vera e propria partecipi un’a.t.i. costituita dopo la fase di prequalificazione. Consiglio di Stato, Sezione V – 18 settembre 2003, n. 5309

Bando di gara - prescrizione dell’allegazione di dichiarazione giurata - mancata previsione della sanzione dell’esclusione - valutazione delle concrete modalità di adempimento - interesse pubblico - l’irregolarità non implica alcun obbligo di esclusione. La mera mancanza della previsione della sanzione dell’esclusione non vale, di per sé, ad impedire all’interprete di qualificare la prescrizione sprovvista di quella pena come essenziale al fine della regolarità della procedura e di giudicarla, quindi, soggetta a quel grave regime sanzionatorio, quando risulti preordinata a soddisfare un rilevante interesse pubblico (C.S., Sez. V, 15 novembre 2001, n.5843). Detta indagine non deve essere compiuta in astratto ma con specifico riferimento alle concrete modalità di adempimento della clausola in questione: nel senso che l’essenzialità di quest’ultima per l’amministrazione aggiudicatrice va giudicata con riguardo agli interessi alla stessa sottesi ed all’idoneità della documentazione prodotta dall’impresa presunta inadempiente a garantire parimenti la loro realizzazione. La prescrizione dell’allegazione della dichiarazione giurata in ordine ad alcune sole delle cause di esclusione contemplate dall’art.11 d. lgs. N.358/92 risulta chiaramente finalizzata ad assicurare all’amministrazione un elevato grado di attendibilità della relativa attestazione (non garantito dalla semplice autocertificazione). Il rispetto delle modalità imposte dal bando di gara per la composizione della dichiarazione in questione non può qualificarsi essenziale per l’amministrazione aggiudicatrice, avuto riguardo alle forme concretamente osservate dall’aggiudicataria, di talchè l’irregolarità non implica alcun obbligo di esclusione. Consiglio di Stato, Sezione V – 18 settembre 2003, n. 5309
 

Il giudizio sulla anomalia dell’offerta nelle gara di appalto di opere pubbliche - valutazione tecnico - discrezionale dell’Amministrazione - sindacabilità - limiti - errori di fatto - manifesta irrazionalità - contraddizioni logiche - adeguata istruttoria - congrua motivazione - le giustificazioni rese dall’impresa - offerta assoggettata alla verifica di anomalia - la necessità di tutela effettiva degli interessi economici dei partecipanti alla gara - l’erroneità del giudizio sull’anomalia. Il giudizio sulla anomalia dell’offerta nelle gara di appalto di opere pubbliche costituisce una tipica valutazione tecnico - discrezionale dell’Amministrazione ed è sindacabile solo ove presenti palesi errori di fatto, aspetti di manifesta irrazionalità, ovvero evidenti contraddizioni logiche (v. Cons. St.: sez. V, 26 gennaio 2000, n. 345 e 31 ottobre 2000, n. 5886; sez. IV, 20 ottobre 1997, n. 1715). Le valutazioni dell’Amministrazione costituiscono, secondo tale orientamento, espressione di un potere di natura tecnico-discrezionale, di per sé insindacabile in sede giurisdizionale, salva l’ipotesi in cui le valutazioni stesse siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione: pertanto, fermo restando che le determinazioni finali dell’Amministrazione devono basarsi su una adeguata istruttoria e su una congrua motivazione (affinché in sede giurisdizionale possa verificarsi se esse risultano affette da eccesso di potere ), l’Amministrazione deve a tal fine prendere specificamente in considerazione le giustificazioni rese dall’impresa la cui offerta sia assoggettata alla verifica di anomalia e deve chiaramente esporre le ragioni per cui le abbia poi considerate insoddisfacenti, convincendosi così che l’offerta ( apparentemente ) migliore o più conveniente non sia poi in realtà tale, in quanto effettivamente anomala e non in grado di dare adeguato affidamento circa il corretto adempimento del contratto da stipulare. Nondimeno, deve ritenersi che il Giudice amministrativo non invada la sfera riservata all’Amministrazione, che è e rimane di mérito, anche quando rilevi la chiara incongruità della motivazione posta a base dell’apprezzamento dell’anomalia (cfr. Cons. St., IV, 5 luglio 1999, n. 1172), in quanto la necessità di tutela effettiva degli interessi economici dei partecipanti alla gara, in uno con l’esigenza di non creare pregiudiziali zone franche per l’operato dei soggetti pubblici, impongono di estendere comunque il sindacato di legittimità sull’attività amministrativa fino alla massima profondità compatibile con i confini della funzione giurisdizionale disegnati dalla Costituzione e dal nostro ordinamento sostanziale – processuale, senza pregiudiziali limitazioni ( v. Cons. St., V, 5 marzo 2001, n. 1247). Peraltro, quando, nella materia che ne occupa, si parla di “palese illogicità” del percorso argomentativo svolto dall’Amministrazione, si esprime la duplice esigenza che la parte ricorrente deduca con sufficiente chiarezza e specificità il contenuto delle critiche rivolte all’atto amministrativo che escluda o dichiari inammissibile l’offerta risultata anomala e che, ad un tempo, l’erroneità del giudizio sull’anomalia ( operato applicando tecniche d’indagine caratterizzate dalla presenza di svariati elementi di opinabilità) possa essere affermata con un ragionevole grado di certezza. Consiglio di Stato, Sezione IV, 30 luglio 2003, sentenza n. 4409 (vedi: sentenza per esteso)

La discrezionalità tecnica - insindacabilità del mérito amministrativo - il limite proprio della giurisdizione amministrativa - c.d. merito amministrativo - giudizio tecnico - scientifico - gara di appalto di opere pubbliche. Il limite proprio della giurisdizione amministrativa, correlato alla dimensione costituzionale della stessa funzione giurisdizionale ed al suo corretto rapporto con i restanti pubblici poteri, sta nella insindacabilità del mérito amministrativo, in tale prospettiva comunque la discrezionalità tecnica non sfugge, aprioristicamente, al sindacato del Giudice amministrativo, in quanto essa riguarda qualcosa di diverso dal c.d. merito amministrativo. Essa identifica, infatti, le ipotesi in cui l’operato dell’Amministrazione, in relazione a particolari materie, deve svolgersi secondo criteri, régole e parametri tecnici o scientifici, direttamente od indirettamente richiamati dalla norma giuridica, che disciplina il potere in concreto di volta in volta esercitato. In questi casi, il tasso più o meno elevato di opinabilità del giudizio tecnico – scientifico e la circostanza che la relativa valutazione spetti, in prima battuta, all’Amministrazione, non autorizza certo a ritenere che ci si trovi in presenza di un insindacabile apprezzamento dell’interesse pubblico ( v. Cons. St., V, n. 1247/2001, cit. ). Ne consegue che l’apprezzamento degli elementi di fatto del provvedimento che venga portato all’esame del Giudice, siano essi semplici o complessi (da rilevare attraverso valutazioni essenzialmente tecniche ), attiene sempre alla legittimità del provvedimento stesso e, pertanto, non può in alcun modo essere sottratto al Giudice amministrativo, fermo restando che al Giudice stesso non spetta riesaminare le autonome valutazioni dell’interesse pubblico compiute dall’Amministrazione sulla base, e quindi a valle, dei giudizi tecnici formulati. Consiglio di Stato, Sezione IV, 30 luglio 2003, sentenza n. 4409 (vedi: sentenza per esteso)

Gara di appalto di opere pubbliche - l’enucleazione delle voci di prezzo più significative - la disarticolazione della “globalità” dell’offerta - il “giusto procedimento” - offerta sottoposta a verifica - rapporto implicito di coerenza logica con atti pregressi della gara e della verifica - procedimento di verifica dell’anomalia. Con l’enucleazione delle voci di prezzo più significative, la disarticolazione della “globalità” dell’offerta risulta solo apparente, in quanto è da presumere che quelle voci, sulle quali vengono richiesti al concorrente ulteriori elementi di giudizio, incidano sulla serietà ed affidabilità dell’intera offerta. Di tal guisa, non occorre, quando l’Amministrazione abbia accertato, con il “giusto procedimento” disegnato dal legislatore e dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, l’incongruità degli elementi giustificativi presentati, e di conseguenza delle sottostanti voci di prezzo dell’offerta sottoposta a verifica, che tale determinazione di incongruità, che pur necessita di una articolata adeguata motivazione, sia poi suffragata da un ulteriore, separato, giudizio di incongruità dell’offerta nella sua globalità; giudizio che, nella normalità dei casi -per fondarsi sulla selezione e verifica di dati significativi, costituenti cioè indici rivelatori di una presumibile serietà ed affidabilità dell’offerta- si pone in un rapporto implicito di coerenza logica con atti pregressi della gara e della verifica e, in particolare, pertiene alla idoneità e significatività dello spettro di voci di prezzo prescelte, su cui si sia incentrata la verifica stessa. Sì che, allora, la giustificazione posta dall’Amministrazione a fondamento del provvedimento conclusivo del procedimento di verifica dell’anomalia può essere censurata o sindacata solo in relazione al processo di valutazione con essa posto in essere in relazione a ciascun elemento “significativo” ( il che attiene ai restanti motivi d’impugnazione proposti dinanzi al T.A.R. nella fattispecie ); oppure in relazione alla intrinseca “significatività” di ciascuno di quegli stessi elementi e cioè alla idoneità di ognuno di essi a costituire indice rivelatore della congruità dell’offerta ( aspetto che non risulta in alcun modo censurato nel ricorso di primo grado ). Consiglio di Stato, Sezione IV, 30 luglio 2003, sentenza n. 4409 (vedi: sentenza per esteso)

 

Appalti - l'art. 21, comma 1 bis, L. n. 109 del 1994 - il limite minimo (75%) per le stazioni appaltanti. L'art. 21, comma 1 bis, L. n. 109 del 1994 pone intero un limite minimo (75%) per le stazioni appaltanti, ma non esclude che esse possano chiede tre giustificazioni anche per un importo superiore (cfr., in termini, Con. Stato, VI Sez., 11 dicembre 2001, n. 6217 e C.G.A.R.S. 8 febbraio 2002, n. 64), ed anche reiterano le proprie richieste al fine di acquisire ulteriori precisazioni in relazione ai chiarimenti ricevuti (V Sez., 12 settembre 2001, n. 4773). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4350

Commissione di gara - acquisizione ulteriori precisazioni e chiarimenti - termine originariamente fissato. Ben può la Commissione di gara reiterare le proprie richieste al fine di acquisire ulteriori precisazioni in relazione ai chiarimenti richiesti (V Sez., n. 4773 del 2001 cit.), e ciò anche oltre il termine originariamente fissato. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4350

Autonomo ambito valutativo rimesso alla Commissione di gara - lex specialis di gara - esclusione. Esiste un autonomo ambito valutativo rimesso alla Commissione di gara, che ben può procedere alla veridicità della data medesima ove sussiste ragione di dubbio sulla stesa; diversamente, si avrebbe un aggravio procedimentale che sarebbe altresì lesivo della parità di posizione ove non cristallizzato nella lex specialis di gara. Ben può, ovviamente, fornire elementi di prova in contrario il controinteressato: ma le indicazioni della aggiudicataria C.C. sul punto concernono meri dettagli formali riferiti a copie dei giustificativi in possesso della stessa, che non consentono di desumere, con sufficiente attendibilità, l'esistenza di concreti elementi a supporto delle affermazioni formulate; le pretese irregolarità restano, nella stessa prospettazione dell'appellante incidentale, a livello di mere "singolarità": il che è certamente di ben limitato rilievo ai fini della auspicata esclusione ovvero della richiesta attività istruttoria. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4350

Principi comunitari in materia di offerte anomale - l'omissione del contraddittorio vizia l'operato della Commissione di Gara. L'omissione del contraddittorio vizia pertanto l'operato della Commissione, in quanto in violazione dell'art. 30 della direttiva 93/37 CEE e dei principi comunitari in materia di offerte anomale (cfr., in termini, da ultimo, Cons. Stato, IV Sez., 7 novembre 2002, n. 6111). In realtà, l'impresa ha allegato, quali giustificazioni, offerte di diverse ditte; ma sul punto non vi è stata alcuna specifica richiesta i chiarimenti (cfr. nota 5 aprile 2002) da parte della stazione appaltante. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4350

 

Esame delle giustificazioni svolte a sostegno dell’offerta sospettata di anomalia - congruità dei vari elementi di prezzo costitutivi dell’offerta - l’attendibilità dell’offerta. E’ pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui in sede di esame delle giustificazioni svolte a sostegno dell’offerta sospettata di anomalia l’Amministrazione deve prendere specificamente in considerazione le giustificazioni fornite ed esporre chiaramente le ragioni in base alle quali esse siano ritenute insoddisfacenti e non diano perciò sufficiente affidamento sulla corretta esecuzione della prestazione; allorché, invece, consideri seria l’offerta in base ad attendibili spiegazioni fornite dalle Ditte, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un’articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti (V. le decisioni di questa Sezione n. 1247 del 5.3.2001 e n. 3566 del 28.6.2002). Inoltre, è indubbio che le giustificazioni in ordine alla congruità dei vari elementi di prezzo costitutivi dell’offerta debbono essere fornite dall’impresa e non certamente ricercate autonomamente dall’Amministrazione. E’ sufficiente al riguardo richiamare, per quanto interessa, l’art. D. L.Vo 17.3.1995 n. 157, il quale prescrive per lo svolgimento del procedimento di verifica dell’anomalia il contraddittorio tra Ente appaltante ed impresa, assegnando a quest’ultima il compito di giustificare la congruità dei singoli elementi e dell’offerta complessiva ed all’Amministrazione la valutazione conclusiva (V. la decisione C.si n. 64 dell’8.4.2002). Infine, non bisogna dimenticare che l’attendibilità dell’offerta va comunque valutata nella sua globalità e non con riferimento alle singole voci di prezzo ritenute incongrue e avulse dall’incidenza che potrebbero avere sull’offerta economica nel suo insieme (V. la decisione di questo consiglio, sez. VI n. 6217 dell’11.12.2001). (Nella specie, l’Ecoalpi (appellante) si era limitata ad indicare i singoli elementi costitutivi dell’offerta, precisando i dati di base tenuti presenti per pervenire al relativo calcolo. Consiglio di Stato, Sezione V, 29 luglio 2003, sentenza n. 4323

Difetto di motivazione della verifica di congruità effettuata dall’Amministrazione - rinnovazione della valutazione in esecuzione del giudicato - l’affidabilità globale dell’offerta. Occorre tener presente che nel caso di un primo giudizio di illegittimità per difetto di motivazione della verifica di congruità effettuata dall’Amministrazione (come è avvenuto nella specie), questa poi nella rinnovazione della valutazione in esecuzione del giudicato può riesaminare completamente gli elementi dell’offerta tenendo conto anche di elementi non ritenuti rilevanti in primo momento, dovendosi comunque considerare l’affidabilità globale dell’offerta (V. la decisione di questo Consiglio, sez. VI, n.493 del 31.1.2003). Consiglio di Stato, Sezione V, 29 luglio 2003, sentenza n. 4323

 

Contratto di appalto - esecuzione non corretta del contratto di appalto - offerte anomale - necessità di verifica dell’offerta - verbale di aggiudicazione di una gara - appalto di fornitura di rilevanza comunitaria. Per offerte anomale si intendono quelle che, per il fatto di non assicurare all’imprenditore un profitto ovvero un profitto adeguato, conducono normalmente – secondo l’id quod plerumque accidit – ad un’esecuzione non corretta del contratto di appalto. La necessità di verificare che l’offerta, più vantaggiosa dal punto di vista economico, sia anche quella che consente all’Amministrazione di soddisfare effettivamente l’interesse pubblico perseguito con lo stipulando contratto di appalto, risponde ai fondamentali principi di imparzialità e di buona amministrazione (ed ai relativi corollari di efficacia, efficienza, speditezza, economicità ed adeguatezza) dell’azione amministrativa predicati dall’articolo 97 della Costituzione. E’ illegittimo il verbale di aggiudicazione di una gara relativa ad un appalto di fornitura di rilevanza comunitaria quando la commissione di gara non abbia dato ingresso alla fase di verifica delle anomalia delle offerte pervenute, come previsto dall’articolo 19 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358, nel testo sostituito dall’articolo 16 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 402, limitandosi ad affermare apoditticamente ed immotivatamente che l’offerta che conteneva il prezzo più basso non era anormalmente bassa (malgrado i rappresentanti delle altre ditte partecipanti avessero espressamente contestato tale decisiva circostanza). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 luglio 2003, sentenza n. 4245

La sospensione del provvedimento impugnato - richiesta del ricorrente - notificata agli interessati - ricorso gara d’appalto - la sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati. Poiché il ricorrente può chiedere la sospensione del provvedimento impugnato o con il ricorso stesso ovvero con apposita istanza ritualmente notificata agli interessati e all’amministrazione, deve essere annullata con rinvio, ai sensi dell’articolo 35 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la sentenza del tribunale amministrativo regionale che all’udienza in camera di consiglio fissata per la delibazione della domanda cautelare ha deciso direttamente nel merito un ricorso relativo ad una gara d’appalto, quando risulti che il ricorrente non aveva giammai chiesto la sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 luglio 2003, sentenza n. 4244

Norme per il diritto al lavoro dei disabili - bandi per appalti pubblici - rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni - applicazione e limiti - certificazione - datori di lavoro con meno di 15 dipendenti - esonero - requisito di partecipazione alla gara - condizione dell’aggiudicazione. La l. n. 68/1999, dal titolo “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, tende a promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato (art. 1, comma 1). L’art. 17 della l. n. 68/1999 dispone che “Le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l'ottemperanza alle norme della presente legge, pena l'esclusione”. La l. n. 68/1999 prevede poi, all’art. 3, comma 1, che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie di cui al precedente art. 1, secondo determinate misure (in percentuale dei lavoratori occupati o in numero di lavoratori); non prevedendo alcun obbligo di assunzione per i datori di lavoro che occupano meno di 15 dipendenti. L’art. 17 della l. n. 68/1999 si configura come un requisito di partecipazione alla gara e non una condizione dell’aggiudicazione; imponendo la produzione della relativa certificazione al momento della presentazione della domanda, e non all’esito della gara e prima dell’aggiudicazione definitiva (Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2002, n. 3733). Ne consegue che anche le imprese concorrenti non obbligate alle assunzioni dei disabili devono, comunque, produrre una dichiarazione o una certificazione che attesti l’inapplicabilità (nei loro confronti) della normativa citata. In tal senso Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2002, n. 3733, da cui non vi è motivo per discostarsi. Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4202

Bandi per appalti pubblici - rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni - norme per il diritto al lavoro dei disabili - relativa certificazione al momento della presentazione della domanda - requisito di partecipazione alla gara - condizione dell’aggiudicazione - certificazione che attesti l’inapplicabilità della normativa. L’art. 17 della l. n. 68/1999 si configura come un requisito di partecipazione alla gara e non una condizione dell’aggiudicazione; imponendo la produzione della relativa certificazione al momento della presentazione della domanda, e non all’esito della gara e prima dell’aggiudicazione definitiva (Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2002, n. 3733). Ne consegue che anche le imprese concorrenti non obbligate alle assunzioni dei disabili devono, comunque, produrre una dichiarazione o una certificazione che attesti l’inapplicabilità (nei loro confronti) della normativa citata. In tal senso Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2002, n. 3733. Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4202

 

Controversie relative alla rinegoziazione delle condizioni di contratti stipulati in esito ad una procedura di selezione pubblica ed alla legittimità di pattuizioni difformi da quelle prescritte dalla stessa amministrazione negli atti di gara - sussistenza della giurisdizione amministrativa - contrattazione con i privati. Sussistenza della giurisdizione amministrativa nelle controversie relative alla rinegoziazione delle condizioni di contratti stipulati in esito ad una procedura di selezione pubblica ed alla legittimità di pattuizioni difformi da quelle prescritte dalla stessa amministrazione negli atti di gara, è stata già esaminata e definita da questo giudice (cfr. C.S., Sez. V, 13 novembre 2002, n.6281; Comm. Spec., 12 ottobre 2001, n.1084/00) nel senso della appartenenza di tale tipo di liti alla sfera cognitiva attribuita al giudice amministrativo, in quanto riferite alla verifica della correttezza dell’esercizio della funzione amministrativa relativa alla contrattazione con i privati, e dell’invalidità, per difetto di capacità d’agire dell’amministrazione, di accordi con il contraente privato che contemplino diritti od obblighi diversi da quelli sanciti con l’aggiudicazione e la conseguente stipula del contratto. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 luglio 2003, sentenza n. 4167

P.A. - l’accertamento della legittimità della rinegoziazione delle condizioni contrattuali. Le controversie aventi ad oggetto l’accertamento della legittimità della rinegoziazione delle condizioni contrattuali, anche dopo la stipula del contratto, appartengono senz’altro alla giurisdizione amministrativa esclusiva ai sensi dell’art.33 comma 2, lett.d) decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 (così come sostituito dall’art. 7 della legge n.205/00) in quanto pertinenti alla verifica della regolarità dell’aggiudicazione dell’appalto (o di un’impresa pubblica, come nel caso di specie, posto che la mera differenza dell’oggetto del contratto non vale a giustificare un diverso riparto della giurisdizione). Tale orientamento va senz’altro condiviso e confermato in quanto correttamente formatosi in esito ad un’analisi compiuta e coerente delle regole che presiedono alla selezione del contraente privato delle pubbliche amministrazioni ed ai vincoli legali dell’azione di queste ultime in ordine alla stipulazione del contratto ed alla ammissibilità di una successiva ridefinizione convenzionale dei suoi elementi essenziali. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 luglio 2003, sentenza n. 4167
 

La “rescissione”, del contratto d’appalto per lo svolgimento di un servizio - esecuzione di servizi pubblici, in specie revoca della raccolta di R.S.U - verifica della sussistenza dei c.d. requisiti - l’aggiudicazione subordinata all’assenza di cause impeditive accertate dagli organi competenti - informazioni dal prefetto - il termine dimidiato prescritto per il deposito dell’appello. La “rescissione”, nella specie operata, del contratto d’appalto per lo svolgimento del servizio di raccolta di R.S.U. rientra, infatti, tra i provvedimenti relativi alla “esecuzione di servizi pubblici”; in particolare, la verifica circa la sussistenza dei c.d. requisiti “antimafia” si inserisce immediatamente a valle dell’aggiudicazione dell’appalto e della stipula del contratto, subordinando l’efficacia definitiva di quest’ultimo e dell’aggiudicazione stessa all’assenza di cause impeditive accertate dagli organi competenti; in altre parole, si tratta di una determinazione di natura revocatoria assunta sulla base dell’acclarata insussistenza di requisiti la cui assenza, se preventivamente acclarata, avrebbe impedito il perfezionamento, a favore dell’impresa investigata, della procedura concorsuale e la conseguente stipula del contratto. Ai sensi dell’art. 4, comma 6, del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490, infatti, “quando, a seguito delle verifiche disposte a norma del comma 4, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni dal prefetto, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni”. Rientrandosi, quindi, nel novero delle procedure disciplinate dal citato art. 23 bis, si tratta, ora, di verificare se siano stati rispettati, nella specie, i termini ivi prescritti. Osserva, in proposito, il Collegio che non è stato osservato, nel presente giudizio, il termine dimidiato prescritto per il deposito dell’appello. Come ritenuto dalla giurisprudenza, ormai consolidata, di questo Consiglio, invero (per tutte, A.P., 31 maggio 2002, n. 5), relativamente ai giudizi di cui all’art. 23 bis, comma 1, della legge n. 1034 del 1971, il termine per il deposito dell’appello deve ritenersi ridotto a quindici giorni. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenze nn. 3996 - 3995. Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3998

 

Offerta anomala - il contraddittorio con il concorrente - Corte di Giustizia - la domanda di risarcimento del danno - limiti - illegittimità dell’esclusione. A fronte di giustificazioni preventive ritenute non esaurienti in relazione ad un’offerta risultata anomala, andava comunque attivato il contraddittorio con il concorrente, richiedendo al medesimo ulteriori e specifici elementi di giudizio, e ciò in coerenza con l’interpretazione definitivamente affermata dalla Corte di Giustizia (cfr. Cons. Stato, VI, 19 luglio 2002, n. 4007). Inoltre, la domanda di risarcimento del danno non può essere valutata, non rilevando al momento della richiesta un danno risarcibile connesso direttamente all’illegittimità dell’esclusione (cfr. Cons. Stato, VI, 14 gennaio 2002, n. 157, nonché, in prosecuzione del medesimo giudizio, con molti elementi di dettaglio circa la sopravvenuta irrisarcibilità del danno emergente e del lucro cessante, 4 settembre 2002, n. 4435). Consiglio di Stato, Sezione V, - 30 giugno 2003, sentenza n. 3871

La mera mancanza della previsione della sanzione dell’esclusione - rilevante interesse pubblico - disciplina del bando - integrazione del regime sanzionatorio - principio del favor partecipationis. La mera mancanza della previsione della sanzione dell’esclusione non vale, di per sé, ad impedire all’interprete di qualificare la prescrizione sprovvista di quella pena come essenziale al fine della regolarità della procedura e di giudicarla, quindi, soggetta a quel grave regime sanzionatorio, quando risulti preordinata a soddisfare un rilevante interesse pubblico (C.S., Sez. V, 15 novembre 2001, n.5843), ma tale possibilità ermeneutica deve ritenersi consentita nei soli casi in cui le conseguenze dell’osservanza dell’obbligo in questione non siano espressamente previste e disciplinate nel bando. L’integrazione del regime sanzionatorio e la presupposta indagine ermeneutica circa la rilevanza degli interessi protetti dalla clausola sprovvista di pena appaiono, infatti, configurabili nei soli riguardi di adempimenti imposti senza la contestuale previsione degli effetti della loro inosservanza, posto che ove l’amministrazione ha espressamente disciplinato le conseguenze della loro violazione, esprimendo ed esaurendo così la propria potestà regolamentare, risulta impedito all’interprete qualsiasi intervento sostitutivo od integrativo della volontà già manifestata e cristallizzata dal bando, che si risolverebbe nell’inammissibile individuazione di una regola di gara diversa da quella già stabilita dal soggetto titolare del relativo potere. L’ambiguità e l’equivocità (ove configurabili) del regime dell’obbligo in questione delineato dal bando dovrebbero condurre, se non alla lettura che nega qualsiasi conseguenza sanzionatoria per l’inadempimento in questione, (In specie è stato omesso di eseguire il sopralluogo alla presenza di un tecnico della Provincia), all’applicazione del principio del favor partecipationis che esige, nell’incertezza della portata precettiva di talune regole di gara, l’ammissione alla procedura, anche per via interpretativa, del maggior numero di concorrenti (C.S., Sez. V, 25 marzo 2002, n.1695), allo specifico fine di tutelare l’interesse dell’amministrazione al più ampio confronto concorrenziale (che verrebbe, nella specie, irrimediabilmente pregiudicato, accedendo alla tesi dell’appellante, per effetto dell’estromissione dalla gara di quattordici concorrenti su quindici). Consiglio di Stato, Sezione V, - 30 giugno 2003, sentenza n. 3870

 

Competenza giurisdizionale l’interesse ad agire - regolamento di giurisdizione - la giurisdizione del giudice amministrativo - limiti - fase esecutiva del rapporto contrattuale - fase pubblicistica degli appalti - facoltà di rescissione del rapporto. L’interesse va riconosciuto non solo quando siano state mosse contestazioni sulla giurisdizione dalle altre parti, ma anche quando insorgano nel ricorrente ragionevoli dubbi circa i limiti esterni della giurisdizione del giudice adito, in considerazione della natura oggettiva dell’interesse di ogni parte alla corretta soluzione del problema della competenza giurisdizionale (conf., in tal senso: Cass. SS. UU. 8 marzo 1996, n. 1833; 28 agosto 1998, n. 8541; 11 novembre 1998, n. 11351; 16 novembre 1998, n. 11548. E la natura dell’interesse non muta quando la questione sia posta, anziché in sede di regolamento di giurisdizione, nel grado di appello, dinanzi allo stesso plesso giurisdizionale adito in prime cure). Sia nella primitiva, sia nella successiva formulazione del comma 2 dell’art. 33, la giurisdizione del giudice amministrativo è stata sancita per le controversie tra pubbliche amministrazioni e gestori di pubblici servizi (lett. b del comma), ma “aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di …servizi … svolte da soggetti “tenuti ad osservare le norme comunitarie o quelle di diritto interno, nazionale o regionale (lett. e del comma stesso). Ne sono rimaste, perciò, escluse le controversie attinenti alla fase esecutiva del rapporto contrattuale instaurato successivamente alla conclusione delle procedure in esame. In tal senso la Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi con le decisioni n. 6325 del 29 novembre 2000, con affermazione sia relativa all’art. 33 d. lgs. n. 80 del 1998, sia relativa all’art. 7 l. 205 del 2000, e n. 6443 del 28 dicembre 2001, con riguardo a quest’ultima norma in particolare. In senso conforme si è, altresì, pronunziata Cass. SS. UU. n. 5640 del 18 aprile 2002, rilevando che gli artt. 6 e 7 della l. n. 205 del 2000 si riferiscono alla fase pubblicistica degli appalti, ma non riguardano anche la fase relativa all’esecuzione del rapporto, e riconoscendo, conseguentemente, la giurisdizione dell’a.g.o. in una controversia attinente all’esercizio della facoltà di rescissione del rapporto ex art. 340 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F. Consiglio di Stato, Sezione V, - 30 giugno 2003, sentenza n. 3868

 

Bando di gara - la nozione di “parte” va distinta da quella di “quota”. La nozione di “parte”, grammaticalmente e logicamente distinta da quella di “quota”, implica non soltanto la frazionabilità, ma anche la scorporabilità delle singole prestazioni delle quali si costituisce il servizio, allorché questo non sia negato dalla natura delle prestazioni richieste o, espressamente, dal bando. Consiglio di Stato, Sezione VI, - 30 giugno 2003, sentenza n. 2989

