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Giurisprudenza

Urbanistica

Anni 2002 -2001 - 2000 - 1999-88

 

Vedi anche: aree protette

N.B.: La Legge 431/1985 è stata inserita in toto nel D. L.vo 1999 n. 490, che a sua volta è stato inglobato nel Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n.42: Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio continuando a produrre sostanzialmente identici effetti legislativi e giurisprudenziali.

 

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 L. 8 agosto 1985, n. 431 - D. L.vo 1999 n. 490 - Vincoli in genere - demanio...  

Provvedimenti amministrativi positivi - obbligo di motivazione. Il Collegio ritiene che, con riguardo al nulla osta di cui all’art. 7 della legge n.1497/1939, sussista sempre un obbligo indifferenziato di motivazione; e ciò al fine di consentire la tutela sia in favore dell’interesse collettivo sia di quello riferito a possibili controinteressati, non assumendo alcun rilievo la natura di atto favorevole e positivo di tale nulla osta. Sarebbe impossibile, invero, risalire alla ratio dell’atto e ricostruire l’iter logico seguito nell’adozione di esso dall’autorità emanante qualora il provvedimento stesso assumesse un tenore apodittico e non si potrebbe di certo verificare, in tale ipotesi, se l’autorità predetta abbia o non valutato correttamente gli interessi in gioco. Peraltro, avendo l’ordinamento riservato all’autorità statale un potere di riesame della determinazione dell’ente delegato, deve ritenersi anche che una mancanza di motivazione di detta determinazione renderebbe irrealizzabile il compito ad essa attribuito. Del resto, in tal senso si è espressa pure la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui il Ministro dei beni culturali e ambientali può annullare il nulla osta paesistico quando è affetto da vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione, dovendo i nulla osta del genere essere congruamente motivati, anche se hanno natura di atti ampliativi della sfera dei destinatari (cfr. Cons. St., Ad. Plen. 22.7.1999, n. 20; Sez. VI, 10.8.1999 n.1025; 2.3.2000, n.1096; 8.3.2000, n.1162; 13.2.2001, n.685). Anche i provvedimenti amministrativi c.d. positivi, dunque, devono basarsi su un’idonea motivazione, giacché l’indicazione delle ragioni su cui si fondano gli stessi agevola l’attuazione del principio costituzionale del buon andamento dell’azione amministrativa; a maggior ragione tale esigenza di adeguata motivazione deve essere rispettata nell’ipotesi di nulla osta edilizio in area soggetta a vincolo paesistico, attesa la tendenziale irreversibilità dell’alterazione dello stato dei luoghi ai fini dell’adeguata gestione dei vincoli paesistici. In conclusione, il Collegio deve ritenere che l’annullamento ministeriale di un’autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di una costruzione edilizia in zona protetta, potendo riguardare tutti i vizi di legittimità, comprese le ipotesi riconducibili all’eccesso di potere, ben può essere pronunciato per difetto di motivazione, in quanto in sede di autorizzazione regionale o di organo delegato dalla regione, a norma dell’art.7. della legge n.1497 del 1939, anche l’atto positivo di assentimento richiede un’adeguata motivazione sulla compatibilità effettiva dell’opera con gli specifici valori paesistici dei luoghi. Cons. di Stato, Sez. VI, del 12.12.2002 sent. n. 6785

Natura del provvedimento d’imposizione del vincolo archeologico - valutazioni tecnico-discrezionali - il profilo della congruità e logicità della motivazione. Il provvedimento d’imposizione del vincolo archeologico, ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, costituisce espressione di valutazioni tecnico-discrezionali, sindacabili sotto il profilo della congruità e logicità della motivazione (Sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1811; Sez. VI, 20 ottobre 1998, n. 1398; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 19 settembre 1992, n. 674; Sez. VI, 26 settembre 1991, n. 596). Per salvaguardare l’integrità, il decoro e il godimento del complesso archeologico e per consentire le ricerche re adhuc integra, l’Amministrazione può sottoporre al vincolo un’ampia area, considerata come parco o complesso archeologico, dove vi sono stati i più antichi insediamenti o siano stati rinvenuti reperti (Cons. giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579; Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 26 settembre 1991, n. 596). In tal caso, per l’imposizione del vincolo non è necessario che siano stati riportati alla luce tutti i reperti (Cons. giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579; Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 18 novembre 1991, n. 874), bastando che essi siano stati rinvenuti in alcuni terreni tra quelli vincolati (Sez. VI, 6 ottobre 1999, n. 1309; Sez. VI, 29 novembre 1985, n. 616). Consiglio di Stato Sezione VI, del 12 dicembre 2002, sentenza n. 6791 (vedi: sentenza per esteso)

L’imposizione del vincolo archeologico - elementi obiettivi e rinvenimenti - la presenza di reperti archeologici, ancora non portati alla luce. L’Amministrazione non può attribuire rilievo determinante a mere ipotesi scientifiche (in quanto la giacenza sotterranea di reperti va desunta anche da elementi obiettivi e da rinvenimenti: Sez. VI, 13 aprile 1992, n. 261; Sez. VI, 13 aprile 1991, n. 194), ma può motivatamente rilevare (con una valutazione di per sé insindacabile: Sez. VI, 5 settembre 1989, n. 1194) che i ruderi disseminati su una vasta estensione di terreno (di epoca storica o preistorica) facciano parte di un complesso inscindibile, anche rispetto ai probabili assetti viari: oltre alla loro scoperta e valorizzazione in funzione della conoscenza e delle ricerche nei vari settori scientifici, i beni archeologici possono essere tutelati anche in funzione dell’immutabilità o della conservazione dell’unitario contesto ambientale in cui si trovano (cfr. Cons. giust. Amm., 18 ottobre 1989, n. 400; Sez. VI, 22 dicembre 1983, n. 923). La presenza di reperti archeologici, ancora non portati alla luce, è nella specie suggerita non solo dalla letteratura e dagli studi scientifici, ma anche dal ritrovamento di reperti in occasione di lavori agricoli o di urbanizzazione. Non importa, pertanto, che il decreto ministeriale non abbia analiticamente esposto che nei terreni dell’appellante siano stati rinvenuti reperti, poiché le medesime aree vanno sicuramente considerate parte dell’unitaria area archeologica sulla base di elementi quanto mai univoci, e non di mere ipotesi scientifiche. (Nella specie, il provvedimento impugnato in primo grado è stato considerato adeguatamente motivato e basato su una specifica istruttoria). Consiglio di Stato Sezione VI, del 12 dicembre 2002, sentenza n. 6791 (vedi: sentenza per esteso)

La funzione dell’atto che impone il vincolo archeologico, artistico, storico, ambientale, paesistico - l’ indennizzo al diritto di proprietà. L’atto che impone il vincolo archeologico (così come quello impositivo di un vincolo artistico, storico, ambientale, paesistico) è rivolto a salvaguardare un’area facente parte di un’intera categoria di beni, sottoposti dalla legge ad un peculiare regime giuridico, per le loro predeterminate caratteristiche oggettive (cfr. Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179), e che di conseguenza la fattispecie non è riconducibile ad una limitazione senza indennizzo al diritto di proprietà. Consiglio di Stato Sezione VI, del 12 dicembre 2002, sentenza n. 6791 (vedi: sentenza per esteso)

Intitolazione di vie piazze ecc. - valutazione dell’istanza di soppressione totale o parziale di un toponimo stradale - le diverse competenze della Soprintendenza e del Ministero - casi di necessario assenso ‘in deroga’. I procedimenti disciplinati dall’art. 2 della legge n. 473 del 1925 e dall’art. 4, secondo comma, della legge n. 1188 del 1927 sono tendenzialmente autonomi, perché finalizzati a soddisfare distinti interessi pubblici: - la Soprintendenza, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 473 del 1925, in sede di valutazione dell’istanza di soppressione totale o parziale di un toponimo stradale, deve valutare complessivamente le esigenze della tradizione storica e della cultura delle popolazioni e dei luoghi, di cui il toponimo costituisce espressione, anche in relazione a quello diverso che si intenda attribuire; - il Ministero dell’Interno, ai sensi dell’art. 4, secondo comma, della legge n. 1188 del 1927, nel valutare se sussistano “casi eccezionali quando si tratti di persone che abbiano benemeritato della nazione” e scomparse da meno di dieci anni, deve effettuare una ponderata ed equilibrata valutazione degli interessi in conflitto e delle esigenze di ordine pubblico. La Soprintendenza, dunque, è competente a valutare ogni questione attinente alle modifica della toponomastica, mentre il Ministero dell’Interno è competente a valutare se una nuova strada vada intitolata ad un personaggio illustre, deceduto da meno di dieci anni. I due procedimenti, tuttavia, sono strettamente connessi quando, come è avvenuto nella specie, la proposta di intitolazione di un tratto stradale ad un tempo si riferisca ad un personaggio scomparso da meno di dieci anni, in sostituzione (totale o parziale) di un precedente toponimo. In tal caso, la Soprintendenza può esprimere il proprio parere valutando, sotto tutti gli aspetti di ordine storico e culturale, anche se sia il caso di sostituire un toponimo antico con l’intitolazione ad un personaggio illustre e scomparso di recente. Infatti, l’art. 2 della legge n. 473 del 1925 consente alla medesima Amministrazione di comparare il toponimo attuale con quello oggetto della proposta modificativa, che in ipotesi può riguardare o un avvenimento o un personaggio ricollegabile al toponimo esistente (e la cui connessione ancor più ne sottolinei il rilievo culturale), ovvero un avvenimento o un personaggio a questo assolutamente non ricollegabile. In altri termini, la Soprintendenza può unitariamente valutare la condivisibilità della proposta di modifica non soltanto in considerazione del toponimo di cui è prevista in tutto o in parte la soppressione, ma anche valutando quello diverso che si intenda attribuire, pur quando la proposta miri alla sostituzione dell’antico toponimo col nome di un illustre personaggio scomparso da meno di dieci anni. In tale seduta, la Commissione aveva segnalato come fosse auspicabile l’intitolazione a Federico Fellini del tratto in questione del Lungotevere Michelangelo e come fosse necessario un ulteriore assenso ‘in deroga’ del Ministero dell’Interno ai sensi dell’art. 4, secondo comma, della legge 23 giugno 1927, n. 1188, poiché l’illustre regista risultava scomparso da meno di dieci anni (in data 31 ottobre 1993). (Nella fattispecie, è risultato legittimo il parere negativo, espresso dalla Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Roma, in ordine alla proposta del Sindaco di Roma di intitolare al regista Federico Fellini un tratto (compreso tra il ponte Nenni e la piazza delle Cinque giornate) del Lungotevere Michelangelo). Consiglio di Stato Sezione VI, del 12 dicembre 2002 sentenza n. 6790

Protezione delle bellezze naturali - competenza delle province di Trento e Bolzano in materia di tutela del paesaggio - rilevanza ai fini dell'esclusione della fattispecie penale di cui all'art.163 d.lgs n.490 del 1999 - esclusione. Le disposizioni contenute nel piano urbanistico per la provincia di Trento emanate in attuazione dell'autonomia normativa riconosciuta, in materia di tutela del paesaggio, alle Province di Trento e Bolzano (ex art.8 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige - D.P.R. 31 agosto 1972, n.670) non spiegano alcuna rilevanza al fine di escludere la sussistenza del reato ambientale di cui all'art.163 D.Lgs n.490 del 1999. Vedi: Cass. 1989 n. 5106; Cass. 1997 n. 0107; Cass. 2000 n. 10863; Cass. 2001 n. 8359. Corte di Cassazione, Sezione III, del 05/12/2002 (CC.03/10/2002), Sentenza n. 40961

Le disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 490 si applicano anche al D.Lgs. 4 settembre 2002 n. 198. Il capoverso dell'articolo 4 del D.Lgs. 4 settembre 2002 n. 198 (disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 21 dicembre 2001, n. 443), stabilisce che restano ferme le disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665. (vedi: sentenza per esteso)

Rilascio della concessione edilizia in sanatoria - opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo - l’obbligo di acquisire il nulla osta anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo stesso. In sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, l’obbligo di acquisire il parere da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo previsto dall’art.32 L. 28 febbraio 1985 n. 47, sussiste in relazione all’esistenza del vincolo medesimo al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo stesso (cfr. Ad. Plen. 22 luglio 1999, n. 20: Cons. Stato, Sez. VI, n.4812 del 2002). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665. (vedi: sentenza per esteso)

Carattere non recettizio dell’atto d’annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico - caducazione dell'autorizzazione regionale (o sub regionale) - il termine perentorio di sessanta giorni - decorrenza del dies a quo. L’ormai costante giurisprudenza amministrativa ritiene che abbia carattere non recettizio l’atto d’annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico (l'opposta soluzione vale per l’annullamento regionale della licenza edilizia, ex art.27 della legge urbanistica: CdS Ad. Plen. n.8/1980). Nello schema normativo della tutela paesaggistica predisposta dall'art.82 D.P.R. n.616 del 1977, l'intervento ministeriale d’annullamento dell'autorizzazione regionale rilasciata ai sensi dell'art.7 l. n.1497 del 1939 costituisce un elemento costitutivo, sia pure in termini negativi ed operante nella ridotta sfera della verifica della legittimità, di una complessa fattispecie autorizzatoria sui generis, nell'ambito della quale l'autorizzazione regionale (o sub regionale) è un elemento essenziale, ma non esclusivo, al fine di rimuovere gli ostacoli giuridici per il concreto esercizio dell'attività edilizia nell'ambito delle zone sottoposte a vincoli; pertanto il decorso del termine di sessanta giorni per l'esercizio del potere d’annullamento, senza che alcun provvedimento sia stato adottato, vale a rendere definitivamente operativa l'autorizzazione, già di per sé efficace, ed ultronea qualunque pronuncia tardiva del ministro: ciò dimostra che la causa ultima della caducazione dell'autorizzazione regionale (o sub regionale) deve essere rinvenuta direttamente nella norma, la quale prevede il potere d’annullamento e ne configura l'esercizio come produttivo di per sé di effetti giuridici, a prescindere dalla partecipazione all'ente interessato degli esiti dell'esercizio di tale potere, con la conseguenza che il provvedimento ministeriale di annullamento non ha natura di atto recettizio (C. Stato, sez.VI, 19/7/1996, n.968; in senso analogo CdS VI n.421/2000; CdS Sez.II 4/6/1997 n.1249/97; CdS Sez.II 10/9/1997 n.468/1997 per una completa recente ricostruzione CdS Ad. Plen. n.9/2001). Il termine perentorio di sessanta giorni per l’adozione del provvedimento ministeriale di annullamento di nulla osta paesistico, inizia a decorrere solo da quando la documentazione perviene, completa, all’organo competente a decidere (C. Stato, sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734), che è il Ministro, e non gli organi periferici dell’amministrazione dei beni culturali e ambientali (C. Stato, sez. VI, 3 marzo 1994, n. 241). Ai fini della decorrenza del dies a quo, pertanto, non rileva l’arrivo degli atti alla Soprintendenza, occorrendo invece che gli atti pervengano al Ministero, inteso come amministrazione centrale. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665. (vedi: sentenza per esteso)

Procedura di trasmissione delle autorizzazioni paesistiche al Ministero - disapplicazione della circolare contraria alla legge - decorrenza dei termini. Non interessa che una circolare del Ministero dei beni culturali e ambientali stabilisca che le pratiche relative a nulla osta paesistici siano inoltrate al Ministro per il tramite delle locali Soprintendenze, in quanto le circolari non possono essere ritenute vincolanti se contrarie alle leggi. Nella specie, l’art. 82, D.P.R. n. 616 del 1977, stabilisce che le Regioni devono trasmettere le autorizzazioni paesistiche rilasciate <<al Ministero>>, e non già alle periferiche Soprintendenze, e che dall’arrivo degli atti al Ministro decorre il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento. Pertanto, la circolare in questione non è idonea né ad alterare il regime del dies a quo del termine, né a modificare l’organo destinatario degli atti. I nullaosta paesistici devono essere inoltrati direttamente all’amministrazione centrale, ed il termine di sessanta giorni per l’annullamento ministeriale decorre, pertanto, da quando gli atti arrivano all’amministrazione centrale, atteso che competente a provvedere è il Ministro. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665. (vedi: sentenza per esteso)

Il corretto esercizio del potere di controllo attribuito all’amministrazione per i beni culturali e ambientali in materia paesistica - decorrenza dei termini. Se il termine di sessanta giorni deve considerarsi iniziare soltanto da quando la documentazione pervenga, completa, all’organo competente a decidere (C. Stato, sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734), non può coerentemente considerarsi idonea a far iniziare la decorrenza del termine in questione, la presentazione di documentazione incompleta, e dunque inidonea a consentire il corretto esercizio del potere di controllo attribuito all’amministrazione per i beni culturali e ambientali in materia paesistica (C. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1996, n. 209), ed essendo necessario, ai fini del corretto esercizio del potere di controllo attribuito all’amministrazione, che a questa pervenga una documentazione completa, deve coerentemente ammettersi che possano essere chieste le necessarie integrazioni istruttorie (C. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1996, n. 209. Ciò che deve ritenersi non consentito, stante la perentorietà del termine, è che lo stesso venga sospeso, interrotto o prorogato arbitrariamente, cioè al di fuori di una necessaria istruttoria (C. Stato, sez. VI, 16 marzo 1995, n. 279), e tanto nell’ottica del principio di leale cooperazione, che per Corte Cost. 18 ottobre 1996, n. 341, non opera in modo unidirezionale, perché al dovere regionale di informazione immediata e completa corrisponde il dovere statale di non determinare ingiustificati aggravamenti del procedimento con richieste di documentazione pretestuose, dilatorie o tardive, suscettibili di menomare l’esercizio delle attribuzioni regionali in materia di tutela del paesaggio. Sotto questa angolazione prospettica, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente legittimo l’art. 82, co. 9, D.P.R. n. 616 del 1977, nella parte in cui non prevede alcun preciso e univoco referente temporale per la decorrenza del termine di sessanta giorni entro cui il Ministero può annullare il nulla osta paesistico regionale (C. Cost., 4 giugno 1997, n. 170). Quest’ultima pronuncia ha anche osservato che in caso di inerzia amministrativa l’interessato può tutelare la propria situazione soggettiva attivando anche le misure per un sollecito inoltro della pratica e comunque può rivolgersi direttamente al Ministero per i beni culturali e ambientali; inoltre le regole procedimentali sul responsabile del procedimento e sui diritti di partecipazione e di accesso assicurano il rispetto del buon andamento. Deve aggiungersi che, presupponendo il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento che la pratica sia pervenuta completa di tutta la documentazione, se tale completezza documentale non sussiste, deve ritenersi possibile la richiesta di integrazione istruttoria nel medesimo termine di sessanta giorni. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665. (vedi: sentenza per esteso)

Giustificazione dell’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica - funzione della domanda di autorizzazione. Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). L’annullamento è giustificato, secondo un consistente orientamento, quando, per la mancata considerazione di un rilevante elemento di fatto, la valutazione di compatibilità si traduca in obiettiva deroga, in un’autorizzazione illegittima per sviamento o travisamento (C.d.S. VI 13/2/2001 n.685; C.d.S. II 10/1/2001 n.1614; C.d.S. VI 8/8/2000 n.4345; C.d.S. VI 6/7/2000 n.3793; C.d.S. II 31/3/1999 n.268; C.d.S. IV 4/12/1998 n.1734; C.d.S. VI 9/4/1998 n.460; C.d.S. VI 17/4/1997 n.609; C.d.S. VI 19/7/1996 n.968). In sostanza ciò che si può intendere come obiettiva deroga del vincolo, non rientrante nella causa tipica del potere di autorizzazione ex art.7 della legge n.1497/1939, è la valutazione comunale non accorta che non prende le mosse dal vincolo per effettuare un giudizio di compatibilità, ma si sovrappone al vincolo medesimo, stabilendo una deroga o eccezione non consentita che ne oblitera la ratio, con ciò provocando un’alterazione degli equilibri ambientali e paesaggistici che il vincolo mira a conservare e proteggere. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665. (vedi: sentenza per esteso)

Il termine per l'adozione dell'annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico si riferisce esclusivamente al momento della sua adozione. Secondo la costante giurisprudenza di questa sezione, il termine per l'adozione dell'annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico si riferisce esclusivamente al momento della sua adozione, e non anche quello della sua comunicazione all'interessato. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6664

Il potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico attribuito al Ministero per i beni culturali può riguardare tutti i possibili vizi dell'eccesso di potere. Il potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico attribuito al Ministero per i beni culturali dall'art.82 D.P.R. n.616 non comporta un riesame complessivo delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dalla Regione, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio del titolo autorizzativo, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità che peraltro può riguardare tutti i possibili vizi dell'eccesso di potere. In definitiva debbono essere condivise le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure, secondo il quale i rilievi del decreto ministeriale di annullamento "evidenziano meri profili di merito e non di difformità dell'azione amministrativa da quei parametri di legittimità che...ne costituiscono l'indefettibile presupposto".Per quanto precede l'appello in esame deve essere respinto. Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6652

Apertura di finestre nei sottotetti di immobili vincolati - Provincia Autonoma di Trento - Comitato per i Beni culturali - orientamento negativo - legittimità - sussiste. E’ legittimo il consolidato orientamento negativo del Comitato per i Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento in materia di apertura di finestre nei sottotetti di immobili vincolati, onde evitare inopportune alterazioni delle caratteristiche storico-artistiche di tali edifici, in ciò esaurendosi la funzione tipica di detto Ufficio, mentre eventuali intese con altre amministrazioni interessate non potrebbero che riguardare i profili igienico-sanitari, di stretta competenza comunale. Consiglio di Stato Sezione IV del 29 novembre 2002 n. 6531

Protezione delle bellezze naturali - l’autorizzazione paesaggistica intervenuta dopo l'esecuzione dei lavori non produce l'estinzione del reato - effetti - art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 - effetti sulla remissione in pristino - estinzione - esclusione - condizioni. In tema di protezione delle bellezze naturali, il rilascio della autorizzazione paesaggistica dopo l'esecuzione di lavori in zona vincolata in difetto della predetta autorizzazione non produce l'estinzione del reato previsto dall'art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, ma ha il solo effetto di escludere l'esecuzione della remissione in pristino, atteso che il rilascio dell'autorizzazione dimostra la compatibilita' dei lavori con l'assetto paesaggistico dell'area impegnata dai lavori stessi. Vedi anche: Cass. 1998 n. 12697; Cass. 1999 n. 0309. Corte di Cassazione, Sezione III del 28/11/2002 (UD.26/11/2002) Sentenza n. 40269

Beni culturali e ambientali - Bellezze naturali - deturpamento o distruzione - configurabilità dell’illecito - art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 - sussistenza - salvaguardia del bene ambientale - astratta idoneità lesiva della condotta. II reato di cui all’art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (attualmente art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999) è reato di pericolo astratto e, pertanto, per la configurabilità dell’illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici. La salvaguardia del bene ambientale è anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale ed anche a tali adempimenti è apprestata tutela penale. Ne consegue che l’offensività del fatto, in una situazione di astratta idoneità lesiva della condotta inosservante rispetto al bene finale, deve essere anzitutto correlata al rispetto del bene intermedio (o «funzione»). Pres. P. Onorato - Ric. D.G. Cassazione Penale, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744 (vedi: sentenza per esteso)

Beni culturali e ambientali - Bellezze naturali - modificazione dell’assetto del territorio - l. n. 1497 del 1939 - configurabilità dell’illecito - art. 151 del D.Lgs. n. 490/1999 - alterazione naturalistica - limiti - alterazione giuridica - necessità. Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell’autorizzazione già prevista dall’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall’art. 151 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma «di qualunque genere» (ad eccezione degli interventi consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; nell’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia). Il legislatore, imponendo la necessità dell’autorizzazione, ha inteso assicurare una immediata informazione e la preventiva valutazione, da parte della pubblica Amministrazione, dell’impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A. sia posta di fronte al fatto compiuto. Pres. P. Onorato - Ric. D.G. Cassazione Penale, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744 (vedi: sentenza per esteso)

Beni culturali e ambientali - Bellezze naturali - l’autorizzazione paesistica postuma non determina l’estinzione del reato - art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 - Corte Costituzionale Ord. n. 158 del 1998 - reato ambientale - sussiste. II successivo rilascio dell’autorizzazione paesistica, da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, non determina l’estinzione del reato di cui all’art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985), poiché tale effetto (diversamente da quanto stabilito eccezionalmente dall’art. 39, 80 comma, della legge n. 724/1994) non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa (vedi Cass., sez. III, 12 dicembre 1995, ric. P.M. in proc. Mingardi; 30 maggio 1996, ric. Giusti; 18 febbraio 1998, ric. P.M. in proc. Cappelli; 15 giugno 1998, ric. P.M. in proc. Stefan; 6 luglio 1998, ric. Capolino; 17 novembre 1998, ric. Antognoli ed altro; 4 febbraio 1999, ric. De Laurentiis). Anche la Corte Costituzionale - con l’ordinanza n. 158 del 1998 - ha osservato che «la sopravvenienza dell’autorizzazione è irrilevante ai fini della sottoposizione a sanzione penale ai sensi dell’art. 1 sexies (sentenza n. 318 del 1994); infatti, l’autorizzazione intervenuta dopo l’inizio dell’attività soggetta al necessario previo controllo paesaggistico non è sufficiente per rimuovere in via generale l’antigiuridicità penalmente rilevante dell’attività già compiuta in assenza di titolo abilitativo». Pres. P. Onorato - Ric. D.G. Cassazione Penale, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744 (vedi: sentenza per esteso)

Beni culturali e ambientali - Bellezze naturali - Corte Costituzionale - manifesta infondatezza - della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge n. 47/1985 - reato ambientale - sussiste. La Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 46 del 2001, ha ribadito la manifesta infondatezza, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge n. 47/1985, nella parte in cui non viene previsto che il rilascio della concessione edilizia in sanatoria (c .d. «di regime») estingua, oltre alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato ambientale (vedi pure, per i rapporti con la normativa eccezionale in tema di condono edilizio, l’ordinanza n. 327 del 2000 e la sentenza n. 85 del 1998). L’unico effetto, che deriva dal provvedimento c.d. di «sanatoria ambientale», è l’esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, poiché l’Amministrazione ha valutato l’intervento e lo ha ritenuto compatibile con l’assetto paesaggistico dell’area interessata. Pres. P. Onorato - Ric. D.G. Cassazione Penale, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744 (vedi: sentenza per esteso)

Applicabilità della sanzione anche in caso di condono edilizio di opere abusive che ricadono in zone paesaggisticamente vincolate - la sanatoria di abusi edilizi in zone protette - la caratterizzazione sanzionatoria e non riparatoria della fattispecie - l'autonomia dei procedimenti. La nuova formulazione (art. 164 del D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490), sostitutiva dell'art. 15 della normativa del 1939, conferma gli indici dai quali si è ricavata la caratterizzazione sanzionatoria e non riparatoria della fattispecie (mancata specificazione del riferimento ad illeciti sostanziali, quantificazione dell'importo in relazione al profitto oltre che al danno); in più, avendo riguardo al semplice pagamento di una somma di denaro, la norma è spogliata dal riferimento al termine « indennità », che si è visto essere argomento, peraltro non decisivo, a conforto della matrice necessariamente sostanziale degli illeciti considerati. Si è poi altresì concluso nel senso della applicabilità della sanzione anche in caso di condono edilizio di opere abusive che ricadono in zone paesaggisticamente vincolate, e per le quali l'Autorità preposta alla tutela del vincolo abbia espresso, ai sensi del citato art. 32 della legge n. 47 del 1985, parere favorevole alla condonabilità dell'abuso. L'assunto non è smentito dall'art. 2 comma 46 L. 23 dicembre 1996 n. 662, e successive modificazioni (richiamato nella decisione impugnata) a norma del quale: “Per le opere eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla L. 29 giugno 1939 n. 1497, e al D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985 n. 431, il versamento dell'oblazione non esime dall'applicazione dell'indennità risarcitoria prevista dall'art. 15 della citata legge n. 1497 del 1939. Allo scopo di rendere celermente applicabile la disposizione di cui al presente comma ai soli fini del condono edilizio, con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono determinati parametri e modalità per la qualificazione della indennità risarcitoria prevista dall'art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, con riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali oggetto del vincolo". L'art. 2 comma 46 L. n. 662 del 1996, chiarisce, infatti, ancora che la inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle sanzioni amministrative, sancita in termini generali dall'art. 38 legge n. 47 del 1985, non si estende alle sanzioni in materia paesistica di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, anche se l'abuso edilizio sia stato ritenuto condonabile dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo. La disposizione appena richiamata non va dunque intesa nel senso che la indennità di cui all'art. 15 legge n. 662 del 1996, è una forma di risarcimento del danno e non una sanzione amministrativa, ma nel senso che si tratta di una sanzione amministrativa che rimane applicabile nonostante il concesso condono edilizio. Facendo applicazione al caso di che trattasi delle coordinate ermeneutiche appena indicate con riferimento al condono di cui all'art. 31 e seguenti della legge n. 47 del 1985, si deve ritenere che, diversamente da quanto opinato dal primo giudice con la decisione di appellata, la sanzione pecuniaria amministrativa di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939 prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale. Ne consegue altresi che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente favorevole definizione del procedimento di cui all'art. 13 della legge n. 47 del 1985, non ne escludono l'applicabilità; al contrario si può dire che in presenza di una valutazione in tal senso l'Amministrazione avrà il potere dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo preclusa ovviamente, alla stregua di un elementare principio di non contraddizione, la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell'importo alla luce dei criteri cristallizzati dall'art. 15. La esposta soluzione garantisce appieno l'autonomia dei procedimenti di cui trattasi ed il rispetto della disciplina di cui alla legge n. 1497 del 1939 che, in relazione alle opere costruite abusivamente, impone l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 15 (Cons. Stato, VI Sez., n. 421/2000, cit.). Ed il sistema non è in sé contraddittorio, perché se da un lato consente la sanatoria di abusi edilizi in zone protette, qualora compatibili con l'ambiente, dall'altro lato il condono edilizio riguarda, appunto e soltanto, gli abusi edilizi, e non quelli paesistici. L'illecito paesistico che sia compatibile con l'ambiente, se consente la sanatoria dell'abuso edilizio, non viene in altri termini sanato integralmente dalla sanatoria edilizia, e deve perciò trovare sanzione con le misure di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, e, segnatamente, con il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria. Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279 (vedi: sentenza per esteso)

Violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione - violazioni sostanziali e violazioni meramente formali - il concetto di "danno arrecato" - realizzazione di un'opera senza la prescritta autorizzazione paesistica - sanzione amministrativa e azione di risarcimento del danno. Preliminarmente giova precisare che, ai fini che qui interessano, non ha alcuna rilevanza il fatto che gli interessati abbiano ottenuto, successivamente, il necessario nulla-osta ambientale; ciò significa soltanto che le opere realizzate, ad avviso dell’Amministrazione, erano compatibili con il contesto paesaggistico, ma non esclude, come si vedrà, che possa farsi luogo alla irrogazione della sanzione pecuniaria prevista dalla normativa stessa. Nel merito il Collegio non ha motivo in subiecta materia per discostarsi dall'orientamento recentemente espresso da questo Consiglio ( tra le altre, cfr., Sez. VI°, decisione 2 giugno 2000 n. 3184, in questa Rassegna 2000, I, 1368), con il quale si è precisato che la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 della legge n. 1497 del 1939, nonostante il riferimento al termine « indennità », non costituisce un'ipotesi di risarcimento del danno ambientale ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, cioè il caso di compromissione dell'integrità paesaggistica, sia nella ipotesi di illeciti formali, quale è da ritenersi, con riguardo al caso di specie, il caso di violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione. Ed infatti prendendo le mosse dal tenore letterale dell'art. 15, si  è osservato che la norma in commento non distingue dunque tra violazioni sostanziali, cioè produttive di un concreto ed effettivo danno ambientale, e violazioni meramente formali, consistenti cioè nella mera inosservanza di obblighi o ordini, senza produzione di un danno ambientale. In sostanza, la previsione della misura dell'indennità pecuniaria per qualsivoglia tipo di violazione, sia sostanziale che formale, e dunque la funzione deterrente, oltre che ripristinatoria, della misura medesima, costituisce un primo indice della natura sanzionatoria e non risarcitoria della indennità in questione. Siffatte conclusioni trovano conferma anche se si tiene presente il criterio legislativo di commisurazione della stessa. Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279 (vedi: sentenza per esteso)

Vincoli paesaggistici - art. 164 del D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490 - quantificazione della sanzione - danno arrecato e profitto conseguito mediante la commessa trasgressione - realizzazione di un'opera senza la prescritta autorizzazione paesistica, ove la stessa sia in concreto conforme alle prescrizioni ambientali - l'alternatività del criterio del danno. Secondo l'art. 15, legge n. 1497 del 1939, l'indennità è pari “alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione". Il concetto di "danno arrecato" viene in rilievo, nella norma, solo al fine della quantificazione della sanzione, e dunque in sede del quantum debeatur e non dell’ an. Detto indice, inoltre, non è criterio esclusivo di commisurazione della indennità, essendo alternativo al profitto conseguito dalla violazione. Ne consegue che in ipotesi di realizzazione di un'opera senza la prescritta autorizzazione paesistica, ove la stessa sia in concreto conforme alle prescrizioni ambientali, e dunque non sia produttiva di danno alcuno, l'indennità verrà commisurata al profitto conseguito dall'abuso sicchè sarà dovuta anche in mancanza di un danno ambientale, e commisurata al diverso criterio del profitto. In sintesi, l'alternatività del criterio del danno rispetto al criterio del profitto, quale parametro di commisurazione della sanzione, denota che l'indennità è dovuta anche in mancanza di danno, e in tal caso sarà quantificata in relazione al profitto: di talché non può non concludersi che il danno ambientale, nella logica dell'art. 15 legge n. 1497 del 1939, non è l'oggetto della tutela, ma solo il criterio di commisurazione della sanzione pecuniaria. D'altro canto, l'ordinamento appresta un diverso, specifico strumento per il risarcimento del danno ambientale: ed è l'azione di risarcimento del danno di cui all'art. 18 L. 8 luglio 1986 n. 349 » (conf. Cass., Sez. un. , 10 agosto 1996 n. 7403; Cass., Sez. un. , 18 maggio 1995 n. 5473; Cons. Stato, V Sez., 21 novembre 1985 n. 419; Cons. Stato, II Sez., 29 ottobre 1997 n. 2065; Cons. Stato, II Sez., 29 ottobre 1997 n. 2066; 4 giugno 1997 n. 2479/1996, in questa Rassegna 1997, II, 32; 1995, II, 1975; 1985, I, 1443). Le considerazioni svolte nella decisione appena ricordata con riguardo alla disciplina originaria di cui all'art. 15 della legge n. 1497 del 1939 risultano confermate (ancorchè non applicabile ratione temporis), e per certi versi rafforzate, dalla nuova disciplina dettata dall'art. 164 del D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490, recante il Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali che così dispone: “In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti da questo Titolo, il trasgressore è tenuto, secondo che la Regione ritenga più opportuno, nell'interesse della protezione dei beni indicati nell'art. 138, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata mediante perizia di stima ». Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279  (vedi: sentenza per esteso)

