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Giurisprudenza
Pubblica Amministrazione Diritto amministrativo
2003
(Vedi anche le voci: Lavoro - appalti - sicurezza - juris) Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni 2011 - 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 - 2000-97
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Pubblica amministrazione - Retribuzione - Promozione “ora per allora” - Sede di rinnovazione - Scrutinio per merito comparativo. In caso di promozione “ora per allora”, in sede di rinnovazione (per effetto di annullamento giurisdizionale) di uno scrutinio per merito comparativo, all’impiegato spetta la promozione con la stessa decorrenza economica riconosciuta agli altri candidati, ossia quella che gli sarebbe stata riconosciuta se l’Amministrazione avesse correttamente operato, oltre alle differenze retributive e agli interessi e rivalutazione, atteso che l’opposto principio della corrispettività, per cui il trattamento economico è correlato alla funzione svolta, vale solo per la diversa ipotesi delle nomine in servizio disposte dopo illegittimi dinieghi, ma non anche per i casi di annullamento dell’atto amministrativo che fa cessare illegittimamente un rapporto d’impiego o che ne ritarda illegittimamente la progressione, con connessa reviviscenza o progressione del rapporto nella sua pienezza, con ogni conseguenza di anzianità, di carriera e di retribuzione (confr. VI Sez. 27 settembre 2002, n. 4955, 30 agosto 2002, n. 4375). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9321
Pubblica amministrazione - Giunta comunale e provinciale - Costituzione con quattro assessori - L. n. 142/1990 - Art. 47 D.lgs n. 267/2000. Riformando la pronuncia del Tar Abruzzo, il Consiglio di Stato respinge il ricorso proposto da un consigliere di minoranza avverso gli atti con i quali il sindaco ha costituito la giunta comunale con quattro assessori, anziché con due assessori, come previsto dallo statuto comunale, che risaliva però alla legge 142 del 1990 e non teneva conto delle innovazioni normative succedutesi nel tempo e rifluite nell’attuale testo dell’articolo art. 47 del d.lgs 18 agosto 2000, n. 267. Mentre il giudice di primo grado aveva ritenuto che la più recente normativa non è incompatibile con il vecchio statuto comunale (che non sarebbe stato, perciò, abrogato), poiché essa si limita a stabilire un numero “massimo” di assessori maggiore a due (per i comuni con meno di diecimila abitanti, quale quello in esame), ma non impedisce che gli statuti stabiliscano un numero inferiore a quello massimo, ad avviso del Consiglio di Stato invece la nuova normativa non si è limitata a fissare un tetto massimo inderogabile, ma, avendo rideterminato il numero complessivo possibile di componenti della giunta, avrebbe autorizzato gli amministratori locali a compiere ex novo una scelta, entro il limite massimo, anche al di là delle previsioni degli statuti previgenti, e ciò perché la ratio finalistica della nuova normativa impone una verifica in sede locale dell’individuazione del numero ottimale dei componenti della giunta con la conseguenza che certamente non può ritenersi vigente la disposizione statutaria prevista precedentemente e che, in attesa di una nuova valida disposizione statutaria l’organo deputato (il Sindaco, sia pure in veste del tutto transitoria e suppletiva) può legittimamente (seppur provvisoriamente) procedere ad un’autonoma opzione nel rispetto dei soli limiti previsti dalla legge nazionale. CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9315
Pubblica amministrazione - Competenza in
materia di appalti - Affidamento di servizi pubblici - Consiglio comunale e
provinciale - Competenza - Giunta comunale - Incompetenza - Affidamento
dell’appalto - Attività meramente esecutiva o di ordinaria amministrazione.
E’ incompetente, ex art. 42, secondo comma, del d.lvo 18.8.2000 n. 267, la
giunta comunale ad adottare provvedimenti in materia di affidamento di servizi
pubblici, per essere competente il consiglio comunale (nella specie si trattava
di delibere di giunta con le quali era stata implicitamente negata la richiesta
rinnovazione del contratto, avente ad oggetto l’affidamento del servizio di
refezione scolastica, ed era stata indetta una licitazione privata per
l’affidamento del servizio suddetto). La norma attribuisce espressamente al
consiglio comunale la competenza in materia di appalti - a meno che gli stessi
non siano già previsti in atti fondamentali del Consiglio (ipotesi non
ricorrente nella presente fattispecie) - mentre solo il concreto affidamento
dell’appalto rientrerebbe nella competenza della Giunta, in quanto attività
meramente esecutiva o di ordinaria amministrazione. (Annulla T.A.R. Puglia-Lecce,
Sezione seconda, n. 213 del 20.1.2003) CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre
2003, sentenza n. 9301
Pubblica amministrazione - Strutture sanitarie pubbliche - Cd. “mobilità
sanitaria” - Regolamento economico tra Aziende sanitarie locali - Criteri e
modalità. E’ improponibile un’azione diretta tra Aziende Sanitarie ubicate
in Regioni diverse dovendo, una controversia del tipo di quella in esame,
trovare la sua soluzione nella sede fisiologica della compensazione delle
risorse del fondo sanitario nazionale assegnate a ciascuna Regione per mezzo
dell’attivazione del peculiare procedimento previsto dall’art. 12, comma 3,
lett. b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 proprio per la
fattispecie, qui controversa, della c.d. mobilità sanitaria, e cioè del caso
dell’erogazione della prestazione da parte di un’Azienda Sanitaria situata in
una Regione diversa da quella tenuta all’espletamento del servizio di assistenza
(come da circolari del Ministero della Sanità n. 100/SCPS/4.4583 del 23.3.1994 e
n. 100/SCPS/4.6593 del 9.5.1996). In base a siffatta regolamentazione, normativa
ed amministrativa, del riparto compensativo del fondo sanitario nazionale in
caso di mobilità sanitaria, compete alle Regioni, quali unici enti
sostanzialmente titolari delle posizioni di debito e di credito nei confronti
del Ministero, trasmettere all’amministrazione sanitaria centrale le note
analitiche di contabilità fornite dalle a.s.l. che hanno erogato il servizio in
favore di soggetti assistiti da un’altra Regione al fine di conseguire, quindi,
in esito a tale apposita procedura di compensazione, l’assegnazione di una quota
di risorse corrispondente a quella impiegata per l’espletamento del servizio che
non le spettava erogare. Riforma Tar Toscana sez. II, n. 1332/01 in data
23.8.2001 e n. 1588/02 in data 22 luglio 2002. CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31
dicembre 2003, sentenza n. 9294
Pubblica amministrazione - Dipendenti del servizio sanitario nazionale - Procedimento disciplinare - Obblighi di fedeltà e di segreto d’ufficio - Accesso agli atti dell’ufficio per difesa in giudizio - Rapporti. Il Consiglio di Stato accoglie l’appello proposto da una dipendente di un’Azienda Usl avverso la sentenza del T.A.R. dell’Emilia Romagna che aveva respinto i suoi ricorsi contro provvedimenti disciplinari adottati nei suoi confronti - a quel che emerge dalla sentenza - per violazione del segreto d’ufficio per aver fatto uso di documenti amministrativi riservati dell’Azienda per difendersi in un giudizio penale nel quale era stata implicata. Il Consiglio di Stato perviene alla decisione sulla base di un’articolata motivazione nella quale affronta la delicata questione del rapporto fra i diritti discendenti dalle previsioni costituzionali ex artt. 24 e 32, rispettivamente diritto alla difesa e alla salute, e gli obblighi di fedeltà e di riservatezza gravanti sul pubblico dipendente. Il giudice d’appello accorda prevalenza al primo diritto, anche in considerazione del carattere di norma elastica, integrante una clausola generale, proprio dell’articolo 2105 c.c., sull’obbligo di fedeltà del lavoratore (Corte di cassazione 16 Maggio 1998, n. 4952), donde la necessità che l’interprete ricerchi punti di mediazione e di equilibrio applicativo di tale precetto nei singoli casi esaminati. Viene inoltre in considerazione la giurisprudenza del Consiglio di Stato che afferma la prevalenza del diritto di accesso, ancorché nella forma meno incisiva della sola visione, senza estrazione di copia, rispetto a quello sulla riservatezza, anche intesa nel suo nucleo più intimo costituito dai dati sensibili: ovviamente a condizione che la conoscenza degli stessi sia necessaria per provvedere alla cura o difesa di interessi giuridici (Cons. Stato, Sez. VI, 30/03/2001, n. 1882). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9276
Pubblica Amministrazione - Autotutela - Avvio del procedimento - Quando
occorre - Atto di ritiro. In primo grado il TAR della Liguria, sezione
seconda, con sentenza n. 208 adottata in data 23 maggio 1994, ha respinto il
ricorso avverso il provvedimento con il quale l’Ispettorato compartimentale dei
Monopoli aveva dichiarato la decadenza del ricorrente dall’assegnazione della
rivendita di generi di monopolio. Il Consiglio di Stato conferma la decisione
del giudice di primo grado, qualificando l’atto impugnato come atto di ritiro
dell’assegnazione e precisando che nessuna aspettativa legittimamente
qualificata, né nessun legittimo affidamento poteva sussistere in capo al
privato (che, sapeva o doveva sapere che il suo esercizio era collocato fuori
zona). Il Consiglio di Stato precisa, altresì, che non sussiste alcun obbligo di
dare comunicazione dell'avvio del procedimento, in quanto, come già rilevato in
primo grado, il provvedimento impugnato è stato l'atto conclusivo del
procedimento di controllo, fase necessaria del procedimento principale.
CONSIGLIO DI STATO sez. IV, 30 dicembre 2003, sentenza n. 9164
Pubblica amministrazione - Inquadramento
funzionale. In primo grado il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio,
Roma, Sez. I, con sentenza n. 487/1998, ha accolto il ricorso limitatamente alla
rivendicazione del livello funzionale richiesto dalla ricorrente. Il Consiglio
di Stato conferma la decisione di primo grado motivando la sentenza in base al
presupposto che l’interessata - che prestava inizialmente servizio presso la
disciolta Azienda di Stato per i servizi telefonici quale usciere addetto ai
servizi di anticamera e portineria (II livello) - ha documentalmente provato di
continuare a svolgere servizi di anticamera anche presso gli uffici
dell’Avvocatura dello Stato (con la III qualifica funzionale). La Sezione,
inoltre, chiarisce che: a)l’art. 5, del d.m. 7 agosto 1993, impone alle
Amministrazioni di destinazione inquadramenti secondo le categorie o qualifiche
del proprio ordinamento, b)il d.m. 13 febbraio 1995 postula una corrispondenza
tra i livelli di appartenenza presso l’Azienda di Stato per i servizi telefonici
e l’Avvocatura dello Stato che, tuttavia, è sussistente solo astrattamente.
CONSIGLIO DI STATO sez. IV, 30 dicembre 2003, sentenza n. 9162
Pubblica amministrazione - Pubblico impiego - Amministrazione civile
dell’Interno - Personale della carriera prefettizia - Indennità di posizione.
Il Consiglio di Stato riforma la decisione di primo grado, che ha riconosciuto
la corresponsione di somme per indennità di posizione a funzionari della
carriera prefettizia. La Sezione afferma che: a)il d.lgs. n. 139/2000 (attuativo
della legge deleg n. 266/1999) ha delineato un assetto ordinamentale
completamente nuovo quanto al personale appartenente alla carriera prefettizia;
b)la fondamentale funzione ispettiva risulta assegnata ai prefetti, che potranno
avvalersi della collaborazione di un certo numero di vice prefetti con funzioni
ispettive, svolte comunque sempre sotto la diretta responsabilità dei prefetti;
c)stante la ineludibile distinzione tra i prefetti ispettori generali di
amministrazione ed i vice prefetti ispettori generali, questi ultimi non hanno
titolo a vedersi riconoscere l’indennità di posizione nella misura prevista per
i primi. CONSIGLIO DI STATO sez. IV, 30 dicembre 2003, sentenza n. 9160
Pubblica amministrazione - Pubblico impiego - Vizio di ultrapetizione -
Corrispondenza tra chiesto e pronunciato - Inquadramento - Artt. 85 e 86 L. r.
n. 18/1974 - Art. 3 c. 3, L. r. n. 16/1984. Il Consiglio di Stato riforma la
sentenza di primo grado in quanto nel ricorso non risulta sollevata la censura
accolta e sussiste, quindi, vizio di ultrapetizione. La Sezione precisa che non
può giovare il mero richiamo alla violazione della l.r. n. 16 del 1984
(contenuto nella rubrica dell’unico complesso motivo di primo grado) giacchè
oltre a non essere menzionato neppure l’articolo ed il comma in questione, nel
corpo dell’esposizione successiva, non viene fatto alcun riferimento al
principio di diritto utilizzato dal primo giudice per accogliere la domanda di
annullamento. La Sezione ribadisce,infine, che il personale proveniente dalle
amministrazioni provinciali, comandato presso la Regione Puglia ed inquadrato
nei ruoli regionali (ai sensi degli artt. 85 e 86 l.r. n. 18 del 1974) non può
fruire del beneficio di carriera previsto dall’art. 3, comma 3, l. r. n. 16 del
1984, consistente nella rettificazione del proprio inquadramento per l’esercizio
di fatto di mansioni superiori riconosciute retroattivamente dall’ente locale
cui in origine apparteneva. CONSIGLIO DI STATO sez. IV, 30 dicembre 2003,
sentenza n. 9156
Pubblica amministrazione - Personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie - Indennità - Art. 168 L. n. 312/1980 - Art. 2 c. 1, L. n. 221/1988. La questione riguarda il riconoscimento del diritto alla corresponsione dell’indennità di cui all’art. 168 della legge 11 luglio 1980, n. 312 maggiorata di interessi legali e rivalutazione. In primo grado, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna ha respinto la pretesa avanzata dall’originaria ricorrente dichiarandola in parte infondata in diritto ed in parte prescritta. La Sezione conferma la decisione di primo grado in base anche alla considerazione che il disposto di cui all’art. 2, comma 1, della L. 22 giugno 1988, n. 221, testualmente prevede che, a decorrere dal 1°giugno 1988, sia attribuito al personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, un nuovo beneficio in sostituzione del compenso di cui all’art. 168 della L. n. 312 dell’11 luglio 1980, che viene dichiarato espressamente assorbito. La Sezione afferma, altresì, che: a)la ricognizione di debito ha natura di negozio unilaterale ricettizio, sicchè il suo effetto si verifica solo se la stessa sia indirizzata alla persona del creditore; b)la decisione dell’Amministrazione di “estendere il giudicato” ad altri soggetti in posizione identica non costituisce atto di riconoscimento di debito nel senso dell’art. 2944 cod.civ. per l’effetto interruttivo ivi previsto (cfr. V° Sez. n. 243 del 31 marzo 1994). CONSIGLIO DI STATO sez. IV, 30 dicembre 2003, sentenza n. 9144
Pubblica amministrazione - Dipendenti di enti pubblici - Trattamento di fine rapporto. Dopo un primo risalente orientamento del Consiglio che aveva riconosciuto la computabilità, nel trattamento di previdenza e quiescenza, dell’indennità di toga nei confronti dei dipendente del ruolo legale dell’INAIL, sulla base della natura retributiva derivante dai caratteri della fissità e della continuità dell’emolumento (VI Sez., n. 614 del 2 ottobre 1991), si è consolidato un orientamento di segno opposto (cfr., ex plurimis, VI Sez., 7 ottobre 1997, n. 1448, e, da ultimo, 8 maggio 2002, n. 2463; 1 ottobre 2002 n. 5094; 4 aprile 2003, n. 1759). Detto indirizzo fa perno sulla considerazione alla stregua della quale, indipendentemente dalla circostanza che un dato emolumento abbia i caratteri della fissità e della continuità, ai fini della sua computabilità nella base di calcolo del trattamento di fine lavoro, occorre fare riferimento non alla natura sostanziale (retributiva o no) dell'emolumento in questione, ma al dato formale, ovverosia al regime impresso alla voce di cui trattasi dalla norma che disciplina il trattamento di quiescenza e di previdenza (cfr. Cons. St. Ad. plen. n. 4 del 21 maggio 1996). CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 23 dicembre 2003, sentenza n. 8519
Pubblica amministrazione - Dipendenti della pubblica amministrazione in genere - Concorso. In materia di pubblico impiego non sussiste l’obbligo ma la facoltà dell’amministrazione di nominare gli idonei (in precedenti concorsi) nei posti vacanti, in quanto essa ha piena discrezionalità sull’utilizzazione delle graduatorie. Così che legittimamente non viene presa in considerazione la domanda presentata dal concorrente idoneo in graduatoria al fine di conseguire la nomina (Cons. giust. amm. sic., 15 gennaio 2002, n. 17 e VI, 28 febbraio 2000, n. 1040). Ciò vale anche se l’amministrazione abbia già provveduto allo scorrimento della graduatoria. La circostanza per la quale alcuni degli idonei abbiano beneficiato dello scorrimento non comporta che l’amministrazione sia obbligata a ricorrere sempre alla medesima graduatoria. CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 23 dicembre 2003, sentenza n. 8510
Pubblica amministrazione - Giurisdizione - Indennità fine rapporto - Personale degli enti locali. Il Collegio conferma l’ormai consolidato orientamento in base al quale le controversie riguardanti la liquidazione del trattamento di fine rapporto erogato in favore del personale degli enti locali (nella specie indennità premio di servizio, già di competenza INADEL cui è subentrato l’INPDAP, in favore di ex dipendenti UUSSLL) sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto investono posizioni di diritto soggettivo inerenti ad un rapporto previdenziale con l’istituto erogatore, del tutto autonomo rispetto al rapporto di pubblico impiego che ne costituisce solo il presupposto (cfr. Cass., Sezioni riunite civili, 5.6.1989, n. 2702; 19.4.1984, n. 2563; e, tra le più recenti, Cons St., Sez. VI 26 maggio 2003, n. 2875; 22 ottobre 2002, n. 5797; 12 febbraio 2001, n. 671) e non alla cognizione del giudice amministrativo, come erroneamente ritenuto nella sentenza appellata e sostenuto dall’originario ricorrente. CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 19 dicembre 2003, sentenza n. 8351
Pubblica amministrazione - Dipendenti comunali e provinciali - Concorso interno per particolari qualifiche tecniche - Legittimità - Condizioni. E' legittima la procedura di un concorso a posto unico in un settore tecnico (VII qualifica) riservato al personale interno con quattro anni di anzianità nella qualifica immediatamente superiore e titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto per l’accesso dall’esterno, concorso bandito dal comune in forza dell’art. 6, comma 12°, L. 15.5.1997, n. 127, il quale espressamente consente per gli Enti locali non deficitari concorsi interni riservati in relazione a particolari profili o figure professionali (disposizione poi confermata dal C.C.N.L. vigente all’epoca del concorso - quadriennio 1998-2001 per gli Enti locali, art. 4, comma 2, nonché dall’art. 91 D. L.vo 18.8.2000 n. 267). Pertanto, la normativa speciale non è in contrasto con il principio costituzionale del pubblico concorso di cui all’art. 97 Cost., come del resto più volte statuito dalla Corte costituzionale circa la possibilità che l’accesso ad un concorso pubblico possa essere condizionato al possesso di una precedente esperienza nell’amministrazione, se ragionevolmente configurabile quale requisito professionale (sentenze nn. 141/1999 e 373/2002; ordinanza n. 517 del 4.12.2002). Fattispecie: concorso riservato al personale interno comunale per la copertura di un posto di istruttore direttivo settore tecnico, giudicata illegittima dal TAR per contrasto con la regola del concorso pubblico di cui all’art. 97 Cost..CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 18 dicembre 2003, sentenza n. 8344
Pubblica Amministrazione - Procedure e varie -
Atto e procedimento amministrativo - Avvio del procedimento - Quando occorre. Il
Consiglio di Stato consolida ulteriormente la lettura “sostanzalista” di tale
adempimento. Il caso esaminato riguarda un atto di annullamento in
autotutela della nomina a vigile sanitario degli appellanti, disposto
dall’amministrazione per il ritenuto contrasto con le norme di divieto di nuove
assunzioni. I giudici di Palazzo Spada rigettano la censura di violazione degli
artt. 7, 8 e 10 della L. 241/1990 rilevando: a) che l'obbligo per
l’amministrazione di dare comunicazione agli interessati dell'avvio del
procedimento è in funzione dell'esigenza di consentire la partecipazione del
privato all'attività procedimentalizzata della stessa amministrazione, in
duplice chiave collaborativa e difensiva, e quindi sussiste nei soli
procedimenti ex officio e per quelli in cui il destinatario non abbia avuto in
altro modo conoscenza dell'agere amministrativo, sicché tale obbligo
procedimentale sussiste nelle sole ipotesi in cui l'interessato ignori
l'esistenza del procedimento stesso; b) che, come già affermato dal Consiglio,
l'obbligo dell'amministrazione di dare notizia dell'avvio del procedimento può
essere validamente ottemperato con qualsiasi meccanismo che assicuri il
raggiungimento dello scopo di consentire all'interessato la chiara percezione
dell'avvio della nuova fase procedimentale (Sez.VI, 26/04/2002, n. 2253); c) che
“secondo un noto ed ormai consolidato orientamento giurisprudenziale”, l’obbligo
di comunicazione dell’avvio del procedimento vale solo per i casi in cui un
apporto endoprocedimentale del privato rivesta effettivo e concreto rilievo ai
fini dell'adozione della determinazione conclusiva (sez. V, 19 marzo 1996 n.
283). Nel caso concreto esaminato, pur trattandosi di annullamento d’ufficio di
una precedente nomina, il Consiglio ha ritenuto che non fosse configurabile
alcun ipotizzabile margine di utilità, per l'azione amministrativa, riveniente
dall'apporto endoprocedimentale dei destinatari dell’atto. CONSIGLIO DI
STATO, sez. V, 18 dicembre 2003, sentenza n. 8341
P.A. - Costituzione del rapporto di pubblico impiego - Accertamento giudiziale del rapporto di pubblico impiego - rapporto libero-professionale. L’accertamento giudiziale del rapporto di pubblico impiego non necessita della tempestiva impugnazione degli atti che hanno qualificato il rapporto in maniera diversa da come si è concretamente caratterizzato nel suo svolgimento. La giurisprudenza di questa stessa Sezione, ha avuto modo di chiarire che “ai fini della costituzione del rapporto di pubblico impiego sono ininfluenti sia il nomen iuris attribuito all’atto che vi ha dato origine, sia l’espressa negazione della sussistenza del rapporto di impiego pubblico o l’affermazione della natura libero-professionale del rapporto, contenute sugli atti istitutivi o nell’apposita convenzione sottoscritta dalle parti, trattandosi di qualificazioni prive di diretta incidenza lesiva. Pertanto, l’accertamento giudiziale del rapporto di pubblico impiego è ammissibile indipendentemente dalla tempestiva impugnazione degli atti che qualificavano il rapporto come libero-professionale, rilevando a tal fine non tanto il contenuto dell’atto originativo del rapporto, quanto la sua concreta attuazione e, quindi, la verifica della sussistenza degli indici rivelatori del pubblico impiego”(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25 ottobre 1989, n. 672; Cons. Stato, Sez. V, 26 maggio 1992, n. 467). Pres. Frascione Est. Corradino - Comune di Pozzilli (Avv. Colalillo) c. Ruocchio (Avv. Mazzocco) (Conferma T.A.R. per il Molise, n. 397/02, pubblicata in data 7.5.2002). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 18 Dicembre 2003, Sentenza n. 8343
P.A. - Mansioni - L’espressione “servizio effettivo”. L’espressione “servizio effettivo” rivela una precisa scelta del legislatore ed una precisa ratio, che è quella di riservare certe promozioni solo a coloro che abbiano maturato una reale e prolungata esperienza in mansioni in ordine alle quali sussiste nel contempo anche il relativo titolo formale (V. il parere di questo Consiglio, sez. 3° n. 894 del 15.11.1988). Pres. Frascione - Est. Cerreto - Pellegrini (Avv. Abbate) c. Comune di Roma (avv.ti Sportello e Scotto) (Conferma T.A.R. Lazio, sez. 2°, bis n. 1230 del 20.8.1997). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 18 Dicembre 2003, Sentenza n. 8339
Concorso a pubblico impiego - Assunzione - E’ interesse legittimo e non diritto soggettivo del vincitore - L’amministrazione può annullare le procedure d’assunzione in caso di sopravvenienza di circostanze preclusive. Il vincitore di un concorso a pubblici impieghi vanta non un diritto soggettivo perfetto, bensì un interesse legittimo all'assunzione, in considerazione del rilievo secondo cui l'assunzione è rimessa a puntuali atti formali degli organi competenti ed espressione della potestà organizzatoria della pubblica amministrazione datrice di lavoro (Cons. Stato, Sez.V, 19/03/2001, n. 1632). Detto diversamente l'assunzione del vincitore di un concorso a pubblici impieghi, che costituisce una manifestazione della potestà organizzatoria dell’amministrazione datrice di lavoro, non costituisce di per sè un obbligo, giacchè, se nelle more del completamento del procedimento amministrativo concorsuale sopravvengano circostanze preclusive di natura normativa (per esempio, un blocco generalizzato delle assunzioni), organizzativa (per esempio, riordino delle dotazioni organiche) o anche solo finanziaria (per esempio, per difetto di copertura), la pubblica amministrazione può paralizzare o, se del caso, anche annullare la procedura stessa, salvo l'ovvio controllo giurisdizionale sulla congruità e la correttezza delle scelte in concreto operate. Pres. Frascione - Est. Corradino - Azienda ospedaliera di Ferrara (Avv. Solazzi) c. Raimondi (Avv.ti Caligiuri e Bogino) CONSIGLIO DI STATO, Sez.V - 18 dicembre 2003, n. 8337
Pubblica Amministrazione - Concessione di beni pubblici - Processo amministrativo - Notificazione - Giurisdizione - Art. 5 L. n. 1034/1971. Secondo orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Sez. III, 21 maggio 1998, n. 5065), l’incorporazione di una società in un’altra, determinando l’estinzione della prima e la conseguente successione a titolo universale della seconda, trova la sua disciplina processuale nell’art. 300 c.p.c., non essendo invocabile invece l’art. 2193 c.c., la cui previsione, relativa alla presunzione di conoscenza da parte dei terzi di fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione, non opera nell’ambito del processo. In quest’ultimo, tale evento, infatti, può assumere rilevanza solo quando sia stato dichiarato in udienza o notificato alle altre parti ovvero emerga comunque dalla relazione di notifica di uno degli atti di cui all’art. 292 c.p.c. L’art. 5 della legge n. 1034 del 1971, mentre ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie attinenti a rapporti di concessione di beni pubblici, ha fatto salva, nella stessa materia, la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi. La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza prevalente nel senso che le controversie in materia di concessione di beni pubblici hanno costituito oggetto di un riparto della giurisdizione, in due sfere asimmetriche: l’una del giudice amministrativo, a carattere generale e con i tratti della giurisdizione esclusiva, nella quale riceve tutela ogni situazione soggettiva (interesse legittimo o diritto soggettivo) che si correla alla costituzione, gestione e risoluzione del rapporto; l’altra del giudice ordinario, a carattere speciale, nella quale rientrano tutte le controversie nelle quali vengono in rilievo situazioni di diritto soggettivo, che si correlano agli aspetti patrimoniali dello stesso rapporto, con esclusione, quindi, di quelle in cui sia coinvolto il potere discrezionale dell'Amministrazione volto a stabilire in concreto la misura del canone (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, V Sez., 8 ottobre 1992 n. 975; VI Sez. 13 dicembre 1990 n. 1057; Cass. civ., SS.UU., 9 novembre 1994 n. 9286). Perciò, quando tra privato e concedente si controverte sul canone dovuto per una concreta concessione, potrebbe profilarsi la giurisdizione del giudice amministrativo quando la misura del canone costituisca il risultato di scelte discrezionali nella conformazione del rapporto. Per converso, la giurisdizione del giudice ordinario non potrebbe essere esclusa quando esistano norme, regolamenti od atti generali emanati dalla pubblica amministrazione, i quali, per la determinazione del canone nel caso concreto, dettano criteri la cui applicazione presuppone non scelte discrezionali, ma apprezzamenti d’ordine tecnico (cfr. Cass., SS.UU., 17 luglio 2001, n. 9652). CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 17 dicembre 2003, sentenza n. 8238
Pubblica Amministrazione - Disciplina del commercio - Nulla osta regionale - Provvedimento a contenuto autorizzatorio autonomo - L. n. 426/1971 - Rilascio dell'autorizzazione comunale. Non costituisce un mero atto endoprocedimentale, ma provvedimento a contenuto autorizzatorio autonomo, il nulla osta regionale, rilasciato in vigenza della l. n. 426 del 1971, sia pure quando destinato ad inserirsi in una più ampia vicenda procedimentale, da un collegamento genetico, o rapporto di presupposizione, che non ne fa venir meno l'autonoma rilevanza esterna. Ne segue che al nulla osta rilasciato nel periodo di vigenza della l. n. 426 del 971, non può trovare applicazione il d.lg. n. 114 del 1998, che disciplinerà solo il procedimento per il rilascio dell'autorizzazione comunale, ovviamente tenendo conto del nulla osta definitivamente intervenuto. - Regione Lombardia c. Ministero economia e altri. CONSIGLIO STATO, sez. IV, 16 dicembre 2003, Sentenza n. 8234
Pubblica amministrazione - Accesso ai
documenti - Procedura di selezione di personale - Art. 23 L. n. 241/1990 -
Fattispecie: Trenitalia s.p.a.. Il diritto all’accesso, (nei confronti della
Trenitalia s.p.a.), ai documenti relativi alla procedura di selezione di
personale. La Sezione ha ritenuto che, se vero che la Trenitalia s.p.a. non è
soggetto concessionario ma opera nel regime di mercato in forza di licenza,
essa, tuttavia, gestisce pur sempre un servizio pubblico, quale è il trasporto
su rotaie, anche se non in forza di concessione. Così che si applica nei suoi
confronti l’art. 23 della l. n. 241/1990, nel testo sostituito dall’art. 4 della
l. 3 agosto 1999, n. 265, secondo cui “il diritto di accesso di cui all'articolo
22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende
autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi”;
indipendentemente dal titolo giuridico in base al quale viene gestito il
servizio pubblico (sez. VI, 17 febbraio 2000, n. 1414). Mass. Uff. CONSIGLIO
DI STATO, sez. VI, 28 novembre 2003, sentenza n. 7798
Pubblica Amministrazione - Iscrizione all’Albo dei “Vicesegretari che ne facciano richiesta” - Diniego d’iscrizione - L. n.127/1997 - Posizione giuridica individuata dalla norma - Condizioni e i requisiti - Incaricati delle funzioni di segretario comunale - Requisito della titolarità della qualifica - Il diverso trattamento riservato ai “Segretari incaricati” - Albo nazionale dei Segretari comunali e provinciali - La figura del “segretario” e la posizione di “incaricato” - Funzioni. L’art. 17, comma 83, della legge 15 maggio 1997, n. 127, nel prevedere l’iscrizione all’Albo dei “Vicesegretari che ne facciano richiesta”, ha inteso indubbiamente riferirsi ai dipendenti titolari della formale posizione giuridica individuata dalla norma. La legge, cioè, parlando dei “vicesegretari che ne facciano richiesta”, sta a indicare quale debba essere, in primo luogo, la posizione giuridica rivestita dal dipendente aspirante all’iscrizione; poi, allorché precisa “e che abbiano svolto per almeno quattro anni le relative funzioni”, richiede, congiuntamente alla posizione individuata, l’ulteriore requisito dell’esercizio delle funzioni pertinenti alla stessa, per il periodo di tempo ivi stabilito. Non può invero trascurarsi che dove le disposizioni hanno voluto dare rilevanza autonoma all’esercizio delle funzioni, lo hanno fatto in modo esplicito, come avvenuto nel regolamento d’attuazione della legge, approvato con D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465, in cui, come si riscontra nell’art. 12, comma 6, dopo aver richiamato i requisiti di cui “i vicesegretari” dovevano essere in possesso per l’ammissione nella prima fascia professionale dell’Albo, è stato precisato che “Tali disposizioni si applicano anche agli incaricati delle funzioni di segretario comunale, in servizio alla data di entrata in vigore della legge” (per i segretari titolari l’iscrizione avveniva secondo precise modalità, con riferimento alla qualifica posseduta e all’anzianità di servizio). Per la figura del “segretario”, quindi, la posizione di “incaricato” di funzioni è stata esplicitamente presa in considerazione ai fini dell’iscrizione all’Albo, a differenza dalla figura del vice segretario incaricato, che non trova analogo riscontro nella norma. Il che altro non può significare che, per il “vice segretario”, la sola posizione presa in considerazione per conseguire detta iscrizione sia quella di essere titolare del posto ricoperto, mentre l’esercizio delle funzioni per un determinato periodo di tempo non rappresenta che la previsione di una condizione aggiuntiva. Pres. RICCIO - Est. CARINCI - Sabatino (Avv. Barba) c. Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari comunali e provinciali ed altri e nei confronti di Sorace (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sez. I/ter, n. 516/02, pubblicata in data 18 gennaio 2002). CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7779 (vedi: sentenza per esteso)
Le funzioni in materia di rilascio di licenze per gli esercizi - attribuzioni ai comuni - il questore può sospendere o revocare la licenza di un esercizio di commercio per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza dei cittadini - abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose - tumulti o gravi disordini - moralità pubblica e il buon costume - comunicazione al prefetto - il potere di sospensione. A mente dell’articolo 100, comma 1 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, “oltre i casi indicati dalla legge, il questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”. Tale disposizione deve essere coordinata con la previsione dell’articolo 19, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che, dopo aver attribuito fra l’altro ai comuni le funzioni in materia di rilascio di licenze per gli esercizi di cui al comma 1, n. 8, stabilisce che tali provvedimenti siano adottati previa comunicazione al prefetto e “devono essere sospesi, annullati o revocati per motivata richiesta dello stesso”. Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza di questo Consiglio - a cui il Collegio ritiene di conformarsi -, la previsione del citato articolo 19, comma 4 non ha abrogato l’articolo 100, comma 1, del regio decreto n. 773 del 1931, ed in particolare non ha fatto venire meno il potere di sospensione attribuito da tale ultima disposizione al questore. Si è, infatti, ritenuto che i poteri previsti dal citato articolo 100 in tema di revoca e sospensione delle licenze di commercio per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza non rientrino fra i compiti di polizia amministrativa trasferiti alle regioni ed ai comuni ai sensi del d.P.R. 616 del 1977, venendo in considerazione competenze e funzioni relativi ad ambiti che erano rimasti riservati allo Stato in quanto attinenti alla salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblici (Sez. IV, 6 giugno 1997, n. 625; Sez. V, 24 novembre 1992, n. 1376; contra, Sez. IV, 12 aprile 1995, n. 241). In relazione a tali premesse il potere di sospensione attribuito ai comuni dall’articolo 19, comma 4, del d.P.R. 616 del 1977 deve ritenersi esercitabile nei soli casi in cui la sospensione della licenza trovi giustificazione di ragioni diverse da quelle attinenti alla tutela dell’ordine pubblico. - Pres. RICCIO - Est. TROIANO - Ministero dell’Interno (Avvocatura generale dello Stato) c. Maffezzoli (non costituita) - (Riforma Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione I, 26 maggio 1993, numero 563 - T.a.r. 2196 del 1988). CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7777
Ricostruzione della carriera di un pubblico dipendente - La decorrenza degli interessi legali e della rivalutazione sui crediti retributivi - Decreti di reinquadramento del dipendente. In caso di ricostruzione della carriera di un pubblico dipendente, la decorrenza degli interessi legali e della rivalutazione sui crediti retributivi derivanti dal rapporto d’impiego risale alla data in cui sono venuti in essere tutti gli elementi costitutivi del credito stesso e ne è stato determinato l’ammontare, e cioè alla data dei decreti di reinquadramento del dipendente, ancorché aventi decorrenza retroattiva (ex multis, Sez. VI, 23 settembre 1998, n. 1275; Sez. IV, 2 maggio 1995, n. 278; id., 21 aprile 1992, n. 423; id., 13 aprile 1992, n. 405), in considerazione del contenuto di interesse legittimo della posizione sottostante e della natura autoritativa e provvedimentale degli atti stessi (Sez. IV, 27 novembre 1996, n. 1259). - Pres. RICCIO - Est. TROIANO - Ministero delle Finanze, ora dell’Economia e delle Finanze (Avvocatura generale dello Stato) c. Mercuri (Avv. Guarino) - Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione II, 6 ottobre 1993, numero 1138. CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7776
Silenzio-inadempimento della P.A - inerzia dell’amministrazione - Commissario ad acta - ausiliario del giudice - natura. La natura di ausiliario del giudice e la funzione sollecitatoria e di superamento dell’inerzia dell’amministrazione che caratterizza la figura del Commissario ad acta escludono che la nomina di tale organo straordinario faccia venire meno ex se la competenza dell’organo cui detta competenza è attribuita in via ordinaria e che, pertanto, la competenza del Commissario è concorrente con quella dell’amministrazione, la quale continua ad esistere ed operare nell’ambito delle attribuzioni che la legge le ha riconosciuto e che non ha previsto dovessero venire meno con l’insediamento del Commissario (cfr. C.d.S., Sez. IV, 4.6.1990 n. 448; Sez. VI, 27.4.1995 n. 373; Sez: V, 1.4.1996 n. 329; 710 1996 n. 1202; 3.2.1999 n. 109; 6.10.1999 n. 1329; Sez. IV, 3.7.2000 n. 3641). (Pres. Elefante - est. Pullano - Comune di Campobasso (avv. Calise) c. Santacroce (avv. Sabatini) (Annulla T.A.R. Molise n. 874 del 10.10.2002). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7617
Le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo - interpretazione ed applicazione - comunicazione dell’avvio del procedimento - instaurazione del contraddittorio. Le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non vanno applicate necessariamente e formalmente, ma debbono essere interpretate in base ad un criterio di realistica valutazione sulla effettiva conoscenza o conoscibilità di una sequenza e dei suoi effetti lesivi. (cfr., tra le più recenti, C.d.S., Sez. V, 30.9.2002 n. 5058) E’ stato, pertanto, precisato che l’esigenza di informazione del destinatario dell’azione amministrativa, che ai sensi dell’art. 7 si realizza attraverso la comunicazione dell’avvio del procedimento e l’instaurazione del contraddittorio, non sussiste ogni qualvolta lo stesso destinatario ne sia già informato, ossia allorché il procedimento consegua ad una sua istanza o gli siano noti gli elementi salienti, oppure sia una conseguenza di altri procedimenti o atti già conosciuti. Nella specie il procedimento è stato attivato da una istanza dell’appellante e, dunque, l’amministrazione non aveva alcun obbligo di comunicarne l’avvio. (Pres. Elefante - Est. Pullano - Basilio (Avv.ti. Longo e Mazzarelli) c. Comune di Aviano (Avv.ti Di Prima e Romanelli) (Conferma T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 193 dell’11.3.1997). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7544 (vedi: sentenza per esteso)
Pubbliche Amministrazioni e gestori di pubblico servizio - la qualità di gestore di pubblico servizio, indipendentemente dal titolo giuridico - giurisdizione amministrativa. Premesso che non può essere messa in discussione la natura di pubblico servizio dell’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, peraltro, come tale espressamente previsto già dal R.D. n. 2578 del 1925, è agevole osservare: - che l’art. 33, primo comma, devolve alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di servizi pubblici, comprensive - come si evince anche dalla sentenza della Corte Cost. 11-17 luglio 2000 n. 292, cui il legislatore si è adeguato modificando l’originario testo dell’articolo in questione - di quelle aventi ad oggetto tutti i diritti patrimoniali conseguenziali; - che, l’esemplicazione di cui alla lett. b) del secondo comma, secondo la quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie “tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi”, non lascia dubbi sulla giurisdizione, in quanto contrariamente a quel che ritiene l’appellante, non assume in proposito alcun rilievo la questione se il gestore sia (o non ) concessionario di un pubblico servizio, poichè nessun riferimento si rinviene, in seno alla previsione normativa, al rapporto di concessione. Infatti, secondo la disposizione in esame, quello che rileva è la qualità di gestore di pubblico servizio, indipendentemente dal titolo giuridico in base al quale avviene la gestione, per cui deve ritenersi che le controversie tra amministrazione e gestore di pubblico servizio rientrino nella giurisdizione amministrativa, quale che sia il modello organizzativo utilizzato per la gestione e, quindi, indipendentemente dal fatto che il gestore sia investito dell’espletamento dell’attività per effetto di un provvedimento concessorio. Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7236
La posizione giuridica soggettiva del pubblico
dipendente - inquadramento. La posizione giuridica soggettiva del pubblico
dipendente che vanti la pretesa all’inquadramento in una determinata qualifica
si configura come interesse legittimo azionabile attraverso l’impugnazione del
provvedimento autoritativo che lo inquadra diversamente o che, comunque, gli
nega il chiesto inquadramento, con conseguente inammissibilità dell’azione tesa
al mero accertamento del diritto (cfr., tra le dec. più recenti, C.d.S., Sez. IV,
21.1.2003 n. 212). Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n.