La partecipazione di associazioni di tipo verticale, negli appalti di servizi - responsabilità gravante a carico delle imprese raggruppate - responsabilità solidale - l’obbligo del risarcimento del danno inferto con l’inadempimento. La partecipazione di associazioni di tipo verticale, negli appalti di servizi, è in linea generale ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza (di recente, implicitamente, la Sezione, con la decisione n. 35 del 2002) ed in questo senso si è espressa, in vigenza della normativa applicabile al caso in esame, anche la Sezione controllo Stato della Corte dei conti, con la deliberazione n. 28 del 1999, con riferimento ad un raggruppamento nel quale la capogruppo, oltre a finanziare i lavori ed a controllare l’andamento delle prestazioni, ha assunto anche il compito di selezionare l’acquisto delle materie prime necessarie, ritenendo che il compito in questione potesse essere ricondotto fra i compiti operativi, e come tale rientrante in un ampio concetto di ciclo produttivo. La Sezione condivide siffatta impostazione, in quanto l’obiettivo della norma non è quello della non scomponibilità delle prestazioni unitariamente richieste al partecipante alla gara, quanto piuttosto, che il raggruppamento assicuri l’apporto di attività di produzione di ciascun componente al ciclo produttivo, definito sulla base delle prestazioni complessivamente richieste dal bando e dal capitolato. A differenti conclusioni non può indurre la previsione di una responsabilità solidale gravante a carico della totalità delle imprese raggruppate (comma 3), né che l'amministrazione possa fare valere direttamente le responsabilità a carico delle imprese mandanti (comma 6, secondo inciso). Ed invero, la solidarietà cui si riferisce la norma non implica affatto che, in caso di inadempimento di una delle imprese raggruppate, gli altri partecipanti al raggruppamento possano essere chiamati ad adempiere in forma specifica alla obbligazione del cui inadempimento si tratta. Essa, al contrario, chiaramente attiene alla “responsabilità” ossia ha riguardo all’obbligo del risarcimento del danno inferto con l’inadempimento ed è volta a rafforzare la tutela dell’Amministrazione appaltante, senza incidere sull’obbligo di rendere la prestazione principale, offerta in contratto con la specificazione della “parte” assunta da ciascuno dei partecipanti al raggruppamento, la cui partecipazione complessiva all’attuazione del rapporto si realizza attraverso la prescrizione (correttamente individuata dalla Corte dei conti nella determinazione citata) del coinvolgimento di ciascuno nel ciclo di produzione. Consiglio di Stato, Sezione VI, - 30 giugno 2003, sentenza n. 2989

Appalto di servizi e di raggruppamento verticale - i requisiti tecnico economici e finanziari. In tema di appalto di servizi e di raggruppamento verticale, in linea di principio, i requisiti tecnico economici e finanziari debbano essere posseduti dal raggruppamento nel suo complesso e non anche individualmente da ciascun partecipante. Ciò vale anche nel caso in cui mancante di uno di tali requisiti sia la capogruppo. Consiglio di Stato, Sezione VI, - 30 giugno 2003, sentenza n. 2989

 

La verifica di anomalia - direttiva comunitaria 93/37/CE - contraddittorio tra stazione appaltante e impresa offerente. La direttiva comunitaria 93/37 impone che la verifica di anomalia avvenga sulla base di un contraddittorio tra stazione appaltante e impresa offerente, successivo alla presentazione dell’offerta, attivato dalla stazione appaltante che chiede <<per iscritto, le precisazioni che ritiene utili in merito alla composizione dell’offerta>>. Consiglio di Stato, Sezione VI - 26.05.2003, sentenza n. 2896

Causa di esclusione dalla gara - inidoneità morale degli imprenditori persone giuridiche - traccia della motivazione del provvedimento finale. Il principio secondo il quale " le norme di cui all'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 … devono essere intese nel senso che le memorie ed osservazioni prodotte dal privato siano effettivamente valutate dall'amministrazione ed e' necessario che di tale valutazione resti traccia nella motivazione del provvedimento finale” (Consiglio Stato sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3556), non comporta la necessità una puntuale confutazione di tutte le argomentazioni svolte dalla parte privata. Infatti, proprio per evitare che le norme siano " applicate in modo meccanico e formalistico", lo spessore della motivazione va posto in relazione all'ampiezza di poteri affidati, di volta in volta, all'amministrazione. (Nel caso di specie, avendo l'amministrazione individuato una causa di esclusione, nell'ambito di una disposizione legislativa che lascia uno scarso margine di apprezzamento discrezionale, la questione non sta nel valutare una serie complessa di interessi pubblici e privati da contemperare, ma si riduce ad interpretare ed applicare correttamente una norma giuridica. L'inidoneità morale degli imprenditori persone giuridiche poggia, secondo una disciplina che è stata conservata nel suo nucleo essenziale ed ulteriormente perfezionata, poggia sulla convinzione che vi sia la presunzione che la condotta penalmente riprovevole di quelle persone fisiche che svolgono od abbiano svolto di recente un ruolo rilevante all'interno dell'impresa, abbia inquinato l'organizzazione aziendale. Una presunzione che è assoluta, nel caso in cui il soggetto ancora svolga un ruolo all'interno dell'organizzazione di impresa, e relativa, consentendo così l'impresa di fornire la prova contraria, nel caso in cui questo sia cessato dalla carica e non sia ancora trascorso quel lasso di tempo, che ragionevolmente consente di ritenere il venir meno dell’influenza negativa recata dal soggetto medesimo. Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3380

 

L’istituto della revisione prezzi nella disciplina del contratto di appalto - il divieto di rinnovo tacito dei contratti ad esecuzione periodica o continuativa di cui è parte la Pubblica amministrazione - deroga al divieto di rinnovazione - ipotesi di concordata riduzione del prezzo del 10% rispetto a quello anteriormente convenuto - l’obbligo di inserzione della clausola di revisione periodica del prezzo per tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa - il “miglior prezzo di mercato”. L’istituto della revisione prezzi, previsto dall’art. 33 della legge 28 febbraio 1986 n. 41, venne soppresso nel 1992 (d.l. n. 333 del 1992, conv. nella l. n. 339 del 1992) (Cons. St., Sez. VI, 21 aprile 2001, n. 2434), con norma che rendeva manifesto il disfavore del legislatore per tale istituto, che esponeva le pubbliche amministrazioni a sopportare oneri sopraggiunti, impedendo la predisposizione di un affidabile e concreto piano finanziario di spesa. Si era negli anni in cui il Paese ha affrontato in maniera energica il problema del disavanzo pubblico in vista della partecipazione all’Unione Europea. L’anno successivo, infatti, l’art. 6 della legge n. 537 del 1993 ha previsto, nello stesso spirito, il divieto di rinnovo tacito dei contratti, atteso che attraverso tale strumento si venivano a perpetuare nel tempo pattuizioni pregresse, non più rispondenti alla realtà economica, quale poteva delinearsi per effetto dell’introduzione formale nell’ordinamento, con la legge n. 287 del 1990, del principio di libera concorrenza. Può notarsi che nella stesura originaria, anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 724 del 1994, l’unica deroga al divieto di rinnovazione tacita fosse costituita dall’ipotesi in cui fosse concordata una riduzione del prezzo del 10% rispetto a quello anteriormente convenuto, e che, parallelamente, fosse condotto, rispetto ai contratti non ancora stipulati, un giudizio di congruità, con la previsione della non approvazione di quelli ritenuti non congrui, per i quali l’altro contraente non avesse accettato la riduzione. E’ in questo contesto che la medesima legge “finanziaria” ha stabilito anche l’obbligo di inserzione della clausola di revisione periodica del prezzo per tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa, al fine primario di consentire, nell’intereresse dell’Amministrazione, di controllare che il corrispettivo pattuito si mantenesse conforme, nel tempo, ai parametri di riferimento. La norma, infatti, nella stesura originaria, prevedeva che, qualora il prezzo si discostasse da detti parametri, esso era soggetto a revisione, salvo il diritto di recesso dell’altra parte (nel qual caso si sarebbe proceduto ad una nuova aggiudicazione sulla base del prezzo ritenuto congruo). La stesura di cui all’art. 44 della legge n. 724 del 1994 ha riprodotto il testo precedente, sopprimendo soltanto la possibilità di recesso, e prevedendo la sostituzione del prezzo convenuto inizialmente con il “miglior prezzo di mercato” in base ai dati offerti dall’ISTAT a norma del successivo comma 6 e seguenti. Risulta dunque evidente che sia il divieto di rinnovazione automatica di cui al comma 2, sia l’obbligo di inserimento della clausola revisionale, prevista dal comma 4 del medesimo art. 6, rispondono ad una stessa esigenza e perseguono un identico scopo, ossia garantire la correttezza del rapporto sinallagmatico nell’ambito di tutti contratti di cui è parte la Pubblica Amministrazione, indipendentemente dal tipo di scelta gestionale, appalto o concessione, effettuata dall’Amministrazione medesima. Il comma 2 citato, infatti, a proposito del divieto di rinnovazione automatica, si riferisce espressamente ai contratti “per la fornitura di beni e servizi”, precisando “ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi.” E non si vede la ragione per la quale il concorrente istituto della clausola revisionale non debba riguardare anche i contratti accessivi a rapporto concessorio, caratterizzati, come nella specie, da esborso di pubblico denaro per la corresponsione di un prezzo del servizio reso in favore dell’Ente pubblico, come soggetto esponenziale di una determinata collettività. E ciò non solo perché il comma 4, con il termine “tutti”, sottolinea oggettivamente l’intenzione del legislatore di estendere l’istituto della revisione a ogni ipotesi di contratto di durata a prestazioni corrispettive di cui sia parte l’Amministrazione, ma anche perché la tesi contraria all’adeguamento revisionale del prezzo, accolta dai primi giudici in ragione della natura necessariamente concessoria del rapporto, non tiene conto dell’evoluzione introdotta nella materia dal recepimento della Direttiva CEE 92/50 ad opera del d.lgs. n. 157 del 1995. La circostanza che l’art. 1664 c.c. preveda la revisione del prezzo nell’ambito della disciplina del contratto di appalto, non impedisce che una diversa e pariordinata fonte normativa regoli in termini diversi la fattispecie. La Sezione ha affermato, infatti, con recenti e meditate decisioni (8 maggio 2002 n. 2461; 19 febbraio 2003 n. 916), che per i contratti ad esecuzione periodica o continuativa di cui è parte la Pubblica amministrazione la disciplina della revisione del prezzo dettata dall’art. 6 della legge n. 537 del 1993 ha carattere di specialità e prevale su quella di cui all’art. 1664 c.c.. Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3373

La disciplina speciale in materia di revisione prezzi - le clausole difformi contenute nei contratti della tipologia presa in considerazione sono nulle per contrasto con norma imperativa - la nullità colpisce solo la clausola contrastante e non investe l’intero contratto in applicazione del principio utile per inutile non vitiatur - inserzione automatica della clausola revisionale - interessi e rivalutazione monetaria. La giurisprudenza della Sezione (n. 2461 e n. 2712 del 2002; n. 916 del 2003, cit.) è ferma nel ritenere che l’art. 6 della legge n. 537 del 1993, come modificata dall’art. 44 della l. 724 del 1994, è norma che detta una disciplina speciale in materia di revisione prezzi, la quale ha natura imperativa che si impone nelle pattuizioni considerate modificando ed integrando la volontà delle parti contrastante con la stessa. Ne consegue che le clausole difformi contenute nei contratti della tipologia presa in considerazione sono nulle per contrasto con norma imperativa. La nullità evidentemente non investe l’intero contratto in applicazione del principio utile per inutile non vitiatur di cui all’art. 1419 c.c.. ma colpisce la clausola contrastante con la norma considerata, nella specie l’art. 9 del capitolato speciale. E’ stato anche osservato (sent. n. 2461 del 2002) come non sia di ostacolo all’inserzione automatica della clausola revisionale la circostanza che la detta clausola non abbia un contenuto determinato, ma determinabile. Tale orientamento merita consenso. Non può dirsi, infatti, che nella specie si versi in ipotesi di clausola di contenuto indeterminato, che richieda una ulteriore manifestazione di volontà delle parti e di incontro dei consensi. E’ noto che l’art. 6 in esame, mentre afferma il diritto della parte alla revisione, detta anche il criterio e il procedimento in base al quale pervenire alla determinazione oggettiva del “miglior prezzo contrattuale”, demandando all’Istat la relativa indagine semestrale sui dati risultanti dal complesso delle aggiudicazione dei beni e servizi. La mancanza di tale attività da parte dell’Istat ha fatto sì che la norma trovi applicazione con il parametro della variazione dei prezzi stimati sui consumi delle famiglie di operai e impiegati (indice F.O.I.). E dunque deve concludersi che la disciplina della clausola revisionale reca anche un contenuto sicuramente determinabile in base a parametri oggettivi che ne consentono l’applicazione diretta a norma dell’art. 1339 c.c., come affermato dalla richiamata giurisprudenza. Sulle somme andranno corrisposti gli interessi e la rivalutazione monetaria dalla data di maturazione del credito fino all’effettivo pagamento. Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3373

 

La procedura dell’appalto concorso - fasi - esigenze dell’Amministrazione. La procedura dell’appalto concorso è caratterizzata, per concorde riconoscimento della giurisprudenza, da due distinte fasi, delle quali la prima conduce alla scelta del progetto ritenuto più conveniente e la seconda è destinata alla messo a punto del progetto prescelto mediante modifiche o varianti non sostanziali, in modo da renderlo esattamente corrispondente alle esigenze dell’Amministrazione (Cons. St., Sez. V, 22 giugno 2002 n. 3566). Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3360

La procedura negoziata senza previo bando - offerte inappropriate in precedente procedura - le condizioni dell’appalto - la trattativa privata come procedura caratterizzata dalla libertà delle forme - imparzialità e del buon andamento. La procedura negoziata senza previo bando, in caso di offerte inappropriate in precedente procedura, è un procedimento autonomo rispetto alla prima gara, nel quale l’Amministrazione “consulta i candidati di propria scelta e negozia con uno o più di essi le condizioni dell’appalto (art. 12, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 158 del 1995)” (Cons. St., Sez. VI, 8 agosto 1999, n. 1018; Sez. V, 24 dicembre 2001 n. 6377). La normativa di settore, quindi, configura la trattativa privata come procedura caratterizzata dalla libertà delle forme, nella quale assume prevalenza l’esigenza di rispetto dei valori giuridici sostanziali, anche se, in ragione della rilevanza pubblicistica della scelta da compiere, ad essa sono applicabili i principi fondamentali che discendono dai precetti dell’imparzialità e del buon andamento, costituzionalmente garantiti. Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3360

 

Riscatto anticipato del servizio di impianto - preavviso - le norme ed i principi del diritto comunitario - servizi pubblici locali affidati in concessione a privati (distribuzione del gas metano nel territorio comunale) - panorama giurisprudenziale - c.d. privatizzazione - la proroga autoritativa ventennale delle concessioni non può trovare applicazione in relazione ai servizi pubblici locali - Consorzio comunale per la gestione di un acquedotto. La Sezione ha, già evidenziato come sia da ritenersi tutt’altro che pacifica l’applicabilità a casi come quelli di specie (servizi pubblici locali affidati in concessione a privati) della menzionata disposizione (in ordine alla quale, peraltro, in più occasioni sono stati rilevati i delicati profili di compatibilità con le norme ed i principi del diritto comunitario), che ha disposto, in un momento di evidente emergenza economico-finanziaria, la proroga ventennale di tutte le concessioni di servizi pubblici in corso con società a partecipazione statale, al fine di salvaguardare e possibilmente incrementare i proventi derivanti dalla privatizzazione di queste ultime (Cons. Stato, V, 15 febbraio 2002, n. 902). Nel panorama giurisprudenziale, soprattutto di primo grado, non sono, del resto, rimaste isolate affermazioni nel senso che il menzionato art. 14, emanato al fine di preservare la consistenza patrimoniale delle società per azioni costituite nell’ambito della c.d. privatizzazione, si riferisca esclusivamente alle attività che una norma di legge o un atto amministrativo applicativo della stessa affidino in regime di privativa alla cura dell’Amministrazione dello Stato; con l’effetto che la prorogata assegnazione in concessione ventennale di tali attività, prevista dalla detta norma, non può trovare applicazione in relazione ai servizi pubblici locali (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 4 ottobre 2000 n. 795, in TAR 2000, I, 5228). In tal senso, prendendo spunto proprio dalla considerazione che la proroga autoritativa ventennale delle concessioni in essere è applicabile ai soli rapporti promananti direttamente dalla legge ovvero da atti amministrativi emanati dall’Amministrazione statale e, a loro volta, presupposti da una norma di legge che riserva all’Amministrazione stessa la relativa attività economica, si è esclusa l’applicabilità dell’art. 14 al rapporto concessorio esistente tra un Consorzio comunale per la gestione di un acquedotto e la società a partecipazione pubblica concessionaria del relativo servizio idrico (T.A.R. Piemonte 22 gennaio 2000 n. 59; cfr. anche T.A.R. Veneto 31 maggio 1995 n. 881; T.A.R. Marche 28 maggio 1998, n. 734). Consiglio di Stato, Sezione V - 11 giugno 2003 - sentenza n. 3296 (vedi: sentenza per esteso)

La facoltà di riscatto anticipato - nuovo assetto normativo - anticipata cessazione del rapporto per considerazioni d’ordine economico - contratto di servizio - normali ipotesi di recesso - inadempimento del gestore del servizio. Il riscatto anticipato risulta, del resto, chiaramente un istituto tipico del vecchio regime, consustanziale, dunque, alla previgente possibilità di optare per una gestione diretta del servizio da parte dell’Ente locale, e che, seppur non esplicitamente abrogato (atteso anche che il regio decreto n. 2578/24 riguardava tutti i pubblici servizi assunti dai Comuni e non solo la distribuzione del gas), non sembra trovare più cittadinanza nel nuovo assetto normativo, non risultando tra l’altro compatibile con un rapporto di durata limitata e definito esplicitamente come “contrattuale” (Cons. Stato, V, 15 febbraio 2002, n. 902, cit., e 25 giugno 2002 n. 3455; cfr. anche le ordinanze cautelari 17 dicembre 2002, nn. 5491, 5492 e 5493). Orbene, in base alla riforma ed in particolare all’art. 14 del d.lg. 164/00, la gestione del servizio viene ad essere ora sempre esternalizzata, per cui appare particolarmente problematico continuare ad ipotizzare un’anticipata cessazione del rapporto, per considerazioni d’ordine economico, soprattutto ove questa avvenga in vista di una conduzione diretta (secondo le varie modalità) da parte dell’ente locale (ben diverso sarebbe il caso di riscatto anticipato all’esclusivo fine di celebrare una gara). La gestione diretta, a regime, non è più ammessa, dovendo l’Ente locale limitarsi all’attività di indirizzo, vigilanza, programmazione e controllo. Senza contare che la regolamentazione del rapporto per il tramite di un contratto di servizio riconduce alle normali ipotesi di recesso (ben differenti per natura e ratio dalla vecchia facoltà di riscatto anticipato), in particolare per inadempimento del gestore del servizio, le possibilità di farne venir meno anticipatamente la stabilità del rapporto da parte dell’ente aggiudicatore (cfr. art. 14, comma 3, d. lg. 164/00, cit.). Né può, dunque, adombrarsi che la facoltà di riscatto permanga come possibile esito generalizzato della rivalutazione - nel pubblico interesse al raggiungimento di un migliore risultato economico – dei rapporti convenzionali in atto, relativamente ai quali la volontà manifestata dalle parti di consentire il riscatto era strettamente condizionata al permanere dell’originaria lunga durata della concessione e comunque ancorata ad un regime normativo di riferimento (t.u. 2578/1925) oggi inesorabilmente venuto meno. Consiglio di Stato, Sezione V - 11 giugno 2003 - sentenza n. 3296 (vedi: sentenza per esteso)

 

Gara di appalto di opera pubblica - aggiudicazione di un contratto della Pubblica amministrazione - aggiudicazione provvisoria - il termine per ricorrere - autonoma lesione - l’aggiudicazione definitiva necessita sempre di autonoma impugnazione - la prova dell’effettiva conoscenza - pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione nell’albo pretorio - la notifica o comunicazione individuale. In materia di aggiudicazione di un contratto della Pubblica amministrazione, il termine per ricorrere non può essere fatto decorrere dall’aggiudicazione provvisoria, bensì da quella definitiva, dal momento che da quella provvisoria conseguono soltanto effetti prodromici, restando inteso che in occasione dell’impugnativa dell’aggiudicazione definitiva possono essere fatti valere anche vizi propri di quella provvisoria (Cons. Stato, VI, 16 novembre 2000, n. 6128). Un sedimentato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio, ben presente anche presso la Sezione, ha avvedutamente messo in rilievo come l’aggiudicazione provvisoria della gara di appalto di opera pubblica abbia natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse della ditta che non è risultata vincitrice (a divenire tale); lesione che si verifica, appunto, soltanto con l’aggiudicazione definitiva (cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 7 settembre 2001, n. 4677). Tuttalpiù una autonoma lesione vi può essere nel senso che l’aggiudicazione provvisoria inibisce all’impresa non aggiudicataria l’ulteriore partecipazione al procedimento (Cons. Stato, V, 24 marzo 2001, n. 1708). In ogni caso quest’ultima ha non l’onere ma la mera facoltà di impugnare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria. L’aggiudicazione definitiva, da parte sua, non è atto meramente confermativo o esecutivo, ma atto che, anche quando recepisce in toto i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione rispetto alla stessa, pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale. Ne consegue che l’aggiudicazione definitiva necessita sempre di autonoma impugnazione (anche avvalendosi dell’istituto dei motivi aggiunti in corso di causa, proponibili, ai sensi della legge n. 205 del 2000, avverso atti diversi da quello originariamente gravato, soluzione da preferirsi per evidenti ragioni di economia processuale), anche se è già stata impugnata quella provvisoria. Se l’aggiudicazione provvisoria è stata impugnata immediatamente e autonomamente, la parte ha perciò l'onere di impugnare, in un secondo momento, pure l’aggiudicazione definitiva sopravvenuta, la quale non rappresenta conseguenza inevitabile della prima, pena l’improcedibilità del primo ricorso (Cons. Stato, VI, 16 novembre 2000 n. 6128 , 11 febbraio 2002, n. 785 e 22 ottobre 2002, n. 5813; V, 3 aprile 2001, n. 1998 e 21 giugno 2002, n. 3404). La pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione nell’albo pretorio è idonea, in via generale, a determinare la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso solo nei riguardi dei soggetti non direttamente contemplati dall’atto, quest’ultimo deve essere comunque notificato o comunicato non soltanto a coloro che in esso sono menzionati, ma anche a chi sia da ritenere, in qualche modo, destinatario del medesimo, come nel caso dei partecipanti alla gara; pertanto, nei confronti di tali soggetti la pubblicazione dell’atto nelle forme di rito non fa decorrere il termine per l’impugnazione, occorrendo a tal fine la notifica o comunicazione individuale, ovvero la prova dell’effettiva conoscenza (cfr. Cons. Stato, V, 11 giugno 2001, n. 3131). Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3243 (vedi: sentenza per esteso)

 

Legittimate ad impugnare gli atti di una gara d’appalto sono anche le singole imprese riunite in raggruppamento - legittimazione ad agire. Legittimate ad impugnare gli atti di una gara d’appalto, sono anche le singole imprese riunite in raggruppamento, oltre che il raggruppamento in persona dell’impresa capogruppo, atteso il concorrente autonomo e distinto interesse di ciascuna di esse alla legittima esplicazione della procedura concorsuale (cfr. Con. Stato, Sez. V, 25 novembre 2002 n. 6481; Sez. VI, 31 maggio 1999 n. 702; Sez. VI, 3 settembre 1990 n. 789), atteso che il mandato conferito all’impresa capogruppo non preclude alla singola impresa mandante di proporre autonoma impugnazione sulla base della propria autonoma e sempre persistente legittimazione ad agire (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 aprile 1996 n. 5028) dovuta all’interesse di cui è titolare all’interno del raggruppamento per la quota di propria competenza. Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3241

Gara d’appalto - requisiti di ammissione - principio della parità di condizioni tra i concorrenti - presentazione delle offerte. I requisiti di ammissione alla gara devono inderogabilmente sussistere, in ossequio al principio della parità di condizioni tra i concorrenti e per esigenze di certezza del diritto, al più tardi nel momento della presentazione delle offerte (cfr., e.g., Cons. Stato, Sez. IV, 19 gennaio 1999 n. 39; Sez. V, 26 maggio 1997 n. 567). Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3241

Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti devono acquisire le informazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni - tipi di informativa - c.d. interdittive - informazione prefettizia - l’alto commissario antimafia - c.d. informativa supplementare atipica - il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata - il tentativo di infiltrazione mafiosa - l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante. L’art.4, d.lgs. n.490/1994 dispone, al co. 1, che “Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all'art.1, devono acquisire le informazioni di cui al comma 4 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni indicati nell'allegato 3, il cui valore sia: a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati; b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; c) superiore a 200 milioni di lire per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche”. Il successivo co. 4 dispone, nel suo primo periodo, che: “Il prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti, nel termine massimo di quindici giorni dalla ricezione della richiesta, le informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell'allegato 1, nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. La norma recata dal co. 4 prevede due tipi di informative c.d. interdittive, che impediscono la contrattazione: informazione prefettizia che comunica la sussistenza a carico dei soggetti responsabili dell’impresa ovvero dei soggetti familiari, anche di fatto, conviventi nel territorio dello Stato, delle cause di divieto o sospensione dei procedimenti indicate nell’allegato 1 (vale a dire le cause di divieto, sospensione, decadenza, previste dall’art.10, l. 31 maggio 1965, n.575); informazione prefettizia da cui risultino eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società o imprese interessate. La prassi dell’amministrazione sviluppatasi sulla base dell’esegesi delle norme vigenti, sostenuta dall’elaborazione giurisprudenziale, conosce, infine, un terzo tipo di informativa, la c.d. informativa supplementare atipica, fondata sull’accertamento di elementi i quali, pur denotando il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità prevista dall’art.4, d.lgs. n.490/1994, vuoi perché carenti di alcuni requisiti soggettivi o oggettivi pertinenti alle cause di divieto o sospensione, vuoi perché non integranti del tutto il tentativo di infiltrazione mafiosa. La stessa è priva di efficacia interdittiva automatica, ma consente l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, IV, 1° marzo 2001, n.1148; C. Stato, VI, 14 gennaio 2002, n.149), laddove tali poteri siano previsti dall’ordinamento. Tale potere - dovere di informativa supplementare da parte del Prefetto nei confronti delle stazioni appaltanti trova, secondo le statuizioni di questo Consesso, che il Collegio condivide, il suo fondamento: da un lato nell’art.1 septies, d.l. 6 settembre 1982, conv. nella l. 12 ottobre 1982, n.726, a tenore del quale l’alto commissario antimafia (le cui competenze sono state nelle more devolute ai Prefetti) può “comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni (…) per lo svolgimento di attività economiche (…) elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti (…)”; dall’altro lato, nel principio generale di collaborazione reciproca, con correlati obblighi di trasmissione di conoscenze, tra le pubbliche istituzioni. Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163.  Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)

Il potere dell’amministrazione di ritirare gli atti di gara per comprovate e motivate ragioni di interesse pubblico - principio generale dell’autotutela della pubblica amministrazione - il principio dell’autotutela decisoria - disciplina di contabilità generale dello Stato - l’ammissibilità dell’informativa supplementare atipica è utilizzabile discrezionalmente da parte delle stazioni appaltanti per l’esercizio dei poteri di autotutela previsti dall’ordinamento - criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica - rispetto delle regole della concorrenza tra le imprese - il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto - persino dopo la stipulazione del contratto - in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse. Riconosciuta l’esistenza e l’ammissibilità dell’informativa supplementare atipica, la stessa, come osservato, è utilizzabile discrezionalmente da parte delle stazioni appaltanti per l’esercizio dei poteri di autotutela previsti dall’ordinamento, che possono estrinsecarsi in: diniego di approvazione del contratto; diniego di aggiudicazione definitiva; revoca dell’aggiudicazione definitiva; revoca dell’aggiudicazione provvisoria. Deve in termini generali riconoscersi il potere dell’amministrazione di ritirare gli atti di gara per comprovate e motivate ragioni di interesse pubblico. Tale potere riposa, oltre che sulla disciplina di contabilità generale dello Stato che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art.113, r.d. n.827/1994), sul principio generale dell’autotutela della pubblica amministrazione. Invero, in una prospettiva di ordine generale, occorre considerare che anche nell’ambito dell’attività diretta alla conclusione degli appalti pubblici trova ingresso il principio dell’autotutela decisoria, secondo il quale l’amministrazione può riesaminare, annullare e rettificare gli atti invalidi. Infatti, il complesso delle regole sull’autotutela ha portata generale, rappresentando una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661). Nel settore degli appalti pubblici di lavori, poi, assume particolare rilievo l’esigenza di assicurare il puntuale rispetto delle regole della concorrenza tra le imprese, nell’interesse generale alla corretta ed efficace gestione delle risorse pubbliche, conformemente ai principi enunciati dall’articolo 1 della legge n.109/1994 (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661). La giurisprudenza di questo Consesso riconosce il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto – persino dopo la stipulazione del contratto – in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661; C. Stato, VI, 14 gennaio 2000, n.244). Il diniego di approvazione del contratto previsto dall’art.113, r.d. n.827/1924, è applicabile in presenza di un’informativa supplementare atipica, sussistendo in tal caso ragioni di interesse pubblico che si ricollegano al contenuto dell’informativa antimafia (C. Stato, V, n.5710/2000; C. Stato, VI, n.149/2002). Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)

P.A. - il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto - persino dopo la stipulazione del contratto - in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico - informativa supplementare atipica - il diniego di approvazione del contratto. Nel settore degli appalti pubblici di lavori, poi, assume particolare rilievo l’esigenza di assicurare il puntuale rispetto delle regole della concorrenza tra le imprese, nell’interesse generale alla corretta ed efficace gestione delle risorse pubbliche, conformemente ai principi enunciati dall’articolo 1 della legge n.109/1994 (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n. 661). La giurisprudenza di questo Consesso riconosce il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto - persino dopo la stipulazione del contratto - in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661; C. Stato, VI, 14 gennaio 2000, n.244). Il diniego di approvazione del contratto previsto dall’art.113, r.d. n.827/1924, è applicabile in presenza di un’informativa supplementare atipica, sussistendo in tal caso ragioni di interesse pubblico che si ricollegano al contenuto dell’informativa antimafia (C. Stato, V, n.5710/2000; C. Stato, VI, n.149/2002). Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)

Il potere dell’amministrazione di intervenire in via di autotutela sugli atti di gara per ragioni di interesse pubblico, tale potere va riconosciuto non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati - procedimenti di evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti - concessionari, o contraenti generali della pubblica amministrazione. Riconosciuto il potere dell’amministrazione di intervenire in via di autotutela sugli atti di gara per ragioni di interesse pubblico, tale potere va riconosciuto non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati che possano essere qualificati come organismi di diritto pubblico e che, agendo quali concessionari, o contraenti generali della pubblica amministrazione, siano tenuti ad osservare i procedimenti di evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti. E, invero, secondo il consolidato orientamento di questo Consesso, da un lato gli atti delle procedure di evidenza pubblica sono oggettivamente amministrativi, ancorché posti in essere da stazioni appaltanti formalmente private; e dall’altro lato queste ultime assurgono, limitatamente agli atti di gara, ad amministrazioni pubbliche in senso soggettivo (C. Stato, VI, 28 ottobre 1998, n.1478). Ne consegue che ai soggetti privati tenuti all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidare i pubblici appalti, va riconosciuto anche il potere pubblicistico di autotutela in relazione agli atti di gara, negli stessi termini in cui spetta alle pubbliche amministrazioni in senso stretto. Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)

Procedure di evidenza pubblica nell’affidare i pubblici appalti - soggetti privati e potere pubblicistico di autotutela in relazione agli atti di gara. Ai soggetti privati tenuti all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidare i pubblici appalti, va riconosciuto anche il potere pubblicistico di autotutela in relazione agli atti di gara, negli stessi termini in cui spetta alle pubbliche amministrazioni in senso stretto. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)


Il riconosciuto potere di autotutela dell’amministrazione basato sull’informativa supplementare atipica non contrasta con il diritto comunitario degli appalti - le cause di esclusione dagli appalti previste dal diritto comunitario - il trattato di Roma istitutivo della comunità europea. Né il riconosciuto potere di autotutela dell’amministrazione basato sull’informativa supplementare atipica contrasta con il diritto comunitario degli appalti, che, ad avviso dell’appellante, prevederebbe un numero chiuso di cause di esclusione dagli appalti. Si deve ritenere che le cause di esclusione dagli appalti previste dal diritto comunitario, e puntualmente recepite dall’ordinamento interno (art.8, l. n.109/1994; art.75, d.p.r. n.554/1999; d.lgs. n.158/1995), non sono esaustive e tassative, potendo i legislatori nazionali prevederne ulteriori a salvaguardia di interessi pubblici generali diversi da quello della tutela della concorrenza, e fondate su ragioni di ordine e sicurezza pubblica. Invero, il trattato di Roma istitutivo della comunità europea, nel sancire la libera circolazione di servizi, consente l’applicazione delle stesse restrizioni previste per la libera circolazione dei capitali (art.55), e, in particolare, la possibilità per gli Stati membri, tra l’altro, di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (art.58 (73D), § 1, lett. b)), e purché tali misure non siano un mezzo di discriminazione arbitraria o di restrizione dissimulata della libertà di circolazione (art.58, § 3). Sicché, alla luce degli artt.55 e 58 del Trattato di Roma, nell’ordinamento italiano, ben si giustificano e sono compatibili con la libertà di circolazione e con la tutela della concorrenza, cause di esclusione dagli appalti che, sebbene ulteriori rispetto a quelle previste dal diritto comunitario degli appalti, sono motivate da cautele antimafia, in quanto le stesse hanno il loro fondamento in ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza, e, lungi dal provocare una restrizione della concorrenza, mirano al contrario a garantire l’esplicazione di una concorrenza sana e avulsa da inquinamenti da parte della criminalità organizzata. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)

 

Il giudice competente - individuazione della competenza territoriale - in materia di realizzazione di opere pubbliche - la localizzazione dell’opera o gli atti inerenti alla procedura espropriativa - sovrapposizione tra forum rei sitae e forum destinatae solutionis - procedure di gara - provvedimento di aggiudicazione - l’affidamento di lavori localizzati territorialmente. In materia di realizzazione di opere pubbliche, se la controversia riguarda la localizzazione dell’opera o gli atti inerenti alla procedura espropriativa, l’effetto tipico del provvedimento è inevitabilmente collegato al luogo in cui il bene (immobile su cui deve essere realizzata l’opera, immobile da espropriare) si trova, in ciò verificandosi una necessaria sovrapposizione tra forum rei sitae e forum destinatae solutionis. In tema di procedure di gara il provvedimento di aggiudicazione concerne l’affidamento di lavori localizzati territorialmente, sicché l’effetto tipico dell’atto è destinato a prodursi nel territorio della regione in cui i lavori si svolgeranno. Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3018

 

Il giudice competente - individuazione della competenza territoriale - atti emessi da organi centrali dello Stato o di enti pubblici a carattere ultraregionale - il criterio del forum destinatae solutionis - criterio dell’efficacia - in materia di realizzazione di opere pubbliche. La legge 6 dicembre 1971, n. 1034, dopo aver posto, all’articolo 2, in via generale e primaria la regola del foro della sede dell’autorità emanante ai fini dell’individuazione della competenza territoriale, pone, con riferimento agli atti emessi da organi centrali dello Stato o di enti pubblici a carattere ultraregionale il criterio del forum destinatae solutionis, stabilendo (art. 3) la competenza del Tribunale regionale per gli atti “la cui efficacia è limitata territorialmente alla circoscrizione del tribunale” medesimo (in generale: C.d.S. IV, 20 giugno 1994 n. 1401). La giurisprudenza di questo Consiglio appare non univoca nell’applicazione del criterio dell’efficacia, e in particolare in materia di realizzazione di opere pubbliche, rinvenendosi sia pronunce che individuano il giudice competente nel Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (IV, 2 dicembre 1999 n. 1783), sia pronunce orientate a riconoscere competente il tribunale amministrativo locale (IV, 28 gennaio 2002 n. 451; IV, 9 luglio 1998 n. 1078; VI, 15 settembre 1986 n. 685). La Sezione ritiene che, una volta che debba farsi ricorso al foro dell’efficacia territoriale, questo imponga di prendere in considerazione l’ambito territoriale in cui l’atto produrrà effetti, cioè il luogo in cui il provvedimento è destinato a produrre gli effetti tipici suoi propri. In via generale, va ricordato quell’orientamento giurisprudenziale che demanda al tribunale locale la controversia sui provvedimenti emessi da organi centrali dello Stato e destinati spiegare effetti nell’ambito del territorio di più regioni, qualora il gravame sia proposto in relazione agli effetti prodotti nell’ambito di una sola regione (IV, 11 marzo 1997 n. 249; VI, 26 luglio 1979 n. 621). Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3018

 

Il diniego di approvazione di procedure contrattuali nei contratti della Pubblica amministrazione - l'aggiudicazione - le procedure di evidenza pubblica - l'eccessiva onerosità del prezzo indicato nell'offerta dell'impresa risultata aggiudicataria in una gara d'appalto. La giurisprudenza è in generale consolidata nel ritenere che il principio secondo il quale nei contratti della Pubblica amministrazione l'aggiudicazione, in quanto atto conclusivo del procedimento di individuazione del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà della P.A. di concludere il contratto e della volontà del privato manifestata con l'offerta accertata come migliore e da tale momento sorge il diritto soggettivo dell'aggiudicatario nei confronti della stessa Pubblica amministrazione, non esclude la possibilità per quest'ultima di procedere, con atto successivo, purché adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d'ufficio ovvero alla non approvazione del relativo verbale (cfr. fra le recenti VI Sez. 14.1.2000 n. 244). Nello specifico, e per quanto riguarda le procedure di evidenza pubblica governate dalle norme di contabilità, si è peraltro da tempo precisato che, a differenza della facoltà generale di non approvazione dei contratti contemplata dall'art. 19 del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 sulla contabilità dello Stato, l'altra prevista dall'art. 113 del Regolamento di cui al R.D. 23 maggio 1924 n. 827 ha natura del tutto speciale e carattere eccezionale e l'Amministrazione è tenuta ad esercitare con particolare cautela la facoltà di non approvare i risultati di una gara ed è tenuta a dare piena ed appagante giustificazione dei "gravi motivi" di eventuali rifiuti. (cfr. fra le risalenti IV Sez. 11.4.1983 n. 223). (Per norma l'eccessiva onerosità del prezzo indicato nell'offerta dell'impresa risultata aggiudicataria in una gara d'appalto costituisce di per sè grave motivo di interesse pubblico e giustifica, pertanto, il diniego di approvazione dell'aggiudicazione) (cfr. fra le risalenti IV Sez. 16.12.1980 n. 1219 e fra le recenti V Sez. 13.1.1999 n. 22). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2823

 

I soggetti titolari degli affidamenti o delle concessioni - d.lgs. n.164/2000 - limiti di applicazione. Le invocate disposizioni, di cui al richiamato art.14, comma 5, d.lgs. n.164/2000, non trovano applicazione, nel regime transitorio, in quanto, ai sensi del successivo art.15, comma 10, i soggetti titolari degli affidamenti o delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore dello stesso decreto possono partecipare, senza limitazioni, alle gare indette a norma dell'articolo 14, comma 1 (Corte Cost. 26 luglio 2002, n.413). Consiglio di Stato, Sezione VI - 30 maggio 2003 - sentenza n. 2998

 

Gara d’appalto - applicabilità dell’istituto del dimezzamento dei termini - ricorso in appello - disciplina processuale speciale - l'illegittimità del provvedimento impugnato o la sussistenza di un danno grave ed irreparabile. I termini di cui all’art.23 bis comma 2 della legge 6/12/1971 n.1034 come modificato dall’art.4 comma 1 della legge n.205/2000, che prescrive espressamente: “i termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso”. Non v’è dubbio sull’applicabilità dell’istituto del dimezzamento dei termini anche al termine di deposito del ricorso in appello (CdS IV 28/8/2001 n.4562; CdS Ad. Plen. n.5/2002). In particolare occorre ricordare che la Plenaria ha in proposito ampiamente statuito nella decisione n.5/2002 ritenendo che, relativamente ai giudizi di cui all'art.23 bis, comma 1, della legge n.1034 del 1971, il termine per il deposito dell'appello debba ritenersi ridotto a quindici giorni. Va, in proposito, ricordato che l'art.23 bis della legge n.1034 del 1971, introdotto dall'art.4 della legge n.205 del 2000, riprendendo in parte l'esperienza legata alla normativa di cui all'art.19 del decreto legge 25 marzo 1997 n.67 ed all'art.1 comma 27 della legge 31 luglio 1997 n.249, ha introdotto una disciplina processuale speciale, volta a conseguire obiettivi di accelerazione della definizione delle controversie in determinate materie, per le quali, appunto, l'esigenza di una pronta ed immediata definizione è considerata di particolare interesse pubblico. L'introduzione di una speciale disciplina del genere, con riferimento a materie limitate e puntualmente identificate, o volte a conseguire obiettivi di celerità processuale, è stata, infatti, considerata legittima e non irragionevole dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., sentenza 10 novembre 1999 n.427). In particolare, l'art.23 bis cennato, dopo aver indicato al comma 1 gli "oggetti" a cui si applicano, "nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa", le nuove disposizioni, pone, nei commi successivi, tale disciplina. La regola fondamentale di tale (speciale) disciplina è indicata nell'art.23 bis, comma 2, secondo cui "i termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso". L'altro nucleo fondamentale della nuova normativa è costituito dalla possibilità del giudice, chiamato a pronunciarsi sulla domanda cautelare, di anticipare la discussione nel merito del ricorso, ove ritenga, ad un primo esame, l'illegittimità del provvedimento impugnato o la sussistenza di un danno grave ed irreparabile. I commi 3, 4 e 5 dell'art.23 bis dettano, appunto, la relativa disciplina. Consiglio di Stato, Sezione VI - 30 maggio 2003 - sentenza n. 2994

Gara d’appalto - diritto comunitario - c.d. società in house - limiti alla capacità giuridica e di agire dei soggetti pubblici - tutela della corretta contendibilità degli ambiti di mercato - Corte di Giustizia CE - principio dell’investitore privato in un’economia di mercato - controllo preventivo - diritto comunitario della concorrenza - inammissibilità del ricorso - l’atto di aggiudicazione di una gara - annullamento di atti di gara. Il diritto comunitario non è unilateralmente richiamabile al fine di sostenere la conformità alla libertà di prestazione dei servizi della extraterritorialità dell’attività di un soggetto pubblico avente vocazione imprenditoriale, ben potendo talvolta giustificarsi – in considerazione della stretto collegamento dell’impresa alla pubblica amministrazione intesa in senso oggettivo e si pensi alle c.d. società in house di cui al caso Teckal giudicato da Corte giustizia Comunità europee, 18/11/1999, n.107/98- limiti alla capacità giuridica e di agire dei soggetti pubblici intesi proprio a salvaguardare la concorrenza ed il mercato visti nel loro profilo oggettivo, come avviene ad es. nell’art.35 della legge n.448/2001 (che recita: “non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al comma 5 le società che in Italia o all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate e collegate di queste ultime”. La norma si conclude statuendo che “sono parimenti esclusi i soggetti di cui al comma 4” ossia i gestori di reti). Si tratta della necessità di tutelare la corretta contendibilità degli ambiti di mercato, evitando situazioni di vantaggio riconducibili alla disciplina degli aiuti di Stato o ad interventi del settore pubblico che garantiscano posizioni di vantaggio a determinati operatori (la Corte di Giustizia CE nella sentenza SFEI dell’11 luglio 1996 in causa C-39/94 ha ritenuto ad es. che la fornitura di assistenza logistica e commerciale senza normale contropartita da parte di un’impresa pubblica alle sue controllate di diritto privato attive in un settore aperto alla libera concorrenza può configurare un aiuto di Stato ai sensi dell’art.92 ora 87 del Trattato; inoltre la possibilità – affermata dal diritto comunitario - di ammettere la partecipazione alla gara di organismi sovvenzionati non comporta, per converso, l’illegittimità comunitaria delle limitazioni di capacità di un soggetto integralmente pubblico a tutela della parità di trattamento; le sovvenzioni infatti sono, di norma, sottoposte al controllo degli organi comunitari - secondo il principio dell’investitore privato in un’economia di mercato di cui alle note decisioni della Corte giustizia Comunità europee, 21/3/1991, n.305/89 Repubblica Italiana c. Commissione per cui devono essere considerati aiuti di stato i conferimenti di capitali effettuati da un ente controllato dallo stato che un investitore privato, alle normali condizioni di un’economia di mercato e pur seguendo una politica globale a lungo termine senza perseguire una redditività immediata, non avrebbe effettuato e Corte giustizia Comunità europee, 21/3/1991, n.303/88 Eni Lanerossi, - derivando da tale controllo preventivo la prevenzione di ogni possibile profilo di restrizione della concorrenza con conseguente piena ammissibilità della partecipazione alle gare delle società sovvenzionate ; in ultimo va considerato che la natura pubblica di un soggetto è normalmente irrilevante nella disciplina della concorrenza solo se si tratta di un’impresa, altrimenti va considerata al fine delle decisioni più opportune sulla conformazione del mercato). Proprio a tutela di tale corretta contendibilità possono essere previste limitazioni di capacità degli enti pubblici che si armonizzano - ove proporzionate agli interessi in giuoco e necessarie nel contesto di mercato - pienamente con il diritto comunitario della concorrenza. La situazione delle limitazioni di capacità degli enti strumentali degli enti locali, fra l’altro, si è presentata in passato all’esame della giurisprudenza del Consiglio, dando luogo all’applicazione di principi analoghi a quelli ora affermati. Con la decisione 3 agosto 1995 n.1159 della Sezione quinta il Consiglio ha ritenuto che vi sia un principio generale (già enunciato con la decisione Sezione V 11 aprile 1991 n.517) per il quale va dichiarato (anche d’ufficio) inammissibile un ricorso proposto avverso l’atto di aggiudicazione di una gara, quando il ricorrente non può risultare aggiudicatario anche nel caso di annullamento di atti di gara. Consiglio di Stato, Sezione VI - 30 maggio 2003 - sentenza n. 2994

Gara d’appalto - va dichiarato (anche d’ufficio) inammissibile un ricorso proposto avverso l’atto di aggiudicazione di una gara, quando il ricorrente non può risultare aggiudicatario anche nel caso di annullamento di atti di gara. Con la decisione 3 agosto 1995 n.1159 della Sezione quinta il Consiglio ha ritenuto che vi sia un principio generale (già enunciato con la decisione Sezione V 11 aprile 1991 n.517) per il quale va dichiarato (anche d’ufficio) inammissibile un ricorso proposto avverso l’atto di aggiudicazione di una gara, quando il ricorrente non può risultare aggiudicatario anche nel caso di annullamento di atti di gara. Consiglio di Stato, Sezione VI - 30 maggio 2003 - sentenza n. 2994

Gara d’appalto - c.d. attività extra-territoriale - le società miste - tutela della concorrenza. In tema di società miste il Consiglio di Stato (CdS Sez.V, n.4586/2001) ha chiarito che il vincolo funzionale di riferimento non determina alcun automatismo nella limitazione alla c.d. attività extra-territoriale; infatti le società miste sono imprese vere e proprie, rispetto alle quali, salvo le peculiari situazioni delle società in-house, non si giustificano restrizioni di capacità a tutela della concorrenza, mentre l’agenzia appellante, per espresso disposto normativo, è un ente pubblico non economico, che manca di una norma che lo legittimi ad esercitare attività d’impresa senza vincoli territoriali, non è connotato da scopo di lucro, non deve assumere rischi finanziari della tipologia di quelli connessi all’esercizio dell’impresa, non offre beni e servizi sul mercato ma opera in favore di una determinata comunità territoriale. Consiglio di Stato, Sezione VI - 30 maggio 2003 - sentenza n. 2994
 

Il subappalto - nozione. Il subappalto è un contratto derivato, il quale, perciò, non incide sull'ambito dei diritti e degli obblighi scaturenti dal contratto principale, che rimane immutato tra le parti originarie (Cons. Stato, sez. V, 13 maggio 1995 n. 761), la pretesa azionata dalla ricorrente inerisce al rapporto contrattuale di natura privatistica con la sua dante causa ed al quale resta estraneo il Comune appellato, senza che sul suo svolgimento e relative posizioni di diritto ed obbligo abbiano incidenza i poteri di vigilanza in ordine all’adempimento delle obbligazioni che la legge riconosce alla pubblica Amministrazione appaltante. Consiglio di Stato sez. V del 20.05.2003 sentenza n. 2755

L’ordinamento comunitario nell'ambito dei diritti interni - nuovo concetto di pubblica amministrazione - tutela della concorrenza - regole comunitarie in tema di appalti. E' noto che l'ordinamento comunitario ha reso necessaria nell'ambito dei diritti interni una rivisitazione del concetto di pubblica amministrazione. Nell'ordinamento italiano tradizionale, il concetto di Pubblica Amministrazione, non solo statale, ma pubblica, veniva definito da una serie di parametri, tra i quali assumeva particolare rilievo il solo dato formale, cioè il fatto che l'ente avesse una organizzazione e una struttura di carattere pubblicistico. Il diritto comunitario ha imposto una revisione della nozione di pubblica amministrazione, con particolare riferimento al settore degli appalti, imponendo alle autorità che indìcano gare, di seguire determinate regole e di rispettare le regole della concorrenza, al fine di consentire la partecipazione degli imprenditori interessati. L'utilizzo di un concetto formale di pubblica amministrazione consentirebbe ai soggetti pubblici la comoda elusione di dette regole attraverso la creazione di soggetti formalmente privati, ma posti sotto il controllo pubblico perché di mano pubblica, semmai maggioritaria, , al fine del perseguimento di fini pubblici, ma il tutto senza vincoli di sorta. Da tali considerazioni nasce l'attenzione tutta comunitaria alla necessità di "snidare" la pubblicità reale che può nascondersi dietro il dato formale, ai fini di tutela della concorrenza, e trova il suo humus la categoria degli organismi di diritto pubblico, come tali tenuti a seguire le regole comunitarie in tema di appalti ( per la definizione v. in tal senso le direttive 89/440, 93/97, L.109/94 art. 2 come modificato). TAR Campania - Napoli, Sez. I - Sentenza 20 maggio 2003 n. 5868 (vedi: sentenza per esteso)

La cognizione delle controversie relative anche agli appalti indetti da soggetti privati equiparati a enti pubblici - giudice amministrativo in via esclusiva. Dopo l'art. 6 L.205/2000, valevole sia dal punto di vista processuale che sostanziale, deve ritenersi che il legislatore abbia affidato all'adito giudice amministrativo in via esclusiva la cognizione delle controversie relative anche agli appalti indetti da soggetti privati equiparati a enti pubblici, con ciò intendendo che tali soggetti sono considerati come pubbliche amministrazione in senso pieno, e i relativi atti devono rispettare le regole dell'agere amministrativo. TAR Campania - Napoli, Sez. I - Sentenza 20 maggio 2003 n. 5868 (vedi: sentenza per esteso)

Appalti pubblici sotto soglia - gare ad evidenza pubblica - regole - soggetti tenuti ad applicare la normativa nazionale e comunitaria nella scelta dell'altro contraente - illegittimo affidamento di appalto mediante trattativa privata - la concessione della tutela ripristinatoria - la situazione soggettiva tutelabile e risarcibile - la chance. La necessità del rispetto delle regole di evidenza pubblica, per i soggetti tenuti ad applicare la normativa nazionale e comunitaria nella scelta dell'altro contraente, è da intendersi regola generale, che vale anche per gli appalti pubblici sotto soglia, come confermato sia dalla corte di giustizia della Unione Europea, secondo la quale anche gli appalti pubblici di scarso valore, seppure non espressamente ricompresi nell'ambito di applicazione delle procedure particolari e rigorose delle direttive, non sono esclusi dall'ambito di applicazione del diritto comunitario (in tal senso ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, punto 19), che dal Consiglio di Stato, che riconoscendo la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie pertinenti a gare ad evidenza pubblica (ex artt. 33 D.Lgs.80/1998 e 6 L.205/2000) alle società aventi i caratteri sostanziali dell'organismo di diritto pubblico (C. Stato, VI, 2.3.2001, n. 1206, relativa a Poste Italiane spa), ha ritenuto la giurisdizione anche per gare di importo inferiore alla soglia comunitaria, in quanto, a prescindere dalla diretta applicazione della normativa comunitaria sugli appalti di servizi, vanno comunque rispettati i principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza. Ne deriva pertanto che anche per gli appalti sottosoglia, e più in generale per i contratti stipulati da soggetti pubblici in settori non regolamentati sul versante europeo, il diritto comunitario considera il ricorso alla scelta diretta (che nell'ordinamento nazionale tradizionalmente corrisponde come noto alla trattativa privata), in deroga ai principi di trasparenza e concorrenza, quale evenienza eccezionale, giustificabile solo in presenza di specifiche ragioni tecniche ed economiche, necessitanti di adeguata motivazione, che rendano impossibile in termini di razionalità l'individuazione di un soggetto diverso da quello prescelto, ovvero che evidenzino la non rilevanza di un'operazione sul piano della concorrenza del mercato unico europeo (in tal senso da ultimo la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche comunitarie n. 8756 del 6 giugno 2002). (Nella specie, essendo il decorso del contratto in questione limitato fino al 30 aprile 2003, e pur essendo stata accolta la domanda cautelare in secondo grado il 21 gennaio 2003, deve ritenersi che non sussistano i presupposti di corrispondenza o comunque di non contrarietà (nel senso della non eccessiva onerosità di cui all'art. 2058 c.c.) all'interesse pubblico per la concessione della tutela ripristinatoria reale e del soddisfacimento della pretesa che consisterebbe, trattandosi di contestazione sul metodo di scelta dell'altro contraente prescelto, nel rifacimento e riedizione della gara con altro metodo di selezione. Essendo al ricorrente ormai preclusa la partecipazione ad una gara, quale è quella che in ipotesi avrebbe dovuto tenere ab initio la stazione appaltante, sicché non è possibile dimostrare ormai ex post né la certezza della vittoria, né la certezza della non vittoria, la situazione soggettiva tutelabile e risarcibile, è solo la chance, cioè l'astratta possibilità di un esito favorevole. A prescindere dalla distinzione relativa alla tutela in forma specifica della chance, e cioè se essa si possa concretare nella indizione di pubblica gara, a seguito di illegittimo affidamento di appalto mediante trattativa privata (così ha ritenuto C. Stato, VI, 18.12.2001, n.553), oppure si tratti piuttosto di tutela in forma specifica di una situazione solo strumentale (al fine di partecipare alla legittima gara), come sembra preferibile ritenere, è certo che nella specie il c.d. danno da perdita di chance possa avvenire solo per equivalente, essendo l'accoglimento della domanda di annullamento inidoneo a ricomprendere la conseguenza necessitata del rifacimento della gara, poiché non interviene in tempo utile rispetto al decorso della durata del contratto). TAR Campania - Napoli, Sez. I - Sentenza 20 maggio 2003 n. 5868 (vedi: sentenza per esteso)

Il quantum del danno risarcibile per una gara mai tenuta (caso di illegittimo affidamento a trattativa privata) - determinazione. In ordine al quantum del danno risarcibile, quando una gara non c'è mai stata, come nel caso di illegittimo affidamento a trattativa privata, il quantum del risarcimento per equivalente va determinato ipotizzando in via di medie e presunzioni quale sarebbe stato il numero di partecipanti alla gara, se gara vi fosse stata (sulla base dei dati relativi a gare simili indette dal medesimo ente), e dividendo l'utile d'impresa (quantificato in via forfetaria in misura pari al 10% del prezzo base dell'appalto, e quindi 3.000 euro) per il numero di partecipanti: il quoziente costituisce la misura del danno risarcibile. TAR Campania - Napoli, Sez. I - Sentenza 20 maggio 2003 n. 5868 (vedi: sentenza per esteso)

Contratti della pubblica amministrazione - sedute di gara - la presenza di rappresentanti delle imprese concorrenti integra gli estremi della piena conoscenza degli atti adottati durante le sedute - decorenza del termine per l’impugnazione - orientamenti giurisprudenziali discordanti. All’orientamento più rigoroso della Sezione IV per cuI ai fini del decorso del termine per l’impugnazione in tema di contratti della p.a., la presenza di rappresentanti delle imprese concorrenti alle sedute di gara integra gli estremi della piena conoscenza in capo alle imprese medesime degli atti che vengono adottati durante le sedute (C. Stato, sez. IV, 10-07-1999, n. 1217) e ciò indipendentemente dalla carica rivestita e dalla presenza di procure ad hoc, si contrappone nella giurisprudenza recente del Consiglio un diverso orientamento della Sezione VI, più garantista, che continua a ritenere, in consonanza con l’insegnamento tradizionale, che la presenza di un rappresentante della ditta partecipante alla gara di appalto alla riunione nella quale vengano adottate determinazioni per la stessa negative, non comporta ex se piena conoscenza degli atti lesivi, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, qualora non risulti che il rappresentante stesso era munito di mandato ad hoc, oppure rivestiva una specifica carica sociale, per cui la conoscenza avuta dal medesimo doveva ritenersi riferibile alla società concorrente ( C. Stato, sez. VI, 28-05-2001, n. 2919 ; C. Stato, sez. VI, 20-10-1999, n. 1483 ). Consiglio di Stato, Sezione VI, 15.05.2003, sentenza n. 2655

Le iscrizioni all’albo nazionale dei costruttori - provvedimenti creativi di “status” - il requisito è posseduto solo a seguito della materiale iscrizione - atti di ammissione - l’attestazione dell’amministrazione può validamente esser sostituita da un’autocertificazione - esclusione dalla gara - possesso dei requisiti - gara ad evidenza pubblica o di un pubblico concorso - par condicio. La giurisprudenza del Consiglio è nel senso nel ritenere le iscrizioni all’albo nazionale dei costruttori provvedimenti creativi di “status” che rientrano nella categoria delle ammissioni (atti che imprimono una qualità ad un soggetto), a seguito di tanto si è affermato che il requisito è posseduto solo a seguito della materiale iscrizione e non nel momento in cui l’organo procedente si è pronunciato sulla domanda (Cons. Giust. amm. reg. sic. 15/5/2001 n.212; mentre CdS V 23/7/1994 n.800; CdS V 13/6/1998 n.830 sono precedenti riferiti a delibere dei comitati regionali e non del comitato centrale). Nell’ambito degli atti di ammissione, categoria invero eterogenea, si distinguono fattispecie che presentano margini di discrezionalità amministrativa, sostanzialmente accostabili ad autorizzazioni e concessioni e fattispecie non discrezionali collocabili nel settore delle c.d. verifiche necessarie, ossia quegli atti che rispondono ad una competenza di tipo esclusivo della pubblica amministrazione, che non presentano margini di discrezionalità o comunque abbiano discrezionalità ridotta (si pensi alle iscrizioni agli albi professionali o alle liste di leva). A fronte di tali atti nonostante la legge regoli tutto, gli interessati non possono in prima battuta pretendere di usufruire degli effetti legali ricollegabili all’iscrizione senza l’atto dell’amministrazione che attesti che si sono verificati i presupposti di legge e che quindi se ne deve intendere avverato l’effetto. E’ vero che l’attestazione dell’amministrazione può validamente esser sostituita da un’autocertificazione, ma il tenore dell’autocertificazione – in presenza di atti di verifica necessaria - deve dare sicurezza sul verificarsi dell’iscrizione materiale. (Nel caso di specie il tenore dell’autodichiarazione, difforme da quello richiesto dal bando, dava atto – come ritenuto esattamente dal giudice di primo grado - della procedura in itinere, perché non ancora completata con la materiale iscrizione, non potendo ricollegarsi alcun effetto legale favorevole per il privato al solo atto di accertamento della sussistenza dei requisiti per l’iscrizione poiché, nella ammissioni di verifica necessaria, è la materiale iscrizione che determina il passaggio del diritto dalla condizione potenziale a quella attuale, attribuendo lo status. Non vi era regolarizzazione possibile a fronte di un tenore della dichiarazione sostitutiva che non dava certezza sull’avvenuta materiale iscrizione, ma solo sull’esistenza della delibera del Comitato Centrale dell’Albo, con ciò non rispondendo ad uno dei requisiti richiesti dal bando – non impugnato – ai fini dell’ammissione. La ragione dell’esclusione non risiede nella mancata attribuzione del numero di matricola, ma nell’aver l’appellante prodotto una certificazione che non attestava alcunché in ordine all’avvenuta materiale iscrizione, limitandosi a evidenziare che il Comitato Centrale aveva accertato il sostanziale possesso dei requisiti (non sufficiente tuttavia a conferire lo status). Nessun rilievo può poi riconoscersi al certificato rilasciato dopo la scadenza del termine di presentazione della domanda, poiché esso è giunto fuori termine e quando ormai le operazioni di gara si erano concluse (vedasi verbale del 14/12/1999) e la sua considerazione avrebbe comportato una violazione della par condicio stante il tenore ambiguo della autodichiarazione resa dalla ditta appellante. Il certificato in questione attesta un’iscrizione dal 30/11/1999 ossia dalla data della delibera del Comitato Centrale e dà una (tardiva) certezza sul possesso del requisito. La situazione è analoga a quella del requisito sopravvenuto ma con decorrenza anteriore che non è utile a rovesciare i risultati di una gara ad evidenza pubblica o di un pubblico concorso). Consiglio di Stato, Sezione VI - 5 maggio 2003 - sentenza n. 2334
 

 

Licitazione privata - mancata esclusione di società per azioni risultante dalla trasformazione di s.a.s., il cui legale rappresentante era responsabile di condotta sanzionata in sede penale - legittimità - iscrizione nel registro delle imprese - emersione di nuovo soggetto dotato di personalità giuridica distinta. E’ legittimo il comportamento dell’amministrazione che non ha escluso dalla licitazione privata, l'impresa prima classificata (Spa), risultando la società per azioni dalla trasformazione di società in accomandita semplice, in quanto il legale rappresentante della società in accomandita semplice, era stato condannato con tre decreti penali di condanna per il reato di cui all'articolo 5 lettera b) della legge 30 aprile 1962 n. 283. La questione da considerare è se il comportamento tenuto dal legale rappresentante possa, influire sulla capacità morale dell'impresa aggiudicataria della fornitura. Se pure è vero che l'articolo 2499 del codice civile stabilisce un particolare regime circa la conservazione della responsabilità dei soci a responsabilità illimitata, è altrettanto certo che, con l'iscrizione della deliberazione costitutiva nel registro delle imprese, (articolo 2498, ultimo comma, codice civile) viene ad emergere un nuovo ed autonomo soggetto dotato di personalità giuridica distinta. Il fatto che quest'ultimo, sotto il profilo della responsabilità, presenti momenti di collegamento con la preesistente società non acquista un particolare rilievo in relazione all'interesse pubblico tutelato dalla norma che disciplina la partecipazione delle imprese alle gare pubbliche (nel caso di specie l'articolo 11 del D.Lgs. 24/07/1992, n. 358, nel testo sostituito dall'articolo 9 del D.Lgs. 20/10/1998, n. 402). Rispetto a questa, infatti, assumono ben diverso significato i profili organizzativi dell'impresa e in particolare la circostanza se l'attività del nuovo soggetto possa essere concretamente condizionata da chi, nella vecchia organizzazione, si sia reso responsabile della condotta sanzionata in sede penale. Consiglio di Stato, V sezione, 29.04.2003 n. 2191

 

Impresa aggiudicataria - presentazione dei documenti attestanti la capacità tecnica e finanziaria - termine di 10 giorni - perentorietà. La giurisprudenza concorde e consolidata attribuisce natura perentoria al termine di 10 giorni previsto per la presentazione dei documenti comprovanti la capacità tecnica e finanziaria dell’impresa aggiudicataria (Sez. V, 2 aprile 2002 n. 2179, 30 aprile 2002 n. 2207; 30 aprile 2002 n. 2295; 9 dicembre 2002 n. 6768). Nello stesso senso si è espresso il C.G.A. (31 maggio 2002 n. 291), il quale ha messo in evidenza come la eliminazione di un termine certo e inderogabile per la presentazione dei documenti da parte dell’aggiudicataria costringerebbe l’Amministrazione a tenere in piedi sine die per l’esame della documentazione la struttura organizzativa predisposta per la gara. Se, dunque, la giurisprudenza afferma la perentorietà del termine, da osservarsi a pena di esclusione, pur essendone evidente la oggettiva brevità, la ragione deve essere individuata nel fatto che quel termine non è destinato a porre in essere la documentazione richiesta, ma semplicemente a compiere le operazioni necessarie alla spedizione o presentazione di atti che sono già in possesso dell’impresa interessata. La quale fin dal momento della partecipazione alla gara conosce, attraverso la lex specialis, i documenti che le verranno richiesti in caso di verifica a campione. Il comportamento dell’Amministrazione dinanzi all’inosservanza dell’obbligo imposto dalla norma suddetta non ha infatti alcun contenuto discrezionale ma è vincolato dalla verifica dell’inadempimento in parola, senza che possa attribuirsi rilievo alle due ipotesi della assoluta mancanza di prova e della difformità di quella fornita dalle modalità prescritte (v. Sez. V, 7 marzo 2001 n. 1344). Consiglio di Stato, V Sezione, 29.04.2003, sentenza n. 2190.

 

Offerta anomala - appalti di opere pubbliche - sintetica ricognizione della disciplina nazionale e comunitaria - applicabilità, ratione temporis, della legge dell’art.21 comma 1-bis della L. n.109/94 nella formulazione previgente alle modifiche dell’art. 7 della L. 166/2002 - verifica della compatibilità comunitaria - disapplicazione - controllo dell’offerta sospettata di anomalia, in contraddittorio con l’impresa interessata, successivo alla conoscenza da parte di quest’ultima del carattere anomalo della propria offerta - illegittimità dell’estromissione di una ditta sulla base delle sole giustificazioni preliminari. La disciplina positiva della presentazione di offerte economiche con notevole ribasso (finalizzata a coniugare interessi tra loro contrapposti quali quelli connessi al risparmio dell’Amministrazione nella conclusione del contratto, alla selezione di un contraente affidabile ed alla tutela della concorrenza e dell’iniziativa economica) implica, in particolare, la definizione di due aspetti: il meccanismo di individuazione della c.d. soglia d’allarme e le conseguenze della presentazione di un’offerta con un ribasso a quella superiore. L’art. 30.4 della direttiva 93/37 CEE del 14 giugno 1993 prescrive all’amministrazione aggiudicatrice l’obbligo, prima di rifiutare un'offerta che appare anormalmente bassa rispetto alla prestazione, di richiedere all’impresa che l’ha presentata i chiarimenti che ritiene utili in merito alla composizione dell’offerta e di valutare quest’ultima sulla base delle giustificazioni fornite. La disposizione comunitaria ha, quindi, omesso di individuare la soglia di anomalia, rimettendo, quindi, ai legislatori nazionali la relativa disciplina, ma ha sancito il principio inderogabile del divieto di esclusione automatica delle offerte sospettate di anomalia, stabilendo, al contempo, la necessità di una verifica in contraddittorio della composizione dell’offerta con l’impresa interessata. L’ordinamento interno contemplava, al riguardo, all’art.21 comma 1-bis L. n.109/94 (come modificato dalla L. n.415/98), il meccanismo dell’allegazione anticipata (e cioè insieme all’offerta) di giustificazioni relative alle voci di prezzo più significative, che concorrono a formare un importo non inferiore al 75 per cento di quello a base d’asta. Tale previsione, che anticipa il contraddittorio ad una fase preliminare a quella di individuazione della soglia di anomalia e che sembra consumabile con l’allegazione preventiva delle giustificazioni, è stata sospettata di incompatibilità con la ricordata disposizione comunitaria (che pare, invece, riferita ad una verifica successiva alla conoscenza del carattere anomalo dell’offerta), con conseguente rimessione della relativa questione ermeneutica alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee ai sensi dell’art.177 III comma Trattato C.E. (Cons. Stato, Sez. IV, ord.za 17 aprile 2000, n.2290). Con sentenza del 27 novembre 2001, resa sulle cause nn.285-286/99, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha, in proposito, ritenuto contrastante con l’art.30.4 della direttiva 93/37 CEE, per come contestualmente interpretato, ogni limitazione al potere di indagine dell’amministrazione aggiudicatrice sulla composizione dell’offerta nonché la possibilità di escludere quest’ultima sulla base delle sole giustificazioni allegate in via preliminare. Valorizzando le esigenze di tutela della concorrenza, la Corte di Lussemburgo, pur non rilevando un insanabile contrasto con il diritto comunitario della previsione nazionale che prescrive l’allegazione preventiva delle giustificazioni, ha, tuttavia, affermato con chiarezza che la compatibilità comunitaria del predetto metodo implica la necessità che la verifica in contraddittorio sulla composizione dell’offerta avvenga, comunque, dopo la conoscenza da parte dell’impresa del carattere anomalo della propria offerta e che tale indagine si estenda a tutti gli elementi ritenuti utili e rilevanti dall’amministrazione e dallo stesso concorrente. In coerenza con tali principi, l’art.21 comma 1-bis L. n.109/94 è stato, da ultimo, modificato dall’art. 7 L. n.166/2002 mediante l’eliminazione di ogni limitazione oggettiva al campo di indagine sulla composizione dell’offerta e, soprattutto, per mezzo della previsione di una ulteriore verifica in contraddittorio, successiva all’acquisizione delle giustificazioni anticipate. Così delineato il sistema normativo di riferimento, occorre rilevare che la questione della compatibilità comunitaria dell’art.21 comma 1-bis della L. n.109/94, nella formulazione previgente (applicabile ratione temporis al caso di specie), e, quindi, del metodo di verifica dell’anomalia adottato nella procedura controversa è stata definitivamente risolta dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nelle more del presente giudizio, con l’affermazione dei principi sopra indicati. Il parametro normativo comunitario (art.30.4 della direttiva CEE 93/37) sul quale fondare il giudizio di legittimità dell’esclusione controversa, per come interpretato e definito dalla Corte europea, impone, quindi, all’amministrazione aggiudicatrice, di procedere ad un controllo dell’offerta sospettata di anomalia, in contraddittorio con l’impresa interessata, successivo alla conoscenza da parte di quest’ultima del carattere anomalo della propria offerta e, quindi, all’apertura delle buste ed impedisce, al contempo, di disporre l’esclusione dell’offerta inferiore alla soglia d’allarme sulla base dell’esame delle sole giustificazioni preliminari. In applicazione di tale contenuto precettivo della citata disposizione comunitaria, certamente applicabile alla fattispecie in esame sia in quanto direttamente ed espressamente richiamata dal bando di gara (art. 3 lett.b) con specifico riguardo alla verifica dell’anomalia delle offerte sia in quanto, comunque, prevalente dalla difforme previsione interna (art.21 comma 1-bis L. n.109/94), che dovrebbe, pertanto, essere disapplicata se interpretata nel senso giudicato incompatibile con il diritto europeo, deve, quindi, confermarsi il giudizio di illegittimità, correttamente pronunciato dal T.A.R., dell’esclusione dell’originaria ricorrente. Tale determinazione si rivela, infatti, palesemente viziata dalla violazione della regola di condotta - dettata dall’art.30.4 della direttiva CEE 93/37 - che impedisce di procedere all’estromissione di un’impresa da una procedura di affidamento di appalti di lavori pubblici sulla base del solo esame dell’analisi dei prezzi allegata, in via preliminare, all’offerta e senza aver, prima, chiesto ulteriori chiarimenti sulla composizione di quest’ultima (nella fase procedimentale successiva all’apertura delle buste ed all’individuazione della soglia di anomalia). La riscontrata illegittimità dell’esclusione dell’a.t.i. originaria ricorrente implica, infine, l’invalidità, in via derivata, degli atti procedimentali conseguenti e, segnatamente, dell’aggiudicazione dell’appalto all’a.t.i. controinteressata in primo grado. Consiglio di Stato, Sezione V, 29.04.2003, sentenza n. 2157

 

Appalti - formulazione della lettera d’invito non inequivoca - applicazione del principio del favor partecipationis. E’ filone giurisprudenziale consolidato quello secondo cui la non inequivoca formulazione della lettera di invito impone di optare per un approccio ermeneutico favorevole all’ammissione del maggior numero possibile di aspiranti all’aggiudicazione. Consiglio di Stato, Sezione V, 17.04.2003, sentenza n. 2063

Esclusione di impresa concorrente - verbale della commissione giudicatrice - rilevanza esterna - effetto lesivo - impugnabilità. Il verbale redatto dalla commissione giudicatrice di una gara di appalto assume rilevanza esterna, nella parte in cui esclude un’impresa concorrente, solo dal momento in cui esso viene portato a conoscenza dell’interessata da parte dell’organo deputato ad esprimere verso l’esterno la volontà dell’Amministrazione. Per tale ragione la determinazione della commissione giudicatrice relativa all’esclusione di una offerta, decisa dalla commissione giudicatrice è impugnabile quando sia fatta propria dall’Amministrazione committente, poiché solo allora assume effetto lesivo dell’interesse della concorrente (Cons. St., Sez. V, 29 aprile 2000, n. 2557). Consiglio di Stato, Sezione V, 17.04.2003, sentenza n. 2078
 

Procedura di affidamento dell’incarico di progettazione di opere pubbliche di importo compreso fra i 40.000 e i 200.000 Euro - l’affidamento deve avvenire sulla base dei curricula presentati dai professionisti - non possono essere adottati criteri rigidi di valutazione - scelta discrezionale e non vincolata dell’amministrazione. L’art. 17 della legge 104/1994 nel testo modificato dalla legge 2 giungo 1995 n. 216, fa esplicito ed esclusivo riferimento ai soli curricula dei professionisti. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’art. 3 della medesima legge l’affidamento degli incarichi di progettazione deve avvenire sulla base dei curricula presentati dai progettisti e non sulla base di offerte di carattere economico (CdS, V sez., n.64 del 26.01.1999). La valenza delle diverse esperienze professionali dei partecipanti ad una procedura di affidamento di un incarico non può essere espressa con un punteggio numerico soprattutto nel caso in cui né il bando né l’organo incaricato di vagliare le domande hanno predefinito i criteri di massima o di riferimento per l’attribuzione dei vari punteggi (TAR Marche, n. 682 del 12/05/2000). Ne deriva che nella selezione dei partecipanti alla procedura non possono essere adottati rigidi criteri di valutazione. Va aggiunto che secondo la giurisprudenza costante di questo Consiglio non è richiesta una comparazione analitica e puntuale dei curricula di tutti i partecipanti sulla base di criteri predeterminati (CdS, Sez. V, n. 112 del 03/02/1999). Né è necessaria l’ istituzione di una apposita Commissione per la valutazione e la comparazione analitica dei curricula (TAR Marche, n. 175 dell’11/02/00). Nelle procedure di affidamento degli incarichi di progettazione svolte secondo la valutazione dei curricula l’amministrazione può sicuramente effettuare una ponderazione degli elementi di decisione a disposizione ponendo l’accento su alcuni piuttosto che su altri in base alla loro rilevanza ai fini dello svolgimento dell’incarico. Nel caso di specie, tra questi elementi l’amministrazione ha preferito attribuire maggiore peso alla conoscenza da parte della ditta incaricata rispetto agli altri concorrenti delle problematiche urbanistiche connesse alla realizzazione delle opere da progettare. Questi parametri hanno orientato la scelta della pubblica amministrazione de quo che resta pur sempre una scelta discrezionale e non vincolata. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 7 aprile 2003, n. 1834

 

La bozza di bandi di gare di appalti pubblici predisposte dall'Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici non ha natura regolamentare né valore vincolante per le Amministrazioni. La bozza di bandi di gare di appalti pubblici predisposte dall'Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici non ha natura regolamentare né valore vincolante per le Amministrazioni, ma semplicemente un carattere meramente informativo per gli archivi di settore. Come reso palese nelle premesse della determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui Lavori pubblici, l’Autorità ha inteso offrire un semplice “contributo di studio relativamente alle nuove norme, elaborando modelli di bandi di gara che possano servire da linee-guida per le stazioni appaltanti nella gestione della delicata fase dell’affidamento”. Tale contributo è stato predisposto dall’Autorità nell’esercizio del compito alla stessa assegnato dall’articolo 4, comma 16, lett. g) della legge n. 109 del 1994 e successive modificazioni, che concerne la “formazione di archivi di settore e la formulazione di tipologie unitarie da mettere a disposizione delle amministrazioni interessate”; va, inoltre, osservato che i compiti attribuiti all’Autorità sono compiutamente e tassativamente elencati all’articolo 4, comma 4 della legge n. 109 del 1994, non potendosi riconoscere a tale Autorità competenze ulteriori rispetto a quelle alla stessa puntualmente assegnate (cfr. C. conti, sez. contr. Stato, 8 maggio 2000, n. 40). Consiglio di Stato, sez. IV del 5.4.2003 sentenza n. 1785

Le prescrizioni del bando di gara - illegittimità - il principio di ragionevolezza - la pena di esclusione per oneri non necessari - l’indicazione sul piego contenente l’offerta del codice alfanumerico del bando di gara - causa di irricevibilità dell’offerta - onere formale non indispensabile. In via generale, devono ritenersi in contrasto con il principio di ragionevolezza e, pertanto, illegittime le prescrizioni del bando di gara che aggravino immotivatamente le condizioni della stessa, ponendo a carico dei partecipanti a pena di esclusione oneri non necessari (in tal senso Sez. IV, 20 settembre 2000, n. 4934, con riguardo ad una clausola del bando che imponeva la trasmissione dell’offerta solo mediante servizio postale e non mediante consegna diretta o altro mezzo più rapido). (Nel caso di specie l’indicazione sul piego contenente l’offerta del codice alfanumerico del bando di gara è di regola sufficiente a consentire una rapida ed inequivoca individuazione della gara cui si riferisce l’offerta, sicché la previsione di oneri formali ulteriori, quali l’indicazione sul plico anche del giorno fissato per la gara, si risolve in un non motivato aggravamento delle condizioni di gara. La clausola del bando di gara di cui al citato articolo 2, comma 7, configurando quale causa di irricevibilità dell’offerta un onere formale non indispensabile, si appalesa, quindi, illegittima). A diverse conclusioni può pervenirsi solo nell’ipotesi – non rilevante rispetto alla fattispecie in esame - in cui, in relazione alla natura della gara, indicazioni ulteriori rispetto al predetto codice alfanumerico si rendano indispensabili per evitare incertezze, come ad esempio nel caso, contemplato all’articolo 2, comma 5 del bando di gara, in cui sia prevista l’aggiudicazione di più lotti di appalto (rendendosi allora necessaria anche l’indicazione del singolo lotto cui ciascuna offerta si riferisce). Consiglio di Stato, sez. IV del 5.4.2003 sentenza n. 1785

 

Clausola arbitrale - controversie su diritti soggettivi devoluti alla competenza del giudice amministrativo - ammissibilità dell’arbitrato - richiesta di revisione dei prezzi - interesse legittimo - discrezionalità dell’amministrazione. Come è noto, era pacifico finora l’orientamento secondo cui il potere giurisdizionale degli arbitri, che trova fondamento nella volontà delle parti di derogare convenzionalmente alla competenza del giudice civile, sussisteva solo nell’ambito della giurisdizione di tale giudice, per cui non potevano essere deferite al giudice privato le controversie che erano di competenza del giudice amministrativo, sia come giurisdizione generale di legittimità che come giurisdizione esclusiva (V.Cass. S.U. n. 7643 del 12.7.1995 e la decisione di questa Sezione n. 353 del 31.1.2001). Solo recentemente, per effetto dell’art. 6, 2° comma; L.21.7.2000 n. 205, è stata ammessa la facoltà delle parti di risolvere mediante arbitrato rituale di diritto unicamente le controversie su diritti soggettivi devolute alla giurisdizione amministrativa. E’ riconducibile ad una posizione di interesse legittimo la situazione dell’appaltatore che chiede la revisione prezzi in quanto correlata alla facoltà discrezionale dell’Amministrazione appaltante di riconoscerla o meno; viceversa, una volta avvenuto il riconoscimento della revisione, ha consistenza di diritto soggettivo la contestazione che dovesse insorgere sull’entità del compenso revisionale (V. Cass. S.U n. 9220 del 6.7.2001 e la decisione di questa Sezione n. 6263 del 12.11. 2002). Consiglio di Stato, Sez. V, snt. Marzo 2003, n. 1580
 

L’appello proposto oltre il termine di centoventi giorni è irricevibile - decorrenza del termine - provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture, bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti. L’appello è irricevibile, quando è proposto oltre il termine di centoventi giorni, previsto dall’articolo 23-bis, comma 7 della legge n. 1034/1971, introdotto dall’articolo 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, a nulla rilevando la mancata o tardiva comunicazione della pronuncia. (Nella specie la controversia in esame rientra certamente nel campo di applicazione dell’articolo 23-bis, considerando l’esplicito riferimento del comma 1, lettera c), ai “provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti.” In punto di fatto, l’appello è stato notificato solo il 13 giugno 2002, mentre la sentenza è stata pubblicata il 29 gennaio 2002). Consiglio di Stato Sezione V, del 26 marzo 2003 sentenza n. 1579

 

Appalti di lavori - potere-dovere di integrazione documentale - la certificazione - capacità economica e finanziaria - prescrizioni del bando. In merito all’invocazione del potere-dovere di integrazione documentale va rilevato che la normativa comunitaria sui settori esclusi non contiene disposizioni analoghe a quelle cui si riferisce la giurisprudenza ricordata dalla ricorrente, in vigore per gli appalti di lavori, forniture e servizi dei settori ordinari (es. artt. 26-28 della Dir. CEE n. 93/37 per i lavori; artt. 22-24 della Dir. CEE n. 93/36; artt. 31-34 della Dir. CEE n. 92/50 per i servizi), e che prevedono due ipotesi distinte: - ordinariamente l’Amministrazione deve invitare il concorrente a “completare” i certificati inviati o a chiarirne il contenuto qualora sia necessario al fine di integrare il contenuto, o la portata sostanziale, dei dati esposti negli atti prodotti dal concorrente ordinariamente diligente (es. art. 28 Dir. 37 cit.); - in alcuni casi qualora il concorrente, non sia stato in grado, “per giustificati motivi”, di presentare le referenze richieste, di provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento che sia “considerato idoneo dall'amministrazione aggiudicatrice”. In tal caso però vi è un onere di diligenza del partecipante il quale, anticipatamente alla scadenza - non potendo incolpevolmente adempiere esattamente le prescrizioni del bando - deve, se i termini lo consentono, chiedere quale altra documentazione in via transitoria possa esser considerata valida; ovvero almeno indicare nella propria istanza, e dimostrare l’esistenza di obiettive circostanze ostative (es. art. 26 Dir. 37 cit.). TAR LAZIO, Sezione III Ter - Sentenza 25 marzo 2003 n. 2565

Appalti comunitari - il principio c.d. della continuità della gara - offerta anomala - pubblico incanto - dovere di motivazione.
Del tutto insussistente, nell’ordinamento comunitario, è il principio c.d. della continuità della gara di cui all’art. 71 del R.D. n. 827/1971 (e presente anche in alcune legislazioni regionali: es. Regione Sicilia), per cui se l’incanto non possa esser compiuto nel giorno in cui è stato aperto,i lavori devono essere continuati obbligatoriamente il successivo giorno non festivo. Al contrario, gli appalti comunitari si caratterizzano strutturalmente in senso antitetico al principio della continuità proprio perché informati, in massimo grado, al principio del contraddittorio procedimentale tra stazione appaltante e concorrenti (come dimostra il ricordato potere-dovere di integrazione della documentazione; il sub procedimento di verifica dei requisiti ex art. 10. comma 1-quater della L. n.109/1994 e succ. mod. ed. int.; ovvero il meccanismo di verifica dell’offerta anomala). A prescindere anche dal fatto che qui non ricorreva un pubblico incanto ma una procedura ristretta con bando, la complessità delle valutazioni e gli altri impegni dei componenti la Commissione ben potevano giustificare la tempistica dei lavori del seggio di gara. In ogni caso nessun dovere di motivazione gravava sulla Commissione per poter procedere alla sospensione ed all’aggiornamento delle sedute. TAR LAZIO, Sezione III Ter - Sentenza 25 marzo 2003 n. 2565

Gara d'appalto - il principio di pubblicità - apertura dei plichi - offerte economiche - documentazione - giudizio della Commissione. Il principio di pubblicità di una gara d'appalto è inderogabile solo per quanto attiene alla fase dell'apertura dei plichi contenenti la documentazione e le offerte economiche delle imprese partecipanti, ma non lo è anche per ciò che concerne il giudizio della Commissione, che è di sua esclusiva, e riservata, pertinenza (cfr. Consiglio Stato sez. V, 27 febbraio 2001, n. 1067). TAR LAZIO, Sezione III Ter - Sentenza 25 marzo 2003 n. 2565
 

Delibere consortili per la localizzazione e realizzazione su un fondo di condotta fognaria - interesse concreto ed attuale del proprietario all’impugnazione - la destinazione urbanistica dell’area. Posto che il contenuto del diritto di proprietà consiste nella esclusività e nella pienezza delle facoltà di godimento e di disposizione del bene, sebbene lo jus aedificandi rappresenta la massima espressione della facoltà di godimento, nulla esclude che il proprietario possa trarre dalla cosa qualsiasi utilità, consistente anche nella sua mera conservazione, come si ricava anche dall’esame dell’articolo 840 del codice civile, salvi i limiti e gli obblighi imposti dall’ordinamento giuridico. Pertanto non può negarsi l’interesse, concreto e attuale di un proprietario, a impugnare le delibere consortili che localizzano sul fondo di sua proprietà la realizzazione di una condotta fognaria allorquando, quantunque la destinazione urbanistica dell’area (nella specie fascia di rispetto stradale) non ne consente la edificabilità, le concrete modalità dell’opera impongono pesi e limiti così gravi da rendere del tutto inutilizzabile l’area stessa. Consiglio di Stato, Sez. IV,  25 marzo 2003, sent. n. 1558

 

Impianti fognari - necessità della destinazione dell’area a pubblici servizi - l’approvazione consiliare del progetto costituisce adozione di variante - Consorzi per la costruzione e la gestione delle fognature: non posseggono poteri urbanistici - utilizzazione del sottosuolo e necessità di variante. L’articolo 41 della legge regionale del Veneto 16 aprile 1985 n. 33 prevede espressamente che la localizzazione dei nuovi impianti di prima categoria può avvenire soltanto in aree appositamente individuate nei piani regionali di settore ovvero in quelli regolatori e che, in caso contrario, quando l’area non abbia almeno la destinazione a servizi pubblici, l’approvazione del progetto di opera da parte del competente consiglio comunale costituisce adozione della variante al vigente strumento urbanistico: in caso di mancanza della strumentazione regionale o urbanistica comunale ovvero di non conformità è ammessa l’approvazione del progetto sempre che esso sia preceduto dall’accertamento dell’idoneità dell’area da parte della competente Commissione tecnica provinciale per l’Ambiente. I Consorzi per la costruzione e la gestione della fognatura non sono dotati di poteri urbanistici e pertanto non possono approvare progetti di realizzazione di opere inerenti la loro cura quando essi siano da localizzare in zone non destinate a servizi pubblici e ci sia pertanto necessità di una variante al piano regolatore. Sebbene in linea generale la destinazione impressa ad una certa zona riguarda le sole quote di soprassuolo, essendo normalmente irrilevanti sotto il profilo urbanistico quelle di sottosuolo, l’utilizzazione del sottosuolo per servizi pubblici non comporta una variante al piano regolatore solo quando tale utilizzazione non limita in alcun modo il godimento e la disponibilità del suolo sovrastante. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2003, sent. n. 1558

 

Certificazione ISO 9000 rilasciata da organismo certificatore abilitato operante Stato aderente EA/IAF che abbia siglato il MRA - certificazione rilasciata da un organismo pubblico della Romania - l’aderenza al sistema EA/IAF non consegue automaticamente all’appartenenza o alla presentazione di domanda di adesione alla Comunità Europea. La richiesta del bando di gara della “Certificazione ISO 9000 rilasciata organismo certificatore abilitato operante Stato aderente EA/IAF che abbia siglato il MRA.” non può ritenersi soddisfatta nel caso in cui la certificazione sia rilasciata da un organismo pubblico della Romania, ossia di uno Stato che ha presentato domanda di adesione alla Comunità europea. In base ad una corretta esegesi della clausola del bando, l’adesione all’EA o all’IAF e la sottoscrizione degli accordi di mutuo riconoscimento (MRA) sono richieste all’“organismo certificatore” che rilascia il certificato ISO 9000, mentre l’inciso “operante Stato” vale solo a precisare che deve trattarsi di organismo certificatore che opera nel medesimo Stato ove ha sede la società. Nessun soggetto o ufficio pubblico dello Stato della Romania risulta aderente al sistema EA/IAF né tale adesione consegue automaticamente all’appartenenza dello Stato alla Comunità europea o – come nel caso della Romania – alla presentazione di una domanda di adesione alla Comunità. In proposito si evidenzia che l’EA, European Accreditation of Certification, è un’associazione che riunisce gli Enti di Accreditamento riconosciuti a livello nazionale degli Stati appartenenti alla Comunità Europea , o candidati a farne parte, e dell’EFTA, che operino in conformità alla Norma EN 45003 (per l’accreditamento dei laboratori) o alla Norma EN 45010 (per l’accreditamento degli organismi di certificazione), mentre l’IAF persegue le stesse finalità dell’EA a livello internazionale. Con riguardo alla Romania, l’unico Ente di Accreditamento aderente all’EA è la RENAR (che non aderisce, invece, allo IAF), mentre in Italia l’Ente di Accreditamento è il SINCERT, Sistema Nazionale per l’Accreditamento degli Organismi di Certificazione. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2003, sent. n. 1551

Par condicio - scrupolosa osservanza del bando e della lettera d’invito - il principio non può essere disatteso in favore di una più ampia partecipazione - clausole di incerta interpretazione. E’ principio consolidato quello secondo cui, al fine di garantire la par condicio tra i concorrenti, in una gara d’appalto pubblico la presentazione delle offerte va effettuata in scrupolosa osservanza del bando e della lettera d’invito, indipendentemente dal numero delle offerte presentate, e la stazione appaltante non può legittimamente disattendere le predette prescrizioni, non avendo alcuna discrezionalità al riguardo (ex multis Sez. V, 30 giugno 1997, n. 763; Sez. IV, 5 luglio 1994, n. 550; Sez. VI, 15 luglio 1987, n. 422). Il principio del favore per la più ampia partecipazione alle pubbliche procedure concorsuali può essere utilmente richiamato solo in presenza di clausole del bando di incerta interpretazione (Sez. V, 13 dicembre 1996, n. 1536), e non, invece, nell’ipotesi di violazione di specifiche ed univoche previsioni del regolamento di gara. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2003, sent. n. 1551
 

Affidamento dei lavori - revisione dei prezzi - l’abolizione introdotta dalla L.359/92 si applica agli appalti aggiudicati dopo l’entrata in vigore della disciplina - atti aggiuntivi autonomi - fattispecie complessa a formazione progressiva - il momento conclusivo è da ricondurre all’atto finale che individua l’oggetto del contratto. Sul piano normativo, va ricordata la disciplina introdotta dall’articolo 3, D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, che, nel novellare l’articolo 33 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, ha abolito l’istituto della revisione prezzi. La giurisprudenza della Sezione ha chiarito al riguardo che l’abolizione della revisione prezzi si applica agli appalti aggiudicati dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina. Ha, altresì, precisato che, nel caso in cui intervengano atti “aggiuntivi” e integrativi dell’originaria convenzione, la nuova disciplina sarà applicabile qualora i detti atti abbiano autonomia rispetto alla convenzione originaria (decc. 27 febbraio 1998 n. 350 e 10 aprile 2000 n. 2068). Ad analoga conclusione, ad avviso della Sezione, deve pervenirsi ogniqualvolta l’affidamento dei lavori costituisca la risultante di una fattispecie complessa a formazione progressiva in cui il momento conclusivo sia da ricondurre all’atto finale che individua precisamente i lavori e il relativo importo, cioè l’oggetto del contratto. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2003, sent. n. 1550.

 

Procedure di affidamento - giurisdizione a seguito delle riforme introdotte dalla legge 205/2000 - rinegoziazione degli elementi essenziali - giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. L’art. 33 del D.Lgs. n. 80/1998, che, alla lettera e) contemplava, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A., le controversie in tema di procedure di affidamento, è stato riscritto, insieme agli artt. 34 e 35, dalla legge 21 luglio 2000, n. 205, al fine di renderlo immune dai vizi di eccesso di delega, rispetto alla legge n. 59/1997, posti a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Consulta n. 292 del 17 luglio 2000. Mentre l’art. 33 alla vecchia lettera e) riguardava le <<procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolti da soggetti comunque tenuti all’applicazione delle norme comunitarie o della normativa statale o regionale>>, l’art.6, comma 1, della legge n. 205 riguarda la devoluzione alla giurisdizione esclusiva <<delle controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale>>. Nel contempo la lettera e) citata non è stata espunta dall’art. 33, ma semplicemente rinumerata sub lettera d) conservando il suo tenore originario. Di qui il pasticcio, rilevato in dottrina, della riproposizione dello stesso concetto (l’affermazione della giurisdizione esclusiva del G.A. in tema di procedure di affidamento di appalti), per cui si ritiene ragionevole la tesi secondo cui la mancata espunzione della lettera e) del vecchio art. 33 configuri un mero lapsus calami, e che considera l’art. 6, primo comma, l. n. 205/2000, quale unica disposizione che regola sul piano della giurisdizione il contenzioso relativo alle procedure di affidamento. La giurisdizione esclusiva non riguarda solo le procedure di affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture strumentali a pubblici servizi, come emergeva dalla lettura dell’art. 33, comma 2, del decreto n. 80/1998, ma di qualsivoglia pubblico appalto. L’art. 4, primo comma, lettere b e c, della legge n. 205/2000 (che ha inserito l’art. 23 bis nella legge n. 1034/1971), che si riferisce ai provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione degli appalti di opere pubbliche o di pubblica utilità, di servizi pubblici e di forniture, delinea, invece, alcune delle nuove materie interessate dal rito abbreviato ed è estraneo ai profili della giurisdizione toccati dai successivi artt. 6 e 7, presupponendo, senza fondarla, la giurisdizione amministrativa. Il legislatore, dunque, all’art. 4 cit. non vuole affermare che le controversie relative all’esecuzione degli appalti appartengono tout court al giudice amministrativo, ma solo evidenziare che, ove detta giurisdizione già esista in base al sistema, ossia nell’ambito della procedura di evidenza pubblica e nel caso di atti autoritativi in corso di esecuzione, il processo dovrebbe essere interessato dalle modalità di accelerazione di cui alla norma in esame. Tale assunto è corroborato dallo stesso riferimento dell’art. 4 cit. ai <<provvedimenti>> relativi alle procedure di esecuzione, evocativo della considerazione legislativa di un processo impugnatorio interessante le sole determinazioni autoritative. Rispetto a tali vertenze occorre, quindi, continuare ad applicare i principi generali in tema di riparto di giurisdizione, limitando la giurisdizione di legittimità del G.A. ai soli casi in cui la P.A. disponga di poteri autoritativi. La legge n. 205, al pari dell’art. 33 del decreto n. 80/1998, vecchia lettera e) ed attuale lettera d), devolve, invece, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie concernenti <<le procedure di affidamento di appalti pubblici >>. Secondo l’orientamento maggioritario l’espressione normativa sarebbe riferibile alla vertenze relative alla fase pubblicistica della scelta del contraente, non anche al contenzioso riguardante il successivo e distinto momento dell’esecuzione del contratto, stipulato a seguito della procedura concorsuale, contenzioso, quest’ultimo, di regola attinente a posizioni di diritto soggettivo, inerenti a rapporti di natura privatistica, di competenza dell’A.G.O. (cfr. Cons. Stato, IV, 9 gennaio 1996, n. 41; cfr. pure Cass., SS.UU., 30 marzo 2000, n. 72: la Suprema Corte ha nella specie affermato la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla controversia concernente la sussistenza o meno di gravi inadempienze nella esecuzione di un appalto di fornitura di pasti necessario all’espletamento del servizio pubblico di refezione nelle scuole materne ed elementari; v. pure Cass., SS.UU., 30 marzo 2000, n. 71; Cons. Stato, IV, 29 novembre 2000, n. 6325). Le controversie che attengano agli atti, anche impliciti, con cui l’Amministrazione, successivamente all’aggiudicazione, provveda a rinegoziare uno degli elementi essenziali (non dunque un semplice elemento accidentale) del contratto (nella specie il prezzo), appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 6 L. n. 205/2000 cit., dal momento che tale tipo di rinegoziazione potrebbe risolversi in sostanza in un nuovo affidamento. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2003, sent. n. 1544

Rinegoziazione di elementi fondamentali del contratto (prezzo) - distorsione della concorrenza - illegittimità - facoltà di modificare il prezzo dell’appalto esplicitamente prevista nella lettera di invito - in tali casi non si lede la par condicio. E’ illegittima, anche dal punto di vista comunitario, la rinegoziazione di elementi fondamentali del contratto (quali il prezzo) con i soggetti partecipanti alla gara, dal momento che tale rinegoziazione finisce per vanificare la procedura espletata, introducendo “elementi oggettivi di distorsione della concorrenza”, con conseguente alterazione del risultato della gara. Ciò, tuttavia, non può valere allorquando l’Amministrazione appaltante si avvalga di una clausola della lettera di invito (e dello schema di contratto ad essa allegato) in cui sia chiaramente prevista la facoltà (c.d. ius variandi) di modificare il prezzo dell’appalto (in positivo o in negativo) in caso di nuove disposizioni (nella specie aumento delle tariffe) da parte dell’autorità. In tali casi, infatti, non vi è alcun comportamento lesivo del principio della par condicio dei partecipanti, ben potendo ciascun concorrente, una volta che fosse risultato aggiudicatario, beneficiare dell’adeguamento della tariffa, in applicazione della stessa disciplina a cui la P.A. si era autovincolata in sede di gara. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2003, sent. n. 1544
 

Affidamento della gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani - costituzione di società mista - fallimento della società affidataria - revoca della costituzione della società mista - scelta di nuovo partner privato che inizialmente era stato escluso della gara - l’utilizzo dell’autotutela - condizioni. L’affidamento è avvenuto in via provvisoria al dichiarato scopo di far fronte ad una situazione eccezionale determinatasi a seguito del fallimento della società che in precedenza gestiva il servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti, essendo questo un servizio che non tollera, per la sua natura, interruzioni. L’affidamento a carattere temporaneo di per sé solo non è idoneo a danneggiare l’interesse dell’appellante alla costituzione della società mista destinata per la durata di venti anni. Invece, la lesione dell’interesse dell’appellante si è verificata con l’adozione del provvedimento di revoca dei precedenti atti relativi alla costituzione della società mista e alla scelta del partner privato, manifestandosi un eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione in quanto detta revoca è stata genericamente motivata con la asserita incongruità dell’offerta economica. L’utilizzo dell’autotutela decisoria successiva alla conclusione è subordinata: a) all’obbligo di motivazione; b) alla presenza di concrete ragioni di pubblico interesse, non riducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità; c) alla valutazione dell’affidamento delle parti private destinatarie del provvedimento oggetto di riesame, tenendo conto del tempo trascorso dalla sua adozione; d) al rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale, ivi compreso l’avviso di avvio del procedimento di ritiro; e) all’adeguata istruttoria. Venuta a meno la situazione di urgenza, è dovere dell’amministrazione affidare il servizio con procedura di evidenza pubblica ed espletamento di una nuova gara. Consiglio di Stato, sezione VI, 24 marzo 2003, n.1520.

 

Gara per servizio di trasporto mediante bus elettrici nel parco della Reggia di Caserta - esclusione della procedura per la non conformità alle previsione del capitolato circa il numero di dipendenti e attrezzature della ditta temporaneamente associata con la ricorrente - disparità di trattamento - annullamento degli atti di gara - la lex specialis della gara - interpretazione in bonam-partem. L’esclusione della gara della ditta ricorrente viene considerata illegittima e conseguente annullamento del provvedimento di aggiudicazione dovuto al non corretto esercizio del potere amministrativo. L’esclusione della gara era stata dovuta a irregolarità della ditta temporaneamente associata con la ricorrente nei confronti del capitolato circa il numero di dipendenti e attrezzature, essendo ritenuta non conforme con la lex specialis della gara. L’aggiudicazione viene assegnata alla ditta controinteressata che era stata invitata a sanare irregolarità sostanzialmente identiche in cui era incorsa l’impresa esclusa. L’esclusione viene considerata illegittima perché l’amministrazione sarebbe stata tenuta ad una interpretazione in bonam-partem ovvero ad un’integrazione finalizzata a dissolvere il profilo di incertezza. Il ricorso viene accolto determinando il provvedimento di esclusione e la aggiudicazione successivamente disposta in favore della società aggiudicataria. Esclusione dei profili di danno a risarcire per equivalente. Consiglio di Stato, sezione VI, 24 marzo 2003, n. 1518
 

Annullamento dell’aggiudicazione provvisoria della gara indetta con bando pubblicato - l’amministrazione è legittimata a negare l’aggiudicazione definitiva quando non sarebbe possibile l’assunzione dell’impegno di spesa - il corretto svolgimento dell’azione amministrativa - principio di correttezza - l’assunzione dell’impegno di spesa - adeguata copertura finanziaria - violazione del principio che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede anche nelle attività precontrattuali - responsabilità precontrattuale - il danno risarcibile - “interesse contrattuale negativo”. L’amministrazione che è indotta a non dare corso all’esito della gara perché non dispone dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera costituisce una motivazione congrua ed esaustiva, poiché il corretto svolgimento dell’azione amministrativa ed un principio generale di contabilità pubblica risalente all’art. 81 della Costituzione esigono che i provvedimenti comportanti una spesa siano adottati soltanto se provvisti di adeguata copertura finanziaria. D’altra parte, se specifiche ragioni di interesse pubblico possono consentire la revoca dell’aggiudicazione di un appalto (Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 2000, n.5710), a maggior ragione deve riconoscersi che l’amministrazione è legittimata a negare l’aggiudicazione definitiva quando non sarebbe possibile l’assunzione dell’impegno di spesa. Tuttavia, poiché la mancanza di fondi costituisce una circostanza oggettivamente impeditiva della realizzazione dell’opera, il principio di correttezza esigeva che, nel momento in cui è stato accertato o poteva essere accertato il venir meno della copertura finanziaria, il Ministero dei lavori pubblici disponesse il rinvio della gara. (Ma il Ministero non ha adottato alcuna iniziativa in questo senso e, in particolare, non ha informato della carenza di fondi il Consorzio Suburbia, tenuto a svolgere le funzioni di stazione appaltante (art.11 della convenzione), neppure quando questo, con nota del 14 novembre 1995, comunicava l’intento di procedere “alla fase realizzativa, tramite indizione della gara di appalto, nei modi concordati e ai sensi delle norme vigenti in materia”.) Siffatto comportamento, del quale non è stato fornita alcuna giustificazione, concreta una violazione del principio che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede anche nelle attività precontrattuali e, per conseguenza, determina il configurarsi, a carico del Ministero, della responsabilità di cui al citato art. 1337 cod. civ. nei confronti della società appellante, che, per parte sua, ha partecipato alla gara avendo pieno titolo a confidare sulla affidabilità degli atti di gara, adottati dal concessionario in nome e per conto del Ministero (art.10 della convenzione 27 dicembre 1990 e atto aggiuntivo del 15 luglio 1991). Nell’ipotesi di responsabilità precontrattuale il danno risarcibile consiste, secondo la costante giurisprudenza, nella diminuzione patrimoniale che è diretta conseguenza del comportamento del soggetto che ha violato l’obbligo della correttezza, definito comunemente “interesse contrattuale negativo”. (La società appellante ha definito l’oggetto della domanda di risarcimento ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. “nelle spese sopportate per l’approntamento della partecipazione alla gara, nonché nella perdita delle occasioni di lavoro alternative”, tuttavia, mentre ha esplicitato e specificato le spese sostenute non ha in alcun modo dimostrato l’entità dell’asserito pregiudizio derivante dalla perdita di altre occasioni. Sicché, solo per questa seconda parte, la domanda è stata inammissibile). Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1457 (vedi: sentenza per esteso)

Gara per l’affidamento di lavori pubblici - partecipazione in forma associata ai pubblici appalti - costituenda associazione temporanea di imprese di tipo verticale - la fideiussione costituente la cauzione provvisoria - la rappresentanza esclusiva, anche processuale - la capogruppo mandataria è l'unico interlocutore dell'ente appaltante ed alle imprese mandanti è vietato intromettersi nei loro rapporti - la condotta omissiva della capogruppo - la polizza fideiussoria - conferimento di mandato collettivo speciale con rappresentanza. La cauzione del 2%, di cui all’art. 30, comma 1, della legge n. 109 del1994, "copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'aggiudicatario", cioè garantisce la stazione appaltante dai rischi derivanti da un comportamento che, nel caso di associazione già costituita, incombe unicamente sull’impresa mandataria, giacchè questa ha “la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto“ (art. 93 DPR 554 del 1999). In tal senso, d’altronde, si muove l’interpretazione giurisprudenziale sia del giudice amministrativo, che ha avvertito come “nel caso di partecipazione in forma associata ai pubblici appalti, le dichiarazioni negoziali - offerte, promesse, accettazioni, impegni e simili - devono essere rese dalla sola impresa mandataria” (Consiglio Stato sez. V, 5 febbraio 1993, n. 240), che di quello ordinario, secondo il quale “la capogruppo mandataria è l'unico interlocutore dell'ente appaltante ed alle imprese mandanti è vietato intromettersi nei loro rapporti” (Corte appello Torino, 8 febbraio 2000). In tal caso, quindi, è unicamente la condotta omissiva della capogruppo che può attivare la polizza fideiussoria da lei presentata per l'intero ammontare della garanzia. Per cui, la fideiussione rilasciata a favore dell’impresa mandataria, appare sufficiente a soddisfare l’interesse della stazione appaltante, che ben può, nel caso di mancata sottoscrizione del contratto da parte della capogruppo, incamerare per intero la cauzione. Tale ragionamento convince anche al caso di imprese che, nell'eventualità dell’aggiudicazione, si siano già impegnate a conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una di esse. Infatti, quanto al dato normativo, la legge si limita a richiedere, in tal caso, che " l'offerta deve essere sottoscritta da tutte le imprese che costituiranno i raggruppamenti o i consorzi e contenere l'impegno che, in caso di aggiudicazione della gara, le stesse imprese conferiranno mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una di esse, da indicare in sede di offerta e qualificata come capogruppo, la quale stipulerà il contratto in nome e per conto proprio e delle mandanti" (articolo 13, comma 5, della legge n. 109 del 1994). E’ quindi acclarato che, anche in questa ipotesi, il compito di sottoscrivere il contratto ricade unicamente sulla impresa capogruppo. Per cui appare del tutto logico che sia quest'ultima a dover prestare la cauzione a garanzia di un obbligo che le deriva "ex lege" per il solo fatto di essere stata indicata nell'offerta quale capogruppo. Consiglio di Stato, Sezione V del 17.03.2003, Sentenza n. 1384

Aggiudicazione di un appalto della Pubblica Amministrazione - l’interesse ad impugnare la procedura concorsuale per l’ammissione dei concorrenti - atto conclusivo - l’aggiudicazione provvisoria - concorrenti non aggiudicatari - ipotesi di acquiescenza. L’interesse ad impugnare l’ammissione dei concorrenti ad una procedura concorsuale per l’aggiudicazione di un appalto della Pubblica Amministrazione può essere fatto valere solo mediante l’impugnazione dell’atto conclusivo della procedura stessa da parte dei concorrenti non aggiudicatari (Cons. Stato, V, 17 febbraio 1999, n. 166), dovendosi tra l’altro escludere che in relazione ai contenuti dei verbali di gara recanti l’aggiudicazione provvisoria si configurino oneri di impugnazione e conseguenti ipotesi di acquiescenza (cfr. anche Cons. Stato, VI, 22 gennaio 1994, n. 34). Consiglio di Stato, V sezione, del 17 marzo 2003 sentenza n. 1369

Il principio noto come favor partecipationis - interpretazione. Il senso del principio noto come favor partecipationis è appunto quello di imporre, quando il significato di una clausola possa apparite incerto, una lettura della lex specialis capace di ampliare il ventaglio dei partecipanti alla gara per accrescere la possibilità di contrattare a condizioni più convenienti per il pubblico interesse. Consiglio di Stato, V sezione, del 17 marzo 2003 sentenza n. 1365

Bando di gara - il concetto di lavori pubblici - la richiesta espressa, che le imprese fossero in possesso di una cifra d’affari in lavori non inferiore a 1,75 volte l’importo dell’appalto da affidare, oltre agli altri requisiti ivi prescritti. Il concetto di lavori pubblici tenuto presente (il decreto attuativo della L. 11.2.1994 n.109 e successive modificazioni ove nell’art. 2), intendendosi per tali “le attività di costruzione, demolizione recupero, ristrutturazione restauro e manutenzione di opere ed impianti anche di presidio e difesa ambientale e di ingegneria naturalistica”. (Nella specie, di conseguenza, la determinazione della cifra d’affari in lavori non poteva che riferirsi a tali attività che prendono in considerazione non tanto l’opera pubblica realizzata quanto il lavoro che sull’opera è compiuto (V. la decisione di questa Sezione n. 2518 del 18.5.2001).
Consiglio di Stato, V sezione, del 17 marzo 2003 sentenza n. 1364

 

La certificazione del sistema qualità delle imprese rilasciata da un organismo accreditato - la facoltà di usufruire del beneficio del dimezzamento della cauzione e della garanzia fideiussoria - presentazione delle offerte - mancanza della certificazione - integrazione della cauzione - esclusione dalla gara - principio di parità di trattamento dei concorrenti. La giurisprudenza amministrativa ha avuto finora scarse possibilità di pronunciarsi sulla certificazione del sistema qualità delle imprese, in quanto la relativa normativa ex D.P.R. n.34/2000, pur essendo immediatamente entrata in vigore per alcuni aspetti (tra cui la facoltà di usufruire del beneficio del dimezzamento della cauzione e della garanzia fideiussoria) ha previsto per il resto una normativa transitoria secondo i tempi ed i modi di cui agli artt.30, 31e 32 del decreto stesso. Peraltro, le scarse sentenze intervenute (V. lo stesso TAR Basilicata, n. 157 del 12.3.2001 e TAR Lombardia, sez. Brescia, n.787 del 23.4.2002) si sono orientate per la necessità che la certificazione di qualità venga rilasciata da un organismo accreditato da un Ente aderente all’EA o all’IAF e sottoscrittore di accordi internazionali di mutuo riconoscimento. Nel caso in esame L’ATI Ruggiero non era in possesso di una certificazione del genere e perciò doveva essere esclusa dalla gara, come correttamente ritenuto dal TAR. Né vale sostenere che la normativa di gara non prevedeva l’esclusione per l’ipotesi in esame, limitandosi ad escludere solo colui che non avesse inserito nella relativa busta la documentazione relativa alla cauzione provvisoria, atteso che la presentazione di una cauzione di importo dimezzato equivale al non inserimento della completa documentazione richiesta. L’incertezza della normativa al riguardo poi avrebbe dovuto indurre l’Associazione ad informarsi preventivamente sulla problematica (eventualmente esaminando attentamente le determinazioni ed i comunicati dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici) prima di affidarsi al beneficio del dimezzamento della cauzione, il che non risulta che sia stato fatto. Neppure poteva ammettersi l’integrazione della cauzione, in quanto ciò sarebbe dovuto avvenire in violazione del termine perentorio di presentazione delle offerte e del principio di parità di trattamento dei concorrenti. Consiglio di Stato, Sezione V del 10 marzo 2003, sentenza n. 1297

 

Impugnazione degli atti di gara - decorrenza del dies a quo - notifica. Si deve ritenere che Il dies a quo per proporre l’impugnazione debba decorrere non dal momento della pubblicazione nei quotidiani dell’avviso di post informazione (id est pubblicità notizia), ma dal momento dell’avvenuta notifica al soggetto partecipante alla procedura di gara. E’ ciò perchè il soggetto classificato in graduatoria va considerato come direttamente contemplato nell’atto finale della procedura che lo colloca nel provvedimento – e quindi dotato di una ben qualificata posizione che lo differenzia da altri interessati. Consiglio di Stato, V sezione, del 10 marzo 2003 sentenza n.1294

Individuazione della migliore offerta - applicazione di due distinti criteri nell’ambito di uno stesso procedimento di gara - illegittimità - violazione della par condicio. E’ illegittima l’applicazione di due distinti criteri tesi all’individuazione della migliore offerta, nell’ambito di uno stesso procedimento di gara (nella specie, utilizzare il criterio decimale nella prima fase (quella del c.d. “taglio delle ali”), e poi procedere all’azzeramento dei decimali medesimi nella successiva fase dell’aggiudicazione). E’ evidente l’illegittimità del comportamento della Commissione di gara, che chiamata a individuare preventivamente i criteri di aggiudicazione in conformità con le generali disposizioni di legge vigenti, e pur potendo disporre di strumenti di natura discrezionale, entro i perimetri legislativi stabiliti dalla normativa, non può procedere ad un’ indebita alterazione della par condicio tra i concorrenti utilizzando diverse modalità di calcolo della percentuale dei ribassi offerti: tale modalità di identificazione del soggetto aggiudicatario – come risultante dall’applicazione di distinti criteri - finisce infatti, in buona sostanza, per comportare un’evidente illegittimità nella conduzione globale delle operazioni di gara. Infatti, l’utilizzo contestuale di due diverse impostazioni aritmetiche, oltre a comportare un’evidente violazione del principio del confronto concorsuale, (che deve rispondere sempre alle medesime regole), non può essere assolutamente giustificata, non solo secondo i noti principi di buon andamento e correttezza delle operazioni di gara, ma neanche da alcun argomentazione di carattere logico induttivo. I criteri di aggiudicazione basati sul calcolo aritmetico sono stati introdotti dal legislatore proprio per sottrarre al potere discrezionale dell’Amministrazione qualsiasi possibilità di interferenza che possa dar luogo ad operazioni di manipolazione dei dati: se, quindi, non risulta ammissibile alcun diverso criterio di valutazione che non sia quello dell’algoritmo basato sui ribassi percentuali, costituisce evidente corollario di tale principio che nessuna indebita interferenza possa esser introdotta una volta che si è previsto di tener conto anche delle differenze di carattere decimale. In secondo luogo, se pur fosse astrattamente giustificabile l’adozione di un duplice criterio aritmetico di elaborazione, esso doveva essere quanto meno preventivamente indicato prima ancora di procedere all’apertura delle buste contenenti le offerte economiche. Consiglio di Stato, V sezione, del 10 marzo 2003 sent. n.1294
 

 

I soggetti ammessi alle gare - il sistema della verifica a sorteggio - apertura delle buste delle offerte - Legge Merloni - esclusione dalla gara - requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economico finanziaria - verifica - termini - misure sanzionatorie - l’incameramento della cauzione e della segnalazione del fatto all’Autorità per i lavori pubblici - nuova aggiudicazione, previa rideterminazione della soglia di anomalia dell’offerta. L’art. 10 della legge Merloni (introdotto nella versione c.d. Merloni ter di cui alla legge 18 novembre 1998 n. 415) disciplina i soggetti ammessi alle gare prevedendo nella prima parte i soggetti ammessi e poi al comma 1 quater prevedendo il sistema della verifica a sorteggio, prima dell’apertura delle buste delle offerte, dei requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economico finanziaria. La verifica negativa è seguita dall’esclusione dalla gara, dall’incameramento della cauzione e dalla segnalazione del fatto all’Autorità per i lavori pubblici per i provvedimenti di cui all’art. 4 comma 7 nonché per l’applicazione delle misure sanzionatorie di cui all’art. 8 comma 7. Identica richiesta di verifica dei requisiti è inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, all’aggiudicatario ed al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati. In caso di verifica negativa si applicano le medesime sanzioni e si procede alla nuova aggiudicazione, previa rideterminazione della soglia di anomalia dell’offerta. (Si riporta per intero il dettato dell’art. 10, comma 1 quater della legge Merloni: “1 - quater . I soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro 10 giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, i soggetti aggiudicatori procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 4, comma 7, nonché per l'applicazione delle misure sanzionatorie di cui all'articolo 8, comma 7. La suddetta richiesta è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e nel caso in cui essi non forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni si applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della nuova soglia di anomalia dell'offerta ed alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione.”). Consiglio di Stato, Sezione VI del 6 marzo 2003, sentenza n. 1227 (vedi: sentenza per esteso)

Bando di gara - requisiti - rifiuto od omissione di fornire informazioni ed esibire i documenti da parte di soggetti - informazioni ed esibiti documenti non veritieri - l’irrogazione delle sanzioni - sospensione dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei lavori - competenza. L’art. 4 comma 7 della legge Merloni prevede l’irrogazione della sanzione del pagamento di una somma fino al l. 50 milioni per il caso di rifiuto od omissione senza giustificato motivo di fornire informazioni ed esibire i documenti da parte di soggetti che ne siano richiesti dall’Autorità, ovvero l’irrogazione della sanzione del pagamento di una somma fino a l. 100 milioni per il caso in cui vengano fornite informazioni ed esibiti documenti non veritieri. L’art. 8 comma 7 della legge Merloni prevede la sanzione (che non interessa nella specie essendo demandata ad un diverso procedimento di competenza di diverso soggetto) della sospensione da tre a sei mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei lavori, sanzione che, fino al 31/12/1999, veniva irrogata dal Comitato centrale dell’ANC e, successivamente, viene irrogata dalle stazioni appaltanti. Consiglio di Stato, Sezione VI del 6 marzo 2003, sentenza n. 1227 (vedi: sentenza per esteso)

Obbligo di fornire alla stazione appaltante prova del possesso dei requisiti di ammissione alla gara dichiarati - principio di legalità della sanzione. Il richiamo della norma di cui all’art. 4 comma 7 della legge Merloni, operato dall’art. 10 comma 1 quater della stessa, è un richiamo fatto quoad poenam , sicché il precetto violato è quello dell’obbligo di fornire alla stazione appaltante prova del possesso dei requisiti di ammissione alla gara dichiarati, non quello, generico, dell’obbligo di fornire informazioni all’autorità, in tal senso, come è usuale dovendosi interpretare il rinvio alla norma sanzionatoria, senza che ciò comporti violazione alcuna del principio di legalità della sanzione (applicabile anche in materia di sanzioni amministrative). Consiglio di Stato, Sezione VI del 6 marzo 2003, sentenza n. 1227 (vedi: sentenza per esteso)

Il requisito soggettivo dell'iscrizione all'albo nazionale dei costruttori legittima la partecipazione agli appalti di lavori pubblici - definitività dell’iscrizione - il riscontro dell’effettiva iscrizione per categoria superiore. Il requisito soggettivo dell'iscrizione all'albo nazionale dei costruttori, che legittima la partecipazione agli appalti di lavori pubblici, si acquista con il provvedimento di iscrizione rilasciato dal comitato centrale per l'albo dei costruttori e non al momento del rilascio del parere favorevole da parte del competente comitato regionale (C. Stato, sez. V, 13-06-1998, n. 830 nella specie vi è prova di tale parere favorevole all’atto della partecipazione alla gara, ma non della definitività dell’iscrizione cfr.. nota 6/6/2000). E’ pacifico quindi che la dichiarazione rilasciata in ordine al possesso dei requisiti rilasciata all’atto della partecipazione alla gara non è riscontrata dall’effettiva iscrizione per categoria superiore, essendo in corso la formalizzazione all’atto della partecipazione alla gara. Consiglio di Stato, Sezione VI del 6.3.2003, sentenza n. 1227 (vedi: sentenza per esteso)

 

Bando di gara - la documentazione attestante i requisiti di partecipazione alla gara - l’utilizzazione un mezzo diverso dalla lettera (es. telegramma, telefax o e-mail) - necessità della lettera di conferma - trasmissione dei documenti (in originale). E’ evidente che la scelta, consentita dal bando di gara, di utilizzare un mezzo diverso dalla lettera, quali il telegramma e l’e-mail, comporta che la documentazione attestante i requisiti di partecipazione alla gara debba essere trasmessa alla stazione appaltante con la lettera di conferma, con il mezzo, cioè, che, in tali casi, deve necessariamente intervenire ad integrare la fattispecie prefigurata dal bando per la richiesta di partecipazione alla gara (telefax più lettera di conferma, e-mail più lettera di conferma, ecc.). Chi utilizza i mezzi di trasmissione diversi dalla lettera, ha l’onere di “spedire” alla stazione appaltante, “entro la data stabilita dal bando per la ricezione delle domande di partecipazione” anche una domanda scritta a conferma di quella già effettuata per telefax o per e-mail. Considerato che tale lettera di conferma, come si è già rilevato, completa la domanda di partecipazione ala gara, non si vede il motivo per cui non si debba con essa provvedere anche alla trasmissione dei documenti (in originale). Deve inoltre aggiungersi, per contestare altro profilo consequenziale della società appellante, che la possibilità di trasmettere con la lettera di conferma i documenti richiesti dal bando vale per tutti le domande e non solo per quelle inoltrate telefonicamente o per telegramma che materialmente non consentono alcun allegato. La disposizione del bando, infatti, dispone che la conferma per lettera è dovuta quando si scelga “una” delle forme diverse dalla lettera. Consiglio di Stato, Sez. V, del 5 marzo 2003, Sentenza n. 1218

 

L’ammissione dei concorrenti alla gara - illegittima esclusione - vizio strutturale dell’intero procedimento di gara travolgendo conseguenzialmente anche l’atto terminale di aggiudicazione della gara, automaticamente, de iure, senza bisogno di un’autonoma impugnativa. L’ammissione dei concorrenti alla gara costituisce una fase necessaria dell’unico procedimento diretto alla scelta del futuro contraente. L’illegittima esclusione di un concorrente, pertanto, si pone come vizio strutturale dell’intero procedimento di gara. L’intero procedimento, pertanto, è destinato a cadere, travolgendo conseguenzialmente anche l’atto terminale di aggiudicazione della gara, automaticamente, de iure, senza bisogno di un’autonoma impugnativa. Consiglio di Stato, Sez. V, del 5 marzo 2003, Sentenza n. 1218

 

Disciplinare di gara - la mancata sottoscrizione di un atto - esclusione dalla gara - principio della par condicio - criterio della desumibilità aliunde di un equivalente della dichiarazione richiesta. Va ritenuto che la mancata sottoscrizione di un atto che, secondo il disciplinare di gara, costituisce uno dei documenti che formano la relativa domanda di partecipazione, non è configurabile come una mera irregolarità formale, suscettibile di sanatoria, considerato che una dichiarazione non sottoscritta è priva di un elemento essenziale per la sua giuridica esistenza (V Sez. 11.10.2002 n. 5489). Per altro verso, la dichiarazione era pure richiesta, a tutti i concorrenti, in dipendenza di un’esigenza sostanziale di individuazione dei soggetti obbligati alla prestazione, sicché l’eventuale regolarizzazione era, in effetti, un’integrazione dell’offerta proposta, e si sarebbe configurata come una violazione del principio della par condicio nei riguardi di altri concorrenti che, nei termini imposti, hanno osservato le regole del bando, indicando correttamente i professionisti che sarebbero stati responsabili dei singoli servizi. Si deve, infine, aggiungere che non esiste altro atto o documento, di provenienza dalla parte concorrente, dal quale siano rilevabili gli elementi sopra menzionati, sicché neppure può farsi applicazione del criterio della desumibilità aliunde di un equivalente della dichiarazione richiesta. Consiglio di Stato, Sez. V, del 5 marzo 2003, Sentenza n. 1217

 

La presentazione delle offerte - per principio di generale il termine che scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente - qualora si tratti di termine dilatorio che scade in giorno festivo, si ha una anticipazione al giorno precedente - principio di conservazione degli atti amministrativi. E’ principio di generale applicazione quello secondo il quale, sia ai sensi dell’art. 155, quarto comma, c.p.c., che ai sensi dell’art. 2693, terzo comma, c.c., il termine che scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente. In conseguenza, e tenuto conto che solo per effetto di una interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale si è pervenuti alla conclusione che qualora si tratti di termine dilatorio che scade in giorno festivo, si ha una anticipazione al giorno precedente, bisogna ritenere che, nella specie, la fissazione in giorno festivo del termine per la presentazione delle offerte, era tale da ingenerare quantomeno incertezza. Ed infatti mentre l’appellante, evidentemente a conoscenza dell’orientamento interpretativo suddetto, ha presentato la propria offerta il giorno precedente a quello di scadenza, le altre due società, che, intendevano partecipare alla gara, certe, in base al principio di generale conoscenza ed applicazione riconducibile alle cit. disposizioni, che il termine dovesse intendersi prorogato al giorno successivo non festivo, hanno presentato le proprie offerte il giorno seguente a quello di scadenza. In una situazione siffatta appare del tutto legittima l’iniziativa dell’amministrazione di considerare tempestiva la presentazione delle offerte delle società, in quanto coerente al consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale, in ipotesi di incertezza delle clausole relative all’ammissione alla gara, va prescelta la soluzione favorevole alla massima partecipazione al concorso, e ciò non solo in omaggio al generale principio di conservazione degli atti amministrativi, ma anche in conformità del più specifico interesse dell’amministrazione ad un confronto più ampio possibile delle offerte. Consiglio di Stato, Sez. V, del 5 marzo 2003, Sentenza n. 1214

 

Bando di gara - la sospensione obbligatoria del processo - condizioni - il rapporto di pregiudizialità - il potenziale conflitto di giudicati. La sospensione obbligatoria del giudizio è prescritta, allorché la decisione della causa dipenda dalla definizione di un’altra controversia che debba essere risolta dallo stesso o da altro giudice. (Nel caso in specie, la pretesa era infondata: sia perché la parte non aveva fornito al T.A.R. la prove, mediante idonea documentazione, della pendenza di altra causa e dell’oggetto della medesima, per consentirgli di verificare il rapporto di pregiudizialità e quindi la sussistenza dell’obbligo di sospendere il processo, per evitare il potenziale conflitto di giudicati (confr. Cass. 18.10.2001, n. 12743); sia perché, avuto riguardo a quanto dalla stessa appellante riferito, la questione pendente dinanzi al T.A.R della Lombardia - ove relativa alla clausola del bando di gara che prescriveva la presentazione dei documenti riconosciuti mancanti dal T.A.R. Friuli-Venezia Giulia con la sentenza appellata - non era pendente fra le stesse parti, atteso che ad essa era sicuramente estranea la soc. AGIAP. Ove anche risolta favorevolmente per la soc. Publicenter, essa non era opponibile, perciò, alla società ricorrente dinanzi all’altro giudice di primo grado, così come non era opponibile a questa società l’ammissione con riserva, pronunciata unicamente nei confronti del Comune che aveva bandito la gara. Invero, il rapporto di pregiudizialità che, a norma dell’art. 295 c.p.c., impone la sospensione del processo, non può configurarsi in ipotesi di cause pendenti fra soggetti diversi, giacché se la pronuncia, in ciascun giudizio, non può fare stato nei riguardi di una diversa parte dell’altro, non può, per questa stessa ragione, costituire il necessario antecedente logico-giuridico della decisione relativa (confr. Cass. 28.6.2001 n. 8819; 4.6.2001, n. 7506; 29.5.2001, n. 7280, fra le più recenti). Consiglio di Stato, Sez. V, del 5 marzo 2003, Sentenza n. 1208
 

Invito della stazione appaltante a comprovare il possesso dei requisiti - perentorietà del termine - inescusabilità del ritardo. La disposizione dell'art. 10, comma 1 quater, L. 109/94 (invito della stazione appaltante a comprovare il possesso dei requisiti) non qualifica espressamente il termine come perentorio; tuttavia, la natura perentoria di un termine ben può desumersi da un'espressa comminatoria di decadenza prevista dalla specifica disposizione: e l'automaticità delle sanzioni per il concorrente che non abbia comprovato i requisiti richiesti entro il termine di dieci giorni non può che orientare per la perentorietà del termine medesimo. Ciò non senza rilevare che il termine che ne occupa è posto a garanzia del corretto e rapido svolgimento della gara; che la norma stessa prevede la richiesta documentale in prossimità dell'apertura delle buste contenenti le offerte (adempimento, questo, caratterizzato da ovvie esigenze di celerità); che la documentazione, per essere indicata nel bando o nella lettera d'invito, è ben nota al concorrente e che è quindi configurabile un onere di premunirsi in maniera tempestiva per l'eventualità della richiesta stessa. Va ancora osservato che una qualificazione del termine come meramente sollecitatorio sarebbe in ogni caso incompatibile con i tempi di svolgimento di una gara pubblica. Quanto alla rilevanza della non imputabilità del ritardo, il Collegio è dell'avviso che, nel silenzio della disposizione, è la stessa qualificazione di perentorietà del termine ad escludere la possibilità che rilevino le cause del ritardo medesimo. Se un termine è perentorio, e alla sua scadenza è correlata l'automaticità della sanzione, non vi è scusabilità del ritardo che rilevi: un termine perentorio che sia soggetto a dilatazione in ragione della discrezionale valutazione delle cause del ritardo appare invero figura giuridica di dubbia collocazione nell'ordinamento, in mancanza di espressa configurazione normativa in senso diverso. In tale quadro, l'avviso espresso dal Consiglio dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici - che ha ritenuto di riconoscere il beneficio dell'errore scusabile con riguardo a comprovati motivi di salute di familiari del titolare dell'impresa - non appare idoneo a radicare il prospettato vizio di disparità di trattamento e contraddittorietà fra atti (id est, atto dell'Autorità e atto della stazione appaltante), in presenza di una statuizione giudiziale sulla assoluta "inescusabilità" del ritardo. Cons. di Stato, sez. IV,  del 4.3.2003, sent. n. 1189

 

Appalti - le infiltrazione della delinquenza mafiosa nel settore dei pubblici appalti - obbligo di presentazione del modello G.A.P. - lex specialis - esclusione dalla gara. Con riferimento all'obbligo di presentazione del modello G.A.P., deve ritenersi che il documento in questione adempia al sensi delle leggi n. 726/1982 e 410/ 1991 ad un essenziale funzione di tutela dell'ordine pubblico quale indefettibile strumento conoscitivo ai fini della lotta contro le infiltrazione della delinquenza mafiosa nel settore dei pubblici appalti con la conseguenza che la rilevanza sostanziale dell'interesse pubblico sotteso alla clausola inosservata implica, pur in difetto di espressa previsione della lex specialis l'esclusione dalla gara dell'impresa resasi inadempiente. Conforme: C.G.A. Sicilia 6 maggio 1998, n. 298. Consiglio di Giustizia Amministrativa Sicilia 3 marzo 2003, n. 94

 

Legge 1034/1971, modificata dall’art. 4 L. 205/2000 - termini processuali ridotti alla metà nei procedimenti aventi ad oggetto affidamenti di opere, forniture e servizi da parte della P.A. - deposito del ricorso. L’art 23 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 nel testo risultante dall’art. 4 della legge 21 luglio 2000 n. 205, come è noto, ha ridotto alla metà i termini processuali nei procedimenti aventi per oggetto gli affidamenti di opere, forniture e servizi da parte di Pubbliche Amministrazioni con l’unica esclusione del termine per la notificazione dell’appello. Sullo specifico punto questa Sezione si è pronunciata con decisione n. 3043 del 31 maggio 2002 i cui contenuti vengono qui di seguito integralmente richiamati. Tale indirizzo è stato confermato con decisione dell’Adunanza Plenaria del n. 5 del 31 maggio 2002. In effetti la dizione utilizzata dalla norma richiamata “i termini processuali sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso” non ricomprende, nella eccezione alla regola della riduzione per i giudizi indicati nel primo comma, anche il termine del deposito del ricorso. In primo luogo viene in considerazione l’elemento letterale secondo cui l’espressione “proposizione” si correla esclusivamente alla prima attività di composizione dell’atto introduttivo del giudizio e della sua notifica all’Amministrazione intimata nonché ad almeno uno dei controinteressati se esistenti ed individuabili. Dopo lo svolgimento di tali attività il ricorso è proposto e la “vocatio in ius“ c’è stata. Iniziano allora le attività di radicamento del rapporto processuale presso l’organo giudiziario adito con il deposito del ricorso. La distinzione dei due momenti è fissata anche nell’art. 21, primo e secondo comma, dove è ben delineata la necessaria successione degli adempimenti connessi al deposito rispetto a quelli afferenti alla notificazione del ricorso ed ancor più chiaramente nel quarto comma in cui si stabilisce che gli obblighi dell’Amministrazione intimata di versare gli atti necessari o utili per il giudizio decorrono dal momento del deposito con il che si chiarisce la distinzione netta dei due termini di notificazione e deposito del ricorso. Non appare decisiva la considerazione circa il significato da attribuire all’utilizzo del plurale nel secondo comma dell’art. 23-bis suindicato posto che, nello stesso articolo, il settimo comma utilizza con riguardo all’ instaurazione del giudizio di appello il singolare (“il termine per la proposizione dell’appello”). In questa disposizione il riferimento alla sola notificazione dell’appello per la “proposizione “ dello stesso è chiaro ed univoco. Del resto anche tenendo conto di elementi di interpretazione evolutiva si giunge alla stessa conclusione. La norma in esame ha modificato un regime derivante dall’art. 19 del D.L. 25 marzo 1997 n.67, convertito dalla L.23 maggio 1997 n. 135 che comprendeva “tutti “ i termini processuali nella riduzione a metà con riguardo ai giudizi in materia di affidamento ed esecuzione di opere pubbliche. La dizione “tutti” era stata aggiunta dalla citata legge di conversione anche per eliminare dubbi insorti sulla applicazione della riduzione al termine di notificazione del ricorso (cfr. Ad. Plen n. 1 del 14 febbraio 2001). La modifica del regime suddetto , apportata con l’art. 23-bis , secondo comma della legge 1034/1971 proprio sullo specifico punto, con la previsione di una speciale esclusione – per la proposizione del ricorso-dalla regola di snellimento dei giudizi e di abbreviazione degli stessi, non può che essere letta in modo restrittivo come norma di deroga ed appare in sostanza limitata al caso della notificazione del ricorso (cfr. nello stesso senso Sez. quarta n. 4562 del 28 marzo 2001). In tale contesto l’estensione della eccezione anche al termine per il deposito del ricorso avrebbe dovuto essere esplicitamente prevista. ). Consiglio di Stato, sez. V, del 25 febbraio 2003, sent. n. 1074

 

Bando di gara - previsione, a pena di esclusione, di far pervenire l’offerta solo mediante servizio postale - illegittimità - aggravio immotivato delle condizioni di gara. La previsione del bando di gara, che impone ai partecipanti, a pena di esclusione, di fare pervenire l’offerta entro un certo termine, solo mediante servizio postale, senza consentire altre modalità equipollenti o anche più valide e rapide, è illegittima in quanto aggrava immotivatamente le condizioni di gara (in tal senso C. Stato, IV, 20.9.2000, n.4934 e IV, 20.10.1998, n.888). Tar Campania - Napoli - Sez. I, Sentenza 25 febbraio 2003 n. 1686

 

Gara d’appalto - l’annullamento dell’atto impugnato comporta il conseguente annullamento di tutta la procedura - le pretese risaricitorie. L’annullamento dell’atto impugnato, intrinsecamente connesso alla stessa legittimità procedurale dell’intera gara, produce necessariamente la caducazione dell’intera procedura, non potendosi l’annullamento, limitare – come erroneamente postula l’appellante – alla sola fase partecipativa, in quanto, ripetesi, l’accertata illegittimità comporta il conseguente annullamento di tutta la procedura. Trattasi invero dell’intervenuto annullamento di una prescrizione attinente ai requisiti di partecipazione, annullamento che, potenzialmente amplia la partecipabilità alla procedura e necessariamente travolge la procedura medesima realizzatasi sulla base dell’annullata disposizione. Anche le pretese risaricitorie vanno disattese perché, come esattamente considerato dal Tribunale esse, per ciò che concerne il danno potenziale, sono infondate in quanto la ripetizione della gara consente all’interessata la possibilità di riparteciparvi, mentre per quanto riguarda i costi e le spese sostenute la domanda è svolta in maniera del tutto generica senza alcuna oggettiva quantificazione. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 989

 

Il bando di gara - impugnazione - la lesione dell'interesse vantato dal ricorrente - requisiti - la partecipazione alla gara - requisiti soggettivi dei concorrenti - clausole irragionevoli - "modus operandi" - commissione aggiudicatrice - tempi del procedimento. In linea di principio il bando di gara è impugnabile insieme ai provvedimenti concreti che ne fanno applicazione, in quanto è in tale momento che la lesione dell'interesse vantato dal ricorrente acquista il carattere dell'attualità, occorre ricordare come la giurisprudenza di questa sezione abbia da tempo individuato una serie di eccezioni caratterizzate dal fatto che la clausola, intorno alla cui legittimità si controverte, produce un effetto immediato precludendo o rendendo incerto l'ulteriore corso del procedimento. È il caso di clausole che impediscono o rendono più difficoltosa la partecipazione alla gara stessa, fissando modalità operative o particolari requisiti soggettivi dei concorrenti, e di clausole irragionevoli che non consentono una corretta partecipazione alla procedura ovvero una ponderata formulazione dell'offerta. Nonché il caso di prescrizioni del bando che impongono determinati oneri formali alle imprese partecipanti o relative ad un "modus operandi" fissato per il funzionamento della commissione aggiudicatrice. In tutte queste evenienze, pertanto, viene ad emergere un pregiudizio attuale e concreto che determina in capo a chi intenda partecipare alla gara l'onere di immediata impugnazione del bando, senza attendere l'ulteriore corso della procedura con il rischio di una inutile dilazione di tempi del procedimento (Consiglio Stato sez. V, 15 giugno 2001, n. 3187). Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 980


La clausola del possesso di una specifica esperienza nel settore nella lettera d’invito alla gara pubblica - la prova mediante il deposito del certificato d’iscrizione alla Camera di Commercio - esclusione - ricorso incidentale - mancata documentazione - mancata prova del possesso del requisito - mancata impugnazione. Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza, sarebbe illogica e, perciò, illegittima la clausola della lettera d’invito alla gara pubblica che, da un lato, richiede alle imprese partecipanti il possesso di una specifica esperienza nel settore e, dall’altro, impone ad esse di darne la prova mediante il deposito del certificato d’iscrizione alla Camera di Commercio, dal momento che la detta iscrizione può dimostrare che una società ha un determinato oggetto sociale o che un’impresa individuale può svolgere una determinata attività, ma non che esse abbiano già maturato un’effettiva e concreta esperienza nel ramo di iscrizione; ché, diversamente argomentando, la stessa A.T.I. avversaria non avrebbe documentato il requisito di cui si tratta. In contrario può osservarsi, infatti, che la clausola di cui di discute è chiara e univoca nel richiedere l’attestazione che l’attività prevalente dell’appalto sia stata, in concreto, svolta dalla concorrente; tale clausola, però, non è stata - quanto meno a seguito della notificazione del ricorso incidentale - impugnata dall’interessata che non può, quindi, ora dolersi dell’illogicità e conseguente illegittimità della stessa. In difetto, quindi, della certificazione camerale attestante l’espletamento, in concreto, dell’attività oggetto della gara o della mancata documentazione, con mezzi equipollenti, dello stesso, avrebbe dovuto, in effetti, disporsi l’immediata esclusione dell’odierna appellante; tanto più che, come emerge dai verbali di gara, è stato rilevato che l’interessata “non presenta alcuna referenza propria di attività già svolta e, in particolare, in altre aziende sanitarie”. Quanto, poi, al fatto che l’A.T.I. aggiudicataria sarebbe stata anch’essa priva del requisito di esperienza di cui si discute, trattasi di circostanza che nella specie, quand’anche documentata, sarebbe del tutto irrilevante; per farla utilmente constare, infatti, l’originaria ricorrente principale non avrebbe potuto sottrarsi all’onere di gravarsi, a sua volta, avverso l’ammissione alla gara della stessa A.T.I. controinteressata in relazione alla mancata prova del possesso del requisito di cui si discute; in mancanza di tale impugnativa, va dichiarata inammissibile ogni censura che si appunti, di fatto, avverso l’ammissione di quest’ultima alla gara.
Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 925

 

L’offerta sospettata di anomalia - esame delle giustificazioni - la Commissione giudicatrice - affidamento sulla corretta esecuzione della prestazione. E’ pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui in sede di esame delle giustificazioni svolte a sostegno dell’offerta sospettata di anomalia l’Amministrazione deve prendere specificamente in considerazione le giustificazioni fornite ed esporre chiaramente le ragioni in base alle quali esse siano ritenute insoddisfacenti e non diano perciò sufficiente affidamento sulla corretta esecuzione della prestazione; allorché, invece, consideri seria l’offerta in base ad attendibili spiegazioni fornite dalle Ditte, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un’articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti (V. le decisioni di questa Sezione n. 1247 del 5.3.2001 e n. 3566 del 28.6.2002). Nella specie, sia la prima che la seconda classificata in graduatoria hanno fornito delle spiegazioni, fondate essenzialmente sulla vasta rete di assistenza posseduta o sulla presenza di una specifica sede in Ascoli Piceno (sede che invece la Digit non aveva), che sono state ritenute attendibili dalla maggioranza della Commissione, in considerazione evidentemente della notoria incidenza delle dimensioni aziendali sulla capacità di effettuare acquisti a prezzi convenienti (V. la decisone Cons. giust. amm. Reg.siciliana n.607 del 22.11.2001). Consiglio di Stato Sezione V, - 19.02. 2003 - Sentenza n. 922

 

Dirigenti: la responsabilità piena del funzionario - attribuzione ai dirigenti «della responsabilità delle procedure d'appalto» - ai dirigenti compete anche il correlativo potere di approvazione - contratti degli enti locali - la verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara - atto istruttorio endoprocedimentale. E’ sufficiente richiamare in tema di contratti degli enti locali la giurisprudenza (C.d.S., V, 26 gennaio 1999, n. 64) secondo la quale “l'art. 6, 2º comma, l. 15 maggio 1997 n. 127, attribuisce ai dirigenti «la responsabilità delle procedure d'appalto» (oltre alla presidenza delle commissioni) e la stipula dei contratti; pertanto, ai medesimi dirigenti (e non alla giunta municipale) compete anche il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara, a questa ricollegandosi quel perfezionamento dell'iter procedimentale al quale solo può ricollegarsi la responsabilità piena del funzionario” per revocare ogni fondamento alla doglianza. In ogni caso, l’atto in questione non aveva neppure valenza di approvazione, ma solo di parere (atto istruttorio endoprocedimentale) sulla regolarità degli incombenti. Se la legge consente al medesimo dirigente di approvare il contratto nel quale ha concorso a gestire l’attività di giudizio, a maggior ragione si deve riconoscere a quella figura l’adempimento di mera verifica di conformità. Consiglio di Stato Sezione V, - 19.02. 2003 - Sentenza n. 920

 

La portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara - limiti di discrezionalità - l’esclusione obbligatoria - rilevanza dell’inadempimento - lex specialis - il c.d. criterio teleologico - il principio del favor partecipationis. La portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara, secondo un consolidato ed univoco orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 1997, n.763), esige che alle stesse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura, senza che in capo all’organo amministrativo cui compete l’attuazione delle regole stabilite nel bando residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento (che non può, pertanto, essere in alcun modo disattesa) e che, quindi, qualora il bando commini espressamente l’esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la P.A. è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione (Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1999, n.228), senza alcuna possibilità di valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, l’incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza l’Amministrazione si è, invero, autovincolata al momento dell’adozione del bando. Perché tali principi possano applicarsi risulta, tuttavia, necessario che la previsione dell’esclusione sia univocamente riferita alla violazione della prescrizione considerata e che, viceversa, quando l’inosservanza di una regola di gara sia sprovvista di sanzione o quando quest’ultima non si riveli chiaramente riferibile a quella, deve escludersi qualsiasi obbligo, discendente dal bando, di esclusione dell’offerta irregolare e la disamina della legittimità della gara andrà condotta in coerenza con l’esegesi, secondo il c.d. criterio teleologico, della clausola violata ed in contestuale attuazione del diverso principio del favor partecipationis. Consiglio di Stato Sezione V, - 19.02. 2003 - Sentenza n. 918 (vedi: sentenza per esteso)
 

Le cause di esclusione non espressamente previste nel bando ricavate in via interpretativa e suppletiva in base al c.d. criterio teleologico - l’esclusione dell’impresa inadempiente - tutela della par condicio. Risulta ormai acquisito in giurisprudenza il principio per cui le cause di esclusione, ancorchè non espressamente previste nel bando, possono essere ricavate in via interpretativa e suppletiva in base al c.d. criterio teleologico, finalizzato all’individuazione dell’interesse dell’Amministrazione sotteso alla regola di gara considerata, alla sua osservanza e, quindi, all’esclusione dell’impresa inadempiente ed alla conseguente tutela della par condicio; temperato, tuttavia, dall’avvertenza che la ratio dell’esclusione deve emergere con assoluta chiarezza, dovendosi altrimenti preferire, in coerenza con il principio del favor partecipationis, un’esegesi della prescrizione che garantisca il maggior accesso alla gara, in virtù di una più ampia e, per l’Amministrazione, più favorevole concorrenzialità (C.d.S., Sez. IV, 3 maggio 1999, n.768). Consiglio di Stato Sezione V, - 19.02. 2003 - Sentenza n. 918 (vedi: sentenza per esteso)
 

L’esigenza della segretezza dell’offerta economica e della sua materiale separatezza - requisiti di ammissione - l’imparzialità della gestione della procedura - l’interesse pubblico alla par condicio dei concorrenti - inesistenza di discrezionalità nella valutazione dei requisiti soggettivi di partecipazione all’asta e lo svolgimento dell’asta. Se, l’esigenza della segretezza dell’offerta economica e della sua materiale separatezza risulta senz’altro ravvisabile e definibile come essenziale nelle gare che impongono una valutazione complessa, e non strettamente vincolata, dei requisiti di ammissione (come nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, Sez. V, con la decisione n.1972 del 10.4.2002), là dove, cioè, la conoscenza contestuale del prezzo offerto e degli altri documenti di gara può concretamente pregiudicare l’imparzialità della gestione della procedura, non altrettanto può dirsi per le ipotesi, quale quella in esame, nelle quali non esiste alcuna discrezionalità nella valutazione dei requisiti soggettivi di partecipazione all’asta e lo svolgimento dell’asta è connotato da regole così semplici e rigide da impedire qualsiasi lesione dell’interesse pubblico alla par condicio dei concorrenti e ad un ordinato svolgimento dell’asta. Consiglio di Stato Sezione V, - 19.02. 2003 - Sentenza n. 918 (vedi: sentenza per esteso)
 

La necessità di controfirmare la busta lungo i lembi - interpretazione. Quando la previsione del disciplinare non prescrive in maniera espressa la necessità di controfirmare la busta lungo tutti i lembi, come si ricava dall’esame testuale dell’espressione, di per sé neutra, “lungo i lembi”, e che, in mancanza di tale esplicita disposizione, la clausola, siccome ambigua, va senz’altro intesa, in conformità ad un univoco orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis C. d S., Sez. V, 12 giugno 2002, n.3269), nel senso che la controfirma va apposta sul solo lembo aperto della busta stessa, e cioè su quello superiore, e non anche su quelli già chiusi dal produttore, in considerazione della sufficienza di tali modalità di firma della busta a garantire la verifica della sua integrità. Consiglio di Stato Sezione V, - 19.02. 2003 - Sentenza n. 918 (vedi: sentenza per esteso)
 

La partecipazione alla gara in forma di associazione temporanea - raggruppamento temporaneo di due imprese - ruolo operativo a ciascuna di esse - disponibilità tecniche e finanziarie. La giurisprudenza della Sezione ha affermato che l’obbligo di cui all’art. 11 comma 2, del d.lgs. n. 157 del 1995 che riproduce quello già sancito dall’art. 10 del d.lgs. n. 358 del 1992, di indicare quale parte del servizio venga svolto da ciascuna delle imprese associate, comporta che sia assegnato un ruolo operativo a ciascuna di esse, all’evidente scopo di evitare che esse si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme di ammissione stabilite dal bando e consentire così la partecipazione di imprese non qualificate, con effetti negativi sull’interesse pubblico che il servizio è destinato a soddisfare e che non sempre è ristorabile mercé la garanzia patrimoniale derivante dalla responsabilità solidale delle imprese riunite (19 gennaio 1998 n. 84). Nella specie tale orientamento, dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, risulta disatteso posto che si registra la partecipazione alla gara in forma di associazione temporanea di un soggetto, il C.I.T., cui non farà capo lo svolgimento di nessuna quota del servizio. Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 917
 

Imprese appaltatrici - diritto alla revisione dei prezzi senza alcuna limitazione anche per aumenti di costi inferiori al 10% - la prevalenza dell’art.6 L. n.537/93 - inapplicabilità per determinati contratti dell’art.1664 c.c.. L’art.6 L. n.537/93 va interpretato come precetto immediatamente attributivo alle imprese appaltatrici del diritto alla revisione dei prezzi senza alcuna limitazione, e, quindi, anche per aumenti di costi inferiori al 10%. La prevalenza dell’art.6 L. n.537/93 e della conseguente inapplicabilità ai contratti del tipo di quello in esame (revisione dei canoni relativi a diversi contratti di appalto di servizi di pulizia e di raccolta e smaltimento rifiuti) dell’art.1664 c.c. (Cons. Stato, Sez. V, 8 maggio 2002, n.2461). Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 916

 

L’attività di scelta del terzo contraente negli appalti pubblici - i limiti procedurali e i vincoli funzionali - la cd. evidenza pubblica - attività amministrativa pubblica - interesse legittimo - stazioni appaltanti. L’attività di scelta del terzo contraente negli appalti pubblici in virtù dei limiti procedurali e dei vincoli funzionali cui è soggetta (cd. evidenza pubblica), anche quando è posta in essere da soggetti formalmente privati, non è espressione di attività negoziale, ma di attività amministrativa pubblica, a fronte della quale vi sono posizioni di interesse legittimo, dovendosi considerare in tali ipotesi le stazioni appaltanti (limitatamente agli atti di gara) Pubbliche Amministrazioni in senso soggettivo (cfr. in tal senso Cons. St. VI, 27 ottobre 1998, n. 1478; 9 maggio 2000, n. 2681; 22 gennaio 2001, n. 192). Consiglio di Stato Sezione VI, - 17 febbraio 2003 - Sentenza n. 843

 

La osservanza delle procedure di evidenza pubblica - giurisdizione del giudice amministrativo - le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture - l’eccezione di difetto di giurisdizione. La sottoposizione alla osservanza delle procedure di evidenza pubblica comporta dunque la soggezione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice amministrativo, anche indipendente dal sopravvenire, nel corso della procedura contestata, dell’art. 33 D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80 (sostituito dopo la sua dichiarazione di incostituzionalità dall’art. 7 L. 21 luglio 2000, n. 205) che ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, al rispetto dei procedimenti ad evidenza pubblica. In ogni caso la normativa sopravvenuta (art. 33 D. L.vo n. 80/1998) comportando pacificamente l’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo nella controversia “de qua”, fa sì che la controversia stessa resti ancorata dinnanzi a questo Giudice, anche se in ipotesi ne fosse stato privo al momento della proposizione della domanda (come ha più volte ribadito la Cassazione: cfr. tra le altre Cass. 10 agosto 1999, n. 580 e 27 luglio 1999, n. 516). L’eccezione di difetto di giurisdizione riproposta dall’appellante è pertanto destituita di fondamento. Consiglio di Stato Sezione VI, - 17 febbraio 2003 - Sentenza n. 843
 

Gare d’appalto - lettera di invito - le norme della procedura - l’offerta - doveri di diligenza e leale collaborazione - fase precontrattuale - principio di buona fede - provvedimento di esclusione. In presenza di una lettera di invito che conteneva numerosi rinvii al Capitolato generale al fine di dettare le norme della procedura, anche la minima diligenza (certamente esigibile da una impresa che si trova abitualmente a partecipare a gare d’appalto come quella in questione) avrebbe comportato che l’impresa si facesse quantomeno carico di reperire copia del documento che gli era necessario per formulare l’offerta. Non può pertanto condividersi la impostazione del Giudice di prime cure che, nella decisione della controversia in esame, non ha tenuto conto dei doveri di diligenza e leale collaborazione cui sono tenute le parti nella fase precontrattuale in ossequio al principio di buona fede, ma si è limitato a ricercare su chi incombesse l’onere della produzione documentale. L’appello proposto dalla Azienda avverso la sentenza che ha ritenuto illegittima la esclusione della Agippetroli deve essere pertanto accolto e per l’effetto deve essere confermato il provvedimento di esclusione impugnato con il ricorso di primo grado. Consiglio di Stato Sezione VI, - 17 febbraio 2003 - Sentenza n. 843

 

Bando di gara - lettera di invito - presentazione delle offerte - le condizioni di accesso alla gara - l’obbligo della considerazione delle singole voci di prezzo senza distinzione tra appalti a corpo e appalti a misura - valutazione complessiva dell’offerta - base d’asta - l’anomalia delle offerte. La disposizione normativa emergente dall’art. 21, comma 1-bis, della L. 11.2.1994 n. 109, come risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 7 del d.l. 3.4.1995 n. 101, conv. nella L.2.6.1995 n. 216, nel pretendere che le offerte siano “corredate, fin dalla loro presentazione, da giustificazioni relativamente alle voci di prezzo più significative, indicate nel bando di gara o nella lettera di invito, che concorrono a formare un importo non inferiore al 75% di quello posto a base d’asta”, determina l’obbligo della considerazione delle singole voci di prezzo, senza distinzione tra appalti a corpo e appalti a misura, e non richiede, invece, una valutazione complessiva dell’offerta (cfr. C.d.S., Sez. V, 7.2.2002 n.702). Né il tenore letterale di detta disposizione consente interpretazioni estensive, trattandosi di una norma diretta a regolare in modo rigoroso e puntuale le condizioni di accesso alla gara e, in ogni caso, non è privo di significato il fatto che, pur essendo contemplati nell’art. 21 i due tipi di appalto, manchi una distinzione degli stessi per quanto concerne l’anomalia delle offerte. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - sentenza n. 806
 

L’art. 51 della legge 8 giugno 1990, n. 142, rimette ai dirigenti “la responsabilità delle procedure d’appalto” ai medesimi compete anche il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara - presidenza delle relative Commissioni valutatrici - la stipula dei contratti - la responsabilità piena del funzionario. L’art. 6, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, ha novellato l’art. 51 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nel senso di rimettere ai dirigenti “la responsabilità delle procedure d’appalto” (oltre alla presidenza delle relative Commissioni valutatrici) e la stipula dei contratti; ebbene, se è rimessa ai dirigenti la responsabilità di tali procedure, ne segue che ai medesimi compete anche il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara, a questa ricollegandosi quel perfezionamento dell’iter procedimentale al quale solo può ricollegarsi la responsabilità piena del funzionario (cfr. le decisioni della Sezione 6 maggio 2002, n. 2408; 12 aprile 2001, n. 2293; 26 gennaio 1999, n. 64). Quanto, poi, al fatto che i lavori della Commissione si sarebbero tenuti in sedute non pubbliche e si sarebbero protratti oltre misura, può osservarsi che l’esame tecnico dei progetti ritualmente può svolgersi in seduta non pubblica (cfr. tra le altre, le decisioni della Sezione 14 aprile 2000, n. 2235, e 30 maggio 1997, n. 576) mentre l’esigenza di esaminare accuratamente il progetto di cui si tratta (alla luce anche delle indicazioni desumibili dalla decisione della Sezione che ha annullato la precedente aggiudicazione), nonché di redigere il parere di non conformità giustifica il protrarsi dei lavori per quattro sedute. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 805 (vedi: sentenza per esteso)

 

Legittimazione ad impugnare - l’ipotesi in cui il soggetto contesti in radice la gara affinché essa non abbia luogo o venga rinnovata con l’introduzione di una nuova disciplina - esclusione dalla gara - temine di decadenza - riapertura del termine di impugnativa. Normalmente il soggetto che non ha presentato domanda di partecipazione ad una procedura di gara non ha legittimazione ad impugnare davanti al giudice amministrativo le modalità di svolgimento della gara od il suo esito (V. le decisioni di questa Sezione n. 554 del 26.5.1997 e n. 1909 del del 3.4.2000), in quanto la lesione lamentata viene a riguardare una fase procedimentale successiva all’ammissione. Diversa è invece l’ipotesi in cui il soggetto contesti in radice la gara stessa affinché essa non abbia luogo o venga rinnovata con l’introduzione di una nuova disciplina che ne consenta la partecipazione anche alla categoria dei soggetti cui appartiene il ricorrente, attualmente esclusa sulla base della normativa di gara (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. IV n. 387 del 28.5.1974 e sez. V n.4970 del 20.9.2001). In tale caso (come nella fattispecie in esame) la partecipazione viene ad essere preclusa direttamente dallo stesso bando di gara, che deve essere impugnato autonomamente nel prescritto temine di decadenza senza attendere l’adozione di un provvedimento di esclusione, che in quanto meramente esecutivo non potrebbe comunque consentire una riapertura del termine di impugnativa (V. la decisone di questo Consiglio sez. IV n.1925 del 10.4.12002). Con la conseguenza che la presentazione della domanda di partecipazione sarebbe inutile e con l’esito scontato di esclusione dalla gara, non potendo il bando di gara essere disapplicato né dall’Amministrazione né dal Giudice amministrativo (V. le decisioni di questa Sezione n. 2197 del 22.4.2002 e n. 2717 del 20.5.2002). Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 794

 

Il concetto e la definizione di cooperative sociali - le successive disposizioni - l’appalto del pubblico servizio - la fornitura di beni e servizi - principi comunitari vigenti. Si osserva che il concetto e la definizione di cooperative sociali sono stati introdotti dall’art.1 L n.381/1991, che ha ritenuto tali quelle cooperative che hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale alla promozione umana ed all’integrazione sociale, sia attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi (lett. a), sia attraverso lo svolgimento di attività diverse (agricole, industriali, commerciali o di sevizi) finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (lett.b). Le successive disposizioni della L. n.381/91 prevedono una serie di agevolazioni per le cooperative sociali, alcune di carattere tributario per entrambe le categorie (art. 7) ed altre, limitatamente alle cooperative di cui alla lettera b dell’ art.1, per la stipula di convenzioni con le pubbliche amministrazioni, anche in deroga alla disciplina dei contratti, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, purchè tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate (art.5), rinviando per l’attuazione alla normativa regionale (art.9). Può ammettersi che la facoltà concessa alle cooperative sociali di tipo b) di stipulare convenzioni con le amministrazioni pubbliche nei limiti indicati, comporta anche la possibilità per l’amministrazione pubblica di indire gare di appalto, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, riservate alle cooperative di tipo b), ma tale deroga comunque può valere unicamente per l’ordinamento interno ma non certamente per gli appalti soggetti alla normativa comunitaria, quale è l’appalto del pubblico servizio in esame per essere l’importo complessivo superiore a 200.000 ecu, al netto dell’IVA, ai sensi dell’art. 7 della direttiva CEE 92/50, poi recepita dal D. L.vo 17.3.1995 n. 157). Tanto è vero che poi l’art. 5 L. n.381/1981 è stato sostituito dall’art. 20 L.6.12.1996 n.56, che ha appunto espressamente previsto che le suddette convenzioni possono riguardare solo la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici (V. la decisione di questa Sezione n. 4580 del 30.8.20019). Con la conseguenza che la normativa regionale (ed in particolare l’art. 16 L.R.Veneto 5.7.1994) non può che essere interpretata in modo conforme ai principi comunitari vigenti in materia. Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 794

 

L’integrazione documentale - limiti - la Commissione di gara - la par condicio dei concorrenti - esclusione dalla gara. Non si può condividere, l’assunto secondo cui la Commissione di gara può normalmente richiedere alle concorrenti di integrare la documentazione prodotta in modo incompleto; l’integrazione documentale, infatti, non è ammessa (cfr., tra le altre, Sez. VI, 18 dicembre 1999, n. 2095) nei casi in cui, possa portare, di fatto, e violando, come si ripete, la par condicio dei concorrenti, al superamento di una clausola posta dal bando a pena di esclusione dalla gara, non rispettata da un concorrente. Consiglio di Stato, Sezione V - 13/02/2003 - Sentenza n. 760

 

La revisione dei prezzi relativi ad appalto di opera pubblica - i criteri di quantificazione del compenso revisionale - diritto soggettivo dell’appaltatore - il potere discrezionale dell’ente appaltante. In tema di revisione dei prezzi relativi ad appalto di opera pubblica, la controversia avente ad oggetto (come nel caso di specie), i criteri di quantificazione del compenso revisionale, una volta che sia intervenuta da parte dell’amministrazione procedente il riconoscimento della spettanza di esso con riguardo all’intera opera, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che si contende di un diritto soggettivo dell’appaltatore, essendosi ormai esaurito il potere discrezionale dell’ente appaltante (cfr. ex plurimis Cass. sez. un., 11 ottobre 2002, n. 14531; 6 febbraio 2002, n. 1558; 14 dicembre 1999, n. 897; Cons. Stato, sez. IV, 29 maggio 2002, n. 2992; sez. V, 22 febbraio 2002 n. 992). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenze nn. 748 - 741. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 749

 

Aggiudicazione dei contratti della Pubblica Amministrazione - l’inosservanza delle prescrizioni del bando o della lettera di invito - modalità di presentazione delle offerte - l’esclusione dalla gara - procedura di gara - la par condicio dei concorrenti. In sede di aggiudicazione dei contratti della Pubblica Amministrazione, l’inosservanza delle prescrizioni del bando o della lettera di invito circa le modalità di presentazione delle offerte, seppur non indicate espressamente come essenziali, implica l’esclusione dalla gara quando si tratti (come nel caso di specie) di prescrizioni rispondenti a un particolare interesse dell’Amministrazione appaltante o poste a garanzia dei principi generalissimi eletti a salvaguardia del corretto, imparziale e trasparente dispiegarsi della procedura di gara, come la par condicio dei concorrenti, con effetto recessivo del metodo esegetico favorevole alla più ampia partecipazione alla gara (cfr. Cons. Stato, V, 15 novembre 2001, n. 5843; v. anche IV, 20 novembre 1998, n. 1619). Consiglio di Stato Sezione V, - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 702
 

L’offerta anomala considerata come la migliore o più conveniente - valutazione tecnico discrezionale manifestamente irragionevole - onere della prova. Quando l’Amministrazione considera l’offerta anomala come la migliore o più conveniente, non occorre che tale determinazione si basi su un’articolata motivazione, ripetitiva delle giustificazioni addotte dall’impresa, perché spetta a chi ricorre contro l’aggiudicazione individuare gli specifici elementi da cui il giudice amministrativo può evincere che la valutazione tecnico discrezionale è manifestamente irragionevole. (Cons. St., Sez. V, 5 marzo 2001 n. 1247) Consiglio di Stato Sezione V, - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 694

 

La commissione di gara - definizione, compiti e rapporti con l’amministrazione aggiudicatrice - organismo di natura essenzialmente tecnico - svolge in favore dell’amministrazione aggiudicatrice una funzione preparatoria e servente - c.d. aggiudicazione provvisoria - il sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta. La commissione di gara è un organo straordinario e temporaneo della stessa amministrazione aggiudicatrice (C.G.A., 6 settembre 2000, n. 413), e non già una figura organizzativa autonoma e distinta rispetto ad essa (sez. V, 14 aprile 1997, n. 358), tant’è che la sua attività acquisisce rilevanza esterna solo in quanto recepita dalla stazione appaltante. Essa, in particolare, quale organismo di natura essenzialmente tecnico svolge in favore dell’amministrazione aggiudicatrice una funzione preparatoria e servente, essendo investita della specifica funzione di esame e valutazione delle offerte formulate dai concorrenti, finalizzata alla individuazione del miglior contraente possibile, che si concretizza nella c.d. aggiudicazione provvisoria. In tale specifica fase procedimentale si inserisce il sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta che, incentrandosi su valutazioni di natura tecnica – discrezionale, è logicamente svolto proprio dalla commissione di gara, spettando poi all’Amministrazione aggiudicatrice il potere di valutare e decidere se approvare o meno gli atti della commissione di gara e di provvedere quindi all’aggiudicazione definitiva. Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 560 (vedi: sentenza per esteso)

Gare per appalti - l’interesse alla relativa decisione, ex articolo 100 C.P.C.. L’interesse alla relativa decisione, ex articolo 100 C.P.C., deve consistere in una utilità pratica che il ricorrente può ottenere con il provvedimento chiesto al giudice; detta utilità pratica non deve essere intesa nel solo limitato significato di immediata utilità finale del provvedimento invocato, ben potendo consistere anche in una semplice utilità strumentale, capace di soddisfare l’interesse del richiedente ogni qualvolta che il provvedimento giudiziale richiesto comporti per l’Amministrazione l’obbligo di riesaminare la situazione controversa e di adottare altri (e nuovi) provvedimenti idonei a garantire un determinato risultato favorevole (C.d.S., sez. IV, 20 giugno 1989, n. 424; 3 marzo 1997, n. 178; 7 aprile 1998, n. 551; 10 novembre 1999, n. 1671). Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 560 (vedi: sentenza per esteso)

I soggetti ammessi a partecipare alle gare per appalti di servizi - disciplina applicabile dettata in materia di appalti pubblici - gara in associazione o in consorzio. In mancanza di una espressa normativa circa i soggetti ammessi a partecipare alle gare per appalti di servizi, deve ritenersi applicabile quella dettata in materia di appalti pubblici. Questa, all’articolo 10 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, ammette, tra l’altro, che possano partecipare alle gare i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25 giugno 1909 n . 422 e successive (comma 1, lett. b) ed i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’articolo 2615 – ter del codice civile, tra imprese individuali, anche artigiane, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui al successivo articolo 12, stabilendo poi all’articolo 13, comma 4, che, mentre è fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in più di un’associazione temporanea o consorzio di cui all’articolo 10, comma 1, lett. d) ed e) ovvero di partecipare alla gara anche in forma individuale quando abbiano partecipato alla stessa gara in associazione o in consorzio, i concorsi di cui alle lettere b) e c) sono tenute ad indicare in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre; solo a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi forma, alla medesima gara. Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 560 (vedi: sentenza per esteso)

Fattispecie del collegamento o del controllo relativo al verificarsi di situazioni di intrecci degli assetti delle società e consorzi o raggruppamenti partecipanti - gara. Riguardo alla fattispecie del collegamento o del controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile ovvero di situazioni comunque idonee a ledere il principio della segretezza dell’offerta e della par condicio, per il dipanarsi di trattative che poi hanno realizzato nuovi assetti societari di alcune imprese partecipanti alla gara, la Sezione rileva che, come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza, tali situazioni devono costituire oggetto di apposita puntuale prova dell’esistenza di un unico centro di decisione o di interessi comuni (sez. V, 1° luglio 2002, n. 3601) ovvero tale da far ritenere plausibile una reciproca conoscenza o almeno un condizionamento delle rispettive offerte (sez. V, 7 febbraio 2002 n. 685). Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 560 (vedi: sentenza per esteso)

Offerte di una gara di pubblico appalto - le situazioni di controllo o collegamento ex art. 2359 cod. civ. - par condicio - l’offerta sospettata di anomalia. In omaggio ai principi costituzionali contenuti negli articoli 41 e 97, le situazioni di controllo o collegamento ex art. 2359 cod. civ,, idonee a violare i principi della par condicio dei concorrente e della segretezza delle offerte di una gara di pubblico appalto devono costituire oggetto di apposita puntuale prova in ordine all’esistenza di un unico centro di decisione o di interessi comuni ovvero tale da far ritenere plausibile una reciproca conoscenza o almeno un condizionamento delle rispettive offerte. La valutazione da parte della commissione di gara dei chiarimenti forniti circa l’offerta sospettata di anomalia, in quanto frutto dell’esercizio di un potere tecnico - discrezionale, è di per sé insindacabile, salva l’ipotesi di manifesta illogicità o insufficiente motivazione o di errore di fatto ovvero di irrazionalità o di manifesta favoritismo in favore di uno dei concorrenti. Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 560 (vedi: sentenza per esteso)

La valutazione da parte della commissione di gara - l’offerta sospettata di anomalia - impugnazione. La valutazione da parte della commissione di gara dei chiarimenti forniti circa l’offerta sospettata di anomalia, in quanto frutto dell’esercizio di un potere tecnico – discrezionale, è di per sé insindacabile, salva l’ipotesi di manifesta illogicità o insufficiente motivazione o di errore di fatto ovvero di irrazionalità o di manifesta favoritismo in favore di uno dei concorrenti. ). Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 560 (vedi: sentenza per esteso)

 

Appalti - interpretazione della normativa comunitaria e nazionale - la fase di valutazione dell’anomalia delle offerte - l’apertura delle buste - contraddittorio fra stazione appaltante ed impresa concorrente - la illegittimità della facoltà prevista dall’art. 21, comma 1 bis, della legge n. 109/94. La Corte di Giustizia della Unione Europea (cfr. sez. VI, 27 novembre 2001 n. 285-286/99), ha affermato che la normativa comunitaria e nazionale di riferimento deve essere interpretata nel senso di garantire una effettiva fase di valutazione dell’anomalia delle offerte da svolgersi, in contraddittorio fra stazione appaltante ed impresa concorrente, successivamente all’apertura delle buste ed indipendentemente dalle giustificazioni previamente fornite in sede di presentazione dell’offerta. Tale interpretazione rivela il contrasto della normativa nazionale con la normativa comunitaria e pertanto la illegittimità della facoltà prevista dall’art. 21, comma 1 bis, della legge n. 109/94, di limitare il controllo delle anomalie dell’offerta solo al 75% delle voci che la compongono e di escludere talune voci dalla valutazione (Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2002, n. 4266). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 543. Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 546

 

Appalto di opera pubblica - partecipazione alla gara - false dichiarazioni - esclusione dalle gare - requisiti tecnico-giuridici - il divieto del di partecipare per un anno - legittimità - Autorità di vigilanza sui lavori pubblici - Soa: attestato, rilievo, annullamento. In tema di qualificazione delle imprese per la partecipazione alle gare di appalto di opere pubbliche sono esclusi dalle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni, a prescindere dall'importo, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che nell'anno precedente la data di pubblicazione del bando di gara hanno reso false dichiarazioni in merito ai requisiti tecnico-giuridici previsti dalla legge, e alle condizioni rilevanti per la procedura di gara prevista dalla legge e dal regolamento. Il divieto del di partecipare per un anno alle gare è giustificata dall'art. 75, reg. n. 554 del 1999 che, al comma 1, stabilisce: l'applicazione di detta disposizione non va limitata restrittivamente alle dichiarazioni non veritiere rese dai concorrenti nel corso delle gare, ma va riferita a tutto il sistema di qualificazione e quindi a quella attività certificativa attribuita alle Soa. Tribunale Amministrativo Regionale - Sicilia - Catania - Sez. I - 3 febbraio 2003, Sentenza n. 172

 

Le associazioni (o riunioni) temporanee di imprese - dichiarazione di fallimento dell'impresa mandataria - imprese per gli appalti di opere pubbliche - mandato collettivo rilasciato prima della presentazione dell'offerta. La dichiarazione di fallimento dell'impresa mandataria priva quest'ultima dei poteri gestori e rappresentativi che ad essa competevano nei confronti delle imprese riunite sulla base del mandato collettivo rilasciato prima della presentazione dell'offerta. (articolo 22 D.Lgs 406/91, ora articolo 93 d.P.R. 554/1999). Cassazione civile, sez. I, 30 gennaio 2003, n. 1396

Le associazioni (o riunioni) temporanee di imprese - la presentazione di offerte per appalti o concessioni di opere pubbliche - mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una di esse, qualificata capogruppo - il rapporto di mandato - la dichiarazione di fallimento - la pubblicazione della sentenza pronunciata nel corso del processo - impugnazione. Le associazioni (o riunioni) temporanee di imprese danno luogo ad una forma temporanea e occasionate di cooperazione che lascia salva l'autonomia operativa delle singole imprese associate (o riunite). Ciò si desume da un'esplicita indicazione del legislatore che, nell'ammettere la presentazione di offerte per appalti o concessioni di lavori pubblici da parte di imprese, che prima della presentazione dell'offerta abbiano conferito "mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una di esse, qualificata capogruppo" (art. 22, d. lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, ora sostituito dall'art. 93, primo comma, d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554), precisa che il rapporto di mandato "non determina di per sè organizzazione o associazione tra le imprese riunite, ciascuna delle quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione e degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali" (art. 23, d. lgs. cit., ora art. 95, settimo comma, d.p.r. cit.). Ne consegue che - intervenuta, dopo la pubblicazione della sentenza pronunciata nel corso del processo di cui era parte l'impresa mandataria capogruppo, la dichiarazione di fallimento di quest'ultima - è ammissibile l'impugnazione proposta in proprio dalle singole imprese mandanti, sempre che il ruolo di mandataria non sia stato assunto, nell'ambito del medesimo raggruppamento, da altra impresa (ai sensi degli art. 23 e 25 del d.lg. 406/1991, ora art. 93 e 94 del d.P.R. 554/ 1999). Cassazione civile, sez. I, 30 gennaio 2003, n. 1396

Appalti - (A.T.I) associazioni temporanee di imprese - fallimento dell'impresa mandataria - prosecuzione del rapporto di appalto con altra impresa - la rappresentanza spettante all'impresa mandataria - collaudo dei lavori - estinzione di ogni rapporto - mandato conferito alla capogruppo - irrevocabilità - disciplina generale del mandato - fallimento che colpisce l’impresa mandante - disciplina. La rappresentanza spettante all'impresa mandataria opera sia sul piano sostanziale che su quello processuale, ha carattere esclusivo e si estende a tutte le operazioni e a tutti gli atti "di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino alla estinzione di ogni rapporto": il che, peraltro, non esclude che il soggetto appaltante, nel cui esclusivo interesse tale potere viene conferito, possa far valere le responsabilità facenti capo alle (singole) imprese mandanti direttamente nei confronti delle medesime (art. 23, nono comma, ora art. 95, sesto comma). II mandato conferito alla capogruppo è, a sua volta, qualificato dalla norma appena ricordata come "irrevocabile" (art. 23, ottavo comma, art. 95, quinto comma, d.p.r. 554-99). E trattasi di una irrevocabilità che, sempre nell'interesse della amministrazione appaltante, e stata resa assai più rigida di quella prevista dalla disciplina generale del mandato (art. 1726 c.c.), stabilendo che l'eventuale revoca, anche se determinata da giusta causa, non ha effetto nei confronti della medesima (art. 23, ottavo comma, art. 95, quinto comma, d.p.r. 554-99). In caso di fallimento dell'impresa mandataria, l'amministrazione appaltante "ha facoltà di proseguire il rapporto di appalto con altra impresa che si sia costituita mandataria... e che sia di... [suo]... gradimento, ovvero di recedere dall'appalto" (art. 25, primo comma, ora art. 94, primo comma, d.p.r. 554-99). Se, invece, il fallimento colpisce un'impresa mandante, la mandataria "è tenuta all'esecuzione, direttamente o a mezzo delle altre imprese mandanti" della parte che era stata assegnata a detta impresa, a meno che "non indichi altra impresa subentrante, in possesso dei prescritti requisiti di idoneità" (art. 25, secondo comma, ora art. 94, secondo comma, d.p.r. 554-99, cit.). Da quanto si è detto, appare evidente che la presenza del mandato, se consente all'amministrazione appaltante di avere come interlocutore solo l'impresa "mandataria", non determina la creazione di un centro autonomo di imputazione giuridica nè comunque comporta runificazione dell'attività di esecuzione dell'appalto che, pertanto, non diventa "comune" alle imprese riunite, poiché ciascuna di esse, come si è posto in evidenza, conserva piena autonomia operativa nella realizzazione della parte di opera che le compete. Cassazione civile, sez. I, 30 gennaio 2003, n. 1396
 

Gara d’appalto - mancata indicazione sull’esterno delle buste del loro preciso contenuto - l’espressione “non si dà corso al plico” - esclusione dalla gara e l’offerta considerata come non presentata - la Commissione di gara - adempimenti preliminari all’esame delle offerte e dei documenti - mancato rispetto del termine di arrivo del plico. Va condivisa la tesi dell’Amministrazione secondo cui l’espressione “non si dà corso al plico”, quale effetto della mancata indicazione sull’esterno delle buste del loro preciso contenuto, secondo le prescrizioni dell’art. 27 del capitolato d’oneri, non poteva essere inteso se non nel senso che l’impresa interessata doveva essere esclusa dalla gara. La norma ha usato una locuzione che meglio si attaglia al momento in cui la Commissione abbia a rilevare determinate inosservanze attinenti tutte ad adempimenti preliminari all’esame delle offerte e dei documenti che le accompagnano. Ed infatti, secondo la norma, “non si dà corso al plico” nei casi: di mancato rispetto del termine di arrivo del plico; di invio del medesimo con mezzo diverso dal servizio postale: di mancanza delle indicazioni, che qui interessano, nonché in fine, di indirizzo inesatto. Se le parole hanno un senso, nelle ipotesi anzidette la Commissione era tenuta a non dare corso alla domanda ossia considerarla come non pervenuta. E’ stato ritenuto correttamente, quindi, che non potesse parlarsi di esclusione per una offerta che doveva considerarsi come non presentata. Alla mancata comminatoria della esclusione dunque non era da attribuire – come vorrebbe la parte resistente – l’effetto di obbligare l’Amministrazione ad aumentare l’offerta, salvo consentire poi all’impresa di sanare l’irregolarità. Si tratterebbe infatti di una interpretazione incompatibile con il significato comunemente accolto dalle espressioni usate. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 465

 

L’applicazione in sede nazionale della Direttiva CEE - Consiglio, 1993,93/37, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori - ribassi anomali parametrati - offerta palesemente incongrua - contraddittorio - documentati elementi di giustificazione - elevato livello tecnologico - aggiudicazione della gara - copertura contributiva ed assicurativa - costo orario del lavoro. L’appellante sostiene che l’eccezionale ribasso è giustificato dall’elevato livello tecnologico delle macchine utilizzate e dalla circostanza che viene utilizzato un solo operaio, oltre un componente della stessa famiglia del titolare della ditta. Ora a prescindere dalla plausibilità delle giustificazioni, resta il dato, non superabile, che a fronte di un ribasso così palesemente incongruo, l’Amministrazione doveva necessariamente procedere alla richiesta di analitiche e documentate giustificazioni. E’ noto infatti che in materia occorre tenere conto dei recenti orientamenti giurisprudenziali, formulati nella sede dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee, (sentenza della Sesta Sezione del 27 novembre 2001- 61999J0285), ai fini dell’applicazione in sede nazionale della Direttiva CEE - Consiglio, 1993,93/37, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, ed in particolare dell’art.30, n.4 di detta Direttiva. In particolare, la questione della conformità con la Direttiva si è posta con riferimento specifico alle norme nazionali che escludono qualsiasi giustificazione relativa a ribassi anomali parametrati su elementi i cui valori minimi sono stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative. Al riguardo è opportuno ricordare che , fermo restando che lo scopo della Direttiva è quello di aprire alla concorrenza il settore degli appalti pubblici, l’interpretazione della Corte di Giustizia europea, in un contesto argomentativi molto articolato e complesso, pone comunque in evidenza che la stazione appaltante anche a fronte di elementi palesemente incongrui rispetto a parametri “ formali ”, (è appunto il caso del costo del lavoro nel caso che ci occupa), deve in ogni caso consentire alla ditta in osservazione di poter far valere utilmente e in contraddittorio le sue ragioni su tutti gli elementi di cui si compone il costo: inclusi quelli determinati per legge, regolamento o atto amministrativo. Il richiamo, sia pure sommario, alle problematiche comunitarie, vuole sottolineare il carattere comunque anomalo del comportamento della stazione appaltante; infatti, quand’anche essa avesse ritenuto di disapplicare nel caso de quo la normativa italiana, adeguandosi ad una prassi interpretativa comunitaria, in ogni caso, a fronte di una offerta palesemente incongrua, avrebbe dovuto richiedere, in contraddittorio, precisi e documentati elementi di giustificazione, prima di procedere all’aggiudicazione della gara. Nulla di tutto questo risulta essere stato fatto. Ed anzi, le giustificazioni che l’appellante cerca di rendere in sede contenziosa, dimostrano quanto sarebbe stato invece necessario far emergere tutti i profili di palese incongruenza dell’offerta, prima della sua aggiudicazione. Da tali giustificazioni sembra emergere che uno degli addetti all’intervento, per essere un socio componente della famiglia, praticamente dovesse prestare la sua opera senza compenso e senza alcuna copertura contributiva ed assicurativa. Comunque, a prescindere da ogni approfondimento sul merito delle giustificazioni rese in questa sede, resta il fatto che la procedura adottata dalla stazione appaltante è illegittima sotto lo specifico profilo che risulta completamente omessa qualsiasi forma di analisi e di verifica, anche in contraddittorio con la ditta “Sorbo”, di una offerta chiaramente segnata da gravi elementi di anomalia, sotto tutti i profili che compongono il costo ed in particolare sotto quelle del costo orario del lavoro applicato. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 461

 

Interpretazione le clausole del bando di gara - esigenze di certezza connesse allo svolgimento di procedure di selezione - tutela dell’affidamento dei destinatari. Le preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento di procedure di selezione del tipo di quella in esame impongono, invero, di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara, di giudicare, quindi, preclusa qualsiasi esegesi delle stesse non giustificata da un’obiettiva incertezza del loro significato e di reputare, comunque, preferibili, a tutela dell’affidamento dei destinatari del regolamento, le espressioni letterali delle previsioni da chiarire, evitando che il procedimento ermeneutico conduca all’integrazione delle regole di gara palesando significati del bando non chiaramente desumibili dalla lettura della sua originaria formulazione (vedasi, in termini, Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 2001, n.5397). Se si ammettesse, infatti, un’attività interpretativa non giustificata dall’ambiguità od equivocità delle clausole e, per di più, in contrasto con il significato letterale delle espressioni contenute nel bando, si determinerebbe un’inaccettabile incertezza nell’applicazione del regolamento di gara, con significativo pregiudizio dell’affidamento dei concorrenti, ai quali non è richiesto di procedere alla preliminare esegesi di prescrizioni all’apparenza chiare ed univoche, e della serietà del procedimento concorsuale, che esige la puntuale osservanza delle regole stabilite in via preventiva e generale. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 457

 

La portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara - l’attuazione delle regole stabilite nel bando - margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento - l’esclusione obbligatoria - lex specialis - l’inosservanza delle prescrizioni - modalità di presentazione della busta. Secondo un consolidato ed univoco orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 1997, n.763), la portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara esige che alle stesse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura, senza che in capo all’organo amministrativo cui compete l’attuazione delle regole stabilite nel bando residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento (che non può, quindi, essere in alcun modo disattesa). Da tale principio discende che, qualora il bando commini espressamente l’esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la P.A. è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione (Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1999, n.228), senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale circa la rilevanza dell’inadempimento, l’incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza l’Amministrazione si è, invero, autovincolata al momento dell’adozione del bando. In coerenza con tali principi, deve, quindi, concludersi che, non solo l’esclusione dell’offerta del ricorrente è legittima, ma che la stessa era, ancor prima, doverosa, in quanto espressamente contemplata dal bando quale sanzione per l’inosservanza delle prescrizioni (nella specie, pacificamente non rispettate) relative alle modalità di presentazione della busta contenente il prezzo proposto per l’acquisito dell’immobile messo all’asta. Consiglio di Stato, Sezione V - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 357

Il potere generale dell’Amministrazione di invitare i privati alla regolarizzazione della documentazione prodotta - limiti - principio della par condicio - rimessione in termini - mezzo della sanatoria - integrità dell’offerta. Il potere generale dell’Amministrazione di invitare i privati alla regolarizzazione della documentazione prodotta appare qualificabile come potestà discrezionale, come, peraltro, si evince dal significativo utilizzo, nell’art.6 L. n.241/90, dell’espressione “…può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete…”, e non come obbligo (cfr. Cons. Stato, 2 luglio 2001, n.3595), di contro a quanto affermato dall’appellante, e che, quindi, l’omesso suo esercizio, non potendosi configurare quale violazione di una disposizione vincolante, non risulta idoneo ad inficiare la legittimità del procedimento, si osserva, comunque, che la disposizione invocata dal ricorrente postula, per la sua corretta applicazione nell’ipotesi di una procedura selettiva, la necessaria condizione dell’avvenuta presentazione di certificati, documenti o dichiarazioni il cui contenuto sia carente od equivoco e quella, connessa e conseguente, del rispetto del principio della par condicio (Cons. Stato, Sez. V, 2 marzo 1999, n.223). In presenza di una prescrizione chiara e della pacifica inosservanza di questa da parte di un concorrente, l’invito alla regolarizzazione costituirebbe, tuttavia, una palese violazione del principio della par condicio. Quest’ultimo verrebbe, infatti, certamente vulnerato dalla rimessione in termini, per mezzo della sanatoria (su iniziativa dell’Amministrazione) di documentazione carente o irregolare, di un concorrente che ha negligentemente omesso di presentare, nei termini o con le modalità prescritte dalla lex specialis, un’istanza conforme al regolamento di gara. Oltretutto, il legittimo esercizio del potere in questione postula che l’incompletezza da integrare o l’erroneità da rettificare siano riferibili al contenuto di dichiarazioni o di istanze (come si evince dall’esame del dato testuale della relativa disposizione), sicchè non paiono configurabili i presupposti applicativi dell’art.6 L. n.241/90 nel (diverso) caso, quale quello in esame, in cui risultino violate le stesse modalità formali di presentazione di una domanda. In quest’ultima ipotesi, infatti, non si tratta di integrare o completare dichiarazioni incomplete ma di assolvere un onere connesso alla corretta proposizione dell’istanza quando risultano ormai irrimediabilmente vulnerate le esigenze, garantite proprio dal rispetto di quegli adempimenti formali, di segretezza dell’offerta economica. Ne consegue che, nel caso di specie, l’auspicato invito alla regolarizzazione, lungi dal consentire l’acquisizione nel corso del procedimento di informazioni necessarie (ed originariamente mancanti), si risolverebbe nella successiva, e perciò inutile, apposizione sulla busta di firme e dati prescritti fin dalla sua presentazione, proprio a garanzia dell’integrità dell’offerta e della corretta partecipazione alla gara, e finirebbe, così, per vanificare i preminenti interessi pubblici sottesi alle previsioni disattese dall’offerente. Consiglio di Stato, Sezione V - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 357

 

Ricorso proposto contro l’atto di aggiudicazione di una gara d’appalto pubblico - la carenza di interesse circa la decisione del ricorso - annullamento parziale delle operazioni di gara e riammissione in gara delle imprese originariamente escluse - tutela della par condicio - l’esercizio del potere di discrezionalità tecnica. Trova spazio, dunque, il fermo orientamento secondo cui va dichiarata la carenza di interesse circa la decisione del ricorso proposto contro l’atto di aggiudicazione di una gara d’appalto pubblico quando il ricorrente non potrebbe comunque risultare aggiudicatario dell’appalto medesimo (Cons. Stato, IV, 11 dicembre 1998, n. 1629). Nulla hanno a che vedere, infine, con la fattispecie in esame i principi affermati in tema di annullamento parziale delle operazioni di gara e di riammissione in gara di imprese originariamente escluse, dove l’esigenza di tutela della par condicio (per il tramite della necessaria contestualità del giudizio comparativo tra le varie offerte) impone il rinnovamento dell’intero procedimento dopo che la commissione giudicatrice, nell’esercizio del potere di discrezionalità tecnica, abbia già visionato e valutato altre offerte (cfr. Cons. Stato, V, 21 gennaio 2002, n. 340). Nel caso de quo si discetta, infatti, non di riammissione alla gara delle imprese originariamente escluse, bensì di imprese definitivamente (e legittimamente) emarginate in esito alla prima fase della procedura di gara, le quali, ciò nonostante, hanno contestato in prime cure anche lo svolgimento e la conclusione della seconda fase procedurale, relativamente alla quale sono ormai del tutto pretermesse, senza alcuna chance di riammissione. Consiglio di Stato, Sezione V - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 355

Natura e disciplina dell’istituto del “patteggiamento” - revoca dell’aggiudicazione della gara - normativa speciale di gara - i principi di correttezza, trasparenza e par condicio - requisiti - certificazione - auto-dichiarazione veritiera - violazione delle normativa antinfortunistica - reato di turbativa d’asta. Non giova all’appellante, ed in questo può concordarsi in pieno con le argomentazioni dei primi giudici, concentrare non lievi sforzi nel delineare le peculiarità della natura e della disciplina dell’istituto del “patteggiamento”, che non avrebbe secondo i più autorevoli dicta giurisprudenziali le caratteristiche proprie di una sentenza di condanna, stante il profilo negoziale che lo caratterizza e la conseguente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che costituisce, nel giudizio ordinario, la premessa necessaria per l’applicazione della pena. Di fronte, infatti, ad una previsione così chiara e stringente della normativa speciale di gara, non impugnata, non disapplicabile ed in linea peraltro con la disciplina generale regolamentare di riferimento, da cui emergeva la rilevanza di giudicati di condanna di qualsiasi genere, anche in base a patteggiamento, in caso di reati che incidessero sulla moralità professionale, residuano unicamente due elementi, entrambi decisivi nel condurre il Collegio a formulare un responso di rigetto: a) la circostanza incontestabile che la ditta concorrente non ha reso, violando i principi di correttezza, trasparenza e par condicio, una auto-dichiarazione veritiera, come accertato in base alla certificazione acquisita dalla stazione appaltante, circa il possesso dei requisiti di cui all’art. 17, comma 1, lettere c) e l) (anche se nel secondo caso si potrebbe discutere in merito alla gravità della violazione delle normativa antinfortunistica), senza che si possa dare rilievo, alla stregua anche delle secche prescrizioni del bando, all’avvenuta estinzione del reato di cui alla pena patteggiata per decorso del termine quinquennale ex art. 445, comma 2, c.p.p. (lo stesso appellante riporta, peraltro, un recente pronunciamento della Suprema Corte in sede penale secondo il quale l’estinzione di ogni effetto penale non trova applicazione in relazione all’eliminazione dell’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale, dal momento che l’iscrizione nel casellario giudiziale non rientra tra gli effetti penali della condanna). Come di recente ha avvertito la Sezione, in sede di procedura di gara d’appalto di opere pubbliche costituisce dichiarazione non veritiera, e quindi legittima causa di esclusione dalla gara e non aggiudicazione dell’appalto, quella nella quale l’impresa concorrente omette di indicare, in sede di dichiarazione concernente le eventuali sentenze penali riportate, una sentenza patteggiata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (Cons. Stato, V, 6 giugno 2002, n. 3183); b) l’indiscutibile, specifica, oggettiva ed assorbente attinenza del reato di turbativa d’asta alla moralità professionale, seppur da valutarsi con riferimento concreto alla procedura di gara in questione. Pertanto, risultano legittimi gli atti relativi alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria. Consiglio di Stato, Sezione V - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 352

 

Impugnazione del bando di gara - requisiti soggettivi di partecipazione - composizione e funzionamento del seggio di gara - la formulazione dell´offerta economica - la valutazione dell´anomalia - oneri formali di partecipazione. L´onere di immediata impugnazione del bando di gara è, normalmente, riferito alle clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione, anche se non può essere escluso in altri limitati casi (ad esempio, quando gli oneri imposti all´interessato ai fini della partecipazione risultino manifestatamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale). Pertanto, è generalmente escluso l´onere di immediata impugnazione nei seguenti casi: a) clausole riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara; b) clausole che condizionano anche indirettamente, la formulazione dell´offerta economica (tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell´anomalia); c) clausole che definiscono gli oneri formali di partecipazione. Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 23 gennaio 2003, n. 1 (vedi: sentenza per esteso)

L´esecuzione (integrale o parziale) dell´appalto - l´interesse a ricorrere in capo al partecipante non aggiudicatario - la persistenza di un interesse morale - pregiudizio patito per effetto dell´illegittimità. L´esecuzione (integrale o parziale) dell´appalto oggetto di una gara non determina il venir meno dell´interesse a ricorrere in capo al partecipante non aggiudicatario, e ciò non solo per la persistenza di un interesse morale, ma anche in relazione ad un eventuale giudizio risarcitorio volto a ristorare il ricorrente dal pregiudizio patito per effetto dell´illegittimità. Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 23 gennaio 2003, n. 1 (vedi: sentenza per esteso)

Bando di gara - la sanzione dell’esclusione - per l’omessa produzione dei documenti richiesti - il divieto di esclusione per “attestazione incompleta”. Passando, in fase rescissoria, all’esame dell’appello, si rileva che a norma del bando della gara di cui si tratta la sanzione dell’esclusione, applicata dall’Amministrazione all’originaria ricorrente, è comminata per l’omessa produzione, unitamente all’offerta, del certificato della cancelleria del Tribunale o della Camera di Commercio relativo all’assenza di procedure concorsuali a carico del concorrente. Nessuna sanzione è, invece, prevista per l’ipotesi, occorsa nel caso di specie, in cui il certificato contenga un’attestazione incompleta, in quanto non perfettamente corrispondente, nel suo contenuto, a quella richiesta dal bando. Deve convenirsi, allora, con il giudice di primo grado, secondo il quale ben avrebbe potuto l’Amministrazione chiedere all’impresa interessata di completare la documentazione presentata o di fornire i necessari chiarimenti a riprova del reale possesso del requisito prescritto, senza che l’esercizio di tale facoltà, rispondente all’interesse pubblico alla più ampia partecipazione di concorrenti possibile, costituisse violazione della regola di gara e della parità di condizioni tra i partecipanti (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 maggio 2001 n. 2781). Consiglio di Stato, Sezione V del 22 gennaio 2003, n. 253

 

Le associazioni temporanee di imprese cd. verticali - nozione. Le associazioni temporanee di imprese cd. verticali sono raggruppamenti di imprese per l’esecuzione di opere che richiedono l’apporto di distinte specializzazioni. Consiglio di Stato, Sezione V del 22 gennaio 2003, n. 252

 

Gara aggiudicazione provvisoria - approvazione degli atti di gara - condizioni di incertezza sulla individuazione dell’affidatario e sulla stessa possibilità di eseguire i lavori - Albo dei Costruttori - la documentazione di capacità economica e finanziaria per partecipare alla gara - poteri correttivi del responsabile del procedimento - sistema di affidamento dei lavori pubblici. Come già affermato nella sentenza n. 698/3062, non superano, ad avviso del Collegio, le considerazioni che seguono: a) l’art. 6 del DPCM n. 55 del 1991 prevede che le imprese documentino la iscrizione all’Albo dei Costruttori con una disposizione che deroga alla disciplina vigente in generale sull’obbligo delle Amministrazioni di avvalersi delle notizie e dati in possesso di altre Amministrazioni. Perdono così vigore le censure di violazione degli art. 18 della legge n. 241/1990 e del D.P.R. n. 403/1998. In base alla disposizione richiamata è poi consentito all’Ente appaltante anche richiedere il possesso dei requisiti soggettivi in un momento precedente quello dell’aggiudicazione e, quindi con la lettera di invito. Questa facoltà consente economie di attività nella gara, perché esclude i non idonei dalla fase di confronto concorrenziale, non si pone in contrasto con l’obbligo di dichiarare determinate condizioni o circostanze di fatto previsto in sede di prequalificazione, posto che quest’ultimo integra un’adempimento preliminare che ha la sola funzione di consentire l’accesso alla gara senza pregiudicare gli accertamenti che seguiranno nel corso della procedura concorsuale. Nel caso di specie questo aspetto è stato accentuato dal tenore della dichiarazione resa in sede di prequalificazione nella quale non si dichiarava il possesso di certi requisiti, ma soltanto la possibilità di certificarli in corso di gara. Di contenuto del tutto diverso è invece la dichiarazione, richiesta nell’invito, da rendere ai sensi dell’art. 2 della legge n. 15/1968 con il valore di dichiarazione sostitutiva della documentazione da presentare. Resta da aggiungere solo che il potere di chiedere agli offerenti la prova del possesso dei loro requisiti al momento dell’offerta è oggi confermato dall’art. 10, comma 1- quater, della legge n. 109/1994 che, con il limite del dieci per cento degli offerenti, obbliga gli Enti appaltanti a richiedere la documentazione di capacità economica e finanziaria per partecipare alla gara. Non persuade poi, per tutte le considerazioni sin qui esposte, il tentativo di parte appellante di scindere, ai fini della facoltà di esclusione, la documentazione relativa alla capacità tecnica-che non potrebbe non essere richiesta ai partecipanti perché nella loro disponibilità esclusiva-, dalla produzione delle certificazioni richieste che dovrebbe essere richiesta alle Amministrazioni che detengono i documenti; b) il richiamo all’art. 11 del D.P.R. n. 403/1998 che obbliga le stazioni appellanti a verificare il contenuto delle autodichiarazioni dei soggetti privati non può estendersi alla verifica di dichiarazioni veritiere (la Società attuale appellante è iscritta all’Albo dei Costruttori anche per la classifica dichiarata fino a L. 1,5 miliardi) ma rese per errore, non può, quindi essere utilizzato per correggere errori di dichiarazione che ne muterebbero il contenuto; c) il potere del responsabile del procedimento di cui all’art. 6, primo comma lett. b), della legge n. 241/1990 di chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee – su cui insiste particolarmente parte appellante per sostenere le proprie tesi difensive – non può essere applicato in un procedimento formale e concorsuale nel cui ambito vi siano stati errori o omissioni significativi perché comporterebbe la alterazione del principio di parità delle condizioni fra i partecipanti alla gara. Inoltre, se ammesso, dovrebbe estendersi a tutti gli errori o omissioni di tutti i partecipanti ai quali dovrebbe essere data comunicazione dell’errore e consentita la facoltà di correzione con un aggravamento non consentito del procedimento (si pensi ai certificati di regolare esecuzione dei lavori, alle referenze, alla documentazione personale dei legali rappresentati etc). Ciò comporterebbe una dilatazione eccessiva dei tempi di svolgimento della gara. Inoltre, una volta ammessa tale facoltà, la stessa dovrebbe essere riconosciuta in qualunque fase del procedimento anche in sede di aggiudicazione provvisoria o di approvazione degli atti di gara determinando condizioni di incertezza sulla individuazione dell’affidatario e sulla stessa possibilità di eseguire i lavori. Non essendo, poi, codificati gli errori, le imperfezioni e le integrazioni documentali consentiti, vi sarebbe l’attribuzione di un potere discrezionale al responsabile del procedimento nel rilevarli caso per caso, potere oggettivamente incompatibile con la necessità di assicurare la parità di condizioni dei concorrenti. Il contenzioso altresì sarebbe enormemente aggravato da tali scelte e la stessa tempestiva esecuzione dei lavori potrebbe essere pregiudicata. Il rigore formale proprio delle procedure concorsuali in esame che esclude tali poteri correttivi del responsabile del procedimento, è garanzia di parità di condizioni e di efficienza del sistema di affidamento dei lavori pubblici. La stessa giurisprudenza della Sezione richiamata da parte appellante, e condivisa dal Collegio, pone chiaramente il limite della modifica del contenuto delle dichiarazioni da integrare o rettificare ai poteri del responsabile del procedimento qui richiamati (cfr. n. 233 del 2/3/1999). In definitiva, nel caso di specie, vi è stato un errore imputabile alla parte oggi appellante e non appare possibile configurare uno strumento che consenta di riparare allo stesso senza alterare in modo non consentito la parità di condizioni dei partecipanti alla procedura di gara di cui trattasi. Né può configurarsi un obbligo delle Amministrazioni di soccorrere con proprie attività istruttorie i concorrenti non sufficientemente diligenti nel rendere le dichiarazioni richieste per partecipare alle gare pubbliche. Consiglio di Stato, Sezione V del 22 gennaio 2003, n. 246

Gara d’appalto - interesse all’impugnazione - il difetto di interesse. Per orientamento da tempo consolidato, il soggetto che non ha presentato domanda di partecipazione alla gara d’appalto non ha interesse all’impugnazione nemmeno delle clausole del relativo bando di gara, oltre che delle modalità di svolgimento della procedura (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, IV, 17 gennaio 2002, n. 253; VI 22 aprile 2002, n. 2173; V, 3 gennaio 2002, n. 6; 27 giugno 2001, n. 3507 e 7 ottobre 1998, n. 1418), giacché solo la richiesta di partecipazione pone l’impresa richiedente in una situazione giuridica differenziata rispetto a quella delle altre ditte presenti sul mercato, ergendosi solo in tal caso essa a titolare di un interesse legittimo giudizialmente tutelato, che la abilita a sindacare la legittimità della statuizione del bando della gara alla quale ha dimostrato in concreto di voler prendere parte (Cons. Stato, V, 11 maggio 1998, n. 549). Quanto detto non può non valere anche in casi come quello che ci occupa, dove al momento dell’impugnativa la ditta era ancora nei termini per chiedere di partecipare alla gara, e quindi tuttalpiù il difetto di interesse, se non originario, risulterebbe comunque essere sopravvenuto alla luce della definitiva mancata presentazione della domanda di partecipazione al pubblico incanto con la relativa offerta. Consiglio di Stato, Sezione V del 22 gennaio 2003, n. 242

Condizioni di gara - i requisiti minimi che i concorrenti devono possedere - valutazione - par condicio. Va in linea generale anche considerato che, proprio perché le norme in materia di appalti si preoccupano di assicurare i requisiti minimi che i concorrenti devono possedere, non è precluso alle amministrazioni di valutare, caso per caso, se ricorra l’esigenza di chiedere requisiti tecnici o economici superiori a quelli previsti dalla legge, senza che, peraltro, occorra una specifica indicazione delle ragioni dell’aggravamento delle condizioni di gara, qualora esso venga mantenuto nei limiti della ragionevolezza e sia comunque assicurata la par condicio. Consiglio di Stato, Sezione V del 22 gennaio 2003, n. 241

 

Obbligo dei controlli dell’Amministrazione appaltante - rispondenza alle norme e ai criteri tecnici - intervento nel corso dei lavori - verifica in corso d’opera - collaudo - la responsabilità dell’appaltatore - conformità dell’opera ai patti contrattuali e alle regole dell’arte. L’Amministrazione appaltante non si limita ad intervenire alla fine dei lavori per collaudarli e constatarne a posteriori la rispondenza alle norme e ai criteri tecnici che devono presiedere alla loro esecuzione, ma interviene nel corso dei lavori, spettando a funzionari tecnici dell’amministrazione la vigilanza sui lavori e sull’appaltatore (cfr. poteri dell’ingegnere capo o dal direttore dei lavori previsti dal r.d. 25 maggio 1895, n. 350). Anche l’attività tecnica può, pertanto, essere assoggettata a verifica non solo al momento del collaudo, ma anche in corso d’opera, salva in ogni caso la responsabilità dell’appaltatore di eseguire l’opera in conformità ai patti contrattuali e alle regole dell’arte. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)

L’obbligazione fondamentale dell’amministrazione appaltante - pagamento del corrispettivo - configurazione del danno antigiuridico. Per quanto riguarda obblighi e diritti che scaturiscono dal contratto di appalto per le parti contraenti, l’obbligazione fondamentale dell’amministrazione appaltante è quella di pagare il corrispettivo a determinate scadenze ed anche mediante anticipazioni, talune delle quali legate a verifiche tecniche dei lavori eseguiti. Il pagamento del corrispettivo nei tempi e nei modi previsti dal contratto e dalle norme sui lavori pubblici è per l’Amministrazione adempimento di una obbligazione e quindi comportamento non solo lecito ma dovuto (debito dell’Amministrazione). Di conseguenza perché il pagamento del corrispettivo costituisca danno antigiuridico è necessario che il pagamento stesso sia avvenuto in forza di un fatto giuridico illecito, che può essere costituito sia da un comportamento dell’appaltatore sia dal comportamento di un soggetto legato da rapporti di servizio con l’Amministrazione (ovvero dal concorso di comportamenti di ambedue i soggetti). L’antigiuridicità del fatto causativo è essenziale ai fini della qualificazione della illeicità del danno in quanto conseguenza di un atto lesivo dell’altrui interesse. Pertanto diversi debbono essere rispettivamente il soggetto autore ed il soggetto passivo del danno, con la conseguenza che rispetto all’azione di responsabilità amministrativo-contabile il pagamento di una somma nell’ambito del contratto di appalto può costituire danno solo se e in quanto il comportamento asseritamene illecito non venga più imputato all’Amministrazione ma venga dialetticamente valutato nella differenziazione tra i due soggetti. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)

Appalto di opere pubbliche - il pagamento di somme all’appaltatore nel corso della costruzione di un’opera pubblica - anticipazione del corrispettivo recuperabile in sede di collaudo - il collaudo di opere pubbliche è un procedimento amministrativo strumentale - l’emissione del c.d. certificato di collaudo - l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione - l’accettazione dell’opera da parte del committente - la liquidazione finale del corrispettivo - comportamenti illeciti del pubblico dipendente ed il danno da questi causato - termine iniziale della prescrizione. Il pagamento di somme all’appaltatore nel corso della costruzione di un’opera pubblica costituisce in una pluralità di evenienze anticipazione del corrispettivo recuperabile in sede di collaudo e di definizione dell’assetto di interessi tra amministrazione appaltante ed appaltatore. In tali casi al pagamento non consegue una diminuzione patrimoniale definitiva dell’ente pubblico qualificabile come danno certo ed attuale. Invero nell’appalto di opere pubbliche il collaudo non persegue soltanto il fine di controllare l’esecuzione dell’opera e la sua corrispondenza con il progetto e con il contratto, ma investe anche la liquidazione finale del corrispettivo dovuto all’appaltatore e la risoluzione dei quesiti, delle domande e delle riserve proposte dall’appaltatore. Il collaudo di opere pubbliche è in sostanza un procedimento amministrativo strumentale (costitutivo di certezze nel senso che le parti sono per l’avvenire tenute alle risultanze dell’accertamento della conformità dell’opera) che richiede sia l’emissione del c.d. certificato di collaudo, nel quale viene espresso il giudizio finale del collaudatore intorno all’opera e viene liquidato il corrispettivo spettante all’appaltatore, sia l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione, che esprime sostanzialmente l’accettazione dell’opera da parte del committente e rende definitiva la liquidazione del credito dell’appaltatore. È evidente allora che in sede di collaudo sono comunque conoscibili da parte dell’ente pubblico gli eventuali comportamenti illeciti del proprio dipendente ed il danno da questi causato è certo ed attuale. Ciò non significa che anteriormente al collaudo, ed in relazione alla domanda che viene introdotta in giudizio, non possa essersi verificato un danno certo ed attuale ascrivibile ad un comportamento illecito del pubblico dipendente conoscibile o conosciuto dall’amministrazione. In questo caso il termine iniziale della prescrizione va fissato nel momento in cui vengono ad esistenza e concorrono ambedue gli elementi indicati. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)

Appalto di opere pubbliche - il comportamento illecito del soggetto legato da rapporti di servizio ed il danno antigiuridico - giudizio di responsabilità amministrativo - prescrizione. Che l’ente pubblico appaltatore di opere pubbliche può far valere il proprio diritto nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile quando abbia la possibilità di conoscere nel procedimento tipico relativo alle opere pubbliche ovvero abbia di fatto conosciuto il comportamento illecito del soggetto legato da rapporti di servizio ed il danno antigiuridico da questi causato sia certo ed attuale. A tale momento va fissato l’esordio della prescrizione. In ogni caso il termine ultimo di esordio della prescrizione va fissato al momento del collaudo che rende definitivi i rapporti giuridici derivanti dal contratto di appalto, e quindi certo ed attuale il danno, e nel quale sono sottoposti a verifica le attività espletate anche dai pubblici dipendenti nel corso dell’opera. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)
 

Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni:

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