L’imposizione di vincoli di inedificabilità relativi alle aree destinate a servizi - l’obbligo di procedere a colmare il vuoto normativo - la presenza su un’area di taluni manufatti non può ingenerare nel privato il convincimento che la stessa non sia suscettibile di destinazione pubblica. L’imposizione di vincoli di inedificabilità relativi alle aree destinate a servizi, la relazione, dopo aver osservato che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 12 maggio 1982, n. 92, e dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, i vincoli imposti con il precedente strumento urbanistico avevano perso efficacia, e che sussisteva - anche in base alla sentenza del Consiglio di Stato n. 7 del 2 aprile 1984 - l’obbligo di procedere a colmare il vuoto normativo che si era venuto a creare, non ha mancato di osservare che era obiettivo della variante quello appunto di corrispondere alle avvertite esigenze. Il che dà ragione del concreto motivo che ha indotto il Comune a procedere all’adozione della nuova variante. A tali indicazioni vanno poi aggiunte quelle, particolari, che la stessa Amministrazione ha fornito in sede di esame delle controdeduzioni alle osservazioni presentate dalle parti private, tra cui quella dell’attuale società appellante. La giurisprudenza non ritiene che la presenza su un’area di taluni manufatti possa ingenerare nel privato il convincimento che la stessa non sia suscettibile di destinazione pubblica, ove un interesse della collettività lo richieda, e che la situazione di fatto possa costituire un limite all’attività pianificatoria della Pubblica Amministrazione. In particolare, è stata ritenuta legittima la reiterazione di vincoli urbanistici decaduti ex lege 19 novembre 1968, n. 1187, se corredata - come appunto nel caso in esame - da una congrua motivazione in ordine alla persistente attualità dei pubblici interessi che a suo tempo determinarono la previsione dei vincoli stessi (Cons. St., Sez. IV, n. 305 del 12.3.1996). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6109 (vedi: sentenza per esteso)  

Il requisito della trascrizione dei vincoli, ai fini dell'opponibilità al successivo proprietario, possessore e detentore - limiti - la notifica del  vincolo al proprietario del bene - tutela  delle cose di interesse storico e artistico - vincolo ambientale. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Sez. VI, 29 ottobre 1996, n. 1430; 8 gennaio 1991, n. 1) ha avuto modo di precisare che requisito della trascrizione dei vincoli, ai fini dell'opponibilità al successivo proprietario, possessore e detentore, imposto dalla L. 1 giugno 1939, n. 1089, riguarda solamente i vincoli imposti sulla base della legislazione del 1939 e non invece quelli imposti in base alla normativa precedente che non richiedeva tale condizione e che sono stati mantenuti in vita dalla norma transitoria contenuta nell'art. 71 legge n. 1089 del 1939 la quale, per il permanere dei vincoli in questione, richiedeva soltanto che fossero stati adottati «a norma della L. 20 giugno 1909, n. 364, relativo regolamento, e della L. 11 giugno 1922 n. 778». Un vincolo legittimamente imposto con la notifica al proprietario del bene - in vigenza di una normativa che non ne prescriveva la trascrizione ai fini della sua valenza nei confronti dei terzi - non può ritenersi caducato per effetto del trasferimento del bene ad esso relativo non accompagnato da una informazione dell'alienante in ordine alla esistenza del vincolo medesimo, stante la natura reale del vincolo stesso e l'irrilevanza, ai fini della sua sussistenza ed operatività, di attività privatistiche implicanti, eventualmente, azioni civilistiche di responsabilità connesse all'obbligo di esatte informazioni nel procedimento relativo alla formazione dei contratti. Pertanto, la  notifica  del  vincolo,  effettuata  in base all'art. 5 L. 20 giugno  1909,  n.  364,  precedente  alla L. 1 giugno 1939, n. 1089, sulla tutela  delle cose di interesse storico e artistico, non può ritenersi priva di effetti sotto il vigore della successiva legge, dato che anche questa ultima prevede agli artt. 2, 3 e 5 analoga notifica del Ministro ai privati proprietari e dato che esiste, quindi, una perfetta equiparazione di forme tra le due notifiche; nè importa che la notifica di cui trattasi, non risulti, altresì trascritta nei registri della conservatoria delle ipoteche ai sensi dell'art. 2 secondo comma  legge n. 1089 del 1939, in quanto la trascrizione è, invero, istituto che non spiega alcun effetto sulla validità degli atti, assolvendo, essa, soltanto funzioni di pubblicità verso i terzi. In ordine al vincolo ambientale, la sua esistenza è esplicitamente ricordata nella relazione del Comune n. 22018 del 4 agosto 2000, nella quale si precisa che tutta la zona è sottoposta a vincolo panoramico ai sensi della citata legge n. 1497 del 1939. Si tratta, evidentemente, del vincolo previsto dall’art. 1, comma 1, lett. a) del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431, essendo Palazzo Guarnieri situato sul Promontorio di Porto Maurizio, collocato a ridosso del mare. Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6067 (vedi: sentenza per esteso)

Diniego dell’autorizzazione paesaggistica - obbligo ad adottare le proprie determinazioni sotto il profilo della disciplina urbanistica - irrilevanza - del parere favorevole espresso sulla domanda di sanatoria dalla Commissione edilizia comunale. Il Sindaco, di fronte al diniego dell’autorizzazione paesaggistica, era tenuto ad adottare le proprie determinazioni sotto il profilo della disciplina urbanistica, il cui contenuto era ovviamente vincolato da quello adottato dall’organo regionale. Né tale determinazione si pone in contraddizione con il parere favorevole espresso sulla domanda di sanatoria dalla Commissione edilizia comunale, perché dal verbale n. 1 del 12 dicembre 1989 emerge che l’organo consultivo, pur dando atto della conformità del progetto dal punto di vista urbanistico, ha rinviato ogni sua valutazione ad avvenuta acquisizione del parere della Soprintendenza ai sensi della legge n. 364 del 1909. Ciò che dimostra come, contrariamente a quanto sostenuto dal Bencardino, nessun parere favorevole è stato formulato dalla Commissione edilizia integrata. Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6067 (vedi: sentenza per esteso)

La funzione subelegata in merito ai vincoli - nulla osta paesaggistico - le sanzioni previste a carico dei proprietari che hanno realizzato interventi edilizi senza la previa autorizzazione - gli interventi che determinano sostanziali alterazioni delle caratteristiche architettoniche e formali dell'edificio - la domanda di autorizzazione in sanatoria quale elemento probatorio. La funzione subelegata concerne non già l’ipotesi del rilascio o meno del nulla osta paesaggistico, ma le sanzioni previste a carico dei proprietari che hanno realizzato interventi edilizi senza la previa autorizzazione, la tesi non considera che il medesimo articolo 1, nell’individuare le specifiche funzioni subdelegate ai comuni, fa espressamente salvo quanto disposto con l’art. 1 bis. Tale ultima disposizione mantiene alla competenza della Regione, il rilascio dei provvedimenti autorizzativi concernenti tra l’altro, (lett. g) “rifacimenti esterni di edifici esistenti nell'ambito delle zone omogenee di tipo A, quali definite dall'art. 2 del decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 emanato in applicazione dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ovvero individuate dagli strumenti urbanistici generali non soggetti a revisione a norma degli artt. 2 e 3 della legge regionale 6 febbraio 1974, n. 7”, e precisando che “sono considerati rifacimenti esterni gli interventi che determinano sostanziali alterazioni delle caratteristiche architettoniche e formali dell'edificio, quali: modificazioni delle coperture; modificazione delle superfici finestrate e delle aperture in genere; modificazione delle sporgenze e delle rientranze”. Non sussiste, pertanto, alcun dubbio che l’opera realizzata dal Bencardino rientrasse nella competenza della Regione Liguria e in particolare all’assessore regionale all’urbanistica espressamente delegato. Del resto, la circostanza che la domanda di autorizzazione in sanatoria sia stata rivolta all’organo regionale, dimostra che lo stesso ricorrente era consapevole della competenza della regione. Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6067 (vedi: sentenza per esteso)

Ministro dei beni culturali ed ambientali provvedimento di annullamento del nulla osta - carenza di motivazione. Emerge, ad avviso del Collegio, che il Ministro dei beni culturali ed ambientali ha del tutto omesso di considerare le varie motivazioni contenute nella relazione assessoriale, richiamata dal provvedimento di rilascio del nulla osta, a giustificazione della compatibilità ambientale dell’insediamento edilizio che si intendeva realizzare. In tal modo l’impugnato decreto ministeriale, oltre ad essere viziato da travisamento dei fatti ed inesistenza dei presupposti, è incappato nel vizio di difetto di motivazione; vizio, invece, insussistente nel provvedimento regionale di nulla osta. Il Ministero dei beni culturali ed ambientali, inoltre, relativamente all’edificio destinato a struttura alberghiera principale, ha sovrapposto, rispetto all’amministrazione regionale, le proprie difformi valutazioni sulla modifica dell’area; valutazioni, tra l’altro, espresse dalla Regione con un provvedimento esente da vizi. Il che non è consentito, dato che il Ministero, in sede di esame del contenuto del nulla osta regionale alla realizzazione di costruzioni edilizie in zone paesistiche protette e prima della conclusione del procedimento, può motivatamente valutare solo se la gestione del vincolo avviene con un atto legittimo e, conseguentemente, annullare l’autorizzazione che risulti illegittima per qualsiasi profilo di eccesso di potere (da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5701

In operatività della decadenza dei vincoli di inedificabilità - adozione di un piano di lottizzazione ad iniziativa dei privati. La decadenza dei vincoli di inedificabilità, come è stato precisato da questa Sezione (n. 1225 del 30.10.1997 e n. 1908 del 3.4.2000), non avviene nel caso in cui, in alternativa al piano particolareggiato, sia prevista la possibilità di adozione di un piano di lottizzazione ad iniziativa dei privati, consentendosi così ai privati di porre rimedio ad eventuali inerzie o ritardi della P.A., facoltà nella specie espressamente consentita. Consiglio di Stato, sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5321 (vedi: sentenza per esteso)

Fiumi - domanda di condono - area sottoposta a vincolo paesaggistico - obbligo del parere - abilitazione all'esercizio della pesca di mestiere. Le opere realizzate  sulla parte bassa del fiume Isonzo (bilancia da pesca ed annessa baracca-ricovero) insistono, come è pacifico tra le parti, su area sottoposta a vincolo paesaggistico, per cui sulla relativa domanda di condono doveva obbligatoriamente essere sentito, ex art. 32 L. 1°.2.1985 n.47, il parere della Direzione regionale della pianificazione territoriale, competente nella Regione autonoma Friuli Venezia Giulia alla tutela di detto vincolo. E' del tutto inconferente poi il possesso da parte di uno degli appellanti dell'abilitazione all'esercizio della pesca di mestiere, atteso che nella specie non viene in contestazione tale aspetto, potendosi esercitare la pesca anche senza il bilancione,  ma la condonabilità o meno di opere edilizie abusive. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5173

La concessione rilasciata dal demanio fluviale è un provvedimento del tutto autonomo e diverso dalla concessione edilizia - capanno da pesca - la rimozione delle parti difformi e successiva demolizione della costruzione abusiva per decadenza del provvedimento concessorio. Sono infondate le doglianze connesse con la concessione rilasciata dal demanio fluviale in quanto questo si estrinseca in un provvedimento del tutto autonomo e diverso dalla concessione edilizia, provvedimento quest’ultimo avente finalità e garanzie del tutto specifiche e che comunque, ai fini che qui interessano, costituisce l’unico provvedimetno abilitativo alla realizzazione del manufatto sotto il prevalente profilo urbanistico-edilizio. (L’appellante, ottenuta la concessione edilizia e la successiva variante per realizzare un capanno da pesca, non ha costruito nel termine decadenziale previsto dalla disposizione di cui all’art.27 della Legge R. Emilia-Romagna n.47/1978, il relativo solaio ed inoltre eseguiva la palificazione di sostegno del capanno medesimo in “cemento” anziché in “legno”, come tassativamente previsto.) Ne consegue che le censure attinenti alla pretesa ammissibilità della palificazione in cemento non può essere ritenuta rilevante ai fini del pieno riscontro della legittimità della concessione edilizia che, in relazione alla specifica regolamentazione tipologica della realizzazione in questione - capanno da pesca - richiede ed impone la palificazione in legno. Di conseguenza il Sindaco, con successive ordinanze ha dapprima disposto la rimozione delle parti difformi, e successivamente, sull’accertato presupposto della mancata realizzazione del necessario solaio, accertava la decadenza della concessione ingiungendo la conseguente demolizione della costruzione abusiva. La mancata realizzazione di tale requisito fondamentale della validità del provvedimento concessorio, ha poi legittimamente comportato l’adozione dell’adottato provvedimento decadenziale. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5162 (vedi: sentenza per esteso)

La nozione di “bene culturale” sostituisce ormai le vecchie categorie di cose d’interesse artistico o storico, di cose d’arte, di cose d’antichità - protezione del bene “culturale”. Il “bene culturale” è la nozione che sostituisce ormai le vecchie categorie di cose d’interesse artistico o storico, di cose d’arte, di cose d’antichità, realizzando una considerazione unitaria della materia. Il bene “culturale” viene protetto per ragioni non solo o non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche, così sottolineandosi l’importanza dell’opera o del bene per la storia dell’uomo e per il progresso della scienza. Si deve ritenere abbandonata, nell’intentio legislatoris e nella prassi amministrativa, nonché nell’interpretazione giurisprudenziale costituzionalmente orientata (artt.9 e 33 Cost. ) una concezione estetizzante (o estetico-idealistica) del bene culturale (come del bene paesaggistico-ambientale), che era alla base della legge fondamentale del 1939, in favore dell’evoluzione della nozione che ne valorizza il significato di documento del tempo e dell’ambiente in cui è sorta. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

Definizione di “unitarietà di un’area archeologica” - distanza dell’area - differenza tra vincolo diretto e vincolo indiretto. L’unitarietà di un’area archeologica deriva dalla vastità del complesso insistente su di essa e dalla unitarietà del “praedium”, documentata dalle fonti antiche, oltre che dalle modalità, storicamente stratificatesi, di fruizione estetica e visiva dei beni del complesso archeologico medesimo. Il mero dato della distanza dell’area (in specie, dalla via Labicana, per quanto rilevato nel ricorso, è variabile da 350 a 650 mt. Circa) non assume valore significativo e decisivo, in sé considerato, dovendosi valutare se le condizioni di prospettiva, luce, decoro del complesso archeologico rendano necessaria l’imposizione di un vincolo indiretto. La giurisprudenza citata dai ricorrenti è riferibile al potere di imposizione del vincolo diretto e non al diverso potere di imposizione del vincolo indiretto (che non potrebbe mai essere concepito se fosse condizionato dalla esistenza in loco di preesistenze archeologiche). Ed allora in relazione al potere di imposizione del vincolo diretto occorre valutare “il carattere unitario del complesso”, quale risulta “dall’affioramento di resti murari e di materiale mobile, dall’omogeneità delle strutture, dalla dimensione e dalla continuità degli allineamenti murari tra i singoli settori scavati e visibili o ricoperti e parzialmente sommersi (CdS VI 6/10/1986 n.758); con valutazione specifica dei “singoli reperti e della loro ubicazione al fine di dimostrare che essi costituiscono un complesso inscindibile” (CdS VI n.923/1983), essendo illegittima ad es. l’imposizione del vincolo su un intera collina ove non risulti valutata la notevole dimensione ed eterogeneità del comprensorio in questione (CdS Ad. Plen. n.6/1973). Non può dubitarsi che il vincolo diretto può risultare sproporzionato ove non sia stata indicata specificamente l’ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali di una vasta area vincolata (CdS n.322/1982), potendosi ritenere legittima l’imposizione del vincolo diretto esteso ad un’area solo quando i ruderi costituiscano un complesso inscindibile (Csi n.400/1989). Tutto ciò - in ogni caso - non può rilevare quando si tratta di valutare la legittimità dell’imposizione di un vincolo indiretto che può fondarsi su una mera situazione di adiacenza o vicinanza del bene indirettamente vincolato all’immobile da tutelare. Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di ricorso costruito sul presupposto che il vincolo in esame sia un vincolo diretto, mentre si tratta - in parte qua - di un vincolo indiretto.  Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

L’unità dell’area di un vincolo che mira a prescrivere distanze - provvedimento impositivo di un limite legale della proprietà non soggetto ad indennizzo - la discrezionalità dell’amministrazione è una discrezionalità tecnica.  L’unità dell’area è comprovata da attività di rilevazione anche molto risalenti nel tempo (evidenziate nella relazione allegata al decreto) nonché dalla fonti storiche che descrivono il predio imperiale (depositate in atti), sicché si deve ritenere che l’area sia di enorme interesse storico-archeologico, anche per la parte non interessata direttamente da reperti in ragione di elementi storico-induttivi (Tar Lazio II 18/3/1983 n.247) di identità dell’antico praedium imperiale, pure valorizzabili nel giudizio tecnico che costituisce la necessaria premessa all’imposizione del vincolo. Si tratta di un vincolo che mira a prescrivere distanze, misure ed altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità delle cose immobili soggette alla tutela artistica e storica, che ne sia danneggiata la prospettiva o la luce, o che ne siano alterate le condizioni di ambiente e decoro (art.21 l. n.1089/1939). Si tratta di un provvedimento impositivo di un limite legale della proprietà, costituzionalmente legittimo in ragione della funzione sociale della proprietà, non soggetto ad indennizzo. La discrezionalità dell’amministrazione è una discrezionalità tecnica, soggetta a sindacato debole sulla discrezionalità tecnica, ossia censurabile solo per macroscopiche incongruenze ed illogicità (CdS VI 24/8/1992 n.615; CdS VI 4/11/1996 n.1437), per l'elasticità e l'indeterminatezza dei parametri tecnici delle discipline storiche ed archeologiche, rilevanti ai fini della valutazione e del giudizio dell’attinenza del bene con l’interesse pubblico specifico (tutela dei beni storico-archeologici) demandato alla cura dell’amministrazione e consistente nella conservazione del bene culturale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566  (vedi: sentenza per esteso)

La nozione di “bene culturale” - la legittimità del provvedimento amministrativo che impone un vincolo indiretto. La nozione di bene culturale passa da un’accezione di tipo materialistico, legata alle cose quae tangi possunt ad una diversa connotazione, di tipo immateriale, che vede nel bene un valore espressivo di un ambiente storico e sociale. In questo quadro conta il valore di civiltà inerente un bene od un compendio al fine dell’affermazione di un'esigenza conservativa, mentre la proiezione del bene nell’attività di esecuzione di ricerche archeologiche riguarda solo i beni sottoposti a vincolo diretto. Si deve quindi ritenere che per la legittimità del provvedimento amministrativo che impone un vincolo indiretto non occorra accertare dirette presenze archeologiche nell’area, pure considerata parte di un compendio considerabile un unitario bene culturale sulla base di fonti storiche, né occorre far precedere l’atto impositivo del vincolo da indagini ed esplorazioni ai sensi dell’art.43 della legge fondamentale n.1089 del 1939. Si devono invece indicare con precisione il bene oggetto del vincolo, le cose in funzione delle quali il vincolo indiretto è imposto, il rapporto di complementarietà fra le misure limitative ed il fine pubblico perseguito, le ragioni di adozione della misura limitativa. Tanto esclude che il vincolo indiretto debba trovare il suo presupposto in reperti insistenti sull’area e già venuti alla luce, essendo un vincolo su bene contiguo al bene culturale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

Vincolo di inedificabilità assoluta - motivazione - il nulla-osta della Sovrintendenza - diritto di proprietà - vincolo posto essenzialmente a tutela della continuità storica e dell’integrità e del decoro ambientale di un comprensorio. La scelta dell’inedificabilità assoluta è ben motivata quando siano indicate le finalità che si è inteso perseguire e le circostanze che, avuto riguardo alla natura del bene ed alla sua ubicazione hanno condotto al tipo di scelta adottata (CdS VI 10/2/1999 n.122). Nella specie l’importanza del comprensorio giustifica la misura adottata, mentre va rimarcato che sono possibili utilizzazioni a fini economici dell’area diverse dall’edificazione, previo nulla-osta della Sovrintendenza. Né può rilevare la circostanza di episodi di edificazione ai margini dell’ara in questione, poiché la finalità del vincolo indiretto è la necessità di evitare ulteriori compromissioni del bene culturale tutelato a seguito di un uso incontrollato del diritto di proprietà (CdS VI 9/4/1998 n.460). Del pari non ha rilievo l’esistenza di vegetazione o di qualche impianto che non diminuiscono certo in modo significativo la possibilità della visuale (CdS VI 7/10/1987 n.806). Nella specie poi deve escludersi che il vincolo sia stato posto per assicurare uno spettacolo di godimento panoramico del bene (CdS VI 18/3/1998 n.291; CdS VI 9/4/1998 n.460), trattandosi di vincolo posto essenzialmente a tutela della continuità storica e dell’integrità e del decoro ambientale di un comprensorio - coincidente con l’antico praedium imperiale costantiniano - del massimo interesse storico-archeologico. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566  (vedi: sentenza per esteso)

L’imposizione del vincolo su immobili adiacenti ad un complesso monumentale o alle cose vicine all’oggetto tutelato o agli immobili anche non contigui - la motivazione con riferimento all’ampiezza della fascia di rispetto. La giurisprudenza ammette l’imposizione del vincolo su immobili adiacenti ad un complesso monumentale (CdS IV n.707/1966), o alle cose vicine all’oggetto tutelato (CdS VI n.188/63), agli immobili anche non contigui, ma pur sempre vicini, i quanto separati da una via pubblica o da un giardino (CdS IV n.711/66). Si ricorda la sentenza del Tar del Lazio II n.1376/1985 che ha ritenuto illegittimo un vincolo indiretto di inedificabilità assoluta nella fascia di rispetto profonda mt. 21 che circonda Villa Torlonia in Roma, si rileva l’abnormità del vincolo posto ad una distanza davvero notevole dal complesso archeologico. Si sostanzia la censura sotto altro profilo per difetto di motivazione, fondandola sull’orientamento interpretativo della giurisprudenza teso a richiedere un’apposita congrua motivazione con riferimento all’ampiezza della fascia di rispetto, ai valori ed interessi secondari tutelati, alla giustificazione del sacrificio del diritto del proprietario (CdS VI n.26/1984), che va tenuto in considerazione specie quando si tratti di vietare del tutto l’edificazione (CDS VI n.301/1984); si sottolinea, in ultimo la necessità di una motivazione autonoma rispetto a quella che sorregge l’imposizione del vincolo diretto (CdS VI n.353/1985; CdS VI n.619/1989; CDS VI n.806/1987; CdS VI n.706/1988). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

La legittimità del vincolo - probabilità di rinvenimento di reperti di significativo valore - motivato giudizio tecnico-discrezionale - fonti storiche. Secondo un giurisprudenziale consolidato è sufficiente, per la legittimità del vincolo, la probabilità di rinvenimento di reperti di significativo valore, valutata secondo un motivato giudizio tecnico-discrezionale (CdS VI 19/2/1992 n.674), spettando all’amministrazione l’attenta valutazione di tutte le circostanze di fatto esistenti in loco, nonché delle diverse intensità e modalità della presenza dei beni archeologici in un determinato territorio da sottoporre a vincolo. In particolare si è riconosciuta ampia discrezionalità all’amministrazione nella valutazione della presunta disseminazione dei reperti archeologici e, in particolare, dei ruderi, anche se non ancora portati alla luce, poiché l’imposizione del vincolo non richiede che i reperti siano stati già trovati o portati alla luce (CdS VI 18/11/1991 n.874). Deve quindi ritenersi che il vincolo dell’antico ed importante predio imperiale - documentato dalle fonti storiche - sia legittimo con riferimento alle preesistenze sotterranee esistenti in loco, anche quale vincolo diretto, se non fosse che l’amministrazione ha imposto un vincolo indiretto sulle aree degli appellati. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566  (vedi: sentenza per esteso)

Il nulla osta paesaggistico non produce alcuna espansione dello ius edificandi - l’interesse ambientale. La sola autorizzazione regionale o sub-regionale ex art.7 della legge n.1497/1939 non produce alcuna espansione dello ius edificandi, ma determina una semplice aspettativa all’esito dell’ulteriore fase procedimentale di competenza dell’amministrazione statale e sempre che l’intervento edilizio non venga ritenuto contrario all’interesse ambientale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

E’ illegittima la sostanziale inversione procedimentale da parte del Comune che ha rilasciato un’autorizzazione a fronte di una richiesta di sanatoria - la valutazione della compatibilità ambientale delle opere ancora da realizzare - il giusto procedimento - la sequenza procedimentale - tutela del vincolo, il parere è obbligatorio e vincolante. E’ illegittima la sostanziale inversione procedimentale, poiché, a fronte di una richiesta di sanatoria, ai sensi della legge n.47/1985 - in ordine alla quale doveva essere espresso un parere ai sensi e per gli effetti dell’art.32 della legge n.47/1985 - il Comune ha rilasciato un’autorizzazione, con atto formalmente emanato ai sensi dell’art.7 della legge n.1497/1939 che riguarda invece la valutazione della compatibilità ambientale delle opere ancora da realizzare. Già questo profilo si traduce in illegittimità per non avere il comune rispettato il giusto procedimento ed avere reso un provvedimento di definitiva valutazione della compatibilità ambientale quando invece l’amministrazione comunale era tenuta a rispettare la sequenza procedimentale di cui all’art.32 della legge n.47/1985 che prevede l’emissione di un parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, parere che viene ritenuto obbligatorio e vincolante (C. Stato, sez. VI, 19/7/1996, n.968). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Legittimità del potere di annullare l’autorizzazione paesaggistica in via preventiva - la mutazione dello stato dei luoghi - funzione del termine perentorio. Il Consiglio (Ad. Plen. n.9/2001) ha ritenuto che “entro il termine perentorio, il Ministero può pronunciarsi re adhuc integra quando ancora non è consentita la mutazione dello stato dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 3/11/1999 n.1693; VI 20/11/1998 n.1581; CdS VI 6/10/1998 n.1348), perché non avrebbe senso attribuirgli il potere di annullare l’autorizzazione, quando i luoghi fossero già modificati (CdS VI 13/2/2001). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Autorizzazione paesistica - la nozione di merito - discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica - il vincolo procedimentale - l’azione obiettivata e vincolata della pubblica amministrazione - incidenza del sindacato giudiziario e delle autorità preposte ai controlli o titolari - potere di riesame - gli influssi comunitari tendenti alla riduzione dell’area delle valutazioni amministrative insindacabili - vizi sintomatici dell’eccesso di potere. La nozione di merito non vive nel vuoto ed è condizionata dal modo in cui il diritto vivente intende la discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica (si pensi a quanto deciso da CdS IV 9/4/1999 n.601), il vincolo procedimentale, l’agire obiettivato e vincolato della pubblica amministrazione, ed in ultimo dall’incidenza del sindacato giudiziario e delle autorità preposte ai controlli o titolari - come nella specie - di un potere di riesame. Si deve registrare, in questa ottica, anche per gli influssi comunitari, una tendenza alla riduzione dell’area delle valutazioni amministrative insindacabili, per effetto del controllo di proporzionalità, del passaggio di parte del merito alla discrezionalità tecnica, per la costante esigenza di verifica della legalità sostanziale delle attività amministrative mediante l’usuale tecnica del sindacato sui vizi sintomatici dell’eccesso di potere. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

La funzione del vincolo paesaggistico - l’accertamento di compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi. Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

La funzione del vincolo paesaggistico - l’autorizzazione - insufficienza della motivazione - l’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo - l’integrità di valore dei luoghi. L’autorizzazione paesaggistica non è una sorta di deroga al vincolo ma è lo strumento per una corretta gestione del vincolo medesimo, (in specie è illegittima l’autorizzazione che causa l’alterazione di tratti paesaggistici della località protetta che sono la ragione stessa per la quale la località è sottoposta a tutela ai sensi della normativa di tutela paesaggistica attualmente vigente). Non v’è dubbio sulla circostanza della riconduzione all’area della legittimità del vizio d’omessa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante o dell’insufficienza della motivazione. Il caso più dubbio è quello dell’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo. Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Autorizzazione paesistica - la modifica dello stato dei luoghi quando le determinazioni del Ministero siano divenute inoppugnabili - termine. Si è detto in proposito che, salva la necessità degli ulteriori prescritti titoli abilitativi, l’ordinamento consente la modifica dello stato dei luoghi quando le determinazioni del Ministero siano divenute inoppugnabili e, in particolare, quando il Ministero, con atto espresso, ritenga di non annullare l’autorizzazione paesistica, ovvero lasci decorrere il termine di sessanta giorni senza disporne l’annullamento (Cass. pen. Sez.VI 26/5-7/7/1999 n.8631; Cass. pen. Sez.III 9/2/1998 Svara; Cons. Stato VI 13/2/2001 n.685; CdS VI 20/10/2000 n.5651; CdS V 15/9/1997 n.963). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561  (vedi: sentenza per esteso)

Abuso commesso rispetto ai valori paesistici tutelati - legittimità del provvedimento ministeriale di annullamento il quale ha espressamente fatto riferimento al difetto di motivazione del provvedimento comunale - E’ legittimo il provvedimento ministeriale di annullamento il quale ha espressamente fatto riferimento al difetto di motivazione del provvedimento comunale, ritenendo non sufficiente la valutazione di compatibilità attuale dell’abuso commesso rispetto ai valori paesistici tutelati, in quanto l’autorità competente non ha tenuto conto del fatto che l’intervento abusivo, privo di qualità ambientali, nonostante le correzioni apportate dalla CECI, contrasta con i caratteri propri dell’edilizia del luogo, comportando il degrado del sito di notevole valore ambientale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

L’atto di annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico - ius receptum - “autorizzazione” complessa fattispecie sui generis - il termine di sessanta giorni. E’ ius receptum nella più recente giurisprudenza amministrativa il carattere non recettizio dell’atto di annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico (contra CdS Ad. Plen. n.8/1980, richiamata dall’appellante ma riferita all’annullamento regionale, ex art.27 della legge urbanistica, della licenza edilizia). Nello schema normativo della tutela paesaggistica predisposta dall'art.82 d.p.r. n.616 del 1977, l'intervento ministeriale di annullamento dell'autorizzazione regionale rilasciata ai sensi dell'art.7 l. n.1497 del 1939 costituisce un elemento costitutivo, sia pure in termini negativi e operante nella ridotta sfera della verifica della legittimità, di una complessa fattispecie autorizzatoria sui generis, nell'ambito della quale l'autorizzazione regionale (o sub regionale) è un elemento essenziale, ma non esclusivo, al fine di rimuovere gli ostacoli giuridici per il concreto esercizio dell'attività edilizia nell'ambito delle zone sottoposte a vincoli; pertanto il decorso del termine di sessanta giorni per l'esercizio del potere di annullamento, senza che alcun provvedimento sia stato adottato, vale a rendere definitivamente operativa l'autorizzazione, già di per sé efficace, ed ultronea qualunque pronuncia tardiva del ministro: ciò dimostra che la causa ultima della caducazione dell'autorizzazione regionale (o sub regionale) deve essere rinvenuta direttamente nella norma, la quale prevede il potere di annullamento e ne configura l'esercizio come produttivo di per sé di effetti giuridici, a prescindere dalla partecipazione all'ente interessato degli esiti dell'esercizio di tale potere, con la conseguenza che il provvedimento ministeriale di annullamento non ha natura di atto recettizio (C. Stato, sez.VI, 19/7/1996, n.968; in senso analogo CdS VI n.421/2000; CdS Sez.II 4/6/1997 n.1249/97; CdS Sez.II 10/9/1997 n.468/1997 per una completa recente ricostruzione CdS Ad. Plen. n.9/2001). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

E’ legittimo l’atto di annullamento del nulla osta paesaggistico per difformità dell’istruttoria dallo schema legale e da carenze obiettive dell’attività procedimentale del comune - l’obbligo di motivazione. La Soprintendenza non può ritenere l’esistenza di un’autorizzazione (illegittima) in deroga al vincolo, solo sovrapponendo il proprio giudizio estetico e tecnico al giudizio dell’autorità comunale o regionale, ma deve evidenziare carenze dell’attività procedimentale che costituiscano indice dello sviamento. Nel caso di specie il provvedimento impugnato ben sottolinea la superficialità dell’atto amministrativo di assenso annullato, evidenziando che l’autorità locale non ha tenuto conto della necessità di un parere obbligatorio, non ha preso le mosse dai valori paesistici tutelati, non ha dato il giusto peso all’assenza di “qualità ambientale” del manufatto realizzato in zona vincolata, così decampando dalla valutazione di compatibilità per assentire un bene considerato compatibile solo perché di piccole dimensioni o ben mimetizzato nella vegetazione. In sostanza la Soprintendenza prende le mosse da una difformità dell’istruttoria dallo schema legale e da carenze obiettive dell’attività procedimentale del comune, per giungere alla conclusione che l’atto di assenso non risponde alla causa tipica del potere di cui all’art.7 della legge n.1497/1939. Se ne deve inferire che l’amministrazione statale si è mossa nell’ambito del suo potere di riesame per motivi di legittimità. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