7234
Violazioni in materia edilizia - accertamenti
- dipendenti degli uffici tecnici comunali - qualità di ufficiali di polizia
giudiziaria - qualifiche funzionali e trattamento economico. Secondo il dato
testuale dell’art. 26, quarto comma lett. f), del DPR 347/1983 (...al personale
di vigilanza (urbana, ittica, venatoria, sanitaria, silvo-pastorale, annonaria
etc.) nonché ai vigili stradali delle province, inquadrati nella quinta
qualifica funzionale, compete l'indennità annua fissa per 12 mensilità) non
appare dubbia la spettanza ai dipendenti degli uffici tecnici comunali chiamati
ad accertare violazioni in materia edilizia della indennità di vigilanza in
relazione alla riconosciuta qualità di ufficiali di polizia giudiziaria.
Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7232
Personale dipendente degli enti locali - ricorsi proposti per far valere
pretese attinenti a diritti soggettivi - 41 del D.P.R. n. 347/1983 - termini -
contestazione della legittimita' degli atti amministrativi. In applicazione
dell’articolo 41 del D.P.R. n. 347/1983, “i ricorsi proposti per far valere
pretese attinenti a diritti soggettivi di contenuto patrimoniale sono soggetti
al termine ordinario di prescrizione nei casi in cui i diritti predetti derivino
direttamente dalla legge o da un regolamento o da un precedente atto
amministrativo, di cui non si contesti la legittimita', mentre al termine di
decadenza ove la pretesa patrimoniale sia fondata sulla contestazione della
legittimita' degli atti amministrativi; pertanto, e' tardivo il ricorso
presentato dal personale dipendente degli enti locali, che ha contestato i
criteri, seguiti nell'applicazione dell'art. 41 d.P.R. 25 giugno 1983 n. 347,
nell'atto con cui l'amministrazione ha proceduto alla valutazione dei servizi
precedentemente prestati per determinare la nuova posizione retributiva di
ciascun dipendente”. (Consiglio Stato sez. V, 4 febbraio 2002, n. 590).
Conforme: Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7228.
Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7229
La posizione economica del dipendente degli enti locali - le controversie
attengono a pretese dirette a far valere diritti soggettivi di contenuto
patrimoniale - rapporto paritetico con l’amministrazione. E’ ius receptum
nella giurisprudenza amministrativa che, quando le controversie attengono a
pretese dirette a far valere diritti soggettivi di contenuto patrimoniale, i
ricorsi sono soggetti al termine ordinario di prescrizione nei casi in cui i
diritti patrimoniali rivendicati derivino direttamente dalla legge o da un
regolamento ovvero da un precedente atto amministrativo, di cui non si contesti
la legittimità, ma che, anzi, costituisca esso stesso la fonte della pretesa
patrimoniale. Quando, invece, la pretesa patrimoniale sia fondata sulla
contestazione della legittimità degli atti amministrativi che hanno determinato
la posizione economica del dipendente, il ricorso è soggetto al termine di
decadenza. Nel primo caso, infatti, l’interessato agisce per ottenere
l’adempimento di un’obbligazione, in un rapporto paritetico con
l’amministrazione, nel secondo, contesta l’atto costitutivo dell’obbligazione e
chiede al giudice di accertare se l’amministrazione, nell’adottarlo, si sia
attenuta ai parametri legislativi e regolamentari di riferimento ed, in caso
contrario, di annullare l’atto riscontrato illegittimo. In base a tali principi,
sono da condividere le conclusioni dei primi giudici che hanno dichiarato
tardivo il ricorso di primo grado, con il quale gli attuali appellanti hanno
contestato i criteri seguiti dall’ente di appartenenza nell’applicazione
dell’art. 41 del D.P.R. 25.6.1983, n. 347. (V, 9.10.2000, n. 5365). Conforme:
Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7228. Consiglio
di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7229
Personale dipendente degli enti locali - ricorsi proposti per far valere
pretese attinenti a diritti soggettivi di contenuto patrimoniale - termine
ordinario di prescrizione - termine di decadenza - casi - articolo 41 del D.P.R.
n. 347/1983 - valutazione dei servizi - nuova posizione retributiva. I
ricorsi proposti per far valere pretese attinenti a diritti soggettivi di
contenuto patrimoniale sono soggetti al termine ordinario di prescrizione nei
casi in cui i diritti predetti derivino direttamente dalla legge o da un
regolamento o da un precedente atto amministrativo, di cui non si contesti la
legittimita', mentre al termine di decadenza ove la pretesa patrimoniale sia
fondata sulla contestazione della legittimita' degli atti amministrativi;
pertanto, e' tardivo il ricorso presentato dal personale dipendente degli enti
locali, che ha contestato i criteri, seguiti nell'applicazione dell'art. 41
d.P.R. 25 giugno 1983 n. 347, nell'atto con cui l'amministrazione ha proceduto
alla valutazione dei servizi precedentemente prestati per determinare la nuova
posizione retributiva di ciascun dipendente. (Consiglio Stato sez. V, 4 febbraio
2002, n. 590). Consiglio di Stato, Sez. V, 7 novembre 2003, sentenza n. 7125
(vedi:
sentenza per esteso)
P.A. - controversie dirette a far valere diritti soggettivi di contenuto
patrimoniale - ricorsi - termini - accordo, per riequilibrare l’anzianità
economica con l’anzianità giuridica dei dipendenti - valore economico alla
pregressa anzianità di servizio - parametri - la valutazione dell’anzianità
pregressa. E’ ius receptum nella giurisprudenza amministrativa che, quando
le controversie attengono a pretese dirette a far valere diritti soggettivi di
contenuto patrimoniale, i ricorsi sono soggetti al termine ordinario di
prescrizione nei casi in cui i diritti patrimoniali rivendicati derivino
direttamente dalla legge o da un regolamento ovvero da un precedente atto
amministrativo, di cui non si contesti la legittimità, ma che, anzi, costituisca
esso stesso la fonte della pretesa patrimoniale. Quando, invece, la pretesa
patrimoniale sia fondata sulla contestazione della legittimità degli atti
amministrativi che hanno determinato la posizione economica del dipendente, il
ricorso è soggetto al termine di decadenza. Nel primo caso, infatti,
l’interessato agisce per ottenere l’adempimento di un’obbligazione, in un
rapporto paritetico con l’amministrazione, nel secondo, contesta l’atto
costitutivo dell’obbligazione e chiede al giudice di accertare se
l’amministrazione, nell’adottarlo, si sia attenuta ai parametri legislativi e
regolamentari di riferimento ed, in caso contrario, di annullare l’atto
riscontrato illegittimo. In base a tali principi, sono da condividere le
conclusioni dei primi giudici che hanno dichiarato tardivo il ricorso di primo
grado, con il quale gli attuali appellanti hanno contestato i criteri seguiti
dall’ente di appartenenza nell’applicazione dell’art. 41 del D.P.R. 25.6.1983,
n. 347. Come è noto, il D.P.R. n. 347 del 1983, relativo all’accordo di lavoro
per il personale dipendente dagli enti locali per il periodo 1.1.1983-30.6.1985,
all’art. 40, ha dettato 1 di tale personale nelle nuove qualifiche funzionali
previste dallo stesso accordo. Con l’art. 41 citato, l’accordo, per
riequilibrare l’anzianità economica con l’anzianità giuridica dei dipendenti con
diverse anzianità di servizio inquadrati nella stessa qualifica funzionale, ha
previsto di attribuire un valore economico alla pregressa anzianità di servizio,
in base ai parametri da essa stabiliti. L’atto con il quale l’amministrazione
procede alla valutazione dei servizi precedentemente prestati (talora, previa
una qualificazione giuridica di detti servizi) per determinare la nuova
posizione retributiva di ciascun dipendente ha natura provvedimentale, in quanto
costitutivo del nuovo trattamento economico, e concorre a stabilire, con l’atto
di inquadramento nella nuova qualifica funzionale, la nuova posizione
giuridico-economica del dipendente. Il nuovo trattamento economico, pertanto,
non deriva direttamente dalla norma del D.P.R. n. 347 del 1983, ma dall’atto
dell’amministrazione. Ne consegue che il dipendente, che pretenda un trattamento
diverso, ritenendosi leso dai criteri utilizzati dall’amministrazione per la
valutazione dell’anzianità pregressa, è tenuto ad impugnare l’atto che lo
riguarda nel termine di decadenza decorrente dal momento in cui ne sia venuto a
conoscenza, ai sensi dell’art.21, primo comma, della legge n. 1034 del 1971. (V,
9.10.2000, n. 5365)”. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 novembre 2003, sentenza
n. 7125 (vedi:
sentenza
per esteso)
P.A. - pubblico dipendente - provvedimento di ricostruzione di carriera - interessi legali e rivalutazione monetaria - nuovo trattamento economico - presupposti esclusivamente vincolati - ritardo nell’adempimento da parte dell’Amministrazione. Spettano al pubblico dipendente interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme corrisposte tardivamente dall’Amministrazione in applicazione di un nuovo trattamento economico, di cui la legge ha fissato presupposti esclusivamente vincolati, ivi compresa la decorrenza, senza lasciare all’amministrazione stessa alcun margine di discrezionalità. Non può in alcun modo giustificarsi il ritardo nell’adempimento da parte dell’Amministrazione nell’attribuzione al proprio dipendente del nuovo trattamento economico riconosciutogli direttamente dalla legge, quanto quest’ultima sia temporalmente precedente alla decorrenza del beneficio stesso, ragione per cui l’Amministrazione ha avuto un lasso di tempo sufficientemente lungo per provvedere. Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 6921- 6922 - 6923 - 6924 - 6925 - 6926 - 6927 - 6928 - 6929 - 6930 - 6931 - 6932 - 6933 - 6934 - 6935 - 6936 - 6937. Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenza n. 6938
P.A. - operazioni elettorali - principio della strumentalità delle forme - principio della cosiddetta prova di resistenza - salvaguardia della volontà espressa dall’elettorato l’accertamento della reale volontà del corpo elettorale - limiti. Il principio della strumentalità delle forme, ormai consolidato nella giurisprudenza in materia di operazioni elettorali, sono irrilevanti tutte quelle irregolarità delle operazioni elettorali che non abbiano compromesso l’accertamento della reale volontà del corpo elettorale e che, comunque, non siano ad ogni modo esplicitamente sanzionate da nullità (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 marzo 2003 n. 1215; id., 15 settembre 2001 n. 4830; id., 25 ottobre 1999 n. 1708). In forza del principio della cosiddetta prova di resistenza, dettato al fine di una giusta composizione tra l’esigenza della reintegrazione della legittimità violata e quella di salvaguardare la volontà espressa dall’elettorato, nei giudizi elettorali il Giudice amministrativo non può pronunciare l’annullamento degli atti impugnati e dei voti ad essi conseguenti se la loro illegittimità non influisca in concreto sui risultati elettorali (cfr., Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2000 n. 3631). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6772
P.A. varianti al progetto di discarica - iter - mancata riallegazione dei richiesti documenti - principio di completezza istruttoria e principio di conservazione degli atti giuridici - le pretese partecipative del comune - conferenza di servizi - mancata allegazione del “progetto preliminare” - localizzazione del sito. La mancata riallegazione dei richiesti documenti non sembra idonea ad incidere sulla correttezza della procedura svolta, non determinando alcuna apprezzabile vulnerazione del principio di completezza istruttoria e non ledendo in alcun modo le pretese partecipative del comune. In concreto, poi, va osservato che nel momento in cui il progetto è stato riesaminato dalla conferenza di servizi, tutte le amministrazioni interessate erano in possesso degli elaborati progettuali riferite all’opera in questione, da tempo già ufficialmente trasmessi. Per le stesse ragioni, la mancata allegazione del “progetto preliminare” non assume alcun apprezzabile rilievo, trattandosi di aspetti riferiti alla localizzazione del sito, che non possono più formare oggetto di contestazione (Fattispecie: iter per l’approvazione della variante al progetto definitivo di un impianto per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani, costituito da una discarica di prima categoria e necessità di nuova V.I.A.). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6759 (vedi: sentenza per esteso)
P.A. - la nullità dei rapporti di impiego
posti in essere secondo procedure difformi da quelle espressamente previste -
divieto di assunzione in forme diverse da quelle del pubblico concorso - indici
rivelatori del rapporto di lavoro subordinato con l’Amministrazione - le
conseguenze di ordine retributivo e previdenziale del rapporto nullo. Con le
notissime decisioni dell’Adunanza Plenaria nn. 1, 2 e 5 del 1992, si è
affermato, capovolgendo il precedente orientamento che intendeva la comminatoria
legislativa di nullità dei rapporti costituiti contra legem nel senso della mera
illegittimità dei relativi provvedimenti, che quando la legge prevede la nullità
dei rapporti di impiego posti in essere secondo procedure difformi da quelle
espressamente previste, tale precetto vada inteso nel senso rigoroso e
civilistico del termine, che comporta che il rapporto non è stato posto in
essere. E’ stato quindi stabilito che la norma dell’art. 5 del d.l. 10 novembre
1978 n. 702, converto nella legge 8 gennaio 1979 n. 3, nel disporre il divieto
di assunzione in forme diverse da quelle del pubblico concorso, e nella connessa
nullità degli atti adottati in tal senso, debba essere intesa come fondamento
dell’impossibilità di accertare che il rapporto di pubblico impiego si è
costituito. Ne è derivato, come logica conseguenza, che l’eventuale sussistenza
in concreto di quelli che sono stati definiti indici rivelatori del rapporto di
lavoro subordinato con l’Amministrazione, ha perduto rilevanza al fine specifico
dell’accertamento della costituzione del rapporto, conservando la funzione della
qualificazione del rapporto ai fini del radicamento della giurisdizione del
giudice amministrativo e per le conseguenze di ordine retributivo e
previdenziale che l’art. 2126 cod. civ. riconnette alla esecuzione del rapporto
nullo. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6749
P.A. - la caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa, di atti
della fase della formazione - la volontà contrattuale dell’Amministrazione -
mancanza del presupposto o della condizione legale di efficacia - provvedimento
di aggiudicazione - l’annullamento dell’aggiudicazione - autotutela. La
caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa, di atti della fase della
formazione, attraverso i quali si è formata in concreto la volontà contrattuale
dell’Amministrazione, dà luogo alla conseguenza di privare l’Amministrazione
stessa, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare; in sostanza,
l’organo amministrativo che ha stipulato il contratto, una volta che viene a
cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo della
volontà dell’Amministrazione, come la deliberazione di contrattare, il bando o
l’aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato injure, privo
della legittimazione che gli è stata conferita dai precedenti atti
amministrativi (cfr. Cass., 20 novembre 1985, n. 5712). La categoria che viene
in gioco in tal caso non è l’annullabilità, ma l’inefficacia. E, infatti, nei
contratti ad evidenza pubblica gli atti della serie pubblicistica e quelli della
serie privatistica sono indipendenti quanto alla validità; i primi condizionano,
però, l’efficacia dei secondi, di modo che il contratto diviene ab origine
inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per una qualsiasi causa
(cfr. Cass., 5 aprile 1976, n. 1197). Di mancanza del presupposto o della
condizione legale di efficacia, invece, deve parlarsi a proposito della
fattispecie della mancata approvazione del contratto, che afferisce
sostanzialmente alla fase dell’integrazione dell’efficacia del procedimento
contrattuale e non incide sulla perfezione del contratto; l’approvazione,
infatti, opera quale condicio juris e consiste in un atto amministrativo esterno
al contratto ed alla sua struttura, condizionante l’efficacia giuridica di
questo e non la sua esistenza. La mancata approvazione rende il contratto non
più eseguibile, così da liberare il privato contraente, come ovviamente
l’Amministrazione, da ogni obbligo (cfr. Cass., 12 novembre 1992, n. 12182). E,
invece, l’inefficacia sopravvenuta derivante dall’annullamento degli atti di
gara ovvero del provvedimento di aggiudicazione, sia in sede giurisdizionale,
che amministrativa o in via di autotutela (sempre che, in tal caso ne ricorrano
tutti i presupposti sostanziali) è relativa e può essere fatta valere solo dalla
parte che abbia ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione. Consiglio di
Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6666. (vedi:
sentenza
per esteso)
La protezione dell’interesse dell’Amministrazione a rimuovere gli effetti di
situazioni riconosciute illegittime - l’inefficacia del contratto - annullamento
degli atti di gara in via di autotutela. La P.A. può determinare
l’inefficacia del contratto, attraverso il procedimento di annullamento degli
atti di gara in via di autotutela, applicando i principi garantistici in materia
(avviso di avvio del procedimento; congrua motivazione; adeguata valutazione
dell’interesse pubblico e dell’affidamento del contraente). Consiglio di
Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6666. (vedi:
sentenza
per esteso)
Pubblica amministrazione - teoria della inefficacia del contratto per difetto
di un presupposto o di una condizione di efficacia del contratto -
l’annullamento dell’atto di aggiudicazione - la posizione del contraente in
buona fede. La tutela dei soggetti che abbiano ottenuto ragione dinanzi al
giudice amministrativo tramite l’annullamento dell’atto di aggiudicazione, nei
casi in cui il contratto sia già stato concluso, ritiene il Collegio preferibile
la posizione dottrinale orientata nel senso dell’applicazione della normativa
dettata dal codice civile a proposito delle associazioni e fondazioni, in quanto
esprimente principi generali, applicabili anche alla Pubblica amministrazione,
quale persona giuridica ex art. 11 c.c., soggetta, quindi, oltre che alle norme
di diritto pubblico, anche alle norme civilistiche essenziali che disciplinano
le persone giuridiche (cfr., in tal senso, anche se nell’ambito della teoria
della inefficacia del contratto per difetto di un presupposto o di una
condizione di efficacia del contratto, Cons. St., Sez. VI, n. 2992 del 2003 cit.).
Secondo tali principi, l’annullamento della deliberazione formativa della
volontà contrattuale dell’ente “non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di
buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima”
(art. 23 e 25 c.c.). Questo criterio, invero, consente di tutelare la posizione
del contraente di buona fede, ma allo stesso tempo consente di dare pieno
riconoscimento alle ragioni di colui che abbia ottenuto l’annullamento di atti
della fase di formazione (e segnatamente, dell’aggiudicazione) laddove possa
essere esclusa la buona fede del contraente, travolgendo in tal caso detto
annullamento la fattispecie contrattuale nella sua interezza. Consiglio di
Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6666. (vedi:
sentenza
per esteso)
La comunicazione di avvio del procedimento - funzione e finalità - “giusto
provvedimento” - rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini - l’effettivo
perseguimento dell’interesse pubblico con il minimo sacrificio possibile dei
privati - i principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento -
l’obbligo imposto all’amministrazione di dare avviso al cittadino interessato
dell’avvio di un procedimento. La comunicazione di avvio del procedimento,
prevista dall’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, si inquadra
nell’ambito di una nuova visione dei rapporti tra pubblica amministrazione e
cittadini, imperniata sul principio della democraticità delle decisioni, quale
strumento indispensabile per l’effettivo perseguimento dell’interesse pubblico
con il minimo sacrificio possibile dei privati, così trovando concretamente
attuazioni i principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento
che devono contraddistinguere l’azione amministrativa. Essa rappresenta quindi
lo strumento previsto dal legislatore attraverso cui il cittadino, con apposite
memorie ed osservazioni, interviene nel processo decisionale della pubblica
amministrazione, fornendo a quest’ultima quegli elementi di conoscenza e di
valutazione occorrenti ad orientare correttamente le scelte amministrative e ad
adottare, quindi, un “giusto provvedimento” (C.d.S., sez. V, 28 maggio 2001, n.
2884), idoneo a contemperare gli opposti interessi pubblici e privati in gioco (C.d.S.,
sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5699). La finalità perseguite con l’obbligo imposto
all’amministrazione di dare avviso al cittadino interessato dell’avvio di un
procedimento che lo riguardi direttamente esclude che detto obbligo abbia natura
meramente formale, così che esso è stato escluso non solo nel caso in cui
l’interessato abbia anche aliunde avuto modo di conoscere l’esistenza del
procedimento avviato dall’Amministrazione (e quindi di partecipare
effettivamente alla decisione), ma anche quando (con riferimento al giudizio di
appello) il ricorrente in primo grado non abbia censurato con dati reali la
coerenza, logicità, completezza, adeguatezza e ponderazione dell’azione
amministrativa, né abbia dimostrato che egli sarebbe stato in grado di fornire
elementi di conoscenza e di giudizio tali da poter indirizzare diversamente la
concreta decisione dell’amministrazione (C.d.S., sez. V, 21 gennaio 2002, n.
343); d’altra parte deve ammettersi che proprio al fine di non svuotare la
peculiarità della comunicazione di avvio del procedimento, è necessario che essa
sia fatta quando l’Amministrazione abbia già manifestato l’intenzione di
assumere una certa decisione, rivelandosi altrimenti le eventuali memorie ed
osservazioni nient’altro che esercitazioni astratte e prive di qualsiasi effetto
pratico. Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631
(vedi:
sentenza per esteso)
P.A. - la notificazione di un provvedimento amministrativo - conoscenza
qualificata - certezza e incontestabilità - perfezionamento della volontà
dell’amministrazione - vizi della notificazione - rilevanza e effetti. La
notificazione di un provvedimento amministrativo costituisce uno strumento di
conoscenza qualificata dello stesso, finalizzata a rendere certa e
incontestabile in capo ai suoi destinatari la conoscenza del relativo contenuto;
essa, quindi, non attiene alla fase di perfezionamento della volontà
dell’amministrazione che si esprime nel contenuto provvedimentale dell’atto e
non ne costituisce quindi un requisito di validità. Pertanto gli eventuali vizi
della notificazione rilevano esclusivamente come cause ostative alla completa ed
esatta conoscenza del contenuto del provvedimento ai fini della sua eventuale
impugnazione. Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n.
6631 (vedi:
sentenza
per esteso)
P.A. - avvio del procedimento - comunicazione - rapporti tra pubblica
amministrazione e cittadini - principio della democraticità delle decisioni - il
minimo sacrificio possibile dei privati - i principi costituzionali di legalità,
imparzialità e buon andamento. La comunicazione di avvio del procedimento,
prevista dall’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, si inquadra
nell’ambito di una nuova visione dei rapporti tra pubblica amministrazione e
cittadini, imperniata sul principio della democraticità delle decisioni, quale
strumento indispensabile per l’effettivo perseguimento dell’interesse pubblico
con il minimo sacrificio possibile dei privati, così trovando concretamente
attuazioni i principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento
che devono contraddistinguere l’azione amministrativa. Essa rappresenta quindi
lo strumento previsto dal legislatore attraverso cui il cittadino, con apposite
memorie ed osservazioni, interviene nel processo decisionale della pubblica
amministrazione, fornendo a quest’ultima quegli elementi di conoscenza e di
valutazione occorrenti ad orientare correttamente le scelte amministrative e ad
adottare, quindi, un “giusto provvedimento”, idoneo a contemperare gli opposti
interessi pubblici e privati in gioco. Consiglio di Stato - Sezione IV, 27
Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi:
sentenza
per esteso)
P.A. - l’obbligo imposto all’amministrazione di dare avviso al cittadino
interessato dell’avvio di un procedimento - natura. L’obbligo imposto
all’amministrazione di dare avviso al cittadino interessato dell’avvio di un
procedimento che lo riguardi direttamente non ha natura meramente formale, bensì
sostanziale con la conseguenza che la comunicazione deve essere fatta quando
l’Amministrazione abbia già manifestato l’intenzione di assumere una certa
decisione, rivelandosi altrimenti le eventuali memorie ed osservazioni
nient’altro che esercitazioni astratte e prive di qualsiasi effetto pratico.
Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi:
sentenza
per esteso)
Pubblica Amministrazione - la discrezionalità comunale di dotarsi di un piano
per gli insediamenti produttivi - pianificazione urbanistica. La scelta
discrezionale dell’amministrazione comunale di dotarsi di un piano per gli
insediamenti produttivi non costituisce mera attuazione di scelte generali già
definitive, ma implica un’apposita determinazione volitiva (del tutto diversa da
quella relativa alla pianificazione urbanistica, per quanto con essa coordinata)
e pertanto non può che inerire all’organo consiliare, unica espressione diretta
della collettività da amministrare, i cui deliberati, rappresentando la sintesi
della contrapposizione dialettica tra maggioranza ed opposizione, individuano
democraticamente l’interesse generale da perseguire. Consiglio di Stato -
Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi:
sentenza
per esteso)
Diritto di accesso - consiglieri comunali - l’esercizio delle funzioni -
Piano regolatore generale e al bilancio. L’art. 43, co.2, D.Lgs. n. 267/00
attribuisce ai consiglieri comunali un diritto di accesso pieno per l’esercizio
delle loro funzioni. Per il principio contenuto in questa disposizione, va
ordinato all’amministrazione di produrre presso la segreteria della Sezione gli
atti sopraindicati entro il termine di giorni trenta, decorrente dalla
comunicazione, o, se anteriore, notificazione della presente decisione
interlocutoria.(Nella specie, il Comune di Oria ha negato all’odierna appellante
l’accesso ai documenti richiesti con istanza del 4/4/02 nella qualità di
capogruppo consiliare, relativi al Piano regolatore generale e al bilancio, in
quanto l’istanza si sarebbe riferita ad atti già concessi, sarebbe stata
indeterminata e non avrebbe indicato il concreto interesse al rilascio della
documentazione). Consiglio di Stato - Sezione IV, 23 Ottobre 2003, Sentenza
n. 6553
P.A. - Peculato - Utilizzo da parte di un
pubblico funzionario dell’auto di servizio e dell’autista - Reati di cui agli
artt. 314, 2° comma, c.p. e 323 c.p. - Responsabilità - Sussiste - Fattispecie
(uso privato di beni e pubblici e del personale - Presidente della Provincia di
Messina). Si concreta il reato di cui al c. 2 dell’art. 314 c.p. (per quanto
concerne l’uso dell’autovettura) ed il reato di cui all’art. 323 c.p. (per
quanto concerne l’utilizzo della prestazione dell’autista), quando un pubblico
funzionario utilizza per ragioni personali e non d’ufficio l’autovettura di
rappresentanza di cui abbia la disponibilità. (Fattispecie, il Presidente della
Provincia di Messina ha utilizzato per raggiungere Bari, l’autovettura di
rappresentanza e l’autista dell’Ente, insieme alla moglie per imbarcarsi su di
una nave da crociera, e si è fatto riprendere per compiere il percorso inverso,
ponendo a carico dell’Amministrazione l’onere di trattamento di missione per
l’autista e le spese della benzina). (conferma Corte d’appello di Messina 13
dicembre 2002) CORTE DI CASSAZIONE, Penale Sez. VI - sentenza 21 ottobre 2003
n. 39771
Il diritto del pubblico dipendente al compenso sostitutivo delle ferie non godute. Il diritto del pubblico dipendente al compenso sostitutivo delle ferie non godute, anche in assenza di una disposizione normativa che lo preveda - una norma ad hoc non è contenuta in alcuno dei contratti collettivi di lavoro del personale degli enti locali applicabili alla fattispecie ratione temporis - discende, in coerenza con i principi contenuti nell’art. 36 Cost., direttamente dal mancato godimento del congedo ordinario e in correlazione con la retribuibilità delle prestazioni lavorative. Tale principio è ormai consolidato, come attesta anche la più recente costante giurisprudenza di questa Sezione (V, 3.3.2001, n. 1230; 6.9.2000, n. 4699; 10.7.2000, n. 3847;30.3.1998, n. 374). In correlazione con tale principio, peraltro, si è anche affermato che spetta al pubblico dipendente, che chiede il compenso sostitutivo delle ferie non godute, fornire la prova del fatto sul quale fonda la propria pretesa e, cioè, che la mancata fruizione del congedo ordinario sia dipesa non da una sua libera scelta ma da un diniego dell’amministrazione di appartenenza motivato da eccezionali ragioni di servizio. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6533
Denuncia da parte di cittadini di presunte realizzazioni abusive - obbligo da parte della P.A. di verificare le comunicazioni - il comportamento omissivo (silenzio-rifiuto) dell’Amministrazione - inerte complicità agevolatrice del degrado edilizio - legittimazione attiva. Sull’accertata sussistenza di una posizione qualificata e legittimante, e di un’istanza circostanziata e specifica relativa a presunte realizzazioni abusive, il Comune sia tenuto a corrispondere sull’istanza (anche e solo per dimostrarne l’eventuale infondatezza di presupposti), in quanto da un lato tale compartecipazione si conforma all’evoluzione in atto dei rapporti tra Amministrazione e amministrato (titolare di una specifica posizione), e dall’altro perché in tale ipotesi il comportamento omissivo (spesso causa di un’inerte complicità agevolatrice del degrado edilizio), assume una sua sindacabile connotazione negativa. Nella fattispecie l’originario ricorrente-appellante aveva prospettato una non generica situazione di abusività di interventi edilizi la cui antigiuridicità veniva espressamente specificata nelle varie istanze prodotte dall’interessato, la cui legittimazione attiva era poi particolarmente qualificata dalla titolarità di un diritto di proprietà limitrofo al luogo in cui si sono perpetrati gli abusi denunciati e dalle particolarità proprie (pure ampiamente qualificate nei menzionati atti di diffida) del Parco SIA ove tale proprietà (e i contigui abusi) sono localizzati. Nella specie il comportamento omissivo (silenzio-rifiuto) dell’Amministrazione sia stigmatizzato da un soggetto qualificato (in quanto, per l’appunto, titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile), tale comportamento assuma una connotazione negativa e censurabile dovendo l’Amministrazione (titolare dei generali poteri-competenze in materia di controllo e di repressione sull’abusivismo edilizio) dar comunque seguito (anche magari esplicitando l’erronea valutazione dei presupposti da parte dell’interessato) all’istanza. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6531
L’incompatibilità a far parte delle commissioni esaminatrici dei concorsi indetti da un Comune “per coloro che ricoprano cariche politiche” - limiti. L’incompatibilità a far parte delle commissioni esaminatrici dei concorsi indetti da un Comune “per coloro che ricoprano cariche politiche” non si estende anche agli assessori di un altro Comune. Conforme: Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6526. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6527
Definizione di “servizio di tesoreria” - il
tesoriere - compiti - le sponsorizzazioni a favore degli enti locali. Per
servizio di tesoreria si intende - ai sensi dell’art. 209, comma 1, del T.U. di
cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che corrisponde all’art.51 del d.lgs. 25
febbraio 1995, n.77, ora abrogato - il servizio che “consiste nel complesso di
operazioni legate alla gestione finanziaria dell’ente locale e finalizzate in
particolare alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese, alla
custodia di titoli e valori ed agli adempimenti connessi previsti dalla legge,
dallo statuto, dai regolamenti dell’ente o da norme pattizie”; ai sensi del
comma 2 dello stesso art. 209, poi, “il tesoriere esegue le operazioni di cui al
comma 1 nel rispetto della legge 29 ottobre 1984, n. 720, e successive
modificazioni”. Le sponsorizzazioni a favore degli enti locali sono, a loro
volta, specificamente disciplinate dall’art.119 del citato T.U. n. 267/2000 che,
richiamando la disciplina espressa dall’art. 43 della legge 27 dicembre 1997, n.
449 - già operante, comunque, nei confronti degli stessi enti locali - dispone
che “al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati, i comuni, le
province e gli altri enti locali……..possono stipulare contratti di
sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con soggetti pubblici o privati”,
sempreché tali accordi comportino “risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti
disposti….” e non diano luo-go a conflitti tra interessi pubblici e privati. Si
aggiunga che con l’art.28 della legge 23 dicembre 1998, n.448, è stato previsto
(commi 2 e 2bis) che gli enti locali riducano il proprio disavanzo, tra l’altro,
attraverso il perseguimento di obiettivi di efficienza, aumento della
produttività e riduzione dei costi nella ge-stione dei servizi pubblici e delle
attività di propria competenza, sviluppando, in quest’ambito, anche iniziative
per la stipula di contratti di sponsorizzazione previsti dall'articolo 43 della
legge 27 dicembre 1997, n. 449, allo scopo di realizzare maggiori economie nella
gestione. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6521
(vedi:
sentenza per esteso)
Contratto accessorio di sponsorizzazione - forme di economia per
l’Amministrazione - l’indizione di una gara relativa alla messa a concorso del
servizio di tesoreria. L’interesse che muove l’Amministrazione nell’indire
una gara per l’affidamento del servizio di tesoreria è, principalmente, che
questo venga affidato all’operatore che meglio degli altri sia in grado di
assolvere ai delicati compiti riconducibili all’espletamento dell’attività di
cui si tratta, da un lato, sotto il profilo tecnico-operativo (possesso di
adeguate strutture organizzative, di supporti informatici etc.) dall’altro, per
le condizioni economiche offerte. Il che, peraltro, non conduce a considerare
illegittimo il fatto che l’Amministrazione, nel bandire una gara siffatta,
preveda l’assegnazione di un punteggio a favore di quei concorrenti che si
dichiarino disposti a farsi carico anche di un contratto accessorio di
sponsorizzazione. Come si è ricordato, invero, l’art. 43 della legge n. 449/1997
(richiamato dall’art.119 del T.U. n.267/2000), emanato, si noti, in un momento
successivo rispetto alla decisione della Sezione Quinta n.937/1996, considera
legittimo il contratto di sponsorizzazione quando sia capace di assicurare, tra
l’altro, forme di economia per l’Amministrazione. Appare, quindi, legittima, ad
avviso del Collegio, l’indizione di una gara relativa alla messa a concorso del
servizio di tesoreria in cui, tra i criteri di valutazione, sia prevista
l’attribuzione di punteggio in re-lazione alla disponibilità, manifestata dal
concorrente, a stipulare un contratto di sponsorizzazione e a farsi carico dei
relativi oneri. In presenza della manifestazione di una siffatta disponibilità
da parte del concorrente risultato aggiudicatario si verificherà, in
particolare, un caso di accessione del contratto di sponsorizzazione a quello
relativo al servizio di tesoreria. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre
2003, Sentenza n. 6521 (vedi:
sentenza
per esteso)
Obbligo dell'avviso d'avvio del procedimento
amministrativo - effettiva partecipazione del destinatario - comunicazione
formale - possibilità di contraddire gli assunti della P.A.. L'art. 7 l. 7
agosto 1990 n. 241, recante disposizioni per l'avviso d'avvio del procedimento
amministrativo, non costituisce un mero adempimento di ordine burocratico, ma e'
finalizzato a consentire l’effettiva partecipazione del destinatario del
provvedimento che l’amministrazione intende adottare. Pertanto “l'adeguatezza
dell'istruttoria procedimentale e' valutata anzitutto nella misura in cui i
destinatari di tale avviso siano stati messi in condizione di contraddire gli
assunti della p.a. procedente, di talché può considerarsi equipollente a detto
avviso solo quell'informazione che contenga effettivamente tutti gli elementi
che gli art. 7-8, l. n. 241 del 1990 prescrivono per la comunicazione formale.”
(Consiglio Stato sez. V, 27 gennaio 2000, n. 383). Consiglio di Stato -
Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6305
Il diritto alla retribuzione per le mansioni superiori svolte - esclusione
per tutti i settori del pubblico impiego - eccezioni - l’assegnazione temporanea
che non ecceda i 60 giorni - incarico che ecceda tale termine - trattamento
corrispondente all’attività svolta. Il diritto alla retribuzione per le
mansioni superiori svolte, generalmente escluso per tutti i settori del pubblico
impiego (Ad. Plen. n. 22 del 1999; n. 10 del 2000), ha ottenuto riconoscimento,
a determinate condizioni, nell’area del personale medico del servizio sanitario
nazionale in virtù della norma risultante dall’art. 29 del d.P.R. n. 761 del
1979, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 296 del 1990 e dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella
decisione n. 2 del 1991. Come è noto, la Corte Costituzionale ebbe ad affermare
che l’art. 29, comma 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, va interpretato nel
senso che la maggiorazione della retribuzione all’aiuto ospedaliero che abbia
svolto le funzioni di primario, e all’assistente che eserciti le funzioni di
aiuto, non spetta solo quando l’assegnazione temporanea non ecceda i 60 giorni,
restando fermo che, ove l’incarico ecceda tale termine, al prestatore di lavoro
spetta il trattamento corrispondente all’attività svolta, ai sensi dell’art.
2126, comma 1, c.c. (così anche Corte Cost., n. 130 del 1991; n. 337 del 1993; n.101
del 1995). Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6303
(vedi:
sentenza per esteso)
Ente pubblico e mansioni superiori - presupposti - esistenza di un posto in
organico - attribuzione dell’incarico, con un preventivo atto formale -
esercizio di mansioni superiori - atto formale illegittimo. La
giurisprudenza della sezione ha interpretato, in modo ormai costante e
consolidato, (ex multis: Cons. Stato, sez. V, n. 3845 del 10.7.2000; n. 3085 del
29.5.2000; n. 335 del 26.1.2000 e n. 5660 del 17.10.2002) la disposizione ex
art. 29 DPR. N. 761 del 20 dicembre 1979 nel senso che il riconoscimento alle
differenze retributive postula, indefettibilmente, la presenza di due
presupposti: da un lato l’esistenza di un posto in organico, vacante e
disponibile, al quale le mansioni esercitate siano connesse; dall’altro
l’attribuzione, con un preventivo atto formale, dell’incarico di svolgere le
predette mansioni. Ciò in quanto solo l’esercizio di mansioni superiori avvenuto
in conformità ad una disposizione dettata dall’organo amministrativo dell’ente,
nell’esercizio della propria discrezionalità, riesce ad armonizzare e
contemperare le esigenze di tutela del dipendente con i principi costituzionali
sanciti dall’art. 97, secondo il quale i pubblici uffici sono organizzati in
modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione. Più in particolare, poi, si precisa che è necessario che
l’incarico abbia espressamente ad oggetto l’attribuzione delle mansioni
corrispondenti ad un posto specificamente individuato e vacante. Peraltro, con
riferimento al conferimento dell’incarico, la giurisprudenza ha precisato che,
se è vero che non sempre è necessario un “atto formale, ancorché illegittimo, di
assegnazione a determinate funzioni”, occorre peraltro che il servizio si sia
svolto “in conformità di una disposizione impartita dall’organo amministrativo
dell’Ente pubblico nell’esercizio del suo potere direttivo” (C. Cost. n. 296 del
1990; Sez. V, n. 668 del 2000). In particolare, la giurisprudenza (Cons. St.,
Sev. V, 7 dicembre 1996 n. 1475) ha ulteriormente precisato la portata del
suddetto principio distinguendo l’ipotesi dell’assistente che svolga funzioni di
aiuto da quella dell’aiuto che è addetto ai compiti del primario. Di norma,
infatti, lo svolgimento della funzioni primariali assume rilievo ai fini
retributivi, indipendentemente da ogni atto organizzativo dell’Amministrazione,
poiché non sembra concepibile che la struttura sanitaria, che prevede la
direzione di un primario, resti priva dell’organo di vertice, che assume la
responsabilità dell’attività esercitata dal reparto, mentre la vacanza del posto
di aiuto non implica alcuna automatica investitura dell’assistente
nell’esercizio delle mansioni superiori, potendo l’Amministrazione adottare una
pluralità di soluzioni organizzative. Consiglio di Stato - Sezione V, 15
Ottobre 2003, Sentenza n. 6303 (vedi:
sentenza
per esteso)
Mansioni superiori - la copertura stabile del posto - l’espletamento delle
procedure concorsuali - qualifica funzionale - il cosiddetto blocco delle
assunzioni - principio della adeguatezza del trattamento economico alle mansioni
superiori svolte - la situazione di reggenza oltre un determinato periodo.
Non è condivisibile, l’assunto del giudice di primo grado secondo cui il blocco
delle assunzioni - triennio 1985/1988 - preclude non solo la copertura stabile
del posto ma, inoltre, si pone da ostacolo al conferimento di un incarico
corrispondente alla relativa qualifica funzionale. Inoltre, non è possibile
ritenere che l’indisponibilità del posto sia derivata, per il triennio 1988/1991
dalla controversia che ha condotto all’annullamento del concorso per la
copertura del posto in questione. Invero, il cosiddetto blocco delle assunzioni
viene configurato dalla giurisprudenza quale misura temporanea di carattere
transitorio - in vista di un riassetto generale del settore (nella specie,
sanitario) - collegato ad esigenze straordinarie di contenimento della spesa.
Sempre la giurisprudenza ha chiarito che il blocco non è rivolto non ai concorsi
in sè, ma alle nomine (Cons. Stato, Sez.IV, 20/09/1994, n.719). Alla luce di
tali considerazioni si appalesa erroneo l’iter logico-giuridico seguito dal
giudice di primo grado nel ritenere indisponibile il posto di primario durante
la vigenza del blocco. Invero, come chiarito da questo Consesso << Il principio
della adeguatezza del trattamento economico alle mansioni superiori svolte,
direttamente emergente dall'art. 36 cost. e riaffermato dalla Corte
costituzionale con sentenze 23 febbraio 1989 n. 57 e 19 giugno 1990 n. 296,
trova applicazione in tutti i casi nei quali lo svolgimento di dette mansioni
sia conseguente ad un incarico formale conferito dall'amministrazione al suo
dipendente per sopperire alla mancanza del titolare, senza che possa assegnarsi
rilievo negativo al divieto posto dal regolamento organico di protrarre la
situazione di reggenza oltre un determinato periodo, giacchè l'illegittimità
commessa dall'amministrazione non può tradursi in un giudizio di illiceità
dell'attività svolta dal dipendente destinatario dell'ordine di servizio>> (Cons.
Stato, Sez.VI, 18/07/1997, n.1119). Detta affermazione, mutatis mutandis,
risulta valevole anche per il caso in esame, posto che il divieto di copertura
di posti disposto dalla legge e dal provvedimento regionale concerneva
l’espletamento delle procedure concorsuali e, meglio, la nomina del vincitore al
posto in questione, ma non poteva costituire ostacolo alla retribuzione delle
mansioni superiori svolte. Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003,
Sentenza n. 6303 (vedi:
sentenza
per esteso)
L’istituto dell’arbitrato in materia di lavori pubblici a partire dalla c.d. legge quadro (L.11 febbraio 1994, n.109). Il testo originario dell’art. 32 di tale legge, dopo aver previsto, al primo comma, la conciliazione in via amministrativa delle controversie, al secondo comma, per il mancato raggiungimento dell’accordo, da un lato, devolveva le controversie alla competenza del giudice ordinario e, dall’altro, vietava che nei capitolati generali o speciali fosse previsto il deferimento delle controversie ai collegi arbitrali. Tale disposizione fu contestata sia per il suo possibile contrasto con numerose disposizioni della Costituzione (artt.24, 113, 3 e 97) sia perchè privava il settore di un istituto avente una crescente rilevanza, in dipendenza del mutamento in atto nell’assetto dello Stato: nella struttura amministrativa, nell’organizzazione giudiziaria, nei rapporti con i cittadini. Ciò in relazione all’aumento del valore dell’autonomia privata ed alla luce della moderna concezione del diritto amministrativo, fondata sul pluralismo istituzionale e sull’esercizio di compiti pubblici non in forza del principio dell’autorità dell’amministrazione bensì con la collaborazione dei soggetti interessati e con il ricorso ad istituti convenzionali e paritari. Il Governo, con numerosi decreti-legge, via via reiterati fino al D.L. 31 gennaio 1995, n.26, sospese, fino al 30 giugno 1995, l’applicazione di quasi tutte le disposizioni della legge n.109/1994, fra cui quelle contenute nell’art.32. Con l’art. 9 bis del D.L. 3 aprile 1995, n.101, convertito in legge, con modificazioni, dalla L.2 giugno 1995, n.216, si ebbe il capovolgimento della previsione in materia, in quanto esso disponeva, al comma 1, che, qualora non si fosse raggiunto l’accordo bonario previsto dall’articolo precedente, la definizione delle controversie “è attribuita ad un arbitrato ai sensi delle norme del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile”. Anche questa disposizione diede luogo a problemi, soprattutto in relazione alla sua formulazione che sembrava prevedere un arbitrato obbligatorio, istituto, questo, ritenuto incostituzionale (come si vedrà in seguito) dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale. L’art. 10 della L.18 novembre 1998, n.415 contiene un testo interamente sostitutivo dell’art. 32 della legge n.109/1994 ed è quello vigente (salvo modificazioni, che in questa sede non interessano, introdotte dall’art. 7 della L.1° agosto 2002, n.166). Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2003, Sentenza n. 6335 (vedi: sentenza per esteso)
P.A. - giudizio di ottemperanza - giustificazione dell’atto di
diffida. Non è necessaria la preventiva messa in mora dell’Amministrazione
ad adempiere allorchè essa, abbia adottato un atto (che si assume) difforme dal
giudicato da eseguire, essendo con ciò venuta a mancare quell’inerzia che
costituisce presupposto e giustificazione dell’atto di diffida (cfr. Cons. St.,
sez. IV, n. 746/1988; Cons. St., sez. IV, n. 219/1994; Cons. St., sez. V, n.
49/1994). Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6334
(vedi:
sentenza per esteso)
Comportamento del tutto inerte della P.A - giudizio di ottemperanza -
inottemperanza parziale o erronea del giudicato - elusione del giudicato -
giurisprudenza. Il giudizio di ottemperanza è previsto per il caso che
l’Amministrazione non abbia ottemperato al giudicato. Questa ipotesi,
inizialmente individuata nella inottemperanza totale, che si verifica nel caso
di comportamento del tutto inerte della P.A. o in quello di formale
dichiarazione della P.A. di non voler adempiere (cfr. Cons. St., sez. VI, n.
469/1991), com’è noto è stata successivamente estesa anche al caso di
inottemperanza parziale o erronea del giudicato, e a quello della elusione del
giudicato, situazione quest’ultima che si verifica quando la P.A., in seguito
alla formazione del giudicato, adotti un provvedimento che, al di là della
formale enunciazione di adempiere, deneghi, nella sostanza, l’esecuzione della
statuizione giudiziale, ponendosi in contrasto con i doveri derivanti dal
giudicato (cfr. C.G.A., n. 13/1986), come, ad esempio, nel caso di adozione di
meri atti istruttori, preparatori od endoprocedimentali (cfr. Cons., St., sez.
IV, decc. n. 1225/1992 e n. 416/1990). La giurisprudenza prevalente ha, quindi,
qualificato come nulli, in quanto emanati in carenza di potere - con la
conseguente sindacabilità da parte del giudice dell’ottemperanza senza la
necessità di una specifica impugnazione da parte del cittadino - gli atti
elusivi (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1001/1991; Cons. St., sez. VI, n. 250/1995;
Cons. St., sez. V, n. 238/1992; C.G.A., n. 369/1996); ma tale qualificazione
(nullità) ha adottato anche per gli atti violativi del giudicato nei casi in cui
da esso discendano obblighi tanto puntuali da non lasciare alcuno spazio alla
discrezionalità (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 304/1992; Cons. St., Ad. Plen., n.
5/1991). In considerazione della problematicità della distinzione fra le ipotesi
di elusione e quelle di violazione del giudicato (rispetto alle prime il rimedio
sarebbe il ricorso per l’ottemperanza, mentre rispetto alle seconde sarebbe
l’impugnazione ordinaria per l’annullamento dell’atto: cfr. Cons. St., sez. V,
n. 269/1992), la giurisprudenza si è orientata nel senso che, ove dal giudicato
emergano vincoli puntuali nei confronti dell’operato della P.A., e questa li
trasgredisca - esplicitamente o implicitamente - allora sarebbe proponibile il
rimedio dell’ottemperanza, mentre, ove residui in capo alla P.A., per effetto
dello stesso giudicato, ovvero per sopravvenienze di diritto o di fatto, un
margine di discrezionalità in ordine all’adempimento e di tali poteri
discrezionali venga in concreto fatto uso, andrebbe proposta l’impugnazione
ordinaria ai sensi degli artt. 21 e ss. L. n. 1034/1971 (cfr. Cons. St., Ad.
Plen., decc. n. 23/1978 e n. 2/1980). Tale orientamento, che si regge sul
carattere vincolato o discrezionale degli adempimenti dell’Amministrazione,
appare al Collegio preferibile, in considerazione della portata pratica
dell’annullamento, che è differente in relazione ai vizi accertati dal giudice
nella sentenza (vizi formali o vizi di legittimità sostanziale) e in relazione
ai caratteri del potere (discrezionale o vincolato) attribuito
all’Amministrazione; e, infatti, esso è stato in seguito precisato nel senso che
solo nel caso in cui dal giudicato scaturisca un obbligo così puntuale da non
lasciare margini di discrezionalità in sede di rinnovazione, l’assunzione di
provvedimenti in violazione di tale obbligo può essere fatta valere col giudizio
di ottemperanza (cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 6/1984). Consiglio di Stato,
Sez. IV, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6334 (vedi:
sentenza
per esteso)
Esperibilità del giudizio di ottemperanza. Ai fini dell’esperibilità
del giudizio di ottemperanza, gli atti emanati dall’Amministrazione dopo
l’annullamento giurisdizionale possono considerarsi in violazione del giudicato
solo allorché da questo derivi un obbligo talmente puntuale che l’ottemperanza
ad esso si concreti nell’adozione di un atto il cui contenuto sia integralmente
desumibile dalla sentenza, mentre di fronte ad un giudicato che, come nel caso
di specie, imponga un semplice vincolo alla successiva attività discrezionale
dell’Amministrazione, gli atti eventualmente emanati da questa sono soggetti
all’ordinario regime di impugnazione, anche quando si discostino dai criteri
indicati nella sentenza, in quanto in tale evenienza è configurabile solo un
vizio di legittimità (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 899/1994), a meno che
l’esplicazione della residua potestà discrezionale venga posta in essere senza
alcuna considerazione delle statuizioni contenute nella sentenza, sì da
risultare, in modo concludente, predeterminata ad eludere il giudicato (cfr.
Cons. St., sez. VI, n. 1045/1994; Cons. St., sez. IV, n. 482/1988). Consiglio
di Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6334 (vedi:
sentenza
per esteso)
L’interpretazione degli atti amministrativi -
il termine revoca - annullamento ex nunc per fatti sopravvenuti - annullamento
ex tunc salvi gli effetti irretrattabili - interesse concreto all’autotutela.
Gli atti amministrativi vanno interpretati non solo in base al tenore letterale,
ma anche risalendo alla effettiva volontà dell’amministrazione ed al potere
concretamente esercitato, cosicché occorre prescindere dal nomen iuris adottato
ai fini dell’inquadramento degli stessi all’interno delle tradizionali categorie
dell’annullamento, che opera per vizi di legittimità, con effetto ex tunc, e
della revoca, in presenza di vizi di merito, che opera ex nunc. Sul punto si è
espressa di recente anche l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, con la
decisione 23 gennaio 2003, n. 3/03, affermando che “l’atto amministrativo va
qualificato per il suo effettivo contenuto, per quanto effettivamente dispone,
non già per la sola qualificazione che l’autorità, nell’emanarlo, eventualmente
ed espressamente gli conferisca”. E a testimonianza dell’incertezza derivante
dalla mera terminologia utilizzata per etichettare l’atto, la giurisprudenza di
questa Sezione ha ribadito che il termine revoca si riferisce talora
all’annullamento ex nunc per fatti sopravvenuti, talora all’annullamento ex tunc,
salvi gli effetti irretrattabili, compiuto dalla stessa Autorità che aveva
emanato il provvedimento rivelatosi viziato, per ragioni già esistenti al tempo
del primo provvedimento, a nulla rilevando se l’illegittimità non sia stata
originariamente rilevata per colpa dell’amministrazione, ma essendo sufficiente
un interesse concreto all’autotutela (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio
1999, n. 50). Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6316
La distinzione tra revoca d’ufficio di un atto amministrativo ed
annullamento d’ufficio - il termine revoca è frequentemente usato come sinonimo
di ritiro, pertanto, l’esatta portata del provvedimento di eliminazione deve
essere accertata caso per caso - l’esercizio del ius poenitendi - “revoca”
dell’atto con portata retroattiva. La distinzione tra revoca d’ufficio di un
atto amministrativo (eliminazione per ragioni di merito, cioè di convenienza ed
opportunità), ed annullamento d’ufficio (eliminazione dell’atto per motivi di
legittimità, e con efficacia ex tunc), sebbene pacifica in dottrina ed in
giurisprudenza, viene spesso trascurata nella pratica amministrativa, per cui il
termine revoca è frequentemente usato come sinonimo di ritiro, e cioè di
eliminazione dell’atto quali ne siano le ragioni, da parte della stessa autorità
emanante; pertanto, l’esatta portata del provvedimento di eliminazione deve
essere accertata caso per caso (cfr., Cons. Stato, 21 ottobre 1992, n. 1049). Al
riguardo, ritiene il Collegio che il provvedimento con cui il Comune di
Catanzaro ha eliminato la delibera del C.C. n. 732 del 29 aprile 1975 va
qualificato, appunto, come atto di ritiro, esercizio di ius poenitendi, che può
essere esercitato dalla amministrazione, per motivi di legittimità od
opportunità, in presenza di atti non ancora efficaci e non ancora eseguiti, che,
in quanto tali, non fanno nascere questioni attinenti a diritti acquisiti o
goduti. Nel caso di specie, l’insussistenza di tali diritti è stata
riconosciuta, in modo definitivo, con la decisione del Consiglio di Stato, Sez.
V, n. 399 dell’11 aprile 1996, che ha sancito la legittimità della delibera di
ritiro, mettendo in risalto, per l’appunto, la mancata esecuzione, da parte del
Comune, del proprio deliberato. Questa circostanza, unita alla inequivocabile
volontà dell’ente di non attribuire alcun effetto, fin dall’origine, alla
delibera oggetto del provvedimento di ritiro, non lascia dubbi in ordine al
potere concretamente esercitato dall’Amministrazione, nel senso della “revoca”
dell’atto con portata retroattiva. Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre
2003, Sentenza n. 6316
Il trasferimento del dirigente di una rappresentanza sindacale aziendale è consentito solo previo nulla - osta dell'associazione sindacale di appartenenza - la garanzia posta dall'art. 22 l. 20 maggio 1970 n. 300 - diritto a fruire dei permessi previsti all'espletamento del loro mandato. Come chiarito da Cass. civ., Sez.lav., 19/11/1997, n.11521 (cfr. anche Cass. civ., Sez.lav., 03/09/1991, n.9329), <<la garanzia posta dall'art. 22 l. 20 maggio 1970 n. 300 - per cui il trasferimento del dirigente di una rappresentanza sindacale aziendale è consentito solo previo nulla - osta dell'associazione sindacale di appartenenza - riguarda i lavoratori che, a prescindere dalla qualificazione meramente nominalistica della loro posizione nell'organismo sindacale suddetto, svolgano, per le specifiche funzioni da essi espletate, un'attività tale da poterli far considerare responsabili della conduzione della rappresentanza sindacale; la norma ha come destinatari gli stessi dirigenti titolari del diritto a fruire dei permessi previsti dall'art. 23 della stessa legge, trattandosi di coloro che per la qualità corrispondente al loro incarico debbono provvedere all'espletamento del loro mandato eseguendo le deliberazioni delle rispettive rappresentanze nonchè trattando con i terzi o con il datore di lavoro>>. Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6314
Destituzione dal rapporto di pubblico impiego
- recesso dal contratto - scioglimento del rapporto. Il recesso dal
contratto (e il relativo procedimento applicativo) non appare, istituto di
maggiore gravità rispetto alla destituzione dal rapporto di pubblico impiego, in
quanto si tratta, comunque, in entrambi i casi, di determinazioni volte a
sciogliere il rapporto (sul punto, cfr. Sez.. V, n.1517 del 2001). Consiglio
di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6313
La legittimità di un provvedimento amministrativo - causa di invalidità per
effetto di eventi verificatisi successivamente alla sua emanazione. La
legittimità di un provvedimento amministrativo va valutata con riferimento alla
situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, non
potendo quest’ultimo acquisire una causa di invalidità per effetto di eventi
verificatisi successivamente alla sua emanazione (Cons. Stato, Sez. IV,
30/09/2002, n. 4994; v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 02/04/2002, n. 1815; Cons.
Stato, Sez. IV, 26/09/2001, n. 5077 ; Cons. Stato, Sez. IV, 03/03/2000, n. 1126
; Cons. Stato, Sez. IV, 03/03/1997, n. 181;Cons. Giust. Amm. Sic., Sez. Consult.,15/06/1993,
n. 316; Cons. Giust. Amm. Sic., 10/05/1988, n. 87 ;Cass. Civ., Sez. I,
29/12/1994, n. 11268). Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza
n. 6309
La sanzione disciplinare - norme sulla competenza. In materia
disciplinare, le norme sulla competenza sono di regola quelle vigenti al momento
in cui viene assunta la sanzione disciplinare; tale regola generale può essere
derogata solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui “ai fini dell’individuazione
della disposizione sanzionatoria più favorevole, gli istituti procedimentali
preesistenti ad essa collegabili influiscano nel dare alla disposizione un
carattere di diverso rigore, in senso vantaggioso” (Cons. Stato, Sez. VI,
31/07/1987, n. 503). Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza n.
6309
Rapporti di lavoro subordinato pubblico -
equiparazione dipendenti privati - credito retributivo contestato - ordinario
termine di prescrizione decennale - disparità di trattamento - termine
quinquennale. Va messo in rilievo che risulta ormai superato l'orientamento
che, con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato pubblico, riteneva
applicabile l’ordinario termine di prescrizione decennale nell'ipotesi in cui il
credito retributivo fosse contestato, o, comunque, richiedesse un formale atto
di accertamento da parte dell'Amministrazione. Argomentando in tal modo si
determinerebbe un’ingiusta disparità di trattamento con le analoghe pretese dei
dipendenti privati, soggette certamente al suddetto termine quinquennale dopo
che, a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 2, comma 1 del
R.D.L. 19 gennaio 1939 n. 295 (Corte Cost. n. 50/81), l’articolo 2 della legge 7
agosto 1985, n. 428 ha elevato da due a cinque anni il termine prescrizionale
delle rate di stipendio e delle differenze arretrate dei medesimi, equiparando
il regime dei crediti dei dipendenti statali alla disciplina generale dettata
dall’art. 2948 n. 4 c.c.. Norma quest'ultima che non prevede distinzioni
nell’ambito dei crediti di lavoro (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 3
febbraio 2000, n. 647; Cons. Stato, sez. VI, n. 5257 del 2001; Cons. Stato, sez.
IV, n. 1788 del 2003). Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, Sentenza
n. 6307 (vedi:
sentenza
per esteso)
Rapporto di pubblico impiego - nullità in senso tecnico degli atti di assunzione contra legem - rilevabilità d’ufficio dal giudice. Il giudice amministrativo non può accertare un rapporto che non è sorto, non sussiste e non può giuridicamente sussistere. La nullità in senso tecnico degli atti di assunzione contra legem, sancita dalla legge (per il personale del comparto sanitario si veda l’art. 9 del DPR 761/79) e rilevabile d’ufficio dal giudice, evidenzia che il legislatore qualifica come rapporto di pubblico impiego solo quello che sia riconducibile ai provvedimenti tipici previsti dall’ordinamento, per cui se essi mancano, e cioè se manca l’atto genetico individuato come tale dalla legge (in particolare assunzione sulla base di concorso o prova selettiva), anche quando l’Amministrazione può organizzare lo svolgimento di un servizio pubblico, non si può ammettere che in concreto sussista un rapporto di pubblico impiego, né il giudice amministrativo può accertare l’esistenza di un rapporto che giuridicamente poteva essere costituito solo da uno dei provvedimenti previsti dalla normativa di settore e che non può essere costituito di fatto (Cons. Stato, V, 12 dicembre 1996, n. 1508; 13 novembre 1997, n.1293; 7 ottobre 1998, n.1422). Conforme: Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenze nn. 6066 - 6065 - 6064 - 6063 - 6062 - 6061 - 6060 - 6059 - 6058. Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenza n. 6067
Rapporto d’impiego - l’inquadramento in ruolo - gli effetti retributivi o previdenziali. Se l’art. 3 della legge 20 maggio 1985 n. 207, contenente disposizioni sull’assunzione straordinaria in ruolo del personale avventizio delle Unità sanitarie locali, nel prescrivere che l’inquadramento in ruolo avvenga senza valutazione dell’anzianità pregressa, impedisce la valutazione di una decorrenza retroattiva dell’inquadramento in ruolo, esso non preclude al giudice adito di accertare se il rapporto precedente avesse le caratteristiche della subordinazione, solo ai fini, però, degli effetti retributivi o previdenziali che, ai sensi dell’art. 2126 c.c., conseguono a un rapporto d’impiego anche se illegittimamente instaurato (Cons. Stato, V, 26 settembre 2002, n. 4942; in precedenza v. già V, 17 maggio 1997, n. 507). Conforme: Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenze nn. 6066 - 6065 - 6064 - 6063 - 6062 - 6061 - 6060 - 6059 - 6058. Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenza n. 6067
L’immissione straordinaria nei ruoli in deroga
al principio del pubblico concorso - sanatoria del personale precario -
inquadramento nei ruoli delle Unità sanitarie locali. Con riferimento agli
artt. 3 e 36 Cost., la questione di legittimità costituzionale del predetto art.
3, della legge 20 maggio 1985 n. 207 (in deroga al principio del pubblico
concorso richiesto per la generalità degli aspiranti a posti nel pubblico
impiego, l’immissione straordinaria nei ruoli), nella parte in cui ha limitato
la decorrenza dell’inquadramento nei ruoli delle Unità sanitarie locali dalla
data del provvedimento, con esclusione di ogni riconoscimento di anzianità
pregressa, a differenza dell’art. 1 stessa legge, che per il personale ivi
contemplato ha fatto decorrere, invece, gli effetti dell’inquadramento dalla
data di entrata in vigore della citata legge n. 207, ciò in quanto la diversa
previsione del legislatore, con riferimento agli effetti e ai contenuti della
sanatoria del personale precario, non è apparsa né ingiustificata né
irragionevole, stante la diversità sostanziale e non meramente formale dei
rapporti pregressi prefigurati dai citati artt. 1 e 3, nell’un caso di natura
dipendente nell’altro di natura professionale (Cons. Stato, V, 18 ottobre 2000,
n. 5575). E’ dunque evidente come l’inquadramento predetto possa atteggiarsi
alla stregua di un vero e proprio provvedimento di costituzione del rapporto
d’impiego, anteriormente al quale è di norma ravvisabile un rapporto
convenzionale caratterizzato dallo svolgimento di una prestazione lavorativa
retribuita dall’Amministrazione (Cons. Stato, V, 2 giugno 2000, n. 3188).
Conforme: Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenze nn. 6066
- 6065 - 6064 - 6063 - 6062 - 6061 - 6060 - 6059 - 6058. Consiglio di Stato -
Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenza n. 6067
Rapporto di pubblico impiego - rapporto di lavoro instaurato con
l’Amministrazione in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano -
esistenza in concreto degli “indici rivelatori” - il nomen iuris di contratto di
appalto ovvero d’opera - applicazione l’art. 2126 c.c. - posizione contributiva
e previdenziale - rapporto di fatto - rapporto di fatto - presupposti
sostanziali del rapporto. L’esistenza in concreto degli “indici rivelatori”
della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego ai fini del riconoscimento
della natura di tale rapporto in sede di giurisdizione amministrativa, occorre
però riconoscere che qualora la P.A. ponga in essere, anche se sotto il nomen
iuris di contratto di appalto ovvero d’opera, un rapporto avente in realtà le
caratteristiche del lavoro subordinato, seppur nullo di diritto atteso che si è
provveduto all’assunzione senza il superamento del prescritto concorso o della
eventuale prova selettiva, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione
trova comunque applicazione l’art. 2126 c.c., con conseguente diritto
dell’interessato alle relative (eventuali) differenze retributive ed alla
regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (Cons. Stato, V, 3
giugno 1996, n.618; 23 giugno 1997, n.709; 24 agosto 2000, n. 4605). Il rapporto
di lavoro instaurato con l’Amministrazione in contrasto con le disposizioni che
lo disciplinano nasce, dunque, e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale
gli indici rilevatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di
astratta qualificazione al fine della determinazione della giurisdizione (già
esclusiva del giudice amministrativo in virtù della fictio iuris di validità del
rapporto nullo ai soli fini di cui all’art. 2126 c.c.) e della disciplina
economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni
lavorative (Cons. Stato, A..P., 29 febbraio 1992, n.1; Cons. Stato, V, 1°
febbraio 1995, n.157; 22 giugno 1996, n.784). A tal fine occorre aver riguardo
non tanto alle connotazioni formalistiche del rapporto, quanto alla presenza dei
presupposti sostanziali del rapporto medesimo quali, ad esempio, la
subordinazione gerarchica, la non provvisorietà della prestazione, l’inserimento
del lavoratore nell’organizzazione interna dell’Ente, il rispetto di un preciso
orario di lavoro (cfr. Cons. Stato, IV, 3 marzo 1997, n. 176). Conforme:
Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenze nn. 6066 - 6065 - 6064
- 6063 - 6062 - 6061 - 6060 - 6059 - 6058. Consiglio di Stato - Sezione V, 9
Ottobre 2003, Sentenza n. 6067
P.A. - rapporto di lavoro pubblicistico a
tempo determinato - conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato -
impossibilità. Il rapporto di lavoro pubblicistico a tempo determinato non
può essere convertito in rapporto di lavoro a tempo indeterminato ai sensi, in
particolare, della legge n. 230 del 1962 (cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 22
giugno 1998, n. 918; 13 novembre 1997, n. 1293; 13 giugno 1998, n. 828; IV, 3
novembre 1998, n. 1419). Conforme: Consiglio di Stato - Sezione V, 9
Ottobre 2003, Sentenze nn. 6054 - 6053 - 6052. Consiglio di Stato - Sezione
V, 9 Ottobre 2003, Sentenza n. 6056
P.A. - conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a
tempo indeterminato - inapplicabile agli Enti locali - nullità del rapporto -
configurazione del rapporto - impugnazione. In tema di conversione del
rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato - per
giurisprudenza affermata l’art. 2 della legge 18 aprile 1962 n. 230 - è
inapplicabile agli Enti locali, stante precipuamente il divieto, sanzionato con
la nullità del rapporto, di assunzione temporanea o di conferma in servizio di
personale avventizio in violazione delle norme sul reclutamento di tali
dipendenti, sancito dall’art., 5 comma 18, del d.l. 10 novembre 1978 n. 702,
convertito in legge 8 gennaio 1979 n. 3 (Cons. Stato, V, 15 febbraio 2000, n.
809), occorre d’altra parte avvertire, ribadendo concetti già sopra accennati,
che in tema di pubblico impiego l’eventuale violazione delle disposizioni di
legge sulla costituzione di rapporti a tempo determinato (legge 18 aprile 1962
n. 230) si risolve, comunque, in un vizio di legittimità dell’atto autoritativo
di nomina (o di proroga della nomina), che va tempestivamente impugnato, secondo
le regole generali; pertanto, allorché i provvedimenti di nomina (o di proroga)
siano divenuti inoppugnabili, non è possibile contestarne la legittimità al fine
di far derivare, da una diversa configurazione del rapporto, pretese a diritti
od indennità. Conforme: Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003,
Sentenze nn. 6054 - 6053 - 6052. Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre
2003, Sentenza n. 6056
Il provvedimento di inquadramento del pubblico dipendente in una qualifica
superiore - carattere autoritativo - interesse legittimo - diritto soggettivo -
impugnazione dei provvedimenti effettivamente incidenti sulle posizioni di
interesse legittimo. Il provvedimento di inquadramento, pur essendo
espressione di attività vincolata (con la conseguente inconfigurabilità delle
tradizionali forme sintomatiche dell’eccesso di potere), ha nondimeno carattere
autoritativo, per cui nei suoi confronti sono configurabili soltanto situazioni
di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, suscettibili di autonoma
azione di accertamento (cfr. Cons. Stato, V, 17 marzo 2003, n. 1372). Con la
conseguenza che va dichiarata inammissibile l’azione volta all’accertamento del
diritto all’inquadramento del pubblico dipendente in una qualifica superiore,
essendo proponibile una siffatta azione in sede di giurisdizione esclusiva solo
quando viene fatta valere una posizione di diritto soggettivo, e che va
verificata, di volta in volta, la tempestiva impugnazione dei provvedimenti
effettivamente incidenti sulle posizioni di interesse legittimo radicatesi in
capo al dipendente. Consiglio di Stato Sezione V - 3 ottobre 2003, Sentenza
n. 5744
La Pubblica amministrazione non ha l’obbligo di provvedere sull’istanza di
riesame e di revisione di un inquadramento già disposto nei riguardi di un suo
dipendente e non più impugnabile - esigenze di certezza dei rapporti giuridici -
disponibilità di bilancio. La Pubblica amministrazione non ha l’obbligo di
provvedere sull’istanza di riesame e di revisione di un inquadramento già
disposto nei riguardi di un suo dipendente e non più impugnabile, in quanto è
libera di verificare se l’inoppugnabilità dei propri atti meriti o meno di
essere superata da successive valutazioni che tengano eventualmente conto del
decorso del tempo, delle esigenze di certezza dei rapporti giuridici e delle
disponibilità di bilancio (cfr. Cons. Stato, V, 27 luglio 2002, n. 4054).
Consiglio di Stato Sezione V - 3 ottobre 2003, Sentenza n. 5744
L’impiegato sottoposto a procedimento penale può essere sospeso dal servizio
- provvedimento facoltativo - pregiudizio derivante dalla permanenza in servizio
del dipendente. L’articolo 91 del testo unico sullo stato giuridico
degl’impiegati civili dello Stato emanato con decreto del presidente della
repubblica 10 gennaio 1957 n. 3, applicabile anche ai dipendenti delle unità
sanitarie locali e in forza del quale è stato emanato il provvedimento impugnato
nel presente giudizio, dispone: «L’impiegato sottoposto a procedimento penale
può essere, quando la natura del reato sia particolarmente grave, sospeso dal
servizio». Il provvedimento, essendo facoltativo, dev’essere motivato; ma la
motivazione verte sull’opportunità o meno di mantenere l’impiegato in servizio,
in relazione alla gravità dei fatti addebitati. Non occorre invece che il
provvedimento esponga analiticamente i fatti criminosi addebitati all’imputato,
e anzi semmai l’amministrazione deve evitare di pubblicizzare inutilmente fatti
che costituiscono oggetto d’accertamento da parte del magistero penale; e
neppure occorre che l’amministrazione s’addentri nella disamina dei
provvedimenti emessi e delle valutazioni effettuate nel corso del procedimento
penale, essendo invece necessario e sufficiente che l’amministrazione motivi,
come ha fatto nel caso in esame, in ordine al pregiudizio ad essa derivante
dalla permanenza in servizio del dipendente. Consiglio di Stato Sezione V - 3
ottobre 2003, Sentenza n. 5740
La qualifica rivestita nell'Amministrazione di provenienza ai fini della
determinazione dell'indennità di sede estera - irrilevanza. E’ irrilevante
la qualifica rivestita nell'Amministrazione di provenienza ai fini della
determinazione dell'indennità di sede estera, la quale rimane stabilita con
esclusivo riferimento al posto-funzione conferito con provvedimento formale al
personale in servizio all'estero (cfr. in tal senso - sulla scorta della
normativa introdotta dagli artt. 22, comma 32, della legge 23 dicembre 1994, n.
724 e 1, comma 38, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 - le decisioni 12 agosto
1996, n. 96; 22 febbraio 1999, n. 210; 4 marzo 1999, n. 246; 5 luglio 1999, n.
1152; e, da ultimo, la decisione 23 novembre 1999, n. 1738, su appello proposto
avverso la medesima sentenza). Consiglio di Stato Sezione IV - 2 ottobre
2003, Sentenza n. 5720
Ausili pecuniari pubblici - costituisce oggetto di un'obbligazione (pubblica)
- provvedimento amministrativo di natura concessoria e di carattere
discrezionale - assistenza di soggetti portatori di handicap. La posizione
giuridica dell'aspirante al contributo previsto nella Regione Campania dalla L.
reg. 25 agosto 1989 n. 16 per le famiglie che provvedono direttamente
all'assistenza di soggetti portatori di handicap, è di interesse legittimo. (cfr.
fra le tante IV Sez., 7 ottobre 1997 n. 1082). In tal senso, del resto, la
Suprema Corte ha chiarito che il contributo in questione appartiene alla
categoria degli ausili pecuniari pubblici e costituisce oggetto di
un'obbligazione (pubblica) che non trae origine direttamente dalla legge ma
nasce da un provvedimento amministrativo di natura concessoria e di carattere
discrezionale (SS.UU. 15.2.1994 n. 1471). Conforme: Consiglio di Stato Sezione
IV - 2 ottobre 2003, Sentenze nn. 5718 - 5717 - 5716 - 5715 - 5714 - 5713.
Consiglio di Stato Sezione IV - 2 ottobre 2003, Sentenza n. 5719
P.A. - eccesso di potere per disparità di trattamento - presupposti. Al fine di configurare il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento è necessario che sussista un rapporto di assoluta coincidenza fra la situazione dedotta in giudizio e quella richiamata come termine di paragone, in modo da dimostrare l'esistenza nella condotta dell'Amministrazione della lamentata disuguaglianza di trattamento e di un contrasto logico insanabile o di una palese ingiustizia (Cons. Stato, Sez.V, 06/05/1997, n.476). La disparità di trattamento è sinonimo di eccesso di potere solo quando vi sia un'assoluta identità di situazioni oggettive, che valga a testimoniare dell'irrazionalità delle diverse conseguenze tratte dall'amministrazione (Cons. Stato, Sez.V, 10/02/2000, n.726). Nel caso in esame risulta evidente la differenza fra le due fattispecie; d’altro canto, gli appellanti parlano di “pratica analoga”, mentre la giurisprudenza è ferma nel richiedere un rapporto di assoluta coincidenza fra la situazione dedotta in giudizio e quella richiamata come termine di paragone. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5665
Servizi che la pubblica amministrazione è tenuta a garantire - la predisposizione dei turni - l’espletamento del lavoro straordinario - casi di autorizzazione implicitamente data. La predisposizione dei turni, infatti, presuppone già l’espletamento del lavoro straordinario. In questo senso il servizio di infermeria, in quanto tale volto ad assicurare il rispetto del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 della Costituzione, necessita inderogabilmente di un espletamento continuo ed efficiente; al servizio svolto in quest'ambito non può disconoscersi dunque la dovuta retribuzione. Detta autorizzazione deve ritenersi implicitamente data ogni qual volta si versi in ipotesi di lavori organizzati sulla base di turnazioni tra il personale disponibile nell'ambito di attività cui il dipendente deve obbligatoriamente partecipare o nell'ambito di un servizio che la pubblica amministrazione è tenuta a garantire (Consiglio di Stato, IV Sez., dec. 17 dicembre 1998, n. 1813; V Sez. dec. 28 febbraio 1995, n. 287). Conforme: Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenze nn. 5471 - 5470 - 5469 - 5468 - 5467 - 5466 - 5465. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5472
La partecipazione ai bandi di concorso (di vigile urbano) - requisiti - professionalità - la discrezionalità dell'amministrazione - limiti - lex specialis del concorso - visus dei due occhi. Le norme di bando che prescrivono requisiti per la partecipazione ai concorsi devono essere coerenti con le professionalità che i vincitori saranno chiamati a ricoprire (C.G.A.R.S. 3 novembre 1999, n. 590; Consiglio di Stato V sez., 2 dicembre 2002, n. 6606). In tal senso deve ritenersi limitata la discrezionalità dell'amministrazione nella fissazione della lex specialis del concorso. (Nel caso di specie, non appare razionale che per la partecipazione ad un concorso per l'assunzione di vigili urbani, non destinati peraltro a compiti o servizi speciali, venga richiesto il requisito del visus di 10/10 senza correzione. Requisito, quest'ultimo, non richiesto peraltro nemmeno per l'ammissione al concorso nell'Arma dei Carabinieri o nella Polizia di Stato ove sono richiesti un visus naturale non inferiore a 12/10 complessivi, quale somma del visus dei due occhi, con non meno di 5/10 nell'occhio in cui si vede di meno (cfr. in questo senso, Consiglio di Stato, V Sez., 2 dicembre 2002, n. 6606)). Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5457
P.A. - insufficiente rendimento del dipendente - valutazione negativa sul servizio svolto - dispensa - l’atto della ammonizione - requisiti di forma e contenuto - adempimenti essenziali - l’invito reiterato, a riprendere servizio - assenza ritenuta ingiustificata. L’atto della ammonizione, prescritto dall’art. 129 del D.P.R. n. 3 del 1957, (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) pur non richiedendo particolari requisiti di forma, deve però possedere il contenuto di un avvertimento al dipendente, con il quale gli si fa presente che, persistendo l’insufficiente rendimento, egli verrà dispensato. Si tratta in sostanza di esplicitare una valutazione negativa sul servizio svolto, evidenziando il rischio cui il dipendente è esposto, al fine di provocare un mutamento nella qualità e nella quantità della prestazione resa. Ne consegue che l’invito, anche reiterato, a riprendere servizio in caso di assenza ritenuta ingiustificata, in disparte ogni valutazione sulla legittimità dell’atto nella fattispecie, non può assolvere alla funzione cui è preordinata l’ammonizione. Deve dunque concludersi che l’appellante ha omesso un adempimento essenziale per la legittimità del procedimento posto in essere, e il relativo motivo di appello va dunque rigettato. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5447
Contratti della P.A. - soggetto
condannato per concussione per fatti attinenti ad una gara pubblica -
affidamento dell’appalto - esclusione - affidabilità professionale del
concorrente - professionalità di medico, ingegnere o avvocato - sentenze di
condanna - mancata dichiarazione - condanne penali ex art. 444 c.p.p. -
funzionari dell’Amministrazione - ragioni di opportunità - legittimità -
fattispecie. L’attività di amministratore di una USL non costituisce affatto
una attività politica ma di amministrazione di risorse finanziarie pubbliche e
di strutture ,personali ed organizzative, anch’esse pubbliche . L’attività
svolta in tale contesto, sia per i risvolti positivi che per quelli negativi,
costituisce parte integrante del bagaglio professionale di ciascun
amministratore e non può essere cancellata nel valutare la sua affidabilità
professionale solo perché, cessata l’attività di gestione dell’Ente pubblico,
egli riprenda la sua attività ordinaria secondo la sua specifica
specializzazione o professionalità di medico, ingegnere o avvocato. In altri
termini una volta esaurita l’attività di gestione la professionalità del singolo
è costituita anche da questa sua esperienza e coerentemente la sua moralità
professionale dovrà essere valutata anche con riguardo agli eventi che tale
attività hanno caratterizzato. Quando si deve valutare la affidabilità
professionale o la moralità professionale di un soggetto non può prescindersi
anche dalla considerazione della sua professionalità per come nel tempo si è
manifestata. E’, peraltro , corretto sostenere che ciò debba avvenire avendo
riguardo al tipo di rapporto che con un determinato soggetto deve essere
instaurato , alla gravità del reato in relazione alla tipologia del rapporto ed
alle condizioni che in concreto inducono a ritenere che un vincolo contrattuale
con quel soggetto non debba essere costituito. Nel caso di specie tutti questi
elementi concorrono positivamente: il reato per cui è intervenuta condanna (
richiesta ed accettata) è la concussione continuata compiuta nell’ambito di
procedure di aggiudicazione e la vicenda amministrativa qui in esame riguarda
l’aggiudicazione di un appalto di servizi, il reato di concussione è tra i più
gravi in relazione alla prevista possibilità di instaurare un rapporto
contrattuale con il condannato e , quindi, la valutazione discrezionale sulla
necessità di escluderlo non può ,coerentemente con le premesse svolte, che
essere condivisa. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003,
sentenza n. 5321 (vedi:
sentenza
per esteso)
Contratti della P.A. - soggetto condannato per concussione per fatti
attinenti ad una gara pubblica - appalti di servizi soprasoglia - affidamento
dell’appalto - esclusione - affidabilità professionale del concorrente -
sentenze di condanna - mancata dichiarazione - condanne penali ex art. 444
c.p.p. - funzionari dell’Amministrazione - ragioni di opportunità - legittimità
- fattispecie. La norma dell’art. 12 del D. Lvo 157/1995 prende in
considerazione alcune sentenze di condanna conferendo alle Amministrazioni
aggiudicatici il potere discrezionale di valutarne le conseguenze in termini di
affidabilità professionale del concorrente ( cfr. sul punto la decisione n.1145
del 1° marzo 2003 di questa Sezione) e riguarda tutti gli appalti di servizi
soprasoglia; la gravità del reato per cui è intervenuta condanna non è stata
valutata nel caso in esame in relazione alla tipologia astratta del reato ma
invece in modo congruo e puntuale in relazione alla fattispecie concreta: in
ordine cioè alla inopportunità dell’ affidamento dell’appalto ad un soggetto
condannato per concussione per fatti attinenti ad una gara pubblica; il
lamentato contrasto con altri provvedimenti presi dal Comune di Torino nei
confronti dell’appellante e di segno positivo non sussiste se si tiene conto che
la sentenza di cui trattasi risale al 22 febbraio 2002, che non è provato che i
diversi funzionari dell’Amministrazione fossero a conoscenza del precedente
penale di cui trattasi mentre rendevano le dichiarazioni esibite in giudizio e
che l’Amministrazione comunale appellata ha, con memoria presentata per
l’udienza di discussione, indicato le ragioni di opportunità - a ben vedere non
condivisibili- dell’affidamento di un incarico di collaborazione nella direzione
di alcuni lavori al ricorrente. Consiglio di Stato Sezione V, del 18
settembre 2003, sentenza n. 5321 (vedi:
sentenza
per esteso)
Funzioni di coordinamento dell’attività di polizia municipale svolte dai nuclei operativi di vigilanza - approvazione della nuova pianta organica - profilo professionale: sottufficiale VV. UU. Capo sezione - le mansioni dei coordinati e dei co-ordinatori. Il semplice criterio gerarchico, non si mostra risolutivo, occorrendo, quanto meno, indicare che gli impiegati, che vengono coordinati dai vari capi sezione, siano di livelli corrispondenti e che le mansioni dei coordinati e dei co-ordinatori siano, per loro oggettiva consistenza, corrispondenti. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5313
Associazioni ambientaliste - guardie zoofile ENPA - protezione animali e difesa del patrimonio zootecnico - obbligo per i Comuni di avvalersi delle Guardie Zoofile nelle funzioni di vigilanza - insussistenza. E’ legittima la deliberazione del Comune con la quale si stabilisce di non avvalersi delle guardie zoofile nell’esercizio delle funzioni di vigilanza sull'osservanza delle leggi e dei regolamenti relativi alla protezione degli animali e alla difesa del patrimonio zootecnico. Tali funzioni, in passato esercitate dall'ENPA, sono state attribuite ai comuni sulla base dell'art.3 del D.P.R. 31 marzo 1979. Avvalersi delle guardie zoofile non è per il Comune un obbligo ma una facoltà. - Pres. GIOVANNINI, Est. CHIEPPA - Comune di Parma (Avv.ti Giuffrè e Cugurra) c. ENPA sez. prov. Parma e Nucleo Guardie Zoofile di Parma (avv. Cevolotto e Molinari) - (Conferma T.A.R. Emilia-Romagna, Sez. Parma n. 90/1997). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 22 agosto 2003, n. 4768
Pubblica Amministrazione - dirigenti - conferimento degli incarichi - qualifica dirigenziale - divieto di trasferimento se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive - ex art. 2103 cod. civ. - inapplicabilità - la valutazione delle esigenze organizzative - sindacato giurisdizionale del Giudice del lavoro - limiti. Ai dipendenti statali di qualifica dirigenziale non è applicabile, tanto in sede di conferimento degli incarichi quanto in sede di passaggio ad incarichi diversi, la disposizione dell’art. 2103 c.c. (art. 19 D.lgs 165/2001). E’ sottratto, nel merito, la valutazione delle esigenze organizzative che determinano l’adozione del provvedimento di conferimento di incarico dirigenziale al sindacato giurisdizionale del Giudice del lavoro. Tribunale di Belluno - Ordinanza 31 luglio 2003
Conferimento ai magistrati di incarichi estranei alle loro funzioni - la disciplina legislativa - i limiti, le condizioni e le modalità per l'attribuzione - opportunità od inopportunità di consulenze “locali” da parte dei magistrati - la “contaminazione” tra funzioni istituzionali ed incarichi conferiti da Regioni ed enti locali operanti nell’ambito della circoscrizione territoriale di appartenenza del magistrato. La disciplina legislativa, che determina la possibilità, i limiti, le condizioni e le modalità per l'attribuzione a magistrati (dell'ordine giudiziario o delle magistrature speciali) di incarichi estranei ai loro compiti di istituto, attiene, secondo la costante interpretazione offertane nella giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. sentt. n. 4 del 1956, n. 81 del 1976, n. 43 del 1982, n. 150 del 1993 e, da ultimo, n. 86 e n. 224 del 1999), allo status del magistrato e rientra dunque nell'ambito della riserva di legge statale sancita dall'art. 108, comma 1, della Costituzione. Ha sottolineato, infatti, la Corte che, come per tutti i pubblici dipendenti così per i magistrati, i limiti di compatibilità dell'ufficio ricoperto con lo svolgimento di altre attività e con l'assunzione di altri incarichi sono un elemento del loro stato giuridico. In particolare, poi, per i magistrati, l'assunzione di compiti e lo svolgimento di attività estranee a quelle proprie dell'ufficio ad essi affidato - anche quando non richiedano una sospensione o una riduzione delle funzioni ordinarie del magistrato - sono fattori suscettibili, in astratto, di incidere sulla loro indipendenza ed imparzialità, connotato e condizione essenziale per l'esercizio della funzione loro attribuita: sia in quanto può esservi una interferenza diretta fra compiti propri e ulteriori attività svolte, sia in quanto l'attribuzione stessa, o la possibilità di attribuzione, dell'incarico, per la sua natura e per i vantaggi che possono derivarne, può tradursi in un indiretto condizionamento del magistrato. Nessun dubbio può dunque sussistere in ordine al fatto che una tale disciplina deve, in concreto, essere rispettosa delle esigenze di salvaguardia dell'indipendenza e dell'imparzialità e dunque prevedere condizioni e procedure per il conferimento o per l'autorizzazione all'assunzione dell'incarico con esse compatibili. “Né”, ha aggiunto la Corte costituzionale, “potrebbe esservi ragione per distinguere fra magistrati dell'ordine giudiziario o comunque istituzionalmente investiti solo di funzioni giurisdizionali, e magistrati cui possono essere attribuite anche funzioni diverse, come quelli del Consiglio di Stato e della Corte dei conti” (sent. n. 224/99); ciò in ragione della unicità dello status oggi previsto per questi ultimi, al di là della contingente attribuzione di funzioni giurisdizionali o di altre funzioni. “Consiglio di Stato e Corte dei conti”, ha concluso la Corte, “sono istituti appartenenti all'ordinamento statale … dei cui componenti la legge statale è tenuta a garantire l'indipendenza dal Governo (art. 100 comma 3 della Costituzione), e a maggior ragione da organi politici territoriali” (sent. n. 224/99, cit.). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, 30 luglio 2003, sentenza n. 4406. Consiglio di Stato, Sezione IV, 30 luglio 2003, sentenza n. 4407 (vedi: sentenza per esteso)
L’obbligo di comunicare l’avvio del
procedimento - legge 7 agosto 1990, n. 241 - finalità - rapporti tra pubblica
amministrazione e cittadini - principio della democraticità delle decisioni - i
principi di legalità - articolo 97 della Costituzione - la partecipazione del
soggetto “direttamente interessato” all’azione amministrativa - memorie,
osservazioni e controdeduzioni - deroga all’obbligo di comunicazione.
L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, così come delineato
dall’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, si colloca, com’è noto,
nell’ambito di una nuova visione dei rapporti tra pubblica amministrazione e
cittadini, imperniata sul principio della democraticità delle decisioni, quale
strumento indispensabile per il pieno ed efficace perseguimento dell’interesse
pubblico con il minimo sacrificio possibile degli interessi dei privati, così
concretamente trovando attuazione i principi di legalità, buon andamento ed
imparzialità dell’azione amministrativa sanciti dall’articolo 97 della
Costituzione. In tale ottica, infatti, la comunicazione di avvio del
procedimento è finalizzata a consentire la partecipazione del soggetto
“direttamente interessato” all’azione amministrativa, il quale può rappresentare
con memorie, osservazioni e controdeduzioni quegli elementi di fatto (di cui
l’amministrazione può non essere a conoscenza) per adottare un “giusto”
provvedimento (C.d.S., sez. V, 28 maggio 2001, n. 2884), un provvedimento cioè
capace di esprimere il giusto contemperamento degli opposti interessi (pubblici
e privati) in gioco. Se questo è l’aspetto fisiologico del dipanarsi dell’azione
amministrativa, lo stesso articolo 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, ammette
la deroga al delineato obbligo di comunicazione (e quindi al diritto di
partecipazione) allorquando “sussistano ragioni di impedimento derivanti da
particolari esigenze di celerità del procedimento”: la giurisprudenza
amministrativa ha già avuto modo di delimitare i concreti limiti in cui è da
considerare legittima la deroga all’obbligo di comunicare l’avvio del
procedimento, precisando che le ragioni dell’urgenza devono essere enunciate nel
provvedimento e motivate sinteticamente con riferimento ad esigenze di tutela
immediata dell’interesse pubblico (C.d.S., sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1901) e
che esse devono essere qualificate dal pericolo di immediata compromissione
dell’interesse pubblico (C.d.S., sez. VI, 3 ottobre 2000, n. 5267); è stato
altresì evidenziato che una obiettiva situazione di emergenza, consistente nella
esigenza di tutela della salute pubblica e dell’integrità dell’ambiente,
consente di soprassedere dall’invio della comunicazione di avvio del
procedimento. Orbene, ad avviso della Sezione, nel caso di specie, sussistevano
proprio le ragioni di urgenza che escludevano la operatività dell’obbligo in
capo all’amministrazione statale straordinaria di comunicare agli interessati
l’avvio del procedimento per la realizzazione dell’opera in questione.
Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4352 (vedi:
sentenza
per esteso)
L’errore scusabile - beneficio concesso d’ufficio - la partecipazione
del soggetto “direttamente interessato” all’azione amministrativa - particolari
esigenze di celerità del procedimento - l’obbligo in capo all’amministrazione di
comunicare l’avvio del procedimento - soggetti individuati o facilmente
individuabili. Stante l’obiettive difficoltà e ambiguità della disposizione
contenuta nell’articolo 23 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, circa il
dimezzamento del termine per il deposito dell’atto di appello, come riconosciuto
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 5 del 31
maggio 2002, deve essere riconosciuto in una fattispecie perfezionatasi prima
della citata decisione l’errore scusabile, il cui beneficio può essere concesso
d’ufficio, prescindendo da qualsiasi istanza di parte. La comunicazione di avvio
del procedimento è finalizzata a consentire la partecipazione del soggetto
“direttamente interessato” all’azione amministrativa, il quale può rappresentare
con memorie, osservazioni e controdeduzioni quegli elementi di fatto (di cui
l’amministrazione può non essere a conoscenza) per adottare un “giusto”
provvedimento, capace di esprimere il giusto contemperamento degli opposti
interessi (pubblici e privati) in gioco: tale principio ammette la deroga
allorquando “sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze
di celerità del procedimento”, che devono considerarsi sussistenti quando sia
stato formalmente dichiarato lo stato di calamità per fronteggiare l’emergenza
rifiuti nella regione Puglia. L’obbligo in capo all’amministrazione di
comunicare l’avvio del procedimento riguarda, proprio ai sensi del più volte
ricordato articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, soltanto i soggetti nei
cui confronti il provvedimento è destinato ad avere effetti diretti ovvero
quelli, ovviamente diversi dai primi, che possono ricevere un pregiudizio,
semprechè si tratti di soggetti individuati o facilmente individuabili.
Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4352 (vedi:
sentenza
per esteso)
Accesso ai documenti - ricorso giurisdizionale - contro il diniego di esercizio dell’accesso - ad atti e documenti solo genericamente indicati - inammissibilità. E’ inammissibile per carenza d’interesse tutelabile il ricorso proposto contro il diniego di esercizio dell’accesso ex legge n. 241/1990, genericamente richiesto in rapporto ad una imprecisata quantità di atti e documenti, consistenti spesso in materiale cartaceo ad uso interno non formalizzato, il che impedisce d’ipotizzare alcun interesse legittimo tutelabile (come tale dovendo piuttosto configurarsi il diritto di accesso, secondo la ormai pacifica giurisprudenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato), tenuto anche conto della necessità di proteggere anche il diritto dei terzi alla riservatezza. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4347
Pubblica amministrazione - diritto alla nomina
- il trattamento economico - il pieno ripristino della sfera patrimoniale del
dipendente - illegittima omessa costituzione del rapporto - le potenzialità di
agire separatamente in via risarcitoria. Nel caso di accertamento in sede
giurisdizionale del diritto alla nomina, dalla pronunzia discende solo l’obbligo
per la Pubblica amministrazione di ricostruire la carriera del ricorrente
vittorioso, ma non anche l’obbligo di corrispondere retroattivamente il
trattamento economico corrispondente (Cons. Stato, IV, 27 febbraio 1998, n.
349). In altri termini, il pieno ripristino della sfera patrimoniale del
dipendente mediante condanna al pagamento delle retribuzioni non corrisposte
dall’Amministrazione presuppone l’accertamento della illegittima interruzione di
un rapporto di lavoro già esistente e non anche l’eventualità della illegittima
omessa costituzione del rapporto, dovendosi limitare il ripristino, in tale
evenienza, ai soli effetti giuridici. Rimangono comunque integre, come
riconosciuto dalla stessa parte pubblica reclamante, le potenzialità di agire
separatamente in via risarcitoria in ordine al comportamento
dell’Amministrazione, certamente non esente, nel caso di specie (come ha anche
rilevato l’Organo di prime cure), da connotati colposi giuridicamente rilevanti.
Consiglio di Stato, Sezione V, 29 luglio 2003, sentenza n. 4308
Lo svolgimento di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego -
trattamento economico. Lo svolgimento di mansioni superiori nell'ambito del
pubblico impiego è del tutto irrilevante sia a fini giuridici che economici (per
un recente arresto: Consiglio Stato sez. VI, 14 gennaio 2002, n. 167). Il
richiamato principio mantiene la sua vitalità, nonostante il contrastante
orientamento adottato da alcuni giudici di primo grado, in tutti i settori del
pubblico impiego salvo che specifiche disposizioni di legge disciplinino
diversamente detta ipotesi consentendo l'adibizione del dipendente a mansioni
superiori, con correlativa maggiorazione retributiva. Pertanto, la pretesa di
chi venga adibito a mansioni superiori a una retribuzione più elevata rispetto a
quella stabilita dalla normativa di settore non può trovare fondamento nell'art.
36 cost., considerato che, in base agli art. 51 e 97 della stessa costituzione,
gli interessi pubblici coinvolti hanno natura indisponibile e, quindi,
l'attribuzione al dipendente delle mansioni e il conferimento del relativo
trattamento economico non possono costituire oggetto di libere determinazioni
dei funzionari amministrativi (Consiglio Stato sez. VI, 29 gennaio 2002, n. 483;
Consiglio Stato sez. V, 21 gennaio 2002, n. 335; Consiglio Stato sez. V, 18
marzo 2002, n. 1552; Consiglio Stato sez. IV, 12 novembre 2001, n. 5780;
Consiglio Stato sez. V, 22 novembre 2001, n. 5924). Consiglio di Stato,
Sezione V, 29 luglio 2003, sentenza n. 4301
Pubblica Amministrazione - Diritto di accesso ai documenti amministrativi - Fondamento - Situazione di totale o parziale ignoranza di atti amministrativi - Domanda di accesso diretta a sapere se un atto o un documento esista - Ammissibilità. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi presuppone, in colui il quale lo esercita, una situazione di totale o parziale ignoranza, pertanto, può accadere che scopo della domanda di accesso sia sapere se un atto o un documento esista e, nel caso di risposta affermativa, quale sia il contenuto, deve ritenersi ammissibile una domanda di accesso purché contenga quel minimo di elementi che permetta di individuare il documento richiesto; analogamente, deve ammettersi l'istanza che, ragionevolmente, abbia come oggetto specifico l'esibizione di un documento anche qualora colui che fa la richiesta non sia soggettivamente certo che tale documento esista. T.A.R. Veneto, sez. I, 28 luglio 2003, sentenza n. 3935
Il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento - esercizio di potere discrezionale. Il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento può essere fatto valere solo in relazione a provvedimenti che trattino diversamente situazioni soggettive ed oggettive identiche e che siano frutto dell'esercizio di potere discrezionale (Cons. St., VI, n. 4616 del 3.9.2001). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 luglio 2003, sentenze nn. 4261 - 4260 - 4259. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 luglio 2003, sentenza n. 4262
P.A. - Ambiente in genere - Poteri polizia
municipale - Ufficiali di P.G. - Vigile Urbano in servizio per il controllo
degli scarichi di acque reflue - Obbligo di prendere notizia del reato di
propria iniziativa di reati anche in materia urbanistico-edilizia - Sussistenza
- Impedimento con violenza o minaccia - Fattispecie: reati di cui all'art. 336
c. p., art. 4 L. n. 47/1985 e art. 57 c. 2 Lett. b Nuovo C.P.P.. Il vigile
urbano che trovandosi ad espletare un controllo sulla regolarità degli scarichi
delle acque reflue, prende notizia di violazioni relative all'attività
urbanistico- edilizia, ha l'obbligo di prendere notizia del reato in quanto ai
sensi dell'art. 4 legge 28 febbraio 1985 n. 47 ha poteri di polizia giudiziaria
in tale materia e quindi qualora tale attività gli venga impedita con violenza o
minaccia l'autore risponde del delitto di violenza o minaccia a pubblico
ufficiale. PRES. Sansone L REL. Mannino SF COD.PAR.421 IMP. P.G. in proc.
Baldassarri PM. (Conf.) Iadecola G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. VI,
24/07/2003 (UD. 18/02/2003), RV. 226217, Sentenza n. 31408
Concorsi a posti di pubblico impiego - i criteri stabiliti dall’amministrazione - giudizio amministrativo di legittimità - il limite della manifesta abnormità o irrazionalità. In sede di giudizio amministrativo di legittimità non sono sindacabili i criteri stabiliti dall’amministrazione ai fini dell’attribuzione dei punteggi e della valutazione dei titoli in un concorso a posti di pubblico impiego, salvo il limite della manifesta abnormità o irrazionalità (cfr. ex plurimis sez. VI, 3 aprile 2001, n. 1985). Consiglio di Stato, Sezione IV - 24 luglio 2003, sentenza n. 4238
Utilizzo di procedure informatiche - predeterminazione dei criteri di massima di un pubblico concorso - commissione giudicatrice - parametri elaborati da terzi. In sede di predeterminazione dei criteri di massima di un pubblico concorso la commissione giudicatrice dispone di ampia discrezionalità, sicchè può legittimamente provvedere mediante recepimento formale ed espresso di parametri elaborati da terzi. (cfr. ex plurimis sez. VI, 26 giugno 2001, n. 3429; sez. VI, 3 aprile 2001, n. 1959). (Fattispecie caratterizzata dall’utilizzo di procedure informatiche ai fini del rilievo della esattezze delle risposte ai quesiti prospettati ai candidati). Consiglio di Stato, Sezione IV - 24 luglio 2003, sentenza n. 4238
Concorsi a posti di pubblico impiego - la commissione esaminatrice - compiti
- valutazione dei titoli - valutazione delle prove scritte o pratiche -
discrezionalità tecnica. Nei concorsi a posti di pubblico impiego, la
commissione esaminatrice deve stabilire preventivamente ed in astratto i criteri
di massima solo in relazione alla valutazione dei titoli e non anche per la
valutazione delle prove scritte o pratiche, che sono rimesse alla sua
discrezionalità tecnica (cfr. ex plurimis Cons. giust. amm. 28 gennaio 2002, n.
46; sez. VI, 2 ottobre 1991, n. 604). Consiglio di Stato, Sezione IV - 24
luglio 2003, sentenza n. 4238
Le controversie riguardanti l’an e il quantum del trattamento pensionistico - giurisdizione della Corte dei Conti - la giurisdizione amministrativa esclusiva - trattamento economico inerente al rapporto di impiego - eccezione. Nell’ambito della giurisdizione della Corte dei Conti rientrano tutte le controversie riguardanti l’an e il quantum del trattamento pensionistico, anche quando si tratti della ricongiunzione dei periodi di servizio e del riscatto di attività per la determinazione del computo della base di calcolo della pensione (Sez. Un., 9 marzo 1995, n.2742): la giurisdizione amministrativa esclusiva è ravvisabile solo quando l’atto riguardante il riscatto sia stato emesso in costanza del rapporto di lavoro e comunque incida sulla determinazione del trattamento economico inerente al rapporto di impiego (Sez. Un., 3 febbraio 1993, n.1310; Sez. Un., 10 maggio 1988, n.3423). Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4203
Responsabilità amministrativa - Condotta omissiva - Invocazione generica - Insufficienza. Non basta invocare genericamente una condotta omissiva, ma è necessario che siano addotti dall’attore fatti realmente accaduti che dimostrino la colpa grave del convenuto. - Pres. Topi - Rel. Cultrera - P.M. Mancinelli. Corte dei conti- Sez.Sicilia 20 maggio- 22 luglio 2003 n. 1281
La restitutio in integrum, agli effetti economici, oltre che a quelli giuridici, non spetta al pubblico dipendente nel caso di giudicato che riconosca illegittimo il diniego di costituzione del rapporto - l’automatica reintegrazione del dipendente in seguito all’annullamento di un provvedimento. Mentre è pacifico che l’annullamento di un provvedimento, con cui si interrompe un rapporto di lavoro in corso, debba comportare l’automatica reintegrazione del dipendente con pieni effetti giuridici ed economici anche in relazione al periodo in cui non è stato prestato servizio, la giurisprudenza ha, invece, precisato che la restitutio in integrum, agli effetti economici, oltre che a quelli giuridici, non spetta al pubblico dipendente nel caso di giudicato che riconosca illegittimo il diniego di costituzione del rapporto stesso (cfr. fra tutte, Cons. Stato, IV, n.49/2001). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4190. Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4191
La regola della necessità del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi pubblici - chiarimenti della Corte Costituzionale - principio di imparzialità della pubblica amministrazione - carattere esclusivamente tecnico del giudizio - giurisdizione del giudice amministrativo - l’amministrazione può negare l’assunzione del vincitore di un pubblico concorso - casistica. La Corte Costituzionale, con la pronunzia n. 453 del 15.10.1990, ha chiarito che la regola della necessità del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi pubblici (necessità ribadita nella sentenza n. 1 del 4.01.1999) costituisce attuazione del principio di imparzialità della pubblica amministrazione e deve trovare concreta realizzazione attraverso modalità organizzative e procedurali ispirate esse stesse al rispetto rigoroso del medesimo principio, il quale in questa materia impone il perseguimento del solo interesse connesso alla scelta delle persone più idonee all'esercizio della funzione pubblica. A tal proposito, la Corte Costituzionale ha individuato la necessità che il carattere esclusivamente tecnico del giudizio risulti salvaguardato da ogni rischio di deviazione verso interessi di parte o comunque diversi da quelli propri del concorso, il cui obbiettivo non può essere altro che la selezione dei candidati migliori, prescrivendo che, nella composizione delle commissioni, la presenza di tecnici o esperti - interni o esterni all'amministrazione, ma in ogni caso dotati di adeguati titoli di studio e professionali rispetto alle valutazioni da compiere - debba essere, se non esclusiva, quanto meno prevalente, tale da garantire scelte finali fondate sull'applicazione di parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione delle attitudini e della preparazione dei candidati. Se tali devono essere i requisiti dell’organo cui è demandata la valutazione dei partecipanti affinché si possa ritenere sostanzialmente rispettata la regola costituzionale dell’espletamento del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi pubblici (art. 97, co. 3, Cost. ed oggi art. 35, co. 3, lett. e) D.Lgs. n. 165/2001), il Collegio ritiene cha la individuazione del C.d.A. dell’Università, operata dall’art. 5 del bando, escluda che si versi in una ipotesi di pubblico concorso per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo ex co. 4 dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001. Ed invero, senza nulla volere togliere alla qualificazione personale e professionale dei componenti di tale organo, non risulta che fosse garantita una prevalente, se non esclusiva, presenza di "tecnici ed esperti" nella valutazione delle attitudini dirigenziali degli aspiranti all’incarico. (Nella specie, la facoltà del Rettore di non procedere alla nomina del soggetto designato dal C.d.A. e di richiedere una nuova proposta contrasta insanabilmente con il tradizionale principio (Cons. Stato, V. n. 1632/2001 e n. 1425/1998) secondo il quale l’amministrazione può negare l’assunzione del vincitore di un pubblico concorso tutte le volte che sia venuta meno la necessità o la convenienza della copertura del posto, in presenza di valide ragioni di pubblico interesse, e non anche per valutazioni attinenti al soggetto da assumere. Anche l’attribuzione di detta facoltà direttamente correlata a valutazioni attinenti al soggetto designato dal C.d.A., operata dall’art. 5 del bando, induce ad escludere che si versi in una ipotesi di pubblico concorso per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo ex co. 4 dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001. TAR Sicilia-Palermo, Sez. I - Sentenza 18 luglio 2003 n. 1179
Controversie relative al conferimento di incarichi dirigenziali di direzione di struttura complessa in ambito sanitario - giurisprudenza - Direttore amministrativo Ateneo - il bando di selezione pubblica per il conferimento dell’incarico - concorso pubblico, per titoli. La giurisprudenza, sia amministrativa che della Corte di cassazione, (CdS, V, nn. 1519 e 2609 del 2001; Cassazione SS.UU. n. 174/2001; TAR Sicilia, Palermo, sez. I n. 1778/2000) hanno ormai pacificamente affermato la spettanza delle relative controversie all’A.G.O. in virtù della esplicita previsione del co. 1 dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001 e dell’impossibilità di far rientrare i relativi procedimenti di scelta nel novero delle procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo ex co. 4 del medesimo articolo. Né può esser attribuito alcun valore decisivo ai fini della qualificazione della procedura alla rilevata circostanza che il bando di selezione pubblica per il conferimento dell’incarico triennale di Direttore amministrativo dell’Ateneo, pubblicato sulla G.U.R.I. n. 52 del 3.07.2001, faccia riferimento all’art. 35, co. 3, dello Statuto dell’Ateneo e questo preveda che il direttore amministrativo possa essere nominato anche tra persone estranee all’amministrazione "dopo concorso pubblico, per titoli". TAR Sicilia-Palermo, Sez. I - Sentenza 18 luglio 2003 n. 1179
I provvedimenti amministrativi devono essere qualificati e valutati secondo la potestà in concreto esercitata dall'Amministrazione e non secondo la connotazione formale da essi assunta. Costituisce principio giurisprudenziale pacifico (Cons. Stato, V Sez., 15 gennaio 1982 n. 5; TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 476/1990 e 2046/1996) che i provvedimenti amministrativi devono essere qualificati e valutati secondo la potestà in concreto esercitata dall'Amministrazione e non già secondo la connotazione formale da essi assunta, per cui il richiamo a norme di legge contenute nell'atto non può considerarsi decisivo ai fini della sua qualificazione, giacché tale citazione va disattesa allorché altri elementi formali e sostanziali desumibili dall'atto stesso indichino in modo univoco che si è voluto emanare un provvedimento diverso da quello previsto dalla norma citata. TAR Sicilia-Palermo, Sez. I - Sentenza 18 luglio 2003 n. 1179
P.A. - Sicurezza pubblica - In genere - Luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive - Provvedimenti del questore - Convalida del giudice - Competenza territoriale del questore - Sindacabilità in sede giurisdizionale - Contrasto di giurisprudenza. Nel procedimento di convalida del provvedimento del questore che fa obbligo a taluno di comparire dinanzi all'autorità di polizia in concomitanza con lo svolgimento di manifestazioni agonistiche a norma dell'art. 6 della legge n. 401 del 1989 e succ. modd., il sindacato del giudice attiene unicamente alla sussistenza dei presupposti legali della misura tra cui rientra quello concernente la provenienza dell'atto dall'autorità competente, ma non quello relativo alla competenza territoriale, non essendo questa predeterminata dalla legge. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I 18 luglio 2003, Sentenza n. 30306
Sindaco - revoca della nomina ad Assessore - rapporto fiduciario - comunicazione di avvio del procedimento di revoca - limiti. La natura di rapporto fiduciario consente al Sindaco di revocare in qualsiasi momento l’atto di nomina ad Assessore, ma l’obbligo o meno di far precedere l’atto di revoca da una comunicazione di avvio del procedimento di revoca ai sensi dell’art. 7 L. n. 241/1990 trova applicazione anche nella fattispecie in esame e dipende dall’urgenza e/o dalle modalità del tipo di contrasto insorto tra il Sindaco e l’Assessore, le quali se impongono l’immediata interruzione del rapporto di collaborazione ostano all’inoltro della comunicazione di avvio del procedimento di revoca (tali circostanze possono desumersi soltanto da una motivazione che esterni le ragioni del venir meno del rapporto di fiducia). TAR PUGLIA -Lecce, Sez. II - Sentenza 14 luglio 2003 n. 4740
P.A. - l’accertamento della legittimità della rinegoziazione delle condizioni contrattuali. Le controversie aventi ad oggetto l’accertamento della legittimità della rinegoziazione delle condizioni contrattuali, anche dopo la stipula del contratto, appartengono senz’altro alla giurisdizione amministrativa esclusiva ai sensi dell’art.33 comma 2, lett.d) decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 (così come sostituito dall’art. 7 della legge n.205/00) in quanto pertinenti alla verifica della regolarità dell’aggiudicazione dell’appalto (o di un’impresa pubblica, come nel caso di specie, posto che la mera differenza dell’oggetto del contratto non vale a giustificare un diverso riparto della giurisdizione). Tale orientamento va senz’altro condiviso e confermato in quanto correttamente formatosi in esito ad un’analisi compiuta e coerente delle regole che presiedono alla selezione del contraente privato delle pubbliche amministrazioni ed ai vincoli legali dell’azione di queste ultime in ordine alla stipulazione del contratto ed alla ammissibilità di una successiva ridefinizione convenzionale dei suoi elementi essenziali. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 luglio 2003, sentenza n. 4167
Pubblica Amministrazione - Procedure e varie - Individuazione del comportamento punibile - Sindacato della legittimità formale e sostanziale del provvedimento denunciato - Limiti del giudice - Oggetto del procedimento di opposizione ex art. 22, legge n. 689/1981. L'oggetto del procedimento di opposizione ex art. 22, legge n. 689 del 1981, è "circoscritto al sindacato della legittimità formale e sostanziale del provvedimento denunciato, [ed] è preclusa ogni valutazione di fatti distinti da quelli contestati, indipendentemente dalla loro eventuale sanzionabilità con la stessa pena pecuniaria, non essendo consentito al giudice di sostituirsi alla pubblica amministrazione nell'individuazione del comportamento punibile" (Cass., n. 14021 del 2002; cfr. anche Cass., n. 11045 del 1998). Pres. SAGGIO - Est. SALVATO - SANTANGELO e altro (avv. SATTA FLORES) c. COMUNE DI NAPOLI (avv. BARONE) - CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 10 luglio 2003, (ud. 19.03.2003) Sentenza n. 10857 (vedi: sentenza per esteso)
Pubblica Amministrazione - Accesso documenti - Dati personali relativi a terzi posseduti da una Pubblica Amministrazione - Graduazione dei livelli di tutela della riservatezza - Soglia minima per i dati personali non sensibili - soglia massima per c.d. dati sensibili - Ipotesi previste da norme di legge o di regolamento. Dopo l'entrata in vigore della L. 31 dicembre 1996 n. 675, nel caso di richiesta di accesso ai documenti amministrativi contenenti dati personali relativi a terzi posseduti da una Pubblica Amministrazione, il diritto alla difesa prevale su quello alla riservatezza solo se una disposizione di legge espressamente consente al soggetto pubblico di comunicare a privati i dati oggetto della richiesta” (Cons. Stato Sez. VI n.4812 - 13 settembre 2001). Con la normativa del 1996 il conflitto tra i valori costituzionali in esame viene risolto fissando una graduazione dei livelli di tutela della riservatezza che va da una soglia minima per i dati personali non sensibili ad una soglia massima per c.d. dati sensibili (art.22). In merito a dati non sensibili, il legislatore con l’art. 27 comma 3° della citata legge, prevede che gli stessi possono essere comunicati e diffusi da parte di soggetti pubblici soltanto nelle ipotesi previste da norme di legge o di regolamento. Pres. BIANCHI - Est. AURELI - Ruscito (avv. Saveriano) c. Comune di Roccasecca (avv. Sardelli). T.A.R. LAZIO Sezione Staccata di Latina del 10 luglio 2003, (Ud. 23 maggio 2003) Sentenza n. 657
Accesso ai documenti - annullamento del
diniego, oppostogli dal Comune, di accesso alla documentazione amministrativa
relativa alla pratica di condono edilizio. La circostanza della materiale
indisponibilità dell’atto è preclusiva dell’accoglimento della domanda di
accesso unicamente nell’ipotesi nella quale la competenza, e la relativa
disponibilità dei documenti oggetto dell’istanza di accesso, sia stata
trasferita ad altro ente successivamente alla formazione degli atti, mentre la
mancanza di un trasferimento di competenze ed il difetto di una cessione dei
documenti ad altra autorità impongono di reputare tenuta all’ostensione
l’amministrazione che ha formato gli atti, senza che possa attribuirsi alcuna
rilevanza alla sopravvenuta indisponibilità degli stessi (cfr. dec. 22.4.2002 n.
2186). Gli atti di cui trattasi non risultano essere coperti da segreto.
Pertanto, l’amministrazione comunale deve porre in essere tutte le iniziative
necessarie (acquisizione, a sua cura, di copia degli atti direttamente presso
gli uffici della Procura della Repubblica) per rendere ostensibile
all’interessato la documentazione che forma oggetto della domanda di accesso.
Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4126
La nomina del commissario ad acta per l'esecuzione del giudicato non
determina il venir meno della competenza a provvedere da parte degli organi
ordinari dell'Amministrazione. La nomina del commissario ad acta per
l'esecuzione del giudicato non determina il venir meno della competenza a
provvedere da parte degli organi ordinari dell'Amministrazione (cfr. dec.
1.4.1996 n. 329, 7.10.1996 n. 1202, 3.2.1999 n. 109, 6.10.1999 n. 1329).
Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4125
P.A. - nomina della commissione giudicatrice - impugnazione del
candidato - momento dell’approvazione della graduatoria (e non prima) o
dell’esclusione del candidato. Il provvedimento di nomina della commissione
giudicatrice può, essere impugnato dal candidato che si ritenga leso nei propri
interessi solo nel momento in cui, con l’approvazione delle operazioni
concorsuali e la nomina del vincitore (cui va equiparata, ai fini che qui
interessano, l’espulsione del candidato), si esaurisce il relativo procedimento
amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera
giuridica dell’interessato. (cfr. Cons. Stato, Sez. V 19 ottobre 1999 n.1589).
Tale principio di diritto, correttamente fondato sul rilievo che la verifica
effettiva del pregiudizio sofferto dal candidato può utilmente compiersi solo al
momento dell’approvazione della graduatoria (e non prima) o dell’esclusione del
candidato, risulta, inoltre, chiaramente applicabile, per le stesse ragioni
sopra riferite, anche alle ipotesi in cui viene contestata la regolarità di atti
del concorso diversi dalla nomina della commissione giudicatrice. Consiglio
di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4119
Concorso pubblico bandito dal Comune per due posti di sottufficiale
della Polizia Municipale - la disponibilità di materiale vietato e non
consultabile - soggetto sprovvisto di titolo alla partecipazione ad un concorso
- posizione differenziata e qualificata - l’esclusione dell’interessato. Una
volta verificata la legittimità del provvedimento che ha determinato
l’esclusione dell’interessato dalla procedura, resta, quindi, preclusa allo
stesso la possibilità di contestare, sotto altri profili, la regolarità di un
concorso al quale non ha titolo a partecipare, e sulla cui legittimità non ha,
dunque, interesse ad interloquire (cfr. in termini, C.S., VI Sez., ord. 12 marzo
2002, n.1007). Né l’ammissibilità di contestazioni rivolte da un soggetto
legittimamente espulso contro atti procedimentali diversi da quello
immediatamente lesivo può essere riconosciuta sulla base della configurabilità,
nella specie, di un interesse strumentale, secondo la relativa nozione (per come
definita, ad esempio, tra le tante, da C.S., Sez. V, 7 settembre 2001, n.4680).
Mentre, infatti, il riconoscimento dell’interesse strumentale postula che la
rinnovazione dell’attività provvedimentale sia determinata da un annullamento
comunque sorretto da un interesse connesso ad una posizione differenziata e
qualificata del ricorrente (in mancanza di che, si preverrebbe al riconoscimento
di un inammissibile controllo popolare della legalità dell’azione
amministrativa), nel caso di specie tale indispensabile collegamento con la
situazione soggettiva dell’istante risulta escluso proprio dalla (logicamente)
presupposta legittimità della sua esclusione. Nel diverso caso dell’accertamento
dell’illegittimità e dell’annullamento dell’esclusione appare, invece,
immaginabile un interesse strumentale a contestare anche la validità della
composizione della commissione e a provocare, così, la rinnovazione dell’intera
procedura e non solo della fase procedimentale successiva all’adozione dell’atto
direttamente lesivo. Gli atti impugnabili nel processo amministrativo devono,
presentare un’incidenza sostanziale coerente con la posizione sostanziale
azionata, sicchè, nel caso di specie, deve escludersi la sussistenza di
qualsiasi interesse alla contestazione da parte di un concorrente legittimamente
espulso di provvedimenti la cui sfera di efficacia esula completamente dalla sua
situazione soggettiva. (In specie l’appellante è stata espulsa per essere stata
trovata, durante le prove di un concorso pubblico bandito dal Comune di Sabaudia
per coprire due posti di sottufficiale della Polizia Municipale, in possesso di
un dizionario della lingua italiana con appunti sulla legge n.241/90 (durante la
prima prova scritta) e di due prontuari commentati relativi al codice della
strada (durante la seconda prova) e, quindi, per la disponibilità di materiale
evidentemente vietato e non consultabile). Consiglio di Stato, Sezione V, -
10 luglio 2003, sentenza n. 4119
Il termine per proporre ricorso per
revocazione avverso una decisione del Consiglio di Stato - sessanta giorni dalla
data di notificazione tranne i casi di dimidiazione dei termini processuali.
In forza del criterio desumibile dagli artt. 325 e 400 c.p.c., il termine per
proporre ricorso per revocazione avverso una decisione del Consiglio di Stato,
che sia stata notificata, è di sessanta giorni dalla data di notificazione (Ad.
plen. n. 3 del 9 maggio 1996). Salvi i casi, s’intende, di dimidiazione dei
termini processuali. Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003,
sentenza n. 4101
La disciplina regolamentare interna in materia
d’accesso - actio ad exhibendum - principi generali sulla gerarchia delle fonti
- l'esercizio di un diritto soggettivo. Nell'actio ad exhibendum di cui
all'art. 25 della legge n. 241 del 1990, la disciplina regolamentare interna in
materia d’accesso, ove si riveli in contrasto con la suddetta legge e col suo
regolamento governativo attuativo approvato con il D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352,
non è idonea ad impedire l'accesso e dev'essere disapplicata "senza che occorra
una formale impugnazione del regolamento" interno, giacché in base ai principi
generali sulla gerarchia delle fonti, "nel conflitto di due norme diverse
occorre dare preminenza a quella legislativa, di livello superiore rispetto alla
disposizione regolamentare ogni volta che preclude l'esercizio di un diritto
soggettivo" (cfr. Cons. St., Sez. IV, 24 marzo 1998 n. 498 e Sez. VI, 26 gennaio
1999 n. 59). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003,
sentenza n. 4049. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza
n. 4051
L'accesso ai documenti - gli atti dei procedimenti disciplinari -
“provvedimento” finale. L'accesso ai documenti ai sensi dell'art. 22 della
legge 7 agosto 1990 n. 241 “è escluso, ai sensi del secondo e quarto comma
dell'art. 24 della stessa legge e dell'art. 8, comma quinto, lettera d) D.P.R.
27 giugno 1992 n. 352, per tutti gli atti dei procedimenti disciplinari anche
per le fasi preliminari (per i quali l'accesso è consentito solo all'incolpato e
al Pubblico Ministero)”. La norma in parola ha un senso proprio perché,
derogando ad una disciplina generale, consente l’estensibilità anche della
motivazione, tanto più che il testo circoscrive il divieto a tutti “gli atti”
del procedimento e non anche al “provvedimento” finale. Conforme:
Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4049. Consiglio
di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4051
L’esercizio del diritto di accesso - legge n. 241 del 1990 - i
principi fissati dall’art. 97 della Costituzione. Occorre ricordare che la
norma primaria (art. 24, comma 2, della legge n. 241 del 1990) ha obbligato ogni
amministrazione a dotarsi di un apposito regolamento per disciplinare
concretamente l’esercizio del diritto di accesso, il cui specifico contenuto è
stato precisato dalla norma secondaria (art. 8 del D.P.R. n. 352 del 1992). Il
legislatore ha inteso contemperare nel modo più efficace e coerente possibile,
secondo i principi fissati dall’art. 97 della Costituzione, gli opposti
interessi in gioco; quello del privato, di accedere agli atti
dell’amministrazione in ossequio al principio di trasparenza dell’azione
amministrativa; e quello pubblico, di sottrarre all’accesso determinate
categorie di atti, la cui pubblicità avrebbe potuto recare pregiudizio agli
interessi, ritenuti prevalenti, individuati nelle lettere a), b), c) e d) del
comma 2 dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990 (Cfr. C.d.S., Sez. IV, 25
luglio 2001, n. 4064). In tal senso l’indicazione degli atti sottratti
all’accesso contenuta nei decreti adottati dalle singole amministrazioni ai
sensi dei più volte ricordati articoli 24, comma 4, della legge n. 241 del 1990
e 8 del D.P.R. n. 352 del 1992 (e per il caso che ne occupa nell’ultimo punto
del regolamento interno) è il frutto di una valutazione fatta
dall’Amministrazione, in virtù dello specifico potere conferito dal legislatore,
circa la prevalenza in quei casi degli interessi pubblici attinenti ai motivi di
tutela della riservatezza, rispetto all’interesse dei privati: valutazione
ampiamente discrezionale che, inerendo al merito dell’azione amministrativa,
sfugge al sindacato di legittimità, salva la sua eventuale arbitrarietà,
irragionevolezza od illogicità, che nel caso di specie non sussistono.
Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4049.
Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4051
L'accertamento dell'interesse all'esibizione degli atti amministrativi
riguardanti il soggetto che richiede l'accesso - legame tra finalità dichiarata
e documento richiesto - concretezza dell'interesse personale all'acceso -
posizione legittimante all'accesso. Se è vero, per un verso, che
l'accertamento dell'interesse all'esibizione degli atti amministrativi
riguardanti il soggetto che richiede l'accesso ai sensi dell'art. 22 legge 7
agosto 1990, n. 241, va effettuato con riferimento alle finalità che egli
dichiara di perseguire, (Cfr., Sez. V, 12 ottobre 2002, n. 5516), non potendosi
operare alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della
domanda o della censura che sia stata proposta o si intenda proporre, la cui
valutazione spetta solo al giudice chiamato a decidere (C.d.S., A. plen., 28
aprile 1999, n. 6), è altrettanto vero che, sotto il profilo logico, deve pur
sempre sussistere un legame tra finalità dichiarata e documento richiesto. Ciò
perché “concretezza dell'interesse personale all'acceso ai documenti
amministrativi significa che la posizione legittimante all'accesso non va
confusa con quella di altri soggetti o con l'interesse pubblico nè può essere
caratterizzata da un eccessivo grado d'astrazione: con la conseguenza che il
titolare deve esternare non solo le ragioni per cui intende accedere ma,
soprattutto, la coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui realizzazione il
diritto d'accesso è preordinato" (Consiglio Stato sez. V, 13 dicembre 1999, n.
2109). In altri termini, se il giudizio circa la concreta pertinenza della
documentazione alla causa non può che spettare all’autorità giudiziaria adita,
non di meno spetta all'amministrazione valutare, in ordine al diritto d’accesso,
l’astratta inerenza dell’istanza a quel giudizio. Diversamente opinando,
infatti, l’intenzione annunciata di proporre un’azione giudiziaria
giustificherebbe la richiesta di qualsivoglia documento. Conforme:
Consiglio di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4049. Consiglio
di Stato, Sezione IV, - 8 luglio 2003, sentenza n. 4051
Pubblica Amministrazione - Distinzione fra i compiti dei dirigenti degli Enti locali e quelli del segretario comunale - Artt. 51 e 52 L. 8 giugno 1990 n. 142 - Norma dello Statuto comunale che attribuisce al segretario comunale la presidenza delle commissioni di gara - Illegittimità. La distinzione fra i compiti dei dirigenti degli Enti locali e quelli del segretario comunale posta con gli artt. 51 e 52 L. 8 giugno 1990 n. 142, sarebbe illegittima la norma dello Statuto comunale che attribuisce al segretario comunale la presidenza delle commissioni di gara essendo quest’ultimo, in generale, nell’attuale assetto ordinamentale, del tutto sfornito di potere rappresentativo dell’ente in cui è inserito (C.d.S., Sez. V n.1004 - 27 agosto 1999). E tanto più appare comunque legittima la norma statutaria ove si consideri che il Comune di Ferentino è privo di qualifiche dirigenziali onde necessariamente la rappresentanza esterna dell’ente rivestita dal presidente di Commissione di gara, non può che spettare al Sindaco, secondo il principio generale. Pres. BIANCHI - Est. AURELI - Comune di Ferentino (avv. Spirito) c. Sezione di Controllo degli atti degli Enti Locali (non costituitosi). T.A.R. LAZIO Sezione Staccata di Latina del 4 luglio 2003, (Ud. 9 maggio 2003) Sentenza n. 635
Impiego pubblico - trattamento economico -
retribuibilità di mansioni superiori - divieto - asserito contrasto con il
diritto alla equa retribuzione - insufficiente motivazione sulla esistenza e
sulla definizione del "diritto vivente" richiamato - inammissibilità della
questione. (D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 33); (Costituzione, art. 36);
svolgimento di mansioni superiori - obbligo delle pubbliche amministrazioni
di corrispondere al dipendente le differenze retributive - differimento di
efficacia - asserito contrasto con il diritto alla equa retribuzione -
motivazione insufficiente sulle specifiche circostanze di fatto della
fattispecie a giudizio - richiesta alla corte dell'avallo all'interpretazione
fatta propria dal rimettente - non pertinenza della motivazione addotta dal
rimettente - inammissibilità della questione. (D.L. 28 agosto 1995, n. 361
(convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 1995, n. 437), art. 1,
comma 5); (D.l. 10 maggio 1996, n. 254 (convertito, con modificazioni, nella
legge 11 luglio 1996, n. 365), art. 1); (D.l. 31 dicembre 1996, n. 669
(convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30), art. 12,
comma 3); (Legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 39, comma 17); (D.Lgs. 3
febbraio 1993, n. 29, art. 56, nel testo introdotto dall'art. 25 del d.lgs. 31
marzo 1998, n. 80). "Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale: dell'art. 33 del
d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo
statuto degli impiegati civili dello Stato); dell'art. unico del decreto
legislativo 19 luglio 1993 n. 247 (Disposizioni correttive dell'art. 57 del
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in materia di attribuzione
temporanea di mansioni superiori); dell'art. 25 del decreto legislativo 23
dicembre 1993, n. 546 (Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 febbraio
1993, n. 29, sul pubblico impiego); dell'art. 1, comma 5, del decreto-legge 28
agosto 1995, n. 361 (Differimento di termini previsti da disposizioni
legislative in materia di interventi concernenti la pubblica amministrazione),
convertito, con modificazioni, in legge 27 ottobre 1995, n. 437; dell'art. 1 del
decreto-legge 10 maggio 1996, n. 254 (Differimento del termine di applicazione
stabilito dall'art. 57, comma 6, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
e successive modifiche, in materia di attribuzione temporanea di mansioni
superiori), convertito, con modificazioni, in legge 11 luglio 1996, n. 365;
dell'art. 12, comma 3, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni
urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della
manovra di finanza pubblica per l'anno 1997), convertito, con modificazioni, in
legge 28 febbraio 1997, n. 30; dell'art. 39, comma 17, della legge 27 dicembre
1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica); dell'art.
56 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina
in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre
1992, n. 421), nel testo introdotto dall'art. 25 del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 80, sollevate, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con l'ordinanza indicata in
epigrafe". Corte Costituzionale del 19 giugno-4 luglio 2003 Sentenza n. 229
P.A. - trattamento dei dati
sensibili - il trattamento che concerne dati idonei a rivelare lo stato di
salute o la vita sessuale - limiti al trattamento dei dati - la valutazione
dell’amministrazione del conflitto tra l’interesse del terzo a conseguire
l’accesso e quello alla riservatezza dell’interessato. L’incapacità del
coniuge ad assumersi gli obblighi matrimoniali essenziali per cause di natura
psichica, sono dati da considerare particolarmente sensibili, per i quali l’art.
22 L. 31.12.1996 n. 675 prescrive perfino il consenso scritto del titolare e, se
trattati da Enti pubblici, ne subordina l’ostensibilità ad un’espressa
previsione legislativa. In materia è intervenuto poi l’art. 16 D. L.vo 11.5.1999
n. 135, il quale ha espressamente statuito, per quanto interessa, che quando il
trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita
sessuale, il trattamento è consentito se il diritto da far valere o difendere è
di rango almeno pari a quello dell’interessato. Con la conseguenza che il
menzionato art. 16 non risolve in astratto il conflitto tra l’interesse del
terzo a conseguire l’accesso e quello alla riservatezza dell’interessato, ma
consente all’Amministrazione che detiene i dati sensibili, ed in sostituzione al
giudice amministrativo, di valutare in concreto ciascuna fattispecie al fine di
stabilire se l’accesso sia necessario o meno per far valere o difendere un
diritto almeno pari a quello dell’interessato (v. le decisioni di questo
Consiglio, sez. VI, n. 1882 del 30.3.2001 e n. 2542 del del 9.5.2002). Consiglio
di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 4002
Emanazione di atti imposti per legge ed a contenuto vincolato - captatio benevolentiae a fini elettorali. Il divieto sancito dall’art. 31, comma 3, l. n. 142 del 1990 non si estende all’emanazione di atti imposti per legge ed a contenuto vincolato, non potendosi configurare alcuna captatio benevolentiae a fini elettorali. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30 giugno 2003, sentenza n. 3894
Crediti sorti in favore di pubblici dipendenti - computo. Sui crediti sorti in favore di pubblici dipendenti successivamente all’entrata in vigore dell’art. 22, comma 36, l. n. 724 del 1994, devono essere computati gli accessori esclusivamente nella maggior somma fra interessi legali o rivalutazione monetaria (cfr. ex plurimis sez. IV, 12 febbraio 2003, n. 746; Ad. plen. 15 giugno 1998, n. 3). Consiglio di Stato - Sez. IV - Sentenza 28 maggio 2003 n. 2969
Trattamenti di fine rapporto previsti per la
generalità dei dipendenti degli enti pubblici non economici dai rispettivi
ordinamenti - base contributiva - retribuzione "pensionabile" - criteri di
definizione. La Sezione, affrontando specificamente la materia dei
trattamenti di fine rapporto previsti per la generalità dei dipendenti degli
enti pubblici non economici dai rispettivi ordinamenti, prima dell’entrata in
vigore della L. n. 70 del 1975, ha avuto modo anche di osservare come il
complesso delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (che ha
restituito vitalità ai Fondi di previdenza previsti dai singoli ordinamenti)
(art. 18, nono comma), pur nel loro innegabile contenuto innovativo, sono valse
a chiarire, da un lato, che non costituisce regola imprescindibile del
trattamento di fine rapporto dei pubblici dipendenti, che lo stesso sia
dimensionato su una base contributiva identica a quella della retribuzione
"pensionabile" definita secondo i criteri dell'assicurazione generale
obbligatoria e, dall'altro, che la fonte istitutiva, sia essa statutaria,
contrattuale o regolamentare, stabilisce la regola vincolante, per l'Ente datore
di lavoro e per il dipendente, in ordine agli elementi della retribuzione da
assumere a base della contribuzione e, quindi, del trattamento,
indipendentemente dalla retribuzione da assumere a base del trattamento a carico
dell'assicurazione generale obbligatoria (in termini, Sez. VI, n. 2686 del
2000). Conforme: Consiglio di Stato - Sez. VI - 27 maggio 2003 Sentenze
nn. 2964 - 2963 - 2962 - 2961 - 2960 - 2959. Consiglio di Stato - Sez. VI -
Sentenza 27 maggio 2003 n. 2965
La carenza del carattere d’urgenza in
relazione ad un argomento posto all’ordine del giorno di una sessione “urgente”
del Consiglio Comunale può essere rilevata essere solo dai Consiglieri comunali.
A dolersi della carenza del carattere d’urgenza in relazione ad un argomento
posto all’ordine del giorno di una sessione “urgente” del Consiglio Comunale (e
dunque comunicato ai consiglieri, ai sensi dell’art. 125 del R.D. 4 febbraio
1915, n. 148, nel términe ridotto previsto dalla stessa norma) possono essere
solo i Consiglieri comunali, a presidio del diritto dei quali ad intervenire
alla seduta consiliare sulla base di un sufficiente ed adeguato esame
preliminare delle questioni da discutere è posta la norma anzidetta; la quale,
poi, proprio a maggior tutela di tali specifiche posizioni giuridiche, prevede
che, nei casi di seduta convocata d’urgenza, “quante volte la maggioranza dei
consiglieri presenti lo riecheggia, ogni deliberazione può essere differita al
giorno seguente” (secondo periodo del comma 4 dell’art. 125, cit.). Consiglio
di Stato, Sezione IV, - 24 giugno 2003, sentenza n. 3818
Graduatoria di un concorso a carattere nazionale - T.A.R. Lazio - competenza
- copertura delle vacanze dei posti nella Commissioni tributarie regionali e
nelle Commissioni tributarie provinciali. E’ competente il T.A.R. del Lazio
a decidere sull’impugnazione proposta avverso il giudizio negativo o l’atto di
approvazione della graduatoria di un concorso a carattere nazionale, in quanto
si tratta di provvedimento emesso da un organo centrale dello Stato nell’ambito
di una procedura concorsuale a base nazionale (cfr., per l’assunzione al
pubblico impiego, Cons. Stato, IV Sez., 18 febbraio 1993, n. 177; id. 25 marzo
1999, n. 413; Cons. Stato, VI Sez., 10 aprile 2002, n. 1968). Nella fattispecie
in esame si tratta del concorso, a carattere nazionale, per la copertura delle
vacanze dei posti di Presidente, di Presidente di sezione, di Vice Presidente di
sezione e di giudice nelle Commissioni tributarie regionali e nelle Commissioni
tributarie provinciali, di cui alla G.U., 4^ serie speciale n. 70 del 3
settembre 2002 e l’atto impugnato in via principale è costituito dalla delibera
di approvazione della graduatoria del Consiglio di Presidenza della Giustizia
Tributaria e, quindi, da un atto che - sebbene riguardante la copertura del
posto di Vice Presidente di sezione nella Commissione Tributaria provinciale di
Isernia per la quale l’interessato concorreva - risulta adottato da un organo
centrale dello Stato nell’ambito di una procedura concorsuale su base nazionale.
Tale soluzione appare, del resto, conforme alla esigenza di assicurare che il
contenzioso relativo a un pubblico concorso sia concentrato presso il T.A.R.
nella cui circoscrizione ha sede l’Autorità che provvede all’espletamento dello
stesso, coincidendo, di regola, la sede di detta Autorità con il luogo di
espletamento del concorso (cfr. Cons. Stato, IV Sez., 26 marzo 1999, n. 430;
Cons. Stato, VI Sez., 19 dicembre 1989, n. 1621). Consiglio di Stato, Sezione
IV, - 24 giugno 2003, sentenza n. 3814
Comunicazione agli interessati dell’avvio del
procedimento - i presupposti di fatto e di diritto - obbligo. Benché la
ratio dell’obbligo di dare comunicazione agli interessati dell’avvio del
procedimento trovi la sua massima espressione allorquando l’amministrazione
debba adottare provvedimenti discrezionali, così che la partecipazione degli
interessati diventa lo strumento indispensabile per orientare concretamente le
scelte dell’amministrazione, indirizzandola al (più) giusto provvedimento
(possibile), è stato affermato che il predetto obbligo di comunicazione
dell’avvio del procedimento sussiste anche in occasione dell’adozione di
provvedimenti vincolati, ogni qualvolta si renda necessario un apporto
istruttorio inteso a chiarire se ricorrano o meno, nella concreta fattispecie, i
presupposti di fatto e di diritto ai quali si riconnette il legittimo esercizio
del potere amministrativo (C.G.A., 31 maggio 2002, n. 284; C.d.S., sez. V, 22
maggio 2001, n. 2823): diversamente opinando si giungerebbe ad una
interpretazione formalistica e strumentale dell’articolo 7 della legge 7 agosto
1990, n. 241, privandolo della sua che tradisce le stesse finalità che ne hanno
giustificato svuotandola cioè delle finalità. Consiglio di Stato, Sezione IV,
- 24 giugno 2003, sentenza n. 3813
L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento - adozione di
provvedimenti vincolati - legittimo esercizio del potere amministrativo -
sussistenza. L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, ai
sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, sussiste anche in occasione
dell’adozione di provvedimenti vincolati, ogni qualvolta si renda necessario un
apporto istruttorio inteso a chiarire se ricorrano o meno, nella concreta
fattispecie, i presupposti di fatto e di diritto ai quali si riconnette il
legittimo esercizio del potere amministrativo. Consiglio di Stato, Sezione IV,
- 24 giugno 2003, sentenza n. 3813
La notifica di un ricorso presso la casa
comunale anziché presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato competente - la
rappresentanza e l’assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato.
Conformemente al consolidato orientamento della giustizia amministrativa in
materia, che l’art. 1 del T.U. 30/10/1933 n. 1611, che attribuisce
all’Avvocatura dello Stato la rappresentanza e l’assistenza in giudizio delle
Amministrazioni dello Stato anche se ad ordinamento autonomo, si riferisce alle
Amministrazioni dello Stato in senso proprio, ossia agli uffici o complessi di
uffici facenti parte della struttura organica dell’Ente Stato. Pertanto, la
normativa stessa non trova applicazione nel caso di organi di altri Enti che
esercitano funzioni statali, come avviene, appunto, per il Sindaco che agisce in
veste di Ufficiale di Governo, con la conseguenza che deve considerarsi rituale
la notifica di un ricorso presso la casa comunale anziché presso l’ufficio
dell’Avvocatura dello Stato competente (v. C.d.S., sez. IV, 28/3/1994 n. 291;
T.A.R. Lombardia -BS- 21/2/2000 n. 134; T.A.R. Basilicata 2/3/1998 n. 74;).
Tribunale Amministrativo Regionale Emilia - Romagna Sezione di Parma, 12 giugno
2003 - sentenza n. 303 (vedi:
sentenza
per esteso)
Silenzio-rifiuto serbato dalla p.a. su un'istanza procedimentale - il ricorso giurisdizionale contro l'inerzia dell'amministrazione - l'onere di notificare - l'immediata impugnazione del silenzio - atto di diffida - termini. Il ricorso giurisdizionale contro l'inerzia dell'amministrazione potrà essere proposto solo se l'interessato (dopo la presentazione dell'eventuale istanza) avrà adempiuto l'onere di notificare, con le forme previste per gli atti giudiziari, un'apposita diffida a provvedere entro un congruo termine, comunque non inferiore a trenta giorni, non essendo ammissibile l'immediata impugnazione del silenzio conseguente alla mancata risposta all'istanza formulata dal privato, se non si sia fatto ritualmente constatare l'inadempimento della p.a. mediante una formale diffida all'amministrazione. Inoltre, come chiarito da questa Sezione, il silenzio - rifiuto serbato dalla p.a. su un'istanza procedimentale ha valore provvedimentale, per cui il ricorso giurisdizionale proposto a seguito di esso va notificato, a pena di decadenza, entro il sessantesimo giorno dalla sua formazione, decorrente dalla scadenza di quello assegnato alla p.a. stessa nell'atto di diffida (Consiglio Stato sez. V, 17 ottobre 2000, n. 5565; si veda anche Consiglio Stato sez. III, 2 giugno 1998, n. 113). Risultano, pertanto, corrette le determinazioni del giudice di prime cure che ha ritenuto inammissibile (per alcuni ricorrenti) il ricorso contra silentium in quanto proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine di trenta giorni assegnati con l’atto di diffida e la determinazione di inammissibilità del ricorso (per gli altri ricorrenti) in quanto proposto allorchè non erano ancora decorsi i termini per la formazione del silenzio. Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3288
La tipicità del rapporto di impiego con le Pubbliche amministrazioni e l’obbligatoria osservanza delle procedure comparative e selettive di alimentazione dei ruoli - limiti all'obbligo di trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a termine in rapporto a tempo indeterminato - l’Amministrazione deve essere legittimata da apposita fonte - la nullità ex lege degli atti di assunzione o di riconoscimento dei rapporti di pubblico impiego. La tipicità del rapporto di impiego con le Pubbliche amministrazioni e l’obbligatoria osservanza delle procedure comparative e selettive di alimentazione dei ruoli impediscono, infatti, l'applicazione automatica e meccanica, nell’ambito del pubblico impiego, del principio ricavabile dall'art. 2 l. 18 aprile 1962 n. 230 in tema di conversione del rapporto a termine in quello a tempo indeterminato. Nel pubblico impiego, infatti, l'obbligo di trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a termine in rapporto a tempo indeterminato, stabilito in presenza di specifiche condizioni dall'art. 2 l. 18 aprile 1962 n. 230, può essere applicato solo se l’Amministrazione venga legittimata da apposita fonte che recepisca il principio nell'ambito e nei limiti connessi all'esercizio della potestà organizzatoria della stessa (Consiglio Stato sez. V, 22 giugno 1998, n. 918). Tale obbligo non si configura in capo ad un Comune (e in capo agli enti locali in genere), poichè l'art. 5 Decreto Legge 10 novembre 1978 n. 702 convertito con modificazioni con Legge 8 gennaio 1979 n. 3, fissa il divieto, sanzionato con la nullità del rapporto, di assunzione temporanea o di conferma in servizio di personale avventizio in violazione delle norme sul reclutamento di tali dipendenti. La norma imperativa ex art. 5 d.l. 10 novembre 1978 n. 702, convertito dalla l. 8 gennaio 1979 n. 3, per la oramai consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, nel disporre la nullità ex lege degli atti di assunzione o di riconoscimento dei rapporti di pubblico impiego, ha inteso arginare le assunzioni anomale e ridurre la spesa pubblica ed ha previsto la nullità in senso tecnico, ossia che i medesimi atti non possono produrre effetti (Ad. plen., 29 febbraio 1992, nn. 1 e 2 ; Ad. plen., 5 marzo 1992, nn. 5 e 6). In altri termini, la richiamata previsione legislativa della nullità evidenzia che il legislatore ha qualificato come rapporto di pubblico impiego solo quello che sia riconducibile ai provvedimenti tipici previsti dall’ordinamento: ne consegue che al giudice amministrativo è preclusa la statuizione di accertamento sull'esistenza di un rapporto prodotto da un atto nullo per violazione delle norme sui concorsi (cfr. Sez. IV, 16 febbraio 1998, n. 282; Cons.giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 4 novembre 1998, n. 646). (In specie il giudice di prima istanza, ha rigettato la pretesa relativa al diritto di immissione nei ruoli comunali, avendo correttamente ravvisato l’inesistenza delle condizioni legislativamente fissate per l’immissione. Difetta, infatti il presupposto fondamentale dei “posti vacanti”, e vi osta anche la previsione dell’art. 5 d.l. 10 novembre 1978 n. 702, convertito dalla l. 8 gennaio 1979 n. 3, che esclude l’immissione per il personale <<...con rapporto di servizio a tempo parziale e/o di durata limitata nel corso dell’anno>>). Conforme: Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenze nn. 3283 - 3282 - 3281. Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3284
P.A. - presupposti condizionanti la retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego - l’onere della prova. Vi sono due fondamentali presupposti condizionanti la retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego (cfr. Cons. Stato, V, 10 luglio 2000, n. 3845), ovvero la disponibilità del posto in organico (per vacanza od assenza non occasionale del titolare), nonché l’esistenza di un puntuale incarico formale, conferito, ovviamente nel periodo antecedente alla notifica del gravame, dall’organo competente ed espressamente riferito alle mansioni superiori; requisito quest’ultimo che va ritenuto indispensabile con la sola eccezione dei posti apicali delle strutture ospedaliere, in quanto mirante ad impedire che il singolo dipendente, di propria iniziativa o col consenso compiacente di altri organi incompetenti, possa assumere incarichi di livello superiore, aggirando le prescritte procedure di selezione del personale, e che non può essere in alcun modo rimediato attraverso un atto ricognitivo dell’organo competente, che attesti ex post l’effettivo svolgimento di mansioni superiori, atteso che diversamente, tra l’altro, sarebbe frustrata l’esigenza di condizionare il pagamento delle reclamate differenze retributive alle determinazioni dell’Amministrazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, V, 8 aprile 1999, n. 390; per l’onere della prova Cons. Stato, IV, 28 agosto 1997, n. 931). Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3235
Rapporto di pubblico impiego - il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato - l’esercizio di mansioni superiori. L’art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, non può trovare, infatti, incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’art. 98 Cost. (che nel disporre che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 Cost., contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l’imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari. Il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle funzioni di livello immediatamente superiore da parte dei pubblici dipendenti va, invece, riconosciuto nei limiti di legge, ma comunque con carattere di generalità, a decorrere dall’entrata in vigore del d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387, che con l’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art. 56 del d.lg 3 febbraio 1993 n. 29 (nei termini complessivamente sopraesposti: Cons. Stato, A.P., 18 novembre 1999, n. 22; 28 gennaio, n. 10 e 23 febbraio n. 11). Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3235
La determinazione autoritativa delle tariffe
relative all’erogazione di un servizio pubblico - imposizione di prestazioni
patrimoniali, tale determinazione non può essere rimessa all'arbitrio
dell'autorità - il principio della riserva (relativa) di legge - tributi a
struttura progressiva - le contribuzioni relative a prestazioni di servizi.
Costituisce ormai principio pacifico che la determinazione autoritativa delle
tariffe relative all’erogazione di un servizio pubblico deve assimilarsi ad una
vera e propria imposizione di prestazioni patrimoniali, con la conseguenza che
tale determinazione non può essere rimessa all'arbitrio dell'autorità, ma deve
essere assistita dalle garanzie di cui all'articolo 23 della Costituzione (Corte
Cost., n.72/1969). La Corte Costituzionale ha ritenuto che il principio della
riserva (relativa) di legge sia salvaguardato quando una norma di legge rimetta
la concreta fissazione delle tariffe ad atti dell'autorità amministrativa.
Inoltre, l'asserita violazione del principio di progressività non tiene conto
della pacifica interpretazione dell'articolo 53, comma 2, della Costituzione,
quale norma non precettiva ma di principio, che impone al legislatore ordinario
di assegnare ai tributi a struttura progressiva un valore caratterizzante del
sistema. Sono peraltro escluse dalla previsione di cui al citato articolo 53 le
contribuzioni relative a prestazioni di servizi il cui costo si può determinare
divisibilmente, mentre sono ricompresi solo le prestazioni contributive
caratterizzate dal conseguimento di finalità generali (Corte Cost., n.30/1964; n.23/1968;
n.91/1972). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza n. 3166
P.A. - il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto - persino dopo la stipulazione del contratto - in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico - informativa supplementare atipica - il diniego di approvazione del contratto. Nel settore degli appalti pubblici di lavori, poi, assume particolare rilievo l’esigenza di assicurare il puntuale rispetto delle regole della concorrenza tra le imprese, nell’interesse generale alla corretta ed efficace gestione delle risorse pubbliche, conformemente ai principi enunciati dall’articolo 1 della legge n.109/1994 (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n. 661). La giurisprudenza di questo Consesso riconosce il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto - persino dopo la stipulazione del contratto - in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661; C. Stato, VI, 14 gennaio 2000, n.244). Il diniego di approvazione del contratto previsto dall’art.113, r.d. n.827/1924, è applicabile in presenza di un’informativa supplementare atipica, sussistendo in tal caso ragioni di interesse pubblico che si ricollegano al contenuto dell’informativa antimafia (C. Stato, V, n.5710/2000; C. Stato, VI, n.149/2002). Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)
Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti devono acquisire le informazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni - tipi di informativa - c.d. interdittive - informazione prefettizia - l’alto commissario antimafia - c.d. informativa supplementare atipica - il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata - il tentativo di infiltrazione mafiosa - l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante. L’art.4, d.lgs. n.490/1994 dispone, al co. 1, che “Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all'art.1, devono acquisire le informazioni di cui al comma 4 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni indicati nell'allegato 3, il cui valore sia: a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati; b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; c) superiore a 200 milioni di lire per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche”. Il successivo co. 4 dispone, nel suo primo periodo, che: “Il prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti, nel termine massimo di quindici giorni dalla ricezione della richiesta, le informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell'allegato 1, nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. La norma recata dal co. 4 prevede due tipi di informative c.d. interdittive, che impediscono la contrattazione: informazione prefettizia che comunica la sussistenza a carico dei soggetti responsabili dell’impresa ovvero dei soggetti familiari, anche di fatto, conviventi nel territorio dello Stato, delle cause di divieto o sospensione dei procedimenti indicate nell’allegato 1 (vale a dire le cause di divieto, sospensione, decadenza, previste dall’art.10, l. 31 maggio 1965, n.575); informazione prefettizia da cui risultino eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società o imprese interessate. La prassi dell’amministrazione sviluppatasi sulla base dell’esegesi delle norme vigenti, sostenuta dall’elaborazione giurisprudenziale, conosce, infine, un terzo tipo di informativa, la c.d. informativa supplementare atipica, fondata sull’accertamento di elementi i quali, pur denotando il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità prevista dall’art.4, d.lgs. n.490/1994, vuoi perché carenti di alcuni requisiti soggettivi o oggettivi pertinenti alle cause di divieto o sospensione, vuoi perché non integranti del tutto il tentativo di infiltrazione mafiosa. La stessa è priva di efficacia interdittiva automatica, ma consente l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, IV, 1° marzo 2001, n.1148; C. Stato, VI, 14 gennaio 2002, n.149), laddove tali poteri siano previsti dall’ordinamento. Tale potere - dovere di informativa supplementare da parte del Prefetto nei confronti delle stazioni appaltanti trova, secondo le statuizioni di questo Consesso, che il Collegio condivide, il suo fondamento: da un lato nell’art.1 septies, d.l. 6 settembre 1982, conv. nella l. 12 ottobre 1982, n.726, a tenore del quale l’alto commissario antimafia (le cui competenze sono state nelle more devolute ai Prefetti) può “comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni (…) per lo svolgimento di attività economiche (…) elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti (…)”; dall’altro lato, nel principio generale di collaborazione reciproca, con correlati obblighi di trasmissione di conoscenze, tra le pubbliche istituzioni. Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)
Canone per la concessione di suolo pubblico - occupazione dello spazio pubblico - cumulabilità della tassa con il canone concessorio - diversità di natura dei due istituti - canone di concessione - tassa di occupazione - definizione e differenziazione - TOSAP - commercio su aree pubbliche - competenza a deliberare il canone. Il giudice amministrativo si è costantemente espresso sulla cumulabilità della tassa con il canone concessorio (Cons. St., Sez. V, 26 marzo 2003 n. 1751; Sez. IV 22 aprile 1996 n. 524; TAR Emilia Romagna - Parma - 7 giugno 2001 n. 309; 18 ottobre 1999 n. 651; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 9 gennaio 1995 n. 26; TAR Toscana, Sez. I, 3 maggio 1995 n. 296). Tale orientamento si fonda sulla considerazione della diversità di natura dei due istituti. Mentre il canone di concessione trova la sua giustificazione nella necessità per l’ente pubblico proprietario del terreno di trarre un corrispettivo per l’uso esclusivo e per l’occupazione dello spazio, concessi contrattualmente o in base a provvedimento amministrativo a soggetti terzi, la tassa di occupazione di spazi ed aree pubbliche è istituto di diritto tributario, dovuta al Comune quale ente impositore al verificarsi di determinati presupposti, ritenuti dal legislatore indici seppure indiretti di capacità contributiva. Ne consegue che al canone concessorio non può essere attribuita natura di prestazione patrimoniale imposta, e quindi non ha fondamento la censura di violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.. La delineata differenziazione sostanziale tra i due istituti si riflette nella diversità della disciplina riguardante la determinazione della misura dell’uno e dell’altro provento. Mentre, a mente dell’art. 38 e seguenti del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, disciplinanti la TOSAP, la discrezionalità dei comuni risulta fortemente limitata dalla suddivisione degli stessi in cinque classi per numero di abitanti e dalla fissazione di un minimo ed un massimo, oltre che da disposizioni particolari per occupazioni permanenti e temporanee ed altre ipotesi particolari (ad es. per gli spazi soprastanti e sottostanti il suolo, ecc), i principi relativi al canone di concessione dettati dall’art. 27 d.lgs. n. 285 del 1992 (codice della strada), che riproduce la corrispondente norma del r.d. n. 1740 del 1933 (art. 8), assumono tutt’altro tenore, denotando il conferimento di un’ampia area di discrezionalità all’ente concedente. Il comma 8 recita infatti che “Nel determinare la misura della somma (dovuta per l’occupazione) si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava.”. Né può disconoscersi il peso del dato testuale offerto dall’art. 8, comma 2, del r.d. n. 1740 del 1933, applicato nella specie, secondo cui: “Per le licenze e per le concessioni di cui agli artt.2, 3, e 6 primo comma, sono inoltre stabiliti la loro durata, la somma dovuta per l’occupazione o per l’uso concesso e l’annuo canone”. Con specifico riferimento al commercio su aree pubbliche, l’art. 3, comma 12 della legge 28 marzo 1991 n. 112, disciplinando la materia prevedeva la competenza del consiglio comunale a deliberare il canone per la concessione del posteggio. Le norme poste dal Titolo X del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114 (Commercio al dettaglio su aree pubbliche), nel costante riferimento all’istituto della concessione per l’uso del posteggio, non sembrano introdurre modifiche significative sul punto. Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 - sentenza n. 3063. Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 - sentenza n. 3064
P.A. - sentenza penale di patteggiamento (art. 444 cod. proc. pen.) - effetti in sede di procedimento disciplinare - ricorso agli atti del procedimento penale - legittimità. La prevalente giurisprudenza risultava orientata nel senso che i fatti che hanno dato luogo alla sentenza penale di patteggiamento devono formare oggetto di un'autonoma considerazione in sede di procedimento disciplinare e la relativa sanzione deve essere irrogata sulla base di un separato giudizio di responsabilità disciplinare, senza che la sentenza possa assurgere a presupposto unico per l'applicazione del provvedimento sanzionatorio, ovvero a parametro valutativo cui conformare la gravità della sanzione da irrogare (fra le tante IV Sez. 23.5.2001 n. 2853). Ed è proprio sull’assunto di un diritto vivente in tal senso orientato che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 10 della citata legge n. 97 del 2001, nella parte in cui conferiva rilievo - nei procedimenti disciplinari in corso - ai giudicati patteggiati prima della riforma. (Corte cost. 25.7.2002 n. 394). Fermo dunque che la sentenza penale resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. non può essere assunta a presupposto unico dell’applicazione del provvedimento disciplinare, la giurisprudenza ha però costantemente ammesso la possibilità per l’Autorità procedente di fare ricorso agli atti del procedimento penale, per ritenere accertati i fatti ammessi o, comunque, addebitabili all’incolpato (V Sez. 12.11.2002 n. 6268). In particolare, è stato precisato che i fatti emersi nel procedimento penale possono ritenersi accertati nell’ipotesi che non siano contestati dall’incolpato oppure qualora, in base ad un ragionevole apprezzamento delle risultanze processuali, risultino fondatamente ascrivibili al dipendente. (Csi 10.12.2001 n. 664). Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3044
La colpevolezza del ritardo della Pubblica amministrazione nell’erogazione
degli emolumenti - il credito nascente da una norma che prevede la decorrenza
retroattiva dell’inquadramento di un dipendente - erogazione degli emolumenti -
rivalutazione delle retribuzioni. La giurisprudenza ha già affermato che il
credito nascente da una norma che prevede la decorrenza retroattiva
dell’inquadramento di un dipendente in una determinata amministrazione, non deve
essere soddisfatto aumentandone l’importo con interessi e rivalutazione
monetaria per il periodo che intercorre tra la data di riconosciuta decorrenza
del provvedimento e la data di entrata in vigore della norma stessa. Ciò non
tanto per il fatto che mancherebbe, in tale ipotesi, la colpevolezza del ritardo
della Pubblica amministrazione nell’erogazione degli emolumenti - ritenuto che
la rivalutazione delle retribuzioni costituisce soltanto un mezzo per l’attualizzazione
del credito - quanto perché mancherebbe lo stesso credito retributivo,
chiaramente inesistente in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge che
ha previsto il beneficio (Cons. St., Sez, IV, n. 756 del 1.10.1991).
Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3034
L’indennità di bilinguismo attribuita ai dipendenti degli enti locali - limiti. Ai sensi dell’art. 60 d.P.R. n. 268 del 1987, l’indennità di bilinguismo attribuita ai dipendenti degli enti locali non spetta qualora il personale non abbia uno specifico obbligo di utilizzare la lingua (nel caso di specie slovena) nei rapporti istituzionali e con gli utenti. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3027. Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3028
Ogni attività dell’Amministrazione è vincolata all’interesse collettivo - istituti di diritto privato - applicazione dei principi di buona fede, correttezza e di legalità - enti pubblici economici ed i gestori di pubblici servizi - disciplina. Ogni attività dell’Amministrazione, anche quando le leggi amministrative consentono l’utilizzazione di istituti di diritto privato, è vincolata all’interesse collettivo, in quanto deve tendere alla sua cura privata, mediante atti e comportamenti comunque finalizzati al perseguimento dell’interesse generale. L’attività amministrativa è, quindi, configurabile non solo quando l’Amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa (nei limiti consentiti dall’ordinamento) persegua le proprie finalità istituzionali mediante un’attività sottoposta, in tutto o in parte, alla disciplina prevista, per i rapporti tra i soggetti privati (anche quando gestisca un servizio pubblico o amministri il proprio patrimonio o il proprio personale) e chi ne ha interesse, anche quale dipendente, può accedere agli atti di un procedimento dominato dai principi di buona fede e correttezza oltre che da quello di legalità (cfr. C.d.S., A.P. 22 aprile 1999, n. 4). Per quanto concerne gli enti pubblici economici ed i gestori di pubblici servizi, la giurisprudenza ha chiarito che la loro attività, quando si manifesta nella gestione di interessi pubblici, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 97 della Costituzione (e non dell’art. 41, sulla libertà dell’iniziativa economica): essa, pur se sottoposta di regola al diritto comune, è svolta, oltre che nell’interesse proprio, anche per soddisfare quelli della collettività ed ha rilievo pubblicistico, sicché si deve attenere ai principi della trasparenza e del buon andamento (cfr., C.d.S., A.P. n. 4/1999, cit. e , più di recente, questa Sezione, 21 giugno 2001, n. 3304). Consiglio di Stato, Sezione VI - 30 maggio 2003 - sentenza n. 3000
Giudizio disciplinare a carico di un pubblico
impiegato - il termine stabilito dalla disposizione regolamentare disciplinare
non può ritenersi perentorio. Il termine stabilito dalla disposizione
regolamentare disciplinare non può ritenersi perentorio, bensì, alla stregua di
quello di cui all’art.103 del T.U. degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. 10
gennaio 1957, n.3), meramente propulsivo o sollecitarlo, dal momento che nessun
effetto estintivo del procedimento o di decadenza dell’esercizio del potere
disciplinare è previsto per la sua inosservanza (cfr. questa Sezione 15 dicembre
1999, n.2093 e 28 marzo 2000, n.1803). (Nella specie l’appellante, dipendente
dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, è stato legittimamente,
licenziato senza preavviso all’esito di procedimento disciplinare, instaurato a
seguito della sentenza in data 23 ottobre 1995, con la quale il Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli gli aveva applicato la pena
di un anno e dieci mesi di reclusione, ex art.444 cod. proc. pen. per i reati di
associazione per delinquere, concorso in tentata truffa aggravata e truffa
aggravata ai danni di Ente pubblico, corruzione e falsità in scrittura privata).
Consiglio di Stato, Sezione VI - 27.05.2003, sentenza n. 2955
Giudizio disciplinare a carico di un pubblico impiegato - art.444 cod. proc.
pen. - valutazione della rilevanza dei fatti. Ai fini del giudizio
disciplinare a carico di un pubblico impiegato, non è sufficiente, per affermare
la relativa responsabilità, la circostanza che nei confronti dello stesso
impiegato sia stata pronunziata, relativamente ai fatti contestati, sentenza
penale di condanna ai sensi dell’art.444 cod. proc. pen., dovendo l’organo
disciplinare procedere ad autonoma valutazione della rilevanza dei fatti, è
altrettanto vero che a tale pronuncia penale può farsi, tuttavia, riferimento
per ritenere accertati quei fatti, emersi nel corso del procedimento penale, che
o non siano contestati oppure, in base ad un ragionevole apprezzamento delle
risultanze processuali, appaiano fondatamente ascrivibili al dipendente (cfr.
C.d.S., Sez.VI, 2 aprile 1998, n.428 e Sez.V, 28 dicembre 2001, n.6455).
Consiglio di Stato, Sezione VI - 27.05.2003, sentenza n. 2955
Pubblica Amministrazione - i principi
costituzionali di buon andamento e di imparzialità - natura pubblicistica o
privatistica - i rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato. Si è
ormai consolidato l’indirizzo formulato dall’Adunanza Plenaria di questo
Consiglio con ordinanza 30 marzo 2000 n. 1, secondo cui i principi
costituzionali di buon andamento e di imparzialità “costituiscono valori
essenziali di riferimento di ogni comportamento della pubblica amministrazione”,
indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica del quadro formale
in cui il comportamento deve essere svolto, e quindi “riguardano allo stesso
modo l’attività volta all’emanazione di provvedimenti e quella con cui sorgono o
sono gestiti i rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato”; sicché va
sempre finalizzata al perseguimento dell’interesse collettivo “ogni attività
dell’amministrazione senza alcuna eccezione”. La stessa Adunanza Plenaria, con
decisioni nn. 4 e 5 del 22 aprile 1999, aveva del resto già affermato il
principio che “l’istituto dell’accesso trovi applicazione nei confronti di ogni
tipologia di attività della pubblica amministrazione” e che, con particolare
riferimento ai gestori di pubblici servizi, il rispetto della normativa sulla
trasparenza e sul buon andamento del rapporto di lavoro con il personale
coinvolga interessi di natura pubblicistica e contribuisca ad instaurare
corretti rapporti, tra il gestore ed i propri dipendenti, con conseguente
maggiore qualità, funzionalità ed efficienza del servizio. Da tale indirizzo,
ribadito da questa Sezione con decisioni 5 marzo 2002 n. 1303 e 15 maggio 2002
n. 2618, il Collegio non ha alcun motivo di discostarsi. Consiglio di Stato,
Sezione VI - 27.05.2003, sentenza n. 2938 (vedi:
sentenza
per esteso)
Natura giuridica del diritto d’accesso - orientamenti giurisprudenziali -
interesse legittimo - diritto soggettivo - il giudice amministrativo giudica
sulle controversie in materia di accesso in sede di giurisdizione esclusiva.
Sulla natura giuridica del diritto d’accesso si sono sinora formati due diversi
orientamenti giurisprudenziali. Il primo orientamento (Adunanza plenaria 24
giugno 1999 n. 16; Sez. V, 2 dicembre 1998 n. 1725) ritiene che il diritto
d’accesso abbia in realtà natura sostanziale di interesse legittimo; il secondo
orientamento (Sez. VI, 19 settembre 2000 n. 4880; Sez. IV, 27 agosto 1998 n.
1137 e 11 giugno 1997 n. 643; TAR Marche, 20 novembre 1997 n. 1181), seguito
dalla sentenza impugnata, ritiene invece che il diritto d’accesso abbia natura
sostanziale di un vero e proprio diritto soggettivo. Al secondo orientamento
implicitamente aderisce la giurisprudenza, oggi pacifica (Sez. IV, 2 luglio 2002
n. 3620 e 16 aprile 1998 n. 641), secondo cui la sopravvenuta inoppugnabilità
del diniego d’accesso o del silenzio sulla domanda d’accesso non preclude la
facoltà di presentare di nuovo la domanda stessa; e in tal modo riconosce che la
posizione soggettiva dell’interessato all’accesso può essere fatta valere senza
il limite del termine di decadenza proprio dell’interesse legittimo. Il testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali 18 agosto 2000 n. 267,
all’art. 19, assicura ai cittadini il diritto di accedere “a tutti gli atti” e
“in generale, alle informazioni” di cui è in possesso l’amministrazione locale;
e al successivo art. 43 stabilisce che i consiglieri comunali e provinciali
hanno diritto di ottenere “tutte le notizie….utili all’espletamento del proprio
mandato”. Tali norme sono state pacificamente intese nel senso che attribuiscano
agli interessati un vero e proprio diritto soggettivo d’accesso. Costituirebbe
quindi un’evidente discrasia che solo gli accessi disciplinati dalla legge n.
241/1990, che oltre tutto rappresentano solo una piccola minoranza del totale
degli accessi, avessero natura di interesse legittimo; ciò soprattutto ora che
il nuovo testo dell’art. 114 della Costituzione ha ribaltato la tradizionale
piramide delle pubbliche amministrazioni, ponendo al suo vertice Comuni e
Province. In secondo luogo l’Atto Senato n. 1281, al fine evidente di eliminare
ogni dubbio sorto in passato ha esplicitamente inserito il diritto d’accesso tra
i “diritti civili e sociali” di cui all’art. 117, lett. m) della Costituzione ed
ha precisato che il giudice amministrativo giudica sulle controversie in materia
di accesso in sede di giurisdizione esclusiva; sicché ogni dubbio in proposito
appare destinato ad essere tra breve formalmente eliminato dal legislatore del
quale - allo stato - appare ben chiara l’intenzione. Consiglio di Stato,
Sezione VI - 27.05.2003, sentenza n. 2938 (vedi:
sentenza
per esteso)
Accesso documenti - silenzio rifiuto - il termine perentorio di trenta giorni
- diffida ad adempiere. Ma ai sensi dell’art. 25, commi 4 e 5, della legge
n. 241/1990 “decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta” (d’accesso)
questa si intende respinta e contro il rifiuto tacito od espresso il ricorso al
TAR va proposto entro il successivo termine perentorio di trenta giorni. Nel
sistema stabilito dalla norma non è quindi previsto, ed è quindi logicamente
escluso attese le specifiche esigenze di celerità del rito, che il termine
perentorio per ricorrere in sede giurisdizionale possa essere interrotto o
riaperto dalla proposizione di una diffida ad adempiere. Consiglio di Stato,
Sezione VI - 27.05.2003, sentenza n. 2938 (vedi:
sentenza
per esteso)
La legge di depenalizzazione del reato - i provvedimenti di trasformazione di reati in illeciti amministrativi - la trasmissione degli atti agli enti competenti per l'applicazione delle sanzioni amministrative - obbligato da parte del giudice - limite intrinseco al principio di irretroattività della norma di depenalizzazione. Quando la legge di depenalizzazione non prevede espressamente la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa, la trasmissione deve essere tuttavia disposta in applicazione degli artt. 40 e 41 della legge 689/1981, che assurgono a principi generali per tutti i casi di trasformazione del reato in illecito amministrativo (così Cass. Sez. I, n. 12659 del 15.6.1990, Daversa, rv. 185428, in tema di depenalizzazione del porto d'arma per uso di caccia disposta dalla legge 21.2.1990 n. 36), e quindi si configurano come limite intrinseco al principio di irretroattività della norma di depenalizzazione. In altri termini, la norma di depenalizzazione si applica ai fatti precedentemente connessi sia in virtù dell'art. 2, comma 2 c.p. (per il profilo penale), sia in virtù dell'art. 40 legge 689/1981 (per il profilo amministrativo). In questa linea si inserisce una giurisprudenza della Cassazione Civile, che ha anche teorizzato la ratio del principio. Cass. Sez. Lav. sent. N. 92 del 9.9.1996, Ispettorato provinciale del lavoro di Salerno c. Carola, rv. 495271, in tema di opposizione all'ordinanza ingiunzione prevista dalla legge 689/1981, ha così statuito: "Anche le disposizioni della legge n. 689 del 1981 dettate, diversamente dai principi generali di cui ai primi dodici articoli, in riferimento agli specifici casi di depenalizzazione operati dalla medesima legge, possono trovare applicazione nelle depenalizzazioni disposte da leggi successive, nelle quali sia ravvisabile una lacuna normativa contrastante con le loro finalità. In particolare l'art. 40 della legge n. 689 del 1981, secondo cui le sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni (già penalmente sanzionate) commesse anteriormente all'entrata in vigore di detta legge di depenalizzazione, é analogicamente applicabile anche alla depenalizzazione, attuata dall'art. 26 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, dell'assunzione di lavoratori senza il prescritto tramite dell'Ufficio di collocamento (fattispecie già sanzionata penalmente dall'art. 33, dodicesimo comma, e dall'art. 38 della legge n. 300 del 1970). Infatti una simile depenalizzazione non ha la finalità di sanare i precedenti illeciti, ma quella di alleggerire la punizione dei responsabili e alleviare i compiti della oberata giurisdizione penale. Su tale retroattività della legge di depenalizzazione peraltro prevale - come in ogni altro caso analogo - la precedente estinzione del recato per amnistia o prescrizione che sia invocata dall'interessato in sede di opposizione all'ordinanza - ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa." Cassazione Penale, Sez. III, 26 maggio 2003, sentenza n. 22932
Le controversie relative alla liquidazione del trattamento di fine rapporto erogato in favore del personale degli enti locali - giurisdizione del giudice ordinario. Le controversie relative alla liquidazione del trattamento di fine rapporto erogato in favore del personale degli enti locali sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto investono posizioni di diritto soggettivo inerenti ad un rapporto previdenziale con l’istituto erogatore, autonomo rispetto al rapporto di pubblico impiego che ne costituisce solo il presupposto (ex multis cfr. decisioni 22 ottobre 2002, n.5797; 12 febbraio 2001, n.671). L’impossibilità di procedere ad un’estensione analogica delle norme eccezionali che attribuiscono alla giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’articolo 6 della legge 20 marzo 1980, n.75, la cognizione delle controversie sull’indennità di buonuscita del personale statale e delle aziende autonome, impone allora l’accoglimento dell’appello e la declinazione della giurisdizione. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione VI - 26.05.2003, sentenze nn. 2876 - 2875. Consiglio di Stato, Sezione VI - 26.05.2003, sentenza n. 2877
Tutela della salute pubblica - provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini - competenza - sindaco - condizioni - l'assistenza della forza pubblica - il principio di legalità - la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica. Questi atti sono emanati in presenza di una situazione di urgenza e necessità, il cui contenuto (come si è visto) non è predeterminato dalla legge, ma si adegua in concreto ai tratti dell'emergenza sulla quale si vuole intervenire: ciò al fine di consentire all'ordinanza quei margini di elasticità indispensabili per garantirne efficacia ed efficienza. Il principio di legalità, in questi casi, è compresso nei limiti massimi concessi dall'ordinamento e la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti si traduce nell'indicazione legislativa dei soli caratteri della situazione - di necessità ed urgenza - che costituisce il presupposto della misura adottata. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)
La responsabilita' aquiliana ex art. 2043 c.c. - risarcimento del danno ingiusto - carattere atipico del fatto illecito - lesione, interesse legittimo, diritto soggettivo - attivita' illegittima della p.a.. La normativa sulla responsabilita' aquiliana ex art. 2043 c.c. ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto, intendendosi come tale il danno arrecato non iure, il danno, cioe', inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo. Peraltro, avuto riguardo al carattere atipico del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., non e' possibile individuare in via preventiva gli interessi meritevoli di tutela: spetta, pertanto, al giudice, attraverso un giudizio di comparazione tra gli interessi in conflitto, accertare se, e con quale intensita', l'ordinamento appresta tutela risarcitoria all'interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, una esigenza di protezione. Ne consegue che anche la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, puo' essere fonte di responsabilita' aquiliana, e, quindi, dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell'attivita' illegittima della p.a., l'interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo. Corte di Cassazione Sezioni Unite 22 luglio 1999, n. 500. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)
Non è proponibile l'azione di risarcimento
danni nei confronti della Pubblica amministrazione che non sia stata preceduta
dall'annullamento degli atti asseritamente illegittimi - principio della c.d.
soccombenza virtuale applicabile di norma per le spese di giudizio. Alla
stregua dei principi generali desumibili anche dalla legge 21 luglio 2000, n.
205, non è proponibile l'azione di risarcimento danni nei confronti della
Pubblica amministrazione che non sia stata preceduta dall'annullamento degli
atti asseritamente illegittimi (Cfr. Cons.St., Ad. plen., 26 marzo 2003, n. 4;
IV, 15 febbraio 2002, n. 952; VI, 18 giugno 2002, n. 3338; T.A.R. Campania, 8
febbraio 2001, n. 603; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 23 aprile 2001, n. 179 e 26
luglio 1999, n. 903; T.A.R. Puglia, Lecce, 16 aprile 1999, n. 416): (nella
fattispecie questo presupposto non si è realizzato). Tuttavia, il Collegio
ritiene che nel caso di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di
interesse possa farsi luogo - ai fini di stabilire la risarcibilità del danno -
al principio della c.d. soccombenza virtuale, applicabile di norma per le spese
di giudizio. Tribunale
Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza
n. 202 (vedi:
sentenza
per esteso)
La domanda risarcitoria, ex art.
2043 c.c. nei confronti della p.a. - illegittimo esercizio di una funzione
pubblica - evento dannoso - danno ingiusto - condotta della p.a. -
responsabilita' della p.a. La decisione sulla domanda risarcitoria, ex art.
2043 c.c. nei confronti della p.a. per illegittimo esercizio di una funzione
pubblica, il giudice dovrà “ procedere, in ordine successivo, alle seguenti
indagini: a) in primo luogo, dovra' accertare la sussistenza di un evento
dannoso; b) dovra', poi, stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come
ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per
l'ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto
soggettivo); c) dovra', inoltre, accertare, sotto il profilo causale, facendo
applicazione dei criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una
condotta della p.a.; d) infine, se detto evento dannoso sia imputabile a
responsabilita' della p.a.: tale imputazione non potra' avvenire sulla base del
mero dato obiettivo della illegittimita' del provvedimento amministrativo[...]
richiedendo[...] una piu' penetrante indagine in ordine alla valutazione della
colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della
responsabilita' aquiliana. Corte di Cassazione Sezioni Unite 22 luglio 1999,n.
500. La sussistenza di tale elemento sara' riferita non al funzionario agente,
ma alla p.a. come apparato, e sara' configurabile qualora l'atto amministrativo
sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialita',
correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l'esercizio della
funzione amministrativa, e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in
quanto limiti esterni alla discrezionalita' amministrativa”. Tribunale
Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza
n. 202 (vedi:
sentenza
per esteso)
Tutela della salute pubblica - provvedimenti contingibili e urgenti - limiti
- garanzie - termine di efficacia del provvedimento - imposizione di misure non
definitive e di efficacia temporalmente limitata - esigenze prevedibili e
permanenti - illegittimità - contra. L'eccezionalità e la “elasticità” dei
provvedimenti contingibili e urgenti non solo li sottopone a limiti rigorosi,
facendone una misura ultimativa, una vera e propria extrema ratio dell'agire
amministrativo, ma esige che, in concreto, la loro adozione sia preceduta da
tutte le garanzie richieste dall'ordinamento, purché siano compatibili con i
presupposti ed i requisiti dell'atto. Tra i requisiti di validità delle
ordinanze contingibili ed urgenti si annovera, secondo insegnamenti pacifici, la
fissazione di un termine di efficacia del provvedimento. In più recenti pronunce
si è affermato, in particolare, che tali ordinanze, oltre al carattere della
contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed
immediatezza nei casi di pericolo attuale od imminente, presentano quello della
provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive
e di efficacia temporalmente limitata. Di tal che non si ammette che l'ordinanza
venga emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, ovvero per
regolare stabilmente una situazione od un assetto di interessi (Cfr., Cons.
Stato, IV Sez., 13 dicembre 1999, n. 1844; V Sez. 30 novembre 1996, n. 1448). In
altri casi si è pure ammesso che le ordinanze di necessità ed urgenza possano
produrre effetti non provvisori. Si ritiene che non sia la provvisorietà a
connotarle, ma la necessaria idoneità delle misure imposte ad eliminare la
situazione di pericolo che ne giustifica l'adozione, e che, in definitiva, tali
misure possano essere tanto definitive quanto provvisorie, a seconda del tipo di
rischio da fronteggiare (Cfr., Cons. Stato, V Sez., 29 luglio 1998, n. 1128).
Quest'ultima affermazione non è un segnale di incoerenza con i principi generali
dapprima esposti, bensì la conferma della elasticità che caratterizza
necessariamente questi provvedimenti, congegnati dal Legislatore in termini di
atipicità proprio allo scopo di renderli adeguati a provvedere al caso di
urgenza. In sintesi, la regola è quella per cui l'ordinanza deve contenere
l'apposizione di un termine, ma tale regola potrebbe anch'essa venir derogata
quando, per la peculiarità del caso concreto, la misura urgente presenti
l'eccezionale attitudine a produrre conseguenze non provvisorie. Tribunale
Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza
n. 202 (vedi:
sentenza
per esteso)
Provvedimenti contingibili e urgenti - limiti - esigenze prevedibili e
permanenti - illegittimità. L'eccezionalità e la “elasticità” dei
provvedimenti contingibili e urgenti non solo li sottopone a limiti rigorosi,
facendone una misura ultimativa, una vera e propria extrema ratio dell'agire
amministrativo, ma non si può ammettere la loro adozione se l'ordinanza venga
emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, ovvero per regolare
stabilmente una situazione od un assetto di interessi (Cfr., Cons. Stato, IV
Sez., 13 dicembre 1999, n. 1844; V Sez. 30 novembre 1996, n. 1448). Tribunale
Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza
n. 202 (vedi:
sentenza
per esteso)
Consulenti esterni - elementi caratterizzanti il rapporto del lavoro dipendente e del rapporto di collaborazione professionale esterna - la presenza di alcuni tratti di lavoro subordinato non è sufficiente a trasformare il rapporto contrattuale in rapporto di pubblico impiego. Non rileva, ai fini della modifica della natura del rapporto, il fatto che il lavoro dei consulenti fosse necessariamente coordinato dal dirigente del Dipartimento affari giuridici e legali e che la loro attività potesse essere utilizzata in gruppi a composizione mista, apparendo del tutto normale che l’Amministrazione si avvalga dell’apporto dei consulenti esterni secondo un piano di lavoro e con modalità prefissati. A tale riguardo non può ritenersi che il fatto che gli appellanti fossero presenti, per esigenze di coordinamento del loro incarico (svolto anche, come si è detto, in gruppi a composizione mista) nella cd. fascia rigida dell’orario funzionale, integrasse l’assoggettamento dei medesimi all’orario di servizio dei dipendenti regionali, essendo l’obbligo di orario dei dipendenti pubblici articolato in maniera più complessa (servizio ordinario, straordinario, festività, ferie), e non essendo la presenza di alcuni tratti di lavoro subordinato sufficiente a trasformare il rapporto contrattuale in rapporto di pubblico impiego (Cfr. Cons. St., V sez., n. 4887/00; C.G.A. n. 621/99). Né, d’altra parte, di tale assoggettamento sussiste in atti supporto probatorio. (Nella specie gli elementi caratterizzanti il rapporto appaiono, incompatibili con la tipologia del lavoro dipendente ed, invece, riconducibili alla tipologia del rapporto di collaborazione professionale esterna, mancando, come ha affermato il giudice di prime cure, nei rapporti instaurati il requisito fondamentale per qualificare un rapporto come di pubblico impiego e cioè l’inserimento del soggetto privato nell’organizzazione burocratica pubblica). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2837
Promovibilità alla qualifica di direttore di divisione ad esaurimento dei soli dipendenti già inquadrati quali direttori aggiunti di divisione - sussiste - art. 155 della legge 11 luglio 1980 n. 312 - norma eccezionale - estensibilità analogica a categorie solo astrattamente equiparabili - non sussiste. L’art. 155 della legge 11 luglio 1980 n. 312 limita l’avanzamento alla qualifica di direttore di divisione ad esaurimento ai soli dipendenti ministeriali già in possesso della specifica qualifica di direttore aggiunto di divisione (od equiparata) prima dell’entrata in vigore della citata legge n. 312/1980, con esclusione di ogni altra situazione non espressamente contemplata, alla luce della natura palesemente eccezionale di tale disposizione legislativa. Vedi anche: Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenze nn. 2821 - 2820 - 2815. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2822
P.A. - elementi di calcolo del credito retributivo - la rivalutazione monetaria nelle due ipotesi del risarcimento del danno e della determinazione dell'equivalente monetari. Al fine di evitare ingiustificate forme di duplicazione degli elementi di calcolo del credito retributivo, gli interessi legali che il giudice deve determinare ai sensi dell'art. 429, 3º comma, c.p.c. si computano sull'importo originario del credito e non su quello risultante dalla rivalutazione sulle somme via via rivalutate, a nulla rilevando l'assimilabilità dei detti crediti ai crediti di valore, sotto il profilo della valutabilità poiché, indipendentemente dalla diversa funzione della rivalutazione monetaria nelle due ipotesi del risarcimento del danno e della determinazione dell'equivalente monetario, dalla disciplina del danno da ritardato adempimento dell'obbligazione non è deducibile un principio di rivalutazione degli interessi neppure in riferimento ai debiti di valore (C. Stato, ad. plen., 30-03-1999, n. 3; C. Stato, sez. V, 13-06-1998, n. 829). I pagamenti effettuati dall’amministrazione vanno imputati, prioritariamente, agli interessi ed alla rivalutazione e, successivamente, alla sorte capitale. Consiglio di Stato sez. V del 22.05.2003 sentenza n. 2780 (vedi: sentenza per esteso)
Sussistenza di un rapporto di pubblico impiego - elementi. Per giurisprudenza ormai pacifica, ai fini della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, ancorché nullo per disposizione di legge, è decisivo l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’ente pubblico, la prestazione di una attività di carattere continuativo e con vincolo di subordinazione, essendo invece irrilevante la mancanza di un atto formale di nomina, la durata prestabilita dell’incarico e la qualificazione di esso come contratto di opera professionale o di appalto (Cons. St., Sez. VI, 12 febbraio 2001 n. 670). Consiglio di Stato sez. V del 20.05.2003 sentenza n. 2741
Svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego - effetti. Lo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego non produce alcuna rilevanza, ne’ dal punto di vista giuridico dello status e della carriera del dipendente, ne’ da quello strettamente economico del riconoscimento delle differenze retributive. Consiglio di Stato sez. V del 22.05.2003 sentenza n. 2779
I requisiti per la partecipazione ad un concorso per l’accesso ai posti di pubblico impiego debbono essere posseduti dai concorrenti al momento della scadenza del termine della presentazione della domanda - irrilevanza della sopravvenienza del requisito il termine anche se con effetto retroattivo. Il Consiglio ha statuito in proposito che i requisiti per la partecipazione ad un concorso per l’accesso ai posti di pubblico impiego debbono essere posseduti dai concorrenti al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda stabilito dal bando, ed è irrilevante, a tal fine, la sopravvenienza del requisito dopo tale termine, anche se con effetto retroattivo (nella specie, si trattava di una promozione) (C. Stato, sez.IV, 23.2.1998, n.333). Consiglio di Stato, Sezione VI - 5 maggio 2003 - sentenza n. 2334
P.A.
- la legittimazione passiva in sede processuale - adozione di un provvedimento
rilevante all’esterno. Costituisce principio pacifico quello in base al
quale la legittimazione passiva in sede processuale spetta solo alle
amministrazioni che abbiano adottato il provvedimento rilevante all’esterno (cfr.
ad es. T.A.R. Lombardia sez. III, Milano, 28 febbraio 2002, n. 888 e Consiglio
Stato sez. V, 26 gennaio 1999, n. 59 e sez. IV, 21 aprile 1997, n. 423).
Tribunale Amministrativo Regionale Liguria, sezione I, 30 Aprile 2003- sentenza
n. 544
Annullamento degli atti lesivi degli interessi legittimi - risarcimento dei
danni. L’annullamento degli atti lesivi degli interessi legittimi
costituisce necessario passaggio pregiudiziale rispetto al successivo, e solo
eventualmente contestuale, giudizio sul risarcimento dei danni conseguenti. (cfr.
ad es. Consiglio di Stato Ad. plen. 26 marzo 2003 n. 4) Tribunale
Amministrativo Regionale Liguria, sezione I, 30 Aprile 2003- sentenza n. 544
P.A. - consigliere comunale - accesso documenti - espletamento della carica - diritto - diniego degli uffici dell’ente - illegittimità. Il consigliere comunale ha diritto di ottenere dagli uffici dell’Ente tutte le notizie, le informazioni e i chiarimenti utili all’espletamento della carica. Non ha alcun obbligo o dovere di motivare o giustificare le varie richieste di accesso (ex art. 43, c.2, D. Lg. 18 agosto 200, n. 267) che non sia quella inerente all’esercizio del mandato. A tale richiesta non possono essere opposte esigenze di tutela della riservatezza dei terzi, essendo i consiglieri comunali tenuti al segreto nei casi previsti espressamente per legge. E’ altresì illegittimo il diniego giustificato con l’impossibilità di rilasciare la documentazione richiesta perchè eccessiva. L’amministrazione ha l’obbligo di dotarsi di un apparato burocratico in grado di soddisfare gli adempimenti di propria competenza. (Pres. Turco - Est. Maggio - Serra (Avv. Murgia) c. Comune di Villasor (Avv.ti Fenza e Rossi) TAR SARDEGNA - 29 aprile 2003, n. 495
Silenzio rifiuto di un'Amministrazione - il procedimento avverso il silenzio dell'Amministrazione - accertamento dell'obbligo dell'Amministrazione di esercitare un pubblico potere - provvedimento di cura dell'interesse pubblico - competenza del giudice amministrativo - atto di natura privatistica - competenza del giudice amministrativo - giurisdizione del giudice ordinario. Il procedimento avverso il silenzio dell'Amministrazione di competenza del giudice amministrativo, secondo la disciplina risultante dall'art. 21 bis della legge n. 1034 del 1971, deve tendere all'accertamento dell'obbligo dell'Amministrazione di esercitare un pubblico potere di cui sia titolare, e quindi di emettere un provvedimento di cura dell'interesse pubblico. Invece, nella specie si chiede che il Comune sia condannato a compiere un atto di natura privatistica, ossia la stipula del contratto compravendita del terreno assegnato al ricorrente, cui si sarebbe in precedenza obbligato. A tal guisa risulta evidente che una pronuncia del genere suindicato non può essere conseguita con il procedimento avviato dall'appellante dinanzi al giudice amministrativo, in quanto afferisce alla tutela di un preteso diritto soggettivo, materia rientrante, salve le ipotesi di giurisdizione esclusiva, nella giurisdizione del giudice ordinario. Infatti, è di competenza del giudice ordinario la vertenza innescata dal silenzio rifiuto di un'Amministrazione verso la diffida a stipulare l'atto di vendita di un terreno comunale in merito a cui il Comune si era già impegnato precedentemente. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 aprile 2003
Cantieri di lavoro - Inesatto adempimento nell’esecuzione dei lavori - Momento
di realizzazione del danno all’erario comunale. Nell’ipotesi di indebita
locupletazione nell’esecuzione dei lavori, derivante da inesatto adempimento
delle forniture e dalla difforme esecuzione delle opere previste nel progetto
approvato, il danno all’erario comunale diviene concreto ed attuale con
l’avvenuto pagamento dei materiali, dei noli e della manodopera impiegati nella
esecuzione del cantiere di lavoro, che costituisce il momento in cui si è
realizzata l’effettiva diminuzione patrimoniale. Da tale momento decorre dunque
la prescrizione. Pres. Topi - Rel. Cultrera - P.M. La Porta. Corte dei conti
- Sezione Giurisdizionale per la Regione siciliana 8 aprile-28 maggio 2003 n.
1053
Pubblico impiego - esercizio di mansioni superiori - il diritto alle differenze retributive va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dall’entrata in vigore del D. Lvo 29 ottobre 1998, n. 387. L’Adunanza Plenaria con decisioni nn. 10 e 11 del 2000 ha statuito che il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lvo 29 ottobre 1998 n. 387 che con l’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art. 56 D.Lvo 1993, n 29 (nel testo sostituito con l’art. 25 D.Lvo 31 marzo 1998, n 810). E ciò in virtù di quanto disposto al 5° comma del citato art. 15, secondo cui al dipendente adibito a mansioni proprie di una qualifica superiore è corrisposta in ogni caso la differenza di trattamento con la qualifica superiore, pur se la assegnazione delle mansioni superiori sia avvenuta al di fuori delle ipotesi specificamente previste dal precedente comma 2°. La stessa Adunanza Plenaria ha però confermato che per il periodo antecedente alla entrata in vigore del D.Lvo n 387/1998 non può che farsi applicazione della regola giurisprudenziale della irrilevanza, sia ai fini giuridici che economici, dello svolgimento delle mansioni superiori (in assenza di una espressa disposizione di legge che regoli diversamente la materia). Il riconoscimento legislativo del diritto al trattamento economico corrispondente alle mansioni superiori svolte, quale è consacrato della normativa del 1998, non esplica i suoi effetti relativamente alle situazioni pregresse. Consiglio di Stato, V Sezione, 18.04.2003, sentenza n. 2114
Differenze retributive corrisposte in ritardo dall’amministrazione - diritto dei
dipendenti agli interessi e alla rivalutazione monetaria. E’ consolidata
giurisprudenza amministrativa che sulle somme corrisposte in ritardo
dall’Amministrazione debbano essere corrisposti ai pubblici dipendenti gli
interessi e la rivalutazione monetaria, essendo caduto il divieto di cui
all’articolo 26, comma 4, della legge n. 448/98 ad opera della sentenza della
Corte Costituzionale n. 136 del 17 maggio 2001. Consiglio di Stato, Sezione
IV, 17.04.2003, sentenza n. 2048
Le materie ricomprese nei casi di esclusione dall'accesso ai documenti - ammissibilità dell'accesso ai mandati di pagamento emessi da una Amministrazione in un determinato periodo, trattandosi di atti di ufficio. Le materie ricomprese nei casi di esclusione dall'accesso ai documenti previsti dall'art. 24 L. 7 agosto 1990 n. 241 e dall'art. 8 D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352 si riferiscono ai documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari; pertanto, va escluso che abbiano attitudine ad incidere sulla riservatezza di terzi l'accesso ai mandati di pagamento emessi da una Amministrazione in un determinato periodo, trattandosi di atti di ufficio, attuativi di disposizioni legislative o di delibere pubblicate nelle forme di legge. (Cons.di Stato IV Sez. 24.2.1996 n. 176). Consiglio di Stato Sezione IV, del 31 marzo 2003 sentenza n. 1677
P.A. - Commissione di disciplina e procedimenti disciplinari - rapporti tra giudizio penale e giudizio disciplinare autonomia di quest’ultimo - impiegati dello Stato - specifica motivazione della sanzione - necessità. La Commissione di disciplina non deve limitarsi ad esprimere il proprio voto sull’argomento posto all’ordine del giorno, senza argomentare alcunchè e senza esprimere alcuna valutazione specifica circa la vicenda sottoposta al suo esame, poiché in tal modo mancherebbe ogni elemento costitutivo di un autonomo giudizio finale, che deve invece essere espresso dopo un approfondito esame di tutte le circostanze del caso. Consiglio di Stato Sezione IV, del 31 marzo 2003 sentenza n. 1669
Inottemperanza ad un incombente istruttorio ordinato dal giudice da parte della Pubblica Amministrazione - elemento di prova a favore del ricorrente. Il comportamento dell’Amministrazione di inottemperanza ad un incombente istruttorio ordinato dal giudice può essere valutato come elemento di prova a favore del ricorrente privato (Sez. VI, 21 maggio 2001 n. 2784) e che, in presenza di una istruttoria disposta e non adempiuta da parte della pubblica Amministrazione, il giudice amministrativo può dare per provati i fatti affermati dalla parte privata, ove tale conclusione non si ponga in contrasto con altri fatti rilevabili dagli atti di causa. Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1594 (vedi: sentenza per esteso)
Pubblica Amministrazione - il trasferimento d'ufficio di un pubblico dipendente per incompatibilità ambientale - nesso di correlazione tra la situazione accertata e la condotta tenuta dal dipendente - necessità. E’ pacifico l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il trasferimento d'ufficio di un pubblico dipendente per incompatibilità ambientale, pur se non postula espressamente e necessariamente un rapporto di imputabilità al dipendente, richiede pur sempre un nesso di correlazione tra la situazione accertata e la condotta tenuta dal dipendente medesimo nella sede (per tutte, Sez. VI, 19 novembre 1984 n. 634 e 8 ottobre 1988 n. 1092) con la conseguenza che è da escludere che possa logicamente parlarsi di incompatibilità nel caso in cui il comportamento del dipendente sia stato legittimo e doveroso, anche se dal comportamento stesso siano derivate reazioni ambientali (per tutte, Sez. VI, 28 luglio 1992 n. 393 e 24 settembre 1996 n. 1247). Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1587
Tassa di occupazione del suolo pubblico - canone imposto al concessionario per l’utilità che egli ricava dalla utilizzazione esclusiva del bene comune - distinzione - natura - compatibilità tra la percezione della tassa e l’imposizione del canone. La percezione da parte del comune della tassa di occupazione del suolo pubblico non è incompatibile con la imposizione al concessionario di un canone per l’utilità che egli ricava dalla utilizzazione esclusiva del bene comune. La giurisprudenza amministrativa afferma concordemente che i due istituti della tassa e del canone vanno tenuti distinti perché si raccordano a diversi presupposti e soddisfano esigenze diverse. La prima costituisce espressione della potestà impositiva dell’ente pubblico in relazione ad un fatto cui la legge attribuisce il valore di indizio di capacità contributiva; il secondo ha natura di corrispettivo dovuto all’ente esponenziale della comunità in relazione alla utilizzazione in esclusiva del bene comune (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 7 giugno 2001 n. 309; 18 ottobre 1999 n. 651; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 9 gennaio 1995 n. 26; T.A.R. Toscana, Sez. I, 3 maggio 1995 n. 296). Tale differenziazione sostanziale si riflette nella diversità della disciplina riguardante l’individuazione degli importi imponibili. Mentre, a mente dell’art. 38 e seguenti del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, la discrezionalità dei comuni risulta fortemente limitata dalla suddivisione degli stessi in cinque classi per numero di abitanti e dalla fissazione di un minimo ed un massimo, oltre che da disposizioni particolari per occupazioni permanenti e temporanee ed altre ipotesi particolari (ad es. per gli spazi soprastanti e sottostanti il suolo, ecc), i principi relativi al canone di concessione dettati dall’art. 27 d.lgs. n. 285 del 1992 (codice della strada) assumono tuttaltro tenore, denotando il conferimento di un’ampia area di discrezionalità all’ente concedente. Il comma 8 recita infatti che “Nel determinare la misura della somma (dovuta per l’occupazione, corsivo aggiunto) si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava.”. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 26 marzo 2003, n. 1571
Bando di gara - il rispetto dei principi di imparzialità - buon andamento dell’azione amministrativa - documentazione - traduzione ufficiale. L’esigenza di assicurare il rispetto dei principi di imparzialità tra i diversi concorrenti ed il buon andamento dell’azione amministrativa (relativamente alle necessità di speditezza e di non aggravio dei lavori del seggio di gara) impongono a tutti i partecipanti di produrre non solo la documentazione, ma anche la relativa traduzione ufficiale. Deve,sotto altro profilo, escludersi la possibilità della stazione appaltante di disciplinare tale aspetto in maniera difforme in sede di bando di gara. La disciplina comunitaria consente (cfr. settimo comma art. 15 cit.), all’amministrazione aggiudicatrice, di individuare con il bando solamente “quale documentazione e quali certificazioni o atti sostitutivi devono corredare la domanda d'iscrizione” e pone il divieto di richiedere documentazione già prodotta. TAR LAZIO, Sezione III Ter - Sentenza 25 marzo 2003 n. 2565
La formazione del silenzio assenso - poteri di
autotutela - diniego esplicito. In presenza della formazione del silenzio
assenso, l’Amministrazione può solo esercitare i propri poteri di autotutela, ma
non è più legittimata a denegare quanto ormai acquisito dall’interessato in
virtù del silenzio dalla stessa serbato (sul principio della illegittimità del
diniego di rilascio di titolo che amplia la sfera giuridica dell’interessato in
mancanza del previo annullamento dell’assenso tacito, cfr. le decisioni della
Sezione 21 luglio 1999, n. 877; 4 maggio 1998, n. 500; 24 marzo 1997, n. 286; 3
luglio 1996, n. 834; 3 luglio 1996, n. 834; 17 dicembre 1990 n. 884). E qualora
un diniego esplicito sopravvenga alla formazione del silenzio assenso, ad esso
sostituendosi, si versa, come rilevato al punto 2) che precede, in una
situazione in cui all’assenso tacito fa seguito, in effetti, una rinnovata
espressione, stavolta, in via di sostanziale autotutela, del potere di
regolazione della materia di cui l’amministrazione è e resta titolare; esercizio
di autotutela di cui va, quindi, comunque verificata la legittimità.
Consiglio di Stato, Sezione V del 17.03.2003, Sentenza n. 1381
La scadenza del piano commerciale - il decorso del prescritto
quadriennio - l’onere di provvedere sulle istanze autorizzatorie. La
giurisprudenza della Sezione è ferma nel ritenere, da un lato, che la scadenza
del piano commerciale non ne determina l’inefficacia, ma solo l’onere, per la
P.A., di dare corso ad una nuova pianificazione dopo il decorso del prescritto
quadriennio (cfr., tra le altre, le decisioni della Sezione 25 settembre 2000,
n. 5069; 25 ottobre 1999, n. 1703; 11 maggio 1998, n. 554; 29 novembre 1994, n.
1424), senza alcun travolgimento, per il semplice decorso del quadriennio
stesso, della precedente programmazione. Sicché è da escludere che il motivo
addotto (scadenza del piano) possa comunque legittimamente supportare il diniego
in esame. Dall’altro lato, che anche in assenza del piano per il commercio la
P.A. non può sottrarsi all’onere di provvedere sulle istanze autorizzatorie,
osservando, in tal caso, i criteri stabiliti dalla legge n. 426 del 1971 per la
formazione del piano stesso (cfr., tra le altre, la decisione della Sezione 20
ottobre 1998, n. 1487). Consiglio di Stato, Sezione V del 17.03.2003,
Sentenza n. 1381
Provvedimento di destituzione del dipendente pubblico adottato dalla
commissione disciplinare -patteggiamento - il provvedimento è valido ove la
commissione abbia assunto a fondamento della sua decisione il comportamento
tenuto dal dipendente, come emergente dagli atti del procedimento penale. La
Sezione ha già avuto modo di osservare come "è' legittimo il provvedimento di
destituzione ove la commissione disciplinare abbia assunto a fondamento della
sua decisione non la sentenza di condanna patteggiata, bensì il comportamento
tenuto dal ricorrente, emergente dagli atti del procedimento penale e
riconosciuto nell'audizione, senza che in tal caso sia necessario alcun
ulteriore accertamento dei fatti" (Consiglio Stato sez. V, 6 giugno 2001, n.
3076). L’indirizzo merita di essere condiviso, posto che l’accertamento dei
fatti disposto in sede disciplinare indubbiamente possiede una forza giuridica
minore rispetto a quello effettuato in sede di giudizio penale, per l’assorbente
considerazione che esso è affidato ad un organo amministrativo dotato di poteri
d’indagine assai più limitati rispetto a quelli di cui dispone l’autorità
giudiziaria. Tra l’altro, la commissione di disciplina non ha il potere di
obbligare soggetti estranei all’amministrazione a prestare testimonianza. Per
cui, pretendere che l’accertamento dei fatti, in sede amministrativa, avvenga
con lo stesso rigore e con i formalismi propri del giudizio penale significa, in
definitiva, impedire all’amministrazione di valutare se la condotta del proprio
dipendente, che non è stato possibile accertare in via definitiva in sede penale
per ragioni sulle quali essa non ha potuto in alcun modo influire, rappresenti
un pericolo, soprattutto sotto i profili dell’allarme recato tra gli utenti e
della sua possibile reiterazione, per la corretta gestione del servizio
pubblico. Laddove la commissione di disciplina ha affermato che "l'elemento
probatorio fondamentale ai fini della valutazione del caso è costituito dalla
sentenza del tribunale penale passata in giudicato, emessa nei confronti del
dipendente", non ha inteso affatto basare il proprio giudizio unicamente su tale
fonte, ma ha inserito il dato, comunque significativo ai fini della
ricostruzione complessiva della condotta dell'incolpato, nell'ambito degli altri
elementi già in possesso dell'amministrazione. Consiglio di Stato, V sezione,
del 17.03.2003 sentenza n. 1380
Commissione disciplinare - sentenza di condanna penale - contestazione
degli addebiti al dipendente - termini. Il termine per la contestazione
degli addebiti da parte della commissione disciplinare decorre " non dal momento
del passaggio in giudicato della sentenza di condanna bensì dal successivo
momento in cui il passaggio in giudicato perviene a conoscenza
dell'amministrazione." (Consiglio Stato sez. IV, 7 ottobre 1998, n. 1298).
Consiglio di Stato, V sezione, del 17.03.2003 sentenza n. 1380
Falsità in atti pubblici - la falsità in documenti informatici commessa dal pubblico ufficiale - sussistenza. Si realizza la fattispecie del delitto di falsità in atti pubblici quando il pubblico impiegato inserisca in una banca dati pubblica dati falsi, a nulla rilevando che il relativo record dell'archivio non venga stampato su carta. II delitto previsto dall'art. 491 bis c.p. costituisce norma speciale, e non già una nuova fattispecie incriminatrice, rispetto a quello previsto dall'art. 476 c.p. Ne consegue che integra comunque gli estremi di quest'ultimo reato la falsità in documenti informatici commessa dal pubblico ufficiale prima dell'entrata in vigore dell'art. 491 bis c.p. Cassazione penale, sez. V, 14 marzo 2003, n. 20723
Pubblica Amministrazione - Reati contro la
pubblica amministrazione - Delitti - Dei pubblici ufficiali - Concussione -
Promessa della indebita prestazione, da parte del soggetto passivo, al solo
scopo di favorire l'accertamento del fatto già denunciato - Consumazione del
reato - Contrasto di giurisprudenza. In tema di concussione, deve
qualificarsi come delitto solo tentato la fattispecie nella quale il soggetto
passivo effettua la promessa di una prestazione, nei confronti del pubblico
ufficiale, all'unico scopo di favorire la prosecuzione delle indagini scaturite
dalla sua pregressa denuncia, poichè in tal caso non si perfeziona la sequenza
che dovrebbe collegare la promessa, e dunque la consumazione del reato, al "metus"
provocato dalla condotta dell'agente. (In motivazione la Corte ha chiarito come
risulti invece irrilevante la sollecitazione, dopo l'effettuazione della
promessa, di un intervento della polizia giudiziaria, poichè la relativa
richiesta è successiva, in tal caso, al perfezionamento del reato). CORTE DI
CASSAZIONE Sez. VI, dell'11.3.2003, Sent. n. 11384
Procedimento disciplinare - discrezionalità da parte dell’Amministrazione - il giudice amministrativo - limiti - travisamento dei fatti - processo logico e coerente. Nel procedimento disciplinare il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell’Amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e della conseguente sanzione da irrogare e che il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell’Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati se non nei limiti in cui la valutazione contenga un travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (tra le tante, V, 1226 dell’1 dicembre 1993; VI, 1193 del 5 settembre 1996). Consiglio di Stato, Sezione IV del 11.3.2003, sentenza n. 1319
I lavori socialmente utili rientrano nel quadro dei c.d. ammortizzatori sociali - si tratta di attività non assimilabili ad un rapporto d’impiego - titolo per partecipare alla procedura concorsuale - assenza. I lavori socialmente utili rientrano, nel quadro dei c.d. ammortizzatori sociali, con la conseguenza che spetta al legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, disciplinare i modi e tempi di eventuali possibilità di stabilizzazione, come effettuato con le riserve e i diritti di precedenza previsti; resta però fermo che si tratta di attività non assimilabili ad un rapporto d’impiego e tale mancata equiparazione non comporta alcun dubbio di costituzionalità, trattandosi, come dimostrato, di una fattispecie diversa (e con finalità differenti) dal rapporto di impiego. Pertanto, in assenza dell’equiparazione ad un rapporto di impiego, i lavoratori socialmente utili non avevano titolo per partecipare alla procedura concorsuale in questione e risulta così legittimo l’impugnato provvedimento di esclusione. Tale interpretazione risulta peraltro in linea con la giurisprudenza di primo grado (vedi Tar Calabria, I, n. 127/2002; Tar Campania, II, n. 3560/2002; Tar Sicilia - Palermo, II, n. 1426/2002; Tar Puglia - Bari, n. 1969/2002; Tar Toscana, n. 373/2002). Consiglio di Stato, Sezione VI del 10.3.2003, sentenza n. 1288
L'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. La giurisprudenza è univoca nel ritenere che l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, ex artt. 7 e ss. della L. n. 241 del 1990, sussiste solo quando l'Amministrazione si attivi d'ufficio, e non anche quando essa adotti un provvedimento, ancorché di segno negativo, in seguito ad una iniziativa del destinatario dell'atto (cfr., tra le dec. più recenti, C.d.S., Sez. VI, 25.9.2002 n. 4879). Consiglio di Stato, Sezione V del 10.3.2003, sentenza n. 1283
L’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego tra l’istante ed il Comune - lo schema formale della convenzione - termine per l’impugnazione se ritenuto lesivo - acquiescenza. Considerato, quanto alla domanda intesa all’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego tra l’istante ed il Comune resistente, nonostante lo schema formale della convenzione, che, per giurisprudenza costante (cfr. ex multis C.d.S., Sez. VI, 20 aprile 2001, n.2388), l’atto con il quale l’Amministrazione pubblica regola la posizione di lavoro con un privato, definendo titolo e contenuti del rapporto, va impugnato tempestivamente, se ritenuto lesivo, con la conseguenza che, in caso di acquiescenza alla determinazione costituiva del vincolo di collaborazione, quest’ultimo resta inoppugnabilmente regolato dall’atto medesimo. Ritenuto, pertanto, che, in applicazione del principio di diritto appena indicato, l’omessa, tempestiva contestazione della delibera con la quale il vincolo in questione è stato costituito, definito e regolato come rapporto di convenzione a tempo determinato impedisce, anche prescindendo dal rilievo dell’insussistenza nella fattispecie in esame degli elementi costitutivi essenziali del rapporto di pubblico impiego, di procedere all’accertamento giudiziale dell’avvenuta costituzione di quest’ultimo. Consiglio di Stato, Sezione V del 10.3.2003, sentenza n. 1279
L’impugnativa di una graduatoria a posti di pubblico impiego - ricorso - notificata a tutti i graduati qualora il ricorrente deduca censure che se fondate, travolgerebbero l’intera graduatoria anche per la parte in cui concerne gli idonei - necesstità. Costituisce principio generale in materia di concorsi, che nel caso di impugnativa di una graduatoria a posti di pubblico impiego, il ricorso deve essere notificato a tutti i graduati qualora il ricorrente deduca censure che se fondate (come nel caso di specie), travolgerebbero l’intera graduatoria anche per la parte in cui concerne gli idonei (cfr. ex plurimis, Cons, Stato, sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1908; sez. VI, 20 aprile 1991, 225; sez. IV, 27 marzo 2002, n. 1723). Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1198
Provvedimento amministrativo - la nozione di controinteressato in senso tecnico - elementi - formale (immediata individuabilità) e sostanziale (interesse al mantenimento della situazione esistente). La nozione di controinteressato in senso tecnico, a mente dell’art. 21, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, esige la simultanea presenza di due elementi parimenti essenziali: quello formale, scaturente dalla esplicita contemplazione del soggetto nel provvedimento impugnato, ovvero della sua immediata individuabilità; quello sostanziale, discendente dal riconoscimento, in capo al controinteressato, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, chè è proprio di coloro che sono coinvolti da un provvedimento amministrativo ed abbiano acquisito, in relazione a detto provvedimento, una posizione giuridica qualificata alla sua conservazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 3895; sez. IV, 1 dicembre 1998, n. 1516; Ad. plen., 8 maggio 1996, n. 2). Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1198
Dall’annullamento di un provvedimento
amministrativo non discende in via automatica l’accoglimento della domanda di
risarcimento del danno - necessità di dimostrare il nesso eziologico con i
provvedimenti illegittimi annullati. Dall’annullamento di un provvedimento
amministrativo non discende in via automatica l’accoglimento della domanda di
risarcimento del danno, occorrendo la dimostrazione, fra gli altri elementi
costitutivi, del danno patrimoniale in concreto subito e del nesso eziologico
con i provvedimenti illegittimi annullati (cfr. Cons. giust. amm. 22 aprile
2002, n. 202; sez. VI, 26 aprile 2000, n. 2490). Pertanto la richiesta di c.t.u.
volta a fornire la prova dell’esistenza del danno deve essere disattesa, potendo
intervenire tale mezzo ausiliario di conoscenza del giudice solo per determinare
il quantum debeatur, purchè a monte sia stato soddisfatto l’onere di allegazione
dei fatti costitutivi della domanda.
Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi:
sentenza
per esteso)
Dirigenti: la responsabilità piena del funzionario - attribuzione ai dirigenti «della responsabilità delle procedure d'appalto» - ai dirigenti compete anche il correlativo potere di approvazione - contratti degli enti locali - la verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara - atto istruttorio endoprocedimentale. E’ sufficiente richiamare in tema di contratti degli enti locali la giurisprudenza (C.d.S., V, 26 gennaio 1999, n. 64) secondo la quale “l'art. 6, 2º comma, l. 15 maggio 1997 n. 127, attribuisce ai dirigenti «la responsabilità delle procedure d'appalto» (oltre alla presidenza delle commissioni) e la stipula dei contratti; pertanto, ai medesimi dirigenti (e non alla giunta municipale) compete anche il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara, a questa ricollegandosi quel perfezionamento dell'iter procedimentale al quale solo può ricollegarsi la responsabilità piena del funzionario” per revocare ogni fondamento alla doglianza. In ogni caso, l’atto in questione non aveva neppure valenza di approvazione, ma solo di parere (atto istruttorio endoprocedimentale) sulla regolarità degli incombenti. Se la legge consente al medesimo dirigente di approvare il contratto nel quale ha concorso a gestire l’attività di giudizio, a maggior ragione si deve riconoscere a quella figura l’adempimento di mera verifica di conformità. Consiglio di Stato Sezione V, - 19.02. 2003 - Sentenza n. 920
Pubblico dipendente - cautelarmente sospeso
dal servizio e condannato in seguito, in sede penale e sottoposto a procedimento
disciplinare definito con l’irrogazione di una sanzione diversa dalla
destituzione dall’impiego ha diritto alla restitutio in integrum - il quantum
dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di
sospensione cautelare. La Sezione non ha motivo di discostarsi
dall’orientamento di recente espresso dall’adunanza Plenaria 2 maggio 2002 n. 4,
secondo cui, ai sensi dell’art. 96, 2° comma, del d.P.R. n. 3/1957, deve
ritenersi che un pubblico dipendente che - già cautelarmente sospeso dal
servizio - sia stato in seguito, per i medesimi fatti, condannato in sede penale
e sottoposto a procedimento disciplinare definito con l’irrogazione di una
sanzione diversa dalla destituzione dall’impiego ha diritto alla restitutio in
integrum, e, in particolare, alla restituzione delle retribuzioni perse durante
il periodo di sospensione cautelare, limitatamente all’eventuale maggior periodo
di sospensione cautelare subita rispetto a quello di effettiva sospensione dalla
qualifica irrogatagli all’esito del procedimento disciplinare. Secondo detta
pronuncia, dal quantum dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse
durante il periodo di sospensione cautelare va dedotto solo l’importo delle
retribuzioni corrispondenti al tempo della condanna penale detentiva,
quand’anche questa non sia stata effettivamente scontata per intervenuta
sospensione condizionale della pena, atteso che i periodi di detenzione, anche
se non scontati, vanno esclusi dal riconoscimento dei benefici economici al
dipendente condannato in sede penale. Consiglio di Stato Sezione V, - 19
febbraio 2003 - Sentenza n. 915
Il giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione deve intendersi circoscritto al solo accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e non anche esteso alla disamina della fondatezza della pretesa sostanziale del privato - la verifica dell’illegittimità del silenzio - l’obbligo di provvedere. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ha chiarito (cfr. decisione n.1 del 9 gennaio 2002) che il giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione, secondo le modalità del suddetto rito speciale, deve intendersi circoscritto al solo accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e non anche esteso alla disamina della fondatezza della pretesa sostanziale del privato. Con la medesima decisione è stato, inoltre, precisato che la verifica dell’illegittimità del silenzio postula il preliminare accertamento della violazione dell’obbligo di provvedere, ravvisabile nelle ipotesi nelle quali l’Amministrazione sia rimasta inadempiente al dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, secondo il precetto contenuto nell’art. 2 c.1 L. 7 agosto 1990, n.241. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 808 (vedi: sentenza per esteso)
Il procedimento di controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali - provvedimento di autotutela. Il procedimento di controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali (nella regione Piemonte previsto dall’art. 21, l. r. n. 42 del 1976), pur articolandosi in due fasi - richiesta [eventuale] di intervento da parte della Regione seguita dall’invito a provvedere del Co.Re.co.; nomina del commissario ad acta che provvede all’adozione degli atti necessari - mantiene il suo carattere unitario e culmina nella nomina del commissario ad acta e nella contestuale individuazione della funzione da svolgere in luogo dell’ente inadempiente (cfr. in termini Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3537). Conseguentemente, l’atto col quale l’organo di controllo invita l’amministrazione ad adottare un provvedimento di autotutela o comunque esecutivo dell’obbligo che si assume inevaso, costituendo una mera proposta volta ad assicurare il rispetto della normativa vigente e non rappresentando carattere vincolante, è intrinsecamente inidoneo a ledere la posizione dell’amministrazione soggetta a controllo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 novembre 1997, n. 1236; sez. V, 19 settembre 1992, n. 850). Lo stesso è a dire, a fortiori, per la richiesta formulata dalla Regione all’organo di controllo di invitare l’ente controllato a provvedere. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 750
Il controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali. Nell’ambito del controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali, non è impugnabile, per carenza di interesse ad agire, la richiesta che la Regione (regione Piemonte) rivolge al Comitato regionale di controllo di diffidare l’ente controllato a provvedere, nonché l’invito che l’organo di controllo rivolge a quest’ultimo di adempiere entro un certo termine. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 750
Segretari capi - il requisito di cinque anni di servizio effettivo di ruolo in tale qualifica alla data di pubblicazione del bando per la nomina a segretario generale comunale - i vice segretari titolari comunali e provinciali. E’ manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 8, d.p.r. n. 749 del 1972, nella parte in cui individua per i soli segretari capi, il requisito di cinque anni di servizio effettivo di ruolo in tale qualifica alla data di pubblicazione del bando per la nomina a segretario generale comunale di seconda classe, anziché a quella di scadenza del termine di presentazione delle domande, come previsto, invece, per i vice segretari titolari comunali e provinciali. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 749
L’inquadramento dei pubblici dipendenti - l’annullamento disposto solo per vizi formali - il potere dell'Amministrazione di provvedere anche negativamente in ordine all'oggetto del precedente atto annullato. Conviene ricordare, in via preliminare, che l’inquadramento dei pubblici dipendenti è provvedimento con il quale l’amministrazione definisce lo stato giuridico ed economico del personale nell’ambito del proprio apparato organizzativo e, pertanto, nei confronti di tale atto sono configurabili solo posizioni di interesse legittimo, e non di diritto soggettivo, come tali insuscettibili di autonoma azione di accertamento. L’annullamento sul quale si è formato il giudicato è stato disposto solo per vizi formali, giudicato che, secondo il pacifico orientamento di questo Consiglio di Stato (cfr., tra le altre, Sez. IV, n. 4744 del 11 settembre 2001; Sez. VI, n. 29 del 7 gennaio 1998; n. 566 del 18 aprile 1996; n. 138, 7 marzo 1991), non elimina né sostanzialmente riduce il potere dell'Amministrazione di provvedere anche negativamente in ordine all'oggetto del precedente atto annullato e solo impone di esplicitare i motivi posti a fondamento della nuova determinazione sfavorevole, non chiaramente enunciati nell'atto precedente, secondo la valutazione fattane dal giudice, con il solo limite di non poter incidere retroattivamente su situazioni giuridiche sorte o risorte sulla base della sentenza di annullamento in conseguenza dell'automatico effetto restitutorio tipico di questo tipo di decisione. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 737
Il ricorso contro il provvedimento col quale
un ente pubblico a carattere ultraregionale colloca a riposo un proprio
dipendente - competenza territoriale. Il ricorso contro il provvedimento col
quale un ente pubblico a carattere ultraregionale colloca a riposo un proprio
dipendente, rientra nella competenza territoriale (non del T.A.R. del Lazio, ma)
del T.A.R. nella cui circoscrizione tale dipendente aveva la sua sede di
servizio (cfr. Cons. St., VI, 14 luglio 1978, n.974; Cons. St., IV, 24 novembre
1978, n.1042; Cons. St., VI, 14 luglio 1982, n.379). Conforme: Consiglio di
Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenze nn. 714 -713 - 711. Consiglio
di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 724
L’attività di inquadramento nei livelli retributivo-funzionali - discrezionalità - difetto di motivazione - manifesta ingiustizia. L’attività di inquadramento nei livelli retributivo-funzionali costituisce, invero, attività vincolata, priva di qualsiasi discrezionalità, nel senso che occorre attenersi rigorosamente ai criteri normativamente stabiliti, donde la sua insindacabilità per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione (essendo l’onere della motivazione assolto mediante il semplice richiamo alle disposizioni applicate) - oltre che della disparità di trattamento, della illogicità e irrazionalità, della contraddittorietà e della manifesta ingiustizia (cfr. Cons. St., IV, 7.3.1994, n.206; id., 23.1.1992, n.104; id., 26.3.1992, n.336; Cons. St., VI, 25.1.1995, n.49; id., 6.2.1995, n.51; Cons. St., V, 15.10.1992, n.1014; id., 5.5.1993, n.553; 15.5.1992, n.423). Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 541
La nozione di “atti obbligatori per legge”. La nozione di “atti obbligatori per legge” va ristretta agli atti espressamente sottoposti dalla legge a un termine perentorio (lì dove di regola i termini apposti all’esercizio della funzione amministrativa, in mancanza di una diversa qualificazione espressa di legge, sono meramente acceleratori, con esclusione di effetti di decadenza del potere). T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 31 gennaio 2003, n. 511
La scelta discrezionale del responsabile del
servizio di Polizia Municipale da parte del Sindaco - la nomina di comandante
del corpo di P.M. - la durata dell’incarico - mansioni superiori. Il Sindaco
che ha esercitato la scelta discrezionale del responsabile del servizio di P.M.
(nella specie eretto in corpo) deve rispettare appieno la disposizione dell’art.
51 comma 3 bis L. 142/90, fissando la durata dell’incarico nei termini di cui
all’art. 24 del regolamento dei servizi). In difetto di tale indicazione, sempre
ai sensi del citato art. 24 le funzioni si intendono attribuite fino al termine
del mandato elettivo del sindaco, il quale potrà revocare tuttavia l’incarico
medesimo per una delle specifiche ragioni stabilite nel detto regolamento. Di
mansioni superiori può parlarsi allorché si attribuiscano ad un dipendente
compiti ed attività proprie di un’altra fascia (ad esempio conferimento di
funzioni di fascia D a dipendente di fascia C) mentre nella specie le funzioni
ed i compiti di comandante del corpo di Polizia Municipale, come funzioni
dirigenziali, sono state attribuite a soggetto di fascia D che, dunque,
espletava mansioni di livello di appartenenza. Tribunale del Lavoro - di
Patti - Ordinanza del 31 gennaio 2003.
Commissario ad acta - l’ipotesi in cui il Commissario venga nominato per la sostituzione oppure, per provvedere all’emanazione di specifici atti, su impulso dell’organo di vigilanza - caso di impugnazione. Nell’ambito della sostituzione amministrativa, anche se non mancano pronunce anche recenti che hanno ritenuto comunque imputabili all’Ente sostituito gli atti adottati dal Commissario ad acta (V. la decisone di questo Consiglio, sez. IV n. 3537 del 22.6.2000), occorre distinguere l’ipotesi in cui il Commissario venga nominato per la sostituzione, nell’esercizio di una competenza generale, di un organo di cui difetti radicalmente il funzionamento (ad es. per scioglimento degli organi ordinari dell’Ente) oppure, come nella specie, per provvedere all’emanazione di specifici atti, su impulso dell’organo di vigilanza (V. le decisioni di questa Sezione n. 304 del 23.4.1982, n. 1034 del l’8.7.1995 e n.1332 del 6.10.1999; nonché del Consiglio giustizia amministrativa per la reg. sic. n. 24 del 10.3.1983). Nel primo caso vi è l’esigenza di effettuare la sostituzione per assicurare il funzionamento degli organi dell’Ente venuti meno ed il Commissario interviene per svolgere il complesso dei relativi compiti, che altrimenti non potrebbero ricondursi ad alcun organo attivo dell’Ente, per cui il Commissario può considerarsi organo straordinario dell’Ente sostituito, cui vanno imputati gli atti adottati. Con la conseguenza che i ricorsi avverso gli atti del Commissario ad acta vanno notificati unicamente all’ Ente sostituito. Allorché invece la competenza del Commissario è circoscritta fin dall’inizio al compimento di determinati atti, per un verso l’Ente sostituito conserva in generale la titolarità dei suoi poteri, salvo i singoli affari che gli sono stati sottratti, e per l’altro verso il Commissario conserva un legame più diretto con l’autorità di vigilanza che l’ha nominato e cui deve rispondere. Per cui in caso di impugnazione è sufficiente la notifica del ricorso all’Autorità di vigilanza, come è avvenuto nella specie. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 439
Impugnazione del provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo - il privato non è tenuto a menzionare specificamente i singoli atti procedimentali - gli atti che hanno funzione meramente preparatoria rispetto al contenuto del provvedimento finale. Nell’impugnare il provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo il privato non è tenuto a menzionare specificamente i singoli atti procedimentali intervenuti non aventi una propria autonomia funzionale e strutturale, come appunto i pareri che hanno una funzione meramente preparatoria rispetto al contenuto del provvedimento finale (V. le decisioni di questa Sezione n. 625 del 13.7.1973 e n.2064 del 6.12.1999). Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 439
Ordinanze contingibili ed urgenti - potere del Sindaco - indelegabilità - Dirigenti - art. 650 c.p. caso di non configurabilità. Il Sindaco non può delegare (in specie al Dirigente) il potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minaccino l'incolumità dei cittadini, (ex art. 54 del D.Lvo 18 agosto 2000 n. 267). Tale potere non era derogabile anche in riferimento alla normativa precedente, dettata dall'art. 38 della legge 8 giugno 1990 n. 142. È di conseguenza illegittimo, così da rendere non configurabile, in caso di inosservanza, il reato di cui all'art. 650 c.p., il provvedimento del dirigente del settore lavori pubblici di un comune con il quale venga imposto ad un privato, per ragioni di sicurezza pubblica, di eliminare una situazione di pericolo. Corte di Cassazione Pen. Sez. I del 28 gennaio 2003, n. 7025
Impugnazione del silenzio - inadempimento dell’amministrazione - poteri del giudice - la nomina di commissario ad acta nello stesso giudizio. In tema di impugnazione del silenzio - inadempimento dell’amministrazione, l’adunanza plenaria di questo Consesso ha statuito che il giudice può solo accertare l’illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, ma non anche accertare la fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, anche nel caso di atti vincolati (C. Stato, ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1: <<Il giudizio sul silenzio della pubblica amministrazione, di cui all’art. 21 bis, L. TAR, ha natura di accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere con atto espresso, ma non di verifica della fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente, nemmeno nel caso di atti vincolati o di atti a discrezionalità limitata: in tal senso depone l’oggetto del giudizio, individuato dall’art. 21 bis nel <<silenzio>>, e la previsione che il giudice non si sostituisce all’amministrazione, ma si limita ad ordinare a questa di provvedere, ovvero a nominare, in caso di perdurante inerzia, un commissario ad acta; né tale meccanismo processuale appare poco satisfattivo, in quanto il vantaggio è da ravvisare nei tempi veloci della tutela processuale e nella possibilità di ottenere la nomina di commissario ad acta nello stesso giudizio, senza necessità di promuovere ulteriore giudizio di ottemperanza, pur non essendovi il vantaggio della sostituzione giudiziale>>). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenze nn. 431 - 430 - 429 - 428 - 427 - 426. Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 432
Calcolo della riliquidazione dell’indennità - il complessivo servizio prestato - il diritto all’indennità di buonuscita. Ai sensi dell’art. 4, D.P.R. n. 1032/73, “al dipendente statale, che abbia conseguito il diritto all’indennità di buonuscita e venga riassunto, spetta la riliquidazione dell’indennità per il complessivo servizio prestato, purché il nuovo servizio sia durato almeno due anni consecutivi. La riliquidazione viene effettuata sull’ultima base contributiva. Dal nuovo importo viene detratto quello dell’indennità già conferita e dei relativi interessi composti al saggio annuo del 4,24 per cento per il periodo, computato in anni interi per difetto, intercorrente tra la prima attribuzione e quella definitiva”. Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 415
Il pagamento di alcuni oneri di attuazione del P.E.E.P. - la comunicazione di un atto di intimazione di pagamento - non rientra nell’ambito di competenza esclusiva dei dirigenti - tale atto può essere adottato anche dal Sindaco - intimazioni di pagamento natura dell’atto - i fatti illeciti e gli atti giuridici in senso stretto. L’adozione e la comunicazione di un atto di intimazione di pagamento (l’articolo 45 del d. lgs. n. 80 del 1998, dell’articolo 3 del d. lgs. n. 29 del 1993 (ora articolo 4 del d. lgs. n. 165 del 2001) ) non rientra nell’ambito di competenza esclusiva dei dirigenti, perché tale atto, in considerazione della sua natura, può essere adottato anche dal Sindaco. Gli atti con i quali il Comune determina gli importi che ritiene dovuti e ne chiede il pagamento agli interessati non hanno, quindi, natura di provvedimenti amministrativi. Va, inoltre, escluso che tali atti possano qualificarsi come negozi giuridici in quanto gli atti di intimazioni di pagamento hanno natura di atti giuridici in senso stretto e possono essere validamente compiuti anche da soggetti legalmente incapaci (da ultimo, Cass., 22 febbraio 2001; Cass., 16 agosto 1993, n. 8711; App. Bologna, 1 gennaio 1999). Non appare, quindi, applicabile alla fattispecie in esame la previsione dell’articolo 4, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per cui “ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’Amministrazione verso l'esterno […]”. Tale disposizione si riferisce, infatti, ai soli atti negoziali ed ai provvedimenti amministrativi, mentre gli atti ed i fatti che non siano riconducibili a tali categorie, come ad esempio i fatti illeciti e gli atti giuridici in senso stretto, possono essere compiuti da qualsiasi soggetto che sia attualmente inserito nell’organizzazione amministrativa e che operi nella qualità di agente o organo dell’Amministrazione. In particolare, il Sindaco di un Comune, nella sua qualifica, può validamente compiere atti di intimazione di pagamento in relazione a crediti vantati dal Comune. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenze nn. 382; 381; 380; 379; 378; 377; 376; 375; 374; 373; 372; 371; 370; 369; 368; 367; 366; 365; 364; 363; 362; 361. Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 383
Pubblica Amministrazione - lavoro - limiti di età - abrogazione delle norme che sancivano limiti di età per l’accesso lavorativo in determinate categorie - principio generale di liberalizzazione dell’accesso agli impieghi. L’art.3, comma VI, L. n. 127/97, ha introdotto il principio generale di liberalizzazione dell’accesso agli impieghi delle Pubbliche Amministrazioni, questa legge trova attuazione anche nella Regione siciliana e di conseguenza devono considerarsi abrogate anche le previdenti norme speciali di settore (in specie gli artt. 57, comma 6, e 59 comma IV L.r. n.16/96) che sancivano limiti di età per l’accesso di determinate categorie di personale nelle Pubbliche Amministrazioni. (cfr.sentenza n. 408 del 29 febbraio 2000). (Nella specie è stato impugnato il diniego di inclusione del ricorrente nella graduatoria unica motivato dal superamento del limite di età di 41 anni (L.r. n.16/96), legge inapplicabile in quanto risulta abrogata dalla successiva L. n.127/97). T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 24 gennaio 2003, n. 65 (vedi: sentenza per esteso)
La repressione della condotta antisindacale nel settore del pubblico impiego - la giurisdizione del giudice ordinario nel nuovo sistema - l'atto antisindacale del datore di lavoro pubblico ha la connotazione di atto privatistico. In tema di repressione della condotta antisindacale nel settore del pubblico impiego, le regole di riparto della giurisdizione, anche prima delle modificazioni introdotte dalla legge 12 luglio 1990 n. 146, sono state sempre fondate sul riconoscimento delle situazioni soggettive proprie ed esclusive delle associazioni sindacali (cosiddetti diritti sindacali in senso stretto), quali diritti soggettivi perfetti, tutelabili dinanzi al giudice ordinario. In applicazione di tali regole, è stato considerato irrilevante il fatto che il comportamento lesivo addebitato all'ente pubblico si sostanzi in un formale provvedimento o invece si traduca in una qualsiasi condotta materiale o in qualsiasi fatto che, per la sua intrinseca essenza o per il suo modo di essere e di manifestarsi, sia tale da assumere carattere antisindacale (Cass. ss. uu. 26 luglio 1984, n. 4390; 28 novembre 1990, n. 11461) o che l'ordine di cessazione della condotta antisindacale emesso dal giudice ordinario comporti l'imposizione alla pubblica amministrazione di un facere o di un pati (Cass. 14 agosto 1999, n. 592). L'art. 63, terzo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, confermando l'avvenuta privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, una cognizione incondizionata in materia di condotta antisindacale delle pubbliche amministrazioni. In coerenza con questi dati, l'art. 4 della legge 11 aprile 2000 n. 83 aveva già abrogato il sesto e settimo comma dell'art. 28 legge n. 300/1970, aggiunti con l'art. 6 della legge 12 giugno 1990 n. 146, con i quali era stabilito il frazionamento di tutela fra giudice ordinario e giudice amministrativo, correlata, la prima, a condotte lesive del solo sindacato e la seconda a quelle lesive, oltre che di interessi sindacali, di situazioni soggettive inerenti al pubblico impiego. Le riforme da ultimo intervenute non lasciano spazio neppure alla tesi che appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia nella quale sia chiesta anche la rimozione dei provvedimenti lesivi che investono la sfera dei singoli lavoratori. Nel nuovo sistema, infatti, anche l'atto antisindacale del datore di lavoro pubblico ha la connotazione di atto privatistico, omologo a quello scorretto del datore di lavoro privato, come tale suscettibile di cognizione da parte del giudice ordinario, anche se sia richiesta l'eliminazione dell'atto stesso e dei suoi effetti. Corte di Cassazione del 24 gennaio 2003 Ordinanza n. 1127
Rivalutazione e interessi - obbligo del risarcimento - impugnazione - istituto della compensatio lucri cum damno - operatività. Il capo della sentenza relativo al pagamento di rivalutazione e interessi è inscindibilmente connesso al capo relativo alla dichiarazione dell´obbligo del risarcimento; pertanto, il primo - in mancanza di impugnazione del secondo - non è autonomamente impugnabile. L´istituto della compensatio lucri cum damno opera solamente quando lo stesso fatto sia produttivo del danno e del vantaggio. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 23 gennaio 2003, n. 2
Il principio della mobilità non determina in
capo alla Pubblica Amministrazione, un obbligo di coprire i posti vacanti con
procedure di trasferimento anziché con concorso pubblico - discrezionalità della
P.A. nell’organizzazione del personale in funzione del miglior andamento
dell’azione amministrativa. Il principio della mobilità non determina in
capo alla Pubblica Amministrazione, un obbligo di coprire i posti vacanti con
procedure di trasferimento anziché con concorso pubblico, né la presentazione
della domanda fa sorgere in capo all’Amministrazione l’obbligo di provvedere su
di essa positivamente: ciò in considerazione della discrezionalità di cui gode
l’Amministrazione nell’organizzazione del personale in funzione del miglior
andamento dell’azione amministrativa. Sulla base della disciplina attualmente
vigente, la scelta tra lo strumento del concorso pubblico per la copertura di
posti vacanti senza, per questo, dover fornire una specifica motivazione sul
punto, atteso che essa si basa sull’evidente intento della P.A. stessa di
adottare una procedura maggiormente selettiva in quanto aperta anche a soggetti
esterni all’organizzazione amministrativa ed articolata su prove d’esame,
oltrechè sulla valutazione di titoli (Cons. St., sez. V, 8.7.1998, n. 1019).
Tribunale di Lecce, Sezione Lavoro, del 22.01.2003
La scelta tra lo strumento del concorso e
quello della mobilità è rimessa al discrezionale apprezzamento
dell’amministrazione - l’indizione del concorso pubblico per la copertura di
posti vacanti - legittimità della procedura maggiormente selettiva. Sulla
base della disciplina attualmente vigente, la scelta tra lo strumento del
concorso e quello della mobilità è rimessa al discrezionale apprezzamento
dell’amministrazione che, dunque, può preferire l’indizione del concorso
pubblico per la copertura di posti vacanti senza, per questo, dover fornire
specifica motivazione sul punto, atteso che essa si basa sull’evidente intento
della P.A. stessa di adottare una procedura maggiormente selettiva in quanto
aperta anche a soggetti esterni all’organizzazione amministrativa ed articolata
su prove d’esame, oltreché sulla valutazione di titoli (Consiglio di Stato, sez.
V, 8.7.1998, n.1019). Tribunale del Lavoro - di Lecce Sentenza del 22.01.2003
La sentenza penale di condanna ex art. 444 c.p.p (c.d. patteggiamento) - procedimento disciplinare - l’estinzione - il termine perentorio di 90 - interruzione. Nel caso in cui la sentenza penale di condanna consegua alla richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p (c.d. patteggiamento) non si verifica quella compiutezza nella raccolta degli elementi di prova tipica del rito ordinario e non può escludersi che l’Amministrazione debba effettuare autonomi accertamenti in sede di procedimento disciplinare, per cui in tale ipotesi non è applicabile il termine di 90 giorni posto dall’art. 9 L.n.19/1990 per la conclusione del procedimento disciplinare ma la disciplina generale di cui al T.U. 10.1.1957 n.3. Una volta tempestivamente iniziato il procedimento disciplinare, al fine di impedirne l’estinzione, per superamento del termine perentorio di 90 giorni cui all’art. 120 D.P.R. n.3/1957, è necessario che tra i vari atti del procedimento non intercorra un periodo di tempo superiore a tale periodo di tempo (V. la decisione di questa Sezione n.1226 del del 1°.12.1993), dal momento che gli altri termini previsti per la prosecuzione del procedimento disciplinare hanno carattere sollecitatorio ( V. la decisione di questo consiglio, sez. IV, n. 500 del 27.5.1977). In particolare, il termine perentorio di 90 giorni si interrompe ogni qualvolta, prima della scadenza, venga adottato un atto, anche interno, proprio del procedimento disciplinare e che non abbia carattere meramente dilatorio (V. A.P. n.15/2000, già citata e la decisone di questa Sezione n.4840 del 17.9.2001). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V del 20 gennaio 2003, n. 175. Consiglio di Stato, Sezione V del 20 gennaio 2003, n. 176
Provvedimento illegittimo interruttivo del rapporto lavorativo - il principio della restitutio in integrum - il giudicato di annullamento di un provvedimento negativo - diniego di nomina a qualifica superiore. La giurisprudenza, con costante ed univoco orientamento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2001, n. 2286), ha affermato il principio per cui la restitutio in integrum a fini economici è configurabile nei soli casi in cui la prestazione è stata impedita per l’adozione di un provvedimento illegittimo interruttivo del rapporto (sospensione, destituzione ecc.), mentre il giudicato di annullamento di un provvedimento negativo della costituzione del rapporto, cui è equiparabile quello del diniego di nomina a qualifica superiore in esito ad un concorso giudicato illegittimo, dà diritto, in applicazione del principio generale della sinallagmaticità, alla sola retrodatazione della nomina a fini giuridici ma non economici. Consiglio di Stato, Sezione V del 20 gennaio 2003, n. 169
Provvedimenti impugnati che provengono da organi centrali dello Stato ed
hanno efficacia su tutto il territorio nazionale - competenza del T.a.r. Lazio.
I provvedimenti impugnati (D.M. 4 dicembre 2001 e DPCM 29 novembre 2001)
provengono da organi centrali dello Stato ed hanno efficacia su tutto il
territorio nazionale, per cui non vi sono dubbi che il ricorso rientra nella
competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio a norma dell'art. 3,
commi 1 e 3 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Consiglio di Stato, Sezione
IV del 17 gennaio 2003, n. 164
Impiegati dello Stato - procedimento disciplinare garanzie procedimentali e profili sostanziali - verbali della commissione di disciplina - data indicata nel testo, anziché in calce o nell’epigrafe - adunanze della commissione di disciplina - presenza di funzionari delegati dal capo del personale - legittimità. S’impone una preventiva valutazione circa l’eventuale opportunità di sospendere un procedimento disciplinare concernente fatti di estrema gravità, per i quali le pur doverose garanzie procedimentali non possono e non devono far dimenticare gli aspetti sostanziali dell’intera vicenda. Assolutamente regolari si configurano sia il verbale dell’adunanza di una Commissione disciplinare nel cui testo (anziché in calce o nell’epigrafe) la prima pagina rechi chiaramente indicati giorno, mese ed anno, che il decreto ministeriale recante la destituzione di un dipendente, provvedimento per sua natura eccezionale e dunque esulante da normali atti di gestione che il decreto legislativo n. 29/1993 sottrae alle mani del Ministro per affidarli a quelle dei dirigenti ministeriali. Il capo del personale ben può presenziare, anche per interposta persona, ad una o più sedute in sede di Commissione di disciplina, magari delegando per l’incombente un altro funzionario con formali note d’incarico. Consiglio di Stato, Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 161
Pubblica Amministrazione - forme di controllo o di verifica dell’attività dei pubblici amministratori e dipendenti - esercizio della funzione di verifica - il comportamento illecito del soggetto agente. Forme di controllo o di verifica dell’attività dei pubblici amministratori e dipendenti sono puntualmente previste da norme di organizzazione o da norme sui vari procedimenti amministrativi (si pensi in particolare al procedimento dell’evidenza pubblica per i contratti della P.A.) emanate in attuazione di principi anche di livello costituzionale. In questa sede si attua la differenziazione tra attività del pubblico dipendente (che viene sottoposto a verifica) e posizione della P.A. che esercita poteri di verifica. Nell’esercizio della funzione di verifica diviene, pertanto, conoscibile per la P.A., in forza di specifiche norme giuridiche, il comportamento illecito del soggetto agente. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)
Inizio della decorrenza della prescrizione -
impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto - la conoscibilità da
parte dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio
amministratore o dipendente - il rapporto di immedesimazione organica tra organo
agente ed ente persona giuridica - responsabilità amministrativa - doveri
d’ufficio - procedimento amministrativo. La prescrizione comincia a
decorrere dal giorno in cui il diritto, pur essendo perfetto e potendo quindi
essere esercitato, non è di fatto esercitato dal suo titolare. La prescrizione
non inizia a decorrere in presenza di un impedimento di ordine giuridico
all’esercizio del diritto, mentre comunemente (la tesi è però oggi contestata da
parte della dottrina che fa in particolare riferimento alla prescrizione
riguardante i crediti da lavoro subordinato) si ritiene che gli ostacoli di mero
fatto che non rientrino nella impossibilità legale e che non siano stati
considerati come causa della sospensione della prescrizione, non hanno alcuna
rilevanza. Deve, pertanto, accertarsi se la conoscibilità da parte
dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio
amministratore o dipendente costituisca o meno impedimento di ordine giuridico
all’esercizio del diritto. Va in proposito ricordato che oggetto tipico
dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile è accertare se il danno
sofferto da un ente pubblico è ascrivibile ad un comportamento illecito di un
pubblico dipendente. Questo aspetto assume particolare rilievo nelle ipotesi
nelle quali il danno venga causato attraverso l’emanazione di provvedimenti
ovvero nell’ambito di un rapporto contrattuale che lega la pubblica
amministrazione ad un privato. Infatti il rapporto di immedesimazione organica
tra organo agente ed ente persona giuridica implica un’imputazione giuridica
formale all’ente delle intere fattispecie dei comportamenti del titolare
dell’organo (salvo che questi agisca per moventi personali, cioè in sostanza al
di là e al di fuori delle sue attribuzioni di organo); pertanto nel rapporto
esterno tra ente pubblico e privati è riferibile soltanto all’Amministrazione (e
non al suo organo o agente) l’emanazione di un provvedimento amministrativo
ovvero l’adempimento-inadempimento di una obbligazione. Ma laddove (ed è qui il
fondamento della responsabilità amministrativa) all’agire dell’amministrazione
consegua un danno alla stessa provocato da un comportamento illecito del
funzionario agente, questi viene chiamato a rispondere nei confronti della
persona giuridica di cui ricopre l’ufficio. Ora il momento giuridicamente
rilevante per accertare se il comportamento del pubblico dipendente sia stato o
meno conforme ai doveri d’ufficio è quello in cui i suoi atti o la sua attività
vengono (o debbono venire) sottoposti a verifica nell’ambito di articolazioni
tipiche dell’organizzazione della pubblica amministrazione o del procedimento
amministrativo. Corte dei
Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi:
sentenza per esteso)
La conoscibilità del fatto causativo del danno - comportamento del pubblico dipendente. Sotto il profilo della conoscibilità del fatto causativo del danno, l’accertamento dialettico del comportamento del pubblico dipendente può avvenire nella sequenza procedimentale secondo le articolazioni in essa previste ed in relazione all’atto o all’attività che si assumono causative del danno e nella cui adozione o espletamento è stato tenuto il comportamento illecito. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)
L’accesso ai documenti amministrativi - la
sospensione feriale dei termini processuali - il termine perentorio per
ricorrere. Pur calcolando la sospensione feriale dei termini processuali
fissata dalla legge n. 742/69, per costante giurisprudenza (Cons. di Stato, VI,
nn. 184/96 e 260/97) applicabile anche al rito speciale previsto per l’accesso
ai documenti amministrativi, il termine perentorio per ricorrere risulta, in
specie, comunque superato, sia pure di pochi giorni. Dispone infatti il comma 5
dell’art. 25 della legge n. 241/90 che “contro le determinazioni amministrative
concernenti il diritto di accesso…è dato ricorso, nel termine di trenta
giorni,…” decorrenti dalla data di ricezione del diniego (Cons. di Stato, VI, n.
1414/00). Va precisato che, nonostante l'intestazione del ricorso, non vi è
dubbio che trattasi di un giudizio di tipo impugnatorio; diversamente, nella
specie, non avrebbe senso la previsione normativa del predetto termine
decadenziale. Il ricorso pertanto è irricevibile. TAR Toscana - Firenze sez.
III, del 15 gennaio 2003 sentenza n. 8
L’attribuzione delle mansioni e del relativo
trattamento economico - i requisiti costituzionali di proporzionalità e di
sufficienza della retribuzione. Resta fermo, per il periodo antecedente
l'entrata in vigore del d.lgs. n. 387/98, che lo svolgimento di mansioni
superiori alla qualifica formalmente ricoperta non dà diritto alle differenze
retributive (Cons. Stato Ad. plen., 28 gennaio 2000, n. 10 e 23 febbraio 2000,
n. 11). Va richiamata la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (che il
collegio condivide e fa propria, in quanto ancora di recente ribadita
dall’Adunanza Plenaria), per la quale: - salvo che una legge disponga altrimenti
(anche in sanatoria delle situazioni già verificatesi), le mansioni svolte da un
dipendente, se sono di livello superiori rispetto a quelle dovute sulla base del
provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti, sia ai
fini economici che ai fini della progressione di carriera, ovvero della
emanazione di un provvedimento di preposizione ad un ufficio (Cons. giust. Amm.,
20 dicembre 2000, n. 491; Sez. IV, 20 ottobre 2000, n. 5626; Sez. VI, 19
settembre 2000, n. 4871; Sez. V, 24 agosto 2000, n. 4601; Sez. VI, 22 agosto
2000, n. 4553; Sez. VI, 11 luglio 2000, n. 3882; Sez. V, 24 marzo 1998, n. 354;
Sez. IV, 28 ottobre 1996, n. 1157; Cons. giust. amm., 25 ottobre 1996, n. 363;
Sez. V, 24 ottobre 1996, n. 1282; Sez. V, 24 maggio 1996, n. 597; Sez. V, 24
maggio 1996, n. 587; Sez. V, 2 febbraio 1996, n. 120; Comm. spec. pubblico
impiego, 20 novembre 1995, n. 345; Sez. V, 22 marzo 1995, n. 452; Sez. V, 9
marzo 1995, n. 307; Sez. V, 18 gennaio 1995, n. 89; Sez. V, 23 novembre 1994, n.
1362); - la pretesa ad una retribuzione superiore a quella attribuita dalla
normativa applicabile non può fondarsi sull’art. 36 Cost. (Sez. VI, 19 settembre
2000, n. 4871; Sez. V, 11 settembre 2000, n. 4805; Sez. VI, 11 luglio 2000, n.
3882; Sez. VI, 15 maggio 2000, n. 2785; Sez. IV, 3 maggio 2000, n. 2611; Ad.
Plen., 23 febbraio 2000, n. 11; Ad. Plen., 18 novembre 1999, n. 22; Comm. spec.
pubb. imp., 15 marzo 1999, n. 431/99; Sez. IV, 28 ottobre 1996, n. 1157; Sez. V,
24 ottobre 1996, n. 1282; Comm. spec. pubblico impiego, 20 novembre 1995, n.
345; Sez. IV, 15 ottobre 1990, n. 768; Ad. Plen., 5 maggio 1978, n. 16; Ad. Plen.,
4 novembre 1977, n. 17), che non impone al legislatore di emanare periodicamente
leggi di sanatoria ed invece costituisce il parametro per verificare (in sede
costituzionale o amministrativa, se il quantum è determinato rispettivamente con
leggi o con regolamenti) se le scelte del conditor iuris hanno violato il
principio costituzionale (Sez. V, 24 maggio 1996, n. 587; Sez. V, 22 marzo 1995,
n. 452); - gli artt. 51 e 97 Cost. comportano che l’attribuzione delle mansioni
e del relativo trattamento economico non possono costituire oggetto di libere
determinazioni dei funzionari amministrativi (Sez. VI, 19 settembre 2000, n.
4871; Sez. VI, 11 luglio 2000, n. 3882; Sez. IV, 3 maggio 2000, n. 2611; Sez. V,
17 maggio 1997, n. 1219; Sez. V, 24 maggio 1996, n. 587; Sez. V, 22 marzo 1995,
n. 452); - i requisiti costituzionali di proporzionalità e di sufficienza della
retribuzione devono essere valutati, secondo la costante giurisprudenza della
Corte Costituzionale, «non già in relazione ai singoli elementi che compongono
il trattamento economico, ma considerando la retribuzione nel suo complesso»
(Corte Cost., ord. 12 febbraio 1996, n. 33; ord. 30 marzo 1995, n. 98; sentt. 19
gennaio 1995, n. 15; 28 aprile 1994, n. 164), sicché non può essere considerata
sproporzionata o insufficiente la retribuzione prevista da una norma per il
pubblico dipendente in possesso di una certa qualifica, se questi svolga
mansioni il cui esercizio è di regola consentito sulla base del previo
superamento del concorso. E’ pertanto irrilevante, anche ai fini economici, il
dedotto svolgimento delle mansioni superiori, così come è irrilevante
l’effettiva sussistenza di un formale incarico e di un posto di qualifica
superiore, come anche confermato dalla disciplina specificamente riguardante i
presupposti per attribuire rilevanza alle mansioni superiori (Ad. Plen., 23
febbraio 2000, n. 11; Ad. Plen., 18 novembre 1999, n. 22, citate). Consiglio
di Stato Sezione VI, 8 gennaio 2003 sentenze nn. 17 - 18