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Giurisprudenza

 

 

Urbanistica

 

 

anni 2002 -2001 - 2000 - 1999-86

 

 

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Prg - concessione - autorizzazione - comunicazione - lottizzazione - occupazione - zonizzazione - urbanizzazione - condono...  

 

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  Prg - concessione - autorizzazione - comunicazione - lottizzazione- occupazione - condono... 

La decadenza per i vincoli di p.r.g. non seguiti nel quinquennio da piano particolareggiato - l’occupazione preordinata alla realizzazione di una singola opera pubblica. Il richiamo alla legge n. 1187/68 appare inconferente, atteso che essa commina la decadenza per i vincoli di p.r.g. non seguiti nel quinquennio da piano particolareggiato, mentre nel caso all'esame del Collegio si verte in tema di occupazione (d’urgenza) preordinata alla realizzazione di una singola opera pubblica, regolarmente approvata, e compresa in un piano di zona. Consiglio di Stato Sezione IV del 23/12/2002 sentenza n. 7279

Occupazione d'urgenza - funzione dei termini di inizio e completamento dei lavori - la fissazione nel termine massimo di durata (di cinque anni). Nè l'omessa indicazione dei termini di inizio e completamento dei lavori ex art. 35, lett. d), L. n. 865/71 cit. vizia, per ciò solo, il provvedimento di occupazione d'urgenza. Tale indicazione si riferisce invero alla convenzione tra Consorzio e Comune e rileva esclusivamente nel quadro dei rapporti fra l'ente concedente e il concessionario; la posizione dell'espropriando trova invece tutela nella fissazione del limite di durata dell'occupazione, ai sensi dell'art. 20, secondo comma, L. n. 865/71: peraltro, la fissazione nel termine massimo di durata (di cinque anni) costituisce scelta latamente discrezionale dell'Amministrazione e non necessita di motivazione alcuna sul punto (cfr., fra le tante, Cons. Stato, IV Sez., 31 luglio 2000, n. 4215, e 10 giugno 1999, n. 982). Consiglio di Stato Sezione IV del 23 dicembre 2002 sentenza n. 7279

Prg - la correlazione diretta ed immediata che impone agli amministratori comunali l’obbligo di astenersi. La previsione contenuta nell’articolo 19, comma 2, della legge 3 agosto 1999, n. 265, successivamente trasfusa nell’articolo 78 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo cui in relazione ai piani urbanistici qualora sia dimostrata, con sentenza passata in giudicato, la correlazione diretta ed immediata che imponeva agli amministratori comunali l’obbligo di astenersi dal partecipare alla discussione e alla valutazione di delibere riguardanti interessi propri o dei propri parenti o affini entro il quarto grado, le parti dello strumento urbanistico oggetto della correlazione sono annullate e sostituite con una nuova variante urbanistica, in quanto norma finalizzata a favorire l’effettivo governo del territorio da parte dell’ente locale, non può escludersi che quest’ultimo, proprio nell’ambito della sua discrezionalità, in ragione della gravità o dell'estensione del vizio accertato, provveda ad una nuova complessiva regolamentazione del territorio, non limitandola alla sola parte viziata ed annullata. Consiglio di Stato, IV Sezione del 20/12/2002 sentenza n. 7257

L’interesse ad impugnare - ipotesi dell’annullamento di una delibera di adozione di una variante al piano regolatore generale. Con riguardo all’ipotesi dell’annullamento di una delibera di adozione di una variante al piano regolatore generale, è inammissibile per carenza di interesse l’appello proposto da terzi rimasti estranei al giudizio di primo grado quando, ancor prima della proposizione dell’appello, l’Amministrazione abbia espresso la volontà di prestare acquiescenza alla sentenza sulla base del grave vizio genetico del provvedimento annullato, evidenziato dal parere di un legale di propria fiducia: infatti l’eventuale accoglimento dell’appello, facendo rivivere in parte qua il provvedimento impugnato i contrasto con la volontà dell’amministrazione, costituirebbe un’inammissibile intrusione del potere giurisdizionale in quello amministrativo. Consiglio di Stato, IV Sezione del 20/12/2002 sentenza n. 7257

Urbanistica e edilizia - Costruzione di parcheggi - Art. 9. L. n. 122/1989 (c.d. "Legge Tognoli") - Disciplina eccezionale - Applicabilità ad aree extraurbane - Deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti - Esclusione. Costituisce disposizione a carattere eccezionale da interpretarsi nel suo significato strettamente letterale ed in considerazione delle finalità della legge nel cui contesto risulta inserita, la possibilità di realizzare parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari "anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti", consentita dall'art. 9 legge n. 122/1989 (c.d. "Legge Tognoli"). Pertanto tale articolo è applicabile alla costruzione di spazi parcheggio nelle sole aree urbane, mentre la realizzazione di parcheggi in aree extraurbane resta soggetta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie necessitando della normale concessione edilizia. La stessa Corte Costituzionale (n. 459/89), ha ritenuto costituzionalmente legittimo l'art. 9 sulla base della considerazione che lo stesso, in realtà, non permette la realizzazione dei parcheggi anche in deroga ai sopracitati vincoli diversi da quelli da esso espressamente richiamati e non prevede una forma di silenzio - assenso in ordine alla richiesta di nulla - osta previsti dalla legge a tutela dei beni paesaggistici ed ambientali. Pres. Borea, Est. Metro -M. V. S.r.l. (avv. Rocchini) c. Comune di Sesto Fiorentino (avv. Stolzi) - ric. n. 2645/1994. TAR TOSCANA - Sezione III, 19 dicembre 2000, Sentenza n. 2533

Urbanistica e edilizia - Parcheggi realizzati nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato - Decongestionamento dei centri urbani - Parcheggi finalizzati all'interscambio con i sistemi di trasporto collettivo - Artt. 3, 6, 9 e 13, L. n. 122/1989 (c.d. "Legge Tognoli") - Disciplina eccezionale - Aree extraurbane - Normale concessione edilizia - Art. 17, c. 90 L. 127/1997. Gli artt. 3 e 6, della legge n. 122/1989 (c.d. "Legge Tognoli"), dispongono che siano realizzati, da parte dei vari Comuni, i programmi urbani dei parcheggi, programmi che devono privilegiare "le realizzazioni volte a favorire il decongestionamento dei centri urbani, mediante la creazione di parcheggi finalizzati all'interscambio con i sistemi di trasporto collettivo". La "ratio" sottesa alla legge in esame è confermata anche dall'integrazione operata, da parte dell'art. 17, comma 90 della legge 127/1997, dello stesso art. 9. Tale disposizione della legge n. 127/1997, infatti, nel prevedere che possano essere realizzati parcheggi anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, sottolinea come gli stessi, comunque, non possano contrastare con i piani urbani del traffico. Inoltre, il successivo art. 13 della legge n. 122/1989 si preoccupa espressamente degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull'ordine pubblico, sul patrimonio ambientale. In base, dunque, ad una interpretazione sistematica, l'art. 9 deve ritenersi applicabile solo alle aree urbane e non a quelle extraurbane. Ciò non significa che sia esclusa la realizzazione di spazi parcheggio in aree extraurbane, ma solo che tali interventi non possono attuarsi nelle forme e nei modi di cui alla citata disposizione. Gli stessi devono, invece, risultare sottoposti alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie e necessitano della normale concessione edilizia. Pres. Borea, Est. Metro -M. V. S.r.l. (avv. Rocchini) c. Comune di Sesto Fiorentino (avv. Stolzi) - ric. n. 2645/1994. TAR TOSCANA - Sezione III, 19 dicembre 2000, Sentenza n. 2533

Lo studio di prefattibilità ambientale del progetto preliminare dell'opera - i livelli dei successivi approfondimenti tecnici: progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo - definizione - l'avvio della procedura espropriativa nel progetto preliminare. L'approvazione del progetto definitivo equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori. In ordine alla dedotta mancanza dello studio di prefattibilità ambientale, la Sezione ritiene di evidenziare che esso non era necessario, la delibera impugnata avendo riguardo, come già sottolineato, alla sola approvazione del progetto preliminare dell'opera da realizzare. In realtà, ai sensi dell'art. 16 della legge 11 febbraio 1994 n. 109, l'attività di progettazione per l'esecuzione dei lavori pubblici si articola, nel rispetto dei veicoli esistenti e preventivamente accertati e oltre ai limiti di spesa prestabiliti, in tre livelli di successivi approfondimenti tecnici: in progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo. Il progetto preliminare, che deve essere tale da consentire l'avvio della procedura espropriativa, definisce "le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire" e consiste "in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle eventuali soluzioni possibili", tenendo conto, tra l'altro, dei profili ambientali, della fattibilità amministrativa e tecnica, accertata mediante le indispensabili indagini di prima approssimazione. Il progetto definitivo "individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni"; nella relazione descrittiva in cui esso si concreta devono essere contenuti, fra l'altro, lo studio dell'impatto ambientale, gli studi e le indagini preliminari con riguardo alla natura ed alle caratteristiche dell'opera, studi ed indagini che, con particolare riferimento a quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico e chimico, devono essere condotti ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo. L'approvazione del progetto definitivo da parte di un'amministrazione aggiudicatrice, ai sensi del comma 13 dell'art. 14 della predetta legge n. 109 del 1994, equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori. Il progetto esecutivo, che deve essere redatto in conformità del progetto definitivo "determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare ed il relativo costo e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo". La scansione procedimentale dei tre tipi successivi di progetto non può essere derogata o alterata perchè essa risponde espressamente alla necessità di assicurare: "a) la qualità dell'opera e la rispondenza alle finalità relative; b) la conformità alle norme urbanistiche ed ambientali; c) il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definitivi nel quadro normativo, nazionale e comunitario": il legislatore ha insomma fissato un procedimento progressivo di successivo affinamento dei progetti quale strumento necessario per consentire agli organi della pubblica amministrazione di poter essere pienamente consapevole delle scelte di realizzazione di una certa opera ovvero dell'esecuzione di un certo tipo di lavori, volendo evitare l'avvio dei progetti estemporanei, inutili, irrealizzabili con sperpero di danaro pubblico, in omaggio ai principi di legalità, buon andamento ed imparzialità della azione della pubblica amministrazione consacrati dall'art. 97 della Costituzione. Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 dicembre 2002 - Sentenza n. 6917 (vedi: sentenza per esteso)

Lo schema di programma triennale di lavori pubblici ed il relativo aggiornamento annuale - natura - competenza della Giunta municipale - atto di impulso e proposta - competenze del Consiglio comunale - atto di programmazione e di indirizzo politico-amministrativo - l'approvazione del progetto definitivo di opera pubblica - dichiarazione implicita di pubblica utilità - indifferibilità ed urgenza dei lavori - la comunicazione di avvio del procedimento. Lo schema di programma triennale di lavori pubblici ed il relativo aggiornamento annuale costituisce atto di impulso e proposta che rientra nella competenza della Giunta municipale, ai sensi dell'articolo 46 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Rientra invece nelle competenze del Consiglio comunale l'approvazione del programma definitivo di opere pubbliche con l'elenco annuale di quelle da realizzare, trattandosi di atto di programmazione e di indirizzo politico-amministrativo. Solo l'approvazione del progetto definitivo di opera pubblica, comportando dichiarazione implicita di pubblica utilità nonchè indifferibilità ed urgenza dei lavori, obbliga l'Amministrazione a dare la comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241. Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 dicembre 2002 - Sentenza n. 6917 (vedi: sentenza per esteso)

L'approvazione del programma triennale dei lavori pubblici - competenze del Consiglio comunale - aggiornamenti annuali - procedura - pubblicità. L'approvazione del programma triennale dei lavori pubblici previsto dall'articolo 14 della legge 11 febbraio 1994, n. che, ai sensi del secondo comma del citato articolo, "costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei propri bisogni" ed è predisposto da ogni singola amministrazione pubblica nell'ambito delle proprie rispettive competenze, viene ad esistenza attraverso uno specifico iter procedimentale delineato nell'ultimo periodo dell'articolo 14 che così dispone: "Lo schema di programma triennale e i suoi aggiornamenti annuali sono resi pubblici, prima della loro approvazione, mediante affissione nella sede dei soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, per almeno sessanta giorni consecutivi". Pertanto, è fondato il primo motivo di gravame, con il quale il Comune ha negato che la delibera della giunta municipale n. 147 del 28 settembre 1991 sia affetta dal vizio di incompetenza, non avendo essa ad oggetto. Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 dicembre 2002 - Sentenza n. 6917 (vedi: sentenza per esteso)

Programma triennale dei lavori pubblici - procedimento di approvazione - aggiornamento - responsabili del procedimento. Il procedimento di approvazione del programma triennale dei lavori pubblici si articola in tre momenti fondamentali: a) lo schema di programma triennale con l'aggiornamento annuale; b) la pubblicità dello schema mediante sua affissione, nel caso di un comune, all'albo pretorio per almeno sessanta giorni; c) l'approvazione definitiva del programma triennale dei lavori con l'elenco annuale dei lavori da realizzare. L'articolo 13 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante il regolamento di attuazione della legge 11 febbraio 1994, n. 109, ha precisato che: a) lo schema del programma di aggiornamento dei lavori pubblici è redatto entro il 30 settembre di ogni anno e che la proposta di aggiornamento tiene conto delle esigenze prospettate dai responsabili del procedimento; b) il programma è deliberato dalle amministrazioni aggiudicatrici diverse dallo Stato contestualmente al bilancio di previsione e a quello pluriennale. Il D.M. 21 giugno 2000, recante "Modalità e schemi - tipo per la redazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori, ai sensi dell'articolo 14, comma 11, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni", all'articolo 2, nel confermare che lo schema del programma triennale dei lavori pubblici ed il suo aggiornamento annuale devono essere redatti entro il 30 settembre, ha previsto che detto schema è approvato dall'organo competente, secondo le previsioni dei rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche (comma 2) e che le amministrazioni diverse dallo Stato deliberano l'aggiornamento definitivo del programma unitamente all'elenco dei lavori da realizzare nell'anno in occasione dell'approvazione del bilancio preventivo, di cui tali documenti costituiscono parte integrante. L'articolo 10 del predetto decreto stabilisce, al primo comma, che "ai fini della loro pubblicità e della trasparenza amministrativa gli schemi dei programmi ed i relativi aggiornamenti annuali, prima dell'approvazione, sono affissi, per almeno 60 giorni consecutivi, nella sede dell'amministrazione precedente che può adottare ulteriori forme di informazione nei confronti dei soggetti comunque interessati al programma, purchè queste siano predisposte in modo da assicurare il rispetto dei tempi di cui precedente articolo 2, comma 2. Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 dicembre 2002 - Sentenza n. 6917 (vedi: sentenza per esteso)

L'approvazione del programma triennale dei lavori pubblici e del relativo aggiornamento annuale - puntuale scansione procedimentale - principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa - la redazione dello schema - aggiornamento annuale - esigenze prospettate dal responsabile del procedimento - pubblicità - le osservazioni. La puntuale scansione procedimentale prevista dal legislatore ai fini dell'approvazione del programma triennale dei lavori pubblici e del relativo aggiornamento annuale, improntata evidentemente al rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa fissati dall'articolo 97 della Costituzione, risponde all'esigenza di assicurare l'effettivo perseguimento dell'interesse pubblico, attraverso la ponderata valutazione degli interventi pubblici da realizzare, sia in ragione dello sforzo finanziario che ognuno di essi impone in rapporto alle effettive disponibilità economiche dell'amministrazione, sia in ragione degli effettivi e più impellenti bisogni della collettività. La redazione dello schema del programma triennale e del suo aggiornamento annuale (predisposto sulla base delle proposte, delle informazioni, dei dati e delle esigenze prospettate dal responsabile del procedimento) ha la natura di un atto di impulso e di proposta, destinato proprio a sollecitare la valutazione dell'interesse pubblico concreto ed effettivo al fine di scegliere fra i vari interventi proposti quelli necessari, sotto il profilo dell'opportunità e dell'adeguatezza; si tratta perciò di un mero intendimento unilaterale che, per poter assurgere a programma definitivo di opere da realizzare (non è un caso che la legge preveda espressamente l'approvazione dell'elenco annuale degli interventi da effettuare), deve poter essere sottoposto al giudizio ed al controllo della stessa collettività, finalità che si realizza in modo diffuso attraverso la sua pubblicità mediante affissione nella sede dell'amministrazione (ovvero all'albo pretorio nel caso del Comune) e mediante la predisposizione delle altre forme di pubblicità ritenute adeguate dall'amministrazione stessa. L'approvazione definitiva del programma dei lavori, unitamente all'elenco annuale, non costituisce, d'altra parte, una mera presa d'atto dello schema originariamente proposto, ma implica da parte dell'organo competente la valutazione delle proposte risultanti dallo schema, previo confronto con le osservazioni eventualmente formulate dagli interessati grazie alla pubblicità dello schema, per giungere quindi alla "giusta" e legittima individuazione e determinazione delle opere da realizzare nell'anno. Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 dicembre 2002 - Sentenza n. 6917 (vedi: sentenza per esteso)

La violazione “per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento” nella dichiarazione implicita di pubblica utilità dell'intervento da realizzare - illegittimità. E’ palese (e riconosciuta dal primo giudice) la violazione dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 per la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento culminata nella dichiarazione implicita di pubblica utilità dell'intervento da realizzare, come tale immediatamente e direttamente lesiva degli interessi del ricorrente in primo grado, osserva la Sezione che non vi è dubbio che tale obbligo sussista, come precisato dalla giurisprudenza di questo consesso (per tutti, A.P., 1\5 settembre 1999, n. 14). Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 dicembre 2002 - Sentenza n. 6917 (vedi: sentenza per esteso)

La dichiarazione di pubblica utilità contenuta nell'atto, in quanto contraria a legge, deve considerarsi come non apposta o inutilmente apposta ed in ogni caso non è idonea ad inficiare l'atto - la dichiarazione di pubblica utilità implicita nell'approvazione del progetto preliminare - principio di conservazione degli atti giuridici. E’ palese (e riconosciuta dal primo giudice) la violazione dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 per la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento culminata nella dichiarazione implicita di pubblica utilità dell'intervento da realizzare, come tale immediatamente e direttamente lesiva degli interessi del ricorrente in primo grado, osserva la Sezione che non vi è dubbio che tale obbligo sussista, come precisato dalla giurisprudenza di questo consesso (per tutti, A.P., 1\5 settembre 1999, n. 14). Tuttavia, nel caso di specie, non si è avuta la dichiarazione di pubblica utilità implicita nell'approvazione del progetto delle opere da realizzare, perchè essa consegue ope legis alla sola approvazione del progetto definitivo delle opere da realizzare, come stabilisce il comma 13 dell'articolo 14 dell legge 11 febbraio 1994, n. 109, laddove con la impugnata delibera consiliare n. 28 del 20 dicembre 1991 è stato approvato soltanto il progetto preliminare. E' vero che nella parte dispositiva della ricordata delibera si afferma espressamente che l'approvazione del progetto comporta dichiarazione di pubblica utilità dei lavori da eseguire, nonchè la loro indifferibilità ed urgenza; tuttavia, essendo pacifico che con quell'atto amministrativo comunale approvò soltanto il progetto preliminare dei lavori (necessario peraltro, ai fini dell'inclusione dell'intervento nell'elenco annuale dei lavori pubblci, ai sensi del comma 6 ell'articolo 14 della legge 11 febbraio 1994 n. 109) e che, poichè la realizzazione dell'opera comportava la modifica della vigente destinazione urbanistica, la delibera stessa costituiva variante al piano regolatore generale (che diventa efficace solo con la approvazione regionale e non era quindi idonea a far conseguire gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità, C.d.S. Sez. IV, 7 settembre 2000, n. 4702; 11 febbraio 1999, n. 144; 30 aprile 1998, n. 702), la dichiarazione di pubblica utilità contenuta nell'atto, in quanto contraria a legge, deve considerarsi come non apposta o inutilmente apposta ed in ogni caso non è idonea ad inficiare l'atto, in virtù del principio di conservazione degli atti giuridici, valevole anche per il diritto amministrativo, espresso dal brocardo, trattandosi di una determinazione accessoria che vitiatur sed non vitiat. Non essendoci alcuna valida ed utile dichiarazione di pubblica utilità e questa non potendo conseguire ex lege all'approvazione del progetto preliminare, non sussisteva alcun obbligo da parte della amministrazione comunale di comunicare alla ricorrente l'esistenza del procedimento relativo alla realizzazione dei lavori del Parco in linea in località Marina. Successivamente all'approvazione del progetto preliminare ed in relazione alla conseguente fase di approvazione del progetto definitivo dell'opera, quest'ultimo - come visto - comportante dichiarazione implicita di pubblica utilità dell'opera, è sorto invece l'obbligo di dare comunicazione all'interessato dell'avvio del procedimento, ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, obbligo che risulta puntualmente adempiuto con la nota prot. n. 7415 del 21 dicembre 2001 anch'essa erroneamente interpretata dal ricorrente e dai primi giudici. Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 dicembre 2002 - Sentenza n. 6917 (vedi: sentenza per esteso)

La mancanza dello studio di prefattibilità ambientale. La mancanza dello studio di prefattibilità non può incidere negativamente sulla validità e legittimità dell'approvazione del progetto preliminare dei lavori in questione non risultando provato, nè emergendo ictu oculi dalla realizzazione allegata alla impugnata delibera, che essa incide negativamente sull'elaborazione e sull'approvazione del progetto definitivo, di cui costituisce il necessario substrato e presupposto, logico, oltre che giuridico. E' in tale ottica che va letta la previsione contenuta nell'articolo 18 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, secondo cui lo studio di prefattibilità ambientale, così come gli altri elaborati ivi indicati, compongono il progetto preliminare, salva la diversa determinazione del responsabile del procedimento. Una diversa interpretazione della norma, la renderebbe del tutto contraddittoria, anche in ragione della forza giuridica derivantegli dall'appartenere ad una fonte regolamentare e quindi subordinata rispetto alla legge, rispetto a quella contenuta nell'articolo 16 della legge 11 febbraio 1994, n. 109: trattandosi di una norma regolamentare attuativa della normativa legislativa lesa non può contenere norme nuove diverse da quelle che è destinata a servire. Consiglio di Stato, Sezione IV - 14 dicembre 2002 - Sentenza n. 6917 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - stazione radio base per la telefonia mobile - installazione su veicolo gommato - concessione edilizia - necessita'. La installazione di una stazione radio base per la telefonia mobile necessita della preventiva concessione edilizia e, se trattasi di zona sottoposta a vincoli, della autorizzazione da parte dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo, anche se effettuata su veicolo caratterizzato dalla sua rimovibilita', come un veicolo gommato, atteso che risulta funzionalmentedestinata a soddisfare esigenze di carattere duraturo. Cassazione Penale sezione III del 10/12/2002 (CC.25/10/2002), Sentenza n. 41180

L’esenzione dal pagamento dei contributi di concessione per le “opere pubbliche o di interesse generale - dottrina e giurisprudenza - l’ascrivibilità dell’opera a soddisfare i bisogni della collettività, anche se realizzate e gestite da privati - l’esecuzione delle opere - gli obblighi e i presupposti - la “ricaduta” del beneficio dello sgravio a vantaggio della collettività - esclusione - mera attività lucrativa di impresa. Come più volte evidenziato dalla dottrina e della giurisprudenza, lo sgravio contributivo di cui trattasi pretende il concorso di due presupposti, e cioè uno oggettivo, ovvero l’ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale (nel senso che deve trattarsi di opere che, quantunque non destinate direttamente a scopi propri della P.A., siano comunque idonee a soddisfare i bisogni della collettività, anche se realizzate e gestite da privati), e l’altro soggettivo, ovvero l’esecuzione delle opere da parte di Enti istituzionalmente competenti, vale a dire da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale (cfr. C.G.A.R.S. 20 luglio 1999, n. 369; Cons. Stato, V, 6 dicembre 1999, n. 2061), ovvero da parte di privati concessionari dell’Ente pubblico (cfr. Cons. Stato, V, 7 settembre 1995, n. 1280), purché le opere siano inerenti all’esercizio del rapporto concessorio. Il Comune è, peraltro, tenuto ad accertare d’ufficio tali presupposti indipendentemente dalla domanda del privato, non prevista dalla legge. Il fine dell’applicazione della norma, fondata dunque sul presupposto oggettivo della natura delle opere e su quello soggettivo della qualità dell’ente realizzatore, è chiaramente quello di assicurare una “ricaduta” del beneficio dello sgravio a vantaggio della collettività: nel senso che la gratuità della concessione si traduce in un abbattimento dei costi, a cui corrisponde, in definitiva, un minore aggravio di oneri per il contribuente. E’ stato chiarito che le opere per cui può ipotizzarsi lo sgravio dagli oneri concessori devono avere carattere direttamente satisfattivo dell’interesse della collettività, di per sé - poiché destinate ad uso pubblico o collettivo - o in quanto strumentali rispetto ad opere del genere anzidetto, o comunque perché immediatamente collegate con le funzioni di pubblico servizio espletate dall’Ente (cfr. Cons. Stato, V, 8 giugno 1998, n. 777). Il beneficio della gratuità della concessione deriva non tanto dalla natura pubblica o privata dell’Ente che ha realizzato l’opera, quanto piuttosto dall’interesse perseguito, ponendosi l’accento sul connotato “generale” di tale interesse; quindi, il beneficiario può essere anche un soggetto non pubblico, purché però sia un “ente istituzionalmente competente” (cfr. Cons. Stato, V, 20 luglio 1999, n. 849). Esso non spetta, pertanto, a soggetti privati per gli immobili ove esercitino una mera attività lucrativa di impresa, indipendentemente dalla rilevanza sociale dell’attività stessa (cfr. Cons. Stato, V, 21 gennaio 1997, n. 69). Al fine dell’individuazione dell’anzidetto requisito di ordine soggettivo, la giurisprudenza richiede, di norma, quanto meno il possesso della qualità di concessionario, operante per conto di un Ente pubblico (Cons. Stato, V, 7 settembre 1995, n. 1280, cit.). Consiglio di Stato Sezione V del 2 dicembre 2002 n. 6618 (vedi: sentenza per esteso)

Definizione di “realizzatore” di opera - sgravio contributivo - vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione. “Realizzatore” dell’opera deve intendersi non soltanto chi provvede materialmente all’edificazione, ma anche il soggetto cui l’opera è riferibile dal punto di vista sia progettuale che della destinazione finale (Cons. Stato, V, 8 giugno 1998, n. 777, cit.). Il legislatore richiede che le opere - ammesse allo sgravio contributivo - siano “realizzate” dagli enti istituzionalmente competenti, con conseguente necessità che sussista un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione: la giurisprudenza prevalente ha identificato tale vincolo nella concessione di costruzione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie (Cons. Stato, V, 19 maggio 1998, n. 617; 7 settembre 1995, n. 1280; 13 dicembre 1993, n. 1280; 20 novembre 1989, n. 752). Consiglio di Stato Sezione V del 2 dicembre 2002 n. 6618 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - concessione edilizia che autorizzi la totale demolizione di un fabbricato preesistente e la realizzazione di un nuovo edificio - illegittimità - ristrutturazione con demolizione - normativa regionale che consente modificazioni volumetriche - concessione edilizia - necessità che sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti. Deve ritenersi illegittima la concessione edilizia che autorizzi la totale demolizione di un fabbricato preesistente e la realizzazione di un nuovo edificio, con caratteristiche volumetriche diverse, in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, anche in presenza di una normativa regionale che consenta modificazioni volumetriche in sede di ristrutturazione degli edifici (nel caso di specie si trattava dell'art. 30 legge reg. Abruzzo, 12 aprile 1983, n. 18, mod. dall'art. 19 legge reg. 27 aprile 1995, n. 70). Cassazione Penale sezione III del 27/11/2002 (CC. 16/10/2002), Sentenza n. 39970

Beni culturali e ambientali - Bellezze naturali - l’autorizzazione paesistica postuma non determina l’estinzione del reato - art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 - Corte Costituzionale Ord. n. 158 del 1998 - reato ambientale - sussiste. II successivo rilascio dell’autorizzazione paesistica, da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, non determina l’estinzione del reato di cui all’art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985), poiché tale effetto (diversamente da quanto stabilito eccezionalmente dall’art. 39, 80 comma, della legge n. 724/1994) non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa (vedi Cass., sez. III, 12 dicembre 1995, ric. P.M. in proc. Mingardi; 30 maggio 1996, ric. Giusti; 18 febbraio 1998, ric. P.M. in proc. Cappelli; 15 giugno 1998, ric. P.M. in proc. Stefan; 6 luglio 1998, ric. Capolino; 17 novembre 1998, ric. Antognoli ed altro; 4 febbraio 1999, ric. De Laurentiis). Anche la Corte Costituzionale - con l’ordinanza n. 158 del 1998 - ha osservato che «la sopravvenienza dell’autorizzazione è irrilevante ai fini della sottoposizione a sanzione penale ai sensi dell’art. 1 sexies (sentenza n. 318 del 1994); infatti, l’autorizzazione intervenuta dopo l’inizio dell’attività soggetta al necessario previo controllo paesaggistico non è sufficiente per rimuovere in via generale l’antigiuridicità penalmente rilevante dell’attività già compiuta in assenza di titolo abilitativo». Pres. P. Onorato - Ric. D.G. Cassazione Penale, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744 (vedi: sentenza per esteso)

Edilizia - costruzione edilizia - opera precaria - requisiti - fattispecie: stazione radiobase per telefonia mobile - carrello mobile - installata senza concessione edilizia e autorizzazione ambientale. In materia edilizia, al fine del riscontro del requisito della precarieta' di un'opera, necessario per escludere la modifica dell'assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e la piu' o meno agevole rimuovibilita', bensi' le esigenze temporanee alle quali l'opera sia eventualmente destinata (Nell'affermare tale principio la Corte ha escluso che potesse considerarsi precaria una struttura, montata su un carrello mobile, installata senza concessione edilizia e autorizzazione ambientale in un parco regionale, adibita a stazione radiobase per telefonia cellulare con annesso generatore, in quanto destinata ad essere utilizzata a tempo indeterminato in funzione di esigenze di natura permanente). Corte di Cassazione Penale Sezione, Sezione III del 13/11/2002 (CC.10/10/2002) RV. 222907, Sentenza n. 38073

Disciplina urbanistica - ambito di operativita' - estensione a tutti gli aspetti di salvaguardia e trasformazione del suolo e di protezione dell'ambiente - alterazione del territorio in conseguenza di rilevanti opere di scavo, sbancamenti e livellamenti finalizzati ad usi diversi da quelli agricoli - concessione urbanistica - necessita' - condizioni - fattispecie. L'urbanistica concerne la disciplina dell'uso del territorio (art. 80 D.P.R. n. 616 del 1977) e non solo quel particolare uso consistente nell'edilizia: vi rientrano pertanto tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonche' la protezione dell'ambiente. Ne consegue che, mentre per le opere di trasformazione di tipo fondiario non e' normalmente richiesta la concessione, l'atto concessorio di tipo urbanistico e', invece, necessario allorche' la morfologia del territorio venga alterata in conseguenza di rilevanti opere di scavo, sbancamenti, livellamenti finalizzati ad usi diversi da quelli agricoli, compresi quelli turistici o sportivi (In applicazione di questo principio la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza che aveva motivato in modo apodittico in ordine ad una non assentita trasformazione del territorio, senza delibare l'entita' delle opere in concreto occorse per la realizzazione di due campi di calcetto). Vedi: Cass. 2000 n. 3107. Corte di Cassazione, Sezione III, del 13/11/2002 (CC.30/09/2002), Sentenza n. 38055

Edilizia - domanda di condono edilizio - effetti - la sospensione dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna - oblazione. In materia edilizia la tempestiva presentazione della domanda di condono edilizio determina la sospensione dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, ex art. 7 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ove risulti il versamento della somma dovuta a titolo di oblazione. Una volta rilasciato il provvedimento amministrativo di sanatoria sara' possibile la revoca dell'ordine di demolizione. Cassazione Penale sezione I del 12/11/2002 (CC.23/05/2002), Sentenza n. 37984

L'illecito paesistico che sia compatibile con l'ambiente, se consente la sanatoria dell'abuso edilizio, non viene in altri termini sanato integralmente dalla sanatoria edilizia. L'illecito paesistico che sia compatibile con l'ambiente, se consente la sanatoria dell'abuso edilizio, non viene in altri termini sanato integralmente dalla sanatoria edilizia, e deve perciò trovare sanzione con le misure di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, (ora art. 164 del D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490) e, segnatamente, con il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria. Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279 (vedi: sentenza per esteso)

Violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione - violazioni sostanziali e violazioni meramente formali - il concetto di "danno arrecato" - realizzazione di un'opera senza la prescritta autorizzazione paesistica - sanzione amministrativa e azione di risarcimento del danno. Preliminarmente giova precisare che, ai fini che qui interessano, non ha alcuna rilevanza il fatto che gli interessati abbiano ottenuto, successivamente, il necessario nulla-osta ambientale; ciò significa soltanto che le opere realizzate, ad avviso dell’Amministrazione, erano compatibili con il contesto paesaggistico, ma non esclude, come si vedrà, che possa farsi luogo alla irrogazione della sanzione pecuniaria prevista dalla normativa stessa. Nel merito il Collegio non ha motivo in subiecta materia per discostarsi dall'orientamento recentemente espresso da questo Consiglio ( tra le altre, cfr., Sez. VI°, decisione 2 giugno 2000 n. 3184, in questa Rassegna 2000, I, 1368), con il quale si è precisato che la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 della legge n. 1497 del 1939, nonostante il riferimento al termine « indennità », non costituisce un'ipotesi di risarcimento del danno ambientale ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, cioè il caso di compromissione dell'integrità paesaggistica, sia nella ipotesi di illeciti formali, quale è da ritenersi, con riguardo al caso di specie, il caso di violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione. Ed infatti prendendo le mosse dal tenore letterale dell'art. 15, si  è osservato che la norma in commento non distingue dunque tra violazioni sostanziali, cioè produttive di un concreto ed effettivo danno ambientale, e violazioni meramente formali, consistenti cioè nella mera inosservanza di obblighi o ordini, senza produzione di un danno ambientale. In sostanza, la previsione della misura dell'indennità pecuniaria per qualsivoglia tipo di violazione, sia sostanziale che formale, e dunque la funzione deterrente, oltre che ripristinatoria, della misura medesima, costituisce un primo indice della natura sanzionatoria e non risarcitoria della indennità in questione. Siffatte conclusioni trovano conferma anche se si tiene presente il criterio legislativo di commisurazione della stessa. Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6279 (vedi: sentenza per esteso)

Il termine per l’impugnazione del piano regolatore generale - decorrenza - scadenza del termine -  pubblicazione dell’avviso di deposito degli atti presso gli uffici comunali. Come la giurisprudenza ha più volte affermato, il termine per l’impugnazione del piano regolatore generale decorre dalla scadenza del termine di pubblicazione dell’avviso di deposito degli atti presso gli uffici comunali (da ultimo, Cons. Stato, sez.IV, 16 ottobre 2001, n.5467). L’ordinamento non prevede, infatti, che l’atto di approvazione del piano debba essere notificato ai proprietari delle aree incluse nel territorio interessato, ma stabilisce che sia oggetto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che gli atti debbano essere depositati presso il Comune “a libera visione del pubblico” (art.10, comma VI, della legge 17 agosto 1942, n.1150). Questa scelta si collega alla natura dell’atto, alla pluralità dei suoi destinatari, all’unitarietà del disegno pianificatorio cui rispondono le sue prescrizioni sia che attengano alla zonizzazione sia che concernano la localizzazione di interventi specifici (Cons. Stato, sez.IV, 14 giugno 2001, n.3149). Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6278

Piano di zonizzazione acustica del territorio comunale - Inquinamento acustico - valori limite differenziali di immissione - possibili conseguenze dannose alla salute - l’adozione dei piani di risanamento - obblighi imposti ex art. 217 Testo Unico delle leggi sanitarie - piano di bonifica acustica degli impianti. Giova preliminarmente evidenziare in termini generali che il sistema previsto dall’art. 6 della legge quadro sull’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n.447 e dai D.P.C.M 1 marzo 1991 (art.6) e 14 novembre 1997 (art. 4), hanno introdotto i “valori limite differenziali di immissione”- e non anche il superamento dei valori assoluti. L’art. 6 presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed è onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di fatto che- come nel caso di specie- meritano, principalmente a cagione della loro vetustà e delle possibili conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera non illogica. Orbene, nella situazione in cui il comune di Vinci ha operato, non è stato ancora adottato alcun piano di zonizzazione acustica, strumento necessario ad individuare sia quelle aree sulle quali possono essere consentiti più elevati strumenti di rumorosità ovvero gli spazi necessari a garantire un adeguato abbattimento del rumore stesso, in relazione alle sorgenti sonore presenti ed ai livelli di rumorosità da esse prodotte, sia le eventuali “fasce- cuscinetto” tra zone diversamente classificate. D’altra parte, proprio l’art. 4 della menzionata legge n.447/1995 prevede esplicitamente che le regioni -nel fissare con legge i criteri di classificazione da rispettarsi da parte dei comuni- devono stabilire “ il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1° marzo 1991”, stabilendo altresì, che “qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d’uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’art. 7”, piani che, peraltro, debbono essere approvati dal consiglio comunale. (Nella specie, con sentenza n.2187 del 21 dicembre 2001 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II°, respingeva il ricorso proposto dalle società Syrom 90 S.p.A. e Polymat avverso l’ordinanza n. 14/4 del 3 febbraio 2000, con la quale il responsabile del 4° servizio del Comune di Vinci aveva ingiunto alle citate società -ai sensi dell’art. 217 del Testo Unico delle leggi sanitarie-di presentare un piano di bonifica acustica dei loro impianti siti nel predetto territorio, in grado di riportare la rumorosità complessiva degli stessi entro i limiti di 3 dB in orario notturno ed entro i 5 dB in orario diurno). Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6274 (vedi: sentenza per esteso)

Formazione degli standards urbanistici obbligatori - insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o destinati ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. La censura è inammissibile nella parte in cui contesta la scelta, ampiamente discrezionale, di non considerare le aree per attrezzature e servizi pubblici ai fini della formazione degli standards urbanistici obbligatori. Questi ultimi, oltre che riferirsi a differenti tipologie di servizi, sono stati programmati nella misura minima. Sotto tale profilo, come ricordato dall’Adunanza Plenaria con decisione n. 24 del 22.12.1999, sono atti dovuti - ex art. 41 quinquies, comma 8, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e D.M. 2 aprile 1968 - al fine di realizzare i rapporti di legge tra spazi destinati agli insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o destinati ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (Cons. St., Sez. IV, n. 5622/01 del 20 ottobre 2001). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6109 (vedi: sentenza per esteso)

L’imposizione di vincoli di inedificabilità relativi alle aree destinate a servizi - l’obbligo di procedere a colmare il vuoto normativo - la presenza su un’area di taluni manufatti non può ingenerare nel privato il convincimento che la stessa non sia suscettibile di destinazione pubblica. L’imposizione di vincoli di inedificabilità relativi alle aree destinate a servizi, la relazione, dopo aver osservato che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 12 maggio 1982, n. 92, e dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, i vincoli imposti con il precedente strumento urbanistico avevano perso efficacia, e che sussisteva - anche in base alla sentenza del Consiglio di Stato n. 7 del 2 aprile 1984 - l’obbligo di procedere a colmare il vuoto normativo che si era venuto a creare, non ha mancato di osservare che era obiettivo della variante quello appunto di corrispondere alle avvertite esigenze. Il che dà ragione del concreto motivo che ha indotto il Comune a procedere all’adozione della nuova variante. A tali indicazioni vanno poi aggiunte quelle, particolari, che la stessa Amministrazione ha fornito in sede di esame delle controdeduzioni alle osservazioni presentate dalle parti private, tra cui quella dell’attuale società appellante. La giurisprudenza non ritiene che la presenza su un’area di taluni manufatti possa ingenerare nel privato il convincimento che la stessa non sia suscettibile di destinazione pubblica, ove un interesse della collettività lo richieda, e che la situazione di fatto possa costituire un limite all’attività pianificatoria della Pubblica Amministrazione. In particolare, è stata ritenuta legittima la reiterazione di vincoli urbanistici decaduti ex lege 19 novembre 1968, n. 1187, se corredata - come appunto nel caso in esame - da una congrua motivazione in ordine alla persistente attualità dei pubblici interessi che a suo tempo determinarono la previsione dei vincoli stessi (Cons. St., Sez. IV, n. 305 del 12.3.1996). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6109 (vedi: sentenza per esteso)

La domanda di risarcimento del danno per illegittima occupazione o per annullamento di atti espropriativi - procedura. Va escluso che la domanda di risarcimento del danno per illegittima occupazione o per annullamento di atti espropriativi possa venire per la prima volta formulata in sede di ricorso per l’esecuzione del giudicato, essendo una domanda del tutto nuova, che, come tale, è si proponibile, ma è soggetta all’ordinario vaglio- articolato su due gradi di giudizio- del giudice della cognizione, il quale dovrà in primo luogo verificare il fondamento della domanda risarcitoria con riferimento all’effettiva sussistenza, nell’an, di un danno patrimoniale risarcibile e, successivamente, per quanto possibile in tale sede, “ stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine” (art. 35, comma 2°, dec. leg.vo 31 marzo 1998, n.80). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6078

Annullamento in sede giurisprudenziale di un decreto di occupazione d’urgenza - l’ottemperanza del giudicato - la restituzione del fondo - limiti - accessione invertita - impossibilità di “conversione” del giudizio di ottemperanza in giudizio di cognizione. Annullato in sede giurisprudenziale un decreto di occupazione d’urgenza, il privato può ottenere dal giudice dell’ottemperanza la restituzione del fondo solo qualora lo stesso non sia stato irreversibilmente modificato e quindi acquisito alla mano pubblica ( tra le più recenti: C.d.S. IV: Sez. 3 aprile 2001, n.1911; IV Sez.: 11 luglio 2001, n.3882). D’altra parte, come affermato costantemente dalla suprema Corte di Cassazione, l’irreversibile trasformazione dell’immobile del privato, presupposto dell’acquisto alla mano pubblica per accessione invertita, non ricorre solo nel caso di realizzazione ex novo di una costruzione, ma anche laddove l’intervento pubblico abbia inciso definitivamente, attraverso la destinazione all’uso pubblico, sulla funzione originaria del bene (ex multis: Cass. Civ., SS. UU. 15 luglio 1999, n.394; Cass. Civ., Sez.I, 3 maggio 2000, n.5513). Né sarebbe possibile una eventuale “conversione” del giudizio di ottemperanza in giudizio di cognizione, in quanto ciò si risolverebbe in una violazione del doppio grado di giudizio (cfr.C.d.S. Sez. VI, 27 marzo 2001, n.1774). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6078

Diniego dell’autorizzazione paesaggistica - obbligo ad adottare le proprie determinazioni sotto il profilo della disciplina urbanistica - irrilevanza - del parere favorevole espresso sulla domanda di sanatoria dalla Commissione edilizia comunale. Il Sindaco, di fronte al diniego dell’autorizzazione paesaggistica, era tenuto ad adottare le proprie determinazioni sotto il profilo della disciplina urbanistica, il cui contenuto era ovviamente vincolato da quello adottato dall’organo regionale. Né tale determinazione si pone in contraddizione con il parere favorevole espresso sulla domanda di sanatoria dalla Commissione edilizia comunale, perché dal verbale n. 1 del 12 dicembre 1989 emerge che l’organo consultivo, pur dando atto della conformità del progetto dal punto di vista urbanistico, ha rinviato ogni sua valutazione ad avvenuta acquisizione del parere della Soprintendenza ai sensi della legge n. 364 del 1909. Ciò che dimostra come, contrariamente a quanto sostenuto dal Bencardino, nessun parere favorevole è stato formulato dalla Commissione edilizia integrata. Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6067 (vedi: sentenza per esteso)

Lottizzazione - intento speculativo - presunzione - bene pervenuto in successione -operativita' - affermazione - calcolo del valore - criterio. In tema di redditi diversi, la presunzione posta dall'art. 76 del d.P.R. n. 597 del 1973 - che, al terzo comma considera, in ogni caso fatte con fini speculativi, senza possibilita' di prova contraria, la lottizzazione o l'esecuzione di opere intese a rendere edificabili terreni inclusi in piani regolatori o in programmi di fabbricazione e la successiva vendita anche parziale dei terreni stessi -, dichiarata non in contrasto con la Costituzione, dalla Corte costituzionale, nelle pronunce nn. 131 del 1991, 324 del1990 e 298 del 1988, non e' esclusa neppure quando il bene sia pervenuto al contribuente per mezzo di successione "mortis causa", dovendosi - in questo caso - riferire il calcolo del suo valore, utile a determinare - ai fini impositivi - il, ai sensi del comma quarto dell'art.76, al momento dell'acquisto avvenuto per successione. Corte di Cassazione - Sezione V Sentenza del 04/11/2002 n. 15377

Condizione per la immediata impugnabilità della adozione del P.R.G., o di una sua variante, è che il ricorrente possa subire una lesione dalle previsioni oggetto della delibera di adozione - l’immediata impugnazione - “ ius aedificandi” - previsioni vincolistiche. Va anzitutto richiamata la nota decisione della Adunanza Plenaria n.1 del 1983 secondo la quale “un piano regolatore generale, una volta adottato, nella misura in cui è suscettibile di applicazione (mediante le misure di salvaguardia o negli altri modi consentiti dalla legge) è immediatamente lesivo e direttamente impugnabile ...”. Condizione per la immediata impugnabilità della adozione del P.R.G., o di una sua variante, è dunque - nella prospettazione della A.P. - che il ricorrente possa subire una lesione dalle previsioni oggetto della delibera di adozione. Su tale principio la giurisprudenza di questo Consesso si è sempre mostrata concorde, avendo più volte ribadito che la delibera di adozione del P.R.G. (o di una sua variante) può formare oggetto di immediata impugnazione quando da essa consegue l’eliminazione o la limitazione dello “ ius aedificandi” in forza delle previsioni vincolistiche in essa racchiuse (cfr. in tal senso tra le altre Cons. St. IV 19 ottobre 1994, n. 819; IV 10 settembre 1996, n. 1028; IV 21 giugno 2001, n. 3341). Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6016

Autorizzazione di commercio - rilascio - il regolamento d’igiene. L’art. 224 del regolamento d’igiene del Comune di Parma, per il quale: "sia il locale di vendita che quello destinato alla conservazione delle carni non possono comunicare con altri ambienti". La norma regolamentare, disponendo che i locali destinati alla vendita o alla conservazione delle carni non "possono comunicare con altro ambiente", chiaramente utilizza l’espressione "ambiente" come sinonimo di "locale" (come emerge anche dall’espressione "altri" che accomuna il termine "locale" con il termine "ambiente"). Pertanto, non è definibile come "altro ambiente" il cortile comunicante con il deposito delle carni sito al piano terra dell’immobile. Lo spazio esterno all’immobile in cui l’esercizio di vendita è ubicato non può essere ritenuto un "ambiente" nel senso indicato dalla norma regolamentare. Consiglio di Stato, sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6614

Edilizia - disciplina urbanistica - rilascio autorizzazione realizzazione impianto smaltimento ed il recupero rifiuti - preventiva utilizzazione conferenza servizi - facoltativita'. In base alla disciplina prevista dall'art. 27 del d.lgs. n.22/97, il rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione di un impianto per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti non e' subordinato, nella fase di approvazione dei progetti, alla preventiva utilizzazione della conferenza dei servizi che, come precisato dall'O.O. P.C.M.n. 2425 del 18 marzo 1996, e' meramente facoltativa. La conferenza dei servizi, infatti, costituisce un semplice strumento operativo nell'ambito dell'attivita' di concertazione tra le varie amministrazioni, la cui assenza non ha alcuna incidenza sulla legittimita' del procedimento adottato. Vedi: Cass. 2002 n. 22539. Corte di Cassazione, Sezione III, del 28/10/2002 (CC.24/09/2002), Sentenza n. 36048

P.E.E.P. - la determinazione del fabbisogno abitativo posta a base dell’adozione del piano per l’edilizia economica e popolare il cd. “dimensionamento” - il decennio successivo deve essere il risultato di valutazioni attendibili, razionali e basate su dati concreti ed attuali. Viene qui in rilievo l’art. 3 della L. 18 aprile 1962 n. 167, come modificato dall’art. 2 della legge 28 gennaio 1977 n.10 il quale dispone che in sede di adozione del piano per l’edilizia economica e popolare il cd. “dimensionamento” vale a dire il fabbisogno abitativo previsto per il successivo decennio deve essere il risultato di valutazioni attendibili, razionali e basate su dati concreti ed attuali. Da ciò consegue che, pur in presenza di una determinazione dell’organo competente di carattere eminentemente discrezionale, è necessario che la stessa sia fondata su criteri logici e razionali e soprattutto su presupposti di fatto plausibili. (Nel caso in esame, la determinazione del fabbisogno abitativo posta a base del P.E.E.P. assume a presupposto, come si legge nella relazione allegata, una previsione di crescita demografica che, nel 1993, avrebbe dovuto raggiungere gli 830 abitanti e ciò per un previsto rientro degli emigranti dovuto agli incentivi per l’allevamento del bestiame e per le attività agricole, previsione del tutto disancorata dalla realtà. Siffatta previsione ancora appare, avulsa da un benché minimo riscontro documentale mentre, dalle rilevazioni della popolazione residente pubblicate dall’Istituto centrale di statistica (atti di generale ed agevole conoscenza), la realtà del Comune interessato è nel senso opposto: la tendenza demografica di quella popolazione, negli anni 1974-1982, non solo è giunta alla crescita zero, ma è passata ad un progressivo decremento (da 813 a 705 unità) che ha trovato conferma anche per il periodo successivo tanto che la popolazione del Comune al 31 dicembre 2000 risulta essere di appena 600 unità. Anche il riferimento alla rivalutazione delle attività agricole, agli incentivi per l’allevamento dl bestiame ed al rifiorire delle attività agricole non appare supportato da alcun elemento concreto tale da giustificare le previsioni di incremento demografico contenuto nella relazione del progettista, ed anzi risultano smentite dalla realtà del territorio comunale che vede uno spopolamento costante delle zone rurali. Pertanto la previsione dell’Amministrazione di un costante ed apprezzabile incremento della popolazione non trovava, all’epoca di adozione del P.E.E.P., alcun riscontro nelle rilevazioni demografiche del decennio precedente, facendo emergere, così l’inattendibilità del criterio seguito nella predisposizione del piano stesso). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5742 (vedi: sentenza per esteso)

Definizione di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio - configurazione dell’intento lottizzatorio abusivo. L’art. 18, primo comma, della L. 28.2.1985 n. 47 prevede che si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio non solo quando vengano iniziate opere che comportino la trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi, ma anche “quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno ed alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”. Nella specie ricorrono gli elementi indicati dalla norma per fare ragionevolmente ritenere che il frazionamento, in singoli lotti, dei terreni agricoli, originariamente di proprietà (Caneparo e Damasco), e i successivi atti di compravendita da questi stipulati con gli altri appellanti, avessero scopo edificatorio. Innanzi tutto va considerato - come del resto è stato già evidenziato in primo grado - che il frazionamento suddetto è avvenuto nell’imminenza dell’approvazione di una variante al P.R.G., che prevedeva un pec nel quale sarebbero stati inclusi i terreni suddetti; e, proprio in vista di detta variante, la maggior parte degli acquirenti dei singoli lotti, secondo quanto loro stessi riferiscono, hanno presentato dichiarazioni di intenti ad edificare per la costruzione di fabbricati di civile abitazione. Tale circostanza sarebbe già di per sé sufficiente a configurare l’intento lottizzatorio abusivo perseguito, il quale risulta, peraltro, comprovato da ulteriori elementi: la dimensione dei lotti (quasi tutti di mq. 1200/1300) e la non dimostrata esistenza di interessi professionali degli acquirenti (tra i quali anche una società - Tecnica 2000 -) nel settore dell’agricoltura. Né vale opporre che la variante sarebbe stata approvata a distanza di oltre tre anni dall’attività di frazionamento e di quasi due anni dalla manifestazione di intenti ad edificare, essendo risaputo che la modifica di uno strumento urbanistico è preceduta da una attività procedimentale di lunga durata nel corso della quale sono previste anche forme di pubblicità. Consiglio di Stato Sezione V, 16 ottobre 2002 n. 5601 (vedi: sentenza per esteso)

P.R.G. - disciplina transitoria tra il passaggio da una normativa di piano generale all’altra -  i piani regolatori particolareggiati comunali - la “validità” decennale - piani ad iniziativa pubblica o privata. La prevalenza dello strumento urbanistico generale può ragionevolmente venir meno, in favore di una perdurante operatività della normativa contenuta in uno strumento attuativo conforme alle previsioni del piano precedente, al limitato scopo di salvaguardare, per un periodo definito di tempo, uno strumento attuativo in corso di realizzazione. Trattasi di una logica tipicamente transitoria, che disciplini il passaggio da una normativa di piano generale all’altra. Ma essa non può risolversi in una illimitata perdurante vigenza delle vecchie previsioni di piano, che resterebbero insensibili al nuovo assetto del territorio come delineato dal nuovo strumento urbanistico primario. La norma, all’articolo 46 della legge regionale Friuli Venezia-Giulia 19 novembre 1991, n. 52, come modificato dall’articolo 11 della legge regionale n. 34 del 1997, al comma 1, nel disciplinare i piani regolatori particolareggiati comunali, cioè gli strumenti attuativi dei piani regolatori generali, ne sancisce la “validità” decennale; e non distingue tra piani ad iniziativa pubblica o privata, a differenza di quanto avviene in altre disposizioni della stessa legge, dirette a disciplinare solamente gli uni o gli altri. In ciò la legge regionale appare conforme alla tradizionale giurisprudenza di questa Sezione che, con riferimento alla legislazione statale, ha più volte ritenuto applicabile ai piani attuativi il termine decennale di efficacia dei piani particolareggiati di cui all’articolo 20 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (decc. 16 marzo 1999 n. 286 e 3 novembre 1998 n. 1412; un principio diverso sembra affermato con la decisione 2 giugno 2000 n. 3172, ma in un obiter dictum non rilevante ai fini di quella decisione). Consiglio di Stato Sezione IV, 9 ottobre 2002, n. 5373

Piano particolareggiato e piano di lottizzazione - il principio di equivalenza tra pianificazione urbanistica esecutiva e stato di sufficiente urbanizzazione - la derogare all’obbligo dello strumento attuativo nelle zone adeguatamente urbanizzate - le urbanizzazioni primarie e secondarie - esistenza di un piano attuativo - la formazione della concessione edilizia per silenzio - limiti. Occorre tener presente che il principio di equivalenza tra pianificazione urbanistica esecutiva e stato di sufficiente urbanizzazione, in base al quale è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo nelle zone adeguatamente urbanizzate, ha il suo necessario presupposto in uno stato di fatto che da questo strumento consenta di prescindere in quanto esso risulti non più necessario, essendo stato raggiunto il risultato (l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie) cui è finalizzato. Con la precisazione che, se lo stato delle urbanizzazioni deve essere tale da rendere ultronei gli strumenti attuativi prescritti dal p.r.g. (piano particolareggiato o piano di lottizzazione), la relativa verifica deve riguardare l'intero contenuto di tali piani, cioè non soltanto le urbanizzazioni primarie, ma anche quelle secondarie e l'ambito territoriale di riferimento non può essere limitato alle sole aree di contorno dell'edificio progettato, ma deve coincidere con il perimetro del comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2001 n. 1341). Nel caso in esame, lo stato di sufficiente urbanizzazione,  non è stato in alcun modo provato dalla ricorrente, non può ritenersi formata una concessione edilizia per silenzio secondo l’art. 8, comma 5, del D.L. 23 gennaio 1982 n. 9 (convertito nella L. 25 marzo 1982 n. 94), il quale richiede a tal fine, con disposizione di stretta interpretazione ed insuscettibile di applicazione analogica, l’esistenza di un piano attuativo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2000 n. 4702; id., sez. V, 10 febbraio 1998 n. 150). Consiglio di Stato, sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5335 (vedi: sentenza per esteso)

La necessità del previo piano attuativo per il rilascio di una concessione edilizia in zone assolutamente inedificate ma anche in quelle intermedie di zone parzialmente urbanizzate - l’esigenza di raccordo con l’aggregato abitativo e il potenziamento delle opere di urbanizzazione - carenze di parcheggi e verde attrezzato - in operatività della decadenza, per scadenza del termine quinquennale, della prescrizione delle norme di attuazione che subordinava l’edificazione al piano attuativo. L’esigenza del previo piano attuativo per il rilascio di una concessione edilizia se è insussistente nel caso di zone completamente urbanizzate, assume tutta la sua importanza non solo nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate ma anche in quelle intermedie di zone parzialmente urbanizzate, nelle quali viene per lo meno a configurarsi un’esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione, tanto più quando le  nuove opere edilizie da realizzare siano di una certa entità (V. le decisioni di questa Sezione n.790 del 15.2.2001  e n. 162 del 1°.2.1995 e precedenti ivi indicati). Tale esigenza di raccordo indubbiamente sussisteva nel caso in esame in quanto le opere progettate consistevano non solo in fabbricati di civile abitazione, ma anche in  locali commerciali, e nella zona vi erano per lo meno carenze di parcheggi e verde attrezzato, come rilevato dal Comune. Nè può condividersi la doglianza del resistente, assorbita in 1° grado e riproposta in appello, in base alla quale sarebbe nel frattempo intervenuta la decadenza della prescrizione delle norme di attuazione che subordinava l’edificazione al piano attuativo, per scadenza del previsto termine quinquennale. Consiglio di Stato, sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5321 (vedi: sentenza per esteso)