I provvedimenti positivi (o negativi) di nulla-osta paesaggistico devono essere sufficientemente motivati - il difetto di motivazione rende illegittimo l’atto - l’inversione procedimentale - l’annullamento ministeriale. I provvedimenti positivi di nulla-osta paesaggistico devono essere motivati ed il punto appare di indubbia esattezza anche alla luce dell’art.3 della legge n.241/1990. Quanto alla sufficienza della motivazione dell’atto di annullamento, di cui si assume l’illegittimità per difetto di motivazione, si deve rilevare che il Ministero ha perfettamente evidenziato le ragioni per le quali esercitava il potere di annullamento, ossia come già detto, l’inversione procedimentale (o violazione del principio di giusto procedimento), il difetto di motivazione del nulla-osta paesaggistico ed il giudizio sostanzialmente derogatorio del vincolo reso dal Comune. Ciascuno di questi vizi del nulla osta è già in grado di reggere autonomamente l’annullamento ministeriale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Lo sconfinamento nel merito da parte del Ministero (o Soprintendenza) - irrilevanza della circostanza se i vizi rilevati sussistono - potere di annullamento. Lo sconfinamento nel merito da parte del Ministero (o, attualmente, della Soprintendenza) può avvenire sotto un duplice riguardo: 1) perché l’amministrazione statale volutamente e direttamente mostri, in una considerazione astratta dell’atto di annullamento, di aver voluto sostituire il proprio apprezzamento di merito al potere dell’autorità competente alla gestione del vincolo; 2) perché i vizi di legittimità rilevati nel provvedimento di annullamento si rivelano, ad una contestazione in sede contenziosa insussistenti e, quindi, il potere esercitato dall’amministrazione statale si risolva in concreto in una mera prospettazione di un giudizio estetico difforme da quello dell’autorità regionale o sub-regionale. In sostanza o i vizi rilevati dal Ministro sussistono ed allora anche se, per altro verso, il provvedimento ministeriale sconfina in valutazioni di merito la circostanza è irrilevante o non sussistono ed allora il provvedimento è censurabile per carenza dei presupposti. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

E’ legittimo il provvedimento di annullamento di autorizzazione per “insufficiente motivazione” - la portata del vulnus arrecato all’area vincolata - la valutazione dell’intervento - dimensioni modeste del fabbricato - è da ritenersi sufficiente l’evidenziazione della carenza dell’atto comunale “insufficientemente motivato”. In sostanza ciò che l’atto ministeriale sottolinea è che non è possibile un giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica che si risolva in una minimizzazione della portata del vulnus arrecato all’area come quando si assegna rilievo alle dimensioni modeste del fabbricato od alla circostanza che esso non è visibile (ben mimetizzato) come se la protezione del bene ambiente si debba risolvere solo nella tutela della fruibilità estetica del paesaggio e non nei suoi valori di effettiva integrità. L’intervento deve essere valutato, non solo per il suo dato dimensionale, al fine di verificare se esso sia o meno compatibile con i valori tutelati dal vincolo o sia causa di degrado (piccolo o grande che sia) del paesaggio. Il vincolo poi nel provvedimento sindacale non è nemmeno descritto, mentre il provvedimento del Ministro ricorda che la zona è tutelata giusta D.M. 22/11/1955 perché “oltre a formare con le bianche case distribuite in pittoresco disordine nell’angusto sbocco della Valle dei Mulini, con i villaggi sparsi sui fianchi di monti che si affacciano sull’ampio golfo di Salerno, con le ville, i giardini, i campielli con ulivi ed agrumi, un quadro naturale di singolare bellezza e nel suo insieme un complesso avente valore estetico e tradizionale, offre dei punti di vista accessibili al pubblico dai quali si godono visuali panoramiche di singolare ed eccezionale bellezza”. Avendo il vincolo tali specifiche motivazioni a suo fondamento, risulta logica e non censurabile la considerazione del provvedimento di annullamento del Ministro che ritiene non sufficiente una motivazione che non considera la necessità di coerenza delle caratteristiche del manufatto abusivo con i caratteri propri dell’edilizia del luogo, limitandosi a valutarne l’entità modesta e la mimetizzazione o l’essenzialità della struttura architettonica che non significa compatibilità con un vincolo imposto anche al fine di tutelare “le bianche case distribuite in pittoresco disordine”. Quindi è condivisibile quanto rilevato dal Tar che ha sostenuto che il nulla-osta avrebbe dovuto esplicitare le ragioni dell’assenza dell’impatto ambientale, non meramente correggendo i grafici e indicando la mimetizzazione del manufatto, ma valutando in modo più approfondito le ragioni di contrasto o armonia dell’intervento abusivo con i caratteri propri dell’edilizia dei luoghi. Né doveva essere il Ministro ad indicare i motivi del contrasto dell’intervento con il vincolo, come asserito dall’appellante nel terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, dovendo invece ritenersi sufficiente l’evidenziazione della carenza dell’atto comunale che non ha spiegato come avrebbe dovuto le ragioni di compatibilità dell’intervento edilizio in raffronto alle ragioni del vincolo. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Lo scopo del vincolo ex D.M. 22/11/1955 - la conservazione della continuità estetica dell’urbanistica locale - quadri panoramici. E’ irrilevante la circostanza per cui nella zona in questione (la zona è tutelata giusta D.M. 22/11/1955) non si presenterebbe alcuna tipologia particolare di edilizia, né insediamenti antichi, né organizzazione agricola, presentandosi come zona rocciosa e periferica del comprensorio comunale, giova rilevare che le asserzioni sono rimaste prive di riscontro probatorio e che comunque esse sono irrilevanti poiché lo scopo del vincolo in esame è chiaramente quello di garantire la conservazione della continuità estetica dell’urbanistica locale , indipendentemente dalle particolari situazioni esistenti in quella od altra delle zone vincolate, oltre che di mantenere intatti dei quadri panoramici. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Difetto di giusto procedimento da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta - illegittimità dell’atto - obbligo del preventivo parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo - il potere autorizzatorio. Difetto di giusto procedimento ossia sul mancato rispetto della normativa di cui all’art.32 della legge n.47/1985 da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta mentre avrebbe dovuto acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo; il comune sembra aver valutato compatibile l’opera abusiva ignorando le caratteristiche essenziali del vincolo e sottolineando aspetti non decisivi ai fini della valutazione di compatibilità in tal modo risolvendo il suo giudizio in un'obiettiva deroga al vincolo, che lo rende illegittimo non solo e non tanto per l’omessa acquisizione del parere del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali ed ambientali richiesto in caso di revoca e modificazione del vincolo (come si rileva singolarmente nell’atto di appello) quanto per il fatto che il potere autorizzatorio ex art.7 della legge n.1497/1939 non è stato esercitato in modo conforme alla sua causa tipica. Né può dirsi che il Ministero avrebbe dovuto rendere il parere mentre ha adottato l’atto di annullamento, infatti a fronte di un atto di nulla-osta non v’era parere da rendere ma solo eventuale annullamento da esercitare. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Permane la preminenza dell’interesse ambientale alla logica del provvedimento di condono - necessità del parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo al fine di consentire l’accoglimento dell’istanza di condono. L’art.32 della legge n.47/1985 mira proprio a garantire la preminenza dell’interesse ambientale alla logica del provvedimento di condono, non prevedendosi altro che un procedimento teso ad acquisire un parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo al fine di consentire l’accoglimento dell’istanza di condono. Dal tenore della norma non è dato desumere alcun favor per la sanatoria, né alcuna posizione recessiva dell’interesse ambientale che si paleserebbe ovviamente, nell’ipotesi (denegata) in cui fosse ricostruibile una tale mens legis, sospetta di incostituzionalità. Pertanto, non può condividersi l’assunto dell’appellante secondo il quale nella normativa del condono edilizio, il legislatore avrebbe teso a conservare il realizzato anche nelle zone vincolate, con l’esclusione di ipotesi tassative ed eccezionali. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

L’esercitabilità del potere di annullamento. Il motivo che mira ad escludere l’esercitabilità del potere di annullamento è stato riproposto senza muovere alcuna critica alla sentenza che merita invece integrale conferma, non essendovi alcuna correlazione diretta fra potere di annullamento ministeriale e vincoli ex legge Galasso dovendosi anzi ritenere che il potere di annullamento sussista ogni volta che viene adottato un atto di autorizzazione ex art.7 della legge n.1479/1939 quale che sia la fonte del vincolo paesaggistico in questione. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

L’atto di annullamento del nulla osta paesaggistico - l’autorizzazione illegittima per sviamento o travisamento - la valutazione comunale non accorta. L’annullamento è giustificato, secondo un consistente orientamento, quando, per la mancata considerazione di un rilevante elemento di fatto, la valutazione di compatibilità si traduca in obiettiva deroga, in un’autorizzazione illegittima per sviamento o travisamento (CdS VI 13/2/2001 n.685; CdS II 10/1/2001 n.1614; CdS VI 8/8/2000 n.4345; CdS VI 6/7/2000 n.3793; CdS II 31/3/1999 n.268; CdS IV 4/12/1998 n.1734; CdS VI 9/4/1998 n.460; CdS VI 17/4/1997 n.609; CdS VI 19/7/1996 n.968). In sostanza ciò che si può intendere come obiettiva deroga del vincolo, non rientrante nella causa tipica del potere di autorizzazione ex art.7 della legge n.1497/1939, è la valutazione comunale non accorta che non prende le mosse dal vincolo per effettuare un giudizio di compatibilità, ma si sovrappone al vincolo medesimo, stabilendo una deroga o eccezione non consentita che ne oblitera la ratio, con ciò provocando un’alterazione degli equilibri ambientali e paesaggistici che il vincolo mira a conservare e proteggere. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

La piena legittimità dell’annullamento intervenuto nei sessanta giorni - provvedimento motivato - la comunicazione al privato od all’autorità che ha reso il nulla-osta. Ne deriva la piena legittimità dell’annullamento intervenuto nei sessanta giorni in modo conforme al disposto normativo che recita: “il Ministro…può, in ogni caso, annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione.” La norma riferisce lo spatium deliberandi alla adozione del provvedimento e non alla sua comunicazione al privato od all’autorità che ha reso il nulla-osta. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

L'annullamento o la revoca del vincolo imposto con D. M. 10 luglio 1962 - l’amministrazione, in via generale, non ha alcun obbligo di riesaminare i propri atti divenuti inoppugnabili, una simile richiesta deve, comunque, essere diretta all’Autorità che ha emesso l’atto. Premesso che, in via generale, l’amministrazione non ha alcun obbligo di riesaminare i propri atti divenuti inoppugnabili, a maggior ragione allorché sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla data di definitività del provvedimento, di cui si richiede il riesame. (In punto di fatto, non è in contestazione che il D.M. 10 luglio 1962, di cui il Consorzio ha chiesto l’annullamento o la revoca in sede di riesame, non sia stato, a suo tempo, impugnato. Rileva, peraltro, che la richiesta di riesame sia stata inoltrata il 24 maggio 1993, ovvero a 31 anni dal decreto impositivo ed a 26 anni dalla citata decisione di questa Sezione n. 438 del 1977.) Inoltre, una simile richiesta doveva essere diretta all’Autorità che ha emesso l’atto, nella specie, al Ministero per i beni culturali e ambientali e non alla Soprintendenza periferica. Nel caso in esame, comunque, la nota della Soprintendenza n. 3853 del 10 dicembre 1993 è meramente confermativa, in quanto non è preceduta da una rivalutazione del vincolo, di cui era chiesto l’annullamento o la revoca, mediante ulteriore o nuova motivazione del provvedimento. Né può assumere un qualche rilievo la circostanza che la nota stessa sia stata preceduta da un sopralluogo, considerato che, di seguito, non è stata svolta alcuna istruttoria in punto di fatto e di diritto, in ordine al chiesto riesame. Pertanto, il ricorso in primo grado era inammissibile, per carenza d’interesse. Per quanto precede, il ricorso in epigrafe specificato va accolto, con riforma della sentenza appellata. Consiglio di Stato Sezione VI, 27 agosto 2002, n. 4302. (vedi: sentenza per esteso)

I diversi provvedimenti impositivi del vincolo possono anche essere adottati contemporaneamente in un unico atto versato in un unico documento, senza che ciò escluda l’autonomia delle relative motivazioni a sostegno dei diversi vincoli. Non ha rilievo la circostanza che il provvedimento impugnato non contenga solamente l’imposizione di vincolo indiretto sul comprensorio, riguardando anche il vincolo diretto (come da planimetria allegata al decreto e facente parte integrante di esso) infatti i diversi provvedimenti impositivi del vincolo possono anche essere adottati contemporaneamente in un unico atto versato in un unico documento, senza che ciò escluda l’autonomia delle relative motivazioni a sostegno dei diversi vincoli. Deve quindi ritenersi che sia nella specie irrilevante la circostanza dell’adozione simultanea di più vincoli con un unico provvedimento, stante la ricchezza del percorso motivazionale citato, in parte riferibile al vincolo indiretto in modo autonomo ed esaustivo. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

La continuità dell’area - continuità stilistica o estetica fra le aree - della continuità c.d. storica fra monumento ed insediamenti circostanti - non rileva il mero rapporto di contiguità fisica dei terreni ai fini dell’inclusione dei terreni nell’area vincolata - dequotazione dell’importanza del requisito della distanza. La continuità dell’area non deve essere intesa in senso solo fisico, né richiede necessariamente una continuità stilistica o estetica fra le aree (data ad es. dalla presenza, pure esistente nella specie, di ruderi quali quelli inglobati nel Casale Ambrogetti, nella fascia di rispetto) ma può essere posta anche a tutela della continuità c.d. storica fra monumento ed insediamenti circostanti (rilevabile dalle fonti e dall’iconografia riscontrabile nelle varie epoche, per opera degli artisti che hanno dedicato all’ambiente vincolato l’attenzione espressiva delle esigenze dello spirito che il vincolo è volto a tutelare) (CdS VI 21/4/1999 n.493); proprio nel caso della vasta porzione di territorio, di interesse paesistico e culturale, qualificabile comprensorio non rileva il mero rapporto di contiguità fisica dei terreni ai fini dell’inclusione dei terreni nell’area vincolata (CdS VI 14/10/1998 n.1391). Tale irrilevanza del dato fisico deve comportare una dequotazione dell’importanza del requisito della distanza che può essere indice di sproporzione del vincolo solo quando il fondo si trova in lontananza tale dal bene considerato da fare considerare del tutto irragionevole l’imposizione del vincolo. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

La tutela delle condizioni di prospettiva e luce, l’integrità del contesto - la disciplina urbanistica - il sacrificio del privato. Volontà di tutelare le condizioni di prospettiva e luce, l’integrità del contesto, il mantenimento di speciali punti di vista da una distanza non irragionevole (comunque inferiore al chilometro per un complesso di straordinaria importanza), esigenza di conservazione dell’unità storica e stilistica del comprensorio e decoro ambientale (CdS VI 7/12/1994 n.1745; CdS VI 9/21989 n.102; Csi 24/12/1994 n.475; CdS VI 2/3/1999 n.233; Csi 7/4/1999 n.147; Cass. pen. III 3/4/1995 n.9860) sono le ragioni fondanti il vincolo in discussione, quali emergono dalla documentazione in atti, a fronte delle quali recede l'eventuale destinazione urbanistica dell’area che non necessita di espressa considerazione nel provvedimento di vincolo diretto alla tutela del bene culturale indipendentemente dalla disciplina urbanistica del sito. Né si dica che la considerazione della disciplina urbanistica non può mancare in quanto si tratta di effettuare un bilanciamento fra interesse pubblico ed interesse privato, nell’individuazione delle misure idonee a salvaguardare il bene. Infatti è vero che il sacrificio del privato deve essere orientato al minimo (CdS VI 25/3/1999 n.330), ma ciò in rapporto alle esigenze di tutela del bene culturale, nel senso che nel provvedimento deve essere stabilita una disciplina vincolistica che sappia graduare le misure adottate in rapporto all’importanza del bene oggetto della tutela, alla sua natura, alle sue caratteristiche, alla sua ubicazione (CdS VI 7/10/1987 n.806). In proposito si è rilevato che, ove la specificità della situazione di fatto e la peculiarità del contesto in cui si inserisce si presentino in termini esemplari, anche una motivazione sintetica è idonea a giustificare la scelta dell’amministrazione (CdS VI 21/4/1999 n.482) e che il vincolo può variare fino a consistere nell’inedificabilità assoluta non avendo il provvedimento un contenuto prescrittivo tipico (CdS VI 14/10/1999 n.1379) per cui può comprendere qualsiasi prescrizione idonea allo scopo (CdS VI 25/3/1999 n.330). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566  (vedi: sentenza per esteso)

Fascia di rispetto - principio di proporzionalità. La mera circostanza della distanza fisica non può avere valore significativo di una violazione del principio di proporzionalità, non esistendo un criterio assoluto per la determinazione dell’ampiezza e della lunghezza della fascia di rispetto attorno ad una zona monumentale, ma dovendosi fare riferimento alla situazione storicamente determinatasi relativa alle condizioni della prospettiva e della visuale di un monumento dalla aperta campagna. L’imposizione della visuale poi garantisce non solo l’integrità e la visibilità del monumento ma anche l’integrità dell’ambiente circostante ed il decoro. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566 (vedi: sentenza per esteso)

Il termine perentorio di sessanta giorni si riferisce solo all’adozione del provvedimento ministeriale di annullamento di nulla osta paesistico - la legittimità delle autorizzazioni a costruire rilasciate dalle Regioni - dell’iter procedimentale relativo al controllo ministeriale. Costituisce orientamento consolidato di questa Sezione (cfr., di recente, sentenza 4 settembre 2991, n. 4639), fatto proprio anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr., sentenza 22 luglio 1999, n. 20), quello secondo cui il termine perentorio di sessanta giorni in questione si riferisce solo all’adozione del provvedimento ministeriale di annullamento di nulla osta paesistico, e non anche alla successiva fase di comunicazione o notificazione. Più precisamente, il procedimento col quale il Ministero per i beni culturali e ambientali controlla la legittimità delle autorizzazioni a costruire rilasciate dalle Regioni ai sensi dell’art. 7 L. 29 giugno 1939 n. 1497 si conclude o con l’inutile scadenza del termine all’uopo previsto ovvero con l’emanazione nel suddetto termine del decreto di annullamento; pertanto, è irrilevante che la successiva notifica dell’atto di annullamento al privato titolare dell’autorizzazione regionale avvenga dopo la scadenza del detto termine, trattandosi di incombente del tutto esterno rispetto al perfezionamento dell’iter procedimentale relativo al controllo ministeriale. Consiglio di Stato Sezione VI, 07 agosto 2002, n. 4129.

Obbligo di motivazione circostanziata del provvedimento statale di annullamento dell’autorizzazione paesistica - principio della leale collaborazione - rilascio della concessione edilizia in sanatoria a condizione.  La giurisprudenza ha più volte affermato che il provvedimento statale di annullamento dell’autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interesse in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesistici, ma deve basarsi sull’esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall’autorità che ha emanato l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola-cardine della leale collaborazione o con gli altri principi sulla legittimità dell’azione amministrativa (cfr., di recente, C.d.S., A.P., 14.12.2001, n. 9). Nel caso di specie, il decreto impugnato ha formulato un proprio giudizio sulla non compatibilità dell’intervento con le esigenze di salvaguardia dell’area vincolata, con alcune osservazioni sul pregiudizio ambientale, che, tuttavia, non hanno evidenziato uno specifico vizio dell’autorizzazione regionale, ove si consideri che quest’ultima aveva concretamente dato conto delle ragioni favorevoli al rilascio della concessione edilizia in sanatoria richiesta dall’appellato e alla compatibilità della concessione stessa con i valori ambientali (“l’opera realizzata, ubicata in una zona già interessata dalla presenza di altre costruzioni, in relazione alla tipologia adottata, non costituisce alterazione dell’ambiente circostante, a condizione che il lotto interessato dall’intervento abusivo sia ulteriormente schermato da una cortina di alberi ad alto fusto”). Consiglio di Stato Sezione VI, 07 agosto 2002, n. 4129.

Beni Culturali - Zone di interesse archeologico - Protezione delle bellezze naturali - In genere - Zona di interesse archeologico - Individuazione ai sensi della legge n. 1089/1939 - Necessità - Esclusione - Fattispecie:"tratturi" - Artt. 146, 163 Cost. D. LG. n. 490/1999 - Art. 1 D. L. n. 312/1985 - L. n. 431/1985. In materia paesaggistica la individuazione di una zona di interesse archeologico, ai sensi dell'art. 1 lett m) della legge 8 agosto 1985 n.431, ora sostituito dall'art. 146 lett m) del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, non presuppone necessariamente l'avvenuto accertamento dell'interesse archeologico ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089 o di altre leggi speciali, potendosi riconoscere tale interesse anche per il suo valore intrinseco. Conseguentemente vanno sottoposti alla disciplina di cui al citato decreto n. 490 i "tratturi", che costituiscono la diretta sopravvivenza di strade formatesi in epoca protostorica e che hanno pertanto la duplice valenza di strade destinate al passaggio del bestiame e di testimonianza di passate civilta'. Vedi anche: C. Cass. 1998 n.2146. Pres. Savignano G - Est.. Gentile M - Imp. P.M. in proc. Capuzzi C - PM. (Parz. Diff.) D'Ambrosio L..CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 06/08/2002 (UD.21/06/2002) RV. 222109 sentenza n. 29099 (vedi: sentenza per esteso)

Edilizia e urbanistica - Strade “Tratturi” - Duplice valenza. I "Tratturi", secondo quanto ribadito nel DM 15/06/76, costituiscono la diretta sopravvivenza di strade formatesi in epoca protostorica in relazione a forme di produzione fondata sulla pastorizia; tali strade sono perdurate nell'uso ininterrotto, attraverso ogni successivo svolgimento storico, come risultante dalle testimonianze archeologiche di insediamenti preromani, di centri urbani di epoca romana, di abitati longobardi e normanni ed infine dalla presenza di centri tuttora esistenti, i quali fino ad epoca recentissima hanno tratto le fondamentali risorse economiche dalla transumanza. I "tratturi", pertanto, hanno una duplice valenza e ossia quali strade destinate al passaggio del bestiame (L. 20/12/1908 n. 746 e successive integrazioni) e quale vestigia e tracce di passate civilta'. Pres. Savignano G - Est.. Gentile M - Imp. P.M. in proc. Capuzzi C - PM. (Parz. Diff.) D'Ambrosio L.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 06/08/2002 (UD.21/06/2002), Sentenza n. 29099 (vedi: sentenza per esteso)

Beni culturali e ambientali - Individuazione di una zona di interesse archeologico - Art. 1 lett. m, L. 431/85 - Art. 21 L. 1089/39. La individuazione di una zona di interesse archeologico, ai sensi dell'art. 1 lett. m della L. 431/85, non presuppone necessariamente l'avvenuto accertamento dell'interesse archeologico ai sensi della L. 1089/1939 o di leggi speciali. Dette ultime normative si riferiscono a cose e non a zone, imponendo un vincolo indiretto al terreno circostante ex art. 21 L. 1089/39. Le zone di interesse archeologico, come indicate nell'art. 1 lett. m L. 431/85, invece, possono essere individuate per il valore intrinseco, sia da una norma di carattere generale (statale lo regionale), sia da strumenti urbanistici previsti dalla legge regionale (vedi sul punto Cass. Sez. 3° Sent. n. 1066 del 12/05/99 (ud 30/03/99) ricorrente Cattapan; contra Cass. Sez. 3^ Sent. n. 2786 del 07/08/96 Rao. rv 205796). Pres. Savignano G - Est.. Gentile M - Imp. P.M. in proc. Capuzzi C - PM. (Parz. Diff.) D'Ambrosio L.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 06/08/2002 (UD.21/06/2002), Sentenza n. 29099 (vedi: sentenza per esteso)

Beni culturali e ambientali - Individuazione zone di interesse archeologico - art. 1 lett. m, L. 431/85 - Artt. 163 e 146 lett m), d.l.vo n.490/1999 - Art. 21 L. 1089/39 - Fattispecie: "Tratturi". In materia paesaggistica la individuazione di una zona di interesse archeologico, ai sensi dell'art. 1 lett m) della legge 8 agosto 1985 n.431, ora sostituito dall'art. 146 lett m) del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, non presuppone necessariamente l'avvenuto accertamento dell'interesse archeologico ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089 o di altre leggi speciali, potendosi riconoscere tale interesse anche per il suo valore intrinseco. Conseguentemente vanno sottoposti alla disciplina di cui al citato decreto n. 490 i "tratturi", che costituiscono la diretta sopravvivenza di strade formatesi in epoca protostorica e che hanno pertanto la duplice valenza di strade destinate al passaggio del bestiame e di testimonianza di passate civiltà. Pres. Savignano G - Est.. Gentile M - Imp. P.M. in proc. Capuzzi C - PM. (Parz. Diff.) D'Ambrosio L.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 06/08/2002 (UD.21/06/2002), Sentenza n. 29099 (vedi: sentenza per esteso)

Vincolo paesaggistico - non è consentito rivolgersi alla Corte di giustizia per ottenerne l'interpretazione di una norma del Trattato. Il vincolo paesaggistico ha generalmente l'effetto di determinare un regime di inedificabilità relativa, che comporta l'assoggettamento alla preventiva delibazione dell'autorità proposta alla tutela del bene protetto, di ogni progetto concernente la trasformazione e l'uso del bene (artt. 149 e 151 d. lgs. 29.10.1999 n. 490). Ciò premesso, evidenzia che non è consentito rivolgersi alla Corte di giustizia per ottenerne l'interpretazione di una norma del Trattato, ai sensi dell'art. 234 (ex 177) del Trattato stesso. Cassazione civile, Sezione I, 19 luglio 2002, n. 10542 (vedi: sentenza per esteso)

Vincoli di inedificabilità - conformità della disciplina dell'uso del territorio - vincoli conformativi della proprietà non sono suscettibili di indennizzo. La conformità della disciplina dell'uso del territorio, anche se comporti vincoli di inedificabilità, ai principi della Costituzione repubblicana (e fra questi va escluso, per i motivi già detti, il richiamo all'art. 10), va ricordato come risalga proprio all'elaborazione della giurisprudenza costituzionale la teorizzazione di un tipo di vincoli, quelli conformativi della proprietà, configurabili per via di imposizioni a carattere generale e con criteri predeterminati, che riguardano intere categorie di beni, e in quanto connaturati al diritto stesso su quel bene, che nasce limitato, non sono suscettibili di indennizzo (Corte Cost. 9.5.1968, nn. 55 e 56). Cassazione civile, Sezione I, 19 luglio 2002, n. 10542 (vedi: sentenza per esteso)

I piani regolatori debbono conformarsi alle indicazioni dei piani paesistici - la qualificazione del vincolo urbanistico - conformativo o espropriativo - la disciplina di inedificabilità - le previsioni di tutela del paesaggio prevalgano su ogni altra disciplina concernente l'assetto del territorio - i beni immobili privati qualificati come bellezza naturale - il vincolo panoramico - vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità - distinzione.
Non è ravvisabile un interesse a contestare la qualificazione del vincolo urbanistico apposto all'area, se conformativo o espropriativo, se è vero che la disciplina di inedificabilità, o, come sembra nella specie, di edificabilità funzionale alla fruizione pubblica della zona, può essere autonomamente tratta dal piano territoriale paesistico, le cui previsioni limitative all'uso della proprietà non è discutibile che siano conformative. Va osservato in proposito che la primazia assicurata dall'ordinamento al valore ambientale, fa si che le previsioni di tutela del paesaggio prevalgano su ogni altra disciplina concernente l'assetto del territorio. I piani regolatori debbono conformarsi alle indicazioni dei piani paesistici (art. 150 d. lgs. 490-99). I beni immobili privati qualificati come bellezza naturale costituiscono, fin dall'origine, una categoria di interesse pubblico in virtù delle particolari qualità, previste dalla legge, che ad essi ineriscono; pertanto, quando l'amministrazione impone vincoli paesaggistici a tali beni, non ne modifica la qualità, nè determina alcuna compressione del diritto su di essi, essendo connaturato a tali beni il limite che il vincolo imposto si è limitato ad evidenziare, con la conseguenza che la suddetta imposizione di vincoli da parte dell'Amministrazione non determina l'insorgenza di un diritto costituzionalmente garantito all'indennizzo, senza che, però, possa escludersi la legittimità di specifiche disposizioni prevedenti, caso per caso, l'adozione di misure intese a ristorare il pregiudizio patito dai titolari di diritti sui beni oggetto del vincolo (Cass. 19.11.1998, n. 11713; Corte Cost. 29.5.1968, n. 56; 4.7.1974, n. 202). Il vincolo panoramico non è soggetto alla disciplina della temporaneità ai sensi dell'art. 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, che è dichiaratamente applicabile ai soli vincoli di piano regolatore, e di conseguenza non incorre nella ivi prevista decadenza nel caso di mancata approvazione del piano particolareggiato nel termine previsto, essendo correlato alla tutela del paesaggio in virtù delle caratteristiche dei beni naturalmente paesistici che sono ad esso sottoposti (Cass. 12.6.1991, n. 6649): la distinzione, contenuta nella norma citata, tra vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità, è da riferire, rispettivamente, alle previsioni funzionali alla realizzazione dell'opera pubblica, con imposizioni a titolo particolare su determinate aree, e alle situazioni di temporanea neutralizzazione dello ius aedificandi in attesa di successive regolamentazioni particolareggiate, applicate in via generale a consistenti estensioni territoriali, nella logica della zonizzazione (Cass. 23.4.2001, n. 173-SU; 15.3.1999, n. 2272), sempre comunque a previsioni di piano rese nell'esercizio del potere di pianificazione. Cassazione civile, Sezione I, 19 luglio 2002, n. 10542 (vedi: sentenza per esteso)

Il vincolo panoramico - piano regolatore - piano particolareggiato - vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità - distinzione - neutralizzazione dello ius aedificandi - potere di pianificazione. Il vincolo panoramico non è soggetto alla disciplina della temporaneità ai sensi dell'art. 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, che è dichiaratamente applicabile ai soli vincoli di piano regolatore, e di conseguenza non incorre nella ivi prevista decadenza nel caso di mancata approvazione del piano particolareggiato nel termine previsto, essendo correlato alla tutela del paesaggio in virtù delle caratteristiche dei beni naturalmente paesistici che sono ad esso sottoposti (Cass. 12.6.1991, n. 6649): la distinzione, contenuta nella norma citata, tra vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità, è da riferire, rispettivamente, alle previsioni funzionali alla realizzazione dell'opera pubblica, con imposizioni a titolo particolare su determinate aree, e alle situazioni di temporanea neutralizzazione dello ius aedificandi in attesa di successive regolamentazioni particolareggiate, applicate in via generale a consistenti estensioni territoriali, nella logica della zonizzazione (Cass. 23.4.2001, n. 173-SU; 15.3.1999, n. 2272), sempre comunque a previsioni di piano rese nell'esercizio del potere di pianificazione. Cassazione civile, Sezione I, 19 luglio 2002, n. 10542 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela del paesaggio, dell'ambiente, del patrimonio storico e artistico - limitazioni all'uso della proprietà dei beni vincolati - legittimità. Il sistema di tutela del paesaggio, dell'ambiente, del patrimonio storico e artistico, giustificano l'affermazione di limitazioni all'uso della proprietà dei beni vincolati, senza limitarne, peraltro, la commerciabilità, o una redditività diversa da quella dello sfruttamento edilizio, alla luce dell'equilibrio costituzionale tra gli interessi in gioco, che vede alcune delle facoltà del diritto dominicale recessive di fronte alle esigenza di salvaguardia dei valori culturali ed ambientali (art. 9 Cost.), in attuazione della funzione sociale della proprietà (art. 42, secondo comma, Cost.): la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 16 l. 1497-39, e dell'art. 149 d. lgs. 490-99, è da considerare manifestamente infondata. Cassazione civile, Sezione I, 19 luglio 2002, n. 10542 (vedi: sentenza per esteso)

Soprintendenza esercizio del potere di annullamento - acquisizione diretta tramite un sopralluogo, o delegata - perentorietà del termine di 60 giorni - annullamento per vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria - autorizzazione rilasciata - documentazione tecnico-amministrativa - mancata trasmissione della documentazione - nulla osta regionale (o sub-delegato). La giurisprudenza, data ormai per pacifica la perentorietà del termine di 60 giorni (cfr., Cons. Stato, VI, n. 1267/94, n. 558/96, 1825/96 e n. 129/98), previsto per l’esercizio del potere di annullamento, ha ritenuto che tale termine decorra dalla ricezione da parte della Soprintendenza dell’autorizzazione rilasciata e della documentazione tecnico - amministrativa, sulla cui base il provvedimento è stato adottato; in caso di omessa o incompleta trasmissione di detta documentazione, il termine non decorre e la Soprintendenza legittimamente richiede gli atti mancanti (cfr. fra tutte, Cons. Stato, VI, n. 114/98). Tale richiesta istruttoria può, quindi, essere effettuata nel solo caso di mancata trasmissione della documentazione, sulla cui base l’autorizzazione è stata rilasciata, e non di altra documentazione ritenuta utile dalla Soprintendenza. Una volta che la documentazione acquisita nel procedimento conclusosi con il nulla osta regionale sia stata trasmessa in modo completo, unitamente ovviamente all’autorizzazione stessa, si deve ritenere che decorra il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento senza che lo stesso possa essere interrotto da richieste istruttorie, che risultano idonee ad interrompere il termine solo in caso di incompleta trasmissione della documentazione su cui l’ente regionale (o sub-delegato) si sia pronunciato. Del resto, tale impostazione appare conforme alla natura di riesame di sola legittimità, e non di merito (confermato recentemente dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 9 del 14-12-2001), di cui al predetto potere di annullamento: se la Soprintendenza ritiene che l’autorizzazione è stata rilasciata in assenza della documentazione necessaria, potrà annullare l’atto, rilevando il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, come evidenziato anche dal Tar. Comunque, qualora l’autorità preposta al controllo ritenga di dover acquisire elementi ulteriori rispetto quelli posti alla base dell’autorizzazione, potrà acquisirli direttamente tramite un sopralluogo, o delegare tale acquisizione, tenendo però conto che tale richiesta non è idonea ad interrompere il termine perentorio di 60 giorni per la conclusione del procedimento, in quanto relativa a documenti diversi ed ulteriori, rispetto quelli acquisiti nel procedimento conclusosi con l’autorizzazione. Ogni diversa interpretazione attribuirebbe alla suddetta autorità un potere, che potrebbe agevolmente essere sospeso indefinitamente con richieste di elementi integrativi, che condurrebbero al concreto risultato dell’elusione del termine perentorio. Una siffatta elusione del termine perentorio finirebbe per porsi in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale in materia di distribuzione legislativa, tra Stato e Regioni, dei poteri autorizzatori in ambito paesaggistico, alterando, attraverso un potere di annullamento in pratica esercitabile senza termine certo, quel principio di giusto equilibrio tra i poteri di varie autorità, valorizzato dal giudice delle leggi (cfr., Corte Cost., n. 359/85, n. 153/86, n. 302/88 e n. 1112/88). (Nel caso di specie, la Soprintendenza aveva richiesto alla Regione documentazione fotografica e copia del provvedimento di autorizzazione dell’originario progetto. Dagli atti prodotti in giudizio risulta che si trattava di documentazione ulteriore rispetto a quella acquisita nel procedimento conclusosi con l’annullato nulla osta, come dimostra il fatto che la Regione non era in grado di trasmettere direttamente gli atti, ma li ha richiesti alla Pevero Hills s.r.l., che li ha poi fatti pervenire direttamente alla Soprintendenza (v. nota del 25-10-2000 della Regione e la lettera del 13-12-2000 della società appellata). Trattandosi di documentazione ulteriore rispetto a quella sui cui la Regione si era pronunciata, la richiesta non era idonea ad interrompere il termine perentorio di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento, che decorreva dalla data (2-8-2000), in cui l’originaria documentazione era pervenuta completa alla Soprintendenza. L’impugnato decreto è quindi illegittimo per essere stato adottato dopo la scadenza del termine perentorio di sessanta giorni). Consiglio Stato Sez. VI, 12 luglio 2002, n. 4182. (vedi: sentenza per esteso)

Tutela dall'inquinamento - scarichi in aree protette - autorizzazione - in assenza del nulla osta dell'autorita' preposta alla tutela - reato di cui all'art. 1 sexies legge n. 431 del 1985 - configurabilita'. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento l'autorizzazione allo scarico di acque reflue all'interno delle aree protette emessa in assenza del nulla osta dell'autorita' preposta alla tutela, o di quella a cio' delegata, e' illegittima, con la conseguente integrazione del reato di cui all'art. 1 sexies del decreto legge 27 giugno 1985 n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985 n. 431, ora sostituito dall'art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490. (Fattispecie relativa a scarichi di insediamento di piscicoltura all'interno della Riserva naturale della Diaccia-Botrona individuata dalla Convenzione di Ramsar). Corte di Cassazione Sezione III - 10/07/2002, n. 26264

Cave - sfruttamento del sottosuolo - concessione edilizia - necessita' - esclusione - realizzazione in zona non consentita - reato di cui all'art. 20 lett.a) legge n. 47 del 1985 - configurabilita'. L'attivita' di apertura e coltivazione di cava non richiede il preventivo rilascio della concessione edilizia, non essendo subordinata al preventivo controllo dell'autorita' comunale, ma la stessa deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la violazione dell'art. 20 lett. a) della legge 28 febbraio 1985 n. 47. Corte di Cassazione, Sez. III Sentenza del 09/07/2002 (UD.21/03/2002) n. 26140

Il nulla osta paesistico rilasciato dal Sindaco in sede adozione di una concessione edilizia - vizio di eccesso di potere per sviamento - vizio di eccesso di potere per illogicità della motivazione - il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica - difetto di motivazione. Il gravame contesta sotto diversi i profili il provvedimento con il quale il Ministero dei beni culturali ed ambientali ha annullato, a norma dell’art. 82, comma 9, del d.P.R. n. 616 del 1977, nel testo introdotto dall’art. 1 della legge n. 431 del 1985, il nulla osta paesistico rilasciato dal Sindaco in sede adozione di una concessione edilizia. Le censure afferenti alla violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, alla tardività del provvedimento per mancato rispetto del termine di sessanta giorni dalla comunicazione, ed alla pretesa insussistenza dell’obbligo di ottenere, per la costruzione in questione, il nulla osta paesistico, riproposte con il ricorso in appello, non sono fondate per le ragioni indicate nella sentenza impugnata, che il Collegio condivide. Risulta invece fondato il motivo afferente al vizio di eccesso di potere per sviamento, con il quale si è denunciato che il provvedimento ministeriale di annullamento è stato adottato, a) per quanto concerne l’autorizzazione alla sopraelevazione di un fabbricato preesistente, in ragione della mancata comunicazione al Ministero della autorizzazione alla realizzazione del detto edificio, sebbene la costruzione fosse stata eseguita prima della imposizione del vincolo; b) con riguardo alla costruzione del nuovo edificio, per valutazioni attinenti al merito della compatibilità ambientale, esulante dalle attribuzioni del Ministero e riservate alla Regione o all’organo comunale ove, come nella specie, delegato al rilascio del nulla osta paesistico, senza l’allegazione di precise ragioni di illegittimità dell’atto comunale annullato. Per quanto concerne il profilo sub a), come anche ammesso dal primo giudice, il vizio di eccesso di potere per illogicità della motivazione risulta fondato, posto che, secondo la documentazione in atti, l’edificio da sopraelevare era stato autorizzato nel 1983, e quindi anteriormente alla imposizione del vincolo paesistico, risalente al d.m. 28 marzo 1985. Con riguardo al profilo sub b), la censura coinvolge il problema dei limiti del potere ministeriale di annullamento di cui all’art. 82, comma 9, del d.P.R. n. 616 del 1977, nel testo introdotto dalla legge n. 451 del 1985, che ha formato oggetto di recentissima ed approfondita riflessione da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, pronunciatasi sul punto con sentenza 14 dicembre 2001, n. 9. A conclusione dell’esaustiva disamina dell’intera tematica, la decisione, confermando un indirizzo già largamente accolto dalla giurisprudenza, ha affermato che “Il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sull’esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall’autorità che ha concesso l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola cardine della leale cooperazione o con gli altri principi di legittimità dell’azione amministrativa” (punto 13.3 del Diritto). In altri passi della motivazione risulta ancor più chiaramente espresso che il potere di annullamento è condizionato dall’individuazione, nel provvedimento autorizzatorio, di un vizio rientrante nella tipologia tipica delle invalidità degli atti amministrativi. Il Ministero infatti, “pur non potendo sovrapporre le proprie determinazioni a quelle della Regione o dell’ente da questa individuato, può salvaguardare l’ambiente ed il paesaggio (senza bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale), mediante il motivato annullamento della autorizzazione che risulti illegittima, anche per eccesso di  potere e pure per gli specifici profili di inadeguata valutazione delle circostanze o per insufficiente motivazione, illogicità manifesta e violazione del principio di leale cooperazione per mancata considerazione degli interessi nazionali.” (punto 12.1). In altri termini il Ministero può svolgere un sindacato di legittimità “corrispondente a quello che potrebbe esercitare il giudice amministrativo nel caso di impugnazione dell’autorizzazione non annullata in sede amministrativa” (punto 13). Alla stregua di tali principi il motivo di eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione dedotto avverso il decreto ministeriale di annullamento risulta fondato. La motivazione impugnata, infatti, si limita ad affermare che il fabbricato “per le sue notevoli dimensioni verrebbe ad alterare un ambiente caratterizzato da manufatti di tipo rurale, sparsi e di modeste dimensioni” e quindi “comporterebbe l’alterazione dei tratti distintivi della località protetta”. Ritiene il Collegio che tali proposizioni si risolvano nella mera espressione da parte del Ministero di una propria valutazione sul merito della compatibilità ambientale dell’edificio autorizzato, destinata sovrapporsi, illegittimamente, a quella compiuta dall’ente competente nel quadro della ripartizione di funzioni voluta dall’art. 82 del d.P.R. 616, come illustrato dalla giurisprudenza citata. Era invece compito del Ministero esporre le ragioni per le quali l’apprezzamento di compatibilità ambientale espresso dal Comune doveva ritenersi viziato, per una delle figure sintomatiche tipiche dell’eccesso di potere, quali il difetto di istruttoria, il travisamento dei fatti, l’illogicità, l’incoerenza. In altri termini, come anche è imposto al giudice amministrativo, la valutazione del Comune doveva essere sindacata, non per il contenuto in sé, la cui mancata condivisione in sede ministeriale deve restare irrilevante, ma per le non corrette modalità con le quali l’Ente è pervenuto al convincimento della compatibilità ambientale, così evidenziando una invalida origine dell’atto di volontà. In senso contrario non potrebbero addursi le menzioni dell’eccesso di potere e della violazione di legge, figuranti nelle premesse finali della motivazione del provvedimento. Senza il supporto di precise circostanze di fatto attinenti alla formazione dell’atto annullato, tali richiami si risolvono in mere clausole di stile, inidonee a soddisfare l’obbligo di motivazione imposto dalla normativa, come specificata dalla giurisprudenza. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 1 luglio 2002, n. 3595. (vedi: sentenza per esteso)

Rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo - l’obbligo di acquisire il parere da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo - sussiste - momento in cui deve essere valutata la domanda di condono - obbligo anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo. In sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, l’obbligo di acquisire il parere da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, previsto dall’art.32 L. 28 febbraio 1985 n.47, sussiste in relazione all’esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, prescindere dall’epoca della sua introduzione e quindi anche per stesso (cfr. C.d.S., A.P., 5 luglio 1999, n.18). Consiglio di Stato, VI sezione, del 4.6.2002 sentenza n. 3143

Nulla osta - richiesta di integrazione documentale - le varie fasi dell’istruttoria - illegittimità del comportamento dilatorio ingiustificato. La ricostruzione delle varie fasi dell’istruttoria, (inerente alla richiesta di rilascio del nulla osta ex lege n. 1497/1939) compiuta dal primo giudice, non consente di avere dubbi sull'inutilità della seconda richiesta di integrazione documentale da parte della Sovrintendenza, fatta dopo che la stessa Sovrintendenza aveva ricevuto la prima documentazione richiesta. Oltretutto, il comportamento dilatorio (ed illegittimo) della Sovrintendenza è avvalorato dal contenuto della seconda richiesta di integrazione istruttoria: un parere del consiglio comunale (privo di competenza in materia) in relazione ad un’opera per la quale la Commissione consultiva per i Beni Ambientali della Provincia di Vicenza si era espressa positivamente. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2629.

 

Soggezione ai vincoli paesaggistici e ambientali - nuova costruzione e specifico carico urbanistico determinato dall’alterazione anche se non vulnerante - opere pertinenziali - assoggettamento a concessione edilizia - autorizzazione gratuita inoperatività nelle zone vincolate. La soggezione ai vincoli paesaggistici e ambientali determina, di per sé, nel caso di nuova costruzione, uno specifico carico urbanistico determinato dall’alterazione, anche se non vulnerante, dello specifico contesto. La ratio dell’art. 7, comma 2 del richiamato decreto legge n. 9 del 1982 è evidentemente quella di impedire la libertà di costruzione anche di opere pertinenziali, per gli effetti distorsivi del paesaggio e dell’ambiente che anche da queste ultime possono derivare. Lo strumento tecnico per questa finalità è l’assoggettamento a concessione edilizia dell’intervento, cui naturalmente consegue, quasi come naturale negotii, il pagamento del contributo per costruzione e oneri di urbanizzazione. (Tra i casi di autorizzazione gratuita e richiama, a questo fine, il disposto dell’articolo 7 comma 2 del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni con legge 25 marzo 1982, n. 94: “sono altresì soggette ad autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non sottoposte ai vincoli previsti dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, e legge 29 giugno 1939, n. 1497: le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti;…”). Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 13 maggio 2002, n. 2575. (vedi: sentenza per esteso)

 

Nulla osta - l’esercizio del potere di annullamento - termine perentorio di sessanta giorni - comunicazione o notificazione. Per costante giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide, il termine perentorio di sessanta giorni di cui all’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977 riguarda l’esercizio del potere di annullamento e non anche la successiva fase della comunicazione o notificazione (Ad. Plen., 22 luglio 1999 n. 20; Sez. VI, 15 dicembre 1999 n. 2073; 28 gennaio 2000 n. 403; 24 maggio 2000 n. 3010; 6 luglio 2000 n. 3793; 19 giugno 2001 n. 3233). Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2002, n. 2549.

 

L’apposizione di una antenna trasmittente per telefonia cellulare comporta una modificazione sensibile dell’assetto edilizio-urbanistico del territorio - necessità di apposita concessione edilizia - in zona vincolata é necessario che sia previamente acquisito il parere della competente Soprintendenza bb.cc.aa. - sanatoria - obbligo di motivazione - a demolizione delle opere abusivamente realizzate. Secondo consolidata giurisprudenza nella materia, l’apposizione di una antenna trasmittente per telefonia cellulare comporta una modificazione sensibile dell’assetto edilizio-urbanistico del territorio, di tal che è necessario il previo rilascio di apposita concessione edilizia, con la conseguenza che, nel caso in cui il territorio sul quale la stessa va ad incidere sia sottoposto a vincolo paesaggistico, come nel caso in questione atteso il richiamo espresso nel provvedimento impugnato e non contestato in via di fatto dalla società ricorrente, é necessario che sia previamente acquisito il parere della competente Soprintendenza bb.cc.aa. Nel caso in cui detto parere non sia stato richiesto o, comunque, fornito in epoca antecedente al rilascio della concessione edilizia, è possibile la sua acquisizione successiva in sanatoria. In ogni caso, comunque, la Soprintendenza deve valutare la compatibilità paesaggistica ed ambientale dell’opera con il territorio sul quale va ad incidere, fornendo una adeguata giustificazione al riguardo. Nel caso in cui il parere di competenza non sia stato previamente richiesto, la Soprintendenza può ordinare, nella sussistenza dei relativi presupposti di legge, ai sensi dell’art. 15 del R.D. n. 1437/1939, la demolizione delle opere abusivamente realizzate. Né rileva quanto dedotto in merito al tenore del richiamato art. 29 del citato R.D., atteso che la norma non pare attenere alla fattispecie in oggetto, ad essa non riconducibile, in quanto non rispondente alla medesima ratio, considerato che, al tempo della sua redazione, non poteva tenersi conto degli sviluppi tecnologici intervenuti negli ultimi decenni. Sul punto, peraltro, è stato espressamente affermato che "Va rigettata l'istanza cautelare di sospensione del provvedimento amministrativo di diniego all'installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, laddove nel procedimento concessorio sia stato omesso, da parte dell'impresa istante, di acquisire il parere ambientale di competenza regionale. (T.A.R. Puglia sez. II, Bari, 6 aprile 2000,ord. n. 543). TAR Sicilia - Palermo, Sez. I - Sentenza 13 maggio 2002 n. 1173 (vedi: sentenza per esteso)

 

Opere edilizie abusive intraprese nelle zone di rispetto del demanio marittimo - il momento di cessazione della permanenza del reato previsto dall’art. 55 del codice della navigazione. E’ stata portata all’esame di queste Sezioni Unite riguarda il momento di cessazione della permanenza del reato previsto dall’art. 55 del codice della navigazione; secondo alcune decisioni, infatti, tale momento coincide con la fine dell’esecuzione delle opere intraprese nelle zone di rispetto del demanio marittimo senza l’autorizzazione del capo del compartimento; mentre secondo altre solo con la rimozione delle opere stesse ovvero con il rilascio dell’autorizzazione. Dunque, la giurisprudenza di questa Corte relativa a tale questione si è divisa in due indirizzi, uno favorevole alla prima tesi e l’altro alla seconda (per il primo indirizzo cfr.; Cass. pen., sez. III, 16 aprile 1997, P.M. in proc. Sciarrino, RV 208053; Cass. pen., sez III, 31 maggio 1997, P.M. in proc. Lantieri; Cass. pen., sez III 6 aprile 1998, P.M. in proc. Randazzo; per il secondo indirizzo cfr.: Cass. pen., sez. III, 10 dicembre 1997, La Rosa; Cass. pen., Sez. III, 7 marzo 1998, P.M. in proc. Arcara, Rv 209915; Cass. pen., sez. III, 26 aprile 2000, Musso e altra; Cass. pen., sez. III, 17 febbraio 2000, P.M. in proc. Martorana; Cass. pen. sez. III, 17 febbraio 2000, Morici e altra; Cass. pena. Sez. III, 16 febbraio 2001, Arrostuto). Ebbene, tra i due indirizzi giurisprudenziali su indicati, si ritiene che sia corretto il primo. Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali Sentenza 8 maggio 2002 n. 17178 (vedi: sentenza per esteso)

 

La natura del reato previsto dagli artt. 55 e 1161 del codice della navigazione - la permanenza cessa al termine dell’esecuzione delle opere abusive. Il reato previsto dagli artt. 55 e 1161 del codice della navigazione ha natura permanente, ma che tale permanenza cessa al termine dell’esecuzione delle opere abusive. Analoga affermazione deve, poi, essere fatta per il reato di cui agli artt. 18 e 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64 (costruzione in zona sismica senza il visto del genio civile), sul qual peraltro si erano già pronunciate le Sezioni Unite, e per quello di cui agli artt. 20 lett. b), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (costruzione in assenza di concessione edilizia). Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali Sentenza 8 maggio 2002 n. 17178 (vedi: sentenza per esteso)

 

Tutela del paesaggio - territori coperti da boschi - esecuzione di attivita' ed opere di bonifica, antincendio e conservazione in assenza di autorizzazione forestale - reato di cui all'art. 1 sexies d. l. n. 312 del 1985 - configurabilità - fondamento. In tema di tutela del paesaggio, il reato si cui all'art. 1 sexies del D. L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985 n. 431 (ora sostituito dall'art. 163 del D. Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490), ricomprende anche le ipotesi di esecuzione, in territori coperti da boschi ed in difetto della prescritta autorizzazione forestale prevista dal comma quarto del citato art. 1 sexies, di attivita' ed opere di bonifica, antincendio e di conservazione qualora tale intervento comporti una apprezzabile modificazione dello stato dei luoghi, non essendo richiesto un concreto pregiudizio del bene protetto, atteso che la "ratio" della disposizione e' quella di escludere la liceita' di qualsiasi intervento modificativo effettuato senza una preventiva valutazione dell'operazione da parte dell'autorita' preposta. Corte di Cassazione Sez. III del 15 aprile 2002, sentenza, n. 14292

 

La partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo - legge n. 241/1990 - esigenze di legalità ed esigenze di efficienza - problema della obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento prima di esercitare il potere di annullamento dell'autorizzazione paesistica. La partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo prevista dagli artt. 7 e ss. della legge n. 241/1990 costituisce un principio generale dell'ordinamento giuridico (CdS V 22/5/2001 n.2823) per cui ogni disposizione che limiti od escluda tale diritto va interpretata in modo rigoroso, al fine di evitare di vanificare od eludere il principio stesso. Nel procedimento amministrativo si bilanciano esigenze di legalità ed esigenze di efficienza e spesso il loro equilibrio è oggetto di sindacato giurisdizionale, teso a verificare, da una parte la sussistenza dell'obbligo di legge ed il suo puntuale rispetto da parte della p.a., dall'altra l'esistenza di ragioni che consentano di non ritenere viziante, sul piano della legittimità del provvedimento finale, l'omessa comunicazione di avvio, con prevalenza, nel caso concreto, di considerazioni teleologiche e finalistiche relative al raggiungimento effettivo e sostanziale dello scopo della norma tesa ad assicurare la partecipazione. Ciò comporta che le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti (ancora in tal senso CdS V 22/5/2001 n.2823 e CdS IV 18/5/1998 n. 836). In materia di comunicazione di avvio prevalgono quindi canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Può dirsi quindi scontato l'orientamento costante della giurisprudenza amministrativa in favore di un'interpretazione evolutiva dell'art. 7 della legge n. 241/1990. Così ricostruita la vicenda in termini generali è chiaro che, ai fini della soluzione del controverso problema della obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento prima di esercitare il potere di annullamento dell'autorizzazione paesistica, vanno esaminati i profili strutturali e quelli funzionali della fattispecie ma si deve, in ossequio ai canoni interpretativi prevalenti nella dottrina e nella giurisprudenza amministrativa in tema di comunicazione di avvio, dare prevalenza a questi ultimi (in caso contrario infatti si rischierebbe di fare prevalere un'interpretazione letterale ora lesiva dell'istanza di partecipazione - le quante volte la mera ed isolata considerazione della struttura complessa di un procedimento iniziato ad istanza di privati faccia ritenere superflua la comunicazione di avvio mentre essa è necessaria per garantire l'effettività della partecipazione procedimentale - ora dell'istanza di speditezza ed efficienza dell'azione amministrativa - le quante volte si faccia conseguire alla omessa comunicazione l'annullamento dell'atto finale senza un'adeguata considerazione del rapporto fra omessa formalità ed incidenza della partecipazione sulla decisione finale). Consiglio di Stato Sezione VI, sentenza 08 aprile 2002,  n. 1912.  (vedi: sentenza per esteso)

 

Legge n.241/1990 articoli 7 e ss. - la comunicazione di avvio del procedimento -  procedimento ministeriale di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica - fase endoprocedimentale. L'amministrazione è tenuta a predisporre un meccanismo procedurale che, alla stregua dei principi ricavabili dagli articoli 7 e ss. della legge n.241/1990, quando il procedimento amministrativo ha struttura unitaria ma bifasica (ed anche se l'avvio della prima fase, è riconducibile all'iniziativa del privato), assicuri all'interessato di percepire chiaramente l'avvio della nuova fase, diretta al riesame del provvedimento, in modo da porlo nella possibilità di conoscere ed interloquire (in tal senso Corte Cost. n. 383/1996). In questa chiave è doverosa l'applicazione del precetto di cui all'art. 7 della legge n. 241/1990, tutte le volte che, al di là della struttura unitaria ma bifasica del procedimento o dell'esistenza di un'ulteriore sequenza procedimentale collegata alla prima, la comunicazione si appalesi funzionale al perseguimento delle finalità stabilite dalla legge stessa, apparendo idonea a ripercuotersi sull'esito finale della procedura, con possibili determinanti conseguenze sfavorevoli per il soggetto interessato. La comunicazione di avvio del procedimento appare necessaria nel caso del procedimento ministeriale di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica atteso che, detta ulteriore fase endoprocedimentale dell'unitario procedimento diretto al perfezionamento dell'autorizzazione paesaggistica:

1) è avviata d'ufficio e solo con riguardo agli atti che siano viziati da illegittimità;

2) è di competenza di altra autorità (statale) rispetto a quella che ha emanato l'atto impugnato (regionale o sub regionale);

3) è diretta all'estrema difesa del vincolo ambientale ed ha quindi finalità repressive e di annullamento dell'atto favorevole al privato;

4) è connotata dalla presenza dell'interesse legittimo in funzione oppositiva e non pretensiva come nella fase precedente;

5) incide sull'efficacia dell'atto controllato ed esaminato, ma per un tempo determinato che è interesse del privato conoscere al fine di individuare il momento nel quale l'atto ampliativo della sua sfera giuridica diviene efficace;

6) è caratterizzata dall'esercizio di un potere discrezionale, di controllo di legittimità, anche sotto il profilo dell'eccesso di potere, per l'esercizio del quale appare utile l'apporto partecipativo del privato.

Non vi sono quindi dubbi in ordine alla circostanza per cui la fase procedimentale di competenza della regione o del comune e quella di competenza del Ministero, sebbene inscindibilmente connesse, sono autonome sotto il profilo dei soggetti chiamati ad attivarle e perfezionarle, e che il Ministero, pur dovendo necessariamente conoscere dell'atto autorizzatorio, potrebbe decidere di non attivare il procedimento di annullamento. Da una parte c'è il privato che ha attivato il procedimento culminato con il rilascio dell'autorizzazione regionale o comunale, dall'altra il Ministero, che, in sede di vigilanza, può avviare, ricevuti gli atti del procedimento di autorizzazione, l'annullamento in sede di autotutela. Consiglio di Stato Sezione VI, sentenza 08 aprile 2002,  n. 1912.  (vedi: sentenza per esteso)

Estensione del vincolo artistico e storico imposto su un immobile, ai sensi della legge n. 1089 del 1939, agli arredi in esso contenuti - natura del rapporto di pertinenzialità - rapporto oggettivo - unitario pregio artistico e storico degli arredi collocati all'interno dell'immobile vincolato. L'imposizione del vincolo sugli arredi, facente parte di un immobile già sottoposto al vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1039, ben può basarsi sulla sussistenza di un risalente rapporto oggettivo, intercorrente tra il bene immobile e gli arredi medesimi: la tutela artistica e storica attiene ai beni nella loro oggettività e in ragione della circostanza di fatto che i beni mobili sono contenuti nell'immobile vincolato, non rilevando gli accadimenti riguardanti la titolarità del diritto di proprietà. In altri termini, se un edificio sottoposto al vincolo artistico e storico contiene arredi aventi un analogo pregio ed è diviso nel suo contenuto tra vari proprietari (ovvero se un dante causa trasferisce gli arredi in tutto o in parte a persona diversa dal proprietario dell'immobile), tali accadimenti non incidono sul potere del Ministero di valutare unitariamente l'edificio col suo contenuto e di sottoporre a vincolo gli arredi, anche successivamente al bene immobile. Il rapporto di pertinenzialità, preso in considerazione dalla legge n. 1089 del 1939, va inteso coerentemente con le esigenze di tutela del patrimonio artistico e storico, sicché la diversa titolarità dei beni, sotto il profilo proprietario, non preclude all'Amministrazione di sottoporre al vincolo i beni mobili, che abbiano rilievo artistico e storico e si trovino all'interno di un bene immobile vincolato. A maggior ragione, come è avvenuto con l'impugnato decreto del 27 agosto 1998, il Ministero può sottoporre a vincolo gli arredi di un edificio che risultino di proprietà del medesimo titolare dell'immobile al cui interno essi si trovino, quando risulti l'unitario pregio artistico e storico degli arredi stessi. Il vincolo può dunque essere apposto sugli arredi anche quando questi siano stati collocati all'interno dell'immobile vincolato successivamente alla sua costruzione, quando risulti (con una motivata valutazione del Ministero) che i medesimi arredi abbiano un loro pregio e, per la loro collocazione, risulti un legame di ordine culturale tra essi e l'edificio. (Nella fattispecie in esame, in cui è pacifico il particolare pregio degli arredi della Villa Sforza Cogliani e la loro riferibilità all'artigianato locale, non risulta pertanto viziata la determinazione del Ministero di sottoporre al vincolo anche gli arredi risalenti al secolo XVIII e posti all'interno dell'edificio. Ciò comporta l'irrilevanza della mancata elencazione analitica (da parte dell'appellante) dei beni che (pur risalendo al XVIII secolo e a differenza di quelli 'coevi' alla costruzione) sarebbero stati posti all'interno della Villa a seguito della donazione e dei lasciti indicati nel ricorso di primo grado). Consiglio di Stato - sezione VI, 8 aprile 2002, sent. n. 1903.

L'Istituto della prelazione, da parte dell'Amministrazione, sulle cose di interesse storico, artistico ed archeologico di proprietà privata - potestà autoritativa a carattere ablatorio - l'incertezza nell'identificazione dell'autore dell'opera assoggettata a vincolo. L'Istituto della prelazione sulle cose di interesse storico, artistico ed archeologico di proprietà privata differisce nettamente dall'omonimo istituto civilistico, costituendo tipica espressione di potestà autoritativa a carattere ablatorio, in quanto la p.a. non acquista la proprietà attraverso un mero rapporto negoziale, subentrando nella regolamentazione giuridica posta in essere dai privati, bensì attraverso un provvedimento amministrativo a contenuto sostanzialmente espropriativo, come tale idoneo a degradare le posizioni soggettive dei privati contraenti al rango di meri interessi legittimi: il radicarsi della giurisdizione amministrativa discende dall'ordinaria applicazione dei consueti criteri di riparto. Sulla scorta delle medesime ragioni va respinto il motivo di appello inteso a sostenere, in una prospettiva erroneamente civilistica della vicenda de qua, l'inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto in capo all'odierna società appellata di una posizione di autentico interesse legittimo al corretto esercizio della potestà di prelazione. Ciò posto, preme in linea di principio osservare che l'incertezza nell'identificazione dell'autore dell'opera assoggettata a vincolo non è di per se sola idonea a decretare l'illegittimità dell'atto di esercizio della prelazione, salva l'ipotesi in cui risulti, sulla scorta di significativi elementi, l'importanza determinante giocata dalla considerazione dell'esatta identità dello stesso autore in sede di apprezzamento del particolare interesse artistico del bene sottoposto a tutela: in assenza di tali condizioni, una diversa percezione dell'identità dell'autore, maturata sulla scorta dei successivi studi scientifici, non incidendo in modo significativo sull'effettive caratteristiche del bene già considerate dall'Amministrazione, non costituisce fattore ostativo all'azionabilità della potestà di prelazione, né tanto meno impone una rinnovazione del procedimento inteso all'imposizione del vincolo. Consiglio di Stato - sezione VI, 8 aprile 2002 sent. n. 1899.

 

Esecuzione di opere su beni culturali in difetto di autorizzazione - il reato di cui all'art. 118 del D.Lgs n. 490 del 1999 - esistenza di autorizzazione condizionata - mancato rispetto delle condizioni - reato - sussistenza - fondamento - patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale (cose d'antichita' e d'arte) - autorizzazione alla installazione dell'impianto di illuminazione della cattedrale - Artt. 11, 59 L. n. 1089/1939. In tema di beni culturali, integra il reato di cui all'art. 118 del D. L.gs 29 ottobre 1999 n. 490, (esecuzione di opere su beni culturali in difetto di autorizzazione) la mancata ottemperanza alle condizioni apposte dalla P.A. in sede di rilascio del provvedimento autorizzativo, atteso che in tale ipotesi esso deve considerarsi inefficace. (Fattispecie nella quale la autorizzazione alla installazione dell'impianto di illuminazione della cattedrale di Trani era condizionata alla necessita' che "ogni passaggio esecutivo" fosse verificato da sopralluogo della Sovrintendenza). Pres. Zumbo A - Est. Grillo C - Imp. Palmieri R - PM. (Conf.) Favalli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 20/03/2002 (CC.17/01/2002) RV. 221433 sentenza n. 11275

 

Eventi sismici del 1997 - assegnazione di provvidenze - provvidenze di emergenza - interventi a favore delle attività produttive - interventi a favore del patrimonio culturale - esclusione. Il D.L. 30.1.1998, n. 6, conv. nella legge 30.3.1998, n. 61, recante “ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi”, nello stabilire, all’art. 5, gli “interventi a favore delle attività produttive”, diretti cioè, per il comma 1 dello stesso articolo, alla ripresa delle attività produttive industriali, agricole, commerciali, artigianali, turistiche ecc., prevede, al comma 2, l’assegnazione di contributi per la ricostruzione e il ripristino degli immobili “utilizzati” per le attività produttive di cui al comma 1, distrutti o danneggiati dalla crisi sismica. L’art. 4 della legge regionale 12.8.1998, n. 30, prevede l’assegnazione di tali provvidenze anche per “gli edifici nei quali siano prevalenti unità immobiliari destinate ad attività produttive che, per effetto degli eventi sismici, risultino distrutti, demoliti o inagibili”. Si tratta, quindi, all’evidenza, degli immobili con destinazione ad attività produttive (opifici, centri commerciali, botteghe artigiane, stalle, ecc.). Si tratta di provvidenze di emergenza dirette alla ricostruzione e/o alla rimessa in esercizio dei locali dove si svolgevano le anzidette attività produttive, delle sedi, cioè, in cui queste erano allocate prima degli eventi sismici. La terza fascia di priorità prevista dall’Allegato A alla deliberazione della Giunta regionale n. 4718 del 1998, nel quale sono inseriti gli “interventi tesi a ripristinare la funzionalità delle strutture pubbliche e del patrimonio culturale” riguarda gli interventi relativi ad immobili già facenti parte del patrimonio culturale danneggiati dagli eventi sismici, al fine di ripristinarne le precedenti condizioni, di carattere strutturale e funzionale, che ne consentivano la fruizione da parte della collettività in quanto beni culturali. Non rientrano in tale quadro, pertanto, gli interventi di ristrutturazione relativi ad immobili che, oltre a non essere qualificabili formalmente come beni culturali, per il loro stato strutturale non svolgevano alcuna funzione tipica di questi anteriormente agli eventi sismici del 1997. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1492.

 

Le norme di cui alla cosiddetta legge Lunardi afferenti all’urbanistica, al paesaggio ed all’edilizia di cui ai commi da 6 a 13 dell’articolo 1 nella parte in cui sono di immediata applicazione nel settore penale. Non è possibile prorogare l’entrata in vigore di una norma già vigente, né è possibile la proroga di un provvedimento il cui termine sia ormai scaduto, sicché, in considerazione dell’intervenuta pubblicazione della legge di conversione 463/01 sulla Gazzetta ufficiale del 9 gennaio 2002, dell’espressa deroga di cui al secondo comma dell’articolo 1 della legge ultima citata e della disposizione della legge 400/88, il predetto testo unico è rimasto in vigore dal 1° al 9 gennaio 2002. Tale breve vigenza è rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 2 C.P. Ed invero non è possibile ritenere, come avanzato da qualche isolata voce dottrinale, la «proroga» retroattiva, in quanto, oltre a contrastare con i principi generali sul tema già esposti, una simile argomentazione si pone in contrasto con l’espresso dettato legislativo dell’articolo 1, 2° comma, legge 463/01, con l’articolo 15, 5° comma, della legge 400/88 e con i principi espressi dagli articoli 2 C.P. e 25 della Costituzione. Non influisce, invece, allo stato, in questo complesso quadro normativo la cosiddetta legge obiettivo o Lunardi (443/01), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 27 dicembre 2001 ed entrata in vigore in alcune sue parti in data 11 gennaio 2002 sia perché, in ogni caso, successiva all’intervenuto differimento di efficacia del testo unico sia perché il comma 12° dell’articolo 1 della legge 443/01 espressamente stabilisce che «le disposizioni di cui al comma 6 (n.d.r. attinenti all’urbanistica e di possibile interesse per la fattispecie in esame) si applicano nelle regioni a statuto ordinario a decorrere dal 90° giorno della data di entrata in vigore della presente legge» cioè dal 12 aprile 2002 sia perché, infine, il comma 14° del predetto articolo 1 legge ultima citata ha delegato il Governo «ad emanare, entro il 31 dicembre 2002, un decreto legislativo volto ad introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all’articolo 7 della legge 50/1999, (n.d.r. id est d.P.R. 380/01) le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13». Pertanto, solo a partire dal 12 aprile 2002 saranno in vigore le norme di cui alla cosiddetta legge Lunardi afferenti all’urbanistica, al paesaggio ed all’edilizia di cui ai commi da 6 a 13 dell’articolo 1 nella parte in cui sono di immediata applicazione nel settore penale, anche ai sensi dell’articolo 2 C.P., mentre il testo unico dell’edilizia (380/01), la cui efficacia è stata differita in data 1 luglio 2002, potrà subire eventuali modificazioni di «adattamento» fino al 31 dicembre 2002, sicché detta ultima normativa non interessa nella fattispecie. Infine, indipendentemente dalla problematica corrispondenza e riferibilità della concessione edilizia del 28 dicembre 2000 alla costruzione per cui è processo, accertata ed asserita nell’impugnata sentenza, il predetto provvedimento, per stessa ammissione del ricorrente, non può essere ritenuto in sanatoria ex articoli 13 e 22 legge 47/19854, poiché è stato rilasciato in seguito ad una modifica dello strumento urbanistico del comune di Forte dei Marmi, sicché non è configurabile la cosiddetta doppia conformità al momento della edificazione ed in quello della presentazione della domanda. Peraltro, ove detta concessione edilizia (ora permesso di costruire) fosse relativa al manufatto per cui è processo, in sede esecutiva, il P.M. prima di effettuare la demolizione ed eventualmente la parte, mediante un incidente di esecuzione, provvederanno ad accertare o far giudicare la legittimità della concessione e l’esistenza di un provvedimento della pubblica amministrazione in contrasto con la possibilità di porre in esecuzione la sanzione amministrativa autonoma irrogata dal giudice penale della demolizione. Corte di Cassazione - sez. terza penale, 4 marzo 2002, n. 8556

 

Nulla osta - necessità di congrua motivazione - verifica della compatibilità ambientale dell'intervento - provvedimento ministeriale di annullamento di ufficio. Il nulla osta deve essere motivato in modo congruo, anche se esso ha la natura propria degli atti ampliativi della sfera dei destinatari (Cons., St., VI, 8.3.2000, n.1162; 10.8.1999, n.1025; Ad. Plen. 22.7.1999 n.20). Pertanto, non essendo stato adeguatamente motivato il predetto nulla osta provinciale, (nel caso in esame, l'autorizzazione in questione si sarebbe richiamata semplicemente ad un parere della Commissione consultiva provinciale di Rovigo per i beni ambientali del 18.5.1993, immotivato sul punto attinente alla compatibilità ambientale dell'intervento), appare legittimo il conseguente provvedimento ministeriale di annullamento di ufficio adottato sul presupposto di tale riscontrato vizio di legittimità oltre che in relazione all'enunciato evidente interesse all'annullamento medesimo, interesse basato sulla necessaria salvaguardia di un'area protetta del Delta del Po nella quale ciascuna modificazione dell'ambiente doveva essere soggetta ad ogni possibile cautela. Consiglio Stato Sez. VI, 16 febbraio 2002, n. 964.

L’interpretazione da darsi agli art. 5 e 6 del regolamento ex DPR 2 dicembre 1997 n 509, concernente la realizzazione di porti turistici - conferenza di servizi per l’approvazione dei progetti - la tutela dei beni paesistico-ambientali. L’interpretazione da darsi agli art. 5 e 6 del regolamento ex DPR 2 dicembre 1997 n 509, concernente la realizzazione di porti turistici. Il problema posto consiste nel fatto che i predetti artt. 5 e 6 prevedono il modulo della conferenza di servizi per l’approvazione dei progetti, escludendo espressamente dalla conferenza la partecipazione del Ministero per i beni e le attività culturali, e affidando la tutela dei beni paesistico-ambientali esclusivamente alla regione o ai comuni interessati eventualmente delegati; ma, mentre l’art. 5, concernente i progetti preliminari, prevede espressamente, nel comma 9, l’invio immediato al Ministero delle determinazioni assunte ex art. 7 L. n. 1497/39 (ora art. 151 T.U.), affinchè questi possa esercitare i poteri di riesame e annullamento previsti, una disposizione analoga non è contemplata nell’art. 6, che riguarda l’approvazione dei progetti definitivi e che, pur affidando tale approvazione a una conferenza di servizi o a un accordo di programma (a seconda che il progetto sia conforme o meno alle previsioni urbanistiche) tiene ferma l’esclusione dalla conferenza di servizi e dall’accordo di programma del Ministero per i beni e le attività culturali, ribadendo la previsione già operata nell’art. 5. Di qui il quesito se possa ritenersi in via interpretativa che anche il progetto definitivo vada sottoposto al vaglio ministeriale, ovvero se il silenzio del legislatore sul punto richieda un’integrazione normativa. Ritiene la Sezione che non sia necessaria un’integrazione normativa, potendosi in via intepretativa pervenire alla conclusione che anche nel caso di cui all’art. 6 del DPR n. 509/97 sia dovuto l’invio al Ministero, per i fini di cui all’art. 151 T.U. n. 490/99, delle determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi o di accordo di programma. Consiglio di Stato Adunanza della Sezione II, 6 febbraio 2002, n. 2457. (Vedi: sentenza per esteso)

I poteri ministeriali di cui alla L. n. 431/85 sono posti "ad estrema difesa" dei vincoli paesaggistici per la diretta connessione con il valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9), come norme fondamentali di riforma economico-sociale - il potere di riesame e di annullamento previsto dall’art. 151 T.U. n. 490/99 - la conferenza sul progetto preliminare e la conferenza sul progetto definitivo - la necessità di un rinnovato esame ex art. 151 T.U. n. 490/99. La Corte Costituzionale ha più volte avuto occasione di sottolineare che il paesaggio costituisce, nel nostro sistema costituzionale, un valore etico-culturale che trascende le competenze della Regione e coinvolge tutte le amministrazioni, e in primo luogo lo Stato e le Regioni, ordinarie e speciali, in un vincolo reciproco di leale cooperazione, e che i poteri ministeriali di cui alla L. n. 431/85 sono posti "ad estrema difesa" dei vincoli paesaggistici, e, come tali, costituiscono parte di una disciplina qualificabile, per la diretta connessione con il valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9), come norme fondamentali di riforma economico-sociale (cfr. Corte Cost., sent. n. 341 del 18 ottobre 1996 ed altre ivi richiamate). Da ciò deriva che il potere di riesame e di annullamento previsto dall’art. 151 T.U. n. 490/99 si pone come regola generale dell’ordinamento di settore, e quindi sempre operante, anche se non espressamente previsto da norme specifiche (salvo, naturalmente, come si è visto, il caso in cui il potere stesso sia esercitato e consumato all’interno delle conferenze dei servizi mediante assenso o dissenso). Si deve quindi ritenere che, analogicamente a quanto previsto dall’art. 5, anche l’art. 6 del DPR n. 509/97 vada interpretato nel senso che le determinazioni finali assunte in sede di conferenza di servizi o di accordo di programma debbono essere inviate al Ministero per i beni e le attività culturali: diversamente opinando, infatti, poiché il Ministero è espressamente escluso dalla procedura per volontà normativa , si dovrebbe ammettere che nella fattispecie verrebbero meno sia il vincolo di leale cooperazione che deve caratterizzare il rapporto Stato-Regione, che i poteri di "estrema difesa del vincolo" che sono affidati allo Stato: ciò che, alla luce delle argomentazioni sviluppate in proposito dal giudice delle leggi, sarebbe incompatibile con i principi costituzionali in materia e segnatamente con l’art. 9 Cost. Non varrebbe opporre che la mancata ripetizione nell’art. 6 del DPR n. 509/97 (che concerne, come si è accennato, i progetti definitivi) della previsione contenuta nell’art. 5 (che viceversa riguarda i progetti preliminari) potrebbe essere attribuita ad una ritenuta inutilità di una nuova pronuncia ministeriale dopo l’esito favorevole dell’esame del progetto preliminare: come osserva l’Ufficio Legislativo referente sul punto, argomentando dall’art. 14 bis della L. n. 241/90, la conferenza sul progetto preliminare e la conferenza sul progetto definitivo costituiscono procedure autonome con finalità diverse, e d’altra parte non si può neppure escludere che in sede di approfondimento definitivo, dopo la fase preliminare, il progetto non possa aver subito modifiche, con conseguente ovvia, ribadita necessità di un rinnovato esame ex art. 151 T.U. n. 490/99. Consiglio di Stato Adunanza della Sezione II, 6 febbraio 2002, n. 2457. (Vedi: sentenza per esteso)

Testo unico in materia di edilizia 6 giugno 2001 n. 380 (procedura per il rilascio del permesso di costruire) - i poteri ministeriali nei confronti delle autorizzazioni paesistiche rilasciate dalle regioni o dagli enti locali subdelegati - salvaguardia dei beni ambientali - conferenza di servizi - il dissenso (eventualmente) manifestato. Va escluso che il Ministero possa annullare le autorizzazioni paesistiche rilasciate dalle regioni o dagli enti locali subdelegati sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle operate a monte, si prende posizione anche sulla partecipazione delle sovrintendenze alle conferenze dei servizi, nel quadro di una serie di argomentazioni volte a dichiarare manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate dal Ministero nel corso del giudizio nei confronti di una interpretazione "riduttiva" dell’art. 82, comma 9 DPR n. 616/77, come tale capace, a causa della sostanziale prevalenza delle valutazioni dell’autorità delegata, di indebolire la salvaguardia dei beni ambientali. (Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria sentenza n. 9 del 14 dicembre 2001). In particolare, premesso che l’equilibrio dei poteri disposto dall’art. 82 comma nove non appare irrazionale anche se confrontato con le diverse e sopravvenute soluzioni istituzionali previste quando le valutazioni vanno effettuate in sede di conferenza di servizi, osserva l’ A.P.:

- che il combinato disposto degli artt. 14 ss L. n. 241/90, nel testo modificato dalla L. n. 340/200, e dell’art. 20 comma 6 del testo unico in materia di edilizia 6 giugno 2001 n. 380 (procedura per il rilascio del permesso di costruire) che prevede una conferenza di servizi e rimanda agli artt. 14 bis, ter e quater della citata L. n. 241/90, dà vita a una normativa la quale, mirando a semplificare l’azione amministrativa, ha previsto un istituto (volto alla contestuale valutazione di un progetto o di una domanda di permesso di costruire da parte di più amministrazioni) che può concludersi con un "provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole", che "sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare alla conferenza" (art. 14 ter comma 9);

- che il richiamo ad ogni "atto di assenso comunque denominato" si riferisce anche ai casi di modifica di un bene sottoposto a vincolo paesistico e al potere autorizzativo regionale ed a quello statale di riesame dell’autorizzazione, che possono manifestarsi con il consenso o con il dissenso;

- che rispetto al potere esercitabile prima della conclusione del procedimento ai sensi del nono comma dell’art. 82 del DPR n. 616/77 e dell’art. 151 T.U. n. 490/99, nell’ambito della conferenza di servizi il Ministero è titolare del più ampio potere di veto, che può basarsi su valutazioni di salvaguardia diverse e opposte da quelle formulate dalla Regione o dall’ente titolare del potere di rilasciare l’autorizzazione;

- che peraltro il dissenso (eventualmente) manifestato in sede di conferenza dal Ministero non si sovrappone ex se e definitivamente alle valutazioni difformi dell’autorità competente al rilascio della autorizzazione paesistica, poiché in tal caso si attiva l’ulteriore competenza del Consiglio dei Ministri, la cui motivata determinazione finale comporta la conclusione del procedimento, in sede di alta amministrazione (art. 14 quater comma 3). La Sezione non vede ragione di discostarsi, risultano configurati con chiarezza i poteri che il Ministero, e per esso le sovrintendenze, può esercitare nell’ambito delle conferenze di servizi nelle quali, tra gli altri, viene coinvolto l’interesse pubblico alla tutela paesistico-ambientale. Con la precisazione che, in ogni caso, nella relativa procedura resta assorbito l’esercizio del potere di riesame e di annullamento ex art. 151 T.U. n. 490/99. Infatti, in caso di dissenso, la determinazione finale e conclusiva, a componimento dei contrastanti interessi in gioco, non importa se adesiva o meno al dissenso manifestato, viene assunta dal Consiglio dei Ministri, in sede di alta amministrazione (art. 14 quater comma 3); nel caso invece che il Ministero o la sovrintendenza esprimano il loro assenso al progetto, opera il meccanismo già visto in base al quale il provvedimento finale sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato (art. 14 ter comma 9). In altre parole, la procedura della conferenza di servizi si pone come alternativa a quella di cui all’art. 151 T.U. n. 490/99. Consiglio di Stato Adunanza della Sezione II, 6 febbraio 2002, n. 2457. (Vedi: sentenza per esteso)

 

Tutela paesistica dei fiumi e dei torrenti - elenchi acque pubbliche - definizione di torrenti e fiumi - D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - tutela degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna - il testo unico delle acque pubbliche - art. 822 cod. civ. - beni demaniali - acque fluenti - fiumi e torrenti il vincolo paesistico è imposto ex lege a prescindere dalla iscrizione in elenchi. Da una interpretazione letterale, logica e sistematica, si evince che i fiumi e i torrenti sono soggetti a tutela paesistica di per sé stessi, e a prescindere dalla iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. Solo per i corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche ha efficacia costitutiva del vincolo paesaggistico. Sul piano letterale, l’art. 82, comma 5, lett. c), D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, introdotto dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312, conv. nella L. 8 agosto 1985, n. 431, assoggetta a tutela <<i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna>>. La previsione è stata riprodotta, con formulazione identica, nell’art. 146, comma 1, lett. c), D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali, a norma del quale sono soggetti a tutela: <<i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna>>. La collocazione delle virgole e delle congiunzioni tra le parole <<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>> non è di per sé significativa e dirimente, al fine dell’accogliere la tesi che riferisce la iscrizione in elenco ai soli corsi d’acqua ovvero anche ai fiumi e ai torrenti. Occorre piuttosto soffermarsi sul significato delle parole <<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>>, che va desunto dal sistema normativo complessivo, in cui si inserisce la previsione in commento, e dal significato letterale delle parole utilizzate. Sul piano strettamente letterale, il dato comune a fiumi, torrenti e corsi d’acqua, è di essere acque <<fluenti>>. Si può anche aggiungere che a rigore i <<corsi d’acqua>> sono un  genere, in cui si collocano, quali specie, i fiumi e i torrenti. Dal significato proprio delle parole nella lingua italiana, si apprende,  infatti, che: il <<corso d’acqua>> indica semplicemente <<lo scorrere delle acque in movimento>>, ed è il <<nome generico di fiumi, torrenti, etc..>>; il <<fiume>> è un <<corso d’acqua a corrente perenne>>; mentre il <<torrente>> è un <<corso d’acqua caratterizzato da notevoli variazioni di regime, con periodi in cui scorre gonfio e impetuoso ed altri in cui è quasi completamente secco>>. In tale logica, solo per le acque fluenti di minori dimensioni e importanza, vale a dire per i corsi d’acqua che non sono né fiumi né torrenti, si impone, al fine della loro rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. Ulteriori argomenti esegetici a sostegno di tale tesi si colgono sul piano della interpretazione sistematica. Il testo unico delle acque pubbliche, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, all’art. 1 stabilisce che <<Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse. Le acque pubbliche sono iscritte, a cura del ministero dei lavori pubblici, distintamente per province, in elenchi da approvarsi per decreto reale, su proposta del ministro dei lavori pubblici, sentito il consiglio superiore dei lavori pubblici, previa la procedura da esperirsi nei modi indicati dal regolamento>>. Da tale norma si evince che la pubblicità di un’acqua discende dal requisito sostanziale di avere attitudine ad uso di pubblico interesse generale, mentre la iscrizione in elenco ha una portata solo dichiarativa e ricognitiva, ma non costitutiva della pubblicità. Anche l’art. 822 cod. civ. nell’individuare il demanio pubblico, considera beni demaniali <<i fiumi, i torrenti e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia>>. Da tale disamina si evince che fiumi e torrenti sono considerati beni pubblici demaniali di per sé, senza necessità alcuna di inserzione costitutiva in elenchi.  Le altre acque fluenti, che hanno minore importanza e che sono una categoria residuale, sono pubbliche se abbiano attitudine ad uso pubblico di interesse generale. In nessun caso la inserzione in elenco ha portata costitutiva della pubblicità dell’acqua, ma solo ricognitiva della attitudine dell’acqua all’uso pubblico di interesse generale. Se dunque, dal sistema normativo è dato evincere che la iscrizione di un bene in un elenco di beni pubblici non ha portata costitutiva della natura giuridica del bene medesimo, siffatta regola non può non essere stata seguita dal legislatore anche nella individuazione dei beni soggetti a vincolo paesistico. Significativo è poi l’uso, da parte della L. n. 431 del 1985, della stessa terminologia impiegata nell’art. 822 cod. civ.: in entrambe le norme si parla di fiumi e torrenti, rispetto ai quali si collocano le altre acque, per le quali si richiede, ai fini della individuazione, la iscrizione in elenco. Sicché, per fiumi e torrenti la pubblicità degli stessi esiste di per sé, in base all’art. 822 cod. civ., e conseguentemente anche il vincolo paesistico è imposto ex lege a prescindere dalla iscrizione in elenchi.  Consiglio Stato Sez. VI, 04 febbraio 2002, n. 657.  (vedi: sentenza per esteso)

 

Vincolo paesaggistico - efficacia - zona deturpata. Il vincolo paesistico legale e la esigenza di tutela ad esso sottesa non vengono meno per il solo fatto che il vincolo è stato già in passato violato e la zona deturpata, imponendosi, al contrario, un maggiore rigore per il futuro, onde prevenire ulteriori danni all’ambiente e salvaguardare quel poco di integro che ancora residua. La circostanza che una zona sia prevalentemente urbanizzata, o addirittura già paesisticamente degradata, non fa venir meno la esigenza di evitare che una zona soggetta per legge a vincolo sia preservata da ulteriori interventi deturpanti. Consiglio Stato Sez. VI, 04 febbraio 2002, n. 657.  (vedi: sentenza per esteso)

  

Vincoli paesaggistici - il sindacato sul nulla osta paesistico è di sola legittimità - carenza di motivazione - sindacato ministeriale - il potere di annullamento dei nulla osta paesistici spetta al dirigente - potere di delega ai dirigenti preposti agli uffici periferici. Il sindacato sul nulla osta paesistico è di sola legittimità, e non si estende al merito, non è compito dell’amministrazione statale, in sede di annullamento del nulla osta medesimo, dettare prescrizioni sulle modalità realizzative dell’intervento. Sicché, risulta confermata, e non smentita, la carenza di motivazione del nulla osta paesistico, il cui unico argomento a tutela del paesaggio è la prescrizione di usare colori tenui. Quando ciò accade, vi sarebbe effettivamente un inammissibile intervento di merito, sostitutivo dell’amministrazione locale. Invero, stante la natura di sola legittimità del sindacato ministeriale sui nulla osta paesistici, correttamente in sede di annullamento degli stessi vengono solo indicati i vizi del nulla osta e le ragioni di incompatibilità ambientale dell’intervento, senza dettare prescrizioni in ordine alle modalità per rendere l’intervento medesimo paesisticamente compatibile, attenendo le prescrizioni ad un sindacato di merito precluso all’autorità statale. Il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, attua un riparto tra competenze politiche e di direzione politico amministrativa, riservate al Ministro, e competenze amministrative, attribuite alla dirigenza. Il potere di annullamento dei nulla osta paesistici è un tipico potere di gestione amministrativa, che spetta al dirigente del competente ufficio centrale, il quale, a sua volta, ben può delegarlo ai dirigenti preposti agli uffici periferici. Consiglio Stato Sez. VI, 04 febbraio 2002, n. 657.  (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - tutela del paesaggio e art. 9 della Costituzione - profilo esegetico.   Sotto il profilo dei valori coinvolti, l’art. 9 della Costituzione ha disposto che la tutela del paesaggio rientra nell’ambito dei principi fondamentali della Repubblica. Come si evince anche dai lavori dell’Assemblea Costituente, si è così ampliato il novero delle aree sottoponibili alla protezione ambientale, non limitate alle sole bellezze naturali, ma estese al paesaggio nel suo complesso, e cioè alla parte del territorio che il legislatore (con norme impositive del vincolo o per il tramite di atti amministrativi) ritenga meritevole di particolare protezione per ragioni di ordine ambientale, ecologico o culturale. Per la salvaguardia dei valori paesistici e per consentire alle successive generazioni la loro fruibilità, la legge fondamentale ha attribuito all’amministrazione statale il potere di sottoporre determinati beni ad un peculiare regime giuridico, di controllare il rispetto del vincolo e di gestire uno specifico ius in rem in sede di esame della domanda di autorizzazione prevista dall’art. 7 (definita anche come "nulla osta" o "parere" o "favorevole avviso": art. 25 del r.d. n. 1357 del 1940), avente natura concessoria (art. 82, secondo comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977) e di licenza (come già disposto dalla legge n. 788 del 1922), in considerazione dei ‘poteri di ingerenza’ basati su giudizi di valore e valutazioni tecnico-discrezionali, in quanto tali insindacabili nella sede giurisdizionale di legittimità. Mentre la prima sottocommissione ancora si riferiva alla "protezione dello Stato" per "i monumenti artistici, storici e naturali, in qualsiasi parte del territorio della Repubblica e a chiunque appartengano" (con ciò riferendosi ai caratteri naturali di rilievo monumentale), già il comitato di redazione aveva poi proposto il testo dell’art. 27 (composto da un primo simile periodo, riguardante "i monumenti artistici e storici", e da un secondo periodo, per il quale "compete allo Stato anche la tutela del paesaggio") con l’abbandono del criterio monumentale. La Costituzione in tal modo ha consentito la protezione non solo dei beni rientranti nel novero delle bellezze naturali e determinati in concreto in sede amministrativa nell’ambito delle categorie indicate dalla legge e originariamente di interesse pubblico (Corte Cost., 29 maggio 1968, n. 56), ma anche delle aree del territorio nazionale determinate dalla legge ‘per categoria’ (Corte Cost., 8 maggio 1998, ord. n. 158; 23 luglio 1997, n. 262; 3 ottobre 1990, n. 430; 20 luglio 1990, n. 344; 27 giugno 1986, n. 151) e ritenute meritevoli di particolare protezione dal legislatore, a seconda dei casi, col divieto assoluto di interventi modificativi ovvero con la subordinazione di ogni modifica alla prescritta autorizzazione. Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria Decisione n. 9 del 14 dicembre 2001.   (Vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica -  tutela disposta con la legge n. 431 del 1985 - i principi Costituzionali - i compiti della Repubblica - preminenza della tutela del paesaggio - definizione in senso lato della tutela ecologica  - l’uso globale del territorio. Al fine di determinare l’ambito della tutela disposta con la legge n. 431 del 1985 (di seguito trattata), rilevano in materia i principi più volte enunciati dalla Corte Costituzionale, per la quale:

- "la tutela del paesaggio è compito della Repubblica e quindi in primo luogo dello Stato" (Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 378), che ben può delegare le relative funzioni amministrative alle Regioni (Corte Cost., 29 dicembre 1982, n. 239);

- le esigenze di tutela del paesaggio si pongono quale "valore di straordinario rilievo" (Corte Cost., 1° aprile 1985, n. 94), primario ed insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro (Corte Cost., 23 luglio 1997, n. 262; 18 ottobre 1996, n. 341; 28 luglio 1995, n. 417; 20 febbraio 1995, n. 46; 24 febbraio 1992, n. 67; 9 dicembre 1991, n. 437; 11 luglio 1989, n. 391; 27 giugno 1986, n. 151; 21 dicembre 1985, n. 359);

- la tutela del paesaggio "va intesa nel senso lato della tutela ecologica" (Corte Cost., 3 ottobre 1990, n. 430) e della "conservazione dell’ambiente" (Corte Cost., 11 luglio 1989, n. 391), ha "una strettissima contiguità con la protezione della natura, in quanto contrassegnata da interessi estetico-culturali", ed è "basata primariamente sugli interessi ecologici e quindi sulla difesa dell’ambiente come bene unitario, pur se composto da molteplici aspetti rilevanti per la vita naturale e umana" (Corte Cost., 15 novembre 1988, n. 1029) e per la salute (Corte Cost., 3 giugno 1989, n. 391);

- l’imposizione in concreto del vincolo paesistico "contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio" (Corte Cost., 21 novembre 1997, n. 345) e ne evita le alterazioni (Corte Cost., 22 ottobre 1996, n. 355);

- in sintesi, l’art. 9 della Costituzione "tutela il paesaggio-ambiente, come espressione di principio fondamentale dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo e si sviluppa la persona umana" (Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 378; 1° aprile 1998, n. 85).

Dai principi suesposti emerge, dunque, che mediante la tutela del paesaggio e l’imposizione dei vincoli paesistici si salvaguarda l’ambiente (nel suo complesso tutelato dalle normative di settore concernenti l’uso globale del territorio), tanto che la legislazione ordinaria è oramai da tempo univocamente orientata nel senso di qualificare i beni sottoposti a vincolo paesistico come aree "di particolare interesse ambientale" (v. la stessa intitolazione del decreto legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, e dell’art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977). Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria Decisione n. 9 del 14 dicembre 2001.   (Vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica - vincoli paesaggistici - controllo sulle attività - vigilanza e la repressione degli abusi - titolarità dello Stato. Tutti gli altri poteri previsti dalla legge n. 1497 del 1939 (riguardanti la imposizione del vincolo paesistico, l’autorizzazione di opere sull’area vincolata, il controllo sulle attività, la vigilanza e la repressione degli abusi) sono rimasti nella titolarità dello Stato, con una scelta che la Corte Costituzionale (sent. 24 luglio 1972, n. 141) ha ritenuto consentita dalla netta distinzione sancita nella Costituzione in ordine alla tutela del paesaggio e alla materia dell’urbanistica (Corte Cost., 23 luglio 1997, n. 262; 28 luglio 1995, n. 417; 22 luglio 1987, n. 183; 27 giugno 1986, n. 152; 29 dicembre 1982, n. 239). Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria Decisione n. 9 del 14 dicembre 2001.   (Vedi: sentenza per esteso)

 

Regioni - imposizioni di ulteriori vincoli paesistici tutelabili con leggi regionali di carattere urbanistico. La legge ha sottoposto al vincolo paesistico le categorie di beni ambientali e culturali ivi determinate (ed elencate dal quinto comma del novellato art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977) ed ha significativamente ampliato l’ambito delle aree sottoposte al vincolo, prevedendo una normativa non modificabile dalle Regioni (Corte Cost. 22 luglio 1996, n. 270) e una "protezione minimale, che non esclude né preclude normative regionali di maggiore o pari efficienza" (Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379; 13 luglio 1990, n. 327; 27 giugno 1986, n. 151), che contengano "imposizioni anche immediatamente vincolanti a difesa dei valori paesistici ed ambientali" (Corte Cost. 27 luglio 2000, n. 378), del resto anche tutelabili con leggi regionali di carattere urbanistico (Corte Cost., 29 dicembre 1982, n. 239). Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria Decisione n. 9 del 14 dicembre 2001.   (Vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica - aree vincolate - art. 163, comma 1, del testo unico n. 490 del 1999 - specifica figura di reato -  la titolarità da parte dello Stato dei valori del paesaggio - "tutela dell’ambiente". Per rafforzare la tutela delle aree vincolate dalla legge n. 431 del 1985, l’art. 1 sexies (trasfuso nell’art. 163, comma 1, del testo unico n. 490 del 1999) ha disciplinato una specifica figura di reato, per i casi di esecuzione di "lavori di qualsiasi genere" "senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa" (tranne quelli previsti dal dodicesimo comma del novellato art. 82), così prevedendo, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 5 del codice penale, un sistema nel quale sussistono particolari doveri di diligenza e di informazione per l’interessato, in relazione alle condotte vietate ed al momento della produzione degli effetti del titolo abilitativo (Cass. pen., Sez. III, 7 marzo 1997, Arcucci). In primo luogo, la titolarità da parte dello Stato dei valori del paesaggio (più volte rimarcata anche dalla Corte Costituzionale in base all’art. 9 Cost.) comporta che la materia, pur se evolvesse nel senso della riduzione dei poteri statali, non potrebbe caratterizzarsi per il loro trasferimento (v. anche il vigente art. 117 Cost.). In secondo luogo, i richiamati articoli 56 e 57 vanno interpretati tenendo conto delle complessive disposizioni del capo I della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, che non ha riguardato la materia del paesaggio e, alla lettera c) del comma 4 dell’art. 1, ha escluso dalla delega "i compiti di rilievo nazionale … per la tutela dell’ambiente". Come già si è evidenziato, nell’ambito della "tutela dell’ambiente" (di cui all’art. 1, comma 4, della legge n. 59 del 1997) rientra anche quella del paesaggio. Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria Decisione n. 9 del 14 dicembre 2001.   (Vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica - vincoli paesaggistici - atto impugnato - la Regione quale ente subdelegato - potere di rilasciare l’autorizzazione - l’approvazione regionale del piano urbanistico è indefettibile - mancato esercizio del potere di annullamento nel termine di sessanta giorni - comporta un sostanziale silenzio-consenso e la produzione degli effetti della autorizzazione. Nel sistema vigente alla data di emanazione dell’atto impugnato in primo grado e ancora attuale, salve le autonomie speciali il potere di rilasciare l’autorizzazione paesistica spetta:

- alla Regione (quale autorità delegata) ovvero all’ente subdelegato (con legge regionale, ai sensi del previgente art. 118, terzo comma, della Costituzione e del vigente art. 118, secondo comma), ai sensi del primo periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 2, del testo unico n. 490 del 1999);

- al Ministero, solo nel caso di inerzia della Regione (o dell’ente subdelegato), ai sensi del terzo periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 5, del testo unico), e previa comunicazione dell’istanza all’amministrazione inerte (salvi i casi previsti dai commi decimo e undicesimo dell’art. 82, di seguito esaminati).

- nell’attuale sistema, l’approvazione regionale del piano urbanistico è indefettibile (Corte Cost., 26 giugno 2001, n. 206), non può avere luogo per silenzio-assenso a seguito della mera inerzia e, inoltre, può apportare modifiche al piano adottato dal Comune (v. l’art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150), sicché esso può essere qualificato come atto complesso (sia pure a complessità diseguale o non paritaria);

- invece, una volta rilasciata l’autorizzazione paesistica, da un lato il mancato esercizio del potere di annullamento nel termine di sessanta giorni, come constatato dall’autorità emanante, comporta un sostanziale silenzio-consenso e la produzione degli effetti della autorizzazione (sicché la fattispecie abilitativa si perfeziona anche in assenza di un espresso atto statale di consenso), e dall’altro la legge non consente che il tempestivo provvedimento statale modifichi l’autorizzazione e influisca su cosa possa essere realizzato. Per la pacifica giurisprudenza, il Ministero può annullare l’autorizzazione paesistica anche quando risulti un suo profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta). Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria Decisione n. 9 del 14 dicembre 2001.   (Vedi: sentenza per esteso)

 

Vincoli paesaggistici - competenza del ministero ad annullare l’autorizzazione paesistica anche per i profili di eccesso di potere. Per la pacifica giurisprudenza, il Ministero può annullare l’autorizzazione paesistica anche quando risulti un suo profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta). Al riguardo, la Corte Costituzionale ha ritenuto che l’art. 1 bis sia conforme ai principi costituzionali, in considerazione dell’esigenza di tutelare il paesaggio non solo sotto il profilo "conservativo e statico", ma anche per quello "gestionale e dinamico" (sent. 27 giugno 1986, n. 151). Il Ministero può esercitare un potere tecnico discrezionale sul "se" annullare l’autorizzazione, nel senso che può gestire il vincolo prestando il proprio consenso (anche quando l’autorizzazione non risulti adeguatamente motivata), qualora l’originaria domanda risulti di per sé accoglibile e non lesiva per i valori salvaguardati (salva la tutela giurisdizionale di chi sia legittimato ad impugnare l’autorizzazione illegittima); Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria Decisione n. 9 del 14 dicembre 2001.   (Vedi: sentenza per esteso)


Vincoli paesaggistici - illegittimità del provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica in assenza di una “adeguata motivazione”. Il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sulla esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall’autorità che ha emanato l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola-cardine della leale cooperazione o con gli altri principi sulla legittimità dell’azione amministrativa. Nel caso di specie, la Soprintendenza ha formulato un proprio giudizio sulla non compatibilità dell’intervento con le esigenze di salvaguardia dell’area vincolata, con alcune osservazioni sul pregiudizio ambientale, le quali (pur non inficiando di per sé l’atto di annullamento, poiché miranti a fare emergere la rilevanza dei valori tutelati) non hanno evidenziato uno specifico vizio della autorizzazione comunale. Per le ragioni che precedono, il decreto della Soprintendenza impugnato in primo grado risulta illegittimo e va annullato, poiché ha dato prevalenza alle proprie valutazioni sulla esigenza di salvaguardare il bene ambientale, rispetto a quello formulate dal Comune, senza esporre una adeguata motivazione sulla sussistenza di uno specifico profilo di illegittimità dell’autorizzazione paesistica.
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria Decisione n. 9 del 14 dicembre 2001.   (Vedi: sentenza per esteso)

 

Violazione delle prescrizioni concernenti zone sottoposte a vincolo paesistico - costruzione in parziale difformita' rispetto all'autorizzazione paesistica - sanzione di cui alla lettera a) dell'art. 20 L.n. 47 del 1985 - applicabilita'. La violazione delle prescrizioni urbanistiche per le zone di particolare interesse ambientale, sanzionate dall'art. 1 sexies d.l. n. 312 del 1985, conv. nella legge n. 431 del 1985, allorche' abbia comportato la costruzione in parziale difformita' rispetto all'autorizzazione paesistica, comporta l'applicazione della sanzione prevista dall'art. 20 lett. a) e non quella di cui all'art. 20 lett. c) della legge n. 47 del 1985, applicabile, per contro, solo nel caso di costruzione in assenza o in totale difformita' dall'autorizzazione predetta. Corte di Cassazione Sez. III del 7/12/2001, sentenza n. 12873

 

Demanio - opere in area demaniale a norma dell’art. 841 cod. civ. - diffida a demolire ed a ripristinare lo stato dei luoghi.  E’ legittima la diffida a demolire alcune opere edilizie abusive consistenti in un impianto per innaffiare ed in supporti per lampade per illuminazione realizzati su un presupposto terreno demaniale non contestato. Considerata la finalità perseguita, le opere suddette vanno viste, non nei singoli elementi indicati (cordolo, muretto, ecc), ma nel loro insieme, il quale, per le sue dimensioni, ha un cospicuo impatto sul territorio e, come ha rilevato il Giudice di primo grado, comporta una modificazione non precaria dell’area preesistente sotto i profili urbanistico-edilizio, ambientale ed estetico. (Il parcheggio così realizzato, per altro, non è configurabile quale mera pertinenza dell’edificio destinato ad albergo in prossimità del quale è situato, in quanto, secondo le risultanze in atti, suscettibile di uso autonomo). Di qui la necessità della previa concessione edilizia e, conseguentemente, l’infondatezza delle censure dedotte dalla ricorrente, siccome intese ad ascrivere la costruzione di cui si tratta, per un verso, tra le manifestazioni del diritto di recingere il proprio fondo che a norma dell’art. 841 cod. civ. compete al proprietario e, per altro verso, alla categoria delle pertinenze soggette a semplice autorizzazione, secondo il disposto dell’art. 7 del D.L. 23 gennaio 1982 n. 9. Occorre tener presente, inoltre, che i provvedimenti impugnati sono stati adottati dal Comune ai sensi dell’art. 14 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 sul presupposto della natura demaniale dell’area sulla quale le opere sono state realizzate. Presupposto, questo, che, in alcun modo contestato, è sufficiente a legittimare sia la diffida, sia l’ingiunzione a demolire ed a ripristinare lo stato dei luoghi. Consiglio di Stato sez. V del 7 dicembre 2001, n. 6157.

Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche - provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque - giurisdizione del giudice amministrativo - le finalità  di tutela paesistica e ambientale, non sfuggono alla speciale giurisdizione del T.S.A.P. Ai sensi dell'art. 143 lett. a) R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775, spettano al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche le controversie che attengono a provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche: si veda, ad es., in generale SS.UU. dec. 15 luglio 1999 n. 403, a tenore della quale appartengono alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche tutti quei provvedimenti amministrativi che, anche se aventi finalità diverse, incidono in maniera diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche. Più in particolare, per quanto riguarda le concessioni edilizie, cfr. T.S.A.P., 29 maggio 1998 n. 52, in cui si afferma che la giurisdizione del detto tribunale ricomprende tutti gli atti i quali investono direttamente il regime delle acque pubbliche, nel cui ambito devono essere ricompresi anche gli atti generali in materia urbanistica nelle parti in cui siano diretti a influire in via immediata e diretta sul regime delle acque pubbliche, ivi  comprese le concessioni edilizie allorché incidano sul suddetto regime. (Le opere in questione hanno una diretta incidenza sulla regimazione delle acque del fiume Trebbia,  dato che il progetto prevede il ripristino dello scorrimento delle acque nel letto del fiume, fino all'impatto con la traversa esistente e ora da ripristinare e completare, acque che attualmente scorrono in una galleria artificiale per un tratto di circa trecento metri a suo tempo scavata sul fianco del letto del fiume). Ciò chiarito, poiché tutti gli atti impugnati nella presente controversia sono da considerare come direttamente incidenti sul regime delle acque del fiume Trebbia, appare al Collegio evidente l'insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo. Non vale opporre che i provvedimenti impugnati (sospensione dell'autorizzazione alla deviazione delle acque, annullamento della concessione edilizia, apposizione di un termine alla autorizzazione suddetta e sospensione  della concessione di derivazione acque) avrebbero a proprio presupposto  finalità  di tutela paesistica e ambientale, e come tali sfuggirebbero alla speciale giurisdizione del T.S.A.P., che riguarda la diversa materia della tutela delle acque pubbliche: al contrario, ciò che rileva, ai fini della individuazione del giudice competente, è soltanto l'incidenza oggettiva sul regime delle acque, per cui sono considerati provvedimenti in materia di acque pubbliche tutti quei provvedimenti amministrativi i quali, pur  costituendo esercizio di un potere non propriamente attinente alla materia in parola, che incidono cioè su interessi generali o diversi rispetto a quelli specifici relativi alla demanialità delle acque, attengano comunque alla utilizzazione del demanio stesso, interferendo immediatamente e direttamente sulle opere destinate a tale utilizzazione, e cioè, in definitiva, sul regime delle acque pubbliche (SS.UU., 18 dicembre 1998 n. 12706). E che tali provvedimenti, aventi finalità diverse da quelle direttamente attinenti alla regimazione delle acque, ricadano comunque nella giurisdizione del T.S.A.P., nel caso in cui, naturalmente, incidono in maniera diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche, risulta espressamente affermato, dalle SS.UU, 15 luglio 1999 n. 403, anche con espresso riferimento a provvedimenti emanati a tutela di interessi paesistici e ambientali, come nella specie. Consiglio di Stato Sez. V Sentenza del 3.12.2001, n. 6012.     (vedi: sentenza per esteso)  

Tutela paesistica e disciplina urbanistica - rapporti - nozione del paesaggio - uso del territorio - protezione dell'ambiente. Tutela paesistica e disciplina urbanistica appaiono governati nel nostro ordinamento da una reciproca autonomia. Già la Corte costituzionale, con numerose pronunce (tra cui la n. 359 del 21 dicembre 1985) afferma che la nozione del paesaggio, così come delineata dall'articolo 9 della Costituzione, non appare riconducibile a quella di urbanistica la quale, pur nella lata accezione di cui all'articolo 80 del DPR 616 del 1977, non esclude la configurabilità in ordine allo stesso territorio di altre valutazioni e discipline. In altri termini, la materia urbanistica non può, per sua stessa natura, essere assimilata ad una delle tante materie oggetto dell'usuale riparto di competenze tra Stato, Regioni. Con riferimento alla materia urbanistica, non possono valere quindi gli usuali canoni di definizione delle materie, sulla base dei dati normativi, e di conseguente attribuzione di ogni singolo oggetto ad una specifica materia, al fine di chiarire la spettanza del relativo potere. L'equivoco, culturale ancor prima che giuridico, si è palesato in modo significativo in occasione dell'entrata in vigore del DPR 616 del 1977, che come noto tentò una definizione delle materie trasferite alle Regioni. In particolare, per quanto concerne l'urbanistica, all'articolo 80 si definisce la materia come la disciplina dell'uso del territorio, comprensiva della protezione dell'ambiente. Non si trattò, come venne talvolta equivocato, dell'inclusione della materia ambientale in quella urbanistica, ma dell'enunciazione, sia pure esemplificativa, di un dato indiscutibile, che sul territorio insistono più interessi, tra cui quello ambientale. Tentare di chiarire i riparti di competenze usando per l'urbanistica lo stesso metro adottato per le altre discipline o meglio materie, denota quindi un approccio che ne ignora le peculiarità, in primis quella di essere una specie di "contenitore" nel cui ambito è dato ritrovare i più vari beni tutelabili dall'ordinamento. In altri termini, l'urbanistica va considerata non tanto di per sé, quanto come sistema di organizzazione dei vari valori od interessi presenti nel territorio. Essa va intesa come mezzo, come strumento di razionalizzazione ed organizzazione di altri beni. Con lo strumento urbanistico si può e deve tutelare anche il bene ambiente o paesaggio. Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sezione III, Sentenza del 28.11.2001, n. 4131.  (vedi: sentenza per esteso)

Beni Culturali e ambientali - Annullamento di un'autorizzazione paesaggistica - Esame della documentazione - Valutazione degli elementi - Funzione di controllo. L'amministrazione statale ai fini dell'annullamento di un'autorizzazione paesaggistica, soprattutto quando trattasi di un parere ai fini del condono di opere già realizzate, deve valutare gli specifici elementi emergenti dall'esame della documentazione attinente all'autorizzazione rilasciata, per giustificare un giudizio di sufficienza o meno di motivazione. Diversamente, l'atto ministeriale esula dalla sua funzione di controllo di legittimità dell'autorizzazione concessa, per operare un inammissibile riesame complessivo delle valutazioni tecnico - discrezionali compiute dalla regione, o dall'autorità da questa delegata. Ministero per i beni culturali ed ambientali c. Rosso e altri. CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 05/10/2001, Sentenza n. 5269

Protezione dell’ambiente - riconducibilità alla materia urbanistica - potere del comune di introdurre nuovi vincoli. Le funzioni amministrative riferibili alla protezione dell'ambiente rientrano tra quelle relative alla materia urbanistica; pertanto, le funzioni attribuite alle Regioni dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 in tema di tutela delle zone di particolare interesse ambientale rappresentano le condizioni minime di salvaguardia, non riducibili dagli strumenti urbanistici, con la conseguenza che il Comune ha il potere di introdurre un'autonoma disciplina urbanistica di salvaguardia ispirata a fini di tutela ambientale, volta a rafforzare i vincoli già esistenti o ad introdurne di nuovi ( Cfr., fra le tante, T.A.R. Lazio, I Sez., 30 novembre 1989, n. 1729 e 3 giugno 1995, n. 960). Tar Friuli Venezia Giulia, 21 luglio 2001, n. 421.

I pareri ex art. 32 legge n. 47/85 - motivazione sanatoria  delle opere edilizie realizzate abusivamente in zone protette - controllo: dell'autorità locale e del Soprintendente - potere di annullamento - limiti del riesame. Premesso che i pareri ex art. 32 della legge n. 47/85, per la sanatoria di opere edilizie realizzate abusivamente in zone protette, "devono essere ancora più adeguatamente motivati in ordine all'effettiva compatibilità delle stesse opere con gli specifici valori paesaggistici dei luoghi". Ne consegue che l'autorizzazione comunale deve essere necessariamente motivata ed il controllo di legittimità dell'autorità statale si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione (Cons. St., VI, 28.1.2000 n. 424; Idem, 3.2.2000 n. 630; Idem, 8.3.2000 n. 1162). Si palesa legittimo, sotto il profilo in esame, il provvedimento con cui il Soprintendente, cui compete il controllo in ordine alla corretta gestione del vincolo da parte dell'autorità locale, censura per carenza di motivazione la determinazione recante il parere favorevole al rilascio della concessione in sanatoria per le opere abusivamente realizzate. Il potere di annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico non deve risolversi in un riesame complessivo delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dalla Regione, con una conseguente sovrapposizione o sostituzione di una nuova ed opposta valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità il quale, però, si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere (Cons. St., ult. cit; Idem, 8.3.2000 n. 1162). T.A.R. Toscana, sez. III, 11 luglio 2001 n. 1197.    (vedi: sentenza per esteso)

Avvio procedimento - obbligo di motivazione della concessione edilizia in sanatoria su area vincolata. La giurisprudenza amministrativa (Cons. St., VI, 17.2.2000 n. 909) ha già affrontato la questione con una prima pronuncia che afferma l'obbligo dell'amministrazione di dare comunicazione dell'avvio del procedimento relativo all'annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497/1939, richiamando il principio affermato dalla Corte costituzionale, ed affermando che, in mancanza, il privato non é in grado di conoscere il preciso momento di perfezionamento o di integrazione dell'efficacia dell'atto autorizzatorio a seguito del superamento del termine ultimo per il riesame dell'atto in sede ministeriale; la questione sarebbe stata infine superata dal D.M. n. 495/94, stante la più ampia portata garantista del regolamento (applicabile sia ai procedimenti promossi d'ufficio sia a quelli su iniziativa di parte, in virtù dell'art. 1) rispetto a quella dell'art. 7 della legge n. 241/90, che renderebbe irrilevante che l'avvio originario del procedimento autorizzatorio sia avvenuto ad istanza del privato (vanificando la tesi dell'inapplicabilità dell'art. 7 fondata sulla concezione unitaria del procedimento di annullamento come sviluppo naturale del procedimento autorizzatorio). Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sez. III, 11 luglio 2001 n. 1197.   (vedi: sentenza per esteso)

Realizzazione di opere non autorizzate - preventiva valutazione art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (oggi art. 163 n. 490/99 T.U. Beni culturali e ambientali) - zone paesisticamente vincolate - reato di pericolo - necessità dell’autorizzazione - interventi di manutenzione, ordinaria e straordinaria, consolidamento statico o restauro conservativo - alterazione dello stato dei luoghi. Il reato di cui all’art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (attualmente art. 163 del D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490) è reato di pericolo e tale sua natura esclude dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio. Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita, in assenza dell’autorizzazione già prevista dall’art. 7 della legge n. 1497 del 1939 (ed attualmente dall’art. 151 del D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490), ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché l’esecuzione di “opere di qualunque genere” (ad eccezione degli interventi consistenti nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici - già art. 1 della legge n. 431/1985 ed attualmente art. 152 del D.L.vo n. 490/1999). Il legislatore, imponendo la necessità dell’autorizzazione, ha inteso assicurare una preventiva valutazione, da parte della pubblica amministrazione, dell’impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti sia in opere edilizie sia in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A. sia posta di fronte al fatto compiuto. Corte di Cassazione, sez. III, 13 giugno 2001, (ud. 23 marzo 2001), Sentenza n. 23766

Rimessione in pristino in zona assoggettata a vincolo paesaggistico - subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva - legittimità - lo stesso principio va applicato all’ordine di rimessione in pristino - obbligo a carico del giudice. È legittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva. Tale principio, a maggior ragione, deve applicarsi all’ordine di rimessione in pristino già previsto dall’art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (ed attualmente dall’art. 164 del D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490), allorché si consideri che: - è sicuramente possibile l’utilizzazione del disposto dell’art. 165 c.p., rivolto a rafforzare il ravvedimento del condannato, poiché la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, ben può comportare “conseguenze dannose o pericolose”; - la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di giustizia sotteso all’esercizio stesso dell’azione penale; - in relazione a tale peculiare sanzione la Corte costituzionale ha affermato che essa costituisce un obbligo a carico del giudice - imposto per la più incisiva tutela di un interesse primario della collettività per la salvaguardia del valore ambientale presidiato dalla norma che lo prevede - e si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della pubblica amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi quale conseguenza necessaria sia dell’esigenza di recuperare l’integrità dell’interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore ha dato all’attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare interesse ambientale (Corte cost., sent. 20 luglio 1994, n. 318). Corte di Cassazione, sez. III, 13 giugno 2001, (ud. 23 marzo 2001), Sentenza n. 23766

Piano Territoriale Paesistico Regionale - vincoli ambientali. Il piano paesistico regionale, infatti, non supera i vincoli paesistici bensì ne costituisce uno “strumento di attuazione” essendo diretto a disciplinarne l’operatività (Corte Costituzionale 13/7/1990, n. 327). Esso può determinare la portata, i contenuti e gli effetti dei vincoli già imposti al fine di disciplinarne l’operatività superando l’episodica e frammentaria tutela derivante da un mero regime autorizzatorio. Pertanto, poiché il vincolo permane e non viene meno con l’approvazione del piano paesistico (cfr Cons. Stato, sez. VI, 20/1/1998, n. 106) quest’ultimo non può mai derogare, per categorie di opere, alla necessità dell’autorizzazione poiché ciò attiene al regime inderogabile del vincolo stesso. In caso contrario il piano paesistico più che uno strumento di attuazione e gestione del vincolo costituirebbe un inammissibile strumento di attenuazione se non di deroga. In definitiva, per ciò che attiene all’edificazione, il piano paesistico ben può individuare degli interventi che, per la loro natura, funzione o dimensione, sono in posizione di incompatibilità assoluta con i valori salvaguardati dal vincolo precludendo, in tal modo, ogni possibilità autorizzatoria. Al contrario per le restanti opere la compatibilità continua a dover essere valutata in concreto essendo indispensabile un giudizio tecnico-discrezionale puntuale da effettuarsi con la specifica autorizzazione, caso per caso, ai sensi dell’articolo 7 della legge 1497 del 1939. Naturalmente, al fine di omogeneizzare gli interventi, il piano può stabilire criteri, parametri e tipologie a salvaguardia del settore protetto, per evitare che le aree siano utilizzate in modo pregiudizievole per i valori tutelati dal vincolo paesistico, quali criteri generali per l’esercizio del potere autorizzatorio nei casi concreti. Pertanto, l’elencazione delle opere consentite dall’articolo 17 del P.T.P. della Regione Emilia-Romagna non consiste in una automatica autorizzazione generale. Essa individua alcune tipologie di opere astrattamente compatibili con il vincolo, ferma restando la necessaria autorizzazione, ai sensi dell’art. 7 della legge 1497/1939, previa verifica di una puntuale compatibilità in concreto dell’opera edilizia stessa con i valori tutelati dal vincolo nel particolare contesto in cui l’intervento si inserisce. Le autorizzazioni ex articolo 7 citato, anche se hanno natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, debbono essere congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito l’iter logico che ha condotto a ritenere le opere autorizzate non lesive dei valori paesistici sottesi all’imposizione del vincolo (cfr ex multis Cons. Stato, sez. VI, 2/3/2000, n. 1096; Cons. Stato, sez. VI, 8/3/2000, n. 1162; Cons. Stato, sez. VI, 3/11/2000, n. 5934). Tar Emilia Romagna, sez. staccata di Parma, sent. del 24 maggio 2001 n. 262.   (vedi: sentenza per esteso)

Vincoli paesaggistici - provvedimento autorizzatorio regionale - è annullabile da parte della Soprintendenza - potere di vigilanza - autorizzazioni concernenti interventi in zone paesistiche protette - devono essere congruamente motivati con l’indicazione dell’iter logico in ordine alle ragioni di compatibilità oggettiva. Per giurisprudenza consolidata, il provvedimento autorizzatorio regionale (o sub regionale) è atto applicativo di gestione del vincolo paesaggistico e non modificativo di esso e la sua funzione è quella di verificare la compatibilità dell'opera con le esigenze di conservazione della bellezza naturale oggetto del vincolo, che ha assunto le caratteristiche ambientali come valori specifici della zona, con la conseguenza che, non potendo l'autorizzazione derogare all'accertamento contenuto nel provvedimento di vincolo, una valutazione di compatibilità che si traduca in una oggettiva deroga, concreta una autorizzazione illegittima (cfr. Cons. Stato VI sez. 15 dicembre 1981 n. 751 e 19 maggio 1981 n. 221) e come tale annullabile da parte della Soprintendenza il cui potere è da intendersi non già di un riesame del merito del provvedimento, bensì di annullamento di ufficio per motivi di illegittimità riconducibili al più generale potere di vigilanza (cfr. Cons. Stato sez. VI 12 novembre 1993 n. 849). L'espletamento di quest'ultima attività consente all'organo investito del relativo potere, un puntuale e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio ex art. 7 L. 1497 del 1939, potendo l'annullamento riguardare tutti i vizi di legittimità comprese le singole ipotesi riconducibili all'eccesso di potere ivi compresa la carenza di motivazione. Dal percorso giurisprudenziale testè esposto si ricava altresì che in sede di autorizzazione ex art. 7 L. n. 1497/1939 è necessaria una adeguata motivazione anche dei provvedimenti positivi (cfr. Cons. Stato sez. VI 15 dicembre 1981 n. 751 e 19 maggio 1981 n. 221 citata) i quali, nel caso di autorizzazione concernenti interventi in zone paesistiche protette devono essere congruamente motivati con l'indicazione dell'iter logico seguito in ordine alle ragioni di compatibilità oggettiva che -in riferimento agli specifici valori paesistici dei luoghi- possano, ove sussistenti, consentire tutti i progettati lavori considerati nella loro globalità (cfr. Cons. Stato VI Sez. 5 luglio 1990 n. 692 e 12 maggio 1994 n. 765). T.A.R. Campania, sede di Napoli, Sezione IV, sent. n. 1765\2001

Le opere consistenti in aumenti della cubatura ove ricadenti in aree protette, sono comunque da considerarsi come eseguiti in totale difformità della concessione. Ai fini della applicazione dell’art. 7 (e dell’art. 20) della legge n. 47/1985, le opere consistenti in aumenti della cubatura ove ricadenti in aree protette, sono comunque da considerarsi come eseguiti in totale difformità della concessione, come dispone l’art. 8 della stessa legge n. 47/1985, mentre tutti gli altri interventi sui medesimi immobili, come prosegue lo stesso art. 8 sono considerati variazioni essenziali, i quali ove abusivi vanno repressi mediante le sanzioni previste dal citato art. 7 l. n. 47/1985. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3590.   (vedi: sentenza per esteso)  

Annullamento statale ex art. 1 L. 431/85 - potere autonomo - necessità di notifica dell’attivazione del procedimento al soggetto interessato (ex legge n. 241/90). La facoltà di annullamento dell’autorizzazione rilasciata dalla Regione “è soggetta al potere ministeriale di cui all’art. 1 comma 5° della L. 8.8.1985 n. 431, ed è un potere inquadrabile in una fase dotata di una propria autonomia, tale da giustificare e richiedere la necessità di portare a conoscenza del soggetto principalmente interessato (cioè colui che ottenne l’autorizzazione) l’avvenuta sua attivazione, proprio al fine di consentirgli un completo apporto partecipativo, soprattutto quando l’intendimento della Sovrintendenza di procedere all’annullamento sia motivato in termini di eccesso di potere. Infatti, “l’esercizio del potere di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche costituisce sempre una fase di secondo grado (rispetto ad una autorizzazione regionale perfetta ed efficace), nella quale vi è possibilità di introdurre - d’ufficio o su iniziativa dei soggetti portatori di interessi qualificati - documentazione ed elementi di fatto ulteriori rispetto all’istruttoria regionale. Questa speciale fase di secondo grado si caratterizza per l’autorità (statale) diversa da quella di primo grado (regionale), con un diverso responsabile del procedimento con poteri anche istruttori”. TAR Sardegna 28.04.2001 Sent. n. 430.

Avvio di un procedimento di annullamento ministeriale - Obbligo di preventiva comunicazione. L’obbligo di preventiva comunicazione (peraltro specificamente prescritto dalla normativa regolamentare attuativa della L. 241/1990 espressamente prevista dal Ministero Beni culturali ed Ambientali, con D.M. n. 495 del 13.6.1994, art. 4  e Tabella A punto 4) dell’avvio del procedimento - fase eventuale ed autonoma rispetto all’autorizzazione paesaggistica già rilasciata - va riconosciuto sussistente, anche perché, altrimenti, il privato non sarebbe “neppure in grado di conoscere il preciso momento di perfezionamento o di integrazione dell’efficacia dell’atto autorizzatorio” (cfr. C.S. 909/2000), dovendo il termine computarsi solo con decorrenza da quando la Sovrintendenza ha il fascicolo “completo” di tutta la documentazione, e cioè anche di quella eventualmente richiesta, in via istruttoria, alla sola Regione (elemento che rende inidonea allo scopo la semplice indicazione della soggezione al potere ministeriale contenuta nell’autorizzazione regionale). TAR Sardegna 28.04.2001 Sent. n. 431.

Art. 1 della L. 8 agosto 1985 n. 431 annullamento gerarchico - calcolo del "dies a quo" -  riesame del merito del provvedimento sub regionale. Ai sensi dello stesso quinto comma dell'art. 1 della L. 8 agosto 1985 n. 431 "Il Ministro (ora il Soprintendente delegato dal Direttore Generale) può in ogni caso annullare con provvedimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i 60 giorni successivi alla relativa comunicazione". Tale termine ha, per costante giurisprudenza, natura perentoria, ma è altrettanto vero che per la sua esiguità e per il corretto esercizio del potere di che trattasi, non può prescindersi, nella individuazione del "dies a quo" di siffatto termine, dalla necessità che alla Soprintendenza sia pervenuta l'autorizzazione con tutta la documentazione di supporto indispensabile per valutare la legittimità dell'autorizzazione medesima il "dies a quo" del termine in esame coincide con il giorno con cui la Soprintendenza riceve la documentazione dell'affare completamente istruito comprensiva cioè del provvedimento di autorizzazione paesaggistico e dell'intero materiale documentale necessario perché il citato organo possa dopo una seria valutazione della reale consistenza dell'intervento autorizzato e del suo rapporto con il contesto ambientale, fare un corretto uso del suo potere di annullamento. Per giurisprudenza consolidata, il provvedimento autorizzatorio regionale (o sub regionale) è atto applicativo di gestione del vincolo e non modificativo di esso e la sua funzione è evidentemente quella di verificare la compatibilità dell'opera con le esigenze di conservazione della bellezza naturale oggetto del vincolo, che ha assunto le caratteristiche ambientali come valori specifici della zona, con la conseguenza che, non potendo l'autorizzazione derogare all'accertamento contenuto nel provvedimento di vincolo, una valutazione di compatibilità che si traduca in una oggettiva deroga, concreta una autorizzazione illegittima (cfr. Cons. Stato VI sez. 15 dicembre 1981 n. 751 e 19 maggio 1981 n. 221) e come tale annullabile da parte della Soprintendenza il cui potere è da intendersi non già di un riesame del merito del provvedimento sub regionale, bensì di annullamento di ufficio per motivi di illegittimità riconducibili al più generale potere di vigilanza (cfr. Cons. Stato sez. VI 12 novembre 1993 n. 849). L'espletamento di quest'ultima attività consente all'organo investito del relativo potere, un puntuale e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio ex art. 7 L. 1497 del 1939, potendo l'annullamento riguardare tutti i vizi di legittimità comprese le singole ipotesi riconducibili all'eccesso di potere ivi compresa la carenza di motivazione. L'annullamento per motivi di legittimità, come nel caso di specie, del nulla osta sindacale alla realizzazione di interventi edilizi in zone protette da vincolo ambientale ai sensi dell'art. 7 L. 1497/1939, nel far venir meno l'atto presupposto comporta per l'Autorità comunale l'obbligo di adottare i provvedimenti di ingiunzione a demolire delle opere realizzate a questo punto senza titolo. T. A. R. Campania, sede di Napoli, Sezione IV, 20.04.2001 , n. 1765. Ai sensi dello stesso quinto comma dell'art. 1 della L. 8 agosto 1985 n. 431 "Il Ministro (ora il Soprintendente delegato dal Direttore Generale) può in ogni caso annullare con provvedimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i 60 giorni successivi alla relativa comunicazione". Tale termine ha, per costante giurisprudenza, natura perentoria, ma è altrettanto vero che per la sua esiguità e per il corretto esercizio del potere di che trattasi, non può prescindersi, nella individuazione del "dies a quo" di siffatto termine, dalla necessità che alla Soprintendenza sia pervenuta l'autorizzazione con tutta la documentazione di supporto indispensabile per valutare la legittimità dell'autorizzazione medesima il "dies a quo" del termine in esame coincide con il giorno con cui la Soprintendenza riceve la documentazione dell'affare completamente istruito comprensiva cioè del provvedimento di autorizzazione paesaggistico e dell'intero materiale documentale necessario perché il citato organo possa dopo una seria valutazione della reale consistenza dell'intervento autorizzato e del suo rapporto con il contesto ambientale, fare un corretto uso del suo potere di annullamento. Per giurisprudenza consolidata, il provvedimento autorizzatorio regionale (o sub regionale) è atto applicativo di gestione del vincolo e non modificativo di esso e la sua funzione è evidentemente quella di verificare la compatibilità dell'opera con le esigenze di conservazione della bellezza naturale oggetto del vincolo, che ha assunto le caratteristiche ambientali come valori specifici della zona, con la conseguenza che, non potendo l'autorizzazione derogare all'accertamento contenuto nel provvedimento di vincolo, una valutazione di compatibilità che si traduca in una oggettiva deroga, concreta una autorizzazione illegittima (cfr. Cons. Stato VI sez. 15 dicembre 1981 n. 751 e 19 maggio 1981 n. 221) e come tale annullabile da parte della Soprintendenza il cui potere è da intendersi non già di un riesame del merito del provvedimento sub regionale, bensì di annullamento di ufficio per motivi di illegittimità riconducibili al più generale potere di vigilanza (cfr. Cons. Stato sez. VI 12 novembre 1993 n. 849). L'espletamento di quest'ultima attività consente all'organo investito del relativo potere, un puntuale e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio ex art. 7 L. 1497 del 1939, potendo l'annullamento riguardare tutti i vizi di legittimità comprese le singole ipotesi riconducibili all'eccesso di potere ivi compresa la carenza di motivazione. L'annullamento per motivi di legittimità, come nel caso di specie, del nulla osta sindacale alla realizzazione di interventi edilizi in zone protette da vincolo ambientale ai sensi dell'art. 7 L. 1497/1939, nel far venir meno l'atto presupposto comporta per l'Autorità comunale l'obbligo di adottare i provvedimenti di ingiunzione a demolire delle opere realizzate a questo punto senza titolo. T. A. R. Campania, sede di Napoli, Sezione IV, 20.04.2001 , n. 1765. 

Vigenza dei vincoli ambientali del Decreto Ministeriale 28 marzo 1985 in attesa dell’emanazione dei piani paesistici regionali. L'art.1 quinques introdotto dalla l. n.431 del 1985, pone al divieto di ogni modificazione imposto in certe aree, un termine finale incertus quando, coincidente con l'adozione da parte delle regioni dei piani di cui all'art.1 bis della stessa legge. Ne consegue che il termine per l'approvazione dei predetti piani da parte delle regioni non è perentorio, ma ha solo la funzione di stabilire il momento dopo il quale è legittimo il ricorso a misure statali sostitutive; pertanto, il termine del 31 dicembre 1986 non può riferirsi anche alla durata del divieto contenuto nell'art.1 quinquies citato. Peraltro, merita segnalare che il D.Lgs. 29 ottobre 1999, n.490, recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, all'art.166 ha abrogato decreto-legge n.312/85, convertito con modificazioni nella legge n.431/85, ad eccezione dell'art.1-ter e dell'art.1-quinquies; nel contempo, con il precedente art.162 ha disposto che fino all'approvazione dei piani previsti all'art.149 (piani territoriali paesistici o piani urbanistico-territoriali) non è concessa l'autorizzazione prevista dall'art.151 per i beni individuati a norma dell'art.1-ter del decreto-legge n.312/85, convertito con modificazioni nella legge n.431/85, e per quelli interessati da provvedimenti adottati a norma dell'art.1-quinquies del medesimo decreto e pubblicati in data anteriore al 6 settembre 1985. Consiglio di Stato, sez. VI , n. 2131 del 9 aprile 2001. (vedi: sentenza per esteso)

Bellezze naturali - sentenza di condanna - ordine di rimessione in pristino - subordinazione della sospensione condizionale della pena all'esecuzione del ripristino - legittimita'. Il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di concessione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, legittimamente può subordinare tale beneficio alla esecuzione dell'ordine di rimessione in pristino previsto dall'art. 1 sexies del D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito in legge n. 431 del 1985. Corte di Cassazione, Sez. III del 12/03/2001 sentenza 9924

Inedificabilità assoluta della fascia di 300 m dalla costa - insuscettibilità di sanatoria. L’edificazione nella fascia dei 300 metri dalla costa, di cui all’articolo 51, lettera f), della L.R. n. 56 del 1980, non è rapportabile alla disciplina di cui all'articolo 32 della legge n. 47 del 1985 ma a quella di cui all'articolo 33, relativa a opere non suscettibili di sanatoria e, di conseguenza, non è possibile provvedere con le varianti di recupero, stante l'articolo 5, u. c., della L.R. n. 26 del 1985, per il quale “Non è possibile formare la variante per le opere non suscettibili di sanatoria di cui all' art. 33 della legge n. 47 del 1985”. Ciò è stato .specificato affermando che “il divieto di edificazione nella fascia costiera di cui all'art. 51, lett. f, l. reg. Puglia 31 maggio 1980 n. 56 non rappresenta una misura di salvaguardia ma un vincolo d'inedificabilità assoluta preclusivo del rilascio della concessione edilizia fino all'adozione del piano territoriale” e che “L'art. 51, lett. f), l.reg. Puglia 31 maggio 1980 n. 56 vieta qualsiasi edificazione entro la fascia costiera di trecento metri, per cui è legittimo il diniego di sanatoria espresso dal comune per abusi edilizi realizzati entro tale fascia”. Cons. Stato V Sez. n. 342 31.01.2001.  

I provvedimenti di tutela del paesaggio - definizione di centro abitato - attribuzioni e compiti della tutela del paesaggio - "la protezione di un valore estetico - culturale" - l'urbanistica e la tutela del paesaggio - pianificazione urbanistica e quella paesaggistica - la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale - la nozione di ambiente. La legge urbanistica n. 1150-1942 non fornisce la definizione di "centro abitato", nè impartisce criteri per concreta perimetrazione di esso. L'Istituto centrale di statistica definisce il "centro abitato" come "un aggregato di case continue e vicine con interposte strade, piazze e simili, o comunque brevi soluzioni di continuità, caratterizzate dall'esistenza di servizi o esercizi pubblici determinanti un luogo di raccolta, ove sogliono concorrere gli abitanti dei luoghi vicini per ragioni di culto, istruzione, affari, approvvigionamenti e simili". La Corte Costituzionale, già con la sentenza n. 239 del 29.12.1982 (aggiornando, alla luce dei mutamenti intervenuti nell'ordinamento positivo, le argomentazioni ancor prima svolte nella decisione n. 141 del 24.7.1972), ebbe ad escludere dall'urbanistica la tutela del paesaggio, e ciò appunto ai sensi del comma 2 dell'art. 9 della Costituzione, "secondo cui la tutela del paesaggio è compito della Repubblica e quindi in prima linea dello Stato, disposizione correttamente intesa ed applicata dal... D.P.R- n. 616 del 1977, il quale all'art. 82 ha delegato (in base all'art. 118, comma 2, della Costituzione) e non trasferito alle Regioni (come ha fatto per le materie previste dall'art. 117 della Costituzione stessa) le funzioni amministrative in materia. Nè in senso contrario" - continua la Corte - "potrebbe invocarsi il disposto del ricordato art. 80 del D.P.R. n. 616 del 1977, il quale completa la definizione dell'urbanistica, aggiungendo la previsione della protezione dell'ambiente, poiché nel citato art. 80 la formula legislativa è usata in senso restrittivo e riferita soltanto al profilo urbanistico, come risulta evidente dalla collocazione della disposizione, la quale è posta a completamento della nozione di urbanistica... ciò posto osserva la Corte che intuitivamente la medesima zona di territorio può formare oggetto di provvedimenti normativi relativi al paesaggio ovvero concernenti l'urbanistica". I provvedimenti di tutela del paesaggio - secondo il Giudice delle leggi - si caratterizzano per il fatto che concernono precipuamente "la protezione di un valore estetico - culturale" relativo "alle bellezze paesistiche" (decisione n. 239-1982) ovvero "alla forma del territorio" (decisione n. 359 del 21.12.1985). L'urbanistica e la tutela del paesaggio continuano a mantenere ciascuna una propria specificità nella sentenza della Corte Costituzionale 9.12.1991, n. 437, secondo la quale "L'art. 80 del D.P.R. 24.7.1977, n. 616 non comporta l'inclusione della materia della tutela del paesaggio in quella dell'urbanistica, assegnata alla competenza esclusiva delle Regioni". La pianificazione urbanistica e quella paesaggistica - ribadisce ancora il Giudice delle leggi con la sentenza n. 379 del 7.11.1994, n. 379 - perseguono fini distinti, anche se i mutamenti intervenuti nelle rispettive pianificazioni hanno condotto il paesaggio e l'urbanistica ad "una sorta di mutualità integrativa, per effetto della quale la tutela dei valori paesaggistico - ambientali si realizza anche attraverso la pianificazione urbanistica" alla stregua della disposizione di cui all'art. 1 bis della legge n. 431-1985. Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, "il concetto giuridico dell'urbanistica si è nel tempo progressivamente ampliato fino a corrispondere, giusta quanto stabilito dall'art. 80 del D.P.R. n. 616-1977, alla disciplina dell'uso del territorio, comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo, nonché di protezione dell'ambiente" (C. Stato, Sez. V, 9.12.1997, n. 1478) ed ancora recentemente la Corte Costituzionale ha definito l'urbanistica come “la disciplina del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo, nonché di protezione dell'ambiente" (Corte Cost., 7.10.1999, n. 382).  La nozione di ambiente, però, è necessario ribadirlo, è riferita al territorio naturale quale habitat dell'uomo, e la relativa normativa è rivolta alla tutela della salute dell'uomo e dei valori ecologici e culturali di conservazione della natura; laddove la normativa di tutela del paesaggio si prefigge espressamente il fine di salvaguardare i valori estetico - culturali del territorio. Si vedano, infine, le argomentazioni svolte da Cass., Sez. III: 21.1.1997; 13.11.1995; 1.2.1995; 7.6.1994). Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso) 

Vincolo paesaggistico - c.d. "diritto vivente" - disposizioni derogatorie  - scadenza del vincolo - funzione propria e specifica del programma pluriennale di attuazione - effetto caducatorio  - regime di vincolo ed esonero. Il riferimento al c.d. "diritto vivente" inerisce alla lettura delle disposizioni derogatorie del vincolo costantemente fornita dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo la quale i vincoli paesaggistici di carattere generale non si applicano nelle zone urbanizzate, quindi già compromesse, ed in quelle oggetto di una pianificazione (piano regolatore generale e programma pluriennale di attuazione), vigente all'epoca dell'entrata in vigore della norma, che ha ritenuto maturo il tempo di esecuzione di interventi sul territorio. Una volta scaduto, però, il limite temporale di validità del programma pluriennale (completati o meno che siano i processi di urbanizzazione in esso previsti), il vincolo si riespande in quanto l'operatività della deroga posta dall'art. 1, secondo comma, della legge n. 431-1985 presuppone l'attualità dei piani (in tal senso vedi Cass., Sez. III: 21.1.1997, Volpe; 9.6.1997, Varvara; 24.3.1998, Lucifero). La funzione propria e specifica del programma pluriennale di attuazione (anteriormente alle sostanziali modifiche apportate all'istituto dalla legge 30.4.1999, n. 136) si identifica nella programmazione temporale dello sviluppo edilizio, con effetti vincolanti che in certo senso trasformano lo ius aedificandi in un obbligo di realizzare, entro il termine di efficacia del programma medesimo, la destinazione edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico generale, cui si correla la previsione di facoltà espropriativa del Comune. Una volta che sia scaduto, però, un programma pluriennale vigente alla data di entrata in vigore della legge n. 431-1985, non si configura più una "edificazione doverosa" nel senso dianzi illustrato e ciò implica che la mancata attuazione del programma medesimo entro il termine della sua efficacia comporta il venire meno del titolo di esenzione dal vincolo. Nè tale effetto caducatorio può essere impedito dalla proroga o dalla rinnovazione del programma pluriennale inattuato, così come nessun effetto di esonero può riconoscersi ai programmi pluriennali adottati successivamente all'entrata in vigore della legge n. 431-1985. In questo senso è orientata altresì la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l'esonero dal vincolo paesaggistico previsto dal 5 comma dell'art. 82 del D.P.R. n. 616-1977, aggiunto dall'art. 1 della legge n. 431-1985 "è riferibile solo ai P.P.A. ancora efficaci... laddove, invece, tali strumenti abbiano perduto la propria efficacia operativa, deve ritenersi che la deroga medesima non possa più operare e le aree paesaggisticamente vincolate tornino a soggiacere all'ordinario regime di vincolo ed alla connessa esigenza della previa acquisizione, ai fini del rilascio del titolo concessorio, del prescritto nulla osta paesaggistico" (così, tra le pronunzie più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 18.8.1998, n. 1268 e T.a.r. Puglia, Sez. II, 5.9.1998, n. 750). L'art. 146 del D.Lgs. n. 490-1999 non ha mutato tale principio, poiché non ha modificato e non poteva modificare la normativa precedente. Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso) 

Effetti delle norme della legge Galasso - i piani di lottizzazione - prescrizioni ampliative del vincolo paesaggistico - regime di immodificabilità assoluta - deroghe - lottizzazioni di terreno a scopo edilizio possono essere autorizzate dal Comune previo nulla - osta della competente Soprintendenza. Le norme della legge Galasso, pertanto, non possono essere modificate da disposizioni regionali successive, le quali, se contrastassero con i principi fissati da detta legge statale, sarebbero viziati da illegittimità costituzionale e, sempre secondo l'insegnamento del Giudice delle leggi, la possibilità per il legislatore regionale di modificare le previsioni della legge Galasso deve ritenersi limitata alle sole prescrizioni ampliative del vincolo paesaggistico, essendo esclusa la possibilità di intaccare, con legge o provvedimento regionale, la tutela "minimale" preordinata dalla legge n. 431-1985 (vedi Corte Cost.: n. 327-1990, in riferimento al piano paesistico della Regione Emilia Romagna, estendente all'intero territorio regionale il vincolo paesaggistico introdotto alla legge n. 431; nonché n. 110-1994, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, lett. a, della legge regionale del Piemonte n. 20 del 3.4.1989, estendente l'ambito delle zone di particolare interesse ambientale sottratte al vincolo paesaggistico). La legge n. 30-1990 della Regione Puglia (e le successive modificazioni introdotte con le leggi regionali nn. 2-1991 e 14-1993) impone - come si è detto - misure di salvaguardia sostanzialmente ampliative della tutela "minimale" preordinata dalla legge n. 431-1985. Le deroghe si riferiscono a tale ampliamento del regime di immodificabilità assoluta e non all'imposizione del vincolo, sicché deve affermarsi l'irrilevanza delle denunziate questioni di illegittimità costituzionale. Ma vi è di più. L'art. 28, 2 comma, della legge 17.8.1942, n. 1150, nel testo modificato dalla legge n. 765 del 1967, stabilisce espressamente che le lottizzazioni di terreno a scopo edilizio possono essere autorizzate dal Comune previo nulla - osta della competente Soprintendenza (che spetta ora alle Regioni a statuto ordinario in virtù dell'art. 1, comma 3, del D.P.R. n. 8-1972). Da ciò discende che i piani di lottizzazione - anche qualora riguardino zone di territorio non soggette a vincolo paesistico - necessitano, nell'ambito del relativo procedimento di approvazione, di preventiva valutazione paesaggistica, di competenza delle Regioni (vedi Cons. Stato: Sez. IV, 16.6.1986, n. 421; Sez. IV, 27.7.1993, n. 742; Sez. VI, 2.3.2000, n. 1095), quale intervento consultivo di carattere generale e programmatorio circa la compatibilità ambientale dello strumento urbanistico attuativo (diverso dallo specifico atto di amministrazione attiva che riguarda, già ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 ed attualmente ex art. 151 del D.Lgs. n. 490 del 1999, la compatibilità di un particolare intervento con il vincolo). Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso) 

D.Lgs. n. 490-1999 - procedimento di rilascio della concessione edilizia e quello relativo all'autorizzazione paesaggistica - in mancanza autorizzazione la concessione edilizia eventualmente rilasciata deve considerarsi inefficace ed improduttiva di effetti - art. 734 cod. pen.. Ai sensi dell'art. 25 del R.D. 3.6.1940, n. 1357 (Regolamento per l'applicazione della legge 29.6.1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, le cui disposizioni restano in vigore fino all'emanazione del Regolamento previsto dal 1 comma dell'art. 161 del D.Lgs. n. 490-1999), nelle zone dei piani territoriali paesistici e nell'ambito delle bellezze d'insieme alle quali sia stato imposto il vincolo paesaggistico, l'Amministrazione comunale non può rilasciare concessioni edilizie "se non previo favorevole avviso" dell'autorità deputata alla tutela degli interessi paesistici. Si pone, pertanto, il problema della individuazione dei rapporti tra il procedimento di rilascio della concessione edilizia e quello relativo all'autorizzazione paesaggistica di cui agli artt. 7 della legge n. 1497-1939 ed 1 della legge n. 431-1985, da risolversi - in adesione alla prevalente giurisprudenza amministrativa - nel senso che, pur trattandosi di procedimenti autonomi, l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesistico si configura quale "condizioni di efficacia" della concessione edilizia. In mancanza di siffatta autorizzazione, pertanto, e finché essa non intervenga, è preclusa la materiale esecuzione dei lavori assentiti dal Comune dal punto di vista edilizio - urbanistico (vedi C. Stato, Sez. V, 11.3.1995, n. 376) e la concessione edilizia eventualmente rilasciata deve considerarsi inefficace ed improduttiva di effetti. Sussistono, altresì le contestate contravvenzioni ex art. 734 cod. pen., in relazione alle quali l'esistenza di un effettivo e grave danno ambientale risulta ampiamente illustrata nella sentenza di primo grado, che lo ricollega (con riferimento ad una relazione di consulenza redatta dal professore <B.>) ad impatti negativi particolarmente rilevanti sull'atmosfera (modifica fisico - chimica), la fauna, l'ecosistema costiero, il paesaggio. Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso) 

Art. 734 cod. pen. e art. 1 sexies della legge n. 431-1985.  Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la contravvenzione prevista dall'art. 734 cod. pen. può coesistere e concorrere con quella di cui all'art. 1 sexies della legge n. 431-1985. Mentre, infatti, nella contravvenzione di cui all'art. 734 cod. pen. (che è reato di danno concreto) il precetto va individuato nel divieto di cagionare distruzione o deturpamento di bellezze naturali, nella contravvenzione di cui all'art. 1 sexies (che è reato formale di pericolo presunto) il precetto è quello di non porre in essere attività in certe zone senza l'autorizzazione amministrativa, a prescindere dal risultato dell'attività stessa con riguardo alle bellezze naturali aggredite, le quali possono risultare anche non danneggiate dall'attività non autorizzata (vedi Cass., Sez. VI, 9.9.1994, n. 9749 e Sez. III: 30.1.1991, n. 1032; 3.1.1991, n. 4; 9.2.1990, n. 3501). Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso) 

Esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo - elementi di natura extrapenale - art. 101 della Costituzione. Il giudice penale, nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l', ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela (nella specie, l'interesse sostanziale alla tutela del territorio e del paesaggio), nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo. È la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo (per un'ampia disamina della questione si rinvia testualmente a Cass., Sez. III 21.1.1997, Volpe ed altri, le cui argomentazioni appare superfluo trascrivere per evitare l'ulteriore appesantimento della trattazione). A norma dell'art. 101 della Costituzione, il giudice è soggetto "soltanto" alla legge e non sarebbe soggetto soltanto alla legge un giudice penale che arrestasse il proprio esame all'aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (vedi, per tale affermazione, Cass., Sez. III 2.5.1996, n. 4421, ric. Oberto ed altro). Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso) 

Reato di lottizzazione abusiva - consumazione alternativa - obbligo (dei  titolari di concessione edilizia, i committenti ed i costruttori) di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e-o delle singole opere - condizione di efficacia. Il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione (approvazione del piano di lottizzazione) sia per il contrasto della stessa con le prescrizioni degli strumenti urbanistici; sicché non può obiettarsi la non prospettabilità del reato laddove esista un piano di lottizzazione approvato, ma possa per contro affermarsi la contrarietà dello stesso agli strumenti urbanistici sovraordinati (Cass., Sez. III, 16.11.1995, ric. Pellicani); I soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, i titolari di concessione edilizia, i committenti ed i costruttori, hanno l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e-o delle singole opere alla normativa urbanistica ed alle previsioni di pianificazione, perché l'interesse protetto dalla legge n. 47-1985 non è soltanto quello di assicurare che la modifica del territorio avvenga sotto il controllo della P.A. ma è altresì quello di garantire che tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al programmato assetto urbanistico ed il rilascio della concessione edilizia è subordinato all'indagine di conformità alla normativa urbanistica in genere ed ai piani regolatori (vedi Cass., Sez. III 13.3.1987, ric. Ginevoli ed altri). Si sottolinea che l'autorizzazione rilasciata dall'autorità preposta alla tutela del vincolo paesistico si configura come "condizione di efficacia" della concessione edilizia: in mancanza di siffatta autorizzazione pertanto, e finché essa non intervenga, è preclusa la materiale esecuzione dei lavori assentiti dal comune dal punto di vista edilizio - urbanistico e la concessione edilizia eventualmente rilasciata deve considerarsi inefficace e improduttiva di effetti. Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso)

Lottizzazione abusiva conseguenze - confisca e l'acquisizione gratuita al patrimonio del Comune - provvedimento obbligatorio per il giudice. Deve essere disposta, a norma dell'art. 19 della legge n. 47-1985, la confisca e l'acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di Bari dei suoli abusivamente lottizzati e dell'intero complesso immobiliare di cui ai piani di lottizzazione nn. 141 e 151 del 1989. Trattasi - secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema - di provvedimento obbligatorio per il giudice che accerti la sussistenza di una lottizzazione abusiva, anche indipendentemente da una pronuncia di condanna (vedi Cass., Sez. III: 13.7.1995, ric. Barletta; 20.12.1995, n. 12471, ric. P.G. in proc. Besana ed altri; 15.10.1997, ric. Sapuppo ed altri; 23.12.1997, n. 3900, ric. Farano ed altri; 11.1.1999, n. 216, ric. lorio Gnisci Ascoltato). Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso) 

Concorso formale - norma penale in bianco - realizzazione di opere in assenza o in totale difformità della concessione edilizia - condizione di efficacia. Non è configurabile il concorso formale, di reati tra le contravvenzioni edilizie contestate ai sensi dell'art. 20, lett. c), della legge n. 47-1985 e quelle di cui all'art. 20, lett. a) specificate ai capi E), K) e Q) della rubrica, previsione legislativa, quest'ultima, che introduce una ipotesi di norma penale in bianco configurante sostanzialmente una categoria residuale di condotte penalmente rilevanti (vedi Cass., Sez. III, 30.1.1988, ric. Ferrari). L'autorizzazione rilasciata dall'autorità preposta alla tutela del vincolo paesistico si configura come "condizione di efficacia" della concessione edilizia: in mancanza di siffatta autorizzazione pertanto, e finché essa non intervenga, è preclusa la materiale esecuzione dei lavori assentiti dal comune dal punto di vista edilizio - urbanistico e la concessione edilizia eventualmente rilasciata deve considerarsi inefficace e improduttiva di effetti. Nel caso di realizzazione di opere in assenza o in totale difformità della concessione edilizia, pertanto, il reato più grave ricomprende ed assorbe quello riferito all'inosservanza delle regole fissate (dagli strumenti normativi urbanistici, ed in particolar modo dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, dal regolamento edilizio e dalla concessione edilizia medesima) per l'attività costruttiva (vedi Cass., Sez. III, 18.3.1988, ric. Furlan). Ne consegue che, nella fattispecie in esame, le imputazioni di cui all'art. 20, lett. a), della legge n. 47-1985 specificate ai capi E), K) e Q) della rubrica devono essere ricomprese nelle rispettive contestazioni di cui all'art. 20, lett. c), della stessa legge. Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716. ( vedi: sentenza per esteso) 

Zona sottoposta a vincolo paesaggistico - ordine di demolizione dell'opera abusiva e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi - mancanza di nulla osta favorevole dell’Ente parco - poteri del giudice. Il giudice dell'esecuzione penale, chiamato ad eseguire l'ordine di demolizione dell'opera abusivamente realizzata in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, impartito con sentenza penale di condanna passata in giudicato, ha il potere non solo di verificare l'esistenza della concessione in sanatoria ex art. 35 l. 28 febbraio 1985 n. 47 nel frattempo rilasciata e l'effettiva provenienza dall'organo regionale competente, ma altresì il potere-dovere di rilevare gli eventuali vizi (nella fattispecie, la violazione di legge è conseguente alla mancata acquisizione del prescritto parere favorevole dell'ente parco) che la inficiano in applicazione della norma citata, che prescrive al giudice in ogni caso di non applicare gli atti amministrativi se non sono conformi alla legge. Cassazione penale, sez. III, 22 gennaio 2001, n. 7736.

Costruzione senza autorizzazione paesaggistica in zona soggetta a vincolo - concessione in sanatoria rilasciata a seguito di condono edilizio e non a quella a regime - differenti le finalità - esclusione della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria - reato paesaggistico - art. 8 ultimo comma I. n. 47 del 1985 equipara alla totale difformità ed alle variazioni essenziali tutti gli interventi effettuati in zone soggette a vincolo paesaggistico. In tema di costruzione senza autorizzazione paesaggistica in zona soggetta a vincolo, la violazione dell'art. 1 sexies l. 8 agosto 1985 n. 431 è punita con la sanzione prevista dall'art. 20 lett. c) l. 28 febbraio 1985 n. 47, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 163 d.lg. 490 del 1999, atteso che tale ultima fonte ha carattere compilativo e non è idonea a introdurre una nuova disciplina sanzionatoria in materia penale, vuoi perché manca una espressa delega legislativa (art. 1 l. n. 352 del 1997) vuoi perché una diversa interpretazione sarebbe contraria a quella fornita dalla Corte costituzionale sulla valenza del vincolo paesistico. Uniforme giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. III 17 ottobre 1995 n. 10365, P.M. in proc. Del Favero rv. 203545 cui adde Cass. sez. III 17 novembre 1998 n. 11914, Antognoli ed altro rv. 212052), ha ritenuto inapplicabile l'art. 39 ottavo comma I. n. 724 del 1994, poiché relativo alla concessione in sanatoria rilasciata a seguito di condono edilizio e non a quella a regime, di cui sono differenti le finalità, i presupposti e le condizioni, sicché non è opportuno soffermarsi oltre, tanto più che il ricorrente ripete argomentazioni già altre volte disattese. Nè la pretesa omogeneità tra concessione in sanatoria ex artt. 13 e 22 l. n. 47 del 1985 e quella rilasciata in seguito a condono può fondarsi su un'isolata pronuncia (Cass. sez. III 12 dicembre 1997, Baldantoni), oggetto di numerose critiche da parte della migliore dottrina ed in maniera approfondita disattesa da varie decisioni di questa Corte (cfr. fra le prime ex plurimis Cass. sez. III 13 marzo 1998 n. 3209, Lombardi rv. 210291), giacché concorde giurisprudenza di legittimità amministrativa e penale escludono rilevanza nella c. d. sanatoria a regime al versamento dell'oblazione, ritenuto invece espressamente elemento fondamentale dalla disciplina sul condono. Infine, giurisprudenza largamente prevalente di questa Corte (Cass. sez. III 5 ottobre 1998 n. 10433 rv. 211854 e Cass. sez. III 18 dicembre 1998 n. 2950 rv. 212539) esclude la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria in virtù dell'art. 60 I. n. 689 del 1981, che ha accolto una nozione ampia di urbanistica in relazione alla discussione sviluppatasi in quel periodo intorno alla stessa (vedi d.P.R. n. 616 del 1977 e Commissioni Franceschini e Giannini), sicché non possono essere introdotte esegesi evolutive, basate sulla differente considerazione del paesaggio nella Costituzione e sul maggior rigore richiesto in sede di condono (art. 39 ottavo comma I. n. 724 del 1994) per conseguire l'estinzione del reato paesaggistico, poiché tali argomentazioni suffragano la tesi estensiva, in quanto, altrimenti, la disciplina sarebbe irrazionale, giacché appresterebbe minore tutela ad un interesse maggiormente protetto. Non può nemmeno essere richiamata la distinzione tra competenze trasferite o soltanto delegate alle Regioni e neppure rilevarsi la diversa incidenza, che hanno i due vincoli (urbanistici e paesaggistici) sulla proprietà privata proprio perché dette differenze esaltano la maggiore tutela del bene paesaggistico, sicché queste argomentazioni ricadono nell'assorbente obiezione su evidenziata. Per quel che concerne la sanzione applicabile anche in questo caso la prevalente e quasi costante giurisprudenza (Cass. sez. III 9 marzo 1995 n. 2351, P.M. in proc. Ceresa rv. 201569 e Cass. sez. III 24 febbraio 1998 n. 2357, Zauli ed altri rv. 209913), tranne qualche isolata pronuncia (Cass. sez. III 4 ottobre 1995, Romano ed altro), cui si riferisce il ricorrente, ma ampiamente criticata dalla dottrina più attenta, ritiene di individuare detta sanzione solo in quella prevista dalla lettera c) dell'art. 20 della legge n. 47 del 1985, poiché non sono applicabili gli istituti tipici di trasformazione del territorio propri dell'urbanistica e la lettera c) è l'unica riferentesi ad opere effettuate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico. Infine la pronuncia in esame per superare l'argomento fondamentale del disposto dell'art. 8 ultimo comma I. n. 47 del 1985, che equipara alla totale difformità ed alle variazioni essenziali tutti gli interventi effettuati in zone soggette a vincolo paesaggistico e, quindi, determina la sola applicazione della pena di cui alla lettera c) dell'art. 20 l. n. 47 del 1985 sostiene che la "disposizione (è) operante all'interno del sistema sanzionatorio urbanistico - edilizio agli esclusivi effetti delle relative contravvenzioni e.. può spiegare rilevanza riflessa sulla sanzione per i reati ambientali solo nel caso, nella specie non ricorrente, di concorso formale tra questi ultimi e quelli urbanistico - edilizi". Cassazione penale, Sezione III, 16 gennaio 2001, n. 8359.

Area vincolata ex legge Galasso - impossibilità di sanatoria - ritardo sull’adozione di provvedimenti da parte del sindaco - abuso d’ufficio. Integra il reato di abuso di atti d'ufficio a carico del firmatario dell'atto la concessione edilizia per opere in area vincolata dal decreto legislativo n. 490/99 (ex legge "Galasso") senza nulla osta preventivo. (Nella fattispecie consistente nel mancato intervento del sindaco, nonostante fosse a conoscenza dell'approntamento del campo di aviazione) Si desume la condotta omissiva in riferimento alla norma prevista all'art. 4 della legge 28.2.1985 sul "controllo dell'attività urbanistico-edilizia. Ulteriore elemento costitutivo del reato di abuso di atti d'ufficio è stato ravvisato nella procedura relativa alla "concessione del provvedimento (…) di proroga dei termini per l'ottemperanza all'ordinanza-ingiunzione di demolizione del manufatto a seguito della richiesta di concessione in sanatoria, nonostante che nel caso specifico nessuna concessione in sanatoria fosse ammissibile (riferimento normativo: art. 13 l. n. 47/85)". Inoltre, “il congegno richiesta di concessione in sanatoria - ordinanza di proroga dei termini per la demolizione dell'opera illecita è servito per procrastinare nel tempo l'esecuzione dell'ordine di demolizione" e quindi anche per tali motivi concretizza "la condotta omissiva rilevante, poiché l'ordine di demolizione e la sua esecuzione, così come l'ordine di sospensione dei lavori (…), in base alla vigente legislazione urbanistica sono atti dovuti che gravano sul sindaco". Pertanto la configurabilità della condotta di abuso nel rilascio di concessione edilizia illegittima, oltre alla pregnante considerazione che nel caso in esame, come si è detto, l’autorizzazione era in contrasto con norme di legge, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. Pen., sez. VI, 16.10.1998, n. 1354; sez. VI, 11.5.1999, n. 8194; sez. VI, 14.3.2000 Sisti ed altri; ecc.) si è attesta sull'affermazione del principio che anche una concessione data in violazione degli strumenti urbanistici configura violazione della legge urbanistica ". Infine, in ordine all'elemento materiale e alla violazione di legge, quali requisiti integranti la fattispecie penale del novellato art. 323 c.p. , vanno esaminate le censure di mancanza di accertamento e/o carenza di motivazione in ordine al dolo intenzionale e al vantaggio ingiusto di carattere patrimoniale, pur essi elementi costitutivi della fattispecie". Cass. Pen. - Sez. VI - 4/10/2000 n. 10441

In sede di approvazione di un piano regolatore, l'amministrazione può introdurre vincoli diretti alla protezione del paesaggio - bellezze naturali e pianificazione urbanistica - specifiche competenze dello stato (delegate alle Regioni). La sussistenza di specifiche competenze dello stato (ora delegate alle Regioni) in materia di bellezze naturali non esclude che la tutela di queste ultime sia un obbiettivo primario anche per la pianificazione urbanistica. Pertanto, in sede di approvazione di un piano regolatore, l'amministrazione a ciò competente può introdurre vincoli diretti alla protezione del paesaggio, ancorché non siano stati adottati i provvedimenti di cui alla l. 29 giugno 1939, n. 1497 ed anche in maniera caso più restrittiva di quelli previsti da questi ultimi, se emanati. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

Adozione del nuovo strumento urbanistico generale - tutela del paesaggio o dell'ambiente - zona agricola. La modifica destinata a tutelare il paesaggio o l'ambiente in genere, anche quando si risolve nell'imprimere ad un'area il connotato di zona agricola, non richiede una diffusa analisi argomentativa, specie se, come verificatosi nel caso in esame, la regione si limita a ripristinare la preesistente classificazione di zona agricola espungendo la destinazione complementare ad insediamenti produttivi, introdotta dal comune in sede di adozione del nuovo strumento urbanistico generale. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - P.R.G. - zona agricola - valenza conservativa dei valori naturalistici - funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano - giurisprudenza. La zona agricola possieda anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell'insediamento urbano, assumendo per tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano, è principio espresso dalla giurisprudenza di questo Consiglio ormai da alcuni lustri (cfr. sez. IV, 8 marzo 2000, n. 2639; n. 245 del 2000 citata; n. 1943 del 1999 citata; n. 431 del 1998 citata; sez. IV, 1 ottobre 1997, n. 1059 sez. IV, 28 settembre 1993, n. 968; sez. IV, 1 giugno 1993, 581; sez. V, 19 settembre 1991, n. 1168; sez. IV, 11 giugno 1990, n. 464, sez. IV, 17 gennaio 1989, n. 5). Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

In sede di approvazione di un piano regolatore, l'amministrazione può introdurre vincoli diretti alla protezione del paesaggio - bellezze naturali e pianificazione urbanistica - specifiche competenze dello stato (delegate alle Regioni). La sussistenza di specifiche competenze dello stato (ora delegate alle Regioni) in materia di bellezze naturali non esclude che la tutela di queste ultime sia un obbiettivo primario anche per la pianificazione urbanistica. Pertanto, in sede di approvazione di un piano regolatore, l'amministrazione a ciò competente può introdurre vincoli diretti alla protezione del paesaggio, ancorché non siano stati adottati i provvedimenti di cui alla l. 29 giugno 1939, n. 1497 ed anche in maniera caso più restrittiva di quelli previsti da questi ultimi, se emanati. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

Concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 31 L. n. 47/85 - termine di 60 giorni - decorrenza - potere di annullamento. La concessione di costruzione in sanatoria, ai sensi dell'art. 31 L. n. 47/85, non è compatibile con l'apposizione di condizioni e la prescrizione di altre opere edilizie che si risolverebbero in un mutamento, autorizzato ex post, dello stato di fatto originario sussistente alla data del 1° ottobre 1983, mentre la concessione del condono edilizio può essere fondata soltanto sulla valutazione della stato di fatto originario e può condurre alternativamente all'accoglimento o alla reiezione dell'istanza (TAR Campania, Salerno, 20.5.1998 n. 277; TAR Toscana, II, 18.3.1994 n. 132). La giurisprudenza amministrativa, (Sez. III, 29.5.1997 n. 162; Idem, 23.5.1995 n. 125), è ferma nel ritenere che il termine di sessanta giorni di cui all'art. 82 del D.P.R. n. 616/77, nel testo modificato dalla legge n. 431/85, ancorché perentorio, attiene al solo esercizio del potere di annullamento - da parte dell'amministrazione statale - delle autorizzazioni regionali in materia di costruzioni nelle zone soggette a vincolo paesistico di cui all'art. 7 L. 1497/39, restando estranea alla previsione normativa l'ulteriore fase della comunicazione o notificazione (Cons. St., VI, 3.2.2000 n. 628; Idem, 28.1.2000 n. 403; TAR Emilia-Romagna, Bologna, II, 4.10.1999 n. 493; TAR Campania, Napoli, IV, 19.10.1999 n. 2688). Quanto alla decorrenza, il termine in questione decorre dalla data di ricezione, da parte dell'amministrazione centrale, del provvedimento regionale completo dell'intera documentazione, salva la possibilità di disporre integrazioni istruttorie che interrompono il predetto termine perentorio (Cons. St., infondata la censura basata sulla tardività della notificazione dell'impugnato decreto ministeriale di annullamento. Pure infondata si palesa la censura di tardiva adozione del provvedimento impugnato, con cui si postula l'irrilevanza della documentazione acquisita sulla decorrenza del termine di sessanta giorni stabilito per l'emanazione del provvedimento. TAR Toscana, Sez. I, 17 luglio 2000 - sent. n. 1691

Lavori di miglioramento in un fondo sottoposto a vincolo idrogeologico senza autorizzazione - trasformazione culturale - estirpazione delle piante boschive e l'aratura del terreno. Secondo quanto previsto dal R.D. 3267-1923, costituisce bosco il terreno vincolato a scopi idrogeologici, nel quale si trovano piante forestali già adulte o in via di accrescimento in numero adeguato, a prescindere dalla densità delle medesime. Pertanto, concreta una trasformazione culturale rilevante a norma dell'art. 7 r.d.l. n. 3267 del 1923 l'estirpazione delle piante boschive e l'aratura del terreno, comportando sostituzione della coltura in atto con altra, che non deve necessariamente essere arborea, ma può ben essere di qualsiasi genere. (Nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del pretore che aveva respinto l'opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione con la quale era stata applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione consistente nell'avere eseguito lavori di miglioramento in un fondo sottoposto a vincolo idrogeologico senza autorizzazione, arandolo ed estirpando 420 piantine di sughera). Cassazione civile, sez. III, 25 maggio 2000, n. 6871

Vincoli paesaggistici - reato "istantaneo" - inapplicabilità sanatoria. Il reato punito dall'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985, e' di norma, un reato "istantaneo". Esso, cioè, si configura con la semplice modificazione, senza le prescritte autorizzazioni, del paesaggio tutelato. Il reato, tuttavia, può assumere i connotati dell'illecito permanente quando la condotta criminosa si protrae nel tempo (come nel caso di edificazione in zona protetta). In tale seconda ipotesi, il reato e' consumato con l'esaurimento della condotta incriminata. La l. n. 431 del 1985 (cd. "legge Galasso") - oggi t.u. d.lg. n. 490 del 1999 - non prevede nessun tipo di concessione comunale in sanatoria e/o di nulla - osta autorizzativo regionale in sanatoria per le violazioni al suo dettato. La concessione in sanatoria è invece prevista dalla l. n. 47 del 1985 e riguarda possibilità di sanatoria soltanto ed esclusivamente per i reati tipici connessi inerenti l'aspetto urbanistico - edilizio e non può essere estesa ad altre norme seppure aventi ad oggetto interventi sul territorio sotto altre formulazioni. (Tribunale Terni, 10 febbraio 2000) Consegue che i reati di violazione al vincolo paesaggistico - ambientale della l. n. 431 del 1985 (oggi t.u. d.lg. n. 490 del 1999) - non sono soggetti al regime della concessione in sanatoria (e/o di nulla - osta autorizzativo regionale in sanatoria) e non e' dunque possibile una estinzione dei relativi illeciti in sede penale sotto questo profilo. Una eventuale concessione in sanatoria rilasciata sulla base della l. n. 47 del 1985 che riguardi opere realizzate in area soggetta al vincolo della l. n. 431 del 1985 (oggi t.u. d.lg. n. 490 del 1999) e che dunque preveda sanatoria anche per gli aspetti illeciti connessi alla "legge Galasso" e' irrilevante in sede di processo penale nel senso che non può determinare l'estinzione di detti ultimi reati e tale atto dovrà essere oggetto di esame da parte del p.m. per valutarne gli aspetti di eventuale illiceità sotto il profilo penale. La realizzazione di opere in zona vincolata (Cassazione penale sez. III, 1 marzo 2000) impone preliminarmente la verifica che le stesse non rientrino tra quelle di cui all'art. 82 comma 8 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 così come sostituito dall'art. 1 d.l. n. 312 del 1985, conv. nella l. n. 431 del 1985; nonché una verifica dell'impatto delle stesse sull'ambiente e sull'incidenza negativa nel contesto ambientale. Cassazione penale sez. V, 16 marzo 2000, n. 3348.

Demanio pubblico - inusucapibilità ex art. 822, comma II, cod. civ., dei beni di interesse storico, archeologico ed artistico - "proprietà collettiva demaniale" - funzione dell’elenco descrittivo dei beni culturali. E’ noto che l’art. 822 2°comma c.c. prevede che fanno parte del demanio pubblico se appartengono allo stato, gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia. E poiché nel caso di specie l’immobile ove insisteva la particella è stato qualificato di interesse archelogico, appare evidente che lo stesso non poteva mai essere usucapito, ad onta di quanto diversamente opinato dagli attori. Né vale sostenere che il provvedimento col quale è stato dichiarato il carattere di rilevante valore archeologico sia stato adottato solo nel 1994 , non potendo certo affermarsi che la demanialità connessa all’interesse archeologico derivi dal provvedimento anzidetto. Sul punto, è sufficiente rammentare che il carattere di rilevante valore archeologico del bene, mai contestato dagli attori che non risulta abbiano impugnato innanzi al G.A. la relativa determinazione amministrativa, si coglie agevolmente dal provvedimento assessoriale, dal quale risulta che la particella faceva parte dell’antica fortezza del Castello a mare , realizzata in età normanna, o meglio "Castrum inferius" ubicato alla imboccatura del bacino portuale al Halac, sorto da impianti di origine tardo bizantina e sede di moschea in età araba nonché di importanti reperti dell’archeologia classica e medioevale-v. anche nota Assessore BB.CC.AA. prot.2598/87, in all.1 prod.convenuto. E poiché questo giudice non ha motivo di dubitare dell’anzidetto carattere di rilevante interesse archeologico dell’area, a nulla rileva che il provvedimento dichiarativo dell’Assessore sia stato emesso solo nel 1994, bastando all’uopo rammentare che il carattere di demanialità e di inusucapibilità delle cose indicate nell’art. 1 l. 1 giugno 1939 n. 1089, appartenenti allo Stato ed agli enti pubblici deriva direttamente ed immediatamente dalla legge, in relazione alle oggettive qualità intrinseche dei beni suddetti ed alla natura pubblica dell’ente proprietario. Sul punto è infatti necessario osservare che con l’individuazione della categoria civilistica della demanialità storico-artistica il codice civile ha inteso qualificare un compendio di beni costituenti una sorta di "proprietà collettiva demaniale" che rispondendo ad una funzione culturale è nel libero godimento da parte della collettività. Orbene, tra i beni demaniali l’art.822 2°comma c.c. ne contempla una serie - categoria del demanio artificiale o accidentale, in cui rientrano gli "immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche" - che possono appartenere a chiunque, ma che qualora proprietari ne siano lo Stato le province, i comuni - art. 824 - o ancora le regioni - legge 16 maggio 1970, n. 281, art. 11, comma 1 - fanno parte del demanio pubblico. Orbene, reputa questo Giudice che in ordine al momento iniziale della demanialità di tali beni non può concordarsi con l’indirizzo giurisprudenziale, ormai risalente, che ritiene che l’interesse storico-artistico del bene debba essere accertato attraverso un giudizio di valutazione tecnica dell’amministrazione - cfr. Cass.28 ottobre 1959 n°3163 -. Ed invero, benchè l’art. 823 c.c. indichi come demaniali i beni "riconosciuti" di interesse storico-artistico, non può disconoscersi che nessun atto di riconoscimento proveniente dalla p.a. che statuisca la demanialità è richiesto per i beni appartenenti allo Stato, bastando all’uopo ricordare che è incontroversa la non necessità di un atto equivalente per la sottoposizione al regime speciale dei beni artistici appartenenti ai privati. Ed infatti, l’art.4 r.d.1089/1939 dispone che i rappresentanti di enti privati devono presentare un elenco descrittivo dei beni culturali di cui sono proprietari fermo in ogni caso il principio che l’iscrizione non solo non è necessaria - il terzo comma dello stesso articolo aggiunge infatti che sono sottoposte alle disposizioni della l. 1089/1939 anche le cose di interesse storico-artistico che "non risultino comprese negli elenchi e nelle dichiarazioni"- ma non è comunque attributiva del carattere artistico, storico o archeologico, risiedendo l’elemento costitutivo della sottoposizione al regime speciale di un bene culturale non nell’inclusione in cataloghi ma, come rilevato in dottrina, nella presenza nel bene dell’elemento oggettivo del possesso di quelle specificità funzionali che possono qualificarlo come bene culturale. È dunque lo stesso sistema della l. 1089/1939 - che impone la notifica per i soli beni appartenenti ai privati e la esclude invece per i beni degli enti pubblici - a indirizzare, per ovvie ragioni di omogeneità, verso la soluzione dianzi indicata apparendo irragionevole una diversa regolamentazione fra beni artistici di soggetti privati e beni dotati delle medesime caratteristiche appartenenti a soggetti pubblici. Decisiva conferma al superiore argomentare risulta poi dalla recente entrata in vigore del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n°490 contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali adottato a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352 - (in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 1999, s.o. n. 229). Ed infatti, mentre l’art.2 dispone che "sono beni culturali disciplinati a norma di questo Titolo:a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, o demo-etno-antropologico" il successivo articolo 5, dopo avere previsto che "le regioni, le province, i comuni, gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro presentano al Ministero l’elenco descrittivo delle cose indicate all’articolo 2, comma 1, lettera a) di loro spettanza" e che "i predetti enti e persone giuridiche hanno l’obbligo di denunciare le cose non comprese nella prima elencazione nonché quelle che in seguito verranno ad aggiungersi per qualsiasi titolo al loro patrimonio, inserendole nell’elenco" chiarisce al comma 5° che "i beni indicati nell’articolo 2, comma 1, lettera a) che appartengono ad enti pubblici o a persone giuridiche private senza fine di lucro sono comunque sottoposti alle disposizioni di questo Titolo anche se non risultano compresi negli elenchi e nelle denunce previste dai commi 1 e 2".  Tribunale di Palermo - sez. I civile - Sentenza 1 marzo 2000.

Autorizzazione preventiva indipendentemente della temporaneità della modificazione apportata allo stato dei luoghi ex L. 431\85. Il difetto della preventiva autorizzazione determina la commissione dei reati previsti dall'ara1 sexies legge  431 del 1985 e 20 legge 47 del 1985, indipendentemente della temporaneità della modificazione apportata allo stato dei luoghi e dalla realizzazione in via definitiva di opere stabili, sia perché anche dalle modifiche temporanee dello stato dei luoghi deriva un pregiudizio qualificabile come danno ambientale, sia perché il controllo pubblico preventivo è essenziale per l'accertamento e la garanzia che le opere precarie e temporanee abbiano realmente queste caratteristiche e, in ogni caso, che si rispettino le necessarie cautele anche nella fase dell'esecuzione e della rimozione. Cass. pen., sez. III, 1 dicembre 1999, n. 13716

Urbanistica e edilizia - Zone sottoposte a vincolo - Intervento edilizio - Estinzione del reato - Condizioni - Reato urbanistico - Distinzione - Diverse condizioni per l'estinzione - L. 724/1994 art. 39 c. 8 - L. 47/1985 art. 20 - L. 1089/1939 - L. 1497/1939 - L. 431/1985. In tema di definizione agevolata delle violazioni edilizie, l'art. 39 ottavo comma Legge n. 724 del 1994 attribuisce efficacia estintiva del reato per la violazione del vincolo, al rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria, a loro volta subordinate al conseguimento delle autorizzazioni della Amministrazioni preposte alla tutela; sicchè l'ottenimento del-la concessione in sanatoria ha effetto estintivo speciale in ordine ai reati di cui alle leggi n. 1497 e n. 1089 del 1939 e n. 431 del 1985 e all'art. 734 cod. pen., ma non in ordine al reato urbanistico, contemplato all'art. 20 lett. c) Legge n. 47 del 1985, per la cui estinzione sono sufficienti la presentazione della domanda di condono edilizio, riferibile ad un intervento previsto nella disciplina delle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 662 del 1996, ed il versamento dell'oblazione dovuta, diversa da quella autodeterminata. Pres. Zumbo A - Est. Novarese F - Imp. Poltronieri - PM. (Conf.) Albano A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 20 ottobre 1999 (UD.16/07/1999) RV. 214729, Sentenza n. 11965

Urbanistica e edilizia - Reato di cui all'art. 1 sexies L. 431/1985 - Autorizzazione paesaggistica - Ottenibilità con la procedura del silenzio assenso - Esclusione - Ragione - L. 724/1994 art. 39 - L. 47/1985 artt. 32 e 38 - L. 431/1985 art. 7. La autorizzazione paesaggistica prevista per la estinzione del reato di cui all'art. 1 sexies legge 431 del 1985 in caso di realizzazione di manu-fatto sottoposto a procedura di condono edilizio non può ottenersi attraverso la formazione del silenzio assenso anche nel caso che il comune, subdelegato alla emissione del parere prescritto dall'art. 32 legge 47 del 1985 lo abbia espresso in senso favorevole, comunicandolo alla sovraintendenza. (Fattispecie nella quale la Corte ha osservato che la Regione Puglia aveva subdelegato ai comuni, con legge regionale, la emissione del parere da comunicare alla autorità amministrativa competente, ai sensi e per gli effetti del!' art. 82, comma 9, del D.P.R. 616 del 1977, come modificato dall'art. 1 del d.l. 312 del 1985, che prevede un termine perentorio per il rilascio o il diniego di autorizzazione, ma che la stessa legge prevede che decorso inutilmente il termine, gli interessati possono richiedere l'autorizzazione al Ministro; ciò escludendo la formazione del silenzio assenso). Pres. Papadia U - Est. Pioletti G - Imp. lannone M - PM. (Conf.) Siniscalchi A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 11 giugno 1999 (UD.04/05/1999) RV. 214215, Sentenza n. 07543

La normativa per la realizzazione di strutture turistiche, ricettive e tecnologiche in occasione dei mondiali di calcio del 1990 non deroga ai vincoli paesaggistici, archeologici, artistici e storici nonché agli strumenti urbanistici esistenti. La normativa per la realizzazione di strutture turistiche, ricettive e tecnologiche in occasione dei mondiali di calcio del 1990 non deroga ai vincoli paesaggistici, archeologici, artistici e storici nonché agli strumenti urbanistici esistenti. (Fattispecie in tema di abuso di ufficio concernente il rilascio di concessione edilizia per l'ampliamento di un complesso alberghiero, in contrasto con il piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino amalfitana e, conseguentemente, con l'art. 5 l. reg. Campania n. 35 del 1987 che vieta il rilascio di concessioni edilizie sino all'approvazione del P.R.C. ad eccezione di quelle relative ad opere di edilizia pubblica, che debbono comunque corrispondere alla normativa urbanistica). Cassazione penale, sez. VI, 30 aprile 1999, n. 12928

Inizio dell’efficacia dell'autorizzazione paesaggistica - potere di annullamento del Ministro per i beni culturali - termine - reato di abuso di ufficio. Poiché, secondo quanto previsto dall'art. 1 d.l. 27 giugno 1985 n. 312, conv. dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431, oggi D. Lgs. 1999 n. 490, l'autorizzazione paesaggistica è sottoposta al potere di annullamento del Ministro per i beni culturali, essa non può considerarsi efficace prima che siano decorsi 60 giorni dalla data in cui il provvedimento è pervenuto all'autorità tutoria; ne deriva che la concessione edilizia relativa a lavori che richiedono l'autorizzazione paesaggistica può a sua volta dirsi efficace solo dopo il decorso di tale ulteriore termine. (Fattispecie in cui è stato ritenuto che non era stato integrato il reato di abuso di ufficio ex art. 323 c.p. - relativamente alla concessione edilizia ritenuta illegittima ma ad un tempo inefficace - per mancata realizzazione dell'ingiusto profitto). Cassazione penale, sez. VI, 30 aprile 1999, n. 12928

1 sexies l. n.   431 del 1985 - esecuzione   di opere  edilizie  in  aree site  a  300  metri dalla   battigia  del mare - mancanza  del nullaosta  paesistico - elemento  essenziale - illegittimità del provvedimento concessorio anche se previa approvazione di un piano di  lottizzazione. Costituisce fatto punibile, nonostante il rilascio di provvedimento concessorio ad  opera dell'autorità comunale e la previa approvazione di un piano di  lottizzazione, l'esecuzione   di opere  edilizie  in  aree site  a  300  metri dalla   battigia  del mare a norma dell'art. 1 sexies l. n.   431 del 1985. In tali ipotesi, il controllo del giudice penale sulla  sussistenza  della    previsione   incriminatrice    non  costituisce  un'ipotesi di  disapplicazione  degli atti amministrativi ampliativi,  dal  momento che  la  mancanza  del nullaosta  paesistico è elemento  essenziale   della   fattispecie criminosa,   mentre  le  concessioni  edilizie  si  innestano su  una  fattispecie  di carenza  assoluta di  potere.   Pretura Bari, 10 febbraio 1999

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Fattispecie estintiva di cui all'art. 39 della L. 724/1994 - Reato ex art. 1-sexies della L. 431/1985 - Applicabilità - Condizioni - L. 47/1985 artt. 13 e 22. La particolare fattispecie estintiva prevista dal comma ottavo della legge n. 724 del 1994 si applica anche al reato di cui all'art. 1-sexies della legge n. 431 del 1985, presuppone la presentazione di un'istanza di condono edilizio o di "conversione" della concessione in sanatoria ex artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985 in quella prevista dal capo IV della stessa legge, il pagamento integrale dell'oblazione dovuta, il rilascio di una concessione in sanatoria, con le caratteristiche proprie di detto capo della citata legge, e dell'autorizzazione paesaggistica. Pres. Avitabile D - Est. Novarese F - Imp. Galimberti e altri - PM. (Conf.) De Nunzio W. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 27 gennaio 1999 (UD.17/12/1998) RV. 212246, Sentenza n. 01150

Il vincolo di inedificabilità - interpretazione ed efficacia - prevalenza delle leggi sugli strumenti urbanistici generali e regolamenti edilizi - Regione Sicilia - violazione del principio di uguaglianza e del diritto di proprietà. La "ratio" e la lettera della disposizione di cui all'art. 10 commi 1 e 2 l. reg. Sicilia 6 aprile 1996 n. 16 depongono univocamente nel senso di dover ritenere efficace "ope legis" il vincolo di inedificabilità previsto, prevalendo quindi sulle previsioni contenute negli strumenti urbanistici comunali generali e attuativi, analogamente a quanto disposto dall'art. 2 comma 3 l. reg. Sicilia 30 aprile 1991 n. 15 - secondo cui le disposizioni di cui all'art. 15 comma 1 lett. a), d) ed e) l. reg. Sicilia 12 giugno 1976 n. 78 devono intendersi direttamente e immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati - in quanto esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Inoltre, non è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 41 e 42 cost., la q.l.c. degli art. 4 e 10 l. reg. Sicilia 6 aprile 1996 n. 16 sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza e del diritto di proprietà. T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 14 gennaio 1999, n. 62

Tutela del paesaggio: potere della regione di proporre modifiche al p.r.g. volte alla salvaguardia degli interessi ambientali e paesaggistici. L'esercizio dei poteri statali e regionali in materia di tutela del paesaggio assicura la garanzia minima degli interessi ambientali e paesaggistici ma non esclude che, attraverso la pianificazione urbanistica, tali esigenze possano trovare, in sede locale, adeguata composizione con gli interessi pubblici che concorrono a determinare le scelte urbanistiche, considerato, altresì, che lo stesso art. 7 n. 5 l. n. 1150 del 1942, prescrive che il p.r.g. indichi, tra l'altro, anche i "vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesaggistico": non può, pertanto, essere negato il potere della regione di proporre modifiche al p.r.g. volte alla salvaguardia dei suddetti interessi. Consiglio Stato sez. IV, 28 settembre 1998, n. 1226 

Vincolo paesaggistico - vincoli nelle zone di riserva naturale - limitazioni a carattere espropriativo - l'indennizzabilità - vincoli conformativi - la legislazione comunitaria - la riduzione a coltura nei terreni boschivi, i movimenti di terreno e gli scavi suscettibili di alterare l'ambiente, la raccolta, l'esportazione, il danneggiamento della flora spontanea, fatti salvi gli interventi relativi all'attività agricola, nè quelli diretti a tagliare a raso, bruciare, estirpare. È manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 9 l. reg. Veneto n. 8 del 1991, sollevata sotto il profilo che tale norma, inserita in una legge che ha istituito il parco naturale del fiume Sile, nel prevedere, fino all'entrata in vigore del piano ambientale, e comunque per un periodo non eccedente i tre anni, una serie di vincoli nelle zone di riserva naturale (non consentendo, tra l'altro, la riduzione a coltura nei terreni boschivi, i movimenti di terreno e gli scavi suscettibili di alterare l'ambiente, la raccolta, l'esportazione, il danneggiamento della flora spontanea, fatti salvi gli interventi relativi all'attività agricola, nè quelli diretti a tagliare a raso, bruciare, estirpare), determinerebbe limitazioni a carattere espropriativo di diritti dominicali senza determinare, in contrasto con la legislazione comunitaria, strumenti compensativi di tali vincoli, tra l'altro, irragionevoli in rapporto alla funzione sociale perseguita, che è quella di tutela del patrimonio naturale. Trattasi cioè di vincoli conformativi che definiscono il vincolo paesaggistico come accertamento di una peculiare conformazione della proprietà e che si estende ai parchi naturali, per i quali la Corte costituzionale ha sempre negato l'indennizzabilità, con riferimenti ai vincoli relativi al divieto di rimboschimento e di coltura, oltreché di edificabilità, più volte sottolineando che "i beni naturali per la loro ubicazione in sede di complessi autorizzati ai fini di utilità sociale, costituiscono categoria ab origine di interesse pubblico generale, essendo connaturata ad essa quella destinazione di elevato valore paesaggistico che li contraddistingue quale mezzo di realizzazione del corrispondente interesse pubblico." Conseguendo da ciò "l'esigenza intrinseca di assicurare la conservazione a siffatti fini delle preesistenti qualità essenziali, assorbenti o, quanto meno, prevalenti rispetto al godimento dei singoli"; secondo un regime al quale rimane del tutto estranea la materia della espropriazione, non contenendo tali disposizioni limiti di effetto ablativo (cfr. corte cost. sentenze 20 maggio 1968, n. 56; 26 aprile 1971, n. 79; 16 giugno 1988 n. 648; 11 luglio 1989, n. 391; 3 ottobre 1990, n. 430). Nè assume rilievo il richiamo ai regolamenti Cee n. 797 del 1985 e n. 2328 del 1991 e alla direttiva Cee n. 268 del 1975, in quanto, da un lato, nessuna delle disposizioni invocate vieta l'imposizione di vincoli paesaggistici o ne subordina l'attuazione al previo indennizzo a favore della parte interessata; dall'altro, esse rispondono ad una diversa "ratio" e finalità. Cassazione civile, sez. I, 21 settembre 1998, n. 9433 

Potere discrezionale dell’Amministrazione - provvedimenti impositivi - sindacabilità. L'Amministrazione, in tema di esercizio del potere discrezionale, è tenuta a valutare gli interessi secondari coinvolti, compresi quelli privati, il cui sacrificio va misurato in relazione all'intensità di tutela del bene culturale obiettivamente presente. I provvedimenti impositivi del regime di tutela previsto per gli art. 1-3, l. 1 giugno 1939 n. 1089, essendo il risultato di un giudizio al quale concorrono accanto a valutazioni tecniche anche valutazioni di carattere discrezionale, sono sindacabili sotto i profili della congruità dell'istruttoria compiuta e dell'adeguatezza e logicità della motivazione. Ed è proprio, in sede di imposizione dei vincoli su beni di interesse storico e artistico ai sensi degli art. 1, 2 e 3 l. 1 giugno 1939 n. 1089, che l'Amministrazione è tenuta a valutare, con particolare attenzione, gli interessi secondari coinvolti, compresi quelli privati, il cui sacrificio va commisurato in relazione all'intensità di tutela del bene culturale obiettivamente presente. Essendo tali provvedimenti impositivi il risultato di un giudizio al quale concorrono, accanto a valutazioni tecniche, anche valutazioni di carattere discrezionale, sindacabili solo sotto i profili della congruità dell'istruttoria compiuta e dell'adeguatezza e logicità della motivazione. Consiglio Stato sez. VI, 2 settembre 1998, n. 1179

Piano territoriale regionale di coordinamento (P.T.R.C.) e PRG - modificazioni d'ufficio - obbligo di motivazione - potestà urbanistica del Comune - la preventiva consultazione con il comune interessato alle modifiche. In sede di approvazione dello strumento urbanistico, la regione è tenuta ad indicare le ragioni delle modificazioni d'ufficio di una scelta urbanistica effettuata dal Comune, altrimenti verrebbe menomata l'autonomia dello stesso Comune, al quale, in definitiva, competono le scelte sulle modalità di utilizzo e governo del territorio. (Cons. Stato, 19 febbraio 1986, n. 105). (Nella fattispecie, ai sensi dell'art. 45, l. reg. Veneto 27 giugno 1985 n. 61, la modifica al p.r.g. o alla variante può essere approvata direttamente dalla giunta regionale solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge stessa, mentre negli altri casi è necessaria la previa consultazione con il comune interessato. Consiglio Stato, sez. IV, 3 agosto 1998, n. 1126

Amministrazione regionale - PRG - modificazioni d'ufficio - determinazioni impugnate - appello - ammissibilità. E' sufficiente a ritenere ammissibile l'appello, anche in mancanza di censure analitiche avverso la sentenza impugnata, avendo sostenuto peraltro l'Amministrazione regionale la legittimità delle proprie determinazioni impugnate in primo grado (Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 1996, n. 610; sez. IV, 17 aprile 1990, n. 289; sezione VI, 13 maggio 1985, n. 197). Consiglio Stato, sez. IV, 3 agosto 1998, n. 1126

Urbanistica - concessione di costruzione - concessione in sanatoria - area sottoposta a vincolo - parere ex art. 32, l. n. 47 del 1985 - natura vincolante - autorità competente - individuazione - criterio l. del 28/2/1985 num. 47 art. 32 - intervento ministeriale. La concessione edilizia in sanatoria di un bene in area sottoposta a vincolo ambientale paesaggistico necessita del preventivo nulla - osta dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Tale "parere" previsto dall'articolo 32, Legge 28 febbraio 1985, n. 47 sul condono edilizio subordina la concessione o l'autorizzazione in sanatoria, per opere eseguite su aree sottoposte a vincoli "al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso", è un atto vincolante, il quale esprime il consenso o il dissenso di autorità, diverse da quelle operanti in materia urbanistica, la cui individuazione va operata alla stregua delle disposizioni che, nelle varie materie, indicano l'organo competente al rilascio di nulla-osta o autorizzazioni. Tale parere, ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria, ha natura e funzioni identiche all'autorizzazione paesaggistica ex art. 7 l. n. 1497 del 1939, in quanto entrambi gli atti costituiscono il presupposto per l'assentimento del titolo che legittima la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta; pertanto, è legittimo l'annullamento ministeriale del parere favorevole alla sanatoria di un intervento realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato allo Stato dall'ordinamento ad estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario. Il nulla - osta soggiace al controllo ministeriale circa la valutazione di compatibilità ambientale paesaggistica che essendo di natura discrezionale può diversamente evolversi in annullamento dell'autorizzazione già concessa. Il potere ministeriale di controllo va effettuato nei termini perentori di cui all'art. 82 D.P.R. n. 616 del 1977. Il termine perentorio di sessanta giorni previsto dall'art. 82 comma 9 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, ai fini dell'annullamento, da parte del ministro per i beni culturali e ambientali, del nulla osta regionale per la tutela dei vincoli paesistici di cui all'art. 7 l. 1 giugno 1939 n. 1497, inizia a decorrere solo dal momento in cui perviene al ministro stesso la documentazione completa che gli consenta di esercitare la sua funzione. La richiesta di documentazione da parte del ministero ha però effetto interruttivo del termine, mentre la mancata trasmissione della documentazione determina il necessario conseguenziale annullamento del parere regionale già rilasciato. Deve ritenersi viziato da eccesso di potere per presupposto erroneo e difetto di motivazione il parere favorevole della regione rilasciato ai fini del condono edilizio che sia stato emanato sul presupposto che le opere da sanare siano parzialmente (e non del tutto) difformi dal progetto autorizzato e che non contenga il giudizio di compatibilità con il contesto ambientale tutelato: pertanto, deve essere annullato dal ministero per i beni culturali e ambientali ai sensi dell'art. 82 D.P.R. n. 616 del 1977. Consiglio Stato sez. VI, 28 gennaio 1998, n. 114.

Vincolo idrogeologico. Nel caso in cui risulti accertata l`esistenza soltanto di un vincolo idrogeologico interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione abusiva, con esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto, non è configurabile il reato di cui all`art. 1 sexies legge 8 agosto 1985, n. 431, né quello di cui all`art. 734 c.p., che presuppone l`imposizione di un vincolo a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio. Cass. pen., sez. III, 13 maggio 1997, n. 4423. 

Vincolo paesaggistico - approvazione opere pubbliche - propedeuticità del parere - parere successivo - esclusione dell’effetto sanante. È illegittima l’approvazione di un progetto di opera pubblica da realizzarsi su area assoggettata a tutela paesaggistica in mancanza del preventivo parere di cui all’art.7 L. 29 giugno 1939 n. 1497; né l’illegittimità è sanata dal parere che sia intervenuto successivamente. Pertanto, tutte le modifiche innovative di un progetto (anche) di opera pubblica precedentemente approvato, in quanto comportano un mutamento di qualità del bene sul quale l'opera deve sorgere, comportano una nuova approvazione che deve intervenire solo dopo il rilascio dell'autorizzazione a fini paesaggistici, ex art. 7 l. 29 giugno 1939 n. 1497. Consiglio Stato sez. IV, 10 aprile 1996, n. 462.

Gli interventi edilizi assoggettati dall`art. 7 L. 25 marzo 1982 n. 94 a regime autorizzatorio, richiedono il rilascio di concessione edilizia, da emanarsi previa acquisizione del necessario nulla osta paesistico, qualora ricadano in zone soggette a vincolo paesistico-ambientale. Tar Calabria, 9 dicembre 1995, n. 784, in Foro it. 1996, III, 306.  

Un territorio coperto da bosco è sottoposto a vincolo "ex lege" - in mancanza della prescritta autorizzazione regionale s'integra il reato di cui all'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985. Il sistema di tutela ambientale delineato dalla l. n. 431 del 1985 prevede, per determinate categorie di beni, l'imposizione di un vincolo "ex lege". Pertanto, il piano paesistico regionale non è in grado di costituire o escludere il vincolo ambientale, perché questo deriva direttamente dalla legge. Un territorio coperto da bosco è da ritenere sottoposto a vincolo, ancorché non incluso tra i boschi dal bosco paesistico regionale. L'intervento in tali zone senza la prescritta autorizzazione regionale integra pertanto il reato di cui all'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985. L'esistenza del vincolo deve essere esclusa se il bosco risulta incluso come area edificabile nel piano triennale di attuazione del piano regolatore generale vigente prima dell'entrata in vigore della c.d. legge Galasso. Cassazione penale, sez. III, 6 dicembre 1995, n. 4319.

Vincoli di inedificabilità posti dalla L. 8 agosto 1985, n. 431. In tema di vincoli di inedificabilità posti dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, per gli interventi edilizi che interessano aree protette da vincoli paesaggistici il reato previsto dall`art. 1 sexies di tale legge è configurabile anche nel caso in cui la costruzione di un edificio sia stata autorizzata ed abbia avuto inizio anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge sempreché a tale data la costruzione non avesse assunto dimensioni di apprezzabile consistenza, tali da realizzare un`irreversibile modificazione del territorio, non conciliabile con le prescrizioni cautelari imposte dal legislatore, mentre lavori eseguiti successivamente a quella data abbiano determinato siffatta apprezzabile consistenza. (La Cassazione ha evidenziato la immediata operatività delle misure di salvaguardia previste dalla legge n. 431 del 1985 e la necessità, ai fini di stabilire l`applicabilità o meno del vincolo di inedificabilità a costruzioni in corso alla data di entrata in vigore di detta legge, di verificare le proporzioni concrete dell`attività immutativa del territorio con riferimento a tale data, posto che è in quel momento che il vincolo paesaggistico è stato introdotto). Cass. pen., sez. un., 23 aprile 1993, n. 4 

La L. 8 agosto 1985, n. 431e gli interventi di manutenzione ordinaria. La L. 8 agosto 1985, n. 431 (cosiddetta Galasso) ha imposto un divieto di edificabilità assoluta nelle aree soggette al vincolo paesistico, con esclusione, però, degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che "non alterino lo stato dei luoghi". Sicché, in tema di tutela paesistica, il divieto di eseguire gli interventi sopra indicati è limitato solo al caso in cui i lavori comportino "alterazione dello stato dei luoghi" o dell`assetto esteriore degli edifici; non ogni opera che interessi la superficie esterna determina, però, "alterazione", ma esclusivamente quella che ne immuti in modo rilevante od essenziale le sue caratteristiche originali. Cass. pen., sez. III, 20 novembre 1993, n. 10577. 

La nozione di totale difformità - assenza dell'autorizzazione paesaggistica. La nozione di totale difformità è desumibile - per le opere edilizie - dall'art. 7 della legge n. 47 del 1985. Il concetto di variazione essenziale di cui all'art. 8 stessa legge è invece riferibile soltanto a talune attività, ivi elencate: vanno cioè esclusi dalla previsione (alle condizioni stabilite) gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo (nonché l'esercizio della attività agro-silvo-pastorale), regolati nel dodicesimo comma dell'art. 1 legge n. 431 del 1985. In tema di tutela del paesaggio, il richiamo "quoad poenam", effettuato dall'art. 1 "sexies" legge 8 agosto 1985, n. 431 all'art. 20 legge 28 febbraio 1985, n. 47 si riferisce alle lettere a), c). A qualsiasi intervento - inquadrabile nella disciplina "de qua" - nelle zone sottoposte a vincolo, eseguito in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza dell'autorizzazione paesaggistica va applicata la sanzione di cui alla lettera c). Cassazione penale, sez. III, 05.05.1992, n. 6898.

Integrità ambientale e concetto di unitarietà - legittimità di un'unica sanzione penale di tutte le modifiche e alterazioni attuate mediante opere non autorizzate - legge n. 431 del 1991 - legittimità costituzionale dell'art. 1 sexies aggiunto al d.l. 27 giugno 1985 n. 312, dalla l. 8 agosto 1985 n. 431, in riferimento all'art. 3 Cost.. L'integrità ambientale è un bene unitario che va salvaguardato nella sua interezza. Ne deriva la legittimità della sottoposizione a un'unica sanzione penale di tutte le modifiche e alterazioni attuate mediante opere non autorizzate, indipendentemente dalla presenza e dall'entità di un danno paesistico. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 sexies aggiunto al d.l. 27 giugno 1985 n. 312, dalla l. 8 agosto 1985 n. 431, in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto la possibilità di differenziare adeguatamente la sanzione in relazione ai singoli casi consente di escludere che l'inserimento delle differenti sottofattispecie nello stesso modello di genere sia frutto di un uso irragionevole e perciò costituzionalmente censurabile della discrezionalità legislativa. La legge n. 431 del 1991, allo scopo di apprestare una più efficace tutela dei beni ambientali, ha rovesciato il criterio ispiratore della legge n. 1497 del 1939, introducendo vincoli paesaggistici generalizzati e demandando alle regioni di provvedere per la redazione di piani paesistici e di piani urbanistico-territoriali sulla base dei quali disporre discipline differenziate. L'integrità ambientale è un bene unitario, che può risultare compromesso anche di interventi minori e che va pertanto salvaguardato nella sua interezza. Pertanto, la norma che prevede un'unica sanzione in relazione a varie ipotesi di reato non è costituzionalmente illegittima, quando, con la previsione di un minimo e di un massimo della pena, sia riservato al giudice un margine di discrezionalità, che gli consenta di graduare la sanzione inflitta, in relazione alla peculiarità oggettiva e soggettiva del caso di specie; pertanto, l'art. 1 "sexies" d.l. 27 giugno 1985 n. 312, aggiunto dalla l. 8 agosto 1985 n. 431 di conversione, non è in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo che il citato articolo ha esteso la sanzione, già prevista per la violazione a vincoli di inedificabilità, alla violazione delle norme paesaggistiche poiché la legge ha previsto un ampio margine di discrezionalità che consente al giudice di graduare, attraverso i limiti minimo e massimo della pena edittale, la sanzione da infliggere in concreto alle due ipotesi di reato. Corte Costituzionale 24 febbraio 1992, n. 67.

La natura di atto complesso dei P.R.G.. Il piano regolatore generale ha natura di atto complesso, risultando dal concorso delle volontà del Comune e della Regione (succeduta allo Stato ai sensi dell'art. 1 lett. a) D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8) sì che l'efficacia normativa del piano regolatore e delle prescrizioni in esso contenute ha inizio non già dalla data di approvazione di esso da parte del consiglio comunale, ma da quello della pubblicazione del decreto di approvazione del presidente della giunta regionale. Ne consegue che prima di tale momento la disciplina applicabile in materia di distanze fra le costruzioni e' quella del codice civile. Cassazione civile sez. II, 19 marzo 1991 n. 2927.

L'interesse paesaggistico è funzionalmente differenziato da quello urbanistico, sicché la circostanza che l`Autorità deputata alla tutela dei beni ambientali si sia pronunciata positivamente in sede di procedimento urbanistico non esclude che i singoli progetti, pur compatibili con la destinazione urbanistica, appaiono in concreto, per il loro modo di essere, incompatibili con i valori paesaggistici che a tale fine sono autonomamente tutelati.  Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 1991, n. 827, in Riv. amm. 1991, 2091.

In tema di tutela delle zone di particolare interesse ambientale, la violazione delle disposizioni della L. 8 agosto 1985, n. 431, che abbia comportato una modificazione ambientale, anche in mancanza di opere edilizie, è prevista dall`art. 1 sexies come nuova ipotesi di reato.  Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 1988, n. 12974 (ud. 30 novembre 1988, n. 2383), Poletto. 

 

Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni:

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