In operatività della decadenza dei vincoli di inedificabilità - adozione di un piano di lottizzazione ad iniziativa dei privati. La decadenza dei vincoli di inedificabilità, come è stato precisato da questa Sezione (n. 1225 del 30.10.1997 e n. 1908 del 3.4.2000), non avviene nel caso in cui, in alternativa al piano particolareggiato, sia prevista la possibilità di adozione di un piano di lottizzazione ad iniziativa dei privati, consentendosi così ai privati di porre rimedio ad eventuali inerzie o ritardi della P.A., facoltà nella specie espressamente consentita. Consiglio di Stato, sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5321 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - il vincolo di piano particolareggiato -  i vincoli di piano sia sostanziali sia formali. E’ consolidato orientamento di questo Consiglio secondo cui l'art. 2 L. 19.11.1968 n.1178 si riferisce a tutti i vincoli di piano sia sostanziali (preordinati all'espropriazione) sia formali (che limitano l'edificabilità al fine di meglio definire  in futuro la disciplina della zona, tra cui rientra il vincolo di piano particolareggiato), non essendovi nel testo della disposizione alcuna distinzione che consenta di ritenere il contrario. Per cui  nel caso in esame dalla decadenza del vincolo di piano particolareggiato per scadenza del previsto quinquennio non possono che derivare i medesimi effetti, essendo sia vincoli sostanziali che quelli formali rivolti alla tutela dei medesimi valori urbanistici e le relative  aree soggiacciono comunque  ai limiti di edificabilità di cui all'art. 4 L.28.1.1997 n.10 1977 (Cons. di Stato, sez. IV 28.1.1987 n.49; sez. V, 28.1.1992 n.82, n.1413 del 23.11.1996 e n.1225 del 30.10.1997). Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5178

La potestà regolamentare del comune - divieto di adibire i locali interrati per usi che implichino il soggiorno in tali locali e, quindi, una permanenza continua e non saltuaria o episodica - legittimità. Appare decisiva la considerazione del contenuto dell’art. 64 del regolamento edilizio del Comune di Merano secondo cui “lo scantinato e tutti quei vani che si trovano col pavimento sotto il livello del terreno circostante, non possono essere adibiti ad uso di abitazione e soggiorno”. La norma, che non è stata impugnata e conserva  integra la  sua forza  dispositiva, prevede esplicitamente il divieto di adibire i locali interrati per usi che implichino il soggiorno in tali locali e, quindi, una permanenza continua e non saltuaria o episodica. L’utilizzo del locale interrato della cantina  “Rafflkeller” per la preparazione di spuntini e pietanze, sia pure di agevole confezione, implica un soggiorno prolungato nel locale che contrasta con la norma richiamata. La norma, infatti, non prevede  solo il divieto dell’ uso abitativo dei locali in questione, ma come correttamente ha ritenuto la sentenza appellata, anche il divieto di soggiornare nei locali stessi. La circostanza che si tratti di locali interrati non è controversa ed anche la considerazione svolta nell’appello in ordine alla localizzazione della cantina, anch’essa interrata, cui accede il magazzino da trasformare in cucina non è significativa: si tratta di due locali entrambi situati sotto il livello del terreno circostante e se rispetto al primo, e principale, non è stata mossa osservazione alcuna ciò non impedisce, anzi richiede a maggior ragione, che la disciplina del regolamento edilizio comunale conservi la sua efficacia nei confronti del secondo. Parimenti ininfluente è l’osservazione circa l’autorizzazione di altri locali che da un lato non è dimostrata e, comunque, non rileva ai fini del presente giudizio. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5176

La concessione rilasciata dal demanio fluviale è un provvedimento del tutto autonomo e diverso dalla concessione edilizia - capanno da pesca - la rimozione delle parti difformi e successiva demolizione della costruzione abusiva per decadenza del provvedimento concessorio. Sono infondate le doglianze connesse con la concessione rilasciata dal demanio fluviale in quanto questo si estrinseca in un provvedimento del tutto autonomo e diverso dalla concessione edilizia, provvedimento quest’ultimo avente finalità e garanzie del tutto specifiche e che comunque, ai fini che qui interessano, costituisce l’unico provvedimetno abilitativo alla realizzazione del manufatto sotto il prevalente profilo urbanistico-edilizio. (L’appellante, ottenuta la concessione edilizia e la successiva variante per realizzare un capanno da pesca, non ha costruito nel termine decadenziale previsto dalla disposizione di cui all’art.27 della Legge R. Emilia-Romagna n.47/1978, il relativo solaio ed inoltre eseguiva la palificazione di sostegno del capanno medesimo in “cemento” anziché in “legno”, come tassativamente previsto.) Ne consegue che le censure attinenti alla pretesa ammissibilità della palificazione in cemento non può essere ritenuta rilevante ai fini del pieno riscontro della legittimità della concessione edilizia che, in relazione alla specifica regolamentazione tipologica della realizzazione in questione - capanno da pesca - richiede ed impone la palificazione in legno. Di conseguenza il Sindaco, con successive ordinanze ha dapprima disposto la rimozione delle parti difformi, e successivamente, sull’accertato presupposto della mancata realizzazione del necessario solaio, accertava la decadenza della concessione ingiungendo la conseguente demolizione della costruzione abusiva. La mancata realizzazione di tale requisito fondamentale della validità del provvedimento concessorio, ha poi legittimamente comportato l’adozione dell’adottato provvedimento decadenziale. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5162 (vedi: sentenza per esteso)

L’ordine di demolizione (emesso dal Prefetto) di un manufatto costruito a distanza inferiore a quella prescritta - è sufficiente il richiamo alle disposizioni in materia di distanze rispetto al nastro stradale. Per costante indirizzo giurisprudenziale l’ordine di demolizione di un manufatto costruito a distanza inferiore a quella prescritta, adottato ai sensi dell’articolo 20 T.U. 8 dicembre 1933, n. 1740, non richiede una specifica motivazione, ove l’atto (come nel caso di specie) sia stato emanato prima dell’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, essendo sufficiente il richiamo alle disposizioni in materia di distanze rispetto al nastro stradale (ex multis, Cons. giust. amm., 6 settembre 1986, n. 138; Sez. IV, 28 febbraio 1978, n. 144). (Nella fattispecie si censura la carenza di motivazione del provvedimento con cui il Prefetto di Cosenza ha disposto la demolizione di un manufatto abusivamente edificato all’interno della zona di rispetto autostradale, censura risultata per il C.d.S. infondata. Va, inoltre, rilevato che nella specie in esame non è contestata l’esattezza dei presupposti di fatto su cui si fonda il provvedimento di demolizione, ammettendosi nello stesso atto di appello che l’opera, distante “dal ciglio stradale oltre 40 metri”, è ubicata all’interno della fascia di rispetto). Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4927 (vedi: sentenza per esteso)

La localizzazione dei programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica - l’assenza di valutazioni circa il fabbisogno abitativo da parte dell’amministrazione comunale rende illegittimo l’atto di localizzazione di un intervento di edilizia residenziale pubblica - il fabbisogno di edilizia residenziale pubblica - la superficie da vincolare - la “scelta localizzativa” dell’area - l’inadempimento all’obbligo di motivazione dell’atto è sufficiente per l’esistenza del vizio di eccesso di potere - l’apprezzamento largamente discrezionale dell’amm. e il procedimento logico degli atti adottati. Posto che, secondo l’art.51 della legge n.865/1971, la localizzazione dei programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica avviene con deliberazione del consiglio comunale, deve ritenersi che allo stesso organo competa anche di accertare i presupposti e definire il contenuto dell’intervento. Può, tuttavia, convenirsi che se l’attività istruttoria sia stata effettuata dalla Regione in sede di definizione di un apposito programma, l’organo consiliare possa limitarsi a disporre la localizzazione dell’intervento. Tuttavia, nel caso in esame non risulta né è stato affermato che la Regione Calabria abbia accertato il fabbisogno di edilizia residenziale pubblica nel Comune di Reggio Calabria. A ciò si aggiunge che gli atti impugnati individuano dodici interventi costruttivi, sicché la carenza risulta ancor più rilevante, trattandosi, nella sostanza, di un intervento di carattere pianificatorio. L’intervento di localizzazione di cui all’art.51 della legge n.865/1971 richiede, secondo il suo modello legale, che la superficie da vincolare sia commisurata all’effettivo fabbisogno di edilizia residenziale pubblica secondo un rapporto che individua un equo punto di equilibrio fra l’interesse pubblico e gli interessi, giuridicamente protetti, dei proprietari delle aree interessate. Siffatto accertamento costituisce un obbligo inderogabile cui l’amministrazione deve adempiere, dandone adeguato conto nella motivazione, a tutela sia dell’interesse pubblico sia degli interessi privati incisi. L’inadempimento dell’obbligo è sufficiente per denotare l’esistenza del vizio di eccesso di potere. Altrettanto carente risulta l’operato dell’amministrazione per quanto attiene alla scelta dell’area. Il fatto che la “scelta localizzativa” sia stata effettuata nell’ambito della zona C del piano regolatore generale, avente destinazione abitativa, non toglie che dovessero essere esplicitate le ragioni che hanno indotto a localizzare l’intervento sul terreno di proprietà dell’originario ricorrente piuttosto che in altri aventi la medesima destinazione. E’ vero che, come si legge nella sentenza appellata, la localizzazione è il frutto di un apprezzamento largamente discrezionale. Ma ciò, anziché sminuire, accentua la necessità che gli atti adottati consentano di ripercorrere il procedimento logico seguito dall’amministrazione, senza di che il controllo giurisdizionale, che attiene non al contenuto della scelta, ma al modo come è stata effettuata, resterebbe precluso. Come osserva esattamente l’appellante, i provvedimenti impugnati non contengono alcun elemento indicativo dei criteri di scelta adottati. L’accertata presenza nell’atto di localizzazione dei vizi predetti, ciascuno sufficiente a determinarne l’illegittimità, produce anche la caducazione degli altri atti impugnati, al primo strettamente conseguenti, ivi compreso il decreto di autorizzazione all’occupazione di urgenza. Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4913 (vedi: sentenza per esteso)

P.R.G. - procedimento di formazione dei piani regolatori - fasi del procedimento - la pubblicazione - nuova adozione dello strumento in itinere - riapertura dei termini per la presentazione di nuove osservazioni da parte dei privati. La giurisprudenza ritiene che nel procedimento di formazione dei piani regolatori, la pubblicazione prevista dall’art. 9 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione, da parte dei soggetti interessati al progetto di piano, di osservazioni che non hanno che funzione collaborativa. Queste non sono richieste nelle successive fasi del procedimento, anche se il piano regolatore generale originario viene modificato in sede di approvazione (Cons. St., Sez. IV, n. 6507 del 7.12.2000; n. 437 del 16.3.1998). Solo in particolari casi, qualora le variazioni introdotte siano di rilevante entità, conseguenti a scelte dell’Amministrazione che approva il progetto di piano e tali da configurare una nuova adozione dello strumento in itinere, la giurisprudenza ammette che possano riaprirsi i termini per la presentazione di nuove osservazioni da parte dei privati (Cons. St., Sez. IV, n. 6178 del 20.11.2000). Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4902

Prg - gli interventi adottati dalla Regione non provengono da scelte discrezionali - salvaguardia di valori normativamente vincolanti. Gli interventi adottati dalla Regione non provengono da scelte discrezionali, ma sono tutti diretti alla salvaguardia di valori normativamente vincolanti ai quali l’ente sovraordinato ha ritenuto di adeguare le previsioni dello strumento urbanistico sottoposto alla sua approvazione. Tale essendo la natura delle modifiche, non può certo parlarsi di stravolgimento del piano adottato e della necessità di una nuova pubblicazione. Il Comitato tecnico consultivo regionale, peraltro, ha chiaramente evidenziato gli elementi che emergevano dalla concreta realtà territoriale del Comune, dando conto in modo analitico ed esauriente dei parametri, per lo più di natura tecnica, che richiedevano la riconduzione delle soluzioni adottate entro i limiti prescritti dall’ordinamento. Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4902

La clausola: “nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava all’atto della stipula del contratto” - la progettazione delle opere di urbanizzazione primaria. Con rogito notarile, è stato rilasciato al Consorzio Artigiani di Talamello il lotto n. 1 “nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava all’atto della stipula” e accettava, tra l’altro, la clausola contenuta nel punto f) dell’articolo 5, secondo la quale la progettazione delle opere di urbanizzazione primaria sarebbe stata eseguita a spese e cura del Consorzio che aveva a suo carico anche il ritiro della relativa concessione edilizia”, (per l’esecuzione di “opere di urbanizzazione primaria previste nel p.i.p. sotto l’osservanza della vigente normativa ed in conformità al progetto presentato e munito del visto dell’ufficio tecnico” nonché degli atti connessi e conseguenti). E’ incontrovertibile che con tale formula si abbia dimostrato di conoscere perfettamente l’esistenza della concessione edilizia (impugnata peraltro solo il 29 novembre successivo sicché, a ben vedere, si porrebbe anche un problema di irricevibilità del ricorso di prime cure) e abbia altresì prestato acquiescenza alla medesima. Ne consegue che del tutto correttamente il Giudice di prime cure ha ravvisato nel caso di specie l’ipotesi tipica della inammissibilità per la preventiva acquiescenza dell’interessato agli effetti di provvedimento di cui lo stesso reclama successivamente la lesività. Consiglio di Stato, sezione V 17 settembre 2002, n. 4721

Condono edilizio (la costruzione) precede e non segue il rilascio della concessione - normativa speciale - corresponsione di contributi - legge della Regione Lombardia. La materia del condono edilizio è disciplinata da una normativa speciale (il capo IV della legge n. 47 del 1985 e le leggi regionali collegate) con caratteri di autonomia rispetto all’ordinario regime edilizio. L’articolo 37, comma secondo della citata legge n. 47 del 1985 non contiene un rinvio dinamico alle norme che regolamentano la corresponsione di contributi per l’ordinaria attività edilizia; questa interpretazione è stata recepita dalla legge della Regione Lombardia 10 giugno 1985, n. 77 (art. 1 c. 2) in dichiarata applicazione dell’articolo 37 della legge n. 47 del 1985; indiretta conferma si consegue dall’esegesi di altra norma di settore (l’articolo 39 comma 10 della legge 23 dicembre 1994, n. 725), che ancora il computo per il pagamento degli oneri ai parametri in vigore al 30 giugno 1989, in evidente riferimento al termine ultimo per l’esame della pratica da parte del Comune, vale a dire nei ventiquattro mesi successivi alla data del 30 giugno 1987, (entro cui spirava il rinnovato termine per la presentazione delle domande di condono). Il precetto è di assoluta chiarezza: le leggi regionali non possono determinare una misura del contributo di concessione per immobili soggetti a sanatoria che risulti inferiore alla metà di quello determinabile giusta le disposizioni vigenti al momento di entrata in vigore della medesima legge n. 47 del 1985. Ne consegue che quest’ultimo computo costituisce il limite massimo di esposizione per la determinazione del contributo di concessione. La legge n. 47 del 1985 ha la dichiarata finalità di ripristinare, in presenza di determinate condizioni, la legalità violata nel settore edilizio - urbanistico attraverso una procedura che, diversamente da quella di rilascio della concessione edilizia ex lege n. 10 del 1977, presuppone l’esistenza dell’immobile, in quanto edificato entro una determinata data. La concessione in sanatoria è così destinata a rivestire di legittimità un fatto al quale è intrinsecamente correlata: senza il fatto (cioè l’immobile abusivo) non si determinerebbe un esame ex post (e una tantum) della qualificazione giuridica (cioè della possibile sanabilità). Si intende cioè sottolineare come, diversamente che nella legge n. 10 del 1977, il fatto (la costruzione) precede e non segue il rilascio della concessione. Consiglio di Stato, sezione V, 17 settembre 2002, n. 4716 (vedi: sentenza per esteso)

Il nulla osta paesaggistico non produce alcuna espansione dello ius edificandi - l’interesse ambientale. La sola autorizzazione regionale o sub-regionale ex art.7 della legge n.1497/1939 non produce alcuna espansione dello ius edificandi, ma determina una semplice aspettativa all’esito dell’ulteriore fase procedimentale di competenza dell’amministrazione statale e sempre che l’intervento edilizio non venga ritenuto contrario all’interesse ambientale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

E’ illegittima la sostanziale inversione procedimentale da parte del Comune che ha rilasciato un’autorizzazione a fronte di una richiesta di sanatoria - la valutazione della compatibilità ambientale delle opere ancora da realizzare - il giusto procedimento - la sequenza procedimentale - tutela del vincolo, il parere è obbligatorio e vincolante. E’ illegittima la sostanziale inversione procedimentale, poiché, a fronte di una richiesta di sanatoria, ai sensi della legge n.47/1985 - in ordine alla quale doveva essere espresso un parere ai sensi e per gli effetti dell’art.32 della legge n.47/1985 - il Comune ha rilasciato un’autorizzazione, con atto formalmente emanato ai sensi dell’art.7 della legge n.1497/1939 che riguarda invece la valutazione della compatibilità ambientale delle opere ancora da realizzare. Già questo profilo si traduce in illegittimità per non avere il comune rispettato il giusto procedimento ed avere reso un provvedimento di definitiva valutazione della compatibilità ambientale quando invece l’amministrazione comunale era tenuta a rispettare la sequenza procedimentale di cui all’art.32 della legge n.47/1985 che prevede l’emissione di un parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, parere che viene ritenuto obbligatorio e vincolante (C. Stato, sez. VI, 19/7/1996, n.968). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Difetto di giusto procedimento da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta - illegittimità dell’atto - obbligo del preventivo parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo - il potere autorizzatorio. Difetto di giusto procedimento ossia sul mancato rispetto della normativa di cui all’art.32 della legge n.47/1985 da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta mentre avrebbe dovuto acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo; il comune sembra aver valutato compatibile l’opera abusiva ignorando le caratteristiche essenziali del vincolo e sottolineando aspetti non decisivi ai fini della valutazione di compatibilità in tal modo risolvendo il suo giudizio in un'obiettiva deroga al vincolo, che lo rende illegittimo non solo e non tanto per l’omessa acquisizione del parere del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali ed ambientali richiesto in caso di revoca e modificazione del vincolo (come si rileva singolarmente nell’atto di appello) quanto per il fatto che il potere autorizzatorio ex art.7 della legge n.1497/1939 non è stato esercitato in modo conforme alla sua causa tipica. Né può dirsi che il Ministero avrebbe dovuto rendere il parere mentre ha adottato l’atto di annullamento, infatti a fronte di un atto di nulla-osta non v’era parere da rendere ma solo eventuale annullamento da esercitare. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Permane la preminenza dell’interesse ambientale alla logica del provvedimento di condono - necessità del parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo al fine di consentire l’accoglimento dell’istanza di condono. L’art.32 della legge n.47/1985 mira proprio a garantire la preminenza dell’interesse ambientale alla logica del provvedimento di condono, non prevedendosi altro che un procedimento teso ad acquisire un parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo al fine di consentire l’accoglimento dell’istanza di condono. Dal tenore della norma non è dato desumere alcun favor per la sanatoria, né alcuna posizione recessiva dell’interesse ambientale che si paleserebbe ovviamente, nell’ipotesi (denegata) in cui fosse ricostruibile una tale mens legis, sospetta di incostituzionalità. Pertanto, non può condividersi l’assunto dell’appellante secondo il quale nella normativa del condono edilizio, il legislatore avrebbe teso a conservare il realizzato anche nelle zone vincolate, con l’esclusione di ipotesi tassative ed eccezionali. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

La funzione del vincolo paesaggistico - l’autorizzazione - insufficienza della motivazione - l’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo - l’integrità di valore dei luoghi. L’autorizzazione paesaggistica non è una sorta di deroga al vincolo ma è lo strumento per una corretta gestione del vincolo medesimo, (in specie è illegittima l’autorizzazione che causa l’alterazione di tratti paesaggistici della località protetta che sono la ragione stessa per la quale la località è sottoposta a tutela ai sensi della normativa di tutela paesaggistica attualmente vigente). Non v’è dubbio sulla circostanza della riconduzione all’area della legittimità del vizio d’omessa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante o dell’insufficienza della motivazione. Il caso più dubbio è quello dell’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo. Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

La funzione del vincolo paesaggistico - l’accertamento di compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi. Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

E’ legittimo l’atto di annullamento del nulla osta paesaggistico per difformità dell’istruttoria dallo schema legale e da carenze obiettive dell’attività procedimentale del comune - l’obbligo di motivazione. La Soprintendenza non può ritenere l’esistenza di un’autorizzazione (illegittima) in deroga al vincolo, solo sovrapponendo il proprio giudizio estetico e tecnico al giudizio dell’autorità comunale o regionale, ma deve evidenziare carenze dell’attività procedimentale che costituiscano indice dello sviamento. Nel caso di specie il provvedimento impugnato ben sottolinea la superficialità dell’atto amministrativo di assenso annullato, evidenziando che l’autorità locale non ha tenuto conto della necessità di un parere obbligatorio, non ha preso le mosse dai valori paesistici tutelati, non ha dato il giusto peso all’assenza di “qualità ambientale” del manufatto realizzato in zona vincolata, così decampando dalla valutazione di compatibilità per assentire un bene considerato compatibile solo perché di piccole dimensioni o ben mimetizzato nella vegetazione. In sostanza la Soprintendenza prende le mosse da una difformità dell’istruttoria dallo schema legale e da carenze obiettive dell’attività procedimentale del comune, per giungere alla conclusione che l’atto di assenso non risponde alla causa tipica del potere di cui all’art.7 della legge n.1497/1939. Se ne deve inferire che l’amministrazione statale si è mossa nell’ambito del suo potere di riesame per motivi di legittimità. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

E’ legittimo il provvedimento di annullamento di autorizzazione per “insufficiente motivazione” - la portata del vulnus arrecato all’area vincolata - la valutazione dell’intervento - dimensioni modeste del fabbricato - è da ritenersi sufficiente l’evidenziazione della carenza dell’atto comunale “insufficientemente motivato”. In sostanza ciò che l’atto ministeriale sottolinea è che non è possibile un giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica che si risolva in una minimizzazione della portata del vulnus arrecato all’area come quando si assegna rilievo alle dimensioni modeste del fabbricato od alla circostanza che esso non è visibile (ben mimetizzato) come se la protezione del bene ambiente si debba risolvere solo nella tutela della fruibilità estetica del paesaggio e non nei suoi valori di effettiva integrità. L’intervento deve essere valutato, non solo per il suo dato dimensionale, al fine di verificare se esso sia o meno compatibile con i valori tutelati dal vincolo o sia causa di degrado (piccolo o grande che sia) del paesaggio. Il vincolo poi nel provvedimento sindacale non è nemmeno descritto, mentre il provvedimento del Ministro ricorda che la zona è tutelata giusta D.M. 22/11/1955 perché “oltre a formare con le bianche case distribuite in pittoresco disordine nell’angusto sbocco della Valle dei Mulini, con i villaggi sparsi sui fianchi di monti che si affacciano sull’ampio golfo di Salerno, con le ville, i giardini, i campielli con ulivi ed agrumi, un quadro naturale di singolare bellezza e nel suo insieme un complesso avente valore estetico e tradizionale, offre dei punti di vista accessibili al pubblico dai quali si godono visuali panoramiche di singolare ed eccezionale bellezza”. Avendo il vincolo tali specifiche motivazioni a suo fondamento, risulta logica e non censurabile la considerazione del provvedimento di annullamento del Ministro che ritiene non sufficiente una motivazione che non considera la necessità di coerenza delle caratteristiche del manufatto abusivo con i caratteri propri dell’edilizia del luogo, limitandosi a valutarne l’entità modesta e la mimetizzazione o l’essenzialità della struttura architettonica che non significa compatibilità con un vincolo imposto anche al fine di tutelare “le bianche case distribuite in pittoresco disordine”. Quindi è condivisibile quanto rilevato dal Tar che ha sostenuto che il nulla-osta avrebbe dovuto esplicitare le ragioni dell’assenza dell’impatto ambientale, non meramente correggendo i grafici e indicando la mimetizzazione del manufatto, ma valutando in modo più approfondito le ragioni di contrasto o armonia dell’intervento abusivo con i caratteri propri dell’edilizia dei luoghi. Né doveva essere il Ministro ad indicare i motivi del contrasto dell’intervento con il vincolo, come asserito dall’appellante nel terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, dovendo invece ritenersi sufficiente l’evidenziazione della carenza dell’atto comunale che non ha spiegato come avrebbe dovuto le ragioni di compatibilità dell’intervento edilizio in raffronto alle ragioni del vincolo. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Lo scopo del vincolo ex D.M. 22/11/1955 - la conservazione della continuità estetica dell’urbanistica locale - quadri panoramici. E’ irrilevante la circostanza per cui nella zona in questione (la zona è tutelata giusta D.M. 22/11/1955) non si presenterebbe alcuna tipologia particolare di edilizia, né insediamenti antichi, né organizzazione agricola, presentandosi come zona rocciosa e periferica del comprensorio comunale, giova rilevare che le asserzioni sono rimaste prive di riscontro probatorio e che comunque esse sono irrilevanti poiché lo scopo del vincolo in esame è chiaramente quello di garantire la conservazione della continuità estetica dell’urbanistica locale , indipendentemente dalle particolari situazioni esistenti in quella od altra delle zone vincolate, oltre che di mantenere intatti dei quadri panoramici. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Abuso commesso rispetto ai valori paesistici tutelati - legittimità del provvedimento ministeriale di annullamento il quale ha espressamente fatto riferimento al difetto di motivazione del provvedimento comunale - E’ legittimo il provvedimento ministeriale di annullamento il quale ha espressamente fatto riferimento al difetto di motivazione del provvedimento comunale, ritenendo non sufficiente la valutazione di compatibilità attuale dell’abuso commesso rispetto ai valori paesistici tutelati, in quanto l’autorità competente non ha tenuto conto del fatto che l’intervento abusivo, privo di qualità ambientali, nonostante le correzioni apportate dalla CECI, contrasta con i caratteri propri dell’edilizia del luogo, comportando il degrado del sito di notevole valore ambientale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561 (vedi: sentenza per esteso)

Edilizia - procedimento per violazioni urbanistiche - costituzione di parte civile del comune - legittimita' - fondamento. Nei procedimenti per violazioni urbanistico-edilizie e' legittima la costituzione di parte civile del Comune nel cui territorio insiste l'opera, atteso che nell'ente locale e' identificabile una situazione di interesse personale e differenziato distinto dall'interesse diffuso all'osservanza delle norme urbanistiche comune alla generalita' dei cittadini. In tal caso il danno discende dall'offesa al bene specifico individuato proprio nel territorio il cui assetto urbanistico viene ad essere pregiudicato dall'intervento abusivo. Vedi anche: C. Cass. 2001 n. 13407. Corte di Cassazione, Sez. III del 9/08/2002 (UD.14/06/2002) Sentenza n. 29667

I piani regolatori debbono conformarsi alle indicazioni dei piani paesistici - la qualificazione del vincolo urbanistico - conformativo o espropriativo - la disciplina di inedificabilità - le previsioni di tutela del paesaggio prevalgano su ogni altra disciplina concernente l'assetto del territorio - i beni immobili privati qualificati come bellezza naturale - il vincolo panoramico - vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità - distinzione. Non è ravvisabile un interesse a contestare la qualificazione del vincolo urbanistico apposto all'area, se conformativo o espropriativo, se è vero che la disciplina di inedificabilità, o, come sembra nella specie, di edificabilità funzionale alla fruizione pubblica della zona, può essere autonomamente tratta dal piano territoriale paesistico, le cui previsioni limitative all'uso della proprietà non è discutibile che siano conformative. Va osservato in proposito che la primazia assicurata dall'ordinamento al valore ambientale, fa si che le previsioni di tutela del paesaggio prevalgano su ogni altra disciplina concernente l'assetto del territorio. I piani regolatori debbono conformarsi alle indicazioni dei piani paesistici (art. 150 d. lgs. 490-99). I beni immobili privati qualificati come bellezza naturale costituiscono, fin dall'origine, una categoria di interesse pubblico in virtù delle particolari qualità, previste dalla legge, che ad essi ineriscono; pertanto, quando l'amministrazione impone vincoli paesaggistici a tali beni, non ne modifica la qualità, nè determina alcuna compressione del diritto su di essi, essendo connaturato a tali beni il limite che il vincolo imposto si è limitato ad evidenziare, con la conseguenza che la suddetta imposizione di vincoli da parte dell'Amministrazione non determina l'insorgenza di un diritto costituzionalmente garantito all'indennizzo, senza che, però, possa escludersi la legittimità di specifiche disposizioni prevedenti, caso per caso, l'adozione di misure intese a ristorare il pregiudizio patito dai titolari di diritti sui beni oggetto del vincolo (Cass. 19.11.1998, n. 11713; Corte Cost. 29.5.1968, n. 56; 4.7.1974, n. 202). Il vincolo panoramico non è soggetto alla disciplina della temporaneità ai sensi dell'art. 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, che è dichiaratamente applicabile ai soli vincoli di piano regolatore, e di conseguenza non incorre nella ivi prevista decadenza nel caso di mancata approvazione del piano particolareggiato nel termine previsto, essendo correlato alla tutela del paesaggio in virtù delle caratteristiche dei beni naturalmente paesistici che sono ad esso sottoposti (Cass. 12.6.1991, n. 6649): la distinzione, contenuta nella norma citata, tra vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità, è da riferire, rispettivamente, alle previsioni funzionali alla realizzazione dell'opera pubblica, con imposizioni a titolo particolare su determinate aree, e alle situazioni di temporanea neutralizzazione dello ius aedificandi in attesa di successive regolamentazioni particolareggiate, applicate in via generale a consistenti estensioni territoriali, nella logica della zonizzazione (Cass. 23.4.2001, n. 173-SU; 15.3.1999, n. 2272), sempre comunque a previsioni di piano rese nell'esercizio del potere di pianificazione. Cassazione civile, Sezione I, 19 luglio 2002, n. 10542 (vedi: sentenza per esteso)

Il vincolo panoramico - piano regolatore - piano particolareggiato - vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità - distinzione - neutralizzazione dello ius aedificandi - potere di pianificazione. Il vincolo panoramico non è soggetto alla disciplina della temporaneità ai sensi dell'art. 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, che è dichiaratamente applicabile ai soli vincoli di piano regolatore, e di conseguenza non incorre nella ivi prevista decadenza nel caso di mancata approvazione del piano particolareggiato nel termine previsto, essendo correlato alla tutela del paesaggio in virtù delle caratteristiche dei beni naturalmente paesistici che sono ad esso sottoposti (Cass. 12.6.1991, n. 6649): la distinzione, contenuta nella norma citata, tra vincoli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedificabilità, è da riferire, rispettivamente, alle previsioni funzionali alla realizzazione dell'opera pubblica, con imposizioni a titolo particolare su determinate aree, e alle situazioni di temporanea neutralizzazione dello ius aedificandi in attesa di successive regolamentazioni particolareggiate, applicate in via generale a consistenti estensioni territoriali, nella logica della zonizzazione (Cass. 23.4.2001, n. 173-SU; 15.3.1999, n. 2272), sempre comunque a previsioni di piano rese nell'esercizio del potere di pianificazione. Cassazione civile, Sezione I, 19 luglio 2002, n. 10542 (vedi: sentenza per esteso)

Strumenti urbanistici - le costruzioni debbono osservare una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - altezza - tutela dell’igiene pubblica - decoro urbanistico. Infine, occorre dire che, se è vero che l’applicazione dell’art.17 della legge n.765 del 1967 e della disposizione del D.M. n.1444 del 1968, secondo cui le costruzioni debbono osservare una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, sono subordinate all’inesistenza di strumenti urbanistici anteriori contenenti norme sulle distanze (cfr. Cass. civ., SS.UU., 22 novembre 1994, n.9871), tuttavia gli strumenti urbanistici (e le relative revisioni) approvati successivamente all’entrata in vigore del citato decreto non possono contrastare con le direttive del decreto stesso (cfr. Cass. civ., II, 24 luglio 2001, n.10062). Quanto sopra detto in ordine alle distanze tra costruzioni vale, analogamente, anche per le altezze. E, infatti, scopo delle norme regolamentari concernenti l’altezza degli edifici non è soltanto la tutela dell’igiene pubblica, ma, insieme, quella del decoro e dell’indirizzo urbanistico dell’abitato (cfr. Cons. St., V, 20 ottobre 1962, n.767). Consiglio Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3929-3930-3931. (vedi: sentenza per esteso)

 Le norme tecniche di attuazione - impugnazione - il termine per la proposizione del relativo ricorso decorre non dalla data di pubblicazione della norma di piano, bensì dalla piena conoscenza del provvedimento esecutivo. Le norme tecniche di attuazione (N.T.A.), sono atti a contenuto generale, recanti prescrizioni a carattere normativo e programmatico, destinate a regolare la futura attività edilizia e, in quanto tali, non sono di per sé immediatamente lesive di posizioni giuridiche soggettive di singoli, per cui la loro impugnazione può avvenire soltanto unitamente all’impugnazione del provvedimento che ne costituisca la concreta applicazione e il termine per la proposizione del relativo ricorso decorre non dalla data di pubblicazione della norma di piano, bensì dalla piena conoscenza del provvedimento esecutivo (cfr. Cons. St., IV, 13 agosto 1997, n.845; Cons. St., V, 29 aprile 1991, n.699; Cons. St., IV, 6 ottobre 1983, n.700). Consiglio Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3931. (vedi: sentenza per esteso)

 Il regime delle distanze nelle costruzioni nell’approvazione di nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti. Il D.M. n.1444/68, emanato in base all’art.41-quinquies L. 17 agosto 1942, n.1150, nel testo modificato dall’art.17 L. 6 agosto 1967, n.765, con lo stabilire, all’art.9, comma 1 n.2), il distacco di m.10 tra fabbricati con pareti finestrate, vincola non solo i Comuni, tenuti ad adeguarsi a tale norma nell’approvazione di nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti, ma è immediatamente operante nei confronti dei proprietari frontisti (cfr. Cass. civ., 13 aprile 1999, n.3624; Cass. civ., 11 giugno 1994, n.5702). Consiglio Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3929-3930-3931. (vedi: sentenza per esteso)

URBANISTICA E EDILIZIA - Installazione di cartelloni pubblicitari - Piano generale degli impianti (ex art. 36 comma 8 del d.lgs. n. 570/1993) - Duplice livello di intervento - Profili costituzionali. La tutela degli interessi pubblici presenti nella attività pubblicitaria effettuata mediante l'installazione di cartelloni si articola, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: l'uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell'assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità; l'altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte. Quanto ai tempi di adozione del piano è applicabile il terzo comma dell'articolo 2 della legge n. 241 del 1990, che in via suppletiva pone a carico della pubblica amministrazione l'obbligo di concludere il procedimento entro trenta giorni, trascorsi i quali la medesima pubblica amministrazione è inadempiente. Il fatto che nel quadro normativo sia individuabile un termine entro il quale il comune deve dotarsi del piano generale degli impianti e non resti senza sanzione l'eventuale inadempienza, consente di concludere che al diritto di iniziativa economica è assicurata una protezione adeguata e pertanto di escludere che i privati possano essere autorizzati alla installazione di cartelli pubblicitari in mancanza di pianificazione territoriale. CORTE COSTITUZIONALE 10/07/2002 Sentenza n. 355

Necessità del preciso termine di durata nei provvedimenti di requisizione d’uso della proprietà privata - provvedimenti, adottabili solo in presenza di contingenze non altrimenti affrontabili che con misure di eccezione - insufficienza del termini ricavabile per relationem generica. E’ nota, al riguardo, la costante giurisprudenza di questo Consiglio (e delle altre Magistrature superiori amministrative, T.S.A.P. e Corte dei Conti) in materia di necessarietà del preciso termine di durata nei provvedimenti di requisizione d’uso della proprietà privata, stante l’intrinseco carattere di straordinarietà di siffatti atti, con i quali, in sostanza, per salvaguardare interessi generali non altrimenti tutelabili, si stravolge l’ordine naturale dei rapporti giuridici in base a circostanze specifiche da cui scaturiscono effetti limitati nel tempo. Tali provvedimenti, adottabili in presenza di contingenze non altrimenti affrontabili che con misure di eccezione, devono essere assunti- tra l’altro- con il minimo danno per il privato e con la determinazione di un puntuale termine di efficacia dell'atto, fissato nel minimo indispensabile, e prorogabile soltanto in presenza del permanere delle gravi necessità che giustificarono l’adozione dell’atto medesimo. (Nel caso in specie, applicando i su richiamati principi, non può revocarsi in dubbio che le ordinanze prefettizie contestate in primo grado non contengono il termine finale di durata della disposta requisizione. Invero, esse ordinano la requisizione in uso dell’area di proprietà delle odierni ricorrenti, a favore del Comune di Nocera Umbra, “ fino a cessate esigenze”. Né il predetto termine di durata potrebbe essere ricavabile per relationem ad altri atti indicati nelle ordinanze de quibus. Ciò in quanto l’unico atto ivi indicato- il D.P.C: M. 27.9.1997- (peraltro, riportato in uno dei due provvedimenti con estremi non esatti), si riferisce alla dichiarazione dello stato di emergenza nelle regioni Marche ed Umbria colpite dagli eventi sismici e contiene un ampio termine di durata , il 30 giugno 1999, che appare piuttosto relazionato alla situazione generale dell’emergenza astrattamente valutata e non rapportato alla contingente situazione di necessità che ha attivato- nella specie- il (successivo) provvedimento straordinario della requisizione in uso. Sotto l’esaminato profilo, pertanto, gli impugnati provvedimenti si presentano come atti di disposizione sine die della proprietà privata e, come tali, illegittimi). Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3823. (vedi sentenza per esteso)

 Pianificazione urbanistica - le scelte dell’Amministrazione concernenti la destinazione di singole zone. In sede di pianificazione urbanistica, le scelte dell’Amministrazione concernenti la destinazione di singole zone costituiscono apprezzamento di merito e per ciò sono sottratte al sindaco di legittimità, salvo che la nuova destinazione sia inficiata da errori di fatto o vizi di illogicità e contraddittorietà. Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817. 

 Pianificazione urbanistica - la motivazione sulla destinazione di singole zone. In sede di pianificazione, l’Amministrazione ha l’onere di fornire la motivazione sulla destinazione di singole zone quando tale destinazione incida, in senso peggiorativo, su situazioni meritevoli di particolari considerazioni o per la singolarità del sacrificio imposto al privato o per la preesistenza di legittime aspettative in quest’ultimo ingenerate. Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817. 

 Pianificazione urbanistica - la destinazione di una zona ad uso agricolo. In sede di pianificazione urbanistica, la destinazione di una zona ad uso agricolo possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell'insediamento urbano per il fatto di assumere mediante tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell'aggregato urbano. Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817. 

 La pianificazione urbanistica - l’onere della motivazione incombe sull’Amministrazione solo quando le predette scelte incidano, in senso peggiorativo - nuova destinazione urbanistica inficiata da errori di fatto o da vizi di illogicità e contraddittorietà - aspettative degli interessati - l’intervenuta decadenza del relativo titolo edificatorio. In sede di pianificazione urbanistica, le scelte dell’Amministrazione concernenti la destinazione di singole zone costituiscono apprezzamento di merito e per ciò sono sottratte al sindacato di legittimità, salvo che la nuova destinazione sia inficiata da errori di fatto o da vizi di illogicità e contraddittorietà; non è, quindi, necessaria una espressa e specifica motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano (Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2934; 14 aprile 1998. n. 605). La tipizzazione dell’area in questione risponde a criteri di corretta pianificazione avuto riguardo alle esigenze di salvaguardia ambientale e paesaggistica poste in evidenza nei criteri di classificazione del territorio, specie ove si consideri che una zona destinata ad uso agricolo possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano per il fatto di assumere mediante tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano ( Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2934 ; 24 dicembre 1999, n. 121) . L’onere della motivazione incombe sull’Amministrazione solo quando le predette scelte incidano, in senso peggiorativo, su situazioni meritevoli di particolari considerazioni o per la singolarità del sacrificio imposto al privato o per la preesistenza di aspettative in quest’ultimo ingenerate (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2000, n. 5207; 14 aprile 1998, n. 605; 12 dicembre 1990, n. 1002). Nè può condividersi l’assunto di parte secondo cui le scelte urbanistiche in questione avrebbero inciso , senza alcuna giustificazione, sulle aspettative degli interessati precedentemente ingenerate dalla stessa Amministrazione. L’intervenuta decadenza del relativo titolo edificatorio, invero, ha fatto venir meno ogni importanza all’intervento edificatorio effettuato in contrasto con le norme di piano; in presenza di un fenomeno privo di legittimazione, si deve, pertanto, escludere la configurabilità di qualsiasi aspettativa in capo al soggetto proprietario del terreno in questione e, nello stesso tempo, si deve riconoscere all’Amministrazione una sfera di discrezionalità nell’ apprezzamento della situazione di fatto esistente, ai fini della classificazione del territorio (Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2934). Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817.

Cave - sfruttamento del sottosuolo - concessione edilizia - necessita' - esclusione - realizzazione in zona non consentita - reato di cui all'art. 20 lett.a) legge n. 47 del 1985 - configurabilita'. L'attivita' di apertura e coltivazione di cava non richiede il preventivo rilascio della concessione edilizia, non essendo subordinata al preventivo controllo dell'autorita' comunale, ma la stessa deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la violazione dell'art. 20 lett. a) della legge 28 febbraio 1985 n. 47. Corte di Cassazione, Sez. III Sentenza del 09/07/2002 (UD.21/03/2002) n. 26140

 Pianificazione urbanistica - l’obbligo di astensione cui è soggetto il consigliere comunale in relazione alle delibere alle quali sia direttamente o indirettamente interessato - casi di operatività dell’obbligo di astensione - mancanza di una posizione di neutralità - interessi a contenuto patrimoniale facenti capo direttamente e indirettamente al consigliere comunale. Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato, IV, 28 gennaio 2000, n. 442) l’obbligo di astensione cui è soggetto il consigliere comunale in relazione alle delibere alle quali sia direttamente o indirettamente interessato, è giustificato dal coinvolgimento dell'interesse del consigliere stesso, indipendentemente dal vantaggio o svantaggio che in concreto possa derivargli, in conseguenza di quella serenità che egli deve avere all'atto dell'adozione di un provvedimento di natura discrezionale. Affinché operi l’obbligo di astensione, è, infatti, necessario che dalla situazione concreta emerga la mancanza di una posizione di neutralità rispetto a concreti interessi a contenuto patrimoniale facenti capo direttamente e indirettamente al consigliere comunale: interessi che nel caso di adozione di uno strumento urbanistico devono essere confliggenti o coincidenti con quelli dell’amministrazione. Consiglio Stato, sez. IV, 8 luglio 2002, n. 3804

Rilascio dell’assenso a costruire - gli effetti dell’atto di asservimento del terreno confinante al fine del computo urbanistico - l’atto negoziale unilaterale - la limitazione strumentale dei diritti reali - la struttura non bilaterale dell’autorizzazione revocata. Premesso che risulta pacifica tra le parti la necessità, ai fini del rilascio dell’assenso a costruire, dell’asservimento del terreno confinante e che, quindi, in mancanza dell’anzidetta autorizzazione, va ritenuto corretto il diniego di concessione edilizia impugnato, la controversia si risolve nella verifica dell’efficacia della revoca da parte del controinteressato, prima che il Comune provvedesse sull’istanza presentata dall’originario ricorrente, dell’atto autorizzativo menzionato. Costituisce, invero, principio generale del diritto civile che l’atto negoziale unilaterale, quale deve qualificarsi l’asservimento del proprio terreno al fine del computo urbanistico dello stesso, può essere revocato dal suo autore, ancorchè recettizio, fino a quando non si sono realizzati i suoi effetti nella sfera giuridica del destinatario della dichiarazione. Tanto premesso in via generale, si osserva, nel caso di specie, che gli effetti voluti dall’autore dell’atto di asservimento vanno certamente riconosciuti, per come espressamente dichiarato nel documento negoziale de quo, nella computabilità del terreno di proprietà del sottoscrittore ai fini del rispetto della normativa edilizia da parte del destinatario dell’atto e, quindi, del rilascio in favore di quest’ultimo del titolo richiesto. Ne consegue che il negozio unilaterale in questione non attribuiva direttamente un diritto od altra utilità al destinatario della dichiarazione ma assolveva alla mera funzione strumentale di limitare il diritto dell’autore dell’atto per consentire al soggetto beneficato da quest’ultimo di conseguire la concessione edilizia. Dalla natura negoziale dell’atto di asservimento appena descritta si ricava, quale ulteriore corollario, che il limite temporale della sua revocabilità va individuato nella concreta acquisizione da parte del destinatario dell’utilità giuridica costituita, seppur indirettamente, dallo stesso, e cioè nel conseguimento della concessione edilizia. Prima del rilascio del predetto titolo, infatti, la limitazione strumentale dei diritti reali dell’autore dell’atto rimane nella disponibilità dello stesso e può essere da questi diversamente regolata secondo la propria, libera, volontà negoziale, con la conseguenza della validità e dell’efficacia della revoca dell’originario atto di asservimento in quanto negozio dispositivo, in senso opposto a quello originariamente voluto, di posizioni soggettive non trasferite ad altri soggetti e, comunque, non uscite dalla sfera giuridica dell’autore. Il predetto convincimento risulta, da ultimo, avvalorato dal duplice rilievo della struttura non bilaterale dell’autorizzazione revocata e dall’evidente mancanza di qualsivoglia effetto traslativo od abdicativo ricollegabile alla sottoscrizione della dichiarazione negoziale originaria. Va, in ogni caso, condivisa, quand’anche si ritenesse irrevocabile l’assenso del controinteressato, la valutazione del T.A.R. circa l’inesigibilità da parte del Sindaco, a fronte della comunicazione della revoca dell’autorizzazione del vicino (necessaria ai fini del rilascio della concessione edilizia), di una complessa indagine civilistica della validità di quella nonché in ordine alla conseguente correttezza del diniego del titolo sulla base del rilievo del sopravvenuto difetto delle condizioni necessarie al suo rilascio. Alla ritenuta validità della revoca dell’atto di asservimento consegue la reiezione dell’appello e la conferma della statuizione impugnata. Consiglio di Stato, sez. V, 8 luglio 2002, n. 3778

Denuncia di inizio di attività (Dia). Gli orientamenti consolidati della giurisprudenza amministrativa hanno chiarito che nell'ambito di interventi di manutenzione straordinaria, di  restauro e risanamento conservativo è ben possibile realizzare opere interne di consolidamento statico che non determinino la variazione dell'aspetto esterno, delle dimensioni e della destinazione del manufatto.  Consiglio di Stato, sezione V, 6 luglio 2002, n. 3715

Gli strumenti urbanistici attuativi del PRG in zone urbanizzate - non necessarietà. In via interpretativa prevale un orientamento giurisprudenziale che ritiene non necessario l'intervento di strumenti urbanistici attuativi del PRG tutte le volte che si tratti di interventi in zone urbanizzate o tali da non modificare in modo sensibile i carichi urbanistici i atto. Consiglio di Stato, sezione V, 6 luglio 2002, n. 3715

Prg - modifiche delle previsioni urbanistiche in vigore - la motivazione delle scelte generali - l’integrazione motivazionale per relationem - criteri d'ordine tecnico urbanistico - obbligo di motivazione specifica sulla nuova destinazione conferita a un'area.  E’ principio consolidato secondo il quale la motivazione delle scelte generali compiute dall'Amministrazione con l'adozione di uno strumento urbanistico non deve essere necessariamente contenuta nel solo atto che conclude il procedimento, ma può essere ricavata anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, consente l’integrazione motivazionale per relationem del provvedimento conclusivo solo a condizione che negli atti richiamati siano chiaramente illustrate le esigenze che hanno indotto l'Amministrazione ad approvare la nuova disciplina. Se è certo che il Comune ha la facoltà ampiamente discrezionale di modificare le previsioni urbanistiche in vigore, senza obbligo di motivazione specifica ed analitica per le zone innovate, purché fornisca un'indicazione congrua delle esigenze da soddisfare e le scelte siano coerenti con criteri d'ordine tecnico urbanistico, è vero peraltro che una motivazione specifica sulla nuova destinazione conferita a un'area  è pur sempre necessaria ( non solo se la variante incide su aspettative assistite da una speciale tutela o uno speciale affidamento, quali, tra le altre, quelle che derivano da un piano di lottizzazione debitamente approvato e convenzionato) ma anche nel caso in cui la variante è limitata ad un terreno determinato ( Sez. IV 6.3.1998 n. 382). Consiglio di Stato, sezione IV, 5 luglio 2002, n. 3695

 Il rilascio dell’autorizzazione per la distribuzione degli impianti di carburanti in ambito regionale - il parere, espresso dalla Regione, non ha natura consultiva, ma provvedimentale - accertamento della conformità alle norme di piano - l’eventuale intervento dell’ANAS - le particolari norme sui dispositivi self-service. Il parere, espresso dalla Regione, di non conformità della domanda di realizzazione del nuovo impianto di distribuzione di carburanti al piano (ossia, al Regolamento regionale di attuazione del programma di razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti approvato con del. della G.R. 16.6.2000 n. 7/130), nella ratio del procedimento delineato dalle norme regolamentari (artt. 7 e 8) non ha natura consultiva, ma provvedimentale. La Regione è, infatti, tenuta ad accertare se la domanda sia conforme alle norme di piano che disciplinano la distribuzione degli impianti di carburanti in ambito regionale, adottando, quindi, una determinazione positiva o negativa, che incide sul procedimento di autorizzazione in quanto consente o impedisce il proseguimento dell’istruttoria in sede comunale. (Nella specie, il Comune di Vobarno, ha preso atto della determinazione negativa della Regione, la quale aveva accertato che “il nuovo impianto … non è conforme alle norme di indirizzo programmatico regionale, a cui i Comuni devono attenersi ai sensi dell’art. 1 del d.Lgs. 32/98” e, quindi, concluso che “l’istanza di cui trattasi è da ritenersi dichiarata decaduta e pertanto archiviata”, ed ha, a sua volta, disposto l’archiviazione della pratica). In altri termini, ritiene il Collegio che nell’ambito del procedimento previsto dalle norme regolamentari regionali (in particolare, dall’art. 7) per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di nuovi impianti, l’intervento regionale - così come l’eventuale intervento dell’ANAS (nel caso di impianti da realizzarsi in fregio a strade statali o provinciali) - sia configurabile come un sub procedimento che si apre ad istanza di parte (l’art. 7, secondo comma, prescrive, infatti, che “copia della domanda, corredata di tutta la documentazione richiesta … deve essere trasmessa, a cura dell’interessato alla Regione”) e si conclude con una determinazione finale che ha una sua autonoma rilevanza e, come tale, una sua autonoma potenzialità lesiva. Il d.Lgs. 11.2.1998, n. 32, recante norme per la razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, prevedeva, in via transitoria, all’art. 3, primo comma, che “fino al 30 giugno 2000, in deroga a quanto disposto dall'articolo 1 ed al fine di agevolare la razionalizzazione della rete distributiva, la promozione dell'efficienza ed il contenimento dei prezzi per i consumatori, l'autorizzazione per nuovi impianti o per il trasferimento di quelli in esercizio è subordinata alla chiusura di almeno tre impianti esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ovvero di almeno due impianti nelle medesime condizioni …”. Successivamente l’art. 2 del d.l. 29.10.1999, n. 383 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 28 dicembre 1999, n. 496), ha, però, disposto che “l'installazione di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti, dotati di dispositivi self-service con pagamento posticipato del rifornimento, non è soggetta agli obblighi di cui all'articolo 3, comma 1, del d.lgs.11.2.1998, n. 32, come sostituito dall'articolo 2 del d.lgs. 8 9 1999, n. 346”. (Nella specie la Regione Lombardia, con delibera della Giunta del 16.6.2000 n. 7/130, ha, poi, approvato il Regolamento di attuazione del programma di razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti di cui alla d.c.r. del 29.9.1999 n. VI/1309. Con tale delibera la Giunta, tenuto conto di quanto precisato nella relazione che la accompagnava - nella quale era era stato evidenziato che la disposizione dell’art. 3, primo comma del d.lgs. 11.2.1998 n. 32, come sostituito dall’art. 2 del d.lgs. 8.9.1999 n. 346, costituisce principio generale dell’ordinamento cui la Regione deve adeguarsi e che sono, pertanto, da considerare decadute, nei confronti dei nuovi impianti di distribuzione con i requisiti sopra elencati, le disposizioni contenute negli atti di programmazione regionale che ancora si riferiscono al vincolo (originario) di cui all’art. 3 del d.lgs. 32/98 - ha disposto, all’art. 1, ultimo comma, che “alle istanze presentate sino al 30 giugno 2000 si applica la normativa vigente alla data della loro presentazione”. Quindi, la disposizione derogatoria di cui all’art. 2 del cit. d.l., è stata ritenuta efficace sino alla data predetta, per cui sono rimaste implicitamente escluse dall’applicazione di tale disposizione le istanze presentate dopo il 30.6.2000. In conseguenza queste, a decorrere dall’1.7.2000, non potevano che essere decise in base alle nuove disposizioni regolamentari, dichiaratamente finalizzate al “raggiungimento del numero di impianti obiettivo per bacino d’utenza-tipologia di area previsto dalla tav.10 della sopracitata d.c.r. n. VII/1309” (v. art. 1, terzo comma), le quali non hanno contemplato alcuna deroga per i nuovi impianti dotati di dispositivi self-service con pagamento posticipato. La limitazione dell’efficacia della deroga al 30.6.2000 era, quindi, lesiva degli interessi della soc. Dicomi ed andava conseguentemente impugnata unitamente all’atto applicativo con il quale è stato espresso il parere di non conformità al piano. Per tale ragione il ricorso in primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile; infatti, non essendo stata chiesta la rimozione della norma regolamentare, non poteva essere riconosciuto l’interesse all’annullamento del provvedimento impugnato, che alla stessa si era adeguato). Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 1 luglio 2002, n. 3600.

 In presenza di atti illegittimi ad effetti permanenti dannosi per l’Amministrazione, l’annullamento d’ufficio di questi non esige una specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico alla loro eliminazione - potere di autotutela - dichiarazioni rese, dolosamente, infedele - annullamento delle convenzione di lottizzazione. In presenza di atti illegittimi ad effetti permanenti dannosi per l’Amministrazione, l’annullamento d’ufficio di questi non esige una specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico alla loro eliminazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 1992, n.910) e che, parimenti, il legittimo esercizio del potere di autotutela non postula la ricorrenza di specifiche ragioni di interesse pubblico quando il destinatario dell’atto non sia in buona fede (Cons. Stato, Sez. V, 9 maggio 2000, n.2648) o abbia dato causa all’illegittimità dell’atto mediante il carattere dolosamente infedele delle dichiarazioni rese (Cons. Stato, Sez.V, 29 aprile 2000, n.2544). (Nella specie, tra le ragioni addotte dal Comune a sostegno delle determinazioni di annullamento in via di autotutela (delibera C.C. n.2 del 2.2.2000 e provvedimento sindacale n.3725 dell’1.3.2000) risulta, infatti, indicata l’impossibilità dell’attuazione della lottizzazione in considerazione dell’accertata comproprietà in capo a terzi (gli odierni appellanti) delle aree che i soggetti lottizzanti, in quanto pretesi proprietari delle stesse, si erano obbligati a cedere gratuitamente al Comune, previa realizzazione su quelle di opere di urbanizzazione primaria. Dall’esame delle predette ragioni si ricava, infatti, il convincimento che, nella situazione di fatto e di diritto determinatasi in conseguenza della pronuncia della citata sentenza da parte del Tribunale di Udine, l’annullamento d’ufficio non solo era opportuno ma era addirittura doveroso e che, quindi, non vi fosse neanche necessità della sussistenza di specifiche ragioni di interesse pubblico. Ancorchè, infatti, la statuizione civile ricordata non era direttamente vincolante per il Comune (che non era parte del giudizio civile), l’accertamento ivi contenuto, in quanto preclusivo della stessa possibilità di attuazione del piano e del rispetto degli impegni assunti con la convenzione di lottizzazione, imponeva all’Ente di eliminare gli strumenti urbanistici approvati sulla base di un presupposto rivelatosi falso nonché il titolo edilizio rilasciato in esecuzione di quelli. Non v’è chi non veda, invero, come la sopravvenuta impossibilità dell’esecuzione del Piano e della conseguente lottizzazione, per come sopra illustrata, impediva all’Amministrazione qualsiasi valutazione discrezionale, astrattamente concepibile nei soli riguardi dei provvedimenti che possono ancora produrre i propri effetti tipici ma non certo relativamente a quelli che non possono essere attuati per circostanze sopravvenute, circa la rimozione degli atti rivelatisi illegittimi ed ineseguibili e la obbligava, di contro, a procedere, come correttamente ha fatto, all’annullamento d’ufficio di questi ultimi. Dalla permanente efficacia degli atti eliminati in via di autotutela sarebbero, infatti, derivati, oltre che una rilevante lesione dei diritti di proprietà degli odierni ricorrenti, un grave pregiudizio per l’Amministrazione Comunale, che avrebbe perduto il vantaggio della realizzazione da parte del lottizzante di opere di urbanizzazione primaria e del conseguente acquisto delle aree da quelle interessate). Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 1 luglio 2002, n. 3599.

 Il computo nella volumetria ammissibile del piano terra, anche se adibito a garages - l’interramento deve intendersi riferito all’originario piano di campagna e non a quello artificiale conseguente a consistenti reinterri - i volumi costruiti al di sotto dell’originario piano di campagna  non incidono sulla volumetria consentita in quanto il  piano di campagna non venga definitivamente alterato dalla costruzione. E’ pacifico che il fabbricato è stato costruito non a quota -2,40 m. ma a quota zero, per cui esso presenta tre piani fuori terra, anziché due ed uno seminterrato, come previsto nel progetto originario. Di conseguenza, correttamente il Comune ha  ritenuto di computare nella volumetria ammissibile il piano terra, anche se adibito a garages. Invero, secondo l’art. 7 , comma 3, delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune, in tanto i garages  non sono computabili nella superficie di piano in quanto abbiano un’altezza netta non superiore a m.2,40 e siano completamente interrati. Interramento che deve intendersi riferito all’originario piano di campagna e non certamente, come prospettato dall’appellante a quello artificiale conseguente a consistenti reinterri. Ciò corrisponde  a un principio generale vigente in materia in base al quale, salvo che non vi siano esplicite disposizioni in contrario, in tanto i volumi costruiti al di sotto dell’originario piano di campagna  non incidono sulla volumetria consentita in quanto il  piano di campagna non venga definitivamente alterato dalla costruzione (V. le decisoni di questa Sezione n. 390 del 4.8.1986 e n. 481 del 1°.10.1986). Esplicite disposizioni contrarie nella specie non sussistevano, come correttamente  evidenziato dal TAR. Consiglio Stato Sez. V, 01 luglio 2002, n. 3589. (Vedi: sentenza per esteso)

L’esigenza del previo piano attuativo per il rilascio di una concessione edilizia - zone assolutamente inedificate, zone parzialmente urbanizzate e zone di completamento. Il Collegio non ha motivi per discostarsi dall’orientamento ormai consolidato di questo Consiglio in base al quale l’esigenza del previo piano attuativo per il rilascio di una concessione edilizia se è insussistente nel caso di zone completamente urbanizzate, assume tutta la sua importanza non solo nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate ma anche in quelle intermedie di zone parzialmente urbanizzate, nelle quali viene per lo meno a configurarsi un’esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione, tanto più quando le  nuove opere  edilizie da realizzare siano di una certa entità (V. le decisioni di questa Sezione n.790 del 15.2.2001  e n. 162 del 1°.2.1995 e precedenti ivi indicati). Infine occorre rilevare che l’area oggetto dell’intervento edilizio non poteva considerarsi di completamento, in quanto  all’epoca non esistevano le principali opere di urbanizzazione primaria e secondaria, come più volte precisato e di conseguenza non vale da parte delle società resistenti invocare l’applicabilità degli artt. 9 e 109 della L.R. Veneto n.61 del 27.6.1985, che appunto consentivano l’edificazione diretta, senza previo piano attuativo, solo in presenza  delle principali opere di urbanizzazione. Consiglio Stato Sez. V, 01 luglio 2002, n. 3587.

La decadenza della concessione edilizia ha natura dichiarativa a carattere vincolato - il provvedimento di decadenza, non è automatico - necessità della dichiarazione con apposito provvedimento - la posizione giuridica del privato - i comportamenti delle Amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia - la giurisdizione del G. A. - la domanda di risarcimento danni proposta con i motivi aggiunti. Il provvedimento di decadenza della concessione edilizia ha natura dichiarativa a carattere vincolato e che il relativo effetto estintivo non è disponibile per l’Amministrazione (Cons. St., Sez.V, 7 marzo 1997 n.204); pur dovendo essere adottato ogni volta che ne sussistono i presupposti (Cons. St., Sez.V, 3 febbraio 2000 n.597) il provvedimento di decadenza, tuttavia, non è automatico (Cons. St., Sez.V, 23 novembre 1996 n.1414); pertanto, la decadenza deve essere necessariamente dichiarata, ai sensi dell’art.31 della legge n.1150 del 1942, con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d’accertamento, in quanto la competenza esclusiva del G. A. ex art.16 della legge n.10 del 1977 lascia ferma, in soggetta materia, la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e, quindi, per questi ultimi il solo rito impugnatorio annullatorio (Cons. St., Sez.V, 15 giugno 1998 n.834). Quest’ultima pronuncia appare attuale anche in seguito alla devoluzione alla giurisdizione esclusiva del G. A. delle controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle Amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, disposta dall’art.34 del D.Lgs. n.80 del 1998 come sostituito dall’art.7, comma 1 lett.b), della legge n.205 del 2000, essendo ferma la disposizione contenuta nell’art.103, I comma, della Costituzione. Tuttavia, il Collegio considera che l’art.34 cit. estende la giurisdizione del G. A. alle controversie sui "comportamenti" delle Amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia. Pertanto, ben può essere sindacato, ad avviso del Collegio, il comportamento dell’Amministrazione che, pur sussistendo i presupposti per dichiarare la decadenza di una concessione edilizia, non adotti il relativo provvedimento. Resta da esaminare la domanda di risarcimento danni proposta con i motivi aggiunti. Al riguardo il Collegio deve rilevare che la domanda risulta proposta in modo indeterminato, in quanto priva della quantificazione del danno che si assume subito, sicché la stessa appare inammissibile (Cons. St., Sez.V, 16 gennaio 2002 n.227). Peraltro, il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento di un atto in sede giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge; pertanto, oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (danno ingiusto), è indispensabile che siano accertate la colpa (o il dolo) dell’Amministrazione e l’esistenza di un danno al patrimonio con nesso causale tra l’illecito ed il danno subito (Cons. St., Sez.IV, 14 giugno 2001 n.3169). TAR Abruzzo - Pescara, Sentenza 28 giugno 2002 n. 595 (vedi: sentenza per esteso)

Inizio della decorrenza del termine per l’impugnazione della concessione edilizia - il completamento della costruzione - rilascio dell’atto - il mero inizio. Ai fini dell’inizio della decorrenza del termine per l’impugnazione della concessione edilizia non basta la semplice notizia del rilascio dell’atto o la vaga cognizione del suo contenuto, oppure il mero inizio o lo svolgimento dei lavori di costruzione, in quanto occorre la conoscenza dei suoi elementi essenziali, conoscenza che può in via presuntiva trarsi quando risulta da dati incontrovertibili il completamento della costruzione (Cons. St., VI, n.1533 del 2002 cit.). TAR Abruzzo - Pescara, Sentenza 28 giugno 2002 n. 595 (vedi: sentenza per esteso)

Errori nella rappresentazione nella planimetria allegata all’originaria domanda di concessione edilizia dello stato dei luoghi - la concessione edilizia è inficiata - impossibilità di prendere l’originaria concessione a base delle concessioni in variante rilasciate in corso d’opera. Deve ritenersi per assodato che la planimetria allegata all’originaria domanda di concessione edilizia, nel rappresentare lo stato dei luoghi preesistente, non era correttamente redatta, giacché non rappresentava in modo completo gli edifici esistenti a confine con il lotto d’intervento e riportava erronee misurazioni rispetto ad essi, con la conseguenza che il progetto del realizzando edificio presentato per l’approvazione non poteva essere correttamente valutato da parte della Commissione edilizia comunale e dell’Ufficio comunale competente al rilascio della relativa concessione edilizia, sicché questa ne è risultata inficiata. Le successive concessioni riguardanti l’edificio di che trattasi sono censurate dal ricorso, sia sotto il profilo dell’originaria illegittimità conseguente alla sopra ritenuta erroneità della rappresentazione del preesistente stato dei luoghi e quindi della impossibilità di prendere l’originaria concessione a base delle concessioni in variante rilasciate in corso d’opera, sia sotto il profilo dell’essere state tali successive concessioni rilasciate quando l’originaria concessione era scaduta. TAR Abruzzo - Pescara, Sentenza 28 giugno 2002 n. 595  (vedi: sentenza per esteso)

Gli oneri contributivi di urbanizzazione primaria e secondaria - restituzione - la configurazione dell’onere contributivo - nuovo obbligo. Gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria che si configurano come partecipazione del singolo, che fruisce o avrebbe fruito delle opere di urbanizzazione primaria, al carico sopportato o che sarebbe stato sopportato dal Comune per fornire i servizi derivanti da dette opere, definite nell’art. 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, sono da restituire se l’opera non viene eseguita. In siffatto caso il contributo diviene privo di causa, e non è più dovuto e deve essere pertanto restituito. Se l’opera edilizia viene eseguita ed utilizzata secondo la sua destinazione, la configurazione dell’onere contributivo impedisce di ritenere che venga a mancare di causa. Invero, la partecipazione ai suindicati oneri non è legata neppure ad un periodo minimo di utilizzazione, non prefigurata dalla legge. E’ quindi connessa con il potenziale, e non misurabile nel tempo, godimento delle suddette opere di urbanizzazione primaria (strade residenziali, spazi di sosta, reti di fognatura, acqua, gas, elettricità, illuminazione, verde pubblico). Ne segue che non ne può essere fondatamente richiesta la restituzione, ove il carico urbanistico dell’opera venga a mutare. In questa ipotesi, sorge un nuovo obbligo, che prescinde da quello adempiuto prima, ma per un’opera di diverso carico urbanistico e che ha fruito dei servizi di cui si è detto. Consiglio di Stato, Sezione V - Sentenza 12 giugno 2002, n. 3268

 Le disposizioni in materia di adozione e approvazione degli strumenti urbanistici (Regione Umbria) - Prg soppressione di aree edificabili - necessità di adeguate giustificazione del provvedimento di annullamento - illegittimità delle generiche osservazioni svolte dall’Amministrazione regionale. Con l’art. 9 della legge 18 agosto 1989, n. 26, la Regione Umbria ha apportato modifiche e integrazioni alla legge regionale 8 giugno 1984, n. 29. Dopo aver dettato disposizioni in materia di adozione e approvazione degli strumenti urbanistici, il comma 2 del citato articolo ha così stabilito: “Oltre alle varianti relative alla viabilità secondaria interna o di penetrazione di singole zone omogenee, sono approvate, con deliberazione esecutiva del Consiglio comunale, le varianti agli strumenti urbanistici generali comunali: a) . . . omissis. . . ; b) . . . omissis. . . ; c) che non comportino incrementi quantitativi delle previsioni di attività residenziali, produttive e turistiche ivi contenute e non costituiscano modifiche dell’assetto urbano”. E’ sulla base di tale norma che il Comune di Piegaro ha approvato la variante compensativa in discussione. Con la decisione assunta il Comune ha soppresso aree edificabili in talune zone classificate “B” e “C” dallo strumento urbanistico, pari a una superficie di 38.540 mq., e ha individuato nuove aree per una superficie di 27.570 mq., con una riduzione complessiva, quindi, di circa 11.000 mq.. Nell’ambito dell’iniziativa ha scelto di localizzare, in località Belvedere, su area già individuata a zona agricola nel Programma di Fabbricazione, la realizzazione del comparto C1, intervento che la stessa Regione ha ritenuto compatibile con il precedente tipo di insediamento. Va osservato, in primo luogo, che l’iniziativa del Comune è diretta a disciplinare il territorio comunale esclusivamente sotto il profilo urbanistico, così come pure l’art. 9 della disposizione legislativa richiamata dalla Regione a giustificazione del provvedimento di annullamento. Non si spiegano, quindi, i rilievi che la Regione ha inteso svolgere sotto il profilo paesaggistico. In ogni caso, è evidente l’assoluta genericità delle osservazioni regionali in tal senso svolte, che né fanno riferimento a previsioni contenute in eventuali strumenti di tutela paesaggistica o ambientale, né forniscono elementi concreti che costituiscano compromissioni di valori di tale natura. Altrettanto generiche sono da considerare le osservazioni che l’Amministrazione regionale ha svolto intorno alla consistenza edificatoria dell’intervento approvato dal Comune e alla modifica dell’assetto urbano. Come si è visto, il richiamato art. 9, comma 2, della legge regionale n. 26 del 1989, ha stabilito che il Consiglio comunale approva le varianti agli strumenti urbanistici generali comunali “che non comportino incrementi quantitativi delle previsioni di attività residenziali, produttive e turistiche ivi contenute e non costituiscano modifica dell’assetto urbano”. Consiglio di Stato Sezione IV, sentenza 11 giugno 2002, n. 3252.

Occupazione temporanea d'urgenza - dichiarazione anticipata di indifferibilità ed urgenza dei lavori - la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera. Non può aversi una "dichiarazione anticipata di indifferibilità ed urgenza dei lavori", finalizzata all'occupazione temporanea d'urgenza, prima che sia stata emessa, esplicitamente o per implicito, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera. TAR Campania-Napoli, Sez. V -Sentenza 11 giugno 2002 n. 3386  

Il procedimento di occupazione del fondo, basato sulla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza dei lavori, costituisce un subprocedimento del più ampio procedimento ablatorio. Il procedimento di occupazione del fondo, basato sulla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza dei lavori, costituisce un subprocedimento del più ampio procedimento ablatorio, teoricamente non necessario, ma assai spesso ormai indefettibile anche per espressa previsione di legge (v. art. 1 comma 1 L. 3 gennaio 1978 n. 1). TAR Campania-Napoli, Sez. V -Sentenza 11 giugno 2002 n. 3386   (vedi: sentenza per esteso)

Autorizzazione provvisoria e danni irreversibili. Per effetto dell'autorizzazione provvisoria e del conseguente avvio dei lavori, possono verificarsi danni irreversibili, non sempre completamente riparabili o risarcibili (C.S. IV, 15 marzo 2000, n.1408). TAR Campania-Napoli, Sez. V  dell' 11 giugno 2002 Sentenza n. 3386  (vedi: sentenza per esteso)

 P.I.P. riadozione del piano - disponibilità delle aree - vincolo espropriativo decaduto. Nella riadozione del piano, il Comune di Mesagne, ha fatto riferimento (senza alcuna contestazione) all’esistenza di ulteriori iniziative collegate alla riadozione del P.I.P. e, in particolare, alla circostanza che molte altre richieste di lotti edificabili erano rimaste inevase non essendovi la disponibilità delle relative aree una volta decaduto il vincolo espropriativo. Non sono quindi condivisibili le conclusioni del T.A.R. che, respingendo tali argomenti prospettati anche dal Comune di Mesagne e comunque desumibili dagli atti della controversia, ha marcato come “inidonei a giustificare la legittimità del P.I.P.” (trascurando il fatto che si tratta di riapprovazione e non di un nuovo piano), sia la presenza di iniziative produttive, preesistenti e nuove, non solo, quindi, quella della Promo Centro Italia, sia la sopravvenienza di nuovi finanziamenti finalizzati al completamento del piano. Consiglio di Stato sezione V, 6 giugno 2002, n. 3179.

Discarica rifiuti - gli interventi approvati dal Consiglio Comunale con apposita deliberazione volti all’eliminazione di cause di insalubrità”, sono disposizione non immediatamente lesive e pertanto carenti di ogni interesse attuale e concreto all’impugnazione - l’esigenza di salvaguardia ambientale - poteri comunali - d.lgs. n. 22 del 1997 - P.r.g. - notifica. Tenuto conto dei circoscritti poteri comunali in materia de qua, rivenienti dal d.lgs. n. 22 del 1997, la disposizione in esame va intesa, come dedotto dall’appellante Amministrazione, non nel senso di inibire le attività di cui si tratta, ovvero di sottoporle ad un necessario vaglio preventivo di conformità, ma solo nel senso che il Comune, una volta avviati, anche su semplice denuncia di parte, i lavori di manutenzione straordinaria assentiti dalle autorità competenti (per quelli di manutenzione ordinaria la norma non reca alcuna remora), può, se del caso, adottare iniziative volte a vedere in qualche modo tutelata l’esigenza di salvaguardia ambientale avuta di mira. L’eventuale effetto lesivo della norma, quindi, non è immediato, potendo esso evidenziarsi in via mediata e indiretta solo nell’ipotesi in cui le iniziative comunali conseguenti alla esecuzione di opere che il Comune stesso dovesse, in ipotesi, ritenere in contrasto con la disposizione in parola, si risolvessero nell’adozione di provvedimenti comportanti la lesione della sfera di interessi dell’impresa; altro, del resto, sarebbero eventuali interventi repressivi assunti in difformità dalla disciplina autorizzatoria regionale o provinciale, altro l’assunzione di iniziative volte ad informare tali stesse autorità circa le conseguenze che, sul piano ambientale, i detti atti autorizzativi potrebbero produrre in pregiudizio degli interessi tutelati dal Comune medesimo. La norma, per converso, non assoggetta ad alcun onere preventivo di prova circa il carattere non produttivo di “un aggravio di eventuali pericoli di insalubrità”, riconducibile agli interventi di cui si tratta. Anche sotto questo profilo, quindi, è da escludere che la disposizione in esame possa comportare immediati e diretti aggravamenti procedurali nella sfera della ricorrente originaria. Quanto agli “altri interventi approvati dal Consiglio Comunale con apposita deliberazione volti all’eliminazione di cause di insalubrità”, si tratta, anche in questo caso, di disposizione non immediatamente lesiva, in quanto la sua applicazione può ricollegarsi solo ad eventi futuri e incerti quali l’individuazione di “cause di insalubrità” nella conduzione delle attività in questione che consiglino interventi dell’Autorità comunale la cui conformità all’ordinamento potrà essere misurata solo in base all’esame dei provvedimenti che, in ipotesi, saranno concretamente adottati. In quest’ottica, infine, è da escludere che la rilevata diretta notificazione dei provvedimenti impugnati alla società originariamente ricorrente possa di per sé rappresentare significativo indice del carattere immediatamente lesivo delle determinazioni stesse. Tale carattere, infatti, può ricollegarsi solo ai provvedimenti che in concreto e in funzione della norma generale e astratta ora detta, possano venire a condizionare, eventualmente ed in futuro, l’attività dell’impresa, mentre nessun pregiudizio immediato possono produrre nella sua sfera giuridica. Con la notificazione, invero, l’Amministrazione, individuato uno dei pochi soggetti, nel territorio comunale, potenzialmente destinatario delle connesse determinazioni amministrative, ha solo inteso, in un corretto rapporto informativo verso gli operatori del settore, significare che, in presenza dei presupposti indicati dalla norma stessa, l’Amministrazione comunale avrebbe potuto attivarsi - nei limiti, naturalmente, consentiti dalla legge - per evitare l’aggravio dei temuti pregiudizi ambientali. Le considerazioni anzidette inducono a ritenere i ricorsi originari inammissibili per carenza di ogni interesse attuale e concreto al loro accoglimento; la stessa sorte è, conseguentemente, riservata anche alle censure di primo grado assorbite dal TAR e in questa sede ribadite dalla società appellata. (Nella specie, la norma posta in contestazione dall’originaria ricorrente, solo nella sua seconda parte, relativa agli impianti già esistenti, art.103bis delle NTA del PRG del Comune di Caorso di cui si controverte che “nel territorio comunale non è consentita la realizzazione di nuovi impianti, anche se risultato di trasferimento di altre attività già esistenti sul territorio comunale, per lo stoccaggio provvisorio per conto terzi e per la innocuizzazione ed eliminazione dei rifiuti speciali anche tossici e nocivi; per gli impianti già esistenti sono sempre ammessi interventi di manutenzione ordinaria; sono pure ammessi interventi di manutenzione straordinaria, purché non determinino un aggravio di eventuali pericoli di insalubrità, nonché altri interventi approvati dal Consiglio Comunale con apposita deliberazione volti all’eliminazione di cause di insalubrità”). Consiglio  di  Stato, Sezione V, 3 giugno 2002, sent. n. 3071. (vedi: sentenza per esteso). 

 Servizio di taxi acqueo e il servizio di noleggio con conducente - definizioni e requisiti - possesso di apposita licenza comunale - modalità di esercizio e limiti - lo stazionamento dei natanti. Il servizio di taxi acqueo, ai sensi di legge (art. 4 l.r. Veneto 63/93), ha lo scopo di soddisfare le esigenze del trasporto individuale o di piccoli gruppi di persone e presenta le seguenti caratteristiche: si rivolge ad un’utenza indifferenziata; lo stazionamento avviene in luogo pubblico, presso appositi pontili d’attracco; il prelevamento dell’utente e l’inizio del servizio avvengono all’interno dell’area comunale per qualsiasi destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale. Il servizio presuppone il possesso di apposita licenza comunale e deve essere svolto personalmente dal titolare di essa. A sua volta, il servizio di noleggio con conducente (art. 5 l.r. Veneto 63/93) è rivolto all’utenza specifica che avanza apposita richiesta presso la sede del vettore per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio; lo stazionamento dei natanti avviene negli specchi d’acqua e presso i pontili d’attracco in concessione al vettore, diversi da quelli adibiti al servizio di taxi acqueo e situati nel territorio del Comune che ha rilasciato l’autorizzazione; il servizio non può essere eseguito per destinazioni fisse con continuità e periodicità (altrimenti si configurerebbe come servizio di linea). Il servizio può essere esercitato solo da soggetti muniti di apposita autorizzazione rilasciata dal Comune. Gli articoli 17 e 18 disciplinano, invece, le modalità di rilascio delle licenze per l’esercizio del servizio di taxi e delle autorizzazioni all’esercizio del servizio di noleggio con conducente, prevedendo, tra l’altro, che ne possano essere destinatari solo persone fisiche. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3063

 Regime speciale e semplificato per localizzare e realizzare impianti di smaltimento dei rifiuti - adozione dei piani infraregionali - la concessione edilizia è sostituita dalla pronuncia conclusiva della Provincia in esito alla conferenza dei servizi - i poteri attribuiti al sindaco - tutela della pubblica incolumità in materia di :”sanità , igiene, edilizia e polizia locale”. Gli artt. 3 e 3-bis del D.L. 361 del 1987 convertito in legge dalla legge 441 del 1987 hanno introdotto un regime speciale e semplificato per localizzare e realizzare impianti di smaltimento dei rifiuti. Tale regime, proprio per la specialità che lo contraddistingue, esclude la integrazione con il sistema ordinario di localizzazione degli impianti in vigore in Emilia Romagna anteriormente all’entrata in vigore delle norme richiamate che risulta sostituito dalle norme speciali ed acceleratorie qui richiamate. Ciò con riguardo sia alle modalità procedimentali che all’assetto delle competenze in materia. E’, pertanto, condivisa la statuizione della sentenza appellata che ha negato la sussistenza di un vincolo derivante dalla adozione dei piani infraregionali per la localizzazione degli impianti di smaltimento ed ha affermato che la concessione edilizia è sostituita dalla pronuncia conclusiva della Provincia in esito alla conferenza dei servizi prevista dalle norme in parola. Al Sindaco non sono attribuiti dalla legge 142/90 (art. 38) poteri di ordinanza per motivi di ordine pubblico, ma solo a tutela della pubblica incolumità in materia di :”sanità , igiene, edilizia e polizia locale”. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3059

La richiesta di concessione edilizia per l’attività di tiro a segno - profili esclusivamente sportivi - legittimità del diniego della concessione sul rilievo del contrasto con il vigente P.R.G.. L'attività di tiro a segno ha perso nel tempo ogni implicazione militare per assumere contenuti e profili esclusivamente sportivi; per ciò la realizzazione delle relative opere non rientra nella speciale disciplina derogatoria di cui all'art. 10, L. 6 agosto 1967, n. 765, dovendosi escludere qualsiasi collegamento tra la medesima attività e la difesa militare dello Stato. La richiesta di concessione edilizia (per la costruzione di un manufatto (ricovero per segnalatori) al servizio del poligono di tiro) è legittimamente respinta dal Comune sul rilievo del contrasto con il vigente P.R.G., in quanto per l’area in questione lo strumento urbanistico prevede la destinazione a verde pubblico. Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2930. (vedi: sentenza per esteso)

 

 La disciplina normativa dei poligoni di tiro a segno nel nostro ordinamento - destinazione urbanistica dei poligoni di tiro ed interessi costituzionalmente protetti, come quelli urbanistici, edilizi e paesaggistici - la qualificazione di un’opera come destinata alla difesa militare. La disciplina derogatoria per le “opere destinate alla difesa nazionale “ trova giustificazione nelle particolari esigenze che tali opere sono destinate a soddisfare, esigenze che non possono essere apprezzate e limitate dalle autorità locali. Peraltro manca nel nostro ordinamento un’enunciazione in termini normativi e generali della definizione di siffatte opere, riferendosi le sporadiche indicazioni che si rinvengono in proposito ad ambiti e finalità di volta in volta determinati (per esempio, l. 18 agosto 1978 n. 497, art. 5). Per ciò, in considerazione che la menzionata destinazione delle opere (domanda di concessione edilizia per la costruzione di un manufatto ( ricovero per segnalatori ) al servizio del poligono di tiro) può determinare la compressione di altri interessi costituzionalmente protetti, come quelli urbanistici, edilizi e paesaggistici, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha sottolineato l'esigenza che, tanto in sede legislativa che amministrativa, siano precisati con il dovuto rigore i criteri suscettibili di qualificare l’opera come destinata alla difesa nazionale. Pertanto, è stata esclusa la validità del riferimento al solo profilo soggettivo, cioè alla natura “ militare “ dell’Amministrazione interessata ai lavori ed è stato affermato che, in ogni caso, tali criteri devono investire sia le caratteristiche oggettive che le finalità dell’opera (Corte cost., 1° aprile 1992, n. 150). L’individuazione delle opere in argomento, quindi, deve essere effettuata in concreto sulla base della loro effettiva ed inequivoca destinazione alla difesa militare che si riveli mediante un chiaro nesso teologico che a questa le ricolleghi. Dal canto suo, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di osservare che il concetto di opera destinata alla difesa militare non può essere riferito esclusivamente alle opere realizzate o utilizzate dal Ministero della difesa, potendo comprendere anche quelle di altre Amministrazioni, purchè siano considerate tali da un’apposita norma definitoria o intervenga un formale atto di riconoscimento. E’ stato aggiunto che la qualificazione di un’opera come destinata alla difesa militare richiede sempre una manifestazione di volontà del Ministero dei lavori pubblici, dal momento che, per effetto dell’art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, essa comporta la sottrazione dell’opera stressa al controllo del Ministero, altrimenti competente ad accertare la conformità alla disciplina urbanistica o comunque a stabilirne la localizzazione, d’intesa con la Regione e gli enti locali interessati ( Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 1999, n. 1712 ). Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2930. (vedi: sentenza per esteso)

 

 Realizzazione di un ulteriore vano in sopralzo ad un edificio già esistente all’interno del centro edificato - maggiore ingombro perimetrale dell’edificio - distacco dall’autostrada. In difetto di un sopravvenuto maggiore ingombro perimetrale dell’edificio de quo, la contestata violazione del distacco dall’autostrada da parte di una nuova costruzione è del tutto insussistente. (Fattispecie: gli interessati hanno comprovato in giudizio che, diversamente da quanto riferito dall’A.N.A.S. al Prefetto di Brescia, che non si trattava di una nuova costruzione realizzata con violazione del distacco minimo dall’autostrada, ma soltanto della realizzazione di un ulteriore vano in sopralzo ad un edificio già esistente all’interno del centro edificato del Comune di R. e, tra l’altro, collocato sul lato opposto a quello della sede stradale). T.A.R. Lombardia, sezione Brescia, 21 maggio 2002, n. 874 e n.  876

 

L’apposizione di una antenna trasmittente per telefonia cellulare comporta una modificazione sensibile dell’assetto edilizio-urbanistico del territorio - necessità di apposita concessione edilizia - in zona vincolata é necessario che sia previamente acquisito il parere della competente Soprintendenza bb.cc.aa. - sanatoria - obbligo di motivazione - a demolizione delle opere abusivamente realizzate. Secondo consolidata giurisprudenza nella materia, l’apposizione di una antenna trasmittente per telefonia cellulare comporta una modificazione sensibile dell’assetto edilizio-urbanistico del territorio, di tal che è necessario il previo rilascio di apposita concessione edilizia, con la conseguenza che, nel caso in cui il territorio sul quale la stessa va ad incidere sia sottoposto a vincolo paesaggistico, come nel caso in questione atteso il richiamo espresso nel provvedimento impugnato e non contestato in via di fatto dalla società ricorrente, é necessario che sia previamente acquisito il parere della competente Soprintendenza bb.cc.aa. Nel caso in cui detto parere non sia stato richiesto o, comunque, fornito in epoca antecedente al rilascio della concessione edilizia, è possibile la sua acquisizione successiva in sanatoria. In ogni caso, comunque, la Soprintendenza deve valutare la compatibilità paesaggistica ed ambientale dell’opera con il territorio sul quale va ad incidere, fornendo una adeguata giustificazione al riguardo. Nel caso in cui il parere di competenza non sia stato previamente richiesto, la Soprintendenza può ordinare, nella sussistenza dei relativi presupposti di legge, ai sensi dell’art. 15 del R.D. n. 1437/1939, la demolizione delle opere abusivamente realizzate. Né rileva quanto dedotto in merito al tenore del richiamato art. 29 del citato R.D., atteso che la norma non pare attenere alla fattispecie in oggetto, ad essa non riconducibile, in quanto non rispondente alla medesima ratio, considerato che, al tempo della sua redazione, non poteva tenersi conto degli sviluppi tecnologici intervenuti negli ultimi decenni. Sul punto, peraltro, è stato espressamente affermato che "Va rigettata l'istanza cautelare di sospensione del provvedimento amministrativo di diniego all'installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, laddove nel procedimento concessorio sia stato omesso, da parte dell'impresa istante, di acquisire il parere ambientale di competenza regionale. (T.A.R. Puglia sez. II, Bari, 6 aprile 2000,ord. n. 543). TAR Sicilia - Palermo, Sez. I - Sentenza 13 maggio 2002 n. 1173 (vedi: sentenza per esteso)

 

 Soggezione ai vincoli paesaggistici e ambientali - nuova costruzione e specifico carico urbanistico determinato dall’alterazione anche se non vulnerante - opere pertinenziali - assoggettamento a concessione edilizia - autorizzazione gratuita inoperatività nelle zone vincolate. La soggezione ai vincoli paesaggistici e ambientali determina, di per sé, nel caso di nuova costruzione, uno specifico carico urbanistico determinato dall’alterazione, anche se non vulnerante, dello specifico contesto. La ratio dell’art. 7, comma 2 del richiamato decreto legge n. 9 del 1982 è evidentemente quella di impedire la libertà di costruzione anche di opere pertinenziali, per gli effetti distorsivi del paesaggio e dell’ambiente che anche da queste ultime possono derivare. Lo strumento tecnico per questa finalità è l’assoggettamento a concessione edilizia dell’intervento, cui naturalmente consegue, quasi come naturale negotii, il pagamento del contributo per costruzione e oneri di urbanizzazione. (Tra i casi di autorizzazione gratuita e richiama, a questo fine, il disposto dell’articolo 7 comma 2 del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni con legge 25 marzo 1982, n. 94: “sono altresì soggette ad autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non sottoposte ai vincoli previsti dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, e legge 29 giugno 1939, n. 1497: le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti;…”). Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 13 maggio 2002, n. 2575. (vedi: sentenza per esteso)

 

Vincolo di inedificabilità assoluta - esclusione del condono - inefficacia del silenzio assenso per il rilascio della concessione in sanatoria. L’art. 33, primo comma, della legge 47/1985 che esclude per  le opere realizzate abusivamente in aree  già sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta il condono e, quindi, a maggior ragione il procedimento di silenzio assenso per il rilascio della concessione in sanatoria. (Nella fattispecie è stata sottolineata inutilmente la censura diretta a sostenere l’inapplicabilità della disciplina ricordata del P.R.G. perché per  l’immobile su cui dovrebbe essere effettuata la sopraelevazione è stata presentata istanza di condono non decisa nei due anni dalla presentazione ed in ordine alla quale si sarebbe formato il silenzio assenso). Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 8 maggio 2002, n. 2456. (vedi: sentenza per esteso)

 

Diniego di condono - notificata delle relative istanze in sanatoria - sospensione del giudizio. Vi è da notare che nessuna norma della legge n.47/1985 prescrive che il diniego di condono debba essere notificato a soggetto diverso rispetto a colui che ne ha sottoscritto la domanda; quanto alla sospensione del giudizio, essa opera fino a quando non sia stata adottata, dall’Amministrazione, una determinazione in merito all’istanza stessa; ma, una volta che questa sia intervenuta, viene meno per tutti gli interessati l’efficacia sospensiva ex art. 44 della stessa legge n.47/1985. Né ciò ha determinato una qualche disparità di trattamento nella presente fattispecie, dal momento che tutti gli originari ricorrenti hanno dimostrato di conoscere l’esito negativo delle relative istanze in sanatoria, avendo dedotto, già in primo grado, con memorie del 7 giugno 1990, la richiesta di ulteriore sospensione correlata al difetto di notificazione di cui si tratta (tanto che il TAR ha espressamente e correttamente respinto l’istanza degli odierni appellanti intesa alla sospensione dell’esame dei ricorsi in attesa della regolarizzazione del contraddittorio). Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 8 maggio 2002, n. 2453.

 

Distinzione tra l’abusiva occupazione del demanio marittimo (art. 54), (anche mediante esecuzione di innovazioni non autorizzate) e la esecuzione non autorizzata di operare nella zona di rispetto dello stesso demanio (art. 55). L’art. 55 citato stabilisce testualmente che l’esecuzione di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio di terreni elevati dal mare è sottoposta all’autorizzazione del capo del compartimento; e al comma 5 aggiunge che quando siano abusivamente eseguite nuove opere entro la zona indicata nei primi due commi del presente articolo, l’autorità marittima provvede ai sensi dell’articolo precedente; quest’ultimo, e cioè l’art. 54, a sua volta recita che qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il capo del compartimento ingiunge al contravventore di rimettere la cose in pristino entro il termine a tale fine stabilito e, in caso di mancata esecuzione dell’ordine, provvede d’ufficio, a spese dell’interessato; infine, l’art. 1161, comma 1, prevede le sanzioni perla violazione delle norme su riferite e statuisce perciò che chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo o aeronautico o delle zone portuali della navigazione interna, ne impedisce l’uso pubblico o vi fa innovazioni non autorizzate, ovvero non osserva le disposizioni degli artt. 55, 714 e 716, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a £ 1.000.0000, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato. Procedendo all’analisi delle norme su citate, risalta con tutta evidenza che il legislatore ha dichiaratamente distinto, anzitutto sul piano terminologico, tra l’abusiva occupazione (anche mediante esecuzione di innovazioni non autorizzate) del demanio marittimo (art. 54), e la esecuzione non autorizzata di operare nella zona di rispetto dello stesso demanio (art. 55). La distinzione, resa maggiormente evidente dal fatto che i due diversi comportamenti sono previsti da norme distinte, è dovuta anche all’ovvia ragione che nell’ipotesi dell’occupazione del demanio marittimo il soggetto attivo invade in maniera permanente un bene di proprietà dello Stato; mentre nell’ipotesi di costruzione nella zona di rispetto, il bene utilizzato per l’esecuzione dell’opera è normalmente di proprietà, dello stesso privato che l’ha effettuata, e quindi non si verifica alcun tipo di invasione di un immobile altrui. Ciò posto, sembra opportuno evidenziare che il termine occupazione, nella nostra lingua designa una presa di possesso stabile o temporanea, di un bene, mentre il termine esecuzione indica l’attuazione sul piano pratico o materiale di un’opera. Dunque, è agevole rilevare che, secondo l’interpretazione più coerente al significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e all’intenzione del legislatore (art. 12 delle preleggi), la occupazione di un bene demaniale costituisce un reato permanente, dal momento che la condotta illecita si compie con il fatto della presa di possesso del bene e si protrae per tutto il tempo in cui questa persiste; e che, invece, nel caso di esecuzione di un’opera, l’azione vietata si perfezione ed esaurisce con la materiale attuazione dell’opera stessa, la quale va dall’inizio alla ultimazione dei lavori, con la conseguente configurabilità di una permanenza circoscritta nell’ambito di questi due momenti. Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali Sentenza 8 maggio 2002 n. 17178 (vedi: sentenza per esteso)

 

Domanda di condono - art. 44 L. 28 febbraio 1985 n. 47 - termine finale della sospensione che accoglie o respinge la domanda di sanatoria. La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, l'art. 44 L. 28 febbraio 1985 n. 47 contempla un’eccezionale ipotesi di sospensione dei procedimenti giurisdizionali concernenti la legittimità dei provvedimenti sanzionatori edilizi, limitandola, temporalmente, fino al momento in cui l'Amministrazione adotta le determinazioni (esplicite o implicite) sulla domanda di condono, ma non autorizza una sospensione del giudizio che duri fino al passaggio in giudicato della sentenza che deciderà il ricorso proposto contro il diniego di condono (Sez. V, n. 594 del 5 giugno 1997) (Nella fattispecie veniva contestato in appello dal ricorrente l’ordine di demolizione di una serie di opere eseguite sulla sua proprietà, nel comune di Ponza, in assenza di concessione edilizia ed in contrasto con un preesistente vincolo archeologico). Il termine finale della sospensione è chiaramente riferito all’adozione del provvedimento (implicito o esplicito) che accoglie o respinge la domanda di sanatoria e non può essere prolungato fino alla data diversa e successiva di passaggio in giudicato della sentenza che definisce il ricorso proposto contro il diniego. Oltretutto, evidenti ragioni di economia processuale e di certezza dei rapporti giuridici impediscono ogni diversa soluzione interpretativa, che comporterebbe, in definitiva, la paralisi delle eventuali iniziative sanzionatorie dell’amministrazione, per un tempo indeterminato. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 7 maggio 2002, n. 2444.

Osservazioni presentate dai privati al P.R.G - valore giuridico - il rigetto di tali osservazioni non richiede una specifica motivazione - esigenze di tutela delle zone agricole e a bosco. In via generale, le osservazioni presentate dai privati al P.R.G. adottato dal Comune non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi dati dai cittadini alla formazione dello strumento urbanistico; pertanto, il rigetto di tali osservazioni non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che le medesime siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2000, n.2914; 15 luglio 1992, n.682 ;11 luglio 1992, n. 654). Né è configurabile la disparità di trattamento dedotta dalla ricorrente, trattandosi nella specie di diversità di esito di disamina (accoglimento di talune osservazioni e reiezione di altre) giustificata dalle diverse ragioni addotte a sostegno delle singole osservazioni. Pertanto, per respingere l’osservazione della ricorrente deve ritenersi idoneo il semplice richiamo alle esigenze di tutela delle zone agricole e a bosco, indicate in via generale come prioritarie. In ogni modo, il provvedimento impugnato non è del tutto privo di motivazione e questa, se pur succinta, è di per sé sufficiente a dare esauriente contezza delle ragioni della reiezione. Il mancato accoglimento delle osservazioni si fonda, invero, sulla sussistenza, nella zona interessata, di un forte rischio idrogeologico. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 7 maggio 2002, n. 2443.

E’ legittima l’immediata impugnabilità dell’atto di adozione del P.R.G. a prescindere dalla sua non ancora avvenuta approvazione. E’ pacifica, in giurisprudenza, l’immediata impugnabilità dell’atto di adozione del P.R.G. a prescindere dalla sua non ancora avvenuta approvazione, ed altresì sussistendo l’interesse del proprietario di un fondo che sia inserito in un piano urbanistico a conservare l’attuale destinazione del proprio suolo qual ch’essa sia (nella specie, agricola). Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 6 maggio 2002, n. 2429.

Concessione gratuita - le ipotesi di cd. «concessione gratuita» di edifici monofamiliari e le recenti normative, ed in particolare con quella del DPR 380/01 (cosiddetto «testo unico dell’edilizia» - la differente qualificazione e regolamentazione della concessione edilizia ora «permesso di costruire». Sul punto vi è stato un autorevole intervento della Corte costituzionale che, con sentenza 296/91, chiamata a pronunciarsi sulla asserita incostituzionalità dell’art. 9 lett. d) della legge 10/1977 nella parte in cui non comprende, tra le ipotesi di cd. «concessione gratuita» di edifici monofamiliari, accanto a quelle tipizzate di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella dell’integrale ricostruzione del fabbricato demolito purché adibito anch’esso ad abitazione unifamiliare su area immediatamente adiacente, ha affermato che, ai fini dell’agevolazione prevista dall’articolo 9 lettera d) della legge 10/1977, il concetto di «ristrutturazione» mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell’edificio sullo stesso suolo. Tale orientamento giurisprudenziale deve, tuttavia, «fare i conti» con le recenti normative, ed in particolare con quella del DPR 380/01 (cosiddetto «testo unico dell’edilizia»), che ha trasfuso e coordinato in un unico testo quello «legislativo» di cui al decreto legislativo 378/01 (cosiddetto «testo B») e quello regolamentare di cui al DPR 379/01 (cosiddetto «testo C»). In particolare, da tale nuovo ordito normativo emerge, oltre ad una differente qualificazione della concessione edilizia, chiamata ora «permesso di costruire», anche una differente regolamentazione proprio del caso in oggetto. Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - sezione distaccata di Aversa - sentenza 22 aprile 2002 (vedi: sentenza per esteso)

Errore scusabile - presupposti per la sua concessione. Per quanto concerne la richiesta di concessione dell’errore scusabile, si deve osservare che i presupposti per la sua concessione sono stati individuati dalla giurisprudenza costante in una serie di cause quali: l’assenza di precedenti giurisprudenziali o contrasto tra i medesimi; comportamenti, indicazioni o avvertenze fuorvianti della pubblica amministrazione; ambiguità del testo del provvedimento impugnabile; novità, incertezza e oscurità della disciplina normativa. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. del 17 aprile 2002, n. 2032. (vedi: sentenza per esteso)

 Variante al p.r.g - distanza minima obbligatoria per gli allevamenti di suini - tutela delle zone abitate - pubblica salubrità - equilibrio ecologico. Con variante al p.r.g. adottata con deliberazione del Consiglio comunale n. 2 del 15 gennaio 1998, e peraltro definitivamente approvata  nel corso del giudizio, la distanza minima obbligatoria, in virtù della nuova versione delle NTA, degli allevamenti di suini (e solo di essi) è stata portata da 600 metri a 1500 metri dal centro abitato, ed in ogni caso da tutte le aree omogenee A, B, C ed anche  D, con la conseguenza che essendo collocato il progettato insediamento degli istanti a meno di 1 Km dall’abitato esso è divenuto irrealizzabile. Il pur sensibile aumento della distanza minima (da 600 a 1500 m.) posta a tutela delle zone abitate (anche se in verità non solo di quelle) in relazione agli allevamenti quali quelli di cui si controverte appare, infatti, una misura di per sé tutt’altro che irragionevole (oltre che non risultante deliberatamente persecutoria), anche nella peculiarità del riferimento esclusivo ai suini, atteso il forte impatto che indiscutibilmente siffatto genere di allevamento comporta sull’ambiente e sulla pubblica salubrità. La circostanza, poi, che in passato siano stati autorizzati allevamenti suinicoli a distanze anche inferiori a quella che risulterebbe dal progetto degli appellanti non può assumere, come è noto, portata dirimente in sede di programmazione e rilascio di nuovi atti di assenso, dovendosi tra l’altro non pretermettere l’interesse dell’Amministrazione comunale a non compromettere ulteriormente il già assai precario equilibrio ecologico in una zona densa di impianti produttivi a forte  criticità  ambientale. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 17 aprile 2002, n. 2008.

 Controllo giurisdizionale del giudice dell’ottemperanza - teoria mista o “della doppia natura” - Commissario ad acta nominato in sede di esecuzione del giudicato - comando vincolato del giudice ed esercizio di poteri amministrativi - infruttuoso decorso del termine assegnato all’Amministrazione comunale per adempiere - autoannullamento d’ufficio dell’assenso edilizio commissariale. La Sezione è ben consapevole dell’orientamento giurisprudenziale che, anche per evidenti motivi pratici e di economia processuale, ha inteso ricondurre sotto l’unica egida del controllo giurisdizionale del giudice dell’ottemperanza le questioni insorte in merito agli atti commissariali, ritenuti di natura giurisdizionale ed emanati da un organo ausiliario del giudice, con la conseguente impossibilità dell’Amministrazione sostituita di agire in sede di autotutela nei confronti degli atti predetti. Ma trattandosi di un caso limite, piuttosto emblematico, il Collegio ravvisa la sussistenza degli estremi per aderire, nella specie, all’orientamento giurisprudenziale (nell’ottica di quella che in dottrina viene definita come teoria mista o “della doppia natura”, peraltro non prevalente) secondo cui, ai fini dell’individuazione dei rimedi di reclamabilità delle statuizioni del Commissario ad acta nominato in sede di esecuzione del giudicato, è necessario scomporre la sua attività in due parti, distinguendo quella di stretta attuazione del comando vincolato del giudice (in tal caso il Commissario agisce come suo ausiliario e i suoi atti rivestono valenza giurisdizionale) da quella, ulteriore, di esercizio di poteri amministrativi, in relazione ai quali il medesimo Commissario agisce come organo straordinario dell’Amministrazione, sottoposto all’ordinario controllo del giudice (e quindi ai normali rimedi impugnatori) in sede di legittimità (cfr. Cons. Stato, IV, 30 marzo 2000, n. 1834). Nella specie, in adesione a quanto affermato dalla pronunzia appellata, occorre riconoscere che il Commissario ad acta è stato nominato senza il vincolo di eseguire un giudicato puntuale e già di per sé esaustivo, bensì al medesimo è stato affidato il compito (si veda la sentenza n. 349/89), per l’ipotesi - puntualmente verificatasi - dell’infruttuoso decorso del termine assegnato all’Amministrazione comunale per adempiere, di “provvedere” genericamente in ordine alla domanda di concessione edilizia, prodotta dall’appellato in data 29 maggio 1984, “tenuto conto delle statuizioni contenute nelle sentenze sopra richiamate (nn. 491/86 e 281/88, entrambe risoltesi però nell’annullamento dei dinieghi di concessione edilizia sotto gli assorbenti profili del difetto di motivazione e, nel secondo caso, anche della violazione del giudicato), nonché della normativa urbanistica vigente all’epoca”. In definitiva è stato affidato ad un organo amministrativo straordinario l’onere di provvedere allo svolgimento di ulteriore amministrazione attiva. Va aggiunto, per onor di completezza, che il Comune appellante, come segnalato in narrativa, ha proceduto anche, in data 6 marzo 1992, all’autoannullamento d’ufficio dell’assenso edilizio commissariale in argomento, ma il medesimo TAR, non senza - in verità - evidenti profili di contraddittorietà con la decisione attualmente impugnata (atteso che - impregiudicata come visto la possibile successione nel tempo delle due fasi - delle due l’una: o il Commissario ha agito come organo straordinario dell’Amministrazione comunale nell’esercizio di poteri discrezionali di amministrazione attiva, con conseguente doverosa impugnativa nelle forme ordinarie del giudizio di legittimità ma contestuale possibilità di esercizio di poteri di autotutela da parte della stessa Amministrazione sostituita, oppure il medesimo organo ha agito come mero ausiliario del giudice, mettendo in essere attività di natura giurisdizionale, non ritirabile dall’Amministrazione e contestabile solo dinanzi al medesimo giudice dell’ottemperanza), ha accolto, con sentenza del 17 settembre 1992, n. 345, il ricorso per l’ottemperanza del resistente per carenza assoluta di potere, e quindi nullità insanabile dell’atto impugnato. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 17 aprile 2002, n. 2006.

Reati urbanistici o edilizi - costruzione edilizia abusiva - sentenza di condanna - attenuante del danno di particolare tenuita' - concedibilita' - esclusione - fondamento. Con la sentenza di condanna per reati urbanistici o edilizi non e' concedibile la attenuante del danno di particolare tenuita', ai sensi dell'art. 62 n. 4 cod. pen., atteso che detta attenuante e' applicabile solo ai delitti e non anche ai reati ambientali aventi natura contravvenzionale. Corte di Cassazione Sez. III del 15 aprile 2002, sentenza n. 14290

Centri commerciali - rilascio o diniego di nulla osta - L. n. 426/71 - interessi sovracomunali - criterio delle medie regionali - tutela del consumatore - nozione di popolazione fluttuante - eccesso di concorrenzialità - la libertà di commercio. E’ bene precisare che, in sede di rilascio o diniego di nulla osta ai sensi dell’articolo 27 della legge n. 426 del 1971, la valutazione dell’incremento dell’incidenza delle grandi strutture commerciali sul preesistente assetto distributivo  è preordinata alla pubblica utilità (C.d.S., V, 15 aprile 1991, n. 572) e che, in linea di principio, il relativo giudizio va parametrato agli interessi sovracomunali (C.d.S., V, 19 febbraio 1993, n. 246). Non può ritenersi illogico, alla luce di quanto considerato, l’uso di uno strumento, quale il criterio delle medie regionali, per valutare l’obiettiva incidenza (e la relativa compatibilità) di una nuova struttura di grande distribuzione in relazione a interessi e a metodiche di politica commerciale in base alle quali si profila una ricerca del mantenimento di condizioni ritenute ottimali nell’ambito dell’intera regione. La tutela del consumatore si persegue non solo assicurando la migliore funzionalità e produttività del servizio, ma anche mantenendo il necessario equilibrio tra diverse forme di distribuzione così da informare il mercato a condizioni di concorrenza ottimale. In questa prospettiva, si rivela estremamente utile il ricorso alla c.d. media regionale, specie nell’ambito commerciale della Regione Lombardia notoriamente caratterizzato da condizioni economiche molto favorevoli e di assoluta preminenza nel contesto dell’Unione europea. Inoltre viene distorta la nozione di popolazione fluttuante, assumendosi per tale non già il complesso di persone non residenti che, per qualsivoglia motivo, gravitino per lacune ore al giorno nell’area in questione (e siano per questo motivo potenziali consumatori di beni offerti da centri commerciali della zona), bensì il complesso di soggetti che, in relazione all’apertura del centro commerciale, decidano di effettuare in quello i loro acquisti. La ratio ispiratrice dell’atto è dichiaratamente indirizzata al mantenimento delle condizioni ottimali per assicurare ai consumatori “un servizio diffuso e accessibile e al tempo stesso” per “non determinare squilibri gravi derivanti da un eccesso di concorrenzialità”. Le distorsioni del mercato per un eccesso di offerta riguardano, come è evidente, non solo gli esercizi commerciali di modeste dimensioni, ma anche altri centri commerciali di eguale o maggiore ampiezza di quello che gli appellanti vorrebbero aprire. Quanto poi alla tematica della ritenuta violazione dell’art. 41 Cost., va rammentato che la libertà di commercio, espressione del principio di libera iniziativa economica, può subire limitazioni quando la sua applicazione arrechi pregiudizio all'utilità sociale e, precisamente, per gravi e preminenti motivi d'interesse pubblico, individuabili non nella tutela di posizioni corporative dei commercianti, ma nelle specifiche esigenze dei consumatori e nella stabilità di equilibrio dell'apparato distributivo (C.d.S., V, 6 novembre 1992, n. 1212): in altre parole tale diritto va comunque coordinato con il profilo dell'utilità sociale, che ne può costituire obiettivamente un limite. Il richiamo della Regione ai suindicati profili, esternati con congruo discorso giustificativo, rende evidente la coerenza del diniego opposto con il principio di utilità sociale nei cui confronti anche il principio di libera iniziativa economica può rivelarsi recessivo. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 15 aprile 2002, n. 1999.  (vedi: sentenza per esteso)

La c.d. accessione invertita non comporta la carenza di interesse - proroga dei termini per il completamento delle procedure espropriative - l’inapplicabilità della proroga legale dei procedimenti espropriativi alle occupazioni d’urgenza - termini - Il verificarsi della c.d. accessione invertita non comporta la carenza di interesse (e prima ancora il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo), alla pronuncia sulla legittimità degli atti della sequenza ablatoria  - localizzazione, approvazione del progetto, decreto di esproprio - (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2940; sez. V, 29 luglio 1997, n. 846; sez. IV, 28 maggio 1988, n. 475; ad. plen., 21 ottobre 1980, n. 37); e ciò anche quando sia stata accettata l'indennità di esproprio che non esclude l'interesse a far riscontrare le eventuali illegittimità del procedimento di espropriazione ed occupazione d'urgenza, in vista anche del maggior ristoro che il privato può ottenere a titolo risarcitorio dall'accertata illiceità  conseguente all'annullamento degli atti di sottrazione del bene (cfr. Trib. sup. acque pubbl., 1 dicembre 2000, n. 140, Cons. Stato, ad. plen., n. 37 del 1980 cit.). Il carattere obbligato della proroga dei termini per il completamento delle procedure espropriative non può discendere dalla previsione legale di cui all’art. 22 l. n. 158 del 1991. Tale norma dispone la proroga biennale del termine per le occupazioni d’urgenza in corso al primo gennaio 1991 (cfr. Cass. sez. I, 8 settembre 1997, n. 8734). La sezione è consapevole che tale proroga è riconosciuta, dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. 8 luglio 1998, n. 6626) come automatica; e che, del pari, si è preso coscienza, nell’assetto attuale delle procedure espropriative, che l’occupazione d’urgenza (ex art. 71, 1 comma, ultima parte, l. n. 2359 del 1865) è una fase preliminare indefettibile dell’ablazione della proprietà privata, trasformatasi da procedimento autonomo e collegato a momento normale subprocedimentale (cfr. in termini sez. un. 20 gennaio 1998, n. 493). Pur tuttavia, non è possibile sovrapporre e conformare i termini dell’una fase con quelli dell’altra. Proprio sotto tale aspetto è stata affermata l’inapplicabilità della proroga legale dei procedimenti espropriativi alle occupazioni d’urgenza, per ragioni di ordine sistematico e letterale, dovendosi necessariamente fare salva l’identità funzionale delle due fasi (cfr. Cass. sez. un., 26 gennaio 1998, n. 761, in una fattispecie inversa a quella oggetto del presente giudizio, in cui si cercava di estendere la proroga dei procedimenti ablatori per l’attuazione dei piani per l’edilizia economica e popolare, disposta dall’art. 17, d.l. n. 795 del 1984, alle occupazioni d’urgenza finalizzate all’esproprio; nel senso della perdurante autonomia del provvedimento di esproprio rispetto a quello di occupazione, cfr. da ultimo Cass. sez. I, 19 febbraio 1999, n. 1387); parimenti si è affermato che la proroga del termine di efficacia dell’occupazione d’urgenza delle aree espropriande non incide sul diverso termine indicato nella dichiarazione di pubblica utilità, entro il quale deve essere adottato il provvedimento espropriativo, anche quando il primo termine sia ancora in corso alla data di scadenza del secondo (cfr. Cass. sez. I, 2 aprile 1985, n. 2256). Coerentemente la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla validità del su menzionato art. 22, l. 158 del 1991 e sulle disposizioni in esso contenute, ha statuito nel senso che queste <<...pur protraendo la legittimità delle occupazioni e determinando alcune remore temporali nell’ambito del procedimento espropriativo, non producono, per la giustificazione che esse trovano nella peculiarità della situazione alla quale hanno inteso provvedere, nemmeno lesione dell’art. 42, 3 comma, in relazione all’art. 24 Cost., sotto il profilo della compressione della tutela spettante al proprietario del bene. Infatti, una volta verificata la legittimità delle proroghe, in ragione delle esigenze che le giustificano, è fuor di luogo dolerso per le remore che esse possono determinare per le azioni volte a conseguire, a seconda dei casi, l’indennità di espropriazione ovvero il risarcimento del danno>> (Corte Cost. 28 aprile 1994, n. 163). Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. del 11 aprile 2002, n. 1987.

 Zone agricole - destinazione d’uso soggetta al termine di validità temporale - richiesta di ristoro di tipo indennitario e inconfigurabilità del silenzio rifiuto o silenzio inadempimento in merito. La destinazione d’uso prescritta per le zone agricole non configura un vincolo espropriativo o di inedificabilità assoluta nel tempo: essa cioè presenta una efficacia temporale  indeterminata e non può essere assimilata ad una forma di vincolo, soggetta al termine di validità temporale  di cui all’art. 2 della legge n.1187 del 1968. Dunque l’invocata sentenza della Corte Costituzionale non incide sulla situazione de qua, in quanto non si configura a carico dell’area in questione alcun vincolo suscettibile di un ristoro di tipo indennitario. L’area in questione ha dunque in atto assunto, con una prospettiva temporalmente indeterminata, la configurazione d’uso prescritta per le zone agricole e rispetto a tale configurazione non si pone alcun obbligo per l’Amministrazione comunale di attribuire a tale area una diversa destinazione. Per cui nel caso in esame non si configura la situazione di silenzio rifiuto o silenzio inadempimento invocata dalla ricorrente in primo grado, utilizzando il rito speciale previsto dall’art. 21 bis della legge n. 1074 del 1971; in sostanza,  l’ente locale non aveva alcun obbligo a provvedere in ordine ad una situazione che non configurava vincoli o limiti a carico del bene in oggetto che dovessero  essere rimossi e comunque ristorati in via indennitaria. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 10 aprile 2002, n. 1974.

 Silenzio rifiuto - condizioni - sussistenza dell’obbligo di provvedere - vigilanza sull’attività urbanistico edilizia - adozione dei provvedimenti repressivi. Secondo l’elaborazione della prevalente giurisprudenza amministrativa, ora confermata dalla recentissima sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 9 gennaio 2002, n. 1, il giudizio sul silenzio rifiuto, anche alla luce della più incisiva  strumentazione processuale introdotta dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, è diretto ad accertare la violazione dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza del soggetto privato tendente a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere. La sussistenza dell’obbligo di provvedere e, correlativamente, la violazione del medesimo in caso di inerzia, dipende da alcune condizioni: a) che l’Amministrazione sia titolare del potere il cui esercizio viene sollecitato; b) che il soggetto istante sia titolare di una posizione qualificata che legittimi l’istanza; c) che sia stato attivato il procedimento di formazione del silenzio mediante notifica di apposita diffida con assegnazione di un termine. L’art. 80 della legge provinciale n. 13 del 1977 impone al sindaco di esercitare la vigilanza sull’attività urbanistico edilizia e di assicurarne la rispondenza alle norme, adottando i necessari provvedimenti repressivi in caso di accertata inosservanza. Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 10 aprile 2002, n. 1970.

 Rinnovo di una concessione per una raffineria petrolifera, con nuovi impianti, di durata ventennale - interesse a ricorrere - lavorazione di “residui” - opere soggette a concessione - raffinazione di “petrolio grezzo” e processo di gassificazione per la produzione in energia elettrica - necessità della nuova concessione per nuovi impianti o ampliamento di quelli preesistenti - illegittima la richiesta di semplice rinnovo di concessione - parere del Ministero dell’Ambiente - Prg. Non può ritenersi, condivisibile la tesi secondo cui il provvedimento di rinnovo della concessione oggetto dell’impugnativa in prime cure sarebbe stato comunque conoscibile dalla Regione Marche, osservando un onere di media diligenza, desumibile dall’art. 1176 c.c., ed essendo partecipe la Regione stessa del procedimento in questione e, quindi, tenuta, per la propria posizione istituzionale, ad una leale collaborazione con gli organi dello Stato, potendo e dovendo, altresì, esercitare il diritto d’accesso. (L’API Raffineria di Ancona s.p.a. e il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato si costituivano in giudizio ed eccepivano, preliminarmente, l’irricevibilità, per tardività, e l’inammissibilità del ricorso mentre, nel merito, contestavano i motivi ex adverso dedotti concludendo per l’infondatezza del ricorso). E ciò perché, nel caso di cui trattasi, appare fuor di dubbio che il decreto ministeriale in questione non sia stato comunicato espressamente alla Regione Marche né che lo stesso sia stato pubblicato e che, in ogni caso, come evidenziato nella pronuncia dei primi giudici, sia operante nella specie il principio secondo cui, in mancanza di ogni forma legale di conoscenza, chi propone l’eccezione deve fornire la prova certa (e ciò non sembra avvenuto) della piena conoscenza dell’atto sulla base di elementi inequivoci e non già di presunzioni o, tantomeno, trasformando in onere od in obbligo, non previsti dalla legge, l’esercizio di un diritto-facoltà all’accesso, venendosi, altrimenti, a limitare il diritto alla tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. di cui all’art. 113, comma I, Cost.. Il Collegio ritiene, infatti, che di certo sussisteva nel Comune di Falconara M., al momento della proposizione del gravame, un interesse concreto ed attuale; e ciò perché tale Comune, quale ente esponenziale degli interessi della collettività appartenente al suo territorio e quale soggetto tenuto ad intervenire nel procedimento di cui all’art.4, comma 8, del D.P.R. n.420/1994, era fuor di dubbio portatore di un interesse giuridicamente rilevante ad un'immediata corretta esplicazione dell’azione amministrativa concretatasi nella specie con l’emissione del provvedimento impugnato. E' di tutta evidenza quindi, oltre alla legittimazione, l’interesse attuale dell’ente locale in questione a contestare immediatamente in sede giurisdizionale il rinnovo di una concessione per una raffineria petrolifera, con nuovi impianti, di durata ventennale, come quella di cui trattasi, rinnovo che, se non impugnato immediatamente, avrebbe potuto arrecare pregiudizio per un lungo periodo di tempo, ponendosi peraltro in contrasto con le adottate misure riferite al programmato sviluppo socio-economico della zona, teso, come evidenziato dalla difesa del Comune di Falconara M., “verso attività eco-compatibili” idonee a farlo “uscire dalla ricomprensione in un’area (quella di Ancona - Falconara e della Valle bassa dell’Esino) ad elevato rischio di crisi ambientale”. Il R.D.L. 2.11.1933, n. 1741 (rimasto in vigore anche dopo l’emanazione dell’art.17 della legge 1.1.1991 n.9) e, in particolare, i relativi artt.4 e 9; con essi, da una parte, di stabiliscono - nei confronti di chi intenda trasformare, rettificare o elaborare oli minerali o i residui provenienti dalla raffinazione degli oli medesimi - gli obblighi da assolvere (art.4) e, dall’altra, si consente al titolare di una concessione per il trattamento industriale degli oli minerali, di chiedere il rinnovo della stessa, per un periodo fino a 20 anni dalla attivazione degli impianti, qualora introduca “trasformazioni profonde” che applichino nuovi processi di lavorazione (art.9). Successivamente la legge 9.1.1991 n. 9 ha modificato tale disciplina, indicando in particolare, agli artt. 16 e 17, disposizioni con riguardo alle concessioni e alle relative procedure, disposizioni, tuttavia, abrogate poi dal D.P.R. n. 420/1994. Infine, di quest’ultimo D.P.R., sono particolarmente rilevanti, al fine che qui interessa, l’art. 2, che specifica le “opere soggette a concessione” (nell’ambito della quale rientrano anche quelle di cui alla lett. b - che concerne “nuovi impianti che amplino le capacità di lavorazione” stabilite dal decreto di concessione degli stabilimenti per la lavorazione di oli minerali - e, all’art. 4, che riguarda “la procedura per il rilascio di concessione” di dette opere, norma questa che di seguito verrà più specificamente esaminata. In relazione a detto procedimento, iniziato con la propria domanda di rinnovo della concessione, l’API s.p.a. assume, come accennato, che non sia applicabile alla fattispecie l’art. 4 del D.P.R. n.420 cit., bensì l’art. 9 del R.D.L. n. 1741 del 1933. L’assunto è non può condividersi. L’articolo 9 cit., infatti, non può ritenersi applicabile al caso in esame; e ciò essenzialmente perché le precedenti concessioni erano state rilasciate all’API s.p.a. soltanto per la lavorazione e la raffinazione di “petrolio grezzo” - inizialmente (1949) per la lavorazione di tonnellate annue 200.000, oltre il 30% di riserva legale - e non anche per la lavorazione di “residui”, posta poi alla base del nuovo sistema di cui trattasi, volto nella sostanza ad ottenere da essi, tramite il processo di gassificazione, la produzione in energia elettrica. Con la realizzazione del progetto S.E.A., invero, la società predetta ha introdotto nello stabilimento di sua proprietà nuovi impianti (in particolare quello IGCC), svolgendo un'attività caratterizzata da trasformazione dei residui derivanti dalla raffinazione del petrolio e da nuovi cicli produttivi di certo incidenti sull’impianto di raffineria preesistente, come può evincersi anche dalla circostanza della diversità dei prodotti finali rispetto a quelli derivati dall’impianto di raffinazione originario. Appare, pertanto, condivisibile quanto in proposito ritenuto dai primi giudici in ordine al fatto che il progetto SEA abbia, in effetti, comportato modifiche e trasformazioni consistenti e tali da incidere sui processi di lavorazione e di raffinazione del greggio - che formavano il solo contenuto dell’originaria concessione poi rinnovata anticipatamente ed ampliata - risultando ciò chiaramente sia dal nuovo impianto destinato a generare gas combustibile (che, previa desolforazione e abbattimento di altri possibili inquinanti, è alimentato da un gruppo di turbogas che produce energia elettrica ed i cui gas di scarico consentono la produzione di vapore da avviare ad un turbogeneratore che produce altra energia elettrica, nonché vapore da destinare al soddisfacimento del fabbisogno di energia termica della raffineria), sia dalla sostituzione della preesistente centrale termoelettrica convenzionale con una nuova centrale a ciclo combinato alimentata da gas derivanti da residui pesanti di lavorazione mediante processo di gassificazione. La nuova concessione, o comunque un ampliamento di quella preesistente, era necessaria, dunque, come evidenzia la difesa della Provincia, anche nella sopravvenuta vigenza della legge n. 9 del 1991, la quale prevede in ogni caso l’assoggettamento a concessione dell’attività di lavorazione dei residui, solo che, a differenza dell’art.4 ora cit., consente che essa sia ricompresa “in un’unica concessione” cioè in quella relativa alla raffinazione. Nel caso in esame, quindi, la richiesta di rinnovo della concessione, avanzata il 21.3.1997 al Ministero dalla società ora appellante, non poteva riferirsi sic et simpliciter all’originario D.M. 15.10.1949 e successivi rinnovi (da ultimo con D.M. 24.3.1988, con durata fino al 23.2.2008), riguardando essa anche le ”novità” sostanziali nel frattempo introdotte; e cioè, oltre all’impianto di raffinazione in sé, con le modifiche derivanti dal progetto S.E.A., anche e soprattutto le nuove produzioni conseguenti all’utilizzo di residui (impianto IGCC), nonché il ciclo produttivo integrato, rappresentato dalle esistenti connessioni tra raffinazione e l’utilizzazione dei residui predetti. In conclusione, a prescindere dal contenuto del suo precedente avviso (espresso circa quattro anni prima del decreto in data 15.10.1998), era necessario certamente che in sede di rinnovo della concessione fino al 2020 il Ministero dell’Ambiente formulasse il proprio specifico parere in ordine alla accettabilità o meno del quadro emissivo della raffineria, ai sensi dell’art.4, comma VI, del DPR n.420/1994 con riferimento ai nuovi impianti indicati nel precedente art.2 del medesimo DPR.. La disposizione ora citata richiede espressamente che il Comune interessato esprima “una valutazione di conformità dei progetti di costruzione degli impianti alle previsioni dei piani regolatori”, disponendo, altresì, che il parere del Comune costituisce “valutazione preliminare ai fini del rilascio delle autorizzazioni previste dall’art. 216 del R.D. 27.7.1934, n.1265 (testo unico delle leggi sanitarie) e della legge 10.5.1976, n. 319 e successive modificazioni”, riferita alla disciplina delle lavorazioni insalubri e della tutela delle acque superficiali. Il fatto, che il Comune abbia rilasciato, un’attestazione della conformità delle costruzioni alle destinazioni dell’allora vigente Piano Regolatore, non può ritenersi di certo sufficiente ad avvalorare la tesi delle parti appellanti circa la sufficienza di tale documento ed escludere nel procedimento di cui trattasi la specifica valutazione da parte del Comune interessato (Falconara Marittima). Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. del 9 aprile 2002, n. 1917. (vedi: sentenza per esteso)

Modificazione di una destinazione di zona, disposta con uno strumento urbanistico per pericolo di valanghe o per altre cause - valutazioni discrezionali della P.A..  E’ rimessa a valutazioni discrezionali della P.A. la modificazione di una destinazione di zona, disposta con uno strumento urbanistico, quale quella impressa al fondo di proprietà dei ricorrenti, per pericolo di valanghe o per altre causa. Quando le determinazioni di una pubblica autorità siano caratterizzate da tale facoltà di scelta, non è configurabile, secondo pacifica giurisprudenza, un obbligo di provvedere, né perciò un’inerzia censurabile in sede giurisdizionale. La pretesa dei ricorrenti ad una pronuncia dell’Amministrazione non merita adesione. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 02 aprile 2002, n. 1810

 Z.T.L. (zone a traffico limitato) - codice della strada - ordinanza - validità. L'articolo 7, comma 1 lett.b, del codice della strada, approvato con il D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, demanda il compito di “limitare la circolazione di tutte o di alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale”. Circa la natura delle note assessoriali non dovrebbero sorgere dubbi se si considera, non solo, che la norma attributiva del potere prevede la forma dell'ordinanza sindacale quale unico strumento per l'introduzione nell'ordinamento giuridico della disciplina in questione, ma anche che, nel caso di specie, il potere di deroga è stato puntualmente ed esaustivamente esercitato con le ordinanze adottate dal sindaco di Firenze. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 2 aprile 2002, n. 1800.

 Disciplina sulle domande di autorizzazione al trasferimento dell'esercizio commerciale - domande di autorizzazione all'ampliamento dei locali e domande di apertura di nuovi esercizi - ordine prioritario in caso di presentazioni contestuali - definizione di ampliamento -  casi di esclusione della necessità del nulla-osta regionale - modifica delle caratteristiche di un esercizio commerciale. L’articolo 44, comma secondo, del DM 4 agosto 1988, n. 375, stabilisce che “ qualora per una stessa zona o, se del caso, per l'intero comune vengano presentate, contestualmente, domande di autorizzazione al trasferimento dell'esercizio commerciale, domande di autorizzazione all'ampliamento dei locali e domande di apertura di nuovi esercizi, le domande di trasferimento e di ampliamento debbono essere esaminate e accolte con priorità rispetto a quelle di apertura.” Quanto all’aspetto sostanziale, per quel che riguarda in particolare la distinzione tra apertura ed ampliamento, va sottolineato come non tutte le richieste di ampliamento della superficie di vendita sono ritenute dalla disciplina in questione influenti sul preesistente equilibrio commerciale. L’articolo 43, comma secondo, del DM 4 agosto 1988, n. 375, considera, infatti, che “l'ampliamento che modifica le caratteristiche dell'esercizio è quello che determina il raddoppio della superficie di vendita originaria dell'esercizio”. Il che vuol dire che l’ampliamento è visto come categoria a se stante, non riconducibile ad una mera modificazione di clausole contenute nell’originario provvedimento di autorizzazione. Sia della Corte Costituzionale (29 marzo 1989 n. 165) che ha affermato come “ l'art.48, comma 6 del regolamento approvato con D.M. 4 agosto 1988 n. 375, … esclude la necessità del nulla-osta regionale, per l'impianto di grandi strutture di vendita, nel caso di trasferimento o ampliamento della superficie di vendita di esercizi preesistenti (salvo il raggiungimento di determinati limiti a seguito di  successivi ampliamenti)”. Sia di questa sezione, che ha chiarito come “ l'ampliamento della superficie di vendita di un esercizio commerciale, se inferiore al raddoppio di quella precedente, non è idoneo, ai sensi dell'art. 24, secondo comma, della legge n. 426 del 1971, 14 gennaio 1972 e del D.M., 28 aprile 1976, a modificare le caratteristiche di un esercizio commerciale” ( Consiglio Stato, sez. V, 11 febbraio 1985, n. 91). Ed inoltre, che “ a mente del combinato disposto degli art. 27 legge 11 giugno 1971, n. 426, e 48, comma 6, D.M. 4 agosto 1988 n. 375, ogni ulteriore incremento della superficie di vendita di un centro commerciale al dettaglio, intervenuto dopo il rilascio del prescritto nulla osta regionale, assume, di regola, una rilevanza meramente quantitativa  che  non altera la fisionomia sostanziale dell'esercizio commerciale già in atto; (per cui) per tale tipo di intervento, fermi restando i poteri riservati al comune, non si prospetta la necessità di un nuovo provvedimento regionale” (Consiglio Stato, sez. V, 10 marzo 1997, n. 242). Ne consegue che la disciplina regionale (Veneto) concernente il rilascio del nulla-osta, sulla quale i ricorrenti in primo grado avevano fondato i vari motivi di ricorso prospettati nel giudizio davanti al Tar, non può trovare ingresso nella sede dell’autorizzazione all’ampliamento della superficie di vendita nei limiti di cui all’art.43, comma secondo, del D.M. 4  agosto 1988 n. 375.  Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 02 aprile 2002, n. 1739. 

 Prg - validità temporanea del potere di salvaguardia - termini - sospensione di ogni determinazione sulla istanza di concessione edilizia - legittimità. La Sezione ritiene, di non doversi distaccare da quanto già affermato sulla questione (validità temporanea del potere di salvaguardia dei prg) e di dover conclusivamente confermare che, non rinvenendosi nell’art. 17 della legge regionale n. 56 del 1980 nulla che autorizzi a ritenere che si sia voluto derogare ai limiti temporali stabiliti dalla norma statale - pur rientrando tale deroga nella competenza legislativa regionale - è congruo ritenere che l’assenza di siffatta deroga comporti il recepimento implicito da parte della legge regionale degli stessi limiti di validità temporanea del potere di salvaguardia già fissati dai commi terzo e quarto della legge n. 1902 del 1952 (“le sospensioni suddette non potranno essere protratte oltre tre anni dalla data di deliberazione di cui al primo comma”. “Per i Comuni che entro un anno dalla scadenza del termine di pubblicazione del piano abbiano presentato il piano stesso all'Amministrazione dei lavori pubblici per l'approvazione, le sospensioni di cui ai commi precedenti potranno essere protratte per un periodo complessivo non superiore a cinque anni dalla data della deliberazione di adozione del piano”). Il T.A.R. ha esattamente rilevato che la Corte Costituzionale ha escluso la illegittimità costituzionale del divieto in quanto la stessa legge regionale, all’art. 23, stabilisce un potere sostitutivo dell’ente delegato all’approvazione (la provincia o la comunità montana) nel caso di inosservanza del termine di 180 giorni assegnato ai comuni. Nella specie, peraltro, il ritardo è addebitabile alla Regione e, nella legge regionale, non vi è, ovviamente, la previsione di un potere da azionare in sostituzione di tale ente. (Nella fattispecie, il Sindaco del Comune di Foggia, in applicazione delle misure di salvaguardia previste dall’art. 17 della legge regionale n. 56 del 1980, aveva sospeso con tale provvedimento ogni determinazione sulla istanza di concessione edilizia presentata dalla AGIP Petroli, S.p.A., per realizzare un fabbricato per civili abitazioni, negozi e garage e per ristrutturare la stazione di servizio sita alla Via San Severo, tangente settentrionale e nuova via di P.R.G. Sulla istanza di concessione edilizia si era già  pronunciata negativamente la Commissione edilizia comunale, che aveva rilevato un contrasto del progetto con il nuovo piano regolatore generale in corso di approvazione. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1682.

Piano di edilizia economica e popolare - necessità di una ragionata motivazione - motivazione per relationem -  c.d. "dimensionamento", cioè al "fabbisogno abitativo previsto per il decennio a venire", fabbisogno che "deve essere il risultato di valutazioni razionali ed attendibili, basate su dati concreti ed attuali" - molteplicità di parametri. Non può essere condiviso quanto l'impugnata sentenza deduce, in merito alla non necessità di una specifica motivazione. Tale affermazione è smentita dalla relazione illustrativa del piano medesimo che contiene le ragioni per cui  il Comune ha proceduto alla sua adozione, ragioni che peraltro non lo giustificano come il ricorrente afferma nel secondo motivo. Ed invero, poiché il Comune di Quarto ha una popolazione inferiore a 50.000 abitanti, occorreva nella specie un'articolata e ragionata motivazione in ordine alla ritenuta necessità di adottare un piano di edilizia economica e popolare. In proposito, invece, nulla si dice di pertinente ad una tale necessità, onde ancora una volta non c'è alcuna possibilità per intravedere una valida motivazione per relationem. Nella relazione manca, invero, ogni considerazione relativa al c.d. "dimensionamento", cioè al "fabbisogno abitativo previsto per il decennio a venire", fabbisogno che "deve essere il risultato di valutazioni razionali ed attendibili, basate su dati concreti ed attuali" (Cons. Stato, IV, 11 giugno 1992, n. 698; 20 maggio 1999, n. 858). E, d'altro canto, non solo la relazione non tiene alcun conto del fabbisogno abitativo previsto per il decennio a venire, ma non tiene conto anche di altri concorrenti e fondamentali parametri di riferimento, secondo cui "la dimensione del piano per l'edilizia economica  popolare deve essere stabilita in base ad una molteplicità di parametri (pregressa presentazione di domande di assegnazione alloggi insoddisfatte, frazionamento di nuclei familiari, consistenza abitativa, capacità tecnico-finanziarie dell'industria privata negli ultimi 3 anni per la realizzazione di alloggi residenziali) tra i quali l'incremento demografico ha particolare, ma non esclusivo rilievo" (Cons. Stato, IV, 7 aprile 1978, n. 314 5 luglio 2000, n. 3730). Nella relazione è invero dato leggere l'affermazione che il piano di edilizia economica e popolare in oggetto si pone come "variante" rispetto all'esistente piano di fabbricazione. Ma nessuna logica motivazione è dato riscontrare a sostegno di una variante del genere: non è quindi sostenibile una valida ed adeguata motivazione per relationem della delibera di approvazione del p.e.e.p.. Diversamente da quanto ha ritenuto il T.A.R. circa la legittimità sia della delibera di Giunta municipale con la quale il Sindaco è stato incaricato di eseguire l'occupazione sia il conseguenziale decreto di occupazione, il potere di occupazione può essere esercitato, ai sensi dell'art. 106 del D.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977, esclusivamente dal Consiglio comunale e non dal Sindaco o dalla Giunta, la quale non può comunque procedere ad una delega o attribuzione di competenza ad altro organo. Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. del 18 marzo 2002, n. 1609.

 Direttore regionale dei lavori pubblici - competenze - provvedimenti di occupazione in via temporanea e di urgenza - dichiarazione di pubblica utilità dell'opera e di urgenza ed indifferibilità dei relativi lavori - espropriazione per pubblica utilità - provvedimenti autorizzativi dell'accesso agli immobili. Incompetenza del direttore regionale dei lavori pubblici ad autorizzare il comune ad emettere i provvedimenti di occupazione in via temporanea e di urgenza dei terreni, la sentenza ha ritenuto l’adozione devoluta al sindaco, ai sensi degli artt. 3 e 15 l.r. 13 aprile 1978 n. 24. Nel quadro delle competenze delineate dalla l.r. Friuli Venezia Giulia 13 aprile 1978, n. 24, spetta (art. 14) al direttore provinciale dei lavori pubblici emettere la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera e di urgenza ed indifferibilità dei relativi lavori ed esercitare tutte le attribuzioni spettanti alla Regione in materia di espropriazione per pubblica utilità e di occupazione temporanea e d'urgenza relative ad opere non a carico dello Stato da eseguirsi nel territorio regionale, salvo quanto previsto dall’art. 15. Secondo il comma 2 dell’art. 15, l. r. 13 aprile 1978, n. 24, spetta al Sindaco del Comune nel cui territorio le opere devono essere eseguite, emanare i provvedimenti autorizzativi dell'accesso agli immobili sia per l'esecuzione di misure e rilievi, sia per la redazione degli stati di consistenza, nonché i provvedimenti di nomina dei tecnici incaricati per le esigenze di cui sopra. Non rappresenta alcuna deroga al suddetto criterio che sempre nel disposto dell’art. 15 comma 2, l.r. n. 24 del 1978 la competenza del Sindaco del Comune nel cui territorio le opere devono essere eseguite, appaia circoscritta alle sole opere di cui all'articolo 3 della legge regionale. Tale elencazione deve infatti intendersi esemplificativa e non tassativa attesa la generalità della competenza del Sindaco a provvedere in materia di autorizzazione all'occupazione d'urgenza di aree destinate ad opere pubbliche, sia per le opere di spettanza comunale sia per quelle la cui esecuzione è stata delegata ai Comuni (Cons. Stato, IV, 23 aprile 1992 n. 445). Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. del 18 marzo 2002, n. 1605.

  Istituto dell’ordinanza contingibile e urgente - presupposti - situazione di urgenza - allevamento di suini e rischio alla salute pubblica e all’ambiente - illegittimità dell’ordinanza se impiegata per conferire un assetto definitivo agli interessi coinvolti - esecuzione - procedure ordinarie e rispetto dei diritti garantiti dall’ordinamento. E’ acquisito dalla giurisprudenza amministrativa che alla situazione di urgenza che ne costituisce il presupposto l’ordinanza contingibile e urgente possa dare solo una risposta di carattere provvisorio che ponga rimedio all’emergenza; mentre è illegittimo il provvedimento che, <<in relazione al suo scopo, rivesta il carattere della continuità e della stabilità di effetti, eccedendo le finalità del momento, e appaia destinato a regolare stabilmente una situazione o un assetto di interessi>> (Consiglio di Stato, V. 9 dicembre 1996, n. 1481). L’istituto dell’ordinanza contingibile e urgente, con la quale è consentito fronteggiare le situazioni di emergenza anche al prezzo del sacrificio temporaneo di posizioni individuali costituzionalmente tutelate, non può essere impiegato per conferire un assetto stabile e definitivo agli interessi coinvolti dalle situazioni in atto, che deve essere perseguito mediante le procedure ordinarie e nel rispetto dei diritti garantiti dall’ordinamento. (Nella specie, il Sindaco del Comune di Campobasso ordinava ai titolari dell’azienda, una serie di misure in ordine alla attività di allevamento di suini svolta dall’azienda. In particolare il provvedimento disponeva di: 1) non immettere nel ciclo produttivo nessun nuovo animale; 2) sospendere ogni attività di monta o fecondazione delle scrofe; 3) di continuare l’allevamento dei soli capi presenti e di quelli derivanti dalle gravidanze in atto; 4) trasferire o dismettere entro 60 giorni le scrofe non fecondate, non gravide e i verri; 5) trasferire o dismettere gradualmente ma continuatamente gli altri riproduttori al termine della gestazione e dell’allevamento, quindi entro sei mesi; 6) trasferire o dismettere entro 15 giorni i suini pronti; 7) adottare, con riferimento ai liquami ed ai fanghi accumulati e che si produrranno, tutti i provvedimenti necessari ad evitare l’aumento del rischio per la salute pubblica e per l’ambiente, entro sei mesi dalla notifica dell’ordinanza, per allontanare l’impianto dalla vicinanza con uffici e abitazioni sopravvenuti nella zona). Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1490.

 Impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi (scorie derivanti dalla termo-distruzione di rifiuti solidi urbani) - caratteristiche e qualificazione di un impianto fisso e di un impianto mobile - necessità di autorizzazione di cui all’art. 27, comma 7 d lgs. n.22\1997 - Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale e trattamento di RSU - parziale difformità progettuale - valutazione preventiva di compatibilità con la tutela dell'ambiente o della salute pubblica - condizioni di sicurezza idraulica, di manutenzione idraulica, di regimazione delle acque, parchi, riserve. L’impianto della ricorrente, di trattamento per il recupero di rifiuti speciali non pericolosi (scorie derivanti dalla termo-distruzione di rifiuti solidi urbani) aveva le caratteristiche di un impianto fisso (funzionalmente destinato ad operare a tempo indeterminato nel predetto sito) e non di un impianto mobile e ciò sia per le caratteristiche intrinseche assunte dall’impianto una volta collocato nel sito prescelto (presenza di vasche in cemento per la decantazione delle scorie, nonché dello stabilimento - preesistente - utilizzato quale deposito delle scorie da trattare), sia in relazione alla mancata comunicazione della “campagna di attività” (che implica un carattere permanente in sito dell’impianto); sicché non poteva beneficiare della procedura semplificata e celere di cui all’art. 28, comma 7, del d.lgs. n. 22 del 1997, ma avrebbe dovuto soggiacere a quella più complessa e articolata di cui al precedente art. 27. Il provvedimento impugnato, lungi dall’incidere sulla validità e sull’efficacia dei pregressi titoli autorizzatori, si era limitato ad inibire - in relazione alle concrete modalità di svolgimento, nel sito prescelto dall’operatore, della prevista attività di trattamento di rifiuti speciali non pericolosi e in particolare, in relazione alla sostanziale stabilizzazione che, di fatto, veniva a caratterizzare la maggior parte degli impianti un tipo di attività non conforme a quella autorizzata, bisognevole, in quanto tale, di diverso titolo autorizzatorio e incompatibile con la tutela ambientale in quel preciso ambito territoriale. Il provvedimento impugnato precisa (rifacendosi a quanto in proposito evidenziato dalla locale A.R.P.A.) che “l’impianto installato risulta inoltre parzialmente difforme da quello illustrato nel progetto autorizzato con il provvedimento provinciale, in quanto la fase di pretrattamento del rifiuto (lavaggio, vagliatura) e di trattamento delle acque reflue (vasche di accumulo, silos di flocculazione, filtropressa ecc.), pur non presentando modifiche sostanziali di processo, risulta realizzata mediante strutture fisse; il progetto autorizzato prevedeva, invece, che l’intero impianto fosse mobile”. Se, infatti, il legislatore ha posto l’accento sulle “campagne di attività”, ciò ha fatto nel presupposto che gli impianti presi in considerazione dalla norma ora detta fossero deputati a svolgere attività in una situazione, appunto, di mobilità e, cioè, mutando, sovente, il sito in cui collocare l’attività stessa in rapporto agli inerti o altri rifiuti in quel sito occasionalmente presenti, per poi spostarsi, una volta esauriti i materiali da trattare, in un sito diverso; al contrario, non ha inteso consentire che l’attività di trattamento in parola fosse concentrata una volta per tutte in un unico sito in cui concentrare stabilmente e senza limiti di tempo rifiuti del tipo previsto, ma aventi le più diverse provenienze. Rilevato che l’impianto non era più qualificabile alla stregua di impianto mobile, bensì quale impianto fisso (bisognevole, quindi, dalla più complessa e articolata procedura autorizzatoria di cui all’art. 27 del d.lgs. m.22/1997, di cui era privo) l’Amministrazione ha inibito lo svolgimento della relativa attività di trasformazione, in quanto ritenuta non compatibile con la tutela dell’ambiente. Ai sensi dell’art.28, comma 7, del d.lgs. n. 22 del 1997, invero, per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale l'interessato, almeno sessanta giorni prima dell'installazione dell'impianto, deve comunicare alla regione nel cui territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l'autorizzazione di cui al comma 1 e l'iscrizione all'Albo nazionale delle imprese di gestione dei rifiuti, nonché l'ulteriore documentazione richiesta; la regione (nella specie, la provincia, cui sono stati demandati i relativi compiti) può adottare prescrizioni integrative, oppure può vietare l'attività con provvedimento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell'ambiente o della salute pubblica. Nel caso in esame la competente Provincia, ritenuto che l’impianto, per la ritenuta stabilizzazione al suolo conseguita alla concreta collocazione nel sito prescelto, non rispondeva più alle caratteristiche per le quali era stato autorizzato e che tali nuove e diverse caratteristiche lo rendevano incoerente con le previsioni del locale PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale), ha vietato lo svolgimento dell’attività di cui si tratta. Il detto piano territoriale non consentiva sull’area in questione manufatti destinati al trattamento dei RSU. L’impianto di cui si tratta avrebbe dovuto essere collocato, infatti, parte in fascia A, parte in fascia C del predetto PTCP; la prima di dette fasce consente interventi finalizzati al mantenimento delle condizioni di sicurezza idraulica, di manutenzione idraulica, di regimazione delle acque, parchi, riserve e opere similari, nonché lo svolgimento di attività agricole entro limiti predefiniti, mentre, tra le altre, non consente la realizzazione di impianti di trattamento degli inerti, che non siano quelli di cava rapportati alla sola attività estrattiva; in fascia C (art.16, n.3, del Piano, “rispetto dell’ambito fluviale”, concernente il territorio interessato da inondazioni per eventi di piena eccezionali) è vietata la nuova localizzazione e/o l’ampliamento, tra gli altri, di impianti di trattamento rifiuti. Nella specie, l’impianto in parola, non autorizzabile come impianto mobile e, quindi, da ritenersi non agevolmente rimovibile (determinando, tra l’altro, l’insediamento di ingombri stabili e di non secondario momento, specie se rapportati all’esigenza di un rapido deflusso delle acque fluviali atto ad impedire ondate di piena pregiudizievoli per le aree circostanti e per le locali popolazioni), veniva a configurarsi come impianto non conforme alle norme di piano ora dette, sia per la sua tipologia e la natura dell’attività ivi prevista, sia in quanto era da rivedere come impianto nuovo, essendo assente, in precedenza, sul sito stesso, ogni attività di trattamento rifiuti. Né rileva che sull’area medesima preesistesse un impianto industriale non più in uso; ciò in quanto, ammesso che lo stesso, ai sensi del punto 4 dell’art. 16 del PTCP, potesse essere assentito come impianto preesistente, esso non poteva esserlo, invece, nel momento in cui veniva ivi avviata un’attività sotto nessun profilo coincidente con quella precedente, che era di natura affatto diversa e da tempo, ormai, cessata. Il divieto, posto dal PTCP, all’effettuazione, in quel sito, dell’attività di trasformazione in parola si configura, in definitiva, ad avviso del Collegio, come inibitorio dello svolgimento di un’attività che non può ritenersi ammessa in quanto non compatibile - ai sensi del citato art. 28, comma 7 - con la tutela dell'ambiente; il Piano, infatti, per le aree in questione, non si pone quale mero strumento urbanistico, ma come elemento pianificatorio atto a rimuovere o, per quanto qui interessa, ad impedire che nelle aree de quibus possano essere svolte attività non consentite in quanto pericolose per l’ambiente (con conseguenze potenzialmente pregiudizievoli anche per le locali popolazioni); e ciò tanto più in quanto correlate ad impianti resi, in prevalenza, non agevolmente rimovibili. Ciò non senza considerare, infine, che il rilascio delle autorizzazioni ai sensi degli articoli 27 e 28 del d.lgs. n. 22 del 1997 non ha mero rilievo formale, ma risponde, tra le altre, all’esigenza, per l’amministrazione preposta alla tutela dell’ambiente, di verificare se gli impianti in questione rispondano anche ai requisiti di compatibilità e tutela ambientale; pure sotto questo profilo correttamente viene denegata la possibilità di svolgere l’attività in questione, avendo l’impianto che si andava ad attivare assunto il carattere di struttura prevalentemente stabile e non agevolmente rimovibile. Il d.lgs. n.22 del 1997 non reca una definizione di “trattamento” di RSU; con tale termine, quindi, è stato individuato, in sede pianificatoria provinciale, un tipo di attività e connesse lavorazioni destinate a trattare e, quindi, comunque a modificare, indipendentemente dalla finalità del “trattamento” stesso, i RSU; e trattandosi di attività destinate stabilmente a interessare suoli particolarmente esposti ai cicli fluviali e a pregiudicare, in varia misura, il corso e il regime delle acque, specie in caso di piena, correttamente tale tipo di attività, in quanto stabilmente e consistentemente incardinata a quel tipo di suolo, è stata vista come incompatibile con l’ambiente. Consiglio di Stato, Sez. V, sent.  del 13.03.2002, n. 1501.

 Installazione di impianti per telefonia cellulare - necessità della concessione edilizia - impatto estetico-ambientale. La giurisprudenza in materia (tra gli altri di installazione di impianti per telefonia cellulare) risulta orientata in maniera prevalente a ritenere assoggettabile a regime concessorio la installazione degli impianti in parola, anche nei casi in cui essi siano installati su edifici, in relazione all’impatto estetico-ambientale da essi determinato ( cfr C.d.S. sez.V n. 415 del 6.04.1998, sez.V n. 5828 del 30.10.2000). La trasformazione del territorio rilevante ai sensi dell’art.1 legge n. 10/77, può discendere anche da una mera alterazione apprezzabile sotto il profilo estetico ed ambientale o anche solo funzionale, in relazione alla visibilità ed all’estetica complessiva del luogo. TAR Puglia - Sede di Lecce, Sezione I, del 6 marzo 2002, n. 1027. (vedi: sentenza per esteso - con commento)

 Avviso di deposito degli atti relativi al procedimento di espropriazione - notifica ai proprietari del terreno - risultanze catastali - l’Amministrazione, non è tenuta ad alcuna indagine ulteriore finalizzata ad accertare l’identità di coloro che sono effettivamente proprietari dei terreni. L’art. 10 della l. 22 ottobre 1971, n. 865, stabilisce che l’avviso di deposito degli atti relativi al procedimento di espropriazione deve essere fatto a coloro che risultino proprietari del terreno sulla base delle risultanze catastali; l’Amministrazione, quindi, non è tenuta ad alcuna indagine ulteriore finalizzata ad accertare l’identità di coloro che sono effettivamente proprietari dei terreni, ma deve limitarsi a prendere in considerazione quanto viene indicato nei registri catastali, senza che per ciò risulti compromessa la legittimità della procedura (Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 2000, n. 3850; sez. IV. 22 maggio 2000, n. 2940 e 18 maggio 1998, n.822). Le stesse considerazioni valgono per la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di cui agli artt. 7 ss., l. 7 agosto 1990, n. 241. Consiglio di Stato Sezione IV del 28 febbraio 2002 n. 1200.

 Apertura di centri commerciali - potere tecnico discrezionale - valutazione degli interessi in conflitto motivazione del diniego apodittica ed insufficiente. Con un unico motivo, nel richiamare l’orientamento assunto da questa Sezione in materia di apertura di centri commerciali (Cons. Stato, sez. V, 24 maggio1 996, n. 585), si pone in risalto il fatto che la Giunta regionale godrebbe di un particolare potere tecnico- discrezionale, in base al quale può valutare gli interessi in conflitto. Come ha ritenuto il primo giudice, le ragioni del diniego - consistenti nel negativo impatto che il nuovo centro commerciale avrebbe avuto sul traffico della zona interessata e sulla saturazione della stessa - non  paiono convincenti. Difatti, quanto al primo profilo, la motivazione del diniego è apodittica ed insufficiente, in relazione al diverso avviso espresso dal Comune di Milano; quanto al secondo profilo, per un verso, il criterio di valutazione adottato dalla stessa Regione privilegia il rapporto tra domanda ed offerta (e rispetto a tale parametro l’istruttoria è stata positiva) e, per altro verso, risultano ancora disponibili spazi per generi contingentati. Infine, la Regione non ha preso in considerazione i mutamenti intervenuti nella strumentazione urbanistica relativa all’area interessata dall’intervento. Alla luce delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non è sufficiente invocare il potere discrezionale della Regione in materia o, addirittura, la sua insindacabilità. Consiglio di Stato, V Sezione - Sentenza del 22.02.2002, n. 1092.

PRG - le osservazioni presentate, in approvazione/variante agli strumenti urbanistici generali, da soggetti inesistenti sono privi di qualsiasi valenza giuridica - forme di pubblicità, partecipazione dei soggetti pubblici e privati - decorrenza dei termini. L’articolo 25 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ha imposto alle regioni di emanare una disciplina semplificata in materia, tra l’altro, di approvazione degli strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali ed ha ulteriormente stabilito, al secondo comma, che dovessero essere garantite necessarie forme di pubblicità, partecipazione dei soggetti pubblici e privati, nonché termini, non superiori a centoventi giorni, entro i quali la regione deve comunicare al comune le proprie determinazioni. Nell’ultima parte del secondo comma, l’art. 25 della legge n. 47 del 1985 ha precisato che: “trascorsi tali termini i provvedimenti di cui al precedente comma si intendono approvati.”. Questo termine, decorrente dalla data di ricevimento da parte della Regione del piano attuativo, è invero espressione di un principio generale dell’ordinamento nel settore urbanistico, la cui effettività è assicurata proprio dal carattere perentorio dello stesso (C.d.S., IV, 25 settembre 1998, n. 1208). Va precisato, prima di ogni ulteriore considerazione, che nel caso di specie le osservazioni dei privati provenivano da soggetti rivelatisi inesistenti (circostanza questa pacifica inter partes ed asseverata in atti). Le osservazioni, come qualsivoglia atto di un soggetto, presuppongono l’esistenza di quest’ultimo, quanto meno per la logica, intrinseca al sistema, della imputabilità. In mancanza di quella riferibilità l’atto perde ogni valore: è, precisamente, un “non atto”, perché nella struttura ontologica che gli è propria manca l’elemento soggettivo fondamentale, cioè il suo autore. In armonia al canone sillogistico, pertanto, le osservazioni in esame sono “non osservazioni” e, sotto questo profilo, l’atto del pubblico potere che statuisca sulle stesse è privo di qualsiasi giuridica valenza, perché carente del presupposto o meglio per l’inesistenza dell’oggetto. Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 22 febbraio 2002, n. 1081.

 Ottemperanza della decisione - annullamento di un diniego di concessione edilizia - ai fini del riesame della originaria domanda va applicata la disciplina urbanistica vigente al momento della notifica. Nella fattispecie, con la statuizione appellata sono stati respinti i ricorsi diretti ad ottenere l’ottemperanza di una decisione e l’annullamento di un diniego adottato successivamente alla sua notifica, pertanto si è reso utile accertare, ai fini della decisione della presente controversia, quale disciplina urbanistica avrebbe dovuto applicare il Comune nell’esercizio della potestà provvedimentale restituitagli dal T.A.R. con la pronuncia della sentenza n.754/94. La persistente validità ed efficacia della variante originaria, nonostante l’annullamento del P.R.G., risulta del tutto inutile ed ininfluente ai fini della decisione.  Atteso, che medio tempore il Comune di Cortina aveva deliberato un’altra variante, ancorché di identico contenuto della prima, appare pacifico che, successivamente all’adozione della predetta disciplina urbanistica, l’Ente avrebbe dovuto decidere le istanze di concessione edilizia in attuazione del regime sopravvenuto e non anche, come, invece, ha fatto, in applicazione di quello previgente, e definitivamente sostituito dal nuovo regolamento. Risulta, in proposito, costantemente affermato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 2000 n.2874, Cons. Stato, Sez. V, 8 gennaio 1998 n.53, Cons. Stato, Sez. V, 14 novembre 1997 n.1308) il principio per cui l’annullamento in sede giurisdizionale del diniego di concessione edilizia comporta l’obbligo per il Comune di riesaminare l’originaria domanda applicando la normativa urbanistica vigente al momento in cui la sentenza è notificata o è comunicata in via amministrativa e tenendo, quindi, conto dell’eventuale disciplina pianificatoria sopravvenuta nel corso del giudizio. La corretta applicazione del predetto principio alla vicenda in esame avrebbe, pertanto, dovuto imporre al Comune, come, peraltro, espressamente stabilito dal T.A.R. Veneto nella sentenza n.754/94, di provvedere, successivamente all’annullamento del diniego in data 30.6.92, applicando la variante adottata in data 29.10.91, in quanto diretta a regolare il rilascio di concessioni edilizie nelle zone B1, B2 e B3. Né varrebbe, di contro, osservare che l’identità del contenuto delle due varianti succedutesi nel tempo avrebbe condotto alla medesima determinazione conclusiva. Come, infatti, correttamente rilevato dal T.A.R., con la sentenza della quale si chiedeva l’ottemperanza con il ricorso disatteso con la decisione impugnata, la circostanza che la variante vigente era stata solo adottata, e non anche approvata dalla Regione, impediva al Comune di pronunciare un diniego della concessione edilizia e gli imponeva di adottare le misure di salvaguardia di cui al combinato disposto dell’articolo unico della L. n.1902/52 e dell’art. 3 ult. c. L. n. n.765/67 (cfr. in tal senso Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1998 n.382, Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 1997 n.421). Né, ancora, può fondatamente reputarsi l’atto soprassessorio equivalente ad un diniego, ai fini della soddisfazione degli interessi sostanziali dei richiedenti, atteso che la misura di salvaguardia non può essere legittimamente protratta per un periodo complessivo superiore a cinque anni dalla data della delibera di adozione della variante (Cons. Stato, Sez. V, 20 aprile 1999, n.462) e che, quindi, qualora nel predetto termine non intervenga l’approvazione dello strumento urbanistico adottato, viene meno qualsiasi effetto impeditivo del rilascio del titolo edilizio. Ne discende che l’adozione della misura di salvaguardia, pur non consentendo immediatamente l’attività edificatoria, attribuisce all’interessato una significativa utilità sostanziale, per quanto non attuale, non ravvisabile nel provvedimento negativo (in quanto definitivamente preclusivo della realizzazione della costruzione). Posto, infatti, che, come sopra rilevato, la predetta variante è stata definitivamente sostituita da quella adottata dal Comune di Cortina in data 29.10.91, da valersi quale unico parametro di assentibilità dell’attività edificatoria, non può non rilevarsi che l’eventuale annullamento della prima non arrecherebbe agli interessati alcun vantaggio sostanziale, non comportando l’automatica caducazione della variante successiva (non impugnata) e dovendo, comunque, le loro istanze di concessione edilizia essere definite in attuazione di diverso ed autonomo regime urbanistico ed edilizio. Consiglio di Stato, V Sezione - Sentenza del 22.02.2002, n. 1079.

 Avvio del procedimento (P.R.G. e Piano territoriale) - comunicazione di massa  - individuazione della qualità di controinteressato - procedimenti speciali o già “normati” - forme di pubblicità idonee - finalità sostanziali e non meramente formali. La qualità di controinteressato, invero, deve essere individuata con riferimento alla titolarità di un interesse analogo e contrario a quello che legittima la proposizione del ricorso (così detto elemento sostanziale) e in relazione alla circostanza che il provvedimento impugnato riguardi nominativamente un soggetto determinato, esplicitamente menzionato o comunque agevolmente individuabile dal provvedimento (così detto elemento formale) il quale abbia un interesse giuridicamente qualificato alla conservazione del medesimo provvedimento (Cons. Stato, ad. pl., 21 giugno 1996, n. 9; sez. IV, 11 luglio 2001, n. 3895 e 6 aprile 2000, n. 1982; sez. VI, 12 gennaio 2000, n. 189; Cons. giust. amm. Reg. sic., 7 aprile 1999, n. 143). Non è dato, comunque, di ravvisare alcuna carenza di contenuto negli atti depositati dall’Amministrazione, in quanto è stato osservato il disposto dell’art. 21 della l. reg. n. 47 del 1978, mediante la formazione e la messa a disposizione del pubblico dello schema di massima e della relazione generale, assolvendo in tal modo all’onere della comunicazione di massa prevista per gli atti di questo tipo. Si deve, quindi, affermare che la comunicazione di avvio del procedimento è stata effettuata in modo corretto mediante la comunicazione di massa ai sensi dell’art. 8, comma 3, della l. 241 del 1990 e, poi, mediante l’invio di avviso personale, come quello che ha portato all’impugnazione da parte dei ricorrenti in primo grado. Non sussiste, perciò, la dedotta violazione dell’art. 7 della predetta legge, in quanto la relativa disposizione non si applica ai procedimenti speciali o già “normati”; poichè il procedimento è regolato in modo specifico, non è, quindi, applicabile il principio generale di comunicazione diretta, ma si può far ricorso a quello di comunicazione collettiva, risultante dalla pubblicazione degli atti (Cons. Stato, sez. IV) 15 dicembre 2000, n. 6684). Correttamente pertanto l’Amministrazione si è avvalsa della facoltà concessa dall’art. 8, comma 3, della citata l. n. 241 del 1990, secondo il quale “qualora per il numero dei destinatari, la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’Amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 (cioè, quelli essenziali alla comunicazione) mediante forme di pubblicità idonee, di volta in volta stabilite dall’Amministrazione medesima” (Cons. Stato, sez. VI, 25 marzo 1999, n. 330). Invero, anteriormente alla formazione del progetto definitivo, è stata data ampia a multiforme pubblicità al progetto preliminare, come dimostra il fatto che sono state presentate oltre cento osservazioni, alcune delle quali sono state anche accolte; tale forma di pubblicità, quindi, non solo si è dimostrata valida, ma anche sostanzialmente efficace. D’altra parte, la comunicazione di avvio del  procedimento ha finalità sostanziali e non meramente formali, per cui tutte le volte in cui il soggetto interessato abbia conosciuto o abbia potuto conoscere aliunde, senza diretta e personale comunicazione, un determinato atto o progetto, o sia stato in condizione di conoscerlo, non si rende necessaria una specifica comunicazione di avvio del procedimento (Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 1998, n. 1088; sez. V, 19 marzo 1996, n. 283; sez. VI, 9 agosto 1996, n. 1000). E non può ragionevolmente porsi in dubbio l’idoneità ed efficacia della pubblicità attuata precedentemente all’approvazione del progetto esecutivo, specie ove di consideri il rilevante numero delle osservazioni presentate dai privati interessati.  Consiglio di Stato, IV Sezione - Sentenza del 20 febbraio 2002, n. 1007.

 Lottizzazione abusiva - reato a consumazione alternativa - lottizzazione abusiva mista - sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive. E’ principio di diritto che «il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici». L’articolo 18, 1° comma, della stessa legge 47/1985 fornisce una duplice definizione della «lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio», ricollegando la stessa: a) ad un’attività materiale: «quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione»; b) ad un’attività giuridica: «quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denunciando in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio». Trattasi di attività illecite che, ad evidenza, possono essere espletate anche congiuntamente (cosiddetta lottizzazione abusiva mista) in un intreccio di atti materiali e giuridici comunque finalizzati a realizzare una trasformazione urbanistica e/o edilizia dei terreni. L’articolo 20, 1° comma, lettera c), della legge 47/1985 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive) prevede la pena dello «arresto fino a due anni e l’ammenda da lire 30 milioni a lire 100 milioni nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal 1° comma dell’articolo 18». Corte di Cassazione, sezioni unite, 8 febbraio 2002, n. 5115.

 Piano di lottizzazione - i soggetti - l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e/o delle singole opere alla normativa urbanistica ed alle previsioni di pianificazione - l’interesse protetto dalla legge 47/1985 - mancanza di autorizzazione - concessione edilizia illegittimamente rilasciata - poteri del giudice penale. I soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, i titolari di concessione edilizia, i committenti ed i costruttori, hanno l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e/o delle singole opere alla normativa urbanistica ed alle previsioni di pianificazione, perché l’interesse protetto dalla legge 47/1985 non è soltanto quello di assicurare che la modifica del territorio avvenga sotto il controllo della pubblica amministrazione ma è altresì quello di garantire che tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al programmato asseto urbanistico (vedi Cassazione, sezione terza, 13 marzo 1987, ricorrente Ginevoli ed altri). La previsione della mancanza di autorizzazione si aggiunge a quella del contrasto con le prescrizioni delle leggi o degli strumenti urbanistici, anche se soltanto adottati, e deve ritenersi, anzi, del tutto residuale, poiché può verificarsi soltanto nel caso di una lottizzazione che, pur essendo conforme alle prescrizioni di legge e di piano, sia eseguita in assenza di autorizzazione. L’uso del disgiuntivo «o» da parte del legislatore, non consente dubbi ed una diversa interpretazione del testo normativo - che escluda in ogni caso la fattispecie contravvenzionale allorché sia stata rilasciata la cosiddetta autorizzazione a lottizzare - deve necessariamente comportare l’elisione di detto disgiuntivo, operandosi in tal modo non una interpretazione del dettato legislativo bensì una non consentita modificazione di esso. La questione è stata posta in tema di concessione edilizia illegittimamente rilasciata, al fine di equiparare, sotto il profilo sanzionatorio, i lavori eseguiti con provvedimento illegittimo a quelli realizzati in assenza di concessione, ed in proposito deve farsi opportuno riferimento alla decisione 21 dicembre 1993 di queste sezioni unite, da cui chiaramente si evince il principio secondo il quale il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice penale, nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l’autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica dell’atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale, «in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela», nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo. È la descrizione normativa del reato di lottizzazione abusiva che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa e nell’articolo 18 - come si è detto - la condotta prevista come illecita non è soltanto quella delle prescrizioni degli strumenti urbanistici e delle leggi statali e regionali. Corte di Cassazione, sezioni unite, 8 febbraio 2002, n. 5115. 

 Piano di lottizzazione - piano di attuazione e procedura di variante - autorizzazione a lottizzare - l’articolo 20, lettera a) norma penale in bianco. Non è corretto affermare, che il reato di lottizzazione abusiva «possa dirsi sussistente unicamente qualora manchi il provvedimento autorizzativo finale e non pure qualora - in presenza di tale autorizzazione - si accerti la violazione di altre norme urbanistiche (violazione che eventualmente potranno concretizzare altre ipotesi di reato previste dalla citata legge 47/1985)». L’articolo 28 della legge 1150/42 (in seguito alle modifiche introdotte dall’articolo 8 della legge 765/67) prevede la necessaria redazione del piano di lottizzazione, che deve essere conforme alla normativa edilizia ed agli standards urbanistici vigenti. Tale piano, quale piano di attuazione, deve di regola conformarsi alle norme, prescrizioni e previsioni dello strumento urbanistico generale, di cui costituisce applicazione. Ove se ne discosti, esso può essere approvato «in variante» al piano generale (con le eventuali procedure esemplificate previste dall’articolo 25, 1° comma, della legge 47/1985). Una procedura di variante, però, nel caso di difformità, deve essere necessariamente posta in essere, poiché gli atti di pianificazione urbanistica esecutiva assolvono la funzione di consentire una più razionale utilizzazione del territorio nell’ambito delle scelte operate dallo strumento urbanistico sovraordinato. A tali scelte non può mancare di conformarsi il rilascio di quella «autorizzazione a lottizzare», da cui scaturisce la facoltà dei proprietari di chiedere le concessioni edilizie necessarie per dare esecuzione al progetto. Non è corretto, altresì, argomentare circa un preteso «completo annullamento dell’area di operatività dell’articolo 20, lettera a), della legge 47/1985, in favore di un’ingiustificata ed arbitraria estensione della sfera incriminatoria dell’articolo 20, lettera c) della stessa legge», poiché l’articolo 20, lettera a) è norma penale in bianco, che ha portata residuale rispetto alle altre fattispecie pure contemplate dal medesimo articolo, concernendo gli abusi commessi al di fuori delle altre ipotesi specificatamente sanzionate. Corte di Cassazione, sezioni unite, 8 febbraio 2002, n. 5115. 

 Abusiva lottizzazione di aree fabbricabili - Corte costituzionale. La Corte costituzionale ha ripetutamente dichiarato la manifesta infondatezza (con riferimento agli articoli 24, 2° comma, 25, 2° comma e 112 della Costituzione) dell’articolo 28, 1° comma, della legge 1150/42, come modificato dall’articolo 8 della legge 765/67, nella parte in cui, incriminando l’abusiva lottizzazione di aree fabbricabili, non avrebbe determinato in modo tassativo la fattispecie penale, rilevando che già l’utilizzazione del solo termine «lottizzazione» non è suscettibile di interpretazioni divergenti, in quanto nozione di comune esperienza che non impone al giudice alcun onere esorbitante dal normale compito di interpretazione (vedi Corte costituzionale; sentenza 49/1980 ed ordinanze 156/83, 169/83, 194/83, 5/1984, 72/1984, 197/84, 75/1985, 282/85, 159/86). Corte di Cassazione, sezioni unite, 8 febbraio 2002, n. 5115.

 Piano di lottizzazione - reato di lottizzazione abusiva a consumazione alternativa - strumenti urbanistici sovraordinati. Secondo l’orientamento recentemente ribadito dalla Cassazione, sezione terza, 20 gennaio 2001, Matarrese ed altri: il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto della stessa con le prescrizioni degli strumento urbanistici; sicché non può obiettarsi la non prospettabilità del reato laddove esista un piano di lottizzazione approvato ma possa per contro affermarsi la contrarietà dello stesso agli strumenti urbanistici sovraordinati (Cassazione, sezione terza, 16 novembre 1995, ricorrente Pellicani). Corte di Cassazione, sezioni unite, 8 febbraio 2002, n. 5115. 

   Urbanistica - uso del territorio - procedure espropriative - competenza del giudice ordinario se il soggetto pubblico agisce uti dominus. Il Collegio è a conoscenza dell’orientamento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, espresso con la sentenza 14 luglio 2000 n.494/2001 e nell’ordinanza 25 maggio 2000 n.43 di rimessione alla Corte delle Leggi, secondo cui la formula adottata dall’art.34 comma 2 D.Lgs. 31 marzo 1998 n.80 si presta ad essere intesa come volta ad abbracciare la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, ivi compreso quello gestionale, e che pertanto possono dirsi attribuite al giudice amministrativo anche le controversie relative a diritti soggettivi connessi a comportamenti materiali della pubblica amministrazione in procedure espropriative finalizzate alla gestione del territorio. Tuttavia il Collegio ritiene che la controversia in esame (nella specie, il Comune di S. Giorgio a Cremano aveva realizzato un varco di accesso ad un area adiacente il fabbricato di proprietà del ricorrente, e posizionato diversi contenitori per la nettezza urbana),  presenti profili stigmatizzanti che non consentano in alcun modo il suo inquadramento nell’ambito del concetto di urbanistica, pur essendo esso oggetto di una tale ampliante rivisitazione, atteso che la P.A. opera nel caso di specie non quale soggetto pubblico che, per esigenze della medesima natura, conculca sine titulo la proprietà privata, bensì quale persona giuridica che agisce uti dominus, ovverosia riconoscendosi ex ante titolare di diritto dominicale sull’area in contestazione acquisito attraverso un atto traslativo di natura squisitamente privatistica. Ne deriva che l’oggetto del giudizio consiste appunto nell’indagine dell’effettiva ascrizione del diritto dominicale, che è di sicura attrazione alla sfera della potestà di ius dicere del giudice ordinario, in quanto al di fuori di ogni procedura espropriativa. Il comportamento materiale dell’amministrazione resistente, al quale parte ricorrente annette ragione di danno, non va quindi inquadrato nel contesto pubblicistico di un’attività appropriativa, sia pure di fatto, ma è semplicemente espressione delle facoltà di godimento connesse al diritto di proprietà che l’Amministrazione ritiene gravante sull’area. La giurisdizione va quindi declinata a favore del giudice ordinario. TAR Campania - Napoli, Sez. IV - Sentenza 7 febbraio 2002 n. 729.

  Varianti ai piani regolatori generali - distinzioni - varianti specifiche - varianti normative - varianti generali - legittimità di una variante - necessità di una congrua e specifica motivazione e istruttoria. Le varianti ai piani regolatori generali, possono essere distinte, in relazione alla loro funzione ed estensione, in varianti specifiche, varianti normative e varianti generali. A parte le varianti normative, che concernono soltanto le norme di attuazione del piano regolatore generale (e non anche le planimetrie e quindi l’assetto urbanistico del territorio), la differenza tra le varianti specifiche e quelle generali si fonda su di un criterio spaziale di delimitazione del concreto potere esercitato di pianificazione urbanistica, nel senso che mentre le prime interessano soltanto una parte del territorio comunale (e rispondono quindi all’esigenza di rispondere a sopravvenute necessità urbanistiche parziali e localizzate), le seconde consistono, in sostanza, in una nuova disciplina generale dell'assetto del territorio, resasi necessaria perché il piano regolatore generale ha durata indeterminata e quindi deve essere soggetto a revisioni periodiche. Ai fini della legittimità di una variante è perciò sufficiente, sotto il profilo della motivazione e dell’istruttoria, l’accertata esistenza di problematiche, anche di ordine generale, purché concrete ed attuali, non arbitrarie o illogiche, che incidono in senso negativo sulle condizioni di vita dell’intera cittadinanza (quali ad esempio quelle dei parcheggi, della viabilità, del verde pubblico, etc.), problematiche che medio tempore si siano aggravate, non essendo per contro necessaria una rinnovata indagine su ogni singola area al fine di giustificarne la sua specifica idoneità a soddisfare esigenze pubbliche (C.d.S., sez. IV, 1° aprile 1996 n. 407; 12 marzo 1996 n. 305; 15 luglio 1995 n. 541; 8 maggio 1995 n. 317). Del resto, la stessa Corte Costituzionale con la ricordata sentenza n. 179 del 20 maggio 1999, seguendo un’impostazione già tracciata dalla propria precedente decisione n. 575 del 1989, ha mostrato di ritenere legittima la reiterazione di vincoli scaduti qualora sia corredata da congrua e specifica motivazione sull’attualità della previsione, con l’avvertenza che quest’ultima è riferita all’attualità delle esigenze urbanistiche e non deve essere confusa con la scelta delle singole aree (sul punto, specificamente, A.P., 22 dicembre 1999 n. 24). Consiglio Stato Sez. IV, 06 febbraio 2002, n. 664. (vedi: sentenza per esteso)

 Vincolo urbanistico scaduto - riproposizione - decorrenza del quinquennio - necessità di una specifica e puntuale motivazione - indennità di espropriazione. La riproposizione di un vincolo urbanistico scaduto per inutile decorso del quinquennio di cui all’articolo 2 della legge 19 novembre 1968 n. 1187 da parte dell’amministrazione comunale può considerarsi legittima soltanto se basata, per un verso, su di una specifica e puntuale motivazione circa la persistente attualità dell’interesse pubblico da perseguire e, per altro verso, sulla serietà della previsione di realizzazione nel quinquennio successivo delle opere per le quali il vincolo stesso viene nuovamente imposto, da apprezzarsi sulla base delle concrete previe verifiche effettuate e delle risorse economiche destinate al pagamento delle indennità di espropriazione. Consiglio Stato Sez. IV, 06 febbraio 2002, n. 664. (vedi: sentenza per esteso)

 Esclusione d’indennizzabilità - vincoli incidenti con carattere di generalità ed obiettività su intere categorie di beni - i vincoli derivanti da limiti non ablatori - i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità…- patologia della reiterazione amministrativa di vincoli urbanistici. E’ stato precisato che restano fuori dall'area dell'indennizzabilità: i vincoli incidenti con carattere di generalità ed obiettività su intere categorie di beni, ivi compresi i vincoli ambientali paesistici; i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità e i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile. L'adunanza plenaria di questo Consiglio (con la decisione 22 dicembre 1999 n. 24, pur essa già più volte citata) ha coerentemente statuito che l'amministrazione nel reiterare vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione dovrebbe prevedere il relativo indennizzo, con la conseguenza che sono illegittimi i provvedimenti urbanistici nella parta in cui omettono tale previsione (C.d.S., sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2934; 27 novembre 2000 n. 6309). E’ stato infatti già ricordato che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 179 del 20 maggio 1999, ha affermato che la reiterazione amministrativa di vincoli urbanistici di tipo espropriativo implicanti inedificabilità assume carattere patologico per la semplice assenza di previsione di indennizzo quando, anche se giustificata sul piano della programmazione, sia indefinita o quando il limite temporale sia indeterminato e quindi irragionevole, con la precisazione che l’obbligo di indennizzo opera soltanto una volta trascorso il tollerabile primo periodo di franchigia fissato dalla legge. Consiglio Stato Sez. IV, 06 febbraio 2002, n. 664. (vedi: sentenza per esteso)

 Concessione in sanatoria - art.13 L. 47/85 - determinazione della misura dell’oblazione - parziale difformità - radicale diversità. Perché la situazione di fatto possa ricondursi alla fattispecie astratta regolata dall’art.13 IV comma è necessario che solo una parte dell’opera sia stata realizzata in difformità dal progetto assentito e che, quindi, la restante porzione sia conforme all’elaborato originario. Solo in presenza di siffatta situazione, infatti, risulta possibile determinare il contributo, come prescrive la norma, con limitato riferimento alla porzione difforme. Viceversa, quando il manufatto realizzato è radicalmente diverso da quello assentito non può trovare applicazione la disposizione invocata dall’appellante, per l’agevole rilievo che, in quel caso, difetta la stessa possibilità della parziale determinazione del contributo, e va, quindi, computata la sanzione con riferimento all’intero immobile. La costruzione di un solo corpo di fabbrica, in luogo dei due previsti nella concessione edilizia, la conseguente diversa localizzazione di una parte rilevante dell’edificio, l’eliminazione della galleria originariamente concepita e la riduzione della superficie del piano interrato integrano modifiche così rilevanti della struttura dell’opera da indurre a ritenere il manufatto eseguito totalmente diverso da quello progettato, quanto a struttura, tipologia e caratteristiche planovolumetriche. E’ così esclusa l’applicabilità dell’ipotesi prevista dall’art.13 IV comma. Consiglio di Stato, Sez. V - Sentenza 30 gennaio 2002 n. 501.

 Condono edilizio - improcedibilità appello. Si verifica l’improcedibilità del ricorso, ovvero, la cancellazione dello stesso dal ruolo in quanto “non sussiste più alcun interesse alla definizione del giudizio, essendo la pratica stata definita con condono edilizio”. L’appello, quindi, può essere dichiarato improcedibile. Consiglio Stato Sez. V, 30 gennaio 2002, n. 494 - 496.

 Urbanistica - prg - effetti dell’annullamento di una variante meramente reiterativa di una destinazione di piano - c.d. scopo obiettivo della norma - esclusione di colmare i vuoti lasciati nella disciplina urbanistica con l'espansione delle destinazioni impresse alle aree limitrofe - limiti di applicabilità dell'art. 4, ultimo comma della legge n. 10 del 1977 - efficacia dei vincoli per differenti esigenze generali. Gli effetti dell’annullamento di una variante meramente reiterativa di una destinazione di piano sono gli stessi che discendono dall’annullamento di una qualsiasi (originaria) variante e cioè la reviviscenza della precedente normativa di Piano, anche nel caso in cui, nel periodo intermedio, abbia operato, ex lege, il regime temporaneo di salvaguardia di cui all’art. 4, u.c., L. n. 10/1977. L’annullamento di un siffatto vincolo (tempestivamente rinnovato) fa certamente retroagire alla data di imposizione di quello originario i suoi effetti in termini di reviviscenza della destinazione di piano precedente; posto quanto sopra, si ritiene di poter ascrivere gli stessi effetti sostanziali anche all’ipotesi in cui, per colpevole ritardo del Comune, il vincolo reiterato non si saldi temporalmente al precedente. La ratio legis è il c.d. scopo obiettivo della norma, hic et nunc individuato dall’interpretazione; questa si identifica nel c.d. diritto vivente quando la prevalente giurisprudenza e la più autorevole dottrina concordino nell’individuarne i concreti contenuti. Pertanto, il richiamo ai principi fondamentali consente di escludere che, in seguito alla perdita di efficacia [di un vincolo di inedificabilità], riviva la situazione anteriore all'impostazione del vincolo, giacché essa resta definitivamente superata dalla nuova indicazione di piano. Allo stesso modo, deve, altresì, sicuramente escludersi che i vuoti lasciati nella disciplina urbanistica vadano colmati con l'espansione delle destinazioni impresse alle aree limitrofe. Nelle zone in cui sia venuto a scadenza un vincolo di inedificabilità è, invece, applicabile l'art. 4, ultimo comma della legge n. 10 del 1977, il quale stabilisce entro quali limiti possa rilasciarsi una «concessione di edificare» nei Comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali. Detta norma non si riferisce esclusivamente al caso di Comuni del tutto privi di tali strumenti. Nella fattispecie in essa contemplata rientra anche l'ipotesi di piani generali che abbiano in parte perduto la loro efficacia, né la lettera della disposizione offre elementi per una interpretazione restrittiva, ben potendo un Comune risultare «sprovvisto» di strumento urbanistico generale limitatamente ad una parte del suo territorio. Secondo l’A.p., la previsione di una facoltà di edificare entro limiti assai rigorosi (0,03 mc/mq e soltanto fuori del perimetro dei centri abitati) risponde, infatti, all'esigenza di non compromettere, con una intensiva utilizzazione del territorio comunale, ogni possibilità di una futura razionale disciplina urbanistica. Tale esigenza si avverte a maggior ragione allorché le aree vicine abbiano già ricevuto da un piano una destinazione edificatoria privata, giacché in simili ipotesi la disponibilità complessiva di zone libere in rapporto al territorio comunale è minore rispetto al caso di totale mancanza di strumento urbanistico generale mentre maggiore ne è il fabbisogno, onde è da ritenere necessario, in attesa di nuove determinazioni dell'Amministrazione, un regime dei suoli rimasti privi di destinazione che non precluda definitivamente un razionale assetto urbanistico. Né può obiettarsi che in tal modo le aree comprese nel perimetro dei centri abitati passino per effetto della caducazione dei vincoli, da un regime di temporanea inedificabilità a un regime di inedificabilità permanente. I Comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che copra l'intero territorio, la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano è per sua natura provvisoria, essendo destinata a durare fino all'obbligatoria integrazione del piano (o del programma di fabbricazione), divenuto parzialmente inoperante. La mera adozione, successivamente alla scadenza di un vincolo, di una variante illegittima (recante, nella specie, reiterazione del vincolo scaduto) possa rendere non più necessario, in attesa di nuove determinazioni dell'Amministrazione, un regime dei suoli rimasti privi di destinazione che non precluda definitivamente un razionale assetto urbanistico (A.p., n. 7/84, cit.); in tal caso, infatti, si consumerebbe il potere della Pubblica amministrazione di programmazione urbanistica e di realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali che, invece, deve essere sempre possibile esercitare ove persistano o sopravvengano situazioni che ne impongano la realizzazione, anche se per differenti finalità (Corte cost., n. 179/99, cit.). Consiglio Stato Sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 456.

 Occupazione d’urgenza - opera di pubblica utilità - indifferibilità e urgenza - necessità di invio dell’avviso di inizio del procedimento. La necessità di invio dell’avviso di inizio del procedimento (ex art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241) prima dell’adozione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità ed indifferibilità e urgenza dell’opera pubblica - negata dalla sentenza di primo grado sulla base del rilievo che si trattava di opera dichiarata, ex lege, indifferibile e urgente - è stata ormai affermata, in termini inequivocabilmente riferibili anche alla presente fattispecie, dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio con decisione 15 settembre 1999, n. 14, al cui insegnamento la Sezione si conforma. Consiglio Stato Sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 457.

 Urbanistica - atto di reiterazione di un vincolo scaduto - variante reiterativa di un vincolo di inedificabilità - atto confermativo - potere di programmazione urbanistica - del potere di ripianificazione con adeguata motivazione. L’atto di reiterazione di un vincolo scaduto assorba in sé l’atto precedente con cui venne originariamente apposto il primo vincolo. (Tenuto conto che il provvedimento impugnato, che reiterava un vincolo le cui esigenze urbanistiche erano venute meno, era illegittimo). Va sottolineato che il potere di programmazione urbanistica e di realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali non si può consumare per il semplice fatto della scadenza dei termini di durata dei vincoli urbanistici non solo perché è possibile che persistano situazioni che impongano la realizzazione delle stesse opere in funzione delle quali il vincolo venne apposto; ma anche perché è possibile che sopravvengano situazioni che richiedano l’apposizione di un nuovo vincolo anche se per diverse finalità (cfr. Corte cost. n. 179/99, cit.). La cessazione, quand’anche definitiva, di un’esigenza urbanistica (nella specie: scolastica “M3”) non può comportare l’annullamento retroattivo del precedente vincolo scaduto, mai impugnato, a suo tempo legittimamente adottato in presenza dei presupposti giuridici e fattuali: il sistema vuole infatti che l’Amministrazione, adempiendo al proprio perdurante obbligo di determinarsi circa il definitivo regime del suolo, possa considerare anche i casi in cui sopravvengano situazioni che impongano la realizzazione di progetti relativi alle esigenze generali anche se per differenti finalità, sicché la definitiva cessazione dell’esigenza scolastica non può implicare, in sé, la caducazione retroattiva del vincolo originario, né può comportare una deroga al generale principio dell’applicazione interinale della disciplina ex art. 4, u.c., L n. 10/1977 in tutte le aree in cui sia venuto a scadenza un primo vincolo di inedificabilità. La diversità che, anche sotto il profilo teleologico degli effetti dell’annullamento, sussiste tra una variante reiterativa di un vincolo di inedificabilità e un atto confermativo di un altro atto precedente: l’atto confermativo reca infatti una decisione che, sia pure all’esito di una rinnovata determinazione ovvero di una nuova istruttoria, provvede sul medesimo oggetto e sulla medesima situazione di fatto dell’atto confermato; mentre si è visto che - rispetto a quelli posti a base del vincolo originario - diversi sono i presupposti di fatto da prendere in esame per la legittima reiterazione del vincolo. Deve pertanto escludersi che l’annullamento giurisdizionale della reiterazione di un atto possa retroagire al di là del momento di adozione dell’atto effettivamente impugnato, e fino a travolgere gli effetti di un atto diverso, precedente, con propri e diversi presupposti di adozione, che non sia mai stato impugnato. In sede di adempimento di tale obbligo, l’Amministrazione deve tener conto, tra l’altro, anche delle statuizioni del giudice amministrativo, ed esercitare il potere di ripianificazione con adeguata motivazione”. Consiglio Stato Sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 456

Urbanistica e Edilizia - Lottizzazione abusiva - Approvazione successiva di piano di recupero urbanistico - Sanatoria della lottizzazione - Configurabilità - Esclusione - L. 47/1985 artt. 18 e 20 - L. 724/1994 art. 39. In tema di lottizzazione abusiva, la successiva approvazione di un piano di recupero urbanistico non può configurare una ipotesi di sanatoria della lottizzazione, in quanto trattasi di ipotesi non prevista dalle disposizioni regolanti la sanatoria edilizia contenute nella legge n. 47 del 1985, nè dalle norme che prevedono il cd. condono edilizio di cui alla legge 23 dicembre 1994 n. 724. (Nell'occasione la corte ha altresì rilevato come in tale ipotesi non possa configurarsi un causa di giustificazione -ex post- non contemplata, in via generale, dal codice penale). Pres. Avitabile D - Est. Onorato P - Imp. Venuti N ed altri - PM. (Parz. Diff.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21 gennaio 2002 (UD.05/12/2001) RV. 220851, Sentenza n. 01966

Autorità amministrativa - potere di controllo e vigilanza - potere cautelare - condizioni per il rilascio della concessione o autorizzazione - interesse pubblico perseguito - principi costituzionali richiamo all’articolo 97 della Costituzione - principio del buon andamento - principio della adeguatezza e della coerenza della concreta determinazione amministrativa. La trasmissione del rapporto o del verbale all’autorità amministrativa non è una condizione per l’esercizio del potere di controllo e vigilanza e tanto meno si atteggia a requisito di legittimità del potere di sospensione, trattandosi invece dello strumento occasionale che consente all’Amministrazione di attivarsi per verificare il concreto svolgimento dell’attività assentita e valutarne la sua compatibilità con l’interesse pubblico. (Nella fattispecie un decreto del Prefetto di Napoli che (nel 1988) aveva sospeso una concessione per l’esercizio di un’attività particolarmente pericolosa - l’imbottigliamento e il travaso di petrolio liquefatto per uso domestico - in virtù di una denuncia della Guardia di Finanza che segnalava la presunta realizzazione di alcuni reati da parte del concessionario, in applicazione dell’art. 11 della L. 7 del 1973). In realtà, il particolare impatto sociale dell’attività assentita e le possibili conseguenze dannose o pericolose che da essa possono derivare anche su altri beni oggetto di eguale rilievo e garanzia costituzionale del diritto di impresa (salute, ambiente, proprietà privata, sicurezza pubblica) hanno indotto il legislatore a fornire all’amministrazione un potere di controllo e vigilanza, particolarmente pregnante, in occasione dell’accertamento di gravi fatti collegati all’esercizio della predetta attività, al fine di dare concreta, incisiva, adeguata ed immediata protezione all’interesse pubblico perseguito con lo stesso rilascio della concessione o autorizzazione: in modo particolare, l’autorità amministrativa deve sostanzialmente verificare che persistano tutte le condizioni, oggettive e soggettive, che legittimarono il rilascio del titolo e che l’esercizio dell’attività di impresa, assicurata e tutelata a livello costituzionale, si svolga nell’interesse generale e di tutti i consociati, e cioè non solo nel rispetto delle prescrizioni stabilite dalla legge (o di quelle particolari indicate nel titolo), ma anche e soprattutto senza ledere o mettere in pericolo altri beni o interessi di eguale rilievo. Così delineata la ratio del potere in esame, è evidente che il suo concreto esercizio, che deve rispondere ai principi costituzionali scolpiti nell’articolo 97 della Costituzione, deve essere ancorato all’accertamento di precisi e specifici elementi di fatto da cui emerga, secondo una valutazione seria, ragionevole e non arbitraria, la lesione o la messa in pericolo dell’interesse pubblico perseguito con il rilascio della originaria concessione o autorizzazione ovvero l’incompatibilità dell’esercizio del diritto di impresa con il rispetto degli altri diritti, pure costituzionalmente garantiti, appartenenti a tutti gli altri consociati. Infatti il principio di imparzialità, che deve caratterizzare l’azione amministrativa, impone che l’adozione di qualsiasi provvedimento amministrativo sia logicamente preceduto dall’accertamento dei fatti da cui possano ricavarsi tutti gli interessi pubblici coinvolti, pubblici e privati, ai fini dell’individuazione del concreto interesse pubblico perseguito. Non vi può essere pertanto alcun automatismo tra il provvedimento di sospensione della concessione o dell’autorizzazione e l’esistenza di un rapporto o verbale di accertamento di organi ispettivi o di polizia giudiziaria circa la violazione di prescrizioni nella materia in argomento, essendo necessario che l’autorità amministrativo evidenzi e motivi quegli elementi di fatto significativi ed indicativi a far ritenere leso o messo in pericolo l’interesse pubblico perseguito dal titolo abilitativo. Il principio del buon andamento implica poi che le scelte amministrative siano adeguate e coerenti tra di loro, siano improntate al rispetto dei principi di buona fede ed affidamento, siano caratterizzate da economicità, effettività e speditezza. Sotto tale ultimo profilo, anche la durata del provvedimento di sospensione rientra logicamente e razionalmente nell’ambito del potere discrezionale attribuito alla pubblica amministrazione dall’articolo 11, ultimo comma, della legge 2 febbraio 1973 n. 7, atteso che in essa trova attuazione il principio della adeguatezza e della coerenza della concreta determinazione amministrativa. Pertanto l’espressione "sino all’esito del giudizio penale", di cui alla norma in esame, va intesa come termine massimo della durata della sospensione: ciò anche in considerazione della evidente irragionevolezza di una diversa interpretazione che potrebbe comportare l’adozione di una sanzione cautelare addirittura per un tempo maggiore dell’analoga pena accessoria conseguente alla condanna penale. Dalla lettura del decreto prefettizio di sospensione della originaria autorizzazione rilasciata alla società Mondialgas, oggetto dell’impugnazione di primo grado, non emerge infatti alcun elemento che evidenzi l’effettiva valutazione dei fatti riportati nel rapporto della Guardia di Finanza e del loro rapporto con l’interesse pubblico al corretto esercizio dell’attività assentita. Il decreto prefettizio di sospensione appare esclusivamente fondato sul fatto della esistenza del rapporto penale, che - come sopra evidenziato - non ne costituisce un requisito di legittimità, ma solo l’occasione per il suo esercizio. Risulta pertanto concretamente irrogata una sanzione cautelare atipica espressamente esclusa dal più volte citato ultimo comma dell’articolo 11 della legge 2 febbraio 1973 n. 7, tanto più che, in violazione del principio dell’adeguatezza e della coerenza che deve improntare l’azione amministrativa, essa è stata disposta, senza alcuna motivazione, "sino all’esito del giudizio penale". Consiglio di Stato, Sez. IV - Sentenza 17 gennaio 2002 n. 242

Urbanistica - revoca in autotutela dell’autorizzazione per l’installazione di un’insegna pubblicitaria per erronea rappresentazione dei fatti - ambito tecnico discrezionale ed estetico urbanistico - prerogativa dell’amministrazione. La valutazione relativa all’erroneità delle conclusioni a cui è pervenuta l’amministrazione attiene a quell’ambito tecnico-discrezionale che appartiene specificamente alla stessa amministrazione e in ordine al quale non emergono elementi idonei a mettere in discussione le conclusioni estetico-urbanistiche alle quali è pervenuto l’apposito ufficio comunale. Infatti nella valutazione estetica che conduce all’accoglimento o alla reiezione della autorizzazione richiesta, assume un ruolo determinante il rapporto proporzionale che si instaura tra il cubo trifacciale ed il supporto (tetto dell’edificio) su cui il cubo insiste. (Nella fattispecie il disegno del supporto ed il fotomontaggio, anche esso allegato all’istanza, rappresentano un rapporto proporzionale sensibilmente diverso da quello effettivo: è fuori da ogni contestazione, infatti, che questi due elementi di documentazione presentassero un cubo di dimensioni pari mt. 4x4x4 e non 6x6x6, come invece raffigurato nella documentazione in scala 1:50). L’ufficio competente ha valutato l’impianto sulla base di una raffigurazione, in scala, della sola insegna luminosa e di uno schizzo e di un fotomontaggio, non in scala, che presentavano l’insegna montata sul supporto; la documentazione presentata dalla società istante, ha fornito così una percezione delle proporzioni volumetriche che si realizzavano tra l’insegna ed il palazzo sottostante del tutto non esatta. Il provvedimento in autotutela si fonda proprio su questa erronea rappresentazione della realtà, indotta dalle modalità con le quali la Società interessata ha rappresentato il manufatto, rappresentazione che ha indotto l’amministrazione a concedere l’autorizzazione; appena, a fronte dell’avvio della realizzazione del manufatto, il Comune, alla luce dell’avviso dell’ufficio competente, ha potuto fattualmente rendersi conto delle sue reali proporzioni e del suo effetto dirompente, in termini di impatto estetico sul tessuto urbano, è intervenuta, con tempestività, la legittima revoca dell’autorizzazione. La parziale difformità del manufatto realizzato, rispetto a quello assentito, per quanto riguarda in particolare il sistema di appoggio sulla cornice del palazzo, è un elemento che si aggiunge alla falsa rappresentazione iniziale della realtà, che costituisce il motivo di fondo della revoca, ma non lo sostituisce in nessun momento del processo valutativo che ha condotto alla revoca. Consiglio di Stato Sez. V del 3 gennaio 2002, sent. n. 9. (Vedi: Sentenza per esteso)

Urbanistica - delibera di variante parziale al Prg - illegittimità - necessita di adeguata motivazione - obbligo d’indicazione anche generica del relativo indennizzo. La delibera del consiglio comunale di adozione di variante parziale al Piano regolatore generale, necessita di adeguata motivazione e di una seppure generica indicazione del relativo indennizzo. Tali elementi non si rinvengono nelle relative delibere comunali; in particolare, non può considerarsi sufficiente ad assolvere l'onere dell'indicazione dell'indennizzo, la previsione dello stanziamento per l'espropriazione dei terreni, essendo diversi i relativi titoli. L'impugnativa della delibera non può, considerarsi tardiva, in mancanza della notifica della medesima alle parti interessate ovvero della prova della sua piena conoscenza in epoca anteriore al termine per la relativa impugnazione. Consiglio di Stato Sez. IV Sentenza del 13.12.2001 sent. n. 6238

Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche - provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque - giurisdizione del giudice amministrativo - le finalità  di tutela paesistica e ambientale, non sfuggono alla speciale giurisdizione del T.S.A.P. Ai sensi dell'art. 143 lett. a) R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775, spettano al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche le controversie che attengono a provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche: si veda, ad es., in generale SS.UU. dec. 15 luglio 1999 n. 403, a tenore della quale appartengono alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche tutti quei provvedimenti amministrativi che, anche se aventi finalità diverse, incidono in maniera diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche. Più in particolare, per quanto riguarda le concessioni edilizie, cfr. T.S.A.P., 29 maggio 1998 n. 52, in cui si afferma che la giurisdizione del detto tribunale ricomprende tutti gli atti i quali investono direttamente il regime delle acque pubbliche, nel cui ambito devono essere ricompresi anche gli atti generali in materia urbanistica nelle parti in cui siano diretti a influire in via immediata e diretta sul regime delle acque pubbliche, ivi  comprese le concessioni edilizie allorché incidano sul suddetto regime. (Le opere in questione hanno una diretta incidenza sulla regimazione delle acque del fiume Trebbia,  dato che il progetto prevede il ripristino dello scorrimento delle acque nel letto del fiume, fino all'impatto con la traversa esistente e ora da ripristinare e completare, acque che attualmente scorrono in una galleria artificiale per un tratto di circa trecento metri a suo tempo scavata sul fianco del letto del fiume). Ciò chiarito, poiché tutti gli atti impugnati nella presente controversia sono da considerare come direttamente incidenti sul regime delle acque del fiume Trebbia, appare al Collegio evidente l'insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo. Non vale opporre che i provvedimenti impugnati (sospensione dell'autorizzazione alla deviazione delle acque, annullamento della concessione edilizia, apposizione di un termine alla autorizzazione suddetta e sospensione  della concessione di derivazione acque) avrebbero a proprio presupposto  finalità  di tutela paesistica e ambientale, e come tali sfuggirebbero alla speciale giurisdizione del T.S.A.P., che riguarda la diversa materia della tutela delle acque pubbliche: al contrario, ciò che rileva, ai fini della individuazione del giudice competente, è soltanto l'incidenza oggettiva sul regime delle acque, per cui sono considerati provvedimenti in materia di acque pubbliche tutti quei provvedimenti amministrativi i quali, pur  costituendo esercizio di un potere non propriamente attinente alla materia in parola, che incidono cioè su interessi generali o diversi rispetto a quelli specifici relativi alla demanialità delle acque, attengano comunque alla utilizzazione del demanio stesso, interferendo immediatamente e direttamente sulle opere destinate a tale utilizzazione, e cioè, in definitiva, sul regime delle acque pubbliche (SS.UU., 18 dicembre 1998 n. 12706). E che tali provvedimenti, aventi finalità diverse da quelle direttamente attinenti alla regimazione delle acque, ricadano comunque nella giurisdizione del T.S.A.P., nel caso in cui, naturalmente, incidono in maniera diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche, risulta espressamente affermato, dalle SS.UU, 15 luglio 1999 n. 403, anche con espresso riferimento a provvedimenti emanati a tutela di interessi paesistici e ambientali, come nella specie. Consiglio di Stato Sez. V Sentenza del 3.12.2001, n. 6012. (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - realizzazione di un impianto di piscicoltura e commercializzazione degli inerti - insufficienza della sola concessione edilizia - attività di cava - necessità delle autorizzazioni da parte degli Enti preposti. La sola domanda di concessione edilizia, mirante a conseguire idoneo titolo a eseguire lavori di scavo per la realizzazione di un impianto di piscicoltura e a commercializzare gli inerti derivanti dai lavori di scavo, è inidonea quando si configurasse l’intento di dar vita ad una attività di cava, come tale estranea alla competenza comunale in quanto soggetta ad autorizzazione della provincia. Infatti, l’art. 2 L.R.V. 7 settembre 1982 n. 44, avente ad oggetto appunto la disciplina delle attività di cava, dopo aver affermato (secondo comma) che “i lavori  effettuati sul terreno ove è in corso la costruzione di opere pubbliche e private appartengono ai movimenti di terra e non sono soggetti alla presente normativa”, precisa (terzo comma) che non sono ugualmente ad essa soggetti i movimenti di terra e i lavori di miglioramenti fondiari “che avvengono senza utilizzazione di materiali a scopo industriale od edilizio, chiarendo infine che (quarto comma)  qualora le attività di cui al precedente comma avvengano per gli scopi ivi individuati, anche se secondari, acquistano il carattere di attività di cava e vengono assoggettate alle norme della presente legge. E cioè necessitano dell’autorizzazione da parte della Giunta Provinciale su parere, a seconda del tipo di moglioria fondiaria, o dell’ingegnere capo del genio civile ovvero del capo dell’ispettorato agrario provinciale (art.18). Consiglio di Stato sez. V sent. del 22 novembre 2001 n. 2330

Urbanistica - prg temine per impugnare, pubblicazione, esecutività e decorrenza - la lesività del provvedimento. Nei confronti del piano regolatore, al pari di tutti gli atti a contenuto generale, il termine per impugnare decorre dal momento in cui si verifica la lesione dell’interesse sostanziale ovvero quando il pregiudizio del ricorrente sebbene non verificato, si verificherà certamente in futuro. Nella specie, la lesività del provvedimento è direttamente connessa alla sua emanazione e non dipende dalla decorrenza del termine che la legge richiede per la sua efficacia: la necessità che fra la pubblicazione del provvedimento stesso e la sua entrata in vigore decorra il termine di quindici giorni previsto dall’art. 51 della l.r. n. 61/85 rappresenta una mera condizione termine di operatività, che ha rilevanza solo in relazione alla capacità dello strumento urbanistico di regolare l’assetto del territorio e per consentire all’Amministrazione di adottare i provvedimenti conformativi del Piano stesso. Non è quindi il momento dell'esecutività del provvedimento a determinare la eventuale lesione nella sfera del privato, ma la sua pubblicazione che assolve allo scopo di renderlo conoscibile e determinare le modificazioni nella sfera degli interessi protetti da cui deriva l’efficacia lesiva dell’atto e la cui conseguente impugnabilità.Del resto la giurisprudenza amministrativa è del tutto consolidata nell'affermare che il termine per l'impugnazione del P.R.G. (e delle sue varianti) decorre dalla data di pubblicazione, non essendo richiesta la sua notificazione agli interessati né il decorso dell’ulteriore termine di efficacia. E ciò per il presupposto che il piano regolatore, o la sua variante generale costituiscono strumenti di disciplina globale o per ampi comparti del territorio comunale, tali cioè da definire un assetto aggregato di prescrizioni, la cui interazione postula l'unicità del disegno e la non scomponibilità dei singoli precetti, tutti coerentemente indirizzati a un risultato globale. Consiglio di Stato, Sez. IV - Sentenza 16 ottobre 2001 n. 5467

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali - Sanatoria prevista dall'art. 43, L. 47/1985 - Provvedimenti del giudice penale relativi a violazioni tali da stravolgere l'opera iniziale - Applicabilità - Esclusione - L. 47/1985 art. 43 c. lett. U. - L. 724/1994 art. 39. La disposizione dell'art. 43, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47 - secondo la quale possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per provvedimenti giurisdizionali o amministrativi, limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità - non si applica nell'ipotesi di provvedimenti del giudice penale concernenti violazioni di rilievo tale da stravolgere le caratteristiche iniziali dell'opera abusiva ovvero concernano plurime violazioni che abbiano consentito l'edificazione dell'intera opera o di una parte rilevante di essa. (Fattispecie in cui all'epoca del primo sequestro erano state realizzate solo le strutture di fondazione in cemento armato mentre al 31 dicembre 1993, data in cui l'opera avrebbe dovuto essere ultimata per poter beneficiare della sanatoria, era stata realizzata una struttura di due piani). Pres. Battisti M - Est. Marzano F - Imp. Murica - PM. (Diff.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, 11 ottobre 2001 (CC.24/01/2001) RV. 220591, Sentenza n. 36794

Prg - varianti specifiche, varianti normative e varianti generali - casi in cui è necessaria la motivazione in concreto delle scelte d’indirizzo di politica urbanistica - errori di fatto, lesioni d’interessi meritevoli di tutela o abnormi illogicità. Le varianti ai piani regolatori generali, possono essere distinte, in relazione alla loro funzione ed estensione, in varianti specifiche, varianti normative e varianti generali, queste ultime consistendo, in sostanza, in una nuova disciplina generale dell'assetto del territorio, resasi necessaria perché il piano regolatore generale ha durata indeterminata e quindi deve essere soggetto a revisioni periodiche (nel caso di specie il Comune di Busto Arsizio, come risulta dall'ampia ed esauriente relazione tecnica facente parte integrante della delibera di adozione della variante, ha inteso perseguire, fra gli altri obiettivi, quello inerente uno sviluppo razionale ed ecocompatibile della politica urbanistica, informando le scelte contenute nella variante a svariati parametri generali). L'indirizzo di politica urbanistica espresso negli strumenti generali di pianificazione, implica importanti conseguenze in ordine al sindacato di legittimità esigibile dal giudice amministrativo, ed al contenuto della motivazione in concreto indispensabile, specie in considerazione di quanto previsto dal secondo comma dell’art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241, la dove esclude dall’obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale (nel cui novero rientra lo strumento urbanistico generale). Coerentemente, si è affermato che: a) le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione del piano costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (cfr. ex plurimis e di recente, Sez. IV, 8 febbraio 1999, n. 121); b) in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell’amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali - di ordine tecnico discrezionale - seguiti nell’impostazione del piano stesso (cfr.  Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24;  Sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 245; Sez. IV, 24 dicembre 1999, n. 1943; Sez. IV, 2 novembre 1995, n. 887, Sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 99), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni. Le evenienze che, uniche, giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali (non presenti nell'odierna fattispecie), sono state ravvisate dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Ad. plen. n. 24 del 1999 cit.): a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore và riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) nella  lesione (parimenti non ricorrente nella specie), dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle areee, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione - (cfr. Ad. Plen. n. 24 del 1999, cit.; 8 gennaio 1986, n. 1); c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. Sez. IV, 9 aprile 1999, n. 594). Consiglio di Stato Sez. IV sent. del 3.10.2001, n. 5224

Prg - variante generale - vincoli scaduti - reiterazione - necessità della “motivazione specifica”.  Non si esclude che i vincoli scaduti possano essere reiterati ma si sostiene che la «motivazione adeguata» - richiamata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (Corte cost. 22 dicembre 1989 n. 575). e del giudice amministrativo come condizione indefettibile perché il Comune possa rinnovare i vincoli - deve essere intesa come motivazione riferita alla singola area sulla quale il vincolo viene reiterato, nel senso che l'Amministrazione deve esplicitare le ragioni per le quali proprio quel determinato terreno è ancora necessario per la realizzazione delle finalità che la pianificazione urbanistica si propone e deve anche dimostrare la mancanza, allo stato, di soluzioni alternative. (Nella fattispecie secondo i ricorrenti, il contenuto effettivo dell'impugnato strumento urbanistico, in fatto, non potrebbe qualificarsi «variante generale» giacché esaurirebbe la sua portata nella mera, immotivata reiterazione di vincoli già scaduti). La necessità di una motivazione specifica riferita al vincolo riproposto sulla singola area, oltre a rispondere a ragioni di giustizia sostanziale (non essendo lecito continuare a vessare il privato proprietario senza neppure preoccuparsi di comparare le sue ragioni con quelle rappresentate dall'Amministrazione), precluderebbe a quest'ultima la possibilità di ricorrere all'espediente di qualificare come «variante generale» provvedimenti di mera conferma totale dei vincoli scaduti al fine di sottrarsi (dietro lo schermo dei principi enunciati dalla giurisprudenza per questo tipo di strumento urbanistico) all'obbligo di una adeguata istruttoria e di una puntuale motivazione sulla persistente attualità del pubblico interesse a continuare a disporre proprio di quel determinato terreno. Consiglio di Stato Sez. IV sent. del 3.10.2001, n. 5224

Urbanistica e edilizia - Violazioni edilizie - Definizione agevolata - Sanatoria delle opere abusive - Documentazione - Dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà - Inclusione della data di ultimazione dei lavori - Necessità - Sussistenza - Cod.Pen art. 483 - L. 47/1985 art. 35 c. 3 - L. 724/1994 art. 39 - L. 15/1968 art. 4. In tema di definizione agevolata delle violazioni edilizie, se è vero che l'art. 39 comma quarto della legge 23 dicembre 1994 n. 724 si limita a prevedere che il richiedente possa sostituire i documenti indicati nell'art. 35 comma terzo della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (che prevede il procedi-mento per la sanatoria delle opere abusive) con apposita dichiarazione resa ai sensi dell'art. 4 della legge 4 gennaio 1968 n. 15 (che ammette la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà), tuttavia è necessario che la data di ultimazione dei lavori risulti dalla predetta dichiarazione sostitutiva, come si desume dalla circostanza che tale limite temporale è il presupposto indefettibile per la concessione della sanatoria, prevista dal comma primo del citato art. 39; ne consegue che tale dato deve necessariamente essere comprovato, quantomeno con le medesime modalità previste per l'altra documentazione. Pres. Foscarini B - Est. Malpica E - Imp. Di Bari R - PM. (Conf.) Monetti V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 26 settembre 2001 (UD.15/06/2001) RV. 220222, Sentenza n. 34815

Urbanistica - c.d. “occupazione appropriativa” sine titulo da parte di un Ente pubblico per la realizzazione di un’opera pubblica - fattispecie illecita causativa di danno - risarcimento del danno - ipotesi di cumpensatio lucri cum damno. In un'ipotesi di c.d. occupazione appropriativa, istituto di creazione pretoria ormai pacificamente riconosciuto nel nostro ordinamento in forza del quale, allorquando un suolo privato venga occupato sine titulo da un Ente pubblico per la realizzazione di opera pubblica, la radicale trasformazione del suolo comporta il trasferimento della proprietà del suolo in capo all'Ente pubblico, il quale è tuttavia obbligato a risarcire il danno subito dal proprietario del suolo per la perdita della proprietà del terreno. L'occupazione appropriativa, pertanto, integra una fattispecie illecita causativa di danno, caratterizzata dall'illegittima (in quanto sine titulo) occupazione di un suolo privato, dalla demolizione delle opere ivi esistenti e dalla realizzazione, al posto di tali opere, di un'opera di pubblica utilità, che comporti una radicale trasformazione del suolo: trattasi, quindi, di una fattispecie complessa, caratterizzata da più fatti materiali susseguenti, che si completa con l'effetto traslativo (che avviene nel momento della radicale trasformazione del suolo), e che comporta, una volta completata, l'insorgenza dell'obbligo dell'Ente pubblico di risarcire il danno derivato al privato dalla perdita del terreno di sua proprietà. Per giurisprudenza costante, perché si verifichi la compensatio il danno ed il vantaggio devono essere conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 15 aprile 1993, n. 4475), (nel caso di specie il danno patito dall'appellato conseguirebbe direttamente e immediatamente al fatto illecito dell'occupazione illegittima, mentre il vantaggio - consistente nell'aumento di valore del fondo - si ricollegherebbe all'esecuzione dell'opera pubblica, ossia ad un fatto diverso rispetto a quello prodotto di danno). Non vi è dubbio che il danno ed il vantaggio siano conseguenze dello stesso fatto illecito, in quanto entrambi derivano dalla medesima fattispecie, e cioè dall'irreversibile trasformazione del suolo conseguente all'illegittima occupazione dello stesso da parte del Comune. Né, peraltro, l'abbattimento del muretto può essere considerato come un fatto illecito autonomo rispetto alla fattispecie dell'occupazione appropriativa del suolo, e quindi, come tale, produttivo di un danno distinto e diverso rispetto alla mera perdita della proprietà del suolo: l'abbattimento in questione, infatti, è comunque funzionale alla realizzazione dell'opera pubblica (allargamento della sede stradale), e concorre pertanto alla produzione dell'irreversibile trasformazione del suolo, e quindi al perfezionamento della fattispecie causativa del danno. Ne discende che il danno conseguente all'abbattimento del muretto (consistente nel fatto che il predetto muretto a secco non è stato ricostruito da parte del Comune, che pure l'ha abbattuto) è comunque conseguenza immediata e diretta della fattispecie consistente nell'occupazione appropriativa, e rientra nel danno da questa prodotto, che ovviamente andrà quantificato anche tenendo conto della circostanza relativa alla mancata ricostruzione del muretto. Per le ragioni cha precedono, dovendosi operare nella specie la cumpensatio lucri cum damno, ed essendo il vantaggio patrimoniale conseguente dalla realizzazione dell'opera pubblica maggiore (sia pure di pochissimo) al danno subito, deve escludersi il diritto del ricorrente all'invocato risarcimento del danno. Consegue l'accoglimento dell'appello, e la riforma della sentenza impugnata, con il rigetto della domanda proposta dal ricorrente in primo grado. Tribunale di Brindisi, Sezione Civile - Sentenza 30 maggio 2001 n. 396.

 Prg adottato e norme tecniche di attuazione - impugnabilità - condizioni. La giurisprudenza ha da tempo (Cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Ap., 9 marzo 1983 n. 1) avvertito che un piano regolatore adottato è suscettibile di essere immediatamente lesivo, e,quindi, direttamente impugnabile allo stesso modo ed alle stesse condizioni del piano approvato; ne deriva che il piano adottato, nella misura in cui è direttamente impugnabile, diviene inoppugnabile se decorre il termine per eventuali ricorsi e l'applicazione delle misure di salvaguardia non riapre i termini per chi li abbia lasciati decorrere inutilmente. Va puntualizzato, in questo contesto, che l'adozione di uno strumento di programmazione generale o della relativa variante è impugnabile direttamente, indipendentemente dall'applicazione di misure di salvaguardia, solo se dalle previsioni ivi contenute derivi un immediato e diretto pregiudizio per le private situazioni (Cfr.,Cons. Stato, IV Sez., 15 luglio 1983 n. 538; Cons. Stato, Ap., 9 marzo 1983 n. 1 cit., IV Sez., 30 settembre 1976 n. 827, IV Sez., 11 maggio 1979 n. 312 e 17 febbraio 1981 n. 165, V Sez. 12 febbraio 1976 n. 239 e 19 febbraio 1974 n. 192, IV Sez. 3 giugno 1987 n. 326, 17 ottobre 1985 n. 454, 17 aprile 1973 n. 421, 20 marzo 1973 n. 245, 19 ottobre 1971 n. 890 e 15 luglio 1983 n. 538;T.A.R. Calabria, Catanzaro 2 marzo 1992 n. 96). E' stato anche ritenuto che le Norme tecniche di attuazione, rientrando tra le disposizioni programmatiche del P.R.G., non sono immediatamente lesive, con la conseguenza che devono essere impugnate unitamente al provvedimento applicativo (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., 14 settembre 1989 n. 589 ; T.A.R. Valle d'Aosta, 5 marzo 1992 n. 24). Tar Friuli Venezia Giulia, 21 luglio 2001, n. 421.

 P.R.G. - violazione dell’obbligo di astensione - i consiglieri comunali in conflitto d’interessi non vanno considerati controinteressati al ricorso - neanche sono da ritenere controinteressati i proprietari delle singole aree ricomprese nelle disposizioni del P.R.G.. E’ opinione della giurisprudenza amministrativa che i consiglieri comunali dei quali si assume, in sede di ricorso giurisdizionale avverso la deliberazione consiliare, la violazione dell’obbligo di astensione, non siano da considerare controinteressati al ricorso, in quanto non sono portatori di interessi propri, personali e diretti, alla conservazione dell’atto. Alla base della scelta legislativa afferente l’obbligo di astensione dei predetti soggetti non è la sfiducia sulla capacità del singolo consigliere di saper decidere anche contro il proprio personale interesse, ma piuttosto la convinzione che il soggetto, al quale è affidata la cura di un interesse pubblico, deve essere posto in condizione di operare senza condizionamenti di sorta. Pertanto, ogni qual volta la determinazione da assumere è in grado di riflettersi, positivamente o negativamente, sulla propria sfera giuridica, egli è obbligato ad astenersi, e la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità della manifestazione di volontà che egli ha concorso a formare, a prescindere dai vantaggi o dagli svantaggi che ne ha ricevuto e dalla legittimità o illegittimità del procedimento seguito (Cons. St. IV, 23 maggio 1994, n.437). L’astensione è infatti regola assoluta dettata al fine di assicurare agli utenti la trasparenza dell’azione amministrativa, indipendentemente dal concreto vantaggio che i singoli amministratori comunali abbiano potuto ricavare. Neanche sono da ritenere controinteressati i proprietari delle singole aree ricomprese nelle disposizioni del P.R.G., in quanto l’interesse qualificato, che costituisce la premessa per la posizione di controinteressato, deve essere espressamente tutelato dal provvedimento e percepibile come un vantaggio da questo individualmente attribuito (Cons. St. IV, 18 maggio 1998, n. 827). Il piano regolatore prescinde, infatti, dalle singole posizioni favorevoli o sfavorevoli dei proprietari delle aree nello stesso comprese, avendo la funzione esclusiva di predisporre un ordinato assetto del territorio comunale (Cons. St A.P., 8 maggio 1996, n. 2). Tar Lombardia - sezione staccata Brescia, sentenza del 20 luglio 2001, n. 610.  (vedi: sentenza per esteso)  

 Regime giuridico del piano interrato di una costruzione - necessità di  concessione edilizia. Il piano interrato di una costruzione è parte integrante e non elemento accessorio della stessa, essendo la pertinenza entità distinta dal bene al cui servizio o utilità si pone (art. 817 cod. civ.). Necessita quindi l’ottenimento della concessione edilizia per ricavare una nuova cubatura al piano interrato. Inoltre un lungo lasso di tempo intercorso tra l’emanazione dell’ordine di sospensione dei lavori e l’adozione dell’ordinanza di demolizione non rende illegittima quest’ultima perché la repressione degl’illeciti edilizi può esercitarsi in ogni tempo, mentre la legge accorda un’efficacia limitata all’ordine di sospensione dei lavori attesa la sua natura giuridica di provvedimento previsto a fini cautelativi, ossia per verificare la compatibilità  urbanistico-edilizia di un intervento edificatorio. T. A. R. Lazio, sez. II bis, sentenza del 20 luglio 2001, n. 6765. 

 Definizione del concetto di manutenzione straordinaria - casi di esonero dal pagamento degli oneri afferenti la rilasciata concessione. L’ultima categoria di opere edilizie ex art. 31, lett. b) della L. 5.8.1978, n. 457 ricomprende, nel concetto di manutenzione straordinaria, ogni innominata modifica necessaria per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non risultino alterati i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non siano introdotte modifiche delle destinazioni in uso. Detta prescrizione normativa primaria è stata espressamente definita prevalente sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi, detto assunto è peraltro insufficiente a giustificare la richiesta di pagamento degli oneri afferenti la rilasciata concessione, posto che non consta alcuna modificazione del volume, delle superfici e delle destinazioni d’uso dell’edificio. T. A. R. Lombardia, sez. staccata di Brescia 18 luglio 2001, n. 606

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Fattispecie estintiva ex art.39, c. 8 della L. 724/1994 - Applicazione anche al reato ex art.1 sexies del d.l. 312/1985 n.312 (conv.L. 431/1985) - Condizioni - Mancato adempimento delle prescrizioni - Conseguenze - L. 47/1985 artt. 13 e 22 - L. 431/1985. In tema di condono edilizio, la concessione in sanatoria comporta, ai sensi dell'art.39, comma 8 della legge 23 dicembre 1994, n.724, effetti estintivi anche dei reati attinenti al vincolo paesaggistico, qualora la concessione intervenga prima della sentenza definitiva, ovvero, nel caso es-sa intervenga dopo il passaggio in giudicato, la revoca dell'ordine di rimessione in pristino; tuttavia, trattandosi di atto sottoposto a condizioni, l'efficacia della sanatoria è subordinata all'adempimento delle prescrizioni in esso contenute, cosi che in caso di mancato adempimento delle stesse il giudice può dichiarare estinto il solo reato urbanistico e non quello paesaggistico, ovvero, qualora la sentenza sia passata in giudicato, può pro-cedere alla revoca dell'ordine di demolizione ma non anche di quello di rimessione in pristino. Pres. Avitabile D - Est. Novarese F - Imp. Olita M e altro - PM. (Conf.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 Luglio 2001 (CC.13/06/2001) RV. 219682, Ordinanza n. 28377

Concessione edilizia "rilasciata a titolo precario" - Illegittimità. E’ illegittimo il rilascio di una concessione edilizia "a titolo precario" (nella specie, il Comune di Rovigo aveva rilasciato, per l’installazione di una stazione radio-base per la telefonia cellulare, due concessioni edilizie dichiarando espressamente che venivano rilasciate "in precario"). Tra i diversi motivi che sorreggono il contestato annullamento di concessione edilizia vi è il caso in cui la precarietà della concessione appaia elemento essenziale all’atto e non possa configurarsi alla stregua di un mero elemento accidentale, atteso che il rilascio di concessioni edilizie a titolo precario non appare riconducibile ad alcuna specifica disposizione normativa. TAR VENETO, SEZ. II - Sentenze 18 giugno 2001 nn. 1587 - 1588.

Opere sottratte al regime di concessione edilizia. Devono ritenersi sottratte al regime della concessione edilizia soltanto quelle opere che siano riconducibili (anche in applicazione di previsioni normative dettate da disposizioni diverse da quelle della citata legge n. 47/1985) o al regime della autorizzazione comunale ovvero a quello, estremamente semplificato, della c.d. “denuncia di inizio di attività” che consente la esecuzione di particolari interventi su edifici preesistenti mediante la presentazione della medesima d.i.a. al Comune. Tar Lazio, sez. II ter, sentenza del 18 maggio 2001 n. 4246  (vedi: sentenza per esteso)  

Canna fumaria - installazione - regime autorizzativo. Necessità della concessione edilizia per la installazione  di una canna fumaria su un edificio quando risulta evidente, per le dimensioni della stessa e la conformazione, di eccessiva e sproporzionata mole e consistenza ponderale e per la conseguente alterazione, di palese evidenza, che arreca alla costruzione su cui è stata installata ed alla sua sagoma, che la stessa si presenta, nello spazio interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza, come un visibile prolungamento completativo degli elementi costituenti la sagoma di una fiancata e della sovrastante copertura a tetto spiovente dell’edificio preesistente, già realizzato. Tar Lazio, sez. II ter, sentenza del 18 maggio 2001 n. 4246  (vedi: sentenza per esteso

Annullamento in sede giurisdizionale di una concessione edilizia - necessità di notifica - restituzione in pristino qualora questa non sia possibile irrogazione di una sanzione pecuniaria - esecuzione delle decisioni - nomina commissario ad acta. In caso di annullamento in sede giurisdizionale di una concessione edilizia, non costituisce esecuzione del giudicato la notifica, da parte dell’Amministrazione comunale, di una mera diffida a demolire, alla quale non abbia fatto seguito un ulteriore provvedimento per il ripristino della legalità (Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 1978, n. 691). Nel caso in esame, l’Amministrazione comunale di Milano, dopo aver rigettato le reiterate domande di sanatoria presentata, si è limitata ad adottare -ben 11 mesi dopo il rigetto della domanda di condono- un ordine di demolizione. Non risulta, quindi, che nonostante la accertata abusività dell’intervento edilizio e la impossibilità di sanatoria, siano stati adottate le conseguenti iniziative repressive. Occorre, perciò, che si proceda alla restituzione in pristino ovvero, qualora questa non sia possibile, alla irrogazione di una sanzione pecuniaria. Per tale effetto, va ordinato al Comune resistente di dare completa esecuzione alle decisioni di questa Sezione entro 120 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione, se precedente, della presente decisione. Per l’eventualità che alla scadenza del predetto termine perduri l’inadempimento va nominato sin d’ora un commissario ad acta, il cui compenso -liquidato nel dispositivo- va posto a carico del Comune. Consiglio di Stato, Sez. V,  09.maggio.2001 n. 2601.

 Obbligo della concessione edilizia anche per le opere “precarie o pertinenziali“destinate ad una utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla loro facile rimozione. L’obbligo della licenza edilizia riguarda qualsiasi costruzione comunque infissa o interessante il suolo su cui la medesima viene installata non essendo rilevante la mancanza di uno stabile ancoraggio al suolo ma esclusivamente la sua destinazione ad una utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla sua facile rimozione, caratteristiche non contestabili nei due manufatti abusivamente realizzati i quali, per la loro consistenza e per i materiali utilizzati, pur non essendo destinati ad uso abitativo appaiono costituiti per una loro utilizzazione per un tempo di lunga ed indeterminata durata. Le dimensioni e la strutturazione dei manufatti in questione (box in lamiera poggiante su mattoni di tufo e altro manufatto in legno) che realizzano due corpi volumetrici occupanti complessivamente, sullo stesso lotto di terreno, una superficie di oltre 40 mq. ed utilizzabili come tali per esigenze di vario tipo, escludono la riconducibilità degli stessi alle opere pertinenziali che, come noto, presuppongono in ogni caso una riconoscibile strumentale destinazione di un bene ad esclusivo ed unico servizio di altro. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3588

 Opere pertinenziali - denuncia di inizio lavori - concessione edilizia. La “ratio” delle disposizioni che sottraggono la esecuzione di determinate opere al regime della concessione edilizia per ricondurle a quello, estremamente semplificato, della denuncia di inizio dei lavori e prevede appunto la realizzazione di opere a carattere pertinenziale (quali i parcheggi nel sottosuolo di aree esterne all’edificio) risiede nella considerazione, ad opera dello stesso legislatore, della non verificabilità di un impatto ambientale, di rilevanza edilizio-urbanistica, in  conseguenza della realizzazione di quelle opere pertinenziali che risultino occultate ovvero assorbite dall’impatto dell’edificio cui direttamente e visibilmente accedono, sicché ogni qualvolta non sia dato riscontrare tale naturale e diretto assorbimento volumetrico nell’edificio cui accedono, non può ritenersi più valere la mera denuncia di inizio dei lavori ad autorizzare la esecuzione degli stessi interventi, per i quali si richiede invece il preventivo rilascio della concessione edilizia. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3593

 Le opere consistenti in aumenti della cubatura ove ricadenti in aree protette, sono comunque da considerarsi come eseguiti in totale difformità della concessione. Ai fini della applicazione dell’art. 7 (e dell’art. 20) della legge n. 47/1985, le opere consistenti in aumenti della cubatura ove ricadenti in aree protette, sono comunque da considerarsi come eseguiti in totale difformità della concessione, come dispone l’art. 8 della stessa legge n. 47/1985, mentre tutti gli altri interventi sui medesimi immobili, come prosegue lo stesso art. 8 sono considerati variazioni essenziali, i quali ove abusivi vanno repressi mediante le sanzioni previste dal citato art. 7 l. n. 47/1985. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3590 (vedi: sentenza per esteso)  

 Ampliamento delle superfici ad uso di un locale mediante aggiunta di superfici aventi originaria diversa destinazione - accorpamento e superficie aggiuntiva - necessità della concessione edilizia. Allorquando sia dato riscontrare un ampliamento delle superfici ad uso di un locale avente una determinata destinazione, mediante l’aggiunta di altre superfici aventi originaria diversa destinazione deve ritenersi necessaria la concessione edilizia in considerazione di tale aumento superficiario, che va considerato di per sé come una trasformazione della unità immobiliare rispetto alla sua consistenza dimensionale ed alle relative destinazioni. L’art. 5 del D.M. 2.4.1968 (le cui disposizioni, come noto, assumono precipua rilevanza con riferimento ai mutamenti di destinazione d’uso di immobili che incidono sugli “standards” di cui allo stesso D.M.) fa riferimento, per quanto concerne specificamente gli insediamenti di carattere commerciale, alla “superficie lorda di pavimento” degli edifici a ciò destinati, la quale dunque perdurando la stessa destinazione, non può ritenersi suscettibile di essere liberamente variata. Analoghe considerazioni devono ritenersi valere anche per l’accorpamento del c.d. “vano di aerazione” di mq. 6 poiché anch’esso nel provvedimento impugnato è stato rilevato come utilizzato come superficie aggiuntiva. Legittimo deve pertanto ritenersi l’atto impugnato che, dopo aver rilevato i suindicati aumenti di superficie aggiuntiva al negozio, ha ingiunto alla ricorrente la loro rimozione al fine di rendere il locale, come specificato nello stesso provvedimento conforme alle prescrizioni dagli strumenti urbanistico-edilizi. T.A.R. Lazio Sezione II Ter 02.05.2001 n. 3589

Piano regolatore generale - destinazione di area a verde privato - concessione in sanatoria rilasciata per opera commerciale - concessione in sanatoria rilasciata in assenza di conformita' agli strumenti urbanistici generali - abuso di ufficio - sussistenza. In tema di abuso di ufficio, integra la violazione di legge, rilevante ai fini della configurabilita' del reato, il rilascio, da parte del Sindaco, di una concessione edilizia in sanatoria allorche' rimanga accertata l'assenza del requisito della conformita' dell'opera agli strumenti urbanistici generali (nella fattispecie, per contrasto con il Piano Regolatore Generale che escludeva l'edificazione di strutture commerciali nella zona, destinata a verde privato). Corte di Cassazione Sez. VI del 20 aprile 2001, sentenza n. 16241

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio previsto dalla L. 724/1994 - Silenzio assenso - Controllo da parte del giudice penale - Contenuto - L. 47/1985. In tema di condono edilizio, i presupposti che il giudice penale deve accertare per ritenere perfezionato il rilascio della concessione in sanatoria per silenzio assenso sono: a)il pagamento integrale dell'oblazione determinata in modo veritiero, b)il pagamento degli oneri di concessione, c) la presentazione della documentazione sulle opere abusive o della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà da parte del richiedente, fatta salva la documentazione fotografica e, ove prescritte, la perizia giurata e la certificazione tecnica sull'idoneità' statica delle opere, d)la denuncia tempestiva ai fini dell'accatastamento, e)il decorso del termine dall'entrata in vigore della legge 23 dicembre 1994 n. 724 (1 gennaio 1995) senza l'adozione di un provvedimento negativo della sanatoria. Pres. Acquarone R - Est. Onorato P - Imp. P.M. in proc. Vetturini M - PM. (Parz. Diff.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 5 aprile 2001 (UD.13/02/2001) RV. 218966, Sentenza n. 13836

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio previsto dalla L. 724/1994 art. 39 - Silenzio assenso - Presupposti - Individuazione - L. 47/1985 art. 20. In tema di condono edilizio ai sensi dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, i presupposti per la formazione del silenzio assenso comprendo-no non solo la presentazione della istanza di sanatoria ed il decorso del termine di un anno, ma anche il pagamento integrale dell'oblazione dovuta (come determinata dal comune), la presentazione della documentazione tecnica e fotografica e la denuncia tempestiva al catasto. Pres. Papadia U - Est. Onorato P - Imp. Vitrani D - PM. (Conf.) Galasso A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13 marzo 2001 (CC.18/01/2001) RV. 218962, Sentenza n. 10248

 E’ necessaria la concessione edilizia per la chiusura con inferriate di tre lati di un portico già murato sul quarto lato - vincolo ambientale - artt.1, sexies L. 431/85 e 20 lett. c) L. 47/85. La chiusura con inferriate di tre lati di un portico già murato sul quarto lato richiede la concessione edilizia perché il vallo così ricavato in aggiunta a quelli preesistenti sicuramente si presta ad uso abitativo diurno quanto meno nel periodo estivo, soprattutto se si tratta, come nel caso in esame, di un villino sito in una località calda (arcipelago toscano) ad uso prevalentemente estivo. A maggior ragione è necessaria anche l’autorizzazione da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale perché la messa in opera di preesistenti cancellate può avere un considerevole impatto ambientale che deve essere attentamente valutato dall’autorità predetta. (Nella specie la Suprema Corte confermava la sentenza emessa in data 10/4/2000 dalla Corte di Appello di Firenze che condannava G. M. L. alla pena di giorni quindici di arresto e di lire ventuno milioni di ammenda come colpevole dei reati di cui agli artt.1, sexies L. 431/85 e 20 lett. c) L. 47/85, perché in qualità di proprietaria e committente effettuava in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza concessione edilizia e senza l’autorizzazione, lavori consistenti nella chiusura del preesistente porticato con inferriate. Fatto accertato nell’isola di Giannutri nel maggio 1997). Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza 20 febbraio 2001 n. 6776.

 C.d. “zone bianche” - rispetto degli standards urbanistici, - rigetto dell’istanza concessoria - giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di contributi di concessione edilizia - diritto all’esenzione competenza G.O. - necessità di uno strumento urbanistico attuativo per la pianificazione delle opere di urbanizzazione. L'art. 16 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, prevede che “i ricorsi giurisdizionali contro il provvedimento con il quale la concessione viene data o negata nonché contro la determinazione e la liquidazione del contributo e delle sanzioni previste dagli artt. 15 e 18 sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali”. Tale norma devolve, peraltro, al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva solo in relazione a quelle determinazioni amministrative che incidono su diritti soggettivi e, in particolare, su quelle relative alla determinazione dei contributi di costruzione o urbanizzazione; in particolare, è stato ritenuto che la norma in questione configura un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di contributi di concessione edilizia, sicché, qualora, ad esempio, il concessionario contesti l'appartenenza stessa del potere impositivo in capo all'Amministrazione, sostenendo, ad esempio, di avere diritto alla esenzione, la situazione dedotta è di diritto soggettivo ed è quindi azionabile nel termine di prescrizione; qualora invece il concessionario contesti il corretto esercizio del potere stesso la situazione dedotta è di interesse legittimo ed è quindi azionabile nel termine di decadenza (cfr. Sez. V, n. 291 del 16-05-1989). Le opere di urbanizzazione (cfr. 4 agosto 2000, n. 4295) sono opere che trascendono le dimensioni del singolo lotto edificabile, per cui la loro pianificazione è effettuabile soltanto con uno strumento urbanistico attuativo; e che l’ipotesi di piani regolatori che - come nella specie - abbiano perduto in parte la loro efficacia, è da considerare prossima a quella dei piani che comprendono ab origine  “zone bianche”, piuttosto che a quella dei piani regolatori inesistenti; con la conseguenza che il venire meno dell’efficacia di una specifica destinazione non può equivalere alla totale inesistenza del piano urbanistico generale e che l’autorità comunale preposta non può limitarsi al controllo degli standards di cui all’art. 41 quinquies della LU n. 1150/1942 e all’art. 4 della legge n. 10/1977, perché la concessione è in ogni caso subordinata alla esistenza delle opere di urbanizzazione o alla previsione comunale della loro realizzazione entro un triennio o all’impegno del privato di costruirle insieme all’opera in progetto (art. 10 della legge n. 765/1967). E che il piano di lottizzazione possa rivelarsi necessario anche con riguardo ad edifici singoli è stato affermato a più riprese dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., tra le altre, Sez. V, 6 aprile 1991, n. 446; Ad. plen., 6 ottobre 1992 n. 12; Sez. IV, 9 novembre 1993 n. 37; Sez. V, 1° febbraio 1995, n.162); secondo cui, inoltre, la fattispecie lottizzatoria, se esula dalle situazioni di zone completamente urbanizzate, sussiste, invece, non soltanto nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, ma anche in quelle, intermedie, di zone parzialmente urbanizzate, nelle quali si configuri un'esigenza di raccordo col preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione (cfr. Cons. Stato, V, 7 ottobre 1985, n. 308; 7 maggio 1991, n. 712; 22 aprile 1992, n. 351; n.162/1995 cit.); sul punto la Sezione ha anche più volte sottolineato che per escludere la lottizzazione deve essere verificata una situazione di pressoché completa e razionale edificazione della zona tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo (Cons. Stato, V, 22 aprile 1992 n. 351 cit.). Deve ritenersi che le esigenze generali di programmazione del territorio non vengono del tutto meno quando la destinazione originaria assegnata ad una determinata zona dal piano regolatore si converta in una sostanziale destinazione a “zona bianca” a seguito della decadenza del vincolo urbanistico. Come si è visto sopra, anche per edifici unitari, ma di impatto urbanistico elevato, quale quello di cui si discute, (centro di ricerca farmaceutica) l’esigenza di assicurare il rispetto degli standards urbanistici rimane ferma; e ferma deve rimanere, quindi, l’esigenza di assicurare, anche nel caso in esame, il rispetto delle disciplina normativa urbanistica di livello regionale, secondo quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 4 della legge n. 10/1977, invocato, come si è già visto, dall’impresa interessata.  Consiglio di Stato sez. V Sentenza 15 febbraio 2001

 Concessione edilizia - necessita per tutte le modifiche permanenti, dell’assetto del territorio a prescindere dalle eventuali finalità edilizie. Tutte le modifiche permanenti, dell’assetto del territorio, a prescindere dalle eventuali finalità edilizie stricto sensu, necessitano di concessione comunale. Infatti, si è ritenuta la rilevanza urbanistica con conseguente illiceità penale ex art. 20. lettera b, L. n. 47/85, di un complesso di opere, tra le quali una fossa biologica ed un pozzo di captazione di acqua da falda, finalizzata alla trasformazione urbanistica edilizia del terreno destinato a zona agricola. Alla stregua di tale principio è stata, in particolare, in fattispecie analoghe alla presente, ritenuta la rilevanza urbanistica (con conseguente illiceità penale dei relativi interventi, posti in essere senza preventiva concessione), indipendentemente da eventuali finalità di sfruttamento edilizio del fondo, delle opere di spianamento, con aggiunta di materiale di riporto, in guisa da ricavarne dei piazzali praticabili a veicoli (v. Cass., sez. III, 9 giugno-9 ottobre 1982, Maiello, sez. 25 luglio 1991 n. 9978, Laviano). Corte di Cassazione, Sez. III, 5 febbraio 2001, n. 4768

  Definizione di trasformazione urbanistica - necessità della concessione. Sono assoggettate a concessione non le sole attività di edificazione “ma tutte quelle consistenti nella modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio, in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica” (C.D.S., Sez.V, 1 marzo 1993, n. 319) e, inoltre che “è soggetta a concessione da parte del Sindaco ogni attività che comporti la trasformazione del territorio attraverso l’esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, quando il mutamento o l’alterazione abbiano un rilievo ambientale, estetico o funzionale” (C.D.S., Sez. V, 23 gennaio 1991, n. 64), venendo infine precisato che “Necessita di concessione il manufatto che, pur se non infisso nel suolo ma soltanto aderente in modo stabile ad esso, è destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo” (C.D.S., Sez.V, 24 febbraio 1996). Produce dunque trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, anche in relazione alla sua qualificazione giuridica, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale del manufatto in quanto non si traduca in suo uso per fini contingenti e specifici (cfr. anche Sez. V, 20 dicembre 1999, n. 2125). Cons. Stato V Sez. n. 343 del 31.01.2001

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Termine per la presentazione dei documenti - Proroga disposta dal sindaco - Validità al fine di impedire la improcedibilità della domanda di condono - Esclusione - Fondamento - L. 724/1994 art. 39 - L. 662/1996 art. 2 c. 37 - L. 47/1985 art. 38. La procedura amministrativa di sanatoria edilizia prevista dagli artt. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 e 38 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 deve ritenersi improcedibile ( con conseguente diniego della sanatoria), ai sensi del comma 4 del citato art. 39 (come modificato dall'art. 2, comma 37, della legge 23 dicembre 1996 n. 662) non solo nel caso di mancata presentazione dei documenti entro il termine previsto dalla legge (tre mesi dalla richiesta), ma anche nel caso in cui il termine sia stato prorogato d'iniziativa del sindaco ed entro detto termine prorogato vi sia stato adempimento da parte del condonante, atteso che un termine stabilito dalla legge a pena di decadenza non può essere discrezionalmente prorogato dall'autorità' amministrativa. (In applicazione di tale principio la corte ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva negato la ulteriore sospensione del processo penale, avendo ritenuto estinta la procedura di condono dopo la scadenza dell'originario termine di legge). Pres. Malinconico A - Est. Onorato P - Imp. Knight F - PM. (Diff.) Donnarumma U. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 26 ottobre 2000 (UD.11/07/2000) RV. 217584, Sentenza n. 10969

 Soluzione del conflitto in materia di paesaggio e di rapporti tra Stato e Regione - regime giuridico dei provvedimenti autorizzativi - il potere di eventuale annullamento dell’autorizzazione concessa dalla regione - il principio di leale cooperazione tra Stato e Regione. Ai fini della soluzione del conflitto occorre richiamare i seguenti principi in materia di paesaggio e di rapporti tra Stato e Regione: a) il regime giuridico dei provvedimenti autorizzativi regionali in materia paesistica è definito esaustivamente dall’art. 1 del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modifiche, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, il quale pone - a carico di tutte le Regioni, anche di quelle ad autonomia speciale - l’obbligo di comunicazione di tali provvedimenti - insieme alla relativa documentazione - al Ministero per i beni culturali ed ambientali, proprio ai fini dell’esercizio dei poteri di controllo e di estrema difesa del vincolo paesistico (sentenze n. 341 del 1996; n. 151 del 1986); b) tali poteri statali di cui alla legge n. 431 del 1985 (che comprendono anche il potere di eventuale annullamento dell’autorizzazione concessa dalla regione), proprio per il fatto di essere posti ad estrema difesa dei vincoli paesaggistici, costituiscono parte di una disciplina qualificabile, per la diretta connessione con il valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9 della Costituzione), come norme fondamentali di riforma economico-sociale, in conformità, del resto, alla esplicita ed, in questo caso, pertinente autoqualificazione contenuta nell’art. 2 della stessa legge (sentenze n. 341 del 1996; n. 151 del 1986); c) la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali è affidata ad un sistema di intervento pubblico basato su competenze statali e regionali che concorrono o si intersecano, in una attuazione legislativa che impone il contemperamento dei rispettivi interessi, con l’osservanza in ogni caso del principio di equilibrata concorrenza e cooperazione tra le due competenze, in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio (v. sentenze n. 157 del 1998; n. 170 del 1997); d) non sussiste una incompatibilità tra la leale collaborazione tra Stato e Regione, da attuarsi concretamente attraverso la semplice informazione alla regione dell’avvio del procedimento di annullamento, e la previsione normativa del termine perentorio di sessanta giorni per l’esercizio di detto potere di annullamento, in quanto la semplice informativa alla regione può essere data con qualsiasi mezzo di comunicazione ed in maniera sintetica, senza la necessità di contestazione o di acquisizione del previo parere regionale. Corte Costituzionale Sentenza 25 ottobre 2000 n. 437. (Vedi: sentenza per esteso)

 La semplice comunicazione - termini perentori per l’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione da parte dello Stato - l’esercizio del potere di annullamento statale delle autorizzazioni paesistiche. Non può ritenersi - come invece sostiene la difesa dello Stato - irrilevante, ai fini del procedimento (in corso) di annullamento, la comunicazione alla Regione Valle d’Aosta, in quanto anche essa è titolare (sia pure come espressione di concorrenza di poteri, secondo un modello ispirato alla leale cooperazione: sentenza n. 151 del 1986; v. anche sentenza n. 242 del 1997) della funzione di tutela del paesaggio, rientrante anche nella sfera degli interessi regionali per previsione statutaria e quindi esercitabile anche autonomamente secondo le previsioni di legge. La semplice comunicazione, infatti, può consentire alla Regione (così come tale possibilità non può essere esclusa per il soggetto titolare della autorizzazione) di fornire - se crede opportuno - eventuali ulteriori elementi, documenti o delucidazioni, tenuto conto dei termini perentori per l’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione da parte dello Stato e, a sua volta, di informare il soggetto titolare della stessa autorizzazione (rilasciata dalla medesima Regione, con conseguenti eventuali responsabilità) dei rischi di iniziare o proseguire i lavori oggetto di autorizzazione regionale, efficace ed operante pure in pendenza del termine per l’annullamento. Infine deve essere sottolineato che l’anzidetto esercizio del potere di annullamento statale delle autorizzazioni paesistiche come espressione di sistema di concorrenza di poteri, realizzato non attraverso un atto complesso o una intesa, costituisce sempre una fase di secondo grado (rispetto ad una autorizzazione regionale perfetta ed efficace), nella quale vi è possibilità di introdurre - d’ufficio o su iniziativa dei soggetti portatori di interessi qualificati - documentazione ed elementi di fatto ulteriori rispetto all’istruttoria regionale. Questa speciale fase di secondo grado si caratterizza per l’autorità (statale) diversa da quella di primo grado (regionale), con un diverso responsabile del procedimento (argomentando anche da d.m. 13 giugno 1994, n. 495, art. 9 e tabella A) con poteri anche istruttori. Soprattutto la differenziazione si rileva nella discrezionalità propria di tale potere di annullamento statale, il cui esercizio e messa in moto d’ufficio (anche se ha per presupposto necessario, per la decorrenza del termine, la trasmissione di copia della autorizzazione regionale con la relativa documentazione) non è mai assolutamente dovuto o vincolato, ma è sempre eventuale e collegato alla valutazione discrezionale di esigenze "di estrema difesa del vincolo paesistico". Corte Costituzionale Sentenza 25 ottobre 2000 n. 437. (vedi: sentenza per esteso)

PRG - le possibilità di modifica del piano regolatore da parte della regione nella fase di approvazione - tipi di modifiche: a) obbligatorie, b) concordate, c) facoltative - definizioni. L'art. 10 comma 2, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall'art. 3 l. 6 agosto 1967, n. 765, prevede e disciplina le possibilità di modifica del piano regolatore da parte della regione nella fase di approvazione dello stesso. Le modifiche sono dei seguenti tipi: a) obbligatorie, in quanto riconosciute indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici; l'adozione di standards urbanistici minimi; b) concordate, ossia conseguenti all'accoglimento di osservazioni al piano regolatore, accettata dal comune; c) facoltative in quanto consistenti in innovazioni non sostanziali, tali cioè da non mutare le caratteristiche essenziali del piano ed i suoi criteri di impostazione (in termini, ex plurimis e da ultimo, sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 245; id., 24 dicembre 1999, n. 1943; id., 13 marzo 1998, n. 431; id., 20 febbraio 1998, n. 301; id., 27 marzo 1995, n. 206; id., 14 novembre 1994, n. 901; sez. II, 30 maggio 1990, n. 672). Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

Approvazione dello strumento urbanistico generale - modifiche “obbligatorie” - motivazione in concreto. In sede di approvazione dello strumento urbanistico, quando le modificazioni apportate dalla Regione appartengono al tipo di modifiche “obbligatorie”, s’implicano alcune conseguenze precise in ordine al contenuto della motivazione in concreto esigibile, specie in considerazione di quanto previsto dal secondo comma dell'art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241, la dove esclude dall'obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale. Coerentemente si è affermato che, in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell'amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali - di ordine tecnico discrezionale - seguiti nell'impostazione del piano stesso (cfr. sez. IV, 2 novembre 1995, n. 887, sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 99). Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

Approvazione dello strumento urbanistico generale - modifiche “obbligatorie” - obbligo della motivazione in concreto - autonomia del comune - modificazione d'ufficio. In sede di approvazione dello strumento urbanistico, la Regione è tenuta ad indicare le ragioni (di larga massima) delle modificazioni d'ufficio di una scelta urbanistica effettuata dal comune, in quanto altrimenti verrebbe menomata l'autonomia dello stesso comune, al quale in definitiva competono le determinazioni sulle modalità di utilizzo del territorio (cfr. sez. IV, 3 agosto 1998, n. 1126), la sezione osserva che tale obbligo di motivazione si atteggia diversamente a seconda del tipo di modificazione d'ufficio apportata dall'amministrazione regionale. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

Adozione del nuovo strumento urbanistico generale - tutela del paesaggio o dell'ambiente - zona agricola. La modifica destinata a tutelare il paesaggio o l'ambiente in genere, anche quando si risolve nell'imprimere ad un'area il connotato di zona agricola, non richiede una diffusa analisi argomentativa, specie se, come verificatosi nel caso in esame, la regione si limita a ripristinare la preesistente classificazione di zona agricola espungendo la destinazione complementare ad insediamenti produttivi, introdotta dal comune in sede di adozione del nuovo strumento urbanistico generale. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - P.R.G. - zona agricola - valenza conservativa dei valori naturalistici - funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano - giurisprudenza. La zona agricola possieda anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell'insediamento urbano, assumendo per tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano, è principio espresso dalla giurisprudenza di questo Consiglio ormai da alcuni lustri (cfr. sez. IV, 8 marzo 2000, n. 2639; n. 245 del 2000 citata; n. 1943 del 1999 citata; n. 431 del 1998 citata; sez. IV, 1 ottobre 1997, n. 1059 sez. IV, 28 settembre 1993, n. 968; sez. IV, 1 giugno 1993, 581; sez. V, 19 settembre 1991, n. 1168; sez. IV, 11 giugno 1990, n. 464, sez. IV, 17 gennaio 1989, n. 5). Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

In sede di approvazione di un piano regolatore, l'amministrazione può introdurre vincoli diretti alla protezione del paesaggio - bellezze naturali e pianificazione urbanistica - specifiche competenze dello stato (delegate alle Regioni). La sussistenza di specifiche competenze dello stato (ora delegate alle Regioni) in materia di bellezze naturali non esclude che la tutela di queste ultime sia un obbiettivo primario anche per la pianificazione urbanistica. Pertanto, in sede di approvazione di un piano regolatore, l'amministrazione a ciò competente può introdurre vincoli diretti alla protezione del paesaggio, ancorché non siano stati adottati i provvedimenti di cui alla l. 29 giugno 1939, n. 1497 ed anche in maniera caso più restrittiva di quelli previsti da questi ultimi, se emanati. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, sentenza n. 4076 (vedi: sentenza per esteso)

Concessione di costruzione - Concessione in sanatoria - Parere ex art. 32 Legge n. 47 del 1985 - Necessità - Vincolo - Successivo all'opera - Irrilevanza. In sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, l'obbligo di acquisire il parere da parte dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, previsto dall'art. 32 Legge 28 febbraio 1985 n. 47, sussiste indipendentemente dall'epoca di introduzione del vincolo stesso e quindi anche per le opere realizzate anteriormente. Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 3199 del 6.6.2000

Ricorso amministrativo - effettività della lesione - prova dell’effettiva e piena conoscenza della concessione edilizia rilasciata a terzi. La effettiva e piena conoscenza della concessione edilizia rilasciata a terzi deve essere provata "in modo rigoroso" da chi eccepisce la tardività della impugnazione (C.d.S. Sez. V, 17 gennaio 1991, n. 11; cfr. anche Sez. V, 30 marzo 1998, n. 381; 9 aprile 1994, n. 275; 17 dicembre 1990, n. 890) e che di regola essa si verifica, "in assenza di altri ed inequivoci elementi probatori, non con il mero inizio dei lavori edilizi, bensì con la loro ultimazione" (Sez. V, 18 settembre 1998, n. 1310; Sez. IV, 13 agosto 1997, n. 845). Ha precisato anche che, non implicando la conoscenza di una attività edificatoria quella del relativo titolo, poiché l’attività può svolgersi pur in mancanza di concessione o in difformità da essa, "ciò vale anche quando il vizio denunciato sia la violazione di distanze, perché pure in tal caso la compromissione, se è di immediata percezione, ben può essere stata realizzata in mancanza di concessione edilizia o in difformità da questa" (Cons. Gius. Amm.va Reg. Sicilia, 9 maggio 1990, n. 126). Ha infine puntualizzato che "la prova della effettiva e piena conoscenza del provvedimento concessorio, in quanto rigorosa, non può essere quindi induttiva; e ciò vale anche per il caso di controversia sulle distanze poiché l’esistenza dell’atto da impugnare può essere incerta, tanto più quando si sia nella fase iniziale dei lavori", non sempre essendo sufficiente tale fase, d’altro lato, "a produrre percezione della lesività dell’attività iniziata" (Sez. V, 25 ottobre 1999, n. 1688). E ciò ad ancora maggior titolo se, come è nella specie, la effettività della lesione viene collegata all’altezza del manufatto. Consiglio di Stato, Sez. V Sentenza 23 maggio 2000 n. 2983

Urbanistica e Edilizia - Condono - Poteri del giudice penale - Rapporto con le funzioni svolte dalla P.A. - Criteri di valutazione - L. 47/1985 art. 20 - L. 724/1994 art. 39. In tema di condono edilizio, compete al giudice penale il potere di accertamento di tutti gli elementi della fattispecie estintiva, fra i quali vi è l'osservanza del limite temporale e di quello volumetrico costituenti parametri stabiliti dal legislatore per la definizione dell'ambito di operatività del condono medesimo. Il controllo sulla loro ricorrenza non costituisce esercizio di una potestà riservata alla P.A. (alla quale competono tutti gli accertamenti relativi alla sanatoria "amministrativa") spettando invece al giudice penale il potere-dovere di espletare ogni accertamento per stabilire I'applicabilità della causa di estinzione del reato, sicchè, quando risulti che le opere edilizie abusive non siano state ultimate entro il termine stabilito ovvero che l'immobile superi la volumetria di settecentocinquanta metri cubi, l'imputato non può beneficiare del condono edilizio. (Ha peraltro precisato la Corte che la verifica della realizzazione dell'intera fattispecie estintiva non investe gli accertamenti di merito dell'autorità amministrativa relativi alla sanatoria delle opere abusive e opera an-che se non sussistono i requisiti che attengono alla conformità dell'opera realizzata agli strumenti urbanistici).ì Pres. Avitabile D - Est. Teresi A - Imp. Forliano - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 27 aprile 2000 (UD.08/03/2000) RV. 216052, Sentenza n. 05031

Urbanistica e edilizia - Concessione in sanatoria - Deroga ai limiti fissati dall'art. 39 L. 724/1994 - Possibilità - Casi - Individuazione. Ai fini della concessione in sanatoria di cui all'art. 39 della legge 724 del 1994, la deroga ai limiti di volumetria ivi previsti, è possibile solo quando la concessione originaria è stata oggetto di annullamento formale da parte dall'autorità' amministrativa o da parte del giudice amministrativo, non quando sia stata oggetto di disapplicazione da parte dell'autorità' giudiziaria ordinaria. Ciò anche quando la concessione edilizia originaria, successivamente annullata, abbia avuto natura tacita, cioè si sia formata attraverso il cd. silenzio-assenso. Pres. Papadia U - Est. Onorato P - Imp. Gioia G - PM. (Conf.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21 aprile 2000 (CC.16/02/2000) RV. 216566, Sentenza n. 00750

Urbanistica e edilizia - Concessione in sanatoria - Disapplicazione ad opera del giudice della cognizione - Possibilità di modifica da par-te del giudice dell'esecuzione - Esclusione - L. 47/1985 - L. 724/1994 art. 39. La disapplicazione giurisdizionale della concessione amministrativa in sanatoria resta ferma, e non può essere modificata dal giudice dell'esecuzione neppure per motivi non esaminati o non conosciuti dal giudice della cognizione. Pres. Papadia U - Est. Onorato P - Imp. Gioia G - PM. (Conf.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21 aprile 2000 (CC.16/02/2000) RV. 216565, Sentenza n. 750

Urbanistica e edilizia - Concessione edilizia - Silenzio assenso - Presupposti essenziali della formazione del silenzio assenso - Contrasto con le norme urbanistiche. Quando il silenzio-assenso si pone in netto contrasto con le norme urbanistiche applicabili alla zona interessata, a prescindere dalla decisione del collegio che dichiari illegittimo l’atto di “annullamento” del provvedimento sindacale, il ricorrente rimane comunque privo della concessione edilizia, attesa la non conformità del progetto alle norme urbanistiche vigenti. Poiché l’articolo 8, nono comma della L. 25/3/82, n. 94… include tra i presupposti essenziali della formazione del silenzio assenso l’allegazione alla domanda medesima del certificato di destinazione urbanistica dell’area interessata all’intervento, unitamente alla dichiarazione del progettista di conformità della istanza alle prescrizioni ivi indicate. TAR Campania, sede staccata di Salerno, 12 aprile 2000 n. 209

Differenza tra “concessione di sola costruzione” e “concessione di committenza (o di servizi)” - interpretazioni della Corte di Cassazione. La concessione ha per oggetto la costruzione dell’opera e tutto quanto è necessario per compierla (progettazione ed esecuzione dell’ opera, espropriazioni necessarie, autorizzazioni e pareri occorrenti, nulla osta, ecc.) fino a darla finita e collaudata. All’ interno della figura della concessione di sola costruzione, si suole distinguere fra concessione di sola costruzione in senso proprio, in cui l’ impegno del concessionario è limitato alla realizzazione dell’opera pubblica, e concessione di committenza (o di servizi), in cui il concessionario, sostituendosi alla pubblica amministrazione concedente, compie tutti gli adempimenti occorrenti per la realizzazione dell’ opera, e dunque le richiamate attività di progettazione, acquisizione delle aree, ottenimento dei permessi amministrativi, individuazione dei terzi appaltatori e vigilanza sull’ esecuzione. La distinzione ha tuttavia significato solo scolastico poiché il conferimento dell’ incarico limitato alla costruzione dell’ opera integra in realtà un rapporto di appalto in senso proprio, mentre con la concessione c.d. di sola costruzione il concessionario si obbliga ad eseguire, oltre l’ opera materiale, anche una serie di attività strumentali il cui esercizio presuppone il trasferimento delle funzioni pubbliche necessarie per l’ espletamento dell’ opera stessa. Ai fini della valutazione della questione di giurisdizione nella materia concessoria deve farsi riferimento alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, e dunque al complesso normativo derivante dagli artt. 5 della l. 6/12/1971 n. 1034 e 31 - bis l. 11/2/1994 n. 109, introdotto con l’ art. 9 del d.l. 101 del 1995. La Corte di Cassazione, in sede di regolamento di giurisdizione, e con riferimento proprio ad una fattispecie di concessione di costruzione e gestione, ha interpretato in modo restrittivo la norma, limitando l’ equiparazione di concessioni e appalti alle concessioni di sole costruzioni di opere pubbliche, escludendo quindi dalla predetta equiparazione le ipotesi in cui la concessione abbia un oggetto più esteso, riferendosi anche alla progettazione e gestione dell’ opera (Cass. 11/11/97 n. 11132; si veda altresì Cass. 13/6/96 n. 5450). Successivamente vi è stato un parziale mutamento d’indirizzo, nel senso che si è affermato che l’ art. 31-bis, quarto comma, non si riferisce soltanto alle concessioni di costruzione di opere pubbliche, ma deve ritenersi applicabile anche a quelle concessioni con le quali risultino commesse al cessionario, insieme alla realizzazione di una o più opere materiali, come nel caso dell’ appalto, anche una serie di attività, quali, tra le altre, la progettazione dell’ opera, la direzione dei lavori, la sorveglianza, la scelta degli appaltatori, il cui esercizio presuppone il trasferimento delle funzioni pubbliche relative (Cass. 10/8/99 n. 580; 27/7/99 n. 516; 25/5/99 n. 287; 17/12/98 n. 12622). L’equiparazione normativa, dal punto di vista giurisdizionale, fra concessioni in materia di lavori pubblici e appalti, opera dunque per la giurisprudenza non solo per le concessioni di sola costruzione, ma anche per quelle di committenza. Il mutamento dell’indirizzo giurisprudenziale resta però all’ evidenza sempre nell’ ambito della concessione di sola costruzione, atteso che, secondo quanto si è prima osservato, le concessioni di committenza costituiscono una sottocategoria di quelle di sola costruzione, avendo le attività richiamate (progettazione dell’ opera, ecc.) carattere accessorio rispetto alla costruzione, ed essendo funzionali a quest’ ultima. Anzi, ad essere più rigorosi, il mutamento è più apparente che reale, ove si pensi che la concessione di sola costruzione comprende anche il trasferimento delle funzioni pubbliche per le attività strumentali, ricadendosi altrimenti nel rapporto di appalto, sicché non poteva, alla stregua dell’ orientamento superato, distinguersi fra concessione di sola costruzione e concessione avente ad oggetto la progettazione. Tribunale di Bari, Sez. II Civile - Sentenza 11 aprile 2000.    (vedi: sentenza per esteso)

Condono (sanatoria edilizia) - la valutazione negativa della Commmissione Beni Ambientali. Ai fini del condono edilizio, la valutazione negativa della Commmissione Beni Ambientali costituisce atto di discrezionalità tecnica che deve  essere adeguatamente motivato sulle valutazioni compiute in ordine alla prevalenza dell'interesse pubblico giustificativo del sacrificio imposto al privato. Tar Toscana, sez. III, 7 aprile 2000 n. 602

Urbanistica e Edilizia - Reati edilizi - Sospensione dei procedimenti ex artt. 38 e 44 L. 47/1985 - Condotte illecite proseguite dopo il 31.12.1993 - Applicabilità - Esclusione - L. 724/1994 art. 30 c. 1. In tema di reati edilizi le sospensioni dei procedimenti penali previste dagli artt. 44 e 38 della legge n. 47 del 1985, facenti parte del capo IV di detta legge, richiamato dall'art. 39, comma primo, della legge n. 724 del 1994, non si applicano con riferimento ai reati che, dalla contestazione o dagli atti, risultino proseguiti dopo la data del 31 dicembre 1993. Pres. Consoli G - Est. Calabrese R - Imp. Toscano - PM. (Diff.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 29 marzo 2000 (CC.15/02/2000) RV. 215729, Sentenza n. 00782

Urbanistica e Edilizia - Domanda di condono - Effetti ai fini pubblici - Configurabilità del reato ex art. 483 cod. pen. - Reati contro la fede pubblica - Deliti - Falsità in atti pubblici - Condizioni per la configurabilità Domanda di Condono edilizio - Prova dei fatti attestati - Conseguenze - L. 47/1985 artt. 31 e 38 - L. 724/1994. II delitto di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico sussiste allorchè l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati. Nella domanda di condono edilizio la parte richiedente, dichiara che sussistono i requisiti previsti dalla legge per l'applicazione del beneficio richiesto. In particolare che la costruzione è stata conclusa prima del 31.12.1993 e che la misura globale delle opere è conforme alle previsioni di legge. Sulla base di queste dichiarazioni, la Pubblica Amministrazione ammette il richiedente alla procedura, salvi gli opportuni accertamenti. Pertanto la domanda di condono è chiaramente destinata a provare la verità dei fatti attestati, producendo immediatamente effetti rilevanti sul piano giuridico. Ne consegue che in questo caso, sussistendo l'oggetto della tute-la penale, la fattispecie prevista dall'articolo 483 cod. pen. trova piena applicazione. Pres. Consoli G - Est. Providenti F - Imp. Bazzichi - PM. (Conf.) Galati G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 23 marzo 2000 (UD.22/02/2000) RV. 215725, Sentenza n. 03762

Condono - reati urbanistici - potestà del giudice - sospensione. In tema di reati edilizi, la presentazione dell`istanza di condono, non esclude automaticamente la potestà del giudice ordinario di conoscere della vicenda, ma consente la possibilità di sospenderne l`esame giudiziario in attesa di definizione delle procedure di condono. L`effetto sospensivo non si verifica, per la semplice presentazione della domanda in sede amministrativa, bensì soltanto in esito agli accertamenti consentiti al giudice ordinario, consistenti nella verifica che le opere edilizie siano state completate entro il termine del 31 dicembre 1993, e che l`immobile non superi la volumetria prevista dalla legge. L`esito negativo dell`indicato esame, determina la persistenza del potere funzionale del giudice di verificare la legittimità dei comportamenti, indipendentemente dall`esito della procedura amministrativa. Cass. pen., sez. V, 23 marzo 2000, n. 3762

Lottizzazione abusiva - Contratti preliminari di alienazione dei singoli lotti - Annoverabilità o meno fra gli "atti equivalenti" al frazionamento e alla vendita, ai fini della configurabilità del reato - Contrasto di giurisprudenza".In tema di lottizzazione abusiva, fra gli "atti equivalenti" al frazionamento e alla vendita, cui fa riferimento, ai fini della configurabilità del reato, l'art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, possono ricomprendersi anche i contratti preliminari di alienazione dei singoli lotti, allorché gli stessi si collochino in un contesto indiziario atto a rivelare in modo non equivoco la finalità edificatoria, che costituisce l'elemento comune alle varie forme (materiale, negoziale, mista) in cui l'illecito può essere realizzato". Corte Cass., Sez. III,  del 22.3.2000, Sent. n. 812

Piano regolatore generale - Modifiche - Piano territoriale di coordinamento - Natura - Conseguenze - Fattispecie. Atteso che il piano territoriale di coordinamento, previsto dall'articolo 15, comma 2, legge 8 giugno 1990, n. 142, é atto di indirizzo, lo stesso é inidoneo ad introdurre nel piano regolatore generale di un comune, con forza innovativa e cogente, prescrizioni e vincoli privi di specifica causale legislativa o non riferibili a una attribuzione riservata della provincia stessa (nella specie la provincia non può introdurre d'ufficio modifiche al piano regolatore comunale per quanto riguarda i tracciati stradali interni al territorio comunale, quando gli stessi sono, comunque, coerenti alla localizzazione di massima della rete viaria). Cons. Stato, Sez. IV, del 20.3.2000, Sent. n. 1493

Urbanistica e Edilizia - Condono - Domanda - Effetti sui poteri del giudice - Sospensione automatica - Esclusione - Ragioni - L. 47/1985 artt. 31, 38 e 39 - L. 724/1994. In tema di reati edilizi, la presentazione dell'istanza di condono, non esclude automaticamente la potestà del giudice ordinario di conoscere della vicenda, ma consente la possibilità di sospenderne l'esame giudiziario in attesa di definizione delle procedure di condono. L'effetto sospensivo non si verifica, per la semplice presentazione della domanda in sede amministrativa, bensi soltanto in esito agli accertamenti consentiti al giudice ordinario, consistenti nella verifica che le opere edilizie siano state completate entro il termine del 31.12.1993, e che l'immobile non superi la volumetria prevista dalla legge. L'esito negativo dell'indicato esame, determina la persistenza del potere funzionale del giudice di verificare la legittimità dei comportamenti, indipendentemente dall'esito della procedura amministrativa. Pres. Consoli G - Est. Providenti F - Imp. Bazzichi - PM. (Conf.) Galati G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 23 marzo 2000 (UD.22/02/2000) RV. 215724, Sentenza n. 03762

Annullamento in sede di autotutela di una concessione edilizia - presupposti. Perché si possa legittimamente procedere all’annullamento in sede di autotutela di una concessione edilizia è necessaria la contemporanea presenza di un accertato vizio di legittimità dell’atto rimovendo e di un interesse pubblico, concreto ed attuale, alla sua rimozione. Consiglio di Stato, Sez. V, 13 marzo 2000, n. 1311

Costruzione serre - regime concessorio. La realizzazione di una serra con particolari tipologie costruttive (strutture in parte fisse) e la destinazione non provvisoria (che implica una permanente modificazione dell'assetto del territorio) necessita di concessione edilizia ex art. 1 L. 10/1977. (Conferma TAR Toscana Sez. I 14 marzo 1992, n. 129). Consiglio di Stato, Sez. V - Sentenza 13 marzo 2000 n. 1299

Urbanistica e Edilizia - Reati edilizi - Ordine di demolizione ex art. legge n. 47 del 1985 - Revoca - Possibilità - Sussistenza - Requisiti - Effettiva sanatoria - Presentazione di domanda di condono e versamento dell'oblazione - Insufficienza - Necessità di accertamento dei requisiti per la formazione del silenzio assenso - L. 47/1985 artt. 7 e 31- L. 724/1994 art. 39. Per la revoca dell'ordine di demolizione emesso ex art. 7 ult. comma I. n. 47 del 1985, è necessaria la effettiva esistenza di un atto amministrativo di sanatoria, espresso o tacito; in particolare, per l'assentimento silenzioso ex art. 39, comma 4, I. n. 724 del 1994, come modificato dalle leggi n.85/1995 e 662/1996, non basta la avvenuta presentazione di una domanda di condono ed il versamento completo dell'oblazione autodeterminata, ma è altresi indispensabile che l'istanza sia corredata da tutti i documenti prescritti dalla legge e che sussistano tutti i presupposti di fatto e di diritto normativamente previsti per il rilascio del provvedimento espresso, requisiti da accertarsi dal giudice dell'esecuzione anche attraverso l'esercizio dei poteri riconosciutigli dall'art. 666, comma 5, cod. proc. pen. Pres. Acquarone R - Est. Fiale A - Imp. PM in proc. Basile S - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 4 febbraio 2000 (CC.19/11/1999)RV.215459, Sentenza n. 03683

Urbanistica e Edilizia - Costruzione in violazione di norme edilizie - Condono edilizio - Diniego di sanatoria - Impugnazione amministrativa - Effetti sul procedimento penale - Sospensione - Esclusione - Ragione - L. 724/1994 art. 39.  Nell'ipotesi di ricorso al T.A.R. avverso il diniego di concessione edilizia in sanatoria ex art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 il procedimento penale non deve essere sospeso, polchè la legge non stabilisce, in materia, una pregiudiziale amministrativa ed attribuisce anzi al giudice penale il potere-dovere di espletare ogni accertamento per stabilire l'applicabilità della causa di estinzione del reato. Peraltro il giudice penale non è vincolato all'esito del procedimento instaurato davanti al giudice amministrativo, da cui l'inutilità' di ogni sospensione del giudizio penale. Pres. Savignano G - Est. Fiale A - Imp. Fornaca M - PM. (Conf.) Siniscalchi A.. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 2 febbraio 2000 (UD.05/1 1/1999) RV. 215603, Sentenza n. 01188

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio del 1994 - Falsa dichiarazione di conclusione dei lavori nel termine indicato nel provvedimento di clemenza - Falsità in atti - Falsità ideologica - Sussistenza del reato - Commessa da privato in atto pubblico - Cod.Pen art. 483 - L. 724/1994 - L. 47/1985 artt. 31 e 38. In tema di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico, polchè I'art 39 comma quarto della legge 23.12.1994 n. 724 conferisce alla dichiarazione della parte piena efficacia probatoria in ordine alla conclusione dei lavori entro il termine di applicabilità del condono edilizio, la eventuale falsità del contenuto di tale dichiarazione integra il reato di cui all'art. 483 cod.pen., dal momento che l'ordinamento attribuisce a tale dichiarazione valenza probatoria privilegiata, con esclusione della necessità di produrre ogni altra documentazione. Pres. letti G - Est. Cicchetti N - Imp. Di Paolo A - PM. (Diff.) Febbraro G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 1 settembre 1999 (UD.02/06/1999) RV. 214599, Sentenza n. 10377

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Limite legale di consistenza dell'opera - Riferimento alle singole unità - Esclusione - Obbligo di riferibilità all'intero edificio - L. 724/1994 art. 39 - L. 47/1985 art. 38. In materia di condono edilizio, ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite ad una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità. Ciò in quanto la ratio della norma è di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificato-rio. Pres. Tonini PM - Est. Mannino S - Imp. La Mantia R - PM. (Conf.) Meloni V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 7 Luglio 1999 (UD.26/04/1999) RV. 214280 Sentenza n. 08584

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio previsto dalla L. 724/1994 - Rustico eseguito entro il 31 dicembre 1993 - Completamento dell'opera edilizia successivo a tale data - Illiceità penale - Sussistenza - Sanzione accessoria della demolizione - Applicabilità - Esclusione - L. 47/1985 artt. 35 c. 14, e 38 c. 4 - D. L. 468/1994 art. 1. In tema di condono edilizio, nell'ipotesi in cui entro il 31 dicembre 1993 sia stato eseguito il rustico e completata la copertura del fabbricato abusivo, la prosecuzione dei lavori di integrale completamento dello stabile - dopo l'entrata in vigore del d.l. 26 luglio 1994 n. 468 - senza l'osservanza dell'articolo 35, comma 14, della legge 28 febbraio 1985 n. 47, deter-mina I'applicabilità delle sanzioni penali, escluse quelle amministrative (articolo 38, comma 4). Ed invero, il d.l. n. 468 del 1994 all'articolo 1 richiama i capi IV e V della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e, pertanto, anche il menzionato articolo 35, che al citato comma 14 subordina l'esecuzione delle ulteriori opere di completamento alla presentazione della domanda di sanatoria ed al versamento della seconda rata d'oblazione. Ne consegue che, se la statuizione non è rispettata ed i lavori sono posti in essere prima dell'indicato momento in cui la legge consente la loro esecuzione, il reato edilizio, che ha natura permanente, è del pari configurabile, pur se l'immobile non deve essere demolito. Pres. Papadia U - Est. Morgigni A - Imp. Cimini ed altro - PM. (Conf.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 18 Giugno 1999 (UD.10/05/1999) RV. 214368, Sentenza n. 07896

L’adozione del P.I.P. deve essere preceduta da analisi e ricerche - esigenze concrete ed effettive.  La giurisprudenza amministrativa, ha affermato che “l’adozione del P.I.P. deve essere preceduta da analisi e ricerche -in rapporto alla capacità espansiva della popolazione e alle concrete e documentate potenzialità economiche della zona- idonee a dimostrare le esigenze concrete ed effettive che hanno indotto il comune all’adozione del piano e in mancanza di queste indicazioni il piano stesso non può comportare sacrifici al diritto di proprietà dei privati (Cons. St., Sez. IV, 21.11.1999, n. 919)”. (Nella deliberazione in specie, risulterebbe del tutto assente una seria ed accurata analisi previsionale sulla necessità di aree da destinare allo sviluppo di attività produttive. Il piano, è finalizzato esclusivamente alla realizzazione del parco commerciale della Promo Centro Italia, mentre il suo scopo avrebbe dovuto essere quello “di incentivare tutte le attività produttive della collettività e non solo quelle di alcuni soggetti in posizione privilegiata”). La determinazione di adottare un P.I.P. -che è soprattutto uno strumento di politica economica, di incentivazione per le imprese, alle quali offre aree, espropriate ed urbanizzate, per il loro impianto o per la loro espansione,  ad un prezzo inferiore a quello di mercato- deve dimostrare, in conformità con la ratio dell’art. 27 della legge 22.10.1971, n. 865, che ha previsto tale piano urbanistico, la idoneità di questo ad apportare un incremento di ricchezza per l’intero sistema economico locale e non un vantaggio alle sole imprese che ne usufruiscono. T.A.R. Puglia - Lecce Sezione I, sentenza del 14.6.1999, n. 637

Urbanistica e edilizia - Reato di cui all'art. 1 sexies L. 431/1985 - Autorizzazione paesaggistica - Ottenibilità con la procedura del silenzio assenso - Esclusione - Ragione - L. 724/1994 art. 39 - L. 47/1985 artt. 32 e 38 - L. 431/1985 art. 7. La autorizzazione paesaggistica prevista per la estinzione del reato di cui all'art. 1 sexies legge 431 del 1985 in caso di realizzazione di manu-fatto sottoposto a procedura di condono edilizio non può ottenersi attraverso la formazione del silenzio assenso anche nel caso che il comune, subdelegato alla emissione del parere prescritto dall'art. 32 legge 47 del 1985 lo abbia espresso in senso favorevole, comunicandolo alla sovraintendenza. (Fattispecie nella quale la Corte ha osservato che la Regione Puglia aveva subdelegato ai comuni, con legge regionale, la emissione del parere da comunicare alla autorità amministrativa competente, ai sensi e per gli effetti del!' art. 82, comma 9, del D.P.R. 616 del 1977, come modificato dall'art. 1 del d.l. 312 del 1985, che prevede un termine perentorio per il rilascio o il diniego di autorizzazione, ma che la stessa legge prevede che decorso inutilmente il termine, gli interessati possono richiedere l'autorizzazione al Ministro; ciò escludendo la formazione del silenzio assenso). Pres. Papadia U - Est. Pioletti G - Imp. lannone M - PM. (Conf.) Siniscalchi A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 11 giugno 1999 (UD.04/05/1999) RV. 214215, Sentenza n. 07543

 Necessità del certificato di abitabilità.  Il certificato di abitabilità si rende necessario in tutti i casi di utilizzo di una nuova costruzione, anche se costituente solo ampliamento di un fabbricato preesistente; sussiste, infatti, anche in tale caso l`esigenza di un accertamento preventivo dell`inesistenza di cause di insalubrità e della conformità della costruzione agli strumenti urbanistici. Cass. pen., sez. III, 24 maggio 1999, n. 1388

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Prescrizione - Sospensioni di cui agli artt. 38 e 44 della L. 47 /1985 - Computo - L. 724/1994 artt. 29 e 39. In materia di cd. condono edilizio, va considerata, oltre alla sospensione di 223 giorni, dal 28/07/1994 al 01/03/1995 e dal 24/03/1995 al 31/03/1995, una seconda sospensione ai sensi degli artt. 38 e 44 della legge 47 del 1985 e 39 della legge 724 del 1994, ogni qual volta ricorra il duplice presupposto che l'imputato presenti una domanda di condono e versi la prima rata dell'oblazione nei termini di legge. In tale caso il giudice, verificati i presupposti, dispone la sospensione con provvedimento che ha natura meramente dichiarativa. Proprio per la natura dichiarativa, e non costitutiva, della sospensione, non è necessario un formale provvedimento giudiziale per la operatività della sospensione, che può essere accertata anche in sede di giudizio finale. Pres. Acquarone R - Est. Onorato P - Imp. P.M. in proc. Bartaloni F.ed altri - PM. (Conf.) Siniscalchi A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 15 maggio 1999, (UD.12/03/1999) RV. 213763, Sentenza n. 06054

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Soggetti destinatari delle disposizioni - Differenziazione tra soggetti privati e soggetti pubblici - Esclusione - Fattispecie in tema di decorso della prescrizione - L. 47/1985 art. 38 - L. 724/1994. Le leggi sul condono edilizio - legge 28 febbraio 1985 n. 47 e 23 dicembre 1994 n. 724 -, laddove prevedono la estinzione dei reati edilizi e urbanistici a seguito delle procedure di oblazione e sanatoria attivate dagli imputati, riguardano tutti coloro che sono imputati a qualsiasi titolo dei reati contestati, siano essi committenti, assuntori dei lavori, direttori dei lavori ovvero sindaci, assessori o funzionari comunali concorrenti nei lavori abusivi, senza fare nessuna distinzione tra soggetti cd. pubblici soggetti cd. privati. (Nella specie la Corte ha negato che per i soggetti cd. pubblici, sindaco ed assessore, non operasse la sospensione del corso della prescrizione prevista dalle citate disposizioni legislative). Pres. Acquarone R - Est. Onorato P - Imp. P.M. in proc. Bartaloni F. ed altri - PM. (Conf.) Siniscalchi. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 14 maggio 1999 (UD.12/03/1999) RV. 213762 Sentenza n. 06054

Concessione edilizia inefficace - effetti penali. Una concessione edilizia inefficace (perché carente dell'autorizzazione prevista dalla l. n. 1089 del 1939 oggi D. Lgs. 1999 n. 490), ancorché rilasciata "contra legem", non configura il reato il reato di abuso d'ufficio qualora, proprio a causa della sua inefficacia, non possa avere alcun effetto utile. Cassazione penale, sez. VI, 30 aprile 1999, n. 12928

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio -Effetti processuali - Sospensione del procedimento penale - Presupposti di operatività - Accertamento - Competenza del giudice di merito - Sussistenza. L. 47/1985 art. 44 - L. 724/1994 artt. 1 c. 1. In tema di condono edilizio, l'imputato ha diritto alla sospensione del processo in quanto la domanda di condono sia relativa ad un immobile ultima-to entro il 31 dicembre 1993. Ne consegue che il giudice del merito legittimamente prosegue nel processo allorchè accerti che la domanda di condono sia strumentale o dilatoria ed inerisca ad un fabbricato non ultimato entro il termine stabilito dalla legge (art.44, L.28 febbraio 1985, n.47 in relazione all'art. 39, comma 1, della L.23 dicembre 1994, n. 724). Pres. Pioletti G - Est. Di Nubila V - Imp. Somma G - PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 29 aprile 1999 (UD.17/03/1999) RV. 213369, Sentenza n. 05452

Urbanistica e edilizia - Condono - Presupposti - Accertamento - Compito del giudice - Disapplicazione di atto amministrativo illegittimo - Esclusione - Fondamento - Licenza di costruzione - Concessione "ad aedificandum" illegittima - Potere accertativo del giudice penale di fronte ad un atto amministrativo - L. 47/1985 art. 20 - L. 724/1994 art. 39. In tema di violazioni urbanistiche, polchè l'interesse protetto dall'art 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 non è quello formale del rispetto delle prerogative della pubblica amministrazione nel controllo della attività edilizia (e dunque della regolarità della procedura di concessione), ma quello sostanziale della protezione del territorio, l'accertamento in se-de giurisdizionale penale non è impedito dall'esistenza di un provvedimento concessorio; invero tale accertamento può avere ad oggetto anche il provvedimento amministrativo stesso, nè il giudice, cosi operando, disapplica un atto della pubblica amministrazione ritenuto illegittimo, ma ne valuta, appunto, la legittimità in quanto elemento integrante la fattispecie penale. Conseguentemente non costituisce disapplicazione di atto amministrativo neanche l'accertamento della sussistenza dei presupposti necessari perchè sia integrata la speciale causa estintiva del reato consistente nel condono edilizio, rientrando tale accertamento, viceversa, tra i compiti del giudice penale che deve pronunziarsi circa la improcedibilità dell'azione penale in conseguenza della applicazione della speciale causa estintiva sopra indicata. Pres. Consoli G - Est. Ragonesi V - Imp. Rubino G ed altri - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, 22 marzo 1999 (CC.12/02/1999) RV. 212884, Sentenza n. 00736

Urbanista - Fabbricato superiore a 750 mc - Singole unità immobiliari rientranti entro tale cubatura - Insussistenza - Possibilità di richiedere il condono edilizio - Esclusione - Fattispecie: corpo di fabbrica unitario - L. 47/1985 - L. 724/1994 art. 39. In tema di reati edilizi, se l'immobile abusivamente realizzato ha volume superiore a 750 metri cubi, può farsi luogo al "condono" previsto dalla legge 23 dicembre 1994 n. 724 unicamente nel caso in cui l'opera risulti costituita da singole unità catastali, vale a dire da manufatti aventi specifica rilevanza, cioè costituenti, di regola, distinte unità immobiliari,autonomamente utilizzabili. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto inapplicabile il "condono", essendo emerso che l'immobile realizzato costituiva corpo di fabbrica unitario). Pres. Acquarone R - Est. Salvago S - Imp. Valio G ed ealtro - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 4 febbraio 1999 (UD.25/1 1/1998) RV. 212382, Sentenza n. 01454

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Fattispecie estintiva di cui all'art. 39 della L. 724/1994 - Reato ex art. 1-sexies della L. 431/1985 - Applicabilità - Condizioni - L. 47/1985 artt. 13 e 22. La particolare fattispecie estintiva prevista dal comma ottavo della legge n. 724 del 1994 si applica anche al reato di cui all'art. 1-sexies della legge n. 431 del 1985, presuppone la presentazione di un'istanza di condono edilizio o di "conversione" della concessione in sanatoria ex artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985 in quella prevista dal capo IV della stessa legge, il pagamento integrale dell'oblazione dovuta, il rilascio di una concessione in sanatoria, con le caratteristiche proprie di detto capo della citata legge, e dell'autorizzazione paesaggistica. Pres. Avitabile D - Est. Novarese F - Imp. Galimberti e altri - PM. (Conf.) De Nunzio W. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 27 gennaio 1999 (UD.17/12/1998) RV. 212246, Sentenza n. 01150

La competenza dei geometri - limiti - elementi quantitativi - profilo "qualitativo" non tutte le opere con impiego di cemento armato sono precluse alla progettazione dei geometri. La competenza dei geometri è limitata, per gli edifici destinati a civile abitazione, alle costruzioni di modeste dimensioni, e comunque sono precluse alla progettazione dei geometri le opere per cui vi sia impiego di cemento armato che possa comportare, in relazione alla destinazione dell'opera, pericolo per l'incolumità delle persone. (C.d.S., V, 12.11.1985, n. 390). Tale conclusione si fonda sulla base dell'art. 16 del R.D. 11.2.1929, n. 274 (che determina "l'oggetto ed i limiti dell'esercizio professionale di geometra (tra l'altro) come segue: ....L) progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso d'industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone, .... M) progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili"); dell'art. 1 del R.D. 16.11.1939, n. 2229 (a norma del quale "ogni opera di conglomerato cementizio semplice od armato, la cui stabilità possa comunque interessare l'incolumità delle persone, deve essere costruita in base ad un progetto esecutivo firmato da un ingegnere, ovvero da un architetto iscritto nell'albo, nei limiti delle rispettive attribuzioni"); degli art. 1 e 2 della legge 5.11.1971, n. 1086 (per cui la costruzione delle "opere in conglomerato cementizio armato normale, ....(delle) opere in conglomerato cementizio armato precompresso, .... (delle) opere a struttura metallica", "deve avvenire in base ad un progetto esecutivo redatto da un ingegnere o architetto o geometra o perito industriale edile iscritti nel relativo albo, nei limiti delle rispettive competenze"), dell'art. 57 della legge 2.3.1949, n. 144 (che, nel dettare le tariffe per le prestazioni dei geometri, ricomprende nelle loro competenze le "modeste costruzioni civili" e le "case d'abitazione comuni ed economiche, costruzioni asismiche a due piani senza ossatura in cemento armato o ferro"). Alla stregua di tali canoni normativi, e sulla base dell'orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio sopra ricordato, risulta dunque la preclusione, per i geometri, della progettazione di costruzioni di civile abitazione che accedano le "modeste dimensioni", o che abbiano comunque un'ossatura in cemento armato o in ferro potenzialmente pericolosa, in caso di difetto strutturale, per l'incolumità delle persone. Queste previsioni normative generiche sono state specificate, dalla giurisprudenza, in relazione ad elementi quanti - qualitativi (e con rilievo prevalente degli indici del primo tipo ai fini dell'individuazione limite della "modesta entità" della costruzione). Tra gli elementi quantitativi vengono in primo luogo in rilievo la volumetria dell'opera, quindi la sua altezza ed il numero di piani (si veda, in proposito, anche il limite di due indicato nel citato art. 57); tra quelli qualitativi, rileva in primo luogo "la circostanza che nel progetto venga o meno previsto l'impiego del cemento armato" (C.d.S., V, 390/85, cit). Dall'esegesi sistematica del R.D. 2229/39 cit. e della legge 1086/71 cit., la citata giurisprudenza ha tratto la conclusione che "non tutte le opere con impiego di cemento armato sono precluse alla progettazione dei geometri, ma solo quelle in cui, in relazione alla loro destinazione, il predetto impiego può comportare pericolo per la incolumità delle persone": il che tendenzialmente avviene per le costruzioni destinate a civile abitazione, progettate su più piani. Per quanto invece attiene alla specificazione del limite quantitativo della "modesta entità" dell'opera - che comunque deve essere rispettato anche a prescindere da quanto si è sopra osservato a proposito della pericolosità della struttura portante in cemento armato - la citata giurisprudenza si è attestata sulla soglia discriminatoria dei 5.000 mc. Trattasi, evidentemente, di un limite pratico che non ha carattere assoluto, ma che si combina con la valutazione dei menzionati elementi qualitativi dell'opera. Mentre dunque anche un'opera di poco eccedente tale volumetria, la cui costruzione non preveda però l'uso del cemento armato o che non sia destinata a civile abitazione, può essere progettata da un geometra, al contrario invece la progettazione di una costruzione prossima a tale soglia, ma articolata su più piani, e dunque con struttura portante in cemento armato, comunque destinata all'abitazione delle persone, deve ritenersi riservata ai tecnici laureati (ingegneri ed architetti). (Nel caso di specie, si tratta di un progetto per la realizzazione di una costruzione di 5.138,80 mc., su tre piani, destinata anche a civile abitazione. Appare dunque evidente che, contrariamente a quanto opinato dal primo giudice, si è ben al di là dei limiti della competenza progettuale dei geometri, per quali enucleati dalla giurisprudenza e sopra riassunti: e ciò sia sotto il profilo "quantitativo" sia sotto quello "qualitativo dell'entità e consistenza dell'opera). Si aggiunga infine ad abundantiam, che - sempre alla stregua del citato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi - nei casi dubbi (tra cui quello in esame, alla stregua dei rilievi svolti, neppure potrebbe rientrare) vige un favor per la competenza esclusiva dei tecnici laureati (giustificato da evidenti ragioni di tutela della pubblica incolumità), dovendo in tali casi l'Amministrazione concedente "specificare nella concessione edilizia i motivi per cui (ritiene) sufficiente la redazione dei .... progetti da parte di un geometra", ed altresì "congruamente esplicitare le predette ragioni, almeno nei casi in cui le caratteristiche del progetto siano oggettivamente tali da far sorgere dubbi sui limiti delle competenze professionali del progettista" (così C.d.S., V, 390/85, cit). Nessun dubbio dunque può residuare circa il fatto che la progettazione dell'opera del cui assentimento si tratta trascenda la competenza professionale di un geometra, con l'effetto che il diniego di concessione edilizia fondato su tale motivo - ed impugnato in primo grado con il ricorso n. 1811/89 - era legittimo). Consiglio di Stato - Sez. V - Sentenza 13 gennaio 1999 n. 25

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Termine per il versamento degli interessi dell'oblazione - Decorrenza dalla notifica dell'obbligo di pagamento - Effetti - Richiesta di integrazione della documentazione - Inosservanza - Improcedibilità della domanda - Limiti - L. 47/1985 art. 38 - L. 449/1997 art. 1 c. 9 - L. 662/1996 art. 1 c. 40, 41, 42 - L. 724/1994 art. 39. La Legge n. 449 del 1997, ulteriormente incidendo sulla disciplina della Legge n. 662 del 1996, ha previsto che il termine perentorio stabilito per il versamento degli interessi dell'oblazione pagata dopo la scadenza di quello indicato dai commi quinto e sesto dell'art. 39 L. n. 724 del 1994, non è più ancorato ad un dato certo (il 31 marzo 1997), ma dipende dal decorso di 60 giorni "dalla data di notifica da parte dei comuni dell'obbligo di pagamento", sicchè si è individuato un termine mobile, ampliando i po¬teri della pubblica amministrazione precedentemente ristretti e, di fatto, rimettendo in termini gli inadempienti. Permane, tuttavia, la sanzione di improcedibilità della domanda di condono nel caso di omessa tempestiva in¬tegrazione della documentazione, sia per quanto attiene i reati di cui al comma ottavo dell'art. 39 I. 724 del 1994 (quelli concernenti la tutela dei vincoli "ex legibus" 1089 e 1497 del 1939 e n. 431 del 1985), sia in tutte le ipotesi in cui la documentazione richiesta sia indispensabile per appura-re la congruità dell'oblazione. Pres. Pioletti G - Est. Novarese F - Imp. Sudano G - PM. (Parz. Diff.) Scardaccione EV. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 11 dicembre 1998 (UD.13/10/1998) RV. 212298, Sentenza n. 12907

Urbanistica e edilizia - Fattispecie estintiva di cui all'art. 39, c.8, L. 724/1994 - Reato ex art. 1 sexies L. 431/1985 - Applicabilità - Condizioni - Causa estintiva di cui all'art. 22 L. 47/1985 - Inapplicabilità - Ragione - Autorizzazione paesaggistica rilasciata successivamente - Estinzione del reato - Esclusione. In materia paesaggistica l'autorizzazione in sanatoria di un intervento abusivamente realizzato non estingue il reato di cui all'art. 1 sexies del D.L.. 27 giugno 1985 n. 312 conv. con modif. con legge 8 agosto 1985 n. 431, polchè questa statuizione (diversamente da quanto stabilito dall'art. 22 della legge 28 febbraio 1985 n. 47) non è espressamente disciplinata dalla normativa. Infatti l'art. 39, comma ottavo, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, che prevede tale conseguenza favorevole, si riferisce unicamente al cd. condono edilizio. In ogni altro caso nel quale siano eseguiti in zona vincolata interventi non annoverabili tra quelli consentiti senza necessità di provvedimento abilitativo, l'autorizzazione paesaggistica deve esser rilasciata prima e non dopo l'esecuzione dei lavori. Pres. Avitabile D - Est. Morgigni A - Imp. P.M. in proc. Boscarato A - PM. (Conf.) Scardaccione EV. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 2 dicembre 1998 (UD.20/10/1998) RV. 212418, Sentenza n. 12697

Urbanistica e edilizia - Reato ex art. 1 sexies L. 431/1985 - Fattispecie estintiva di cui all'art. 39 L. 724/1994 - Applicabilità - Causa estintiva di cui all'art. 22 L. 47/1985 - Inapplicabilità - Ragione. In materia paesaggistica l'autorizzazione in sanatoria di un intervento abusivamente realizzato non estingue il reato di cui all'art. 1 sexies della legge 8 agosto 1985 n. 431, polchè tale disposizione, diversamente da quanto stabilito dall'art. 22 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (che prevede l'estinzione del reato urbanistico in caso di concessione in sanatoria), non è espressamente dettata dalla normativa. In materia l'art. 39, comma ottavo, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, che prevede tale conseguenza favorevole, si riferisce unicamente al cd. condono edilizio e non all'accertamento di conformità disciplinato dall'art. 13 legge 47 del 1985. L'unico effetto, che deriva dal provvedimento di sanatoria ambientale, è l'esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, polchè l'amministrazione ha valutato l'opera e la ha ritenuta compatibile con l'assetto paesaggistico dell'area impegnata dall'opera stessa. Pres. Tridico GS - Est. Morgigni A - Imp. Antognoli L ed altro - (Parz. Diff.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 17 novembre 1998 (UD.28/09/1998) RV. 212052, Sentenza n. 11914

Urbanistica e Edilizia - Reati edilizi - Condono edilizio - Omessa sospensione del procedimento - Conseguenze - Nullità - Esclusione - Previsione di sanzione processuale - Esclusione - L. 47/1985 artt. 38 e 44 - L. 724/1994 art. 39 - Nuovo Cod.Proc.Pen. art. 177. In tema di illeciti urbanistici la mancata erronea sospensione del procedimento non produce alcuna nullità, essendo tale omissione priva di sanzione processuale. Infatti il principio di tassatività delle nullità non consente di inquadrare tale omissione in questa categoria generale. Pres. Avitabile D - Est. Novarese F - Imp. Todesco M ed altri - PM. (Conf.) Di Zenzo C. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 3 Luglio 1998 (UD.27/05/1998) RV. 211354, Sentenza n. 07847

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Estinzione del reato - Con-dizioni - Congruità dell'oblazione - Certificazione - Necessità - L. 724/1994 art. 39 - L. 47/1985 artt. 38 e 39. In materia di condono edilizio la dichiarazione di estinzione dei reati consegue all'avvenuto accertamento che la costruzione abusiva che si intende sanare sia stata completata al rustico entro il 31 dicembre 1993, che essa non superi i limiti di volumetria previsti, che la domanda di condono sia stata presentata tempestivamente, che le somme versate siano state corretta-mente autoliquidate dall'istante, fatto del quale si ha certezza attraverso la certificazione della loro congruità da parte dell'amministrazione competente. Pres. Avitabile D - Est. Grassi A - Imp. P.M. in proc. Floris M. - PM. (Conf.) Calderone CR. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 26 maggio 1998 (UD.14/04/1998) RV. 210962, Sentenza n. 06160

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Prescrizione - Sospensioni di cui agli artt. 38, 39 e 44 L. 47/1985 - L 662/1996 art. 2. In materia di condono edilizio al periodo ordinario di prescrizione vanno aggiunti 223 giorni per la sospensione introdotta dall'art. 29 della legge 724 del 1994, nella parte in cui recepisce l'art. 44 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, che per essere disposta direttamente dal legislatore ha carattere automatico. Va altresì aggiunto l'ulteriore termine di anni due, dal 31 marzo 1995 al 31 marzo 1997, per la sospensione di cui agli artt. 38 della legge 47 del 1985 e 2, comma 40, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, che si applica allorchè sussista una istanza di condono e la ricevuta dell'effettuato versamento. Pres. Tridico GS - Est. Salvago S - Imp. Salutari V. - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 19 maggio 1998 (UD.27/03/1998) RV. 210954, Sentenza n. 05882

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Condizioni per l'ottenimento - Controllo del giudice - Legittimità - Ambito - L. 47/1985 artt. 38 e 39 - L. 724/1994 art. 39. In tema di condono edilizio il controllo sulla ricorrenza delle condizioni non costituisce esercizio di una potestà riservata alla P.A., cui competono tutti gli accertamenti relativi alla sanatoria amministrativa, spettando al giudice penale il potere-dovere di espletare ogni accertamento per stabilire I'applicabilità della causa di estinzione del reato, sicchè, quando risulti che le opere edilizie abusive non siano state ultimate entro il termine stabilito che l'immobile superi la volumetria di settecentocinquanta metri cubi, l'imputato non può beneficiare del condono edilizio. Pres. Giammanco P - Est. Teresi A - Imp. P.M. in proc Ribisi G. - PM. (Conf.) Fraticelli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 7 maggio 1998 (UD.23/03/1998) RV. 210746, Sentenza n. 05376

Urbanistica e Edilizia- Sanatoria edilizia ex L. 724/1994 - Accertamento dell'epoca di realizzazione dell'illecito - Potere esclusivo della P.A. - Esclusione - Accerta-mento in sede giurisdizionale - Legittimità. In tema di sanatoria edilizia di cui alla legge 23 dicembre 1994 n. 724 l'accertamento del "tempus commissi delicti" attiene al concreto esercizio della giurisdizione, polchè concerne l'indagine su uno degli estremi della contestazione mossa all'imputato. Detta indagine non può e non deve essere assegnata alla sfera di attribuzione della P.A., alla quale la legge in materia affida il compito di eseguire un complesso di altri controlli integrativi materiali e tecnici in ordine alla documentazione ed alla congruità dell'oblazione. Trattasi di una verifica per il cui espletamento occorre compiere una serie di valutazioni processuali che, proprio per tale carattere, rientrano nei poteri-doveri del giudice al fine di stabilire la sussistenza della causa di estinzione del reato. Pres. Tridico GS - Est. Morgigni A - Imp. Bisceglia G. - PM. (Conf.) Amatucci E. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 25 marzo 1998 (UD.26/01/1998) RV. art. 39 - 210294, Sentenza n. 03689

Urbanistica e Edilizia - Reati in materia edilizia e urbanistica - Sospensione dei procedimenti prevista da decreti legge decaduti per mancata conversione in legge - Mantenimento della efficacia sospensiva della decorrenza del termine di prescrizione - Sussistenza - Ragioni - estinzione (cause di) - prescrizione - Cod.Pen art. 157, 159 - L. 47/1985 art. 44 - L. 724/1994 art. 39. In tema di reati in materia di edilizia e urbanistica, la sospensione dei procedimenti penali e del corso della prescrizione, prevista dai vari decreti legge emanati tra il luglio del 1994 e il settembre del 1996, tutti decaduti per mancata conversione in legge, costituisce un effetto irreversibile di tali fonti normative, sicchè, una volta intervenuta, opera in maniera definitiva sul computo del termine prescrizionale a norma dell'art. 159 cod. pen., non interferendo su tale irreversibilità di effetto il disposto costituzionale secondo cui i decreti legge non convertiti perdono efficacia sin dall'inizio. (Vedi Cass., sez. III, sent. n. 02205, u.p. 29 settembre 1997, Onolfo, in corso di massimazione). Pres. Trojano P - REL. De Roberto G - Imp. Calisse ed altri - PM. (Parz. Diff.) Galgano V. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. VI, 18 marzo 1998 (UD.02/03/1998) RV. 210327, Sentenza n. 03396

Urbanistica e Edilizia - Individuazione del termine dei lavori abusivi - Dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà rilasciata dal proprietario - Sufficienza - Esclusione - Ragione - L. 724/1994 art. 39 c. 5 - D. L. 551/1994 art. 1. La dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà rilasciata dal proprietario di un immobile abusivo, effettuata a norma dell'art. 39, comma quinto, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, non è prova sufficiente, fino a querela di falso, in ordine al requisito temporale dell'epoca di ultimazione dei lavori. II giudice può valutare secondo il principio del libero convincimento di cui all'art. 192 c.p.p. le attestazioni contenute nella ci-tata dichiarazione, considerato che nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili e che tale dichiarazione ha attitudine certificativa solo nei confronti della P.A. II giudice penale la valuterà, pertanto, come tutte le dichiarazioni provenienti dall'imputato o dall'indagato unitamente a tutti gli altri elementi di prova. Pres. Pioletti G - Est. Onorato PL - Imp. Di Lorenzo V ed altro - PM. (Conf.) Siniscalchi A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 11 marzo 1998 (CC.17/12/1997) RV. 210144, Sentenza n. 04444

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Fattispecie estintiva di cui all'art.39, c.8 L. 724/1985 - Reato ex art. 1 "sexies" L. 431/1985 - Applicabilità - Condizioni - Causa estintiva di cui all'art.22 legge 47 del 1985 - Inapplicabilità - L. 47/1985 artt. 13 e 22. La definizione agevolata delle violazioni edilizie contemplata dalla legge n.724/1994 non può avere nulla a che vedere, attesi il chiaro dettato normativo, la "sedes materiae" e la "ratio legis", con la concessione in sanatoria prevista dagli artt. 13 e 22 legge 47/1985. La fattispecie prevista dall'art. 39, comma 8, legge 724/1994, onde produrre effetti anche in relazione alla diversa violazione di cui all'art. 1 "sexies" legge 431/1985, presuppone:1)la presentazione di una istanza di condono edilizio (o di con-versione della richiesta di concessione in sanatoria ex artt.13 e 22 legge 47/1985), 2)il pagamento dell'oblazione, 3)il rilascio della concessione in sanatoria, 4)l'autorizzazione paesaggistica. Non è quindi sufficiente a produrre gli effetti previsti dall'art. 39 la sussistenza soltanto delle due ultime condizioni. Pres. Dinacci U - Est. Grillo CM - IMP. P.M. in proc. Cappelli ed altri - PM. (Conf.) De Nunzio W. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 18 febbraio 1998 (UD.14/01/1998) RV. 210130, Sentenza n. 01936

Urbanistica e Edilizia - Concessione - Rilascio in sanatoria - Individuazione dei reati - Limiti di incidenza - Ragioni - L. 47/1985 artt. 13 e 22 - L. 64/1974 - L. 1086 /1971- L. 724/1994 art. 39 - D. L. DEL 27/6/1985 art. 1 c. lett. s. - L. 431/1985. II rilascio in sanatoria delle concessioni edilizie, effettuato ai sensi degli artt.13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n.47, come espressamente previsto al terzo comma del citato art.22, determina l'estinzione dei soli "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e quindi si riferisce esclusivamente alle contravvenzioni concernenti la materia che disciplina l'assetto del territorio sotto il profilo edilizio, ossia alle violazioni della stessa legge, in cui (art.13) sono contemplate le ipotesi tipiche suscettibili di sanatoria (opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità o con variazioni essenziali, ecc.). Ne deriva I'inapplicabilità della causa estintiva agli altri reati che riguardino altri aspetti delle costruzioni ed aventi oggettività giuridica diversa rispetto a quella della mera tutela urbanistica del territorio, come i reati relativi a violazioni di disposizioni dettate dalla legge 2 febbraio 1974, n.64, in materia di costruzioni in zona sismica, o dalla legge 5 novembre 1971, n.1086, in materia di opere in conglomerato cementizio, ovvero dall'art.1 sexies del D.L. 27 giugno 1985, n.312, introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n.431, in materia di tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Ciò trova conferma nell'art.39, undicesimo comma, della legge 23 dicembre 1994, n.724, il quale prevede l'ipotesi di conversione dell'istanza di sanatoria presentata a norma dell'art.13 legge n.47 del 1985 in istanza da considerarsi prodotta a mente del successivo art.31 ed, all'uopo, richiede che venga avanzata al comune apposita domanda, corredata dal pagamento all'erario degli oneri dovuti. Pres. Giuliano A - Est. Franco A - Imp. Agnesse - PM. (Conf.) Viglietta G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 11 febbraio 1998 (UD.01 /12/1997) RV. 209571, Sentenza n. 01658

Urbanistica e edilizia - Condono - Sospensione obbligatoria dei procedimenti penali - Termine ultimo del 31 marzo 1997 - L. n. 662/1996 - L. n. 47/1985. Con le modifiche normative introdotte dall’art. 2, commi 37-40, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, il termine ultimo della sospensione obbligatoria dei procedimenti penali relativi a reati in materia edilizia, prevista dall’art. 38, comma primo, della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (durante la quale rimane anche sospeso il corso della prescrizione), è da ritenere coincidente con la data del 31 marzo 1997, entro la quale doveva essere integrata la documentazione a sostegno della richiesta di condono presentata prima dell’entrata in vigore della citata legge n. 662/1996). Pres. Giuliano - Est. Novarese - Cod.Par.368 Imp. Laezza PM. (Conf.) Viglietta. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 17 gennaio 1998 (Ud. 01/12/1997), Sentenza n. 00529

Urbanistica e edilizia - Direttore dei lavori - Prestazione fittizia - Responsabilità penale - Sussistenza - Motivazioni - Artt. 6 e 20 L. 1985/47. La responsabilità penale del direttore dei lavori, in tema di violazioni edilizie, non può escludersi in relazione alla prospettazione del carattere meramente fittizio della prestazione, finalizzata ad un’ottemperanza soltanto formale di precetti normativi e regolamentari, tenuto conto della rilevanza che il rapporto di direzione dei lavori, consapevolmente assunto, acquista sul piano pubblicistico attraverso la comunicazione di esso al Comune. RV. 209252 Pres. Papadia Est. Teresi Cod.Par.368 Imp. P.M. in proc. POSITANO PM. (Conf.) Ciampoli. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 15 gennaio 1998 (Ud. 25/11/1997) Sentenza n. 00460

Urbanistica e Edilizia - Reati edilizi - Sanatoria delle opere realizzate in assenza o in difformità dalla concessione ma non in contrasto con gli strumenti urbanistici - Estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche - Oblazione -Effetti dell'oblazione - Estensione degli effetti dell'oblazione anche a favore di soggetti diversi da quelli che hanno fatto la domanda e pagato l'oblazione - Esclusione - Cod. Pen art. 182 - L. 47/1985 artt. 13, 22 e 31 - L. 724/1994 art. 39. In tema di reati edilizi la causa estintiva derivante dalla concessione della sanatoria ordinaria ex artt. 13 e 22 I. 47 cit., non diversamente da quanto avviene per la sanatoria speciale conseguente a condono ex art. 31 della stessa legge, ha natura personale e, ai sensi dell'art. 182 c.p., di essa possono giovarsi solo i soggetti che ne hanno fatto richiesta e che hanno versato il corrispettivo. I reati previsti dall'art 20 della I. 28 febbraio 1985 n. 47 sono infatti reati formali per i quali I'antigiuridicità della condotta si fonda sulla violazione dell'interesse collettivo al controllo pubblico sulle modifiche dell'assetto territoriale e non sul vulnus sostanziale arrecato a tale assetto dalla edificazione abusiva. Contrariamente perciò a quanto osservato dalla Corte costituzionale nella s. n. 370 del 1988, deve ritenersi preclusa, in mancanza di una esplicita previsione normativa in tal senso, ogni lettura estensiva dell'efficacia della sanatoria. Pres. Pioletti G - Est. Onorato PL - Imp. Baldantoni G - PM. (Conf.) Frangini B. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 dicembre 1997 (UD.02/10/1997) RV. 209642, Sentenza n. 11425

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Estinzione del reato - Controlli demandati all'autorità' giudiziaria - Individuazione - L. 47/1985 artt. 20 c. lett. B, 38 e 39 - L. 724/1994 art. 39. Secondo la disciplina sul condono edilizio, l'estinzione dei reati urbanistici ed edilizi a seguito di oblazione speciale non presuppone un atto amministrativo di concessione in sanatoria, espresso o tacito, nè deve il giudice penale accertare l'inesistenza di cause, di insanabilità assoluta o relativa, ostative alla sanatoria amministrativa, neppure con riguardo alla infedeltà della domanda dal momento che questo accertamento è implicita-mente contenuto nella certificazione del Sindaco sulla congruità dell'oblazione versata. Al giudice penale spetta soltanto verificare: a) la tempestività della domanda, b) la riferibilità della domanda agli imputati o ai comproprietari dell'immobile abusivo, c) la riferibilità della domanda all'immobile stesso, d)la ultimazione dei lavori entro il termine di legge, e) i requisiti volumetrici dell'immobile costruito, nel caso di condono disciplinato dall'art.39 legge 23.12.1994 n.724, f) la congruità quantitativa dell'oblazione versata, attraverso l'acquisizione del certificato a tal fine rilasciato dal Sindaco competente. Pres. Giammanco P - Est. Onorato P - Imp. P. M. in proc. Mazzola P. - PM. (Conf.) Di Zenzo C. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 20 novembre 1997 (UD.15/10/1997) RV. 209074, Sentenza n. 10512

Urbanistica e edilizia- Condono edilizio - Rilascio della concessione in sanatoria da parte della P.A. - Giudice ordinario - Necessari accertamenti - Inesistenza dei presupposti - Conseguenze - Fattispecie - L. 47/1985 artt. 35, 38 e 39 - L. 724/1994 art. 39. Nell'ipotesi in cui la Pubblica Amministrazione dichiari congrua l'oblazione - ai fini degli artt. 38 e 39 Legge 28 febbraio 1985, n. 47 - e rilasci la concessione in sanatoria, ai sensi dell'art. 35, il giudice ordinario deve parimenti accertare se l'opera sia stata posta in essere nei limiti di tempo (31 dicembre 1993) e di volumetria (750 metri cubi), stabiliti dall'art. 39 Legge 23 dicembre 1994, n. 724. Nell'eventualità' in cui verifichi che tali presupposti sono inesistenti, deve dichiarare non integrata la fattispecie estintiva ed adottare di conseguenza tutte le necessarie de-terminazioni. (Nella specie, relativa ad inammissibilità di ricorso, la S.C. ha osservato che l'accertamento dell'illecito era avvenuto il 14 febbraio 1995 da parte dell'ufficio tecnico e dei vigili urbani, che avevano provveduto al sequestro delle opere e avevano evidenziato nella scheda tecnica che all'epoca i lavori erano in corso e che la volumetria abusiva complessivamente realizzata era di circa 1780 metri cubi; che nulla in contrario aveva dimostrato il ricorrente, il quale, tra l'altro, patteggiando la pena aveva accettato la contestazione nei suoi estremi sostanziali; l'estinzione dei reati non si era pertanto verificata, polchè l'intervento era in corso nel 1985 e non era affatto completato entro il 31 dicembre 1993 e la volumetria era di molto superiore a quella sanabile (1780 mc. in luogo di 750mc.). Pres. Giammanco P - Est. Morgigni A - Imp. Daniele - PM. (Diff.) Fraticelli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 15 novembre 1997 (UD.13/10/1997) RV. 209416, Sentenza n. 10406

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Giudice penale - Estinzione del reato - Accertamento dell'intero pagamento dell'oblazione dovuta - Necessità - Attestazione da parte del sindaco dell'integrale pagamento dell'oblazione come quantificata dalla stesso richiedente - Sufficienza - Esclusione - Acquisizione di attestazione relativa alla corrispondenza tra l'oblazione versata e quella dovuta in ragione dell'abuso commesso - L. 47/1985 artt. 31 e 35 - L. 724/1994 art. 39. In tema di condono edilizio e di oblazione speciale, l'autorità' giudiziaria , per poter dichiarare l'estinzione del reato, deve verificare non solo l'integrale pagamento dell'oblazione dovuta, ma che questa non sia stata quantificata in modo veritiero e palesemente doloso ovvero non sia stata interamente corrisposta da soggetto legittimato o sulla base di una domanda di condono dolosamente infedele in relazione ad altri elementi. (Nell'affermare il principio di cui in massima la corte ha precisato che la corretta quantificazione dell'oblazione non può essere automaticamente equiparata a quella dichiarata dal richiedente. E' necessario perciò acquisire l'attestazione del sindaco sulla congruità dell'oblazione, ma è altresì necessario che tale attestazione dia conto dell'accertamento effettuato sulla corrispondenza tra la situazione effettiva e quanto dichiarato dall'interessato. La semplice dichiarazione del comune che la somma quantificata dal richiedente è stata effettivamente versata è irrilevante ai fini delle verifiche richieste all'autorità' giudiziaria e impone perciò il rinvio degli atti al giudice di merito per una nuova valutazione). Pres. Dinacci U - Est. Franco A - Imp. Pm in proc. Cardinali - PM. (Diff.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 11 novembre 1997 (UD.01/10/1997) RV. 209121, Sentenza n. 10182

Urbanistica e Edilizia - Reati edilizi - Estinzione per oblazione a norma della L. 662/1996 e della L. 727/1994 - Previsione di termine perentorio per il pagamento integrale - Prescrizione - Computo del periodo di sospensione della prescrizione - L. 47/1985 - L. 662/1996 art. 2 c. 40 - L. 724/1994 art. 39. In tema di condono edilizio, I'art.2 comma 40 della legge 23 dicembre 1996 ha stabilito un termine perentorio per procedere al versamento della somma dovuta a conguaglio dell'oblazione, maggiorata degli interessi legali, modificando la precedente normativa dettata dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n.724 in base alla quale il termine finale per versare l'oblazione coincideva con la definitiva determinazione del Sindaco o con la formazione della concessione in sanatoria per silenzio assenso. (In applicazione di tali principi è stato ritenuto che non si erano prescritti i reati contravvenzionali puniti con la sola ammenda commessi l’11 marzo 1992, dovendosi tener conto, oltre che della sospensione ex art. 44 legge 28 febbraio 1985, n.47, anche di quella prevista dall'art. 38 stessa legge per la durata di due anni dal 31 marzo 1995 al 31 marzo 1997). Pres. Pioletti G - Est. Novarese F. - Imp. Fagiano R - PM. (Parz. Diff.) Siniscalchi A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 10 novembre 1997 (UD.29/09/1997) RV. 209482, Sentenza n. 10040

Urbanistica e Edilizia - Condono - Presupposti - Accertamento - Compito del giudice - Disapplicazione atto amministrativo illegittimo - Esclusione - Ragioni - L. 47/1985 art. 38 - L. 724/1994 art. 39. L'accertamento della sussistenza di tutti i presupposti ed i requisiti per conseguire la speciale causa estintiva prevista dalla normativa sul condono edilizio, non costituisce disapplicazione di un atto amministrativo preteso illegittimo (la c.d. attestazione di congruità dell'oblazione ovvero, nei casi in cui sia contestato un reato attinente alla tutela di un vin-colo, della concessione in sanatoria subordinata all'autorizzazione dell'autorità' competente per detta protezione ex art. 39 ottavo comma legge n. 724 del 1994), ma rientra tra i compiti del giudice penale, cui è deferita la dichiarazione di improcedibilità dell'azione penale per l'applicazione del-la predetta specifica causa di estinzione dei reati. (V. Corte Cost. sent, n. 427 del 1995 e n. 270 del 1996). Pres. Dinacci U - Est. Novarese F - Imp. FRATI - PM. (Conf.) Calderone CR. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 6 novembre 1997 (UD.22/09/1997) RV. 209243, Sentenza n. 09963

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Frazionabilità della costruzione - Volumetria complessiva superiore a 750 mc - Volumetria delle singole unità abitative inferiore a tale limite - Condono - Applicabilità - Limiti - Edificio non ancora ultimato quantomeno allo stato di rustico - Condonabilità delle parti già finite - Esclusione - L. 47/1985 art. 31 - L. 724/1994 art. 39. Ai fini dell'applicabilità' del condono edilizio, l'art. 39 della I. 23 dicembre 1994 n. 724 fa rinvio ai capi IV e V della I. 28 febbraio 1985 n. 47. Ne deriva perciò che, nel caso di un immobile che superi complessivamente la cubatura di 750 mc, ma che sia diviso in più unità immobiliari, è possibile presentare domanda ed ottenere il condono con riferimento a ciascuna di esse. E' tuttavia necessario che l'immobile nel suo complesso sia ultimato quanto meno allo stato di rustico, secondo la definizione che di tale concetto dà l'art. 31 della I. 47/85. La possibilità di sanatoria per le parti realizzate prima della vigenza della I. n. 724 del 1994 è riferibile a quei pochissimi casi nei quali tali parti abbiano una totale autonomia strutturale e funzionale rispetto a quelle non ancora ultimate. Pres. Tranfo G - Est. Morgigni A - Imp. Di Fiore G - PM. (Diff.) Paciotti E. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 3 ottobre 1997 (UD.12/08/1997) RV. 208862, Sentenza n. 09011

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Oblazione speciale - Poteri di verifica del giudice penale - Verifica dell'esistenza di cause ostative alla concessione della sanatoria amministrativa - Esclusione. L. 47/1985 artt. 31, 38 e 39 - L. 724/1994 art. 39. L'estinzione dei reati urbanistici ed edilizi in applicazione dell'oblazione speciale prevista dal capo IV della I. 28 febbraio 1985 n. 47 non presuppone necessariamente la formazione di un atto amministrativo di sanatoria, nè espresso nè tacito, ma presuppone esclusivamente una regolare domanda di sanatoria e il versamento completo dell'oblazione. II giudice penale deve esclusivamente verificare: a) la tempestività della domanda ; b)la riferibilità della domanda agli imputati o ai comproprietari dell'immobile abusivo ex art. 38 I.47 cit.; c) la riferibilità della domanda all'immobile abusivo contestato nel capo di imputazione; d) la ultimazione dei lavori entro il termine di legge ; e) i requisiti volumetrici dell'immobile costruito (solo per il condono disciplinato dall'art. 39 della I. 23 dicembre 1994 n. 724) ; f)la congruità quantitativa dell'oblazione versata. Non spetta al giudice nessuna verifica sull'esistenza o meno di cause ostative alla sanatoria amministrativa, come risulta dal disposto dell'art. 39 della I. 47/85, che prevede l'estinzione dei reati contravvenzionali (an-che) quando le opere abusive non possono essere sanate. Pres. Giammanco P - Est. Onorato PL - Imp. Pm in proc Testa A - PM. (Conf.) Fraticelli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 17 ottobre 1997 (UD.10/07/1997) RV. 209627, Sentenza n. 09367

Urbanistica e edilizia - Costruzione abusiva - Sanatoria - Ultimazione della costruzione - Esistenza delle tamponature murarie - Necessità - Tamponature da realizzarsi in pannelli prefabbricati non ancora istallati - Condono - Ammissibilità - Esclusione - Circolare ministeriale che considera ultimati i fabbricati per i quali sia prevista la tamponatura con pannelli, anche se non ancora installati - Irrilevanza - Disapplicazione - Legittimità - L. 47/1985 art. 31 - L. 724/1994 art. 39 - c. - Minist. Lavori Pubblici 30/7/1985. La nozione di "ultimazione" dell'immobile ai fini dell'applicazione del-la sanatoria edilizia deve essere in ogni caso tratta dalla formulazione dell'art. 31 della I. 28 febbraio 1985 n. 47, che considera tali gli edifici per i quali sia completato il rustico ed eseguita la copertura ( ovvero , quanto alle opere interne o agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente essendo la normativa del 1985 espressamente richiamata dalla I. 23 dicembre 1994 n. 724. Anche le tamponature dei muri rientrano perciò sicuramente nel concetto di "rustico" di cui si richiede l'ultimazione indipendentemente dal fatto che siano o debbano essere eseguite in muratura o con pannelli prefabbricati, nè può trovare applicazione qualunque altra regolamentazione che modifichi, con il significato della norma, il contenuto del precetto penale. Deve perciò essere disapplicata la circolare del ministero dei Lavori pubblici (3357/25 del 30 luglio 1985) nella parte in cui prevede che deve essere considerato ultimato il fabbricato privo di tamponature, quando è previsto che le stesse debbano essere eseguite in prefabbricato. Pres. Tranfo G - Est. Morgigni A - Imp. Di Fiore G - PM. (Diff.) Paciotti E. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 3 ottobre 1997 (UD.12/08/1997) RV. 208861, Sentenza n. 09011

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Sospensione del procedimento penale - Momento di cessazione - Individuazione - reato - estinzione (cause di) - prescrizione - Cod.Pen art. 159 c. 3 - L. 724/1994 - L. 662/1996. In materia edilizia e paesaggistica, le Leggi 28 febbraio 1985, n.47; 23 dicembre 1994, n.724 e 23 dicembre 1996, n. 662 non indicano il momento di cessazione della sospensione del processo - disposta a seguito della presentazione della domanda di sanatoria e della attestazione del versamento dell'oblazione, nei limiti dovuti - e di conseguente ripresa della prescrizione, sicchè è necessario applicare la regola generale, stabilita dall’art.159, terzo comma cod.pen., in base alla quale il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui cessa la causa che ha dato luogo alla sospensione. Consegue che in base al menzionato principio - applicazione di quello più ampio del "favore rei" - la sospensione del procedimento edilizio viene meno nel giorno in cui perviene la risposta definitiva da parte della P.A. circa la sussistenza dei requisiti per la declaratoria d'estinzione dei reati per oblazione o in ordine al rilascio della concessione e dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria per la violazione del vincolo e non nella data della sottoscrizione o della notifica del decreto di citazione (o dell'avviso al difensore in Cassazione) o dell'udienza. Pres. Dinacci U - Est. Morgigni A - Imp. Lucci - PM. (Conf.) Fraticelli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 2 ottobre 1997 (UD.09/06/1997) RV. 209357, Sentenza n. 08903

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Presentazione di istanza di rilascio di concessione in sanatoria - Soggetti legittimati - Individuazione - Autonoma domanda di oblazione e versamento delle somme dovute - Necessità per l'estinzione dei reati - Istanza presentata dal comproprietario - Effetti - Fattispecie: istanza presentata dai figli dell'imputato - L. 47/1985 artt. 6 e 38 c. 5 - L. 724/1994 art. 39 c. 6. In tema di condono edilizio, a mente del combinato disposto dell'art.38 comma quinto e dell'art.6 Legge 28 febbraio 1985,n.47 - richiamati dall'art.39 comma 6 Legge 23 dicembre 1994, n.724 - legittimati alla presentazione dell'istanza di concessione in sanatoria sono il proprietario della costruzione abusiva, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore ed il direttore dei lavori. Ciascuno di costoro, per ottenere la dichiarazione di estinzione dei reati edilizi e/o urbanisti ci contestatigli, deve presentare autonoma domanda di oblazione e versare le somme di denaro personalmente dovute. Soltanto l'istanza presentata da uno degli eventuali comproprietari dell'immobile abusivo estende i propri effetti all'altro o agli altri comproprietari, mentre ciascuno degli altri soggetti su indicati deve proporre autonoma istanza. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso con il quale l'imputato deduceva che il processo avrebbe dovuto essere sospeso essendo stata presentata istanza di condono edilizio e versato quanto dovuto, la S.C. ha osservato che le domande per il rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente all'immobile abusivo era no state presentate dai figli dell'imputato medesimo e dalla documentazione in atti prodotta non era dato conoscere a che titolo essi le avevano pro-poste; che, anche nell'ipotesi che essi avessero ricevuto l'immobile - o il suolo in cui questo era stato edificato - in donazione dal padre, costui non potrebbe beneficiare degli effetti della domanda di condono da loro presentata, mancando in atti la prova che tutti fossero comproprietari del manu-fatto abusivo ). Pres. Giuliano A - Est. Grassi A - Imp. Tiano - PM. (Conf.) Scardaccione EV. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 2 Luglio 1997 (UD.03/06/1997) RV. 208697, Sentenza n. 06333

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime - L. 662/1996 - Concessione o autorizzazione in sanatoria - Estinzione di illecito amministrativo e penale senza pregiudizio dei diritti dei terzi - L. 47/1985 - L. 724/1994 art. 39 c. 2 - L. 662/1996 art. 37 c. 2 lett. C. In tema di c.d. condono edilizio, il legislatore del 1994 escludeva, per le opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime, non solo sanatorie civilistiche, ma anche sanatorie urbanistiche e penali. Con la Legge 23 dicembre 1996,n.662 la normativa è cambiata, poichè, con l'art.2, comma 37, letto) di questa legge, il secondo comma dell'art.39 Legge 23 dicembre 1994,n.724 è stato sostituito dal seguente: " il rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria non comporta limitazioni al diritto dei terzi". Con tutta evidenza il legislatore del 1996 ha voluto ripristinare il sistema (di cui alla Legge 28 febbraio 1985,n.47 precedente alla Legge n.724 del 1994 , che distingueva il profilo amministrativo e penale da quello civilistico: alla stregua di tale sistema ha stabilito espressamente che gli effetti di sanatoria urbanistica e di estinzione penale della procedura di condono edilizio non si estendono ai rapporti civili ( restano quindi salvi i diritti dei terzi e, in particolare, quelli dei proprietari confinanti con la costruzione abusiva), sicchè, quando una costruzione abusiva lede i diritti di terzi, la concessione o autorizzazione in sanatoria non pregiudica questi diritti, ma estingue ugualmente l'illecito amministrativo e quello penale. Pres. Papadia U - Est. Onorato P - Imp. Rossi - PM. (Conf.) Calderone CR. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 26 giugno 1997 (UD.09/04/1997) RV. 208519, Sentenza n. 06209

Urbanistica e edilizia - Concessione in sanatoria ex art.13 L. n.47/1985 - Equiparazione all'istituto della sanatoria di opere abusive di cui al capo IV stessa legge ed all'art.39 legge n.724 del 1994 - Erroneità - Ragione - Fattispecie: concessione in sanatoria ri¬lasciata a congiunto - L. 28/2/1985 n. 47 Artt. 13, 22, 31 e 38 - L. 23/12/1994 n. 724 art. 39. Deve ritenersi erronea l'equiparazione della concessione in sanatoria ex art.13 legge 28 febbraio 1985,n.47 all'istituto della sanatoria delle opere abusive disciplinato dal capo IV della stessa legge n.47 del 1985 e dall'ar¬t.39 legge 23 dicembre 1994,n.724 (comunemente detto "di condono edilizio"). Infatti il meccanismo di estinzione "dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche", fissato dagli artt.13 e 22 della legge n.47 del 1985, contrariamente a quanto stabilito per la procedura di "condo-no" (con l'eccezione parziale introdotta dall'ottavo comma dell'art.39 legge n.724 del 1994 per le ipotesi di violazione di vincoli artistici, paesistici ed ambientali ), non si fonda su un effetto istintivo proprio connesso al pagamento di una somma a titolo di oblazione, bensì sul fatto diverso e successivo dell'effettivo rilascio della concessione sanante da parte del Sindaco previo "accertamento di conformità"' (o non-contrasto) delle opere abusive non assentite con gli strumenti urbanistici vigenti (approvati o anche semplicemente adottati) nel momento della realizzazione ed in quello della richiesta: trattasi, dunque, di un istituto di carattere generale (o "di regime") qualificato da una fondamentale verifica di conformità, non disciplinato da disposizioni transitorie e caratterizzato da peculiari sbar¬ramenti amministrativi e temporali in un contesto di rigoroso controllo del-la sostanziale inesistenza di un danno urbanistico. (Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio poiché i giudici di merito erroneamente aveva-no ritenuto improduttiva di effetti, nei confronti dell'imputato, la conces¬sione in sanatoria rilasciata al congiunto ai sensi dell’art.13 legge n.47 del 1985, la S.C. ha altresì osservato che la stessa Corte Costituzionale - con la sentenza n.370 del 1988 - ha affermato che l'estinzione dei reati contravvenzionali per violazioni edilizie formali prevista dall'art.22 terzo comma stessa legge consegue alla constatazione dell'inesistenza dell'antigiuridicità' sostanziale del fatto imputato e cioè all'accertamento di un dato che attiene all'oggettività' del fatto stesso, derivando da ciò - qua-le conseguenza diretta - l'estensione ai soggetti concorrenti che pure non abbiano fatto formale richiesta di sanatoria in sede amministrativa). Pres. Papadia U - Rel. Fiale A - Imp. Candela - PM. (Conf.) Calderone. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III 12 maggio 1997, (UD. 09/04/1997) RV. 208049, sentenza n. 04398

Urbanistica e Edilizia - Condotta qualificabile intervento edilizio - Ai fini del rilascio dell'autorizzazione o della concessione in sanatoria ex art.39 comma 8 L. 724/1994 - Nozione - Fattispecie - Condotta qualificabile intervento edilizio - Ai fini del rilascio dell'autorizzazione o della concessione in sanatoria ex art. 39 c. 8 L. 724/1994 - L. 431/1985 artt. 1 e sexies. La condotta configurabile come "intervento edilizio" nei confronti della quale è possibile il rilascio dell'autorizzazione o della concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 39, comma 8, legge 23 dicembre 1994, n.724, presuppone una costruzione o comunque un'attività' edile che comporti una modificazione dell'assetto urbanistico ed edilizio del territorio mediante la realizzazione di un manufatto. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza con la quale il pretore aveva dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui agli artt. 1 e 1-sexies legge 8 agosto 1985,n.431 per estinzione ai sensi dell'art. 39,comma 8,legge n.724 del 1994, la S.C. ha osservato che, come esattamente rilevava il P.M. ricorrente, la contestazione mossa all'imputato con il decreto di citazione riguardava una modificazione dello stato dei luoghi apportata con l'accumulo incontrollato di ingenti quantitativi di materiale inerte a ridosso della vegetazione arborea in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ). Pres. Tridico GS - Est. Giammanco P - Imp. PM in Proc. Barbero - PM (conf.) Calderone CR. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 maggio 1997 (UC.12/03/1997) RV. 208039, Sentenza n. 04370

Urbanistica e edilizia - Concessione in sanatoria ex art.13 L. 47/1985 - Equiparazione all'istituto della sanatoria di opere abusive di cui al capo IV stessa legge ed all'art.39 legge n.724 del 1994 - Erroneità - Ragione - Fattispecie: concessione in sanatoria rilasciata a congiunto - L. 47/1985 artt. 22, 31 e 38. Deve ritenersi erronea l'equiparazione della concessione in sanatoria ex art.13 legge 28 febbraio 1985,n.47 all'istituto della sanatoria delle opere abusive disciplinato dal capo IV della stessa legge n.47 del 1985 e dall'ar¬t.39 legge 23 dicembre 1994,n.724 (comunemente detto "di condono edilizio"). Infatti il meccanismo di estinzione "dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche", fissato dagli artt.13 e 22 della legge n.47 del 1985, contrariamente a quanto stabilito per la procedura di "condo-no" (con l'eccezione parziale introdotta dall'ottavo comma dell'art.39 legge n.724 del 1994 per le ipotesi di violazione di vincoli artistici, paesistici ed ambientali), non si fonda su un effetto istintivo proprio connesso al pagamento di una somma a titolo di oblazione, bensì sul fatto diverso e successivo dell'effettivo rilascio della concessione sanante da parte del Sindaco previo "accertamento di conformità"' (o non-contrasto) delle opere abusive non assentite con gli strumenti urbanistici vigenti ( approvati o anche semplicemente adottati) nel momento della realizzazione ed in quello della richiesta: trattasi, dunque, di un istituto di carattere generale (o "di regime") qualificato da una fondamentale verifica di conformità, non disciplinato da disposizioni transitorie e caratterizzato da peculiari sbarramenti amministrativi e temporali in un contesto di rigoroso controllo del-la sostanziale inesistenza di un danno urbanistico. (Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio poiché i giudici di merito erroneamente aveva-no ritenuto improduttiva di effetti, nei confronti dell'imputato, la concessione in sanatoria rilasciata al congiunto ai sensi dell’art.13 legge n.47 del 1985, la S.C. ha altresì osservato che la stessa Corte Costituzionale - con la sentenza n.370 del 1988 - ha affermato che l'estinzione dei reati contravvenzionali per violazioni edilizie formali prevista dall'art.22 terzo comma stessa legge consegue alla constatazione dell'inesistenza dell'antigiuridicità' sostanziale del fatto imputato e cioè all'accertamento di un dato che attiene all'oggettività' del fatto stesso, derivando da ciò - qua-le conseguenza diretta - l'estensione ai soggetti concorrenti che pure non abbiano fatto formale richiesta di sanatoria in sede amministrativa). Pres. Papadia U - Est. Fiale - Imp. Candela -PM. (Conf) Calderone CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 maggio 1997, (UD. 09/04/1997) RV. 208049, Sentenza n. 04398

Urbanistica e Edilizia- Sanatoria delle opere edilizie abusive (condo-no edilizio) - Legge regionale che adotti un diverso criterio per la definizione dell'opera ultimata - Irrilevanza ai fini penali - "Ratio" - Sanatoria di cui all'art. 39 legge n. 724 del 1994 - Riferimento all'art. 31 legge n. 47 del 1985 - Necessità - L. 47/1985 art. 31 - L. R. Sicilia 26/1986 - L. 724/1994 art. 39. È penalmente irrilevante che una legge regionale, ed in particolare la legge regionale siciliana 15 maggio 1986,n.26, adotti un diverso criterio per la definizione dell'opera ultimata ai fini della sanatoria edilizia, poichè i presupposti per l'applicazione della legge penale sono di esclusi-va competenza dello Stato, sicchè per determinare se l'opera sia ultimata, ai fini della concessione in sanatoria di cui all'art.39 legge 23 dicembre 1994 n. 724, deve farsi riferimento all'art.31 legge 28 febbraio 1985, n.47. Pres. Chirico C - Est. Franco A - Imp. Plachino - PM. (Conf.) Di Zenzo C. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 18 aprile 1997 (CC.05/02/1997) RV. 207294, Sentenza n. 00394

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Reato di cui all'art. 734 cod. pen. - Sanatoria prevista dall'art. 39 della L. 724/1994 - Applicabilità - Cod.Pen art. 734. In tema di cosiddetto condono edilizio, la contravvenzione di cui all'art. 734 cod. pen. è estinta per il pagamento dell'oblazione, seguito dal rilascio della concessione e dell'autorizzazione paesaggistica. La natura di reato di danno non è di ostacolo, poichè l'ampia formula utilizzata dal comma ottavo dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994 - secondo cui occorre un'espressa autorizzazione in sanatoria, differente dal semplice parere di cui all'art. 32 della legge n. 47 del 1985 e successive modifiche ed integrazioni - rende possibile l'inclusione della violazione "de qua", tra quelle estinguibili. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. Crocchi - PM. (Parz. Diff.) Calderone CR. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 marzo 1997 (UD.20/02/1997) RV. 208027, Sentenza n. 02420

Urbanistica e Edilizia - Violazione della L. 431/1985 - Sanatoria - Oblazione - Insufficienza - Autorizzazione paesistica e con-cessione - Necessità - L. 431/1985 art. 1 sexies - L. 724/1994 art. 1 sexies. Ai fini della sanatoria del reato di cui all'art. 1 "sexies" della legge 8 agosto 1985, n. 431, l'effetto estintivo è determinato dal rilascio della concessione subordinato all'autorizzazione dell'autorità' preposta alla tu-tela del vincolo e non dal solo versamento dell'oblazione congrua. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. Crocchi - PM. (Parz. Diff.) Calderone CR. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 marzo 1997 (UD.20/02/1997) RV. 208028, Sentenza n. 02420

Urbanistica e Edilizia - Reati in materia di edilizia e urbanistica - Sospensione dei procedimenti prevista dai D.L. n. 468, 551, 649 del 1994 non convertiti in legge - Efficacia sospensiva sulla decorrenza del termine di prescrizione - Sussistenza - Ragioni - estinzione (cause di) - prescrizione - Efficacia sospensiva sulla decorrenza del termine di prescrizione - Sussistenza - Ragioni - Cod.Pen artt. 157 e 159 - L. 47/1985 art. 44 - L. 724/1994 art. 39. In tema di reati in materia di edilizia e urbanistica, la sospensione dei procedimenti penali e della prescrizione di cui ai decreti legge 26 luglio 1994 n. 468, 27 settembre 1994 n. 551 e 25 novembre 1994 n. 649, non convertiti in legge, costituisce un effetto irreversibile dei predetti decreti, sicchè, una volta intervenuta, opera in maniera definitiva sul computo del termine prescrizionale ai sensi dell'art. 159 cod. pen. (In motivazione la Corte ha precisato che il disposto dell'art. 77 Cost., secondo il quale i decreti legge perdono efficacia sin dall'inizio in caso di mancata conversione, non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui il decreto legge abbia prodotto effetti irreversibili, quali devono essere considerati quelli che, in virtù della sia pur temporanea vigenza della normativa d'urgenza, si siano comunque prodotti in via di fatto o di diritto e non possano più essere rimossi; e che tra tali effetti irreversibili deve ricomprendersi la sospensione del procedimento penale la quale, nel periodo in cui opera per il vigore del decreto che la prevede, impedisce di diritto l'esercizio dell'azione penale sicché, esauritosi l'arco temporale della sua efficacia per la caducazione del provvedimento avente forza di legge, non può venir meno ora per allora). Pres. La Torre A - Est. Papadia U - Imp. Sellitto - PM. (Conf.) Toscani U. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. U., 13 febbraio 1997 (UD.03/12/1996) RV. 206849, Sentenza 01283

Urbanistica e Edilizia - Reati edilizi - Estinzione per oblazione a norma della legge n. 724 del 1994 art. 39 - Pagamento integrale e tempestivo - Necessità - Omissione - Conseguenze - L. 47/1985 artt. 40 e 45. In tema di condono edilizio a norma della legge n. 724 del 1994, poichè la corresponsione dell'oblazione dovuta va effettuata interamente "nei ter-mini previsti", pena l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 40 della legge n. 47 del 1985 (compresa quella penale), ne consegue che, trascorso inutilmente l'ultimo termine utile (15 dicembre 1995) per l'adempimento di tale obbligo da parte dell'interessato, non gli è più consentito integrare o eseguire il versamento, sicchè egli si viene a trovare in una situazione del tutto analoga a quella della mancata presentazione della domanda di con-dono. (In motivazione, la S.C. ha posto in evidenza che siffatta conclusione è imposta dal tenore letterale dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994, che è diverso da quello dell'art. 40 della legge n. 47 del 1985 e non per-mette più, con la sua perentoria formulazione, di dare ingresso alla possibilità di eseguire il versamento nel più ampio limite temporale costituito dal termine ultimo per il formarsi del silenzio-assenso e cioè nei venti-quattro mesi dalla presentazione della domanda, aggiungendo che la verifica della sussistenza dei presupposti e delle condizioni attinenti all'estinzione dei reati rimane di spettanza esclusiva del giudice penale). Pres. Scorzelli F - Est. Albamonte A - Imp. Luongo - PM. (Parz. Diff.) Suraci S. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. U., 3 febbraio 1997 (UD.20/11 /1996) RV. 206660, Sentenza n. 00714

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Sospensione "ex lege" - Sospensioni disposte da decreti-legge non convertiti - Computo ai fini della sospensione della prescrizione - Obbligatorietà - L. 47/1985 art. 44 - L. 724/1994 art. 39 - D. L. 468/1994 - D. L. 551/1994 - D. L. 649/1994 - L. 85/1995. In tema di condono edilizio, gli effetti sostanziali e processuali, prodotti dalla sospensione del procedimento, facoltativa oppure obbligatoria, stabilita da norme contenute in decreti-legge non convertiti, permangono nonostante l'intervenuta decadenza degli stessi, in considerazione della natura processuale dell'istituto e delle disposizioni che lo prevedono, della conseguente immediata attuazione, del verificarsi di effetti irreversibili e dell'applicazione del principio "tempus regit actum". Pres. Chirico C - Rel. Novarese F - Imp. Camerino - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 16 gennaio 1997 (UD.06/12/1996) RV. 206740, Sentenza n. 00243

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Esecuzione penale - Demolizione - Presentazione dell'istanza di condono - Sospensione del pro-cedimento - Obbligatorietà - L. 47/1985 artt. 7 e 38 - L. 724/1994 art. 39. In tema di condono edilizio, la presentazione di una tempestiva domanda, accompagnata dall'attestazione del versamento parziale o integrale della somma dovuta a titolo di oblazione da parte di un soggetto legittimato, determina la sospensione del procedimento anche in fase esecutiva, dovendo il giudice valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'istituto "de quo" al fine di revocare l'ordine di demolizione, che sia divenuto incompatibile con la conseguita sanatoria, particolarmente quando sia stata rilasciata la concessione. Pres. Pioletti G - Est. Novarese F - Imp. Ilalrdi ed altri - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 15 gennaio 1997 (CC.28/11/1996) RV.206738, Sentenza n. 04065

Urbanistica e Edilizia - Reato di lottizzazione abusiva - Condono edilizio - Inapplicabilità - Ragione - L. 47/1985 artt. 20 c. 1 lett. C, e 35 c. 7 - L. 724/1994 art. 39. II reato di lottizzazione abusiva non è suscettibile di "condono edili-zio" ai sensi dell'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724, in quanto l'art. 35, settimo comma, legge 28 febbraio 1985, n.47, con il disciplinare le con-dizioni per la sanatoria soltanto per le costruzioni e le altre opere, realizzate in comprensori abusivamente lottizzati, implicitamente esclude l'attività' lottizzatoria, come tale, dall'ambito di applicazione della disciplina sanante. I manufatti abusivamente eseguiti, in attuazione del fine lottizzatorio e nell'ambito della lottizzazione, possono essere dunque "sanati" previa valutazione globale dell'attività lottizzatoria, ma l'effetto estintivo non si estende al reato integrato dall'attività' illecita di lottizzazione (mancando pure ogni previsione nella tabella predisposta per il calcolo dell'oblazione), per il "vulnus" inferto alla pianificazione urbanistica. Pres. Corsaro M - Est. Fiale A - Imp. P M in proc. Urtis e altri - PM. (Conf.) Fraticelli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 30 dicembre 1996 (UD.19/09/1996) RV. 207199, Sentenza n. 11249

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio -Giudice penale - Esclusione dell'imputato dal condono - Per volumetria dell'immobile superiore ai 750 metri cubi - Possibilità - Sussistenza - Ragione - L. 47/1985 artt. 31, 33, 38 e 39 - L. 724/1994 art. 39. II giudice ordinario non esercita una potestà riservata dalla legge alla Pubblica Amministrazione, quando stabilisce che l'imputato non può beneficiare del cosiddetto "condono edilizio" perchè l'immobile supera la volumetria di settecentocinquanta (750) metri cubi. Al magistrato penale compete, infatti, il potere-dovere di espletare ogni accertamento per stabilire I'applicabilità della causa di estinzione del reato; in tal caso egli svolge il compito primario riservato alla giurisdizione, che non può essere de-legato alla Pubblica Amministrazione, alla cui attività è demandata sol-tanto l'eventuale indagine sulla congruità delle somme versate dall'interessato, ferma restando per il giudice sempre la possibilità di effettuare in casi eccezionali (es. palmare erroneità dell'assunto dell'ufficio tecnico del Comune) ulteriori verifiche. Pres. Chirico C - Est. Morgigni A - Imp. Nocera - PM. (Conf.) Albano A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13 novembre 1996 (UD.15/10/1996) RV. 206471, Sentenza n. 09680

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Contestazione del reato ex art. 1 "sexies" L. 431/1985 connesso con violazione della legge urbanistica - Sospensione del procedimento - Applicabilità - Sussistenza - Ragione - bellezze naturali (protezione delle) - L. 47/1985 artt. 38 e 44 - L. 431/1985 art. 1 sexies - L. 724/1994 art. 39 c. 8. In tema di condono edilizio per costruzioni in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, la sospensione del procedimento in base agli artt. 38 e 44 legge n. 47 del 1985, pienamente compatibile con il principio della tassatività delle sospensioni di cui agli artt. 2, 3 e 479 cod. proc. pen., si applica pure nell'ipotesi di contestazione del reato contemplato dall'art. 1 "sexies" legge n. 431 del 1985 connesso con una violazione della legge urbanistica, giacchè una diversa esegesi contrasterebbe con un'analisi ermeneutica sistematica e teleologica della normativa e sarebbe incongrua e, comunque, contraria al principio di economia processuale in quanto, pur prevedendo l'estinzione della predetta contravvenzione nel comma ottavo dell'art. 39 legge n. 724 del 1985, non consentirebbe di sospendere il relativo procedimento in attesa del rilascio dei provvedimenti abilitativi, notoriamente intervenienti dopo un notevole lasso di tempo. Non occorre, peraltro, un'espressa statuizione integrativa del secondo comma dell'art. 38 legge n. 47 del 1985, come, invece, è avvenuto per i reati di cui alla legge n. 64 del 1974 con la legge n. 298 del 1985 di conversione del D.L. n. 146 del 1985, per considerare compresa in questa norma la predetta violazione, poichè si tratta soltanto di una differente tecnica legislativa giustificata dal diverso regime estintivo delle difformi contravvenzioni. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. Marcucci - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 14 ottobre 1996 (CC.24/09/1996) RV. 206167, Ordinanza n. 01228

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Immobile abusivo eseguito in zona soggetta a vincolo paesistico - In zone individuate dai provvedimenti di cui all'art. 1 "quinquies", L. 431/1985 - Insanabilità assoluta - Esclusione - Ragione - Sospensione del giudizio - Necessità - Condizioni - L. 47/1985 artt. 32 e 38 - L. 724/1994 art. 39. In tema di condono edilizio, non sussiste insanabilità assoluta della costruzione "ex lege" n. 47 del 1985, qualora l'immobile abusivo sia stato eseguito in zona soggetta a vincolo paesaggistico, giacchè vi è solo necessità dell'autorizzazione relativa, sicchè si versa in un'ipotesi disciplinata dall'art. 32 legge n. 47 del 1985, mentre detta insanabilità è esclusa per gli immobili abusivamente edificati in zone individuate dai provvedimenti di cui all'art. 1 "quinquies" legge n. 431 del 1985 in virtù dell'espresso riferimento contenuto nel comma ventesimo dell'art. 39 legge n. 724 del 1994, sicchè ove sia stata presentata regolare e tempestiva istanza di condono con il versamento della prima rata di oblazione deve pro-cedersi alla sospensione del giudizio in base all'art. 38 legge n. 47 del 1985. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. Variale - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 14 ottobre 1996 (CC.24/09/1996) RV. 206160, Sentenza n. 12298

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Costruzioni in zone sotto-poste a vincolo paesaggistico - Intervenuto rilascio di concessione edilizia in sanatoria ex artt. 13 e 22 L. 47/1985 - Sanato - L. 724/1994 art. 39. In tema di condono edilizio per costruzioni in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, sussiste piena compatibilità tra l'intervenuto rilascio del-la concessione edilizia in sanatoria ex artt. 13 e 22 legge n. 47 del 1985 e quella prevista dal comma ottavo dell'art. 39 legge n. 724 del 1994, anche in considerazione del limitato effetto estintivo della prima e dell'espressa previsione della possibilità di conversione della domanda di concessione in sanatoria a regime, prevista dal capo I della legge n. 47 del 1985, nell'istanza di condono edilizio di cui al capo IV, stabilita nel comma undicesimo dell'art. 39 legge n. 724 del 1994, la cui interpretazione estensiva, comprendente pure le concessione in sanatoria già rilasciate, si impone per un'esegesi adeguatrice della norma. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. Marcucci - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 14 ottobre 1996 (CC.24/09/1996) RV. 206166, Ordinanza n. 01228

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Perdita di efficacia dei decreti legge reiterati in materia urbanistica - Sospensione automatica del procedimento penale - Irreversibilità - Effetti del computo del termine prescrizionale - Cod.Pen art. 159 - L. 47/1985 art. 44 - L. 724/1994 art. 39 - D. L. 468/1994 - D. L. 551/1994 - D. L. 649/1994 - L. 85/1995.
La perdita di efficacia dei decreti-legge reiterati in materia di urbanistica, attesa la intima connessione esistente con il nuovo condono edili-zio di cui all'art. 39 legge n. 724 del 1994 per una definitiva risistemazione della materia, non può far venir meno i mutamenti irreversibili della realtà che gli stessi abbiano potuto produrre nel corso della sua precaria vigenza. Tale "irreversibilità deve essere attribuita all'istituto della sospensione automatica del procedimento, perchè, una volta intervenuta, produce i suoi effetti sul computo del termine prescrizionale a norma dell'art. 159 cod. pen., attesa la natura processuale della norma. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. Bruni - PM. (Conf.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 14 ottobre 1996 (CC.03/10/1996) RV. 206159, Ordinanza n. 01296

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Sospensione automatica del procedimento penale - Applicabilità a tutti i procedimenti relativi alle contravvenzioni urbanistiche ed a quelle connesse ex art. 38 L. 47/1985 - Eventuale concessione o meno del condono in concreto - Irrilevanza - L. 47/1985 art. 44 - L. DEL 724/1994 art. 39.
La cosiddetta sospensione automatica ai sensi dell'art. 44 legge n. 47 del 1985 in relazione all'art. 39 legge n. 724 del 1994 si applica a tutti i procedimenti relativi alle contravvenzioni urbanistiche ed a quelle connesse, indicate dall'art. 38 legge n. 47 del 1985 e dall'art. 39 ottavo comma legge n. 724 del 1994, indipendentemente dall'eventuale concessione o meno del condono in concreto, perchè è determinata da ragioni attinenti ad interessi pubblici quali quella di consentire la presentazione della domanda di condono ed è espressione dell'attuazione del principio di economia processuale. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. Bruni - PM. (Conf.) Ranieri B. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 14 ottobre 1996 (CC.03/10/1996) RV. 206158, Ordinanza n. 01296

La sostituzione della pena detentiva breve di cui all`art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 non può essere applicata (art. 60) ai reati previsti dalle leggi in materia edilizia ed urbanistica. Tale divieto non concerne, però, i reati in materia paesaggistica, che si differenzia dalla prima sotto molteplici profili: 1) il particolare rilievo che assume il paesaggio nella Costituzione, autonomamente disciplinato nell`art. 9 e non regolato nell`art. 117, che menziona soltanto l`urbanistica; 2) le distinzioni tra competenze trasferite (urbanistica) alle regioni e competenze delegate (paesaggio), le quali ultime mantengono un ampio potere di controllo ed intervento in capo alle autorità centrali; 3) la diversa incidenza, che hanno i due tipi di vincolo sulla proprietà privata; 4) la possibilità di concessione in sanatoria per la materia urbanistica, non prevista per quella paesaggistica; 5) la diversità della causa di estinzione prevista dalla recente legge 23 dicembre 1994, n. 724: oblazione o concessione in sanatoria per le contravvenzioni urbanistiche; soltanto estinzione per autorizzazione paesaggistica in sanatoria in ordine gli illeciti di cui alla legge n. 431 del 1985; 6) obbligo di interpretazione restrittiva per la disposizione, che prevede eccezioni alla regola generale della sostituzione delle pene detentive brevi.  P.M. in proc. Stefanini. CORTE DI CASSAZIONE Pen., sez. III, 9 settembre 1996 (c.c. 1 luglio 1996), n. 2849

Urbanistica e Edilizia - Vincolo paesaggistico - Violazione - Illecito previsto dall'art. 1 sexies L. 431/1985 - Prescrizione - Sospensione a seguito della normativa sul condono - Computo - Conteggio anche dei periodi di sospensione previsti da decreti legge non convertiti - Esclusione - Reato - Estinzione (cause di) - Sospensione della prescrizione - Cod.Pen art. 157 - L. 724/1994 art. 39 - L. 85/1995 art. 14 c. 1 n. 2 - D. L. 468/1994 - D. L. 551/1994 - D. L. 649/1994. In tema di violazioni paesistiche punite dall'art. 1 sexies legge 8 agosto 1985 n. 431, al termine ultimo di prescrizione stabilito secondo le regole generali fissate dal codice penale vanno aggiunti, quale periodo di sospensione, giorni 68, come stabilito dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 e 14, comma primo bis della legge 22 marzo 1995 n. 85. Non possono essere calcolati anche i termini di sospensione previsti da decreti legge non convertiti (nel caso di specie dai decreti legge 26 luglio 1994 n. 468, 27 settembre 1994 n. 551 e 25 novembre 1994 n. 649). Pres. Consoli G - Est. Consoli G - Imp. Costantini G - PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, 3 settembre 1996 (UD.27/08/1996) RV. 205924, Sentenza n. 08221

Urbanistica e Edilizia - Sequestro preventivo di costruzione abusiva - Rituale domanda di condono edilizio - Attivazione della procedura per il completamento delle opere - Giudice del riesame - Richiesto di valutare la permanenza delle esigenze cautelari - In relazione alla procedura di "completamento" - Obbligo di verifica della compatibilità in concreto - Relative modalità - Fattispecie - Nuovo Cod.Proc.Pen. art. 321 - L. 47/1985 artt. 31 e 35 c. 8 - L. 724/1994 art. 39. Nel caso di sequestro preventivo di costruzione abusiva, qualora l'indagato dopo avere presentato rituale domanda di condono edilizio ai sensi dell'art. 39, legge 23 dicembre 1994, n. 724 - abbia attivato la procedura pre-vista dall'art. 35, comma ottavo, legge 28 febbraio 1985, n. 47 per il completamento delle opere sotto la propria responsabilità, il giudice del rie-same, allorchè gli venga richiesto di valutare la permanenza delle esigenze cautelari che hanno determinato e giustificato il sequestro preventivo, deve affrontare la questione della compatibilità - in concreto - tra le dette esigenze e la procedura di "completamento" delle opere abusive verificando la sussistenza effettiva di tutte le condizioni richieste dalla norma (art. 35, ottavo comma legge n. 47 del 1985) che regola detta procedura. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di ordinanza con la quale veniva rigettata istanza di riesame, la richiesta valutazione risultava del tutto omessa). Pres. Chirico C - Est. Fiale A - Imp. Genoano - PM. (Diff.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 8 agosto 1996 (CC.02/07/1996) RV. 206031, Sentenza n. 02887

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Sospensione del procedimen¬to di sanatoria - Per abusi edilizi di persone imputate ex artt. 416 bis, 648 bis e 648 ter Cod. pen. - Disciplina - Art. 39 L. n. 724/1994 - Art. 1 D. l. n. 285/1996. II testo del D.L. n. 285 del 1996 ha sostituito il primo comma ultimo pe¬riodo dell'art. 39 legge n. 724 del 1994, prevedendo la sospensione del procedimento di sanatoria degli abusi edilizi posti in essere dalla persona imputata da uno dei delitti di cui agli artt. 416 bis, 648 bis e 648 ter del codice penale fino alla sentenza definitiva di non luogo a procedere o di proscioglimento o di assoluzione e stabilendo che qualsiasi richiedente il condono deve attestare, con dichiarazione sottoscritta nelle forme di cui all'art. 2 legge n. 15 del 1968, di non avere carichi pendenti in relazione ai delitti su indicati, sicchè il termine di un anno, stabilito per il for¬marsi della concessione in sanatoria con il silenzio-assenso, deve ritenersi riaperto per consentire agli istanti di integrare la documentazione, giac¬ché il delitto di cui all'art. 648 ter cod. pen. non era contemplato nei precedenti decreti-legge non convertiti nè nell'art. 39 legge n. 724 del 1994, onde la dichiarazione sostitutiva dovrà concernere pure detto reato. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. De Santis - PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 7 Agosto 1996 (CC.02/07/1996) RV. 206053, Sentenza n. 02885

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Formazione della concessio¬ne in sanatoria tramite l'istituto del silenzio-assenso - Necessità di versamento di oblazione congrua - Fondamento - L. n. 47/1985 - Art. 39 L. n. 724/1994. La necessità del versamento di un'oblazione congrua per il formarsi del-la concessione in sanatoria tramite l'istituto del silenzio-assenso trova il suo fondamento, oltre che nel diverso dato testuale del comma quarto dell'art. 39 legge n. 724 del 1994, anche dalla conoscenza da parte del le¬gislatore di una situazione, relativa alle moltissime pratiche del preceden¬te condono giacenti presso i Comuni e definite senza alcun vero controllo con l'istituto del silenzio-assenso, comportando detta negligenza un notevo¬le danno erariale sia per l'importo modesto delle oblazioni pagate rispetto a quelle dovute in assenza di una domanda dolosamente infedele sia per quello dei contributi di concessione, dalla previsione delle rateizzazioni sia per il pagamento dell'oblazione sia degli oneri concessori, sicchè il termine per il formarsi del silenzio-assenso in tale ipotesi necessariamente dovrà decorrere dall'effettuato integrale versamento, e dalla statuizione dell'ap¬plicazione dell'interesse del 10 per cento sulle somme dovute nel caso di mancato pagamento degli oneri concessori. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. De Santis - PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 7 Agosto 1996 (CC. 02/07/1996) RV. 206052, Sentenza n. 02885

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Possibilità di completare l'opera sotto la propria responsabilità - Possibilità di sequestro penale - Sussistenza - Ragione - L. 47/1985 art. 35 - L. 724/1994 art. 39. L'ambito di applicabilità della disciplina contemplata dall'art. 35 quattordicesimo comma della legge n. 47 del 1985 prevede tutta una serie di adempimenti con prestabilite scansioni temporali, il cui verificarsi deve essere rigorosamente dimostrato, e non esclude la possibilità del sequestro penale, attese le differenze proprie della materia penale e di quella amministrativa. Ed invero permarrebbe sempre in capo al giudice la possibilità di accertare se la prosecuzione dei lavori per il loro completamento sia legittima o meno, giacchè il presentatore dell'istanza di condono esegue gli stessi sotto la propria responsabilità, sicchè occorre sempre effettuare una valutazione, necessariamente sommaria in sede di riesame, sulla sussistenza della causa di estinzione prevista dalle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. De Santis - PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 7 agosto 1996 (CC.02/07/1996) RV. 206050, Sentenza n. 02885

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Art. 39 L. n. 724/1994 - Concessione in sanatoria tacita per decorso del termine - Formazione - Requisiti - Diversità di formulazione rispetto all'art. 35 L. n. 47/1985. II formarsi di una concessione in sanatoria tacita per il decorso del termine di un anno dalla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, secondo quanto previsto dal comma quarto dell'art. 39 legge n. 724 del 1994, come modificato dal D.L. n. 285 del 1996, discende dalla necessaria attestazione da parte del Sindaco della congruità dell'oblazione dovuta, giacché la formulazione del quarto comma dell'art. 39 legge cit. appare diversa da quella dell'art. 35 legge n. 47 del 1985 a causa della trasposizione di alcuni adempimenti e di termini, la quale incide sulla con-figurazione dei requisiti perché possa formarsi il silenzio-assenso onde sembra che il legislatore abbia accolto la tesi, secondo cui il provvedimen¬to silenzioso postula la liquidazione definitiva da parte del Comune dell'oblazione e l'accertamento della possibilità dell'opera di conseguire la sanatoria. Infatti nel sistema normativo attuale uno dei requisiti prin¬cipali per il formarsi del provvedimento silenzioso diviene il pagamento dell'oblazione dovuta, che non può essere equiparata a quella autodetermi¬nata, sicchè il pagamento dell'oblazione congrua secondo i criteri stabiliti dalla legge n. 47 del 1985, il versamento degli oneri di concessione, il cui importo viene determinato in via definitiva dal Comune con richiesta di eventuale conguaglio entro il 31 dicembre 1996, la sussistenza di altri re¬quisiti ivi indicati, ed il decorso del termine di uno o due anni a seconda degli abitanti del Comune dalla data di scadenza del termine per la presen¬tazione della domanda senza l'adozione di un provvedimento negativo da parte del Comune determinano il formarsi del silenzio assenso salvo i casi in cui nei termini previsti cioè anche in quelli stabiliti dal Comune per l'even¬tuale conguaglio non sia stata determinata in modo non veritiero e palese-mente doloso cioè si tratti di una parvenza di oblazione ritenuta congrua a causa di omissioni, infedeltà e differenti prospettazioni dovute ad eviden¬te dolo. Pres. Chirico C - Est. Novarese F - Imp. De Santis - PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 07 Agosto 1996 (CC.02/07/1996) RV. 206051, sentenza n. 02885

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Fattispecie estintiva di cui all'art. 39 L. 724/1994 - Applicabilità anche al reato ex art. 1-sexies L. 431/1985 - Limiti - Fattispecie: con cessione in sanatoria ex art. 13 - L. 47/1985 artt. 13, 22, 31 e 38 - L. 431/1985 art. 1 sexies . La norma di cui all'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724 - in virtù della quale il rilascio di concessione edilizia in sanatoria estingue pure il reato previsto dall'art. 1 -sexies legge 8 agosto 1985, n. 431 - deve ritenersi fare riferimento soltanto alla concessione rilasciata a norma degli artt. 31 e seguenti legge 28 febbraio 1985, n. 47, non anche a quella rilasciata a mente dell'art. 13 stessa legge, tanto che l'art. 39 comma undicesimo legge n. 724 del 1994 prevede l'ipotesi di conversione dell'istanza di sanatoria presentata a norma dell'art. 13 legge n. 47 del 1985 in istanza da considerarsi prodotta a mente del successivo art. 31 ed, all'uopo, richiede che venga avanzata al Comune apposita domanda, corredata dal pagamento all'Erario degli oneri dovuti. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che la contravvenzione ex art. 1-sexies n. 431 del 1985 era stata illegittima mente dichiarata estinta, polchè l'imputato aveva ottenuto concessione in sanatoria ex art. 13 legge n. 47 del 1985 e non ne aveva chiesto la conversione in istanza di concessione ex artt. 31 e segg. stessa legge e 39 legge n. 724 del 1994). Pres. Montoro L - Est. Grassi A - Imp. P.M. in proc. Barisione - PM. (Conf.) De Nunzio W. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 9 Luglio 1996, (UD.04/06/1996) RV. 205720, Sentenza n. 06943

Concessione edilizia. Con riguardo a concessione edilizia, rilasciata in zona sottoposta a vincolo paesistico senza il previsto previo parere favorevole della Commissione consultiva provinciale, la provincia non è legittimata ad impugnare tale provvedimento, in quanto, rispetto ad esso, la sua posizione integra un potere di amministrazione attiva, non già un interesse legittimo al corretto esercizio di un potere dell`autorità comunale inesistente nei confronti dell`amministrazione provinciale. Cass. civ., sez. un., 8 luglio 1996, n. 6226, Prov. Vicenza. c. Frau Spa

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Giudice penale - Potere di accertamento del pagamento dell'intera oblazione dovuta - Sussistenza - L. 47/1985 artt. 31, 35, 38 e 39 - L. 724/1994 art. 39. La competenza del giudice ordinario penale in ordine alla qualificazione giuridica dell'intervento edilizio abusivo e, quindi, indirettamente all'inquadramento nella tipologia individuata in base alla tabella allegata alla legge n. 47 del 1985 discende dal potere di accertamento di tutti gli elementi della fattispecie estintiva fra i quali vi è il pagamento dell'intera oblazione dovuta, ritenuta ora dal quarto comma ultima parte dell'art. 39 legge n. 724 del 1994 quale condizione necessaria per il formarsi del silenzio-assenso, sicchè anche per evitare un inutile decorso del tempo tali controlli devono essere demandati al giudice ordinario. Detta attribuzione non confligge con il dettato del diciassettesimo comma dell'art. 35 legge n. 47 del 1985, che riserva ogni controversia relativa all'oblazione alla giurisdizione amministrativa, giacchè la determinazione della congruità del calcolo dell'oblazione è affidata alla pubblica amministrazione in possesso della documentazione, degli strumenti e degli organi idonei per un simile accertamento. Pres. Papadia U - Est. Novarese F - Imp. Gargallo - PM. (Diff.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 6 giugno 1996 (CC.03/05/1996) RV. 205787, Sentenza n. 02055

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Fattispecie estintiva di cui all'art. 39 c. 8 L. 724/1994 - Reato ex art. 1 sexies L. 431/1985 - Applicabilità - Condizioni - Causa estintiva di cui all'art. 22 L. 47/1985 - Inapplicabilità - Ragione - Bellezze naturali (protezione delle) - L. DEL 47/1985 artt. 13 e 31. La particolare fattispecie estintiva prevista dal comma ottavo dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994 si applica anche al reato di cui all'art. 1 sexies legge n. 431 del 1985, presuppone la presentazione di un'istanza di condono edilizio o di "conversione" della concessione in sanatoria ex artt. 13 e 22 legge n. 47 del 1985 in quella prevista dal capo quarto della stessa legge, il pagamento integrale dell'oblazione dovuta, il rilascio di una con-cessione in sanatoria con le caratteristiche proprie di detto capo della ci-tata legge e dell'autorizzazione paesaggistica. L'inapplicabilità della speciale causa estintiva stabilita dall'art. 22 legge n. 47 del 1985 al rea-to previsto dall'art. 1 sexies legge n. 431 del 1985 si fonda sui connotati peculiari di due discipline difformi e differenziate, legittimamente e costituzionalmente distinte, e sulla tutela prodromica del paesaggio cui è deputata la contravvenzione in esame, sicchè non si vuole consentire alcuna modificazione senza il preventivo controllo dell'autorità' amministrativa, escludendo di porre la pubblica amministrazione competente dinnanzi al fatto compiuto, e sulla natura di reato formale o di disobbedienza riconosciuto in maniera uniforme da dottrina e giurisprudenza. Pres. Accinni G - Est. Novarese F - Imp. Giusti - PM. (Conf.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 30 maggio 1996 (UD.30/04/1996) RV. 205784, Sentenza n. 05404

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - L. 724/1994 - Alienazione di parte dell'immobile - Pagamento dell'oblazione relativa alla parte dell'immobile rimasto in proprietà e del trenta per cento di quella relativa alle parti vendute - Necessità. L. 724/1994 art. 39 - L. 47/1985 art. 38 c. 5 e 6. In tema di condono edilizio di cui alla legge 23 dicembre 1994 n. 724, nell'ipotesi in cui il costruttore di un immobile abbia venduto porzioni dello stesso stabile ad altri, per ottenere la declaratoria di estinzione del reato per oblazione, deve pagare quanto dovuto a tale titolo con riferimento alla porzione di immobile rimasto nella sua esclusiva proprietà ed il trenta per cento dell'oblazione determinata in relazione alla residua parte dello stabile, secondo quanto previsto dall'art. 38 comma quinto e sesto della legge 28 febbraio 1985 n. 47. Pres. Montoro L - Est. Morgigni A - Imp. Vaia - PM. (Conf). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 17 maggio 1996 (UD.23/04/1996) RV. 205429, Ordinanza n. 00581

Edilizia e urbanistica - concessione edilizia per la costruzione di un capannone in zona P.I.P. - scadenza del piano - effetti. Ai sensi dell’art. 17 della L. n. 1150 del 1942, la scadenza del piano non comporta l’inedificabilità della zona, ferma restando l’osservanza degli allineamenti e delle prescrizioni di zona stabiliti dal piano scaduto. T.A.R. PUGLIA-BARI, Sez. II, del 6 aprile 1996 Sentenza n. 211

Urbanistica e Edilizia - Edificazione di fabbricato superiore a 750 mc. - Singoli appartamenti ricompresi entro detta cubatura - Possibilità di richiedere il condono edilizio - Insussistenza - Ragione - L. n. 47/1985 - Art. 39 L. n. 724/1994. II cosiddetto condono edilizio è richiedibile anche nell'ipotesi di edi¬ficazione di un fabbricato superiore a 750 mc, ma i cui singoli appartamenti sono ricompresi entro detta cubatura, giacché l'art. 39 primo comma legge n. 724 del 1994 si riferisce a "nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola concessione edilizia in sanatoria", il comma quinto della stessa disposizione prevede "il versamento dell'intera somma dovuta a titolo di oblazione per ciascuna unità immobiliare, sicchè viene esplicitato un concetto già contenuto nella circolare n. 3357/85 applicativa della legge n. 47 del 1985 e ribadito in quella del 17 giugno 1985 n. 2241 /UL, onde occorre aver riguardo alle unità catastali cioè a quelle opere aventi specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabili e costituenti di regola unità immo¬biliare, mentre, a rendere ancor più evidente detta distinzione per quanto concerne le agevolazioni per la cosiddetta prima casa, il quattordicesimo comma della norma in esame le esclude "nel caso di presentazione di più di una richiesta di sanatoria da parte dello stesso soggetto". Pres. Tridico GS - Est. Novarese F - Imp. Esposito - PM. (Conf.) Marchesiello A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13 Aprile 1996 (UD.13/03/1996) RV. 205851, Sentenza n. 03585

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Estinzione del reato - Controlli demandati all'autorità' giudiziaria - Individuazione - L. 47/1985 artt. 31, 38 e 39 - L. 724/1994 art. 39. I controlli demandati dalla pregressa e dalla nuova normativa sul cosidetto condono edilizio all'autorità' giudiziaria ai fini della declaratoria di estinzione dei reati per intervenuto versamento dell'integrale oblazione dovuta possono essere riassunti: a) nell'effettuare una delibazione circa l'ultimazione dell'opera entro il 31 dicembre 1993; b) nel verificare se l'oblazione dovuta è stata determinata in modo non veritiero e palesemente doloso ovvero non è stata integralmente corrisposta da soggetto legittimato; c) nell'appurare se la domanda di condono sia dolosamente infedele in relazione ad altri elementi; d) nell'acclarare se esiste un'insanabilità' assoluta dell'opera abusiva per carenza di alcuni presupposti non essendo dette ipotesi fra quelle previste dall'art. 39 legge n. 47 del 1985 concernente gli effetti del diniego di sanatoria; e) nel qualificare l'intervento edilizio abusivo ai fini dell'inquadramento nelle varie tipologie di abusi; f) nel constatare la sottoposizione a vincoli della zona e/o dell'opera si da dover attendere il rilascio delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo per dichiarare estinto anche il reato per la violazione del vincolo stesso in virtù dell'ottavo comma dell'art. 39, legge n. 724 del 1994 ed in contrasto con il precedente modulo procedimentale, che richiedeva soltanto il versamento dell'oblazione dovuta per l'estinzione dei reati ex art. 38 se-condo comma legge n. 47 del 1985. Pres. Corsaro M - Est. Novarese F - Imp. P.M. in proc. Castaldo - PM. (Conf.) Marchesiello A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 3 aprile 1996 (CC.22/02/1996) RV. 205779, Sentenza n. 00863

 Urbanistica - concessione edilizia in deroga - opere pubbliche - norme applicabili - interpretazione - criterio restrittivo. La concessione edilizia in deroga è consentita per la sola realizzazione di edifici o impianti pubblici o di interesse pubblico. Le previsioni degli strumenti urbanistici relative alle destinazioni di zona non sono modificabili attraverso il rilascio di concessioni edilizie in deroga. L'art. 41 quater, l. 17 agosto 1942 n. 1150 e 3 l. 21 dicembre 1955 n. 1357, che disciplinano la possibilità di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai piani regolatori ed alle norme di regolamento edilizio, vanno interpretati restrittivamente, nel senso che tali deroghe non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano; ne consegue che non possono costituire oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono alla impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici. Pertanto, le norme comunali disciplinanti la materia delle concessioni in deroga devono mantenersi, comunque, entro i limiti consentiti dalle norme statali e regionali. Consiglio Stato sez. IV, 2 aprile 1996, n. 439.

 P.r.g. - “motivazione specifica” delle scelte amministrative - variante generale - vincoli decaduti - reiterazione in variante - principio di sufficienza. La motivazione posta alla base delle scelte generali compiute dall'amministrazione con l'adozione del piano regolatore non deve essere necessariamente contenuta nel solo atto che conclude il procedimento, ma può essere ricavata anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, debitamente richiamati, a condizione che in essi siano chiaramente illustrate le esigenze che hanno indotto l'amministrazione all'adozione di determinate scelte. La variante di piano regolatore reiterativa di vincoli decaduti non necessita di specifica ed analitica motivazione per le singole zone innovate, purché fornisca una indicazione congrua sulla perdurante attualità della originaria previsione che, a suo tempo, per la prima volta, determinò l’imposizione dei vincoli. La variante di piano regolatore reiterativa di un vincolo scaduto avente finalità ed oggetto circoscritto necessita di motivazione specifica, riferita alla singola area interessata dal vincolo riproposto. Al fine di verificare se lo strumento urbanistico ha connotazioni sostanziali di variante generale, occorre accertare che la nuova disciplina di piano consegua ad un esame esteso all'intero territorio comunale, ad una attenta ricognizione degli antichi bisogni che la precedente disciplina aveva lasciato insoddisfatti e dei nuovi determinati dall'evoluzione "medio tempore" verificatasi nelle condizioni socio - economiche della citta', ad una documentata valutazione di congruita' delle soluzioni codificate rispetto agli obiettivi prefissati e che tutto cio' si traduca in una rinnovata disciplina dell'assetto dell'intero territorio, anche se in parte confermativa della precedente.La documentazione offerta dall'amministrazione in ordine ai problemi di ordine generale che incidono in senso negativo sulle condizioni di vita dell'intera cittadinanza - quale quello dei parcheggi, della viabilità, del verde pubblico, delle strutture scolastiche, ecc. - che non solo non sono stati risolti ma che "medio tempore" si sono aggravati, è sufficiente a legittimare la totale reiterazione dei vincoli scaduti, senza bisogno di una rinnovata indagine condotta sulle singole aree, onde accertare la persistente necessità di disporre di esse al fine di soddisfare le predette esigenze. Né è necessaria una rinnovata comparazione tra gli interessi pubblici e privati confliggenti, giacchè l'affermata e documentata persistenza dei suddetti bisogni di carattere generale, ha un effetto di trascinamento anche nei riguardi della localizzazione dei vincoli a suo tempo stabiliti in funzione del loro soddisfacimento. Consiglio Stato sez. IV, 1 aprile 1996, n. 407

Urbanistica e Edilizia - Disciplina del condono edilizio - Immediata incidenza ai fini della restituzione dell'immobile abusivo sequestrato - Impedimento dell'emissione di provvedimento di sequestro - Esclusione - Ragione - Nuovo Cod.Proc.Pen. art. 321 - L. 47/1985 art. 35 - L. 724/1994 art. 39. La disciplina del cosiddetto condono edilizio non incide immediatamente nè ai fini della restituzione dell'immobile abusivo sequestrato n è per impedire l'emissione di un provvedimento di sequestro, e ciò sia perchè occorre prima accertare la sussistenza di tutti i presupposti e requisiti affinchè possa operare la causa estintiva (legittimazione, entità dei volumi, natura dell'abuso in relazione a vincoli vari di interesse pubblico), sia soprattutto perchè non si può consentire che mentre si domanda il con-dono per I'attività abusiva pregressa possa proseguire il comportamento penalmente sanzionato, con aggravio delle sue conseguenze (dal momento che il portare avanti la costruzione è certamente un'attività in astratto illecita, pur se sanabile) e sia infine perchè per il verificarsi dell'estinzione del reato è necessaria la sua formale dichiarazione. Pres. Glinni PP - Est. Franco A - Imp. Fusco - PM. (Conf) Di Zenzo. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 5 marzo 1996 (CC.06/02/1996) RV. 204708, Sentenza n. 00556

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Domanda di oblazione e ver¬samento della somma dovuta effettuate da persone diverse dagli impu¬tati - Vantaggio per questi ultimi - Possibilità - Esclusione - Ragione - Art. 182 Cod. pen. - Artt. 34, 36, 38, 40 L. n. 47/1985 28/2/1985 - Art. 39 L. n. 724/1994. In tema di condono edilizio, qualora la domanda di oblazione ed il versamento della somma dovuta siano effettuate da persone diverse dall'imputato, quest'ultimo non può trarre vantaggio dall'iniziativa di altro soggetto, sia per il carattere personale della causa estintiva (art. 182 cod. pen.) sia per l'espresso disposto dell'art. 38, comma quinto, legge 28 febbraio 1985, n. 47, che in applicazione di detto principio, ribadisce i limiti personali del beneficio dell'oblazione relativa al cosiddetto condono edilizio. Questa interpretazione è avvalorata dalle caratteristiche "fiscali" di detta sanatoria e dalla possibilità di fruire di sconti e dilazioni ex artt. 34 e 36 legge n. 47 del 1985 e 39 legge 23 dicembre 1984, n. 724, collegati a qualità o situazioni personali dell'istante, sicchè la presentazione della domanda da parte di un soggetto diverso comporta un fenomeno di elusione tributario e può integrare, in presenza di altri elementi, l'ipotesi della istanza dolosamente infedele, di cui all'art. 40 legge n. 47/85 e all'art. 49, comma quarto, ultima parte legge 724/94. Pres. Glinni PP - Est. Franco A - Imp. Fusco - PM. (Conf) Di Zenzo. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 05 Marzo 1996 (CC. 06/02/1996) RV. 204709, Sentenza n. 00556

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Reati ex art. 1 "sexies" L. 431/1985 - Autorizzazione in sanatoria - Esclusione dell'applicazione dell'ordine di rimessione in pristino - Possibilità - Condizioni - Bellezze naturali (protezione delle) - L. 47/1985 artt. 7 e 38 - L. 724/1994 art. 39. La rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi costituisce una sanzione amministrativa esercitata dal giudice penale con un potere autonomo, che, tuttavia, deve essere necessariamente coordinato con tutta la disciplina e con il regime sanzionatorio stabiliti dalla normativa di riferimento. In detto sistema assumono rilevanza l'istituto generale della sanatoria e la sanzione reintegratoria reale della demolizione, che, al di la delle norme, soprattutto nel settore urbanistico, in cui è espressamente subentrata la rimessione in pristino, deve ritenersi configurata come misura ripristinatoria più estesa del suo semplice contenuto demolitorio cioè sostituita dalla rimessione in pristino. Pertanto, reso omogeneo il sistema sanzionatorio, avuto riguardo alle finalità di tutela dell'interesse sostanziale alla protezione del paesaggio, potendosi il reato ex art. 1 sexies legge 8 agosto 1985, n. 431 configurare per la sola esecuzione di opere o attività senza l'autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497 del 1939, l'autorizzazione in sanatoria, purchè legittima, valida ed efficace, escluderà l'applicazione di detto ordine da parte del giudice penale, tutte le volte in cui il suo rilascio elimina ogni "vulnus" al paesaggio in una visione sostanziale della sua protezione. Pres. Montoro L - EstL. Novarese F - Imp. Lega Ambiente in proc. Lodigiani ed altri - PM. (Conf). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 17 febbraio 1996 (CC.23/01 /1996) RV. 205383, Sentenza n. 00225

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Sospensione del procedimento - Casi - Omissione della sospensione - Nullità - Esclusione - Menomazione del diritto di difesa - Esclusione - Nullità processuali - Tassatività - Nuovo Cod.Proc.Pen. artt. 177 e 178 lett. c - L. 47/1985 artt. 20 e 38 - L. 431/1985 - L. 724/1994 art. 39 c. 8. Nell'ipotesi in cui il giudice di merito non abbia sospeso ex art. 38 legge 28 febbraio 1985, n. 47 il procedimento relativo ai reati di cui all'art. 20 stessa legge ovvero a quello di cui all'art. 1 sexies D.L. 27 giugno 1985, n. 312 convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431 - nei casi in cui sia configurabile un "intervento edilizio" (art. 39 comma ottavo legge 23 dicembre 1994, n. 724) - non consegue la nullità del procedimento, non prevista da alcuna disposizione di legge. N è è ravvisabile la violazione dell'art. 178 lett. c) cod. proc. pen., perché non vi è menomazione del diritto di difesa dell'imputato, che può far valere nei successivi gradi di giudizio l'esistenza o sopravvenienza della causa estintiva ovvero ottenere la sospensione del procedimento. Pres. Accinni G - Est. Morgigni A - Imp. Visini - PM. (Conf) Pagliarulo. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 18 gennaio 1996, (UD.19/12/1995) RV. 204373, Sentenza n. 00556

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Sospensione del procedimento - Necessità anche per "intervento edilizio" collegabile con reato ex L. 1089/1939 ovvero L. 431/1985 - Sussistenza - Nozione di "intervento edilizio" - L. 47/1985 artt. 20 e 38 - L. 724/1994 art. 39 c. 8 - L. 431/1985. In base all'art. 38 legge 28 febbraio 1985, n. 47, il procedimento penale deve rimanere sospeso dalla data di presentazione della domanda di sanatoria, accompagnata dall'attestazione di versamento dell'oblazione negli importi stabiliti, non soltanto con riferimento alle ipotesi dei reati di cui all'art. 20 stessa legge, ma anche a quelle fattispecie nelle quali sia configurabile un "intervento edilizio" (legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma ottavo) collegabile con uno dei reati di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089 ovvero al D.L. 27 giugno 1985, n. 312 convertito„ con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431. La nozione di "intervento edili-zio" non va limitata ai casi di cui all'art. 20 lett. b), c), ma anche a quelli di cui alla lettera a) ed attiene anche ai casi nei quali il reato edilizio-urbanistico non sia stato formalmente contestato. Pres. Accinni G - Est. Morgigni A - Imp. Visini - PM. (Conf) Pagliarulo. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 18 gennaio 1996 (UD.19/12/1995) RV. 204372, Sentenza n. 00556

Urbanistica e Edilizia - Reato di cui all'art. 1 "sexies" L. 431/1985 - Esclusione ex art. 39 c. 8 L.724/1994 - Condizioni - Presentazione dell'istanza di condono, versamento delle somme dovute e giudizio di congruità espresso dall'amministrazione comunale - Sufficienza - Esclusione - Rilascio della concessione edilizia previa autorizzazione della amministrazione pre-posta alla tutela del vincolo - Necessità - L. 431/1985 art. 1 sexies - L. 724/1994 art. 39 c. 8. La estinzione del reato contravvenzionale di cui all'art. 1 "sexies" della legge 8 agosto 1985 n. 431 è subordinata, dall'art. 39 comma ottavo Legge 23 dicembre 1994 n. 724, al rilascio della concessione edilizia, previa autorizzazione dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo e non sono sufficienti la presentazione dell'istanza di condono, il versamento delle somme di denaro dovute ed il giudizio di congruità espresso dall'amministrazione comunale. Pres. Montoro L - Est. Grassi A - Imp. P.M. in proc. Savicoli ed altri - PM. (Parz Diff) Carlucci. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 17 gennaio 1996 (UD.04/12/1995) RV. 203445, Sentenza n. 00473

Urbanistica e Edilizia - Bellezze naturali (protezione delle) - Manufatto abusivo in zona vincolata - Concessione in sanatoria - Estinzione del reato - Esclusione - Autorizzazione paesaggistica - Necessità - L. 47/1985 art. 38 - D. L. 312/1985 art. 1 sexies - L. 431/1985- L. 724/1994 art. 39. II reato di cui all'art. 11-sexies d.l. 27 giugno 1985, n. 312, con in legge 8 agosto 1985, n. 431 (costruzione senza titolo in zona sottoposta a vincolo ambientale) può essere estinto per il rilascio "ex post" della con-cessione in sanatoria solo se e quando interviene anche l'autorizzazione dell'amministrazione preposta al vincolo. Pres. Accinni G - Est. Onorato PL - Imp. D'Ottavi - PM. (Conf) Ranieri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 gennaio 1996 (CC.08/11/1995) RV. 203350, Sentenza n. 03768

Urbanistica e Edilizia - Lottizzazione abusiva - Istanza di condono e pagamento a titolo di oblazione - Incompatibilità con l'emissione o il mantenimento del sequestro preventivo - Esclusione - Ragioni - Misure cautelari - Reali - Sequestro preventivo - Nuovo Cod.Proc.Pen. art. 321 c. 2 - L. 47/1985 artt. 19 e 38 - L. 724/1994 art. 39. II sequestro preventivo di terreni abusivamente lottizzati e di fabbricati realizzati senza concessione edilizia è compatibile con la presentazione dell'eventuale istanza di condono e con il pagamento delle somme di denaro autodeterminate a titolo di oblazione, stante che l'effetto estintivo del reato è subordinato all'attestazione sindacale della congruità di quanto versato a tale titolo; ne consegue che la presentazione dell'istanza ed il pagamento predetto non sono ostativi all'emissione del decreto di sequestro degli immobili abusivi e non comportano l'obbligo di restituzione di quelli già sequestrati: essi determinano infatti la sospensione del procedimento principale, ma non di quelli incidentali. Pres. Montoro L - Est. Grassi A - Imp. Cascarono - PM. (Conf) Carlucci. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 gennaio 1996 (CC.04/12/1995) RV. 203368, Sentenza n. 04262

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Estinzione del reato per oblazione - Domanda e versamento dell'oblazione effettuato da persona diversa dallo imputato - Estinzione del reato contestato a quest'ultimo - Esclusione - Ragione - Artt. 34, 36, 38 e 40 L. n. 47/1985 - Artt. 39 c. 4 L. 724/1994 - Art. 182 Cod. pen. In tema di condono edilizio, la domanda ed il pagamento della oblazione da parte di persona diversa dall'imputato in nessun modo può giovare a quest'ultimo sia per il carattere personale della causa estintiva secondo quanto previsto dall'art. 182 cod. pen., sia per l'espresso disposto dell'art. 38 comma quinto legge 28 febbraio 1985 n. 47 (che fa riferimento ai soggetti indicati dall'art. 6 della legge e cioè il titolare della con-cessione, il committente, il costruttore ed il direttore dei lavori). Ciò è confermato dalla natura anche fiscale della sanatoria e dalla possibilità, prevista dagli articoli 34 e 36 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 di fruire di sconti e dilazioni in relazione a qualità o condizioni personali dell'istante, sicchè la presentazione della domanda da parte di un soggetto diverso potrebbe costituire elusione tributaria e potrebbe integrare, in presenza di altri elementi, l'ipotesi dell'istanza dolosamente infedele di cui all'art. 40 della legge 47/85 e 39 comma quarto, ultima parte, legge 724/94. Pres. Corsaro M - Est. Franco A - Imp. Granariello A - PM. (Conf) Frangini. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 15 Gennaio 1996 (UD.29/11/1995) RV. 203908, sentenza n. 00401

DIRITTO URBANISTICO - Lottizzazione abusiva - Nozione. Nella nozione di lottizzazione abusiva rientra anche quella che comporti una trasformazione urbanistica od edilizia del territorio, realizzata in concreto con modalità tali da non essere riferibile al piano inizialmente approvato con la convenzione all'uopo stipulata a causa degli stravolgimenti od integrali modifiche apportate". CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. 3, del 12.1.1996, sentenza n.2408

Urbanistica e Edilizia - Reato urbanistico - Cause di estinzione - Concessione in sanatoria prevista dall'art. 39 c.8 della L. 274/1994 - Costruzioni in zona sottoposta a vincolo paesistico - Estinzione del reato previsto dall'art. 1 sexies L. 431/1985 - Applicabilità - Condizioni - Rilascio dell'autorizzazione paesistica - Necessità - Insufficienza - Bellezze naturali (protezione delle) - Costruzioni abusive in zona sottoposta a vincolo ai sensi della L. 431/1985 - Condizioni - Rilascio dell'autorizzazione paesistica - Concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 31 della - L. 47/1985. In tema di violazioni urbanistiche commesse in zone sottoposte a vincolo ai sensi della legge 8 agosto 1985 n. 431, è possibile ottenere il condono, secondo quanto previsto dall'art. 39, comma ottavo della legge 23 dicembre 1994 n. 724, ma è necessario il rilascio sia dell'autorizzazione paesaggistica che della concessione in sanatoria ex art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47. Non è sufficiente perciò l'ottenimento della concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 13 della legge 47/85, che contiene nel suo iter procedimentale il semplice rilascio del parere favorevole dell'autorità preposta alla salvaguardia del vincolo. La richiesta di concessione in sanatoria presentata ai sensi dell'art. 13 deve perciò essere convertita in quella necessaria ai fini della sanatoria prevista dall'art. 31, occorre procedere al pagamento dell'oblazione ed ottenere l'autorizzazione paesistica. Pres. Montoro L - Est. Novarese F - Imp. PM in proc Mingardi - PM. (Conf) De Nunzio. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 dicembre 1995, (UD.09/1 1 /1995) RV. 203919, Sentenza n. 02154

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Sospensione del procedimento penale - Sussistenza dei presupposti di legge - Sospensione "ipso-iure" anche in assenza di provvedimenti del giudice - Operatività - Sussistenza - Fattispecie: prescrizione - Cod.Pen art. 159 - L. 47/1985 art. 44 - L. 724/1994 art. 39. In tema di cosiddetto condono edilizio, la sospensione del procedimento penale, ai sensi dell'art. 44 L. 28 febbraio 1985, n. 47 e dell'art. 39 L. 23 dicembre 1994, n. 724, sussistendo i presupposti di legge deve ritenersi operante "ipso iure", anche in assenza di un formale provvedimento del giudice. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che i reati ascritti allo imputato non erano prescritti, poichè al termine massimo di prescrizione (1 luglio 1995) dovevano aggiungersi 224 giorni a norma dell'art. 159 cod.pen.). Pres. Cavallari G - Est. Fiale A - Imp. Pollio - PM. (Conf). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 24 novembre 1995 (CC.18/10/1995) RV. 203216, Ordinanza n. 03517

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Reati ex art. 1 "sexies" L. 431/1985 - Autorizzazione in sanatoria - Esclusione dell'applicazione dell'ordine di rimessione in pristino - Possibilità - Condizioni - Bellezze naturali (protezione delle) - L. 47/1985 artt. 7 e 38 - L. 724/1994 art. 39. La rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi costituisce una sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale con un potere auto-nomo, che, tuttavia, deve essere necessariamente coordinato con tutta la disciplina e con il regime sanzionatorio stabiliti dalla normativa di riferimento. In detto sistema assumono rilevanza l'istituto generale della sanatoria e la sanzione reintegratoria reale della demolizione, che, al di la delle norme, soprattutto nel settore urbanistico, in cui è espressamente subentrata la rimessione in pristino, deve ritenersi configurata come misura ripristinatoria più estesa del suo semplice contenuto demolitorio cioè sostituita dalla rimessione in pristino. Pertanto, reso omogeneo il sistema sanzionatorio, avuto riguardo alle finalità di tutela dell'interesse sostanziale alla protezione del paesaggio, potendosi il reato ex art. 1 "sexies" legge 8 agosto 1985, n. 431 configurare per la sola esecuzione di opere o attività senza l'autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497 del 1939, l'autorizzazione in sanatoria, purchè legittima, valida ed efficace, escluderà l'applicazione di detto ordine da parte del giudice penale, tutte le volte in cui il suo rilascio elimina ogni "vulnus" al paesaggio in una visione sostanziale della sua protezione. (Conf. Sez. III, c.c. 1 giugno 1995, n. 2078, ric. P.M. e Cavallo). Pres. Tridico GS - Est. Novarese F - Imp. Ottelli - PM. (Parz Diff) Frangini. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 15 novembre 1995 (CC.22/09/1995) RV. 203632, Sentenza n. 11203

Edilizia - In genere - Condono edilizio - Sospensione dei procedimenti - Illecito paesaggistico ex art. 1 sexies L. 431/1985 - Applicabilità - Ragione - Fattispecie: prescrizione - Bellezze naturali (protezione delle) - Cod.Pen. art. 159 - L. 47/1985 - D. L. 468/1994 - D. L. 551/1994 - D. L. 649/1994 - L. 724/1994 art. 39 - D. L. 24/1995 - L 85/1995. In materia di cosiddetto condono edilizio, la sospensione dei procedimenti penali trova attuazione anche con riferimento allo illecito paesaggistico di cui all'art. 1-sexies legge 8 agosto 1985, n. 431. Infatti il comma ottavo dell'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 734 dispone: "nel caso di interventi edilizi nelle zone e fabbricati sottoposti a vincolo ai sensi delle leggi 29 giugno 1939, n. 1497 e legge 8 agosto 1985, n. 431 il rilascio della concessione edilizia o della autorizzazione in sanatoria, subordinato al conseguimento delle autorizzazioni delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, estingue il reato per la violazione del vincolo stesso"; inoltre in tutti i decreti-legge reiterati è ripetuto che il comma secondo dell'art. 1-sexies e le sanzioni amministrative non si applicano nei casi di sanatoria previsti dal presente decreto", sicché gli imputati di reato paesaggistico hanno interesse alla sospensione (calcolata in giorni duecentoventitre, sommando tutti i periodi), poichè la sanatoria da un lato estingue anche questo illecito ed in ogni caso elimina l'ordine di rimessione in pristino. (Fattispecie in tema di prescrizione). Pres. Montoro L - Est. Morgigni A -Imp. Di Cintio e altri - PM. (Conf) Carlucci - CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 17 novembre 1995. (UD.20/10/1995) RV 203259, Sentenza n. 11254

Urbanistica e Edilizia - Illeciti urbanistici - Edificazione in zone di particolare interesse ambientale sottoposte a vincolo ai sensi della L. 431/1985 - Sospensione del procedimento e della prescrizione in virtù dei provvedimenti di sanatoria - Applicabilità - Reato - Estinzione (cause di) - Prescrizione - Sospensione della prescrizione - Sospensione dei procedimenti in materia di illeciti urbanistici previsti dalla legislazione sul condono edilizia - Costruzioni in zone sottoposte a vincolo paesistico ai sensi della L. 431/1985 e sanzionate dall'art. 1 "sexies" della legge - Applicabilità - D. L. 551/1994 - D. L. 468/1994 - D. L. 649/1994 - L. 724/1994 art. 39 c. 4 - L. 85/1995 art. 14 c.1 n 2. In tema di reati urbanistici, la sospensione del procedimento e della prescrizione conseguenti alla previsione del d.l. 26 luglio 1994 n. 468, reiterato con i decreti 27 settembre 1994 n. 551, 25 novembre 1994 n. 649 e dell'art. 39 comma quarto della legge 23 dicembre 1994 n. 724 e dell'art. 14 comma 1 bis della legge 22 marzo 1995 n. 85, di conversione del d.l. 23 febbraio 1995 n. 41, si applicano anche alle violazioni dei vincoli paesistici previsti dalla legge 8 agosto 1985 n. 431 e sanzionati dall'art. 1 "sexies" della stessa legge poiché l'art. 39 comma ottavo della legge 724/94 prevede l'estinzione del reato in caso di rilascio delle concessioni in sanatoria previo ottenimento dell'autorizzazione paesistica, mentre i decreti reitera-ti escludono l'obbligo delle restituzioni in pristino nei casi di sanatoria previsti dal decreto. Da ciò dipende l'interesse degli indagati alla sospensione del procedimento. Pres. Glinni PP - Est.. Morgigni A - Imp. Romano - PM. (Diff). CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 13 novembre 1995 (UD.04/10/1995) RV. 203756, Sentenza n. 11085

Urbanistica e Edilizia - In genere - Imputati assolti da violazione edilizia - Sussistenza di residua contravvenzione ex art. 1-sexies L. 431/1985 - Sospensione del procedimento per condono edilizio - Ammissibilità - Ragione - L. 47/1985 artt. 38 e 44 - L. 724/1994 art. 39. La sospensione del procedimento per il condono edilizio è ammissibile anche quando gli imputati siano stati assolti dalla violazione edilizia perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, qualora permanga la contravvenzione di cui all'art. 1-sexies legge 8 agosto 1985, n. 431, giacchè l'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724 prevede l'estinzione di detta contravvenzione previo il rilascio della concessione o dell'autorizzazione edilizia in sanatoria subordinata al conseguimento del provvedimento abilitativo ex art. 7 legge 29 giugno 1939, n. 1497. Pres. Glinni PP - Est. Novarese F - Imp. Giacomelli e altri -PM. (Conf) Fiore. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 4 novembre 1995 (UD.06/10/1995) RV. 203543, Sentenza n. 10924

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Fattispecie estintiva di cui all'art. 39 c. 8 L724/1994 - Applicabilità anche al reato ex art. 1-sexies L. 431/1985 - Presupposti - L. 47/1985 - L. 431/1985 art. 1 sexies. La particolare fattispecie estintiva prevista dal comma ottavo dell'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724, in base al quale "il rilascio della concessione edilizia o dell'autorizzazione in sanatoria, subordinato al conseguimento delle autorizzazioni delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, condono edilizio o di "conversione" della concessione in sanatoria ex art. 13 e 22 legge 28 febbraio 1985, n. 47 in quella prevista dal capo IV della stessa legge, il pagamento integrale dell'oblazione dovuta, il rilascio di una concessione in sanatoria con le caratteristiche proprie di detto capo della citata legge e della autorizzazione paesaggistica. Pres. Cavallari G - Est. Novarese F - Imp. P.M. in proc. Del Favero e altri - PM. (Conf) Marchesiello. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 17 ottobre 1995 (UD.25/09/1995) RV. 203545, Sentenza n. 10365

Urbanistica e Edilizia - Illeciti urbanistici - Sospensione della prescrizione per tutti i reati dalla entrata in vigore della L. 724/1994 alla scadenza del termine per la presentazione della richiesta di sanatoria - Necessità - Sospensione del procedimento nei casi in cui il manufatto è palesemente escluso dalla sanatoria - Esclusione.- Reato - Estinzione (cause di) - Prescrizione - Illeciti urbanistici - L. 47/1985artt. 22 e 38 - D. L. 468/1994 art.1 - D. L. 41/1995 - L. 85/1995. In materia di edilizia e urbanistica, il calcolo della prescrizione per gli illeciti commessi prima dell'entrata in vigore della legge 23 dicembre 1994 n. 724, deve tener conto del periodo di sospensione di mesi sette e giorni otto che decorrono dalla data di pubblicazione del primo decreto legge 23 febbraio 1994 n. 41 e scadono con date stabilite dalla legge 23 dicembre 1994 n. 724 integrata dalla Legge 22 marzo 1995 n.85 per la presentazione della domanda di sanatoria. Qualora l'opera abusiva non possa rientrare, per la natura o la volumetria, tra quelle per le quali è possibile la sanatoria, non potrà invece disporsi la sospensione del processo ex art. 38 legge 28 febbraio 1985 n.4. - Pres. Corsaro M. - Est. Savignano G. - Imp. Colpetti- PM. (Conf.) Frangini. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 11 ottobre 1995. (UD.10/06/1995) RV. 202692, Sentenza n. 10262

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Sospensione ex art. 44 della L. 47/1985 Pluralità di reati in continuazione, dei quali non tutti estinguibili - Sospensione applicata all'intero procedimento - Necessità - Fattispecie - Cod. Pen. art. 81 - L. 724/1994 art. 39. La sospensione prevista dall'art. 44 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 deve essere applicata all'intero procedimento, qualora il giudice di merito, riconoscendo il vincolo della continuazione, abbia proceduto unitariamente per varie ipotesi di reato, delle quali alcune soltanto siano divenute estinguibili in base all'art. 38 della stessa legge. (Fattispecie in tema di condono edilizio ai sensi della legge n. 724 del 1994). Pres. Lo Coco G. - Est. Lattanzi G. - Imp. Luongo - PM. (Conf.) Suraci. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. U. del 24 agosto 1995 (UD. 09/06/1995) RV. 201861. Ordinanza n. 09080

Urbanistica e Edilizia - Estinzione dei reati per oblazione ai sensi dell'art. 38 L. 47/1985 e art. 39 L. 724/1994 - Obbligo del giudice di verificare il rispetto di tutte le condizioni che legittimano il rilascio della concessione in sanatoria - Sussistenza - Avvenuto versamento della somma dovuta per l'oblazione nella misura massima - Inerzia dell'amministrazione - Dichiarazione della estinzione del reato per oblazione - Legittimità. In materia di condono edilizio, spetta al giudice penale verificare la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per il rilascio della concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 38 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 e verificare inoltre l'avvenuto pagamento dell'intera oblazione dovuta. Date tali condizioni e decorso il tempo necessario per la formazione del silenzio assenso da parte dell'amministrazione che rimanga inerte, il giudice penale dovrà dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta oblazione e ciò potrà essere fatto anche nel giudizio di cassazione quando la documentazione in atti sia completa sotto tutti i profili. Pres. Tridico GS - Est. Novarese F - Imp. Braida - PM. (Conf) Fraticelli. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 26 Luglio 1995 (UD.07/06/1995) RV. 203903, Sentenza n. 08606

Urbanistica e edilizia - Condono edilizio - Art. 39, c. 1 L. 724/1994 - Singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria - Possibilità - Sussistenza - Effetti. L'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724 prevede espressamente al primo comma la possibilità di singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, consentendo, legalmente,di eludere il limite imposto per le costruzioni residenziali di 750 mc. e confermando detto assunto al quinto comma, nel quale ci si riferisce a "ciascuna unita"' immobiliare sia pure per uno specifico profilo. Pres. Cavallari G - Est. Novarese F - Imp. D'Apice - PM. (Conf) Pagliarulo. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 27 Luglio 1995 (UD.01/06/1995) RV. 203538, Sentenza n. 08545

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Mancata erronea sospensione del processo - Nullità inesistenza o inefficacia - Insussistenza - Incompetenza funzionale temporanea - Esclusione - Vizio di violazione di legge rilevante - Nuovo Cod.Proc.Pen.. art. 177 - L. 47/1985 artt. 38 e 44 - L. 724/1994 art 39 - D. L. 41/1995 art. 14- L. 85/1995. Condizioni. Il principio di tassatività delle nullità non consente di inquadrare la mancata erronea sospensione del processo in base alla normativa sul condono edilizio in questa categoria generale, nè nella inesistenza o nell'inefficacia originaria per causa estrinseca in virtù della direttiva n. 7 dell'art. 2 della legge delega (n. 81 del 1987). Detta omissione non comporta neppure una incompetenza funzionale temporanea, ma solo un vizio di vio¬lazione di legge rilevante qualora sussista un interesse concreto ed attuale a dedurlo. Pres. Cavallari G - Est. Novarese F - Imp. D'Apice - PM. (Conf) Pagliarulo. CORTE DI CASSAZIONE Penale SEZ. III, 27 Luglio 1995. (UD. 01/06/1995) RV. 203536, Sentenza n. 08545

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Art. 39 c 8, L. 724/1994 - Estinzione del reato per violazione di vincolo ex L. 431/ 1985 - Sospensione del procedimento - Necessità - Bellezze naturali (protezione delle) - L. 47/1985 art. 44. In tema di condono edilizio, l'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724, con disposizione innovativa perchè non prevista nei precedenti decreti-legge e perchè non esistente nella legge 28 febbraio 1985, n. 47, in quanto la cosiddetta legge Galasso è successiva, prevede che "il rilascio della con-cessione edilizia o dell'autorizzazione in sanatoria subordinato al conseguimento delle autorizzazioni delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, estingue il reato per la violazione del vincolo stesso" (comma ottavo) sicchè occorre disporre la sospensione del procedimento ex art. 44 citata legge n. 47 del 1985, qualora possa richiedersi il rilascio di detta concessione. (Conf. sez. III, Ud. 4 ottobre 1995, n. 1804, P.M. in proc. Romano e altri). Pres. Cavallari G - Est. Novarese F - Imp. P.M. in proc. Vio - PM. (Conf) Pagliarulo. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 27 Luglio 1995, (UD.01 /06/1995) RV. 203627, Sentenza n. 08543

Urbanista e Edilizia - Reati edilizi - Condono edilizio - Sospensione del procedimento - Omessa sospensione da parte del giudice - Conseguenze - Previsione di una sanzione processuale - Esclusione - Nullità - Inesistenza del provvedimento - Nullità processuali - Tassatività - Conseguenze - Atti inesistenti. Nuovo Cod.Proc.Pen. art. 177. L. 47/1985 art. 44 - L. 724/1994 art. 39 - D.L. 41/1995. In tema di illeciti urbanistici, la omessa sospensione del procedimento ex art. 38 legge 28 febbraio 1985 n. 47 cui fanno rinvio provvedimenti successivi non determina alcuna nullità, per il principio di tassatività delle nullità, n è rileva sotto il profilo della inesistenza del provvedimento, poiché l'eventuale pronuncia ha tutti i requisiti formali e sostanziali per acquistare la forza di giudicato, ne sotto il profilo di una incompetenza funzionale transitoria, la cui stessa configurabilità è da mettere in dubbio. La parte perciò conserva la passibilità di chiedere la sospensione finche siano aperti i termini previsti dalla legge, ma non può far valere la omessa sospensione quale vizio della decisione eventualmente presa. Pres. Accinni G - Est. Novarese F, - Imp. Spettro - PM. (Conf.) De Nunzio. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III 20 giugno 1995, (UD.04/05/1995) RV. 202055, Sentenza n. 07021

Edilizia - In genere - Disciplina del condono edilizio - Immediata incidenza ai fini della restituzione dell'immobile abusivo sequestrato - Impedimento dell'emissione di provvedimento di sequestro - Esclusione - Fattispecie: sequestro preventivo - Nuovo Cod.Proc.Pen. art. 321 - L. 47/1985 artt. 7 e 35 - L. 724/1994 art. 39 c. 1 - D. L. 24/1995. La disciplina del cosiddetto condono edilizio non incide immediatamente n è ai fini della restituzione dell'immobile abusivo sequestrato n è per impedire l'emissione di un provvedimento di sequestro, giacchè occorre prima accertare la sussistenza di tutti i presupposti e requisiti perchè possa operare la causa estintiva ed è necessaria la sua formale dichiarazione. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso ordinanza confermativa di sequestro preventivo, era stata dedotta la carenza di motivazione circa la compatibilità del sequestro preventivo con il condono edilizio e la contraddittorietà della stessa in relazione alla facoltà, concessa dal comma ottavo dell'art. 35 legge n. 47 del 1985, di completare sotto la propria responsabilità l'opera edilizia dopo aver corrisposto almeno due rate dell'oblazione. La S.C. ha osservato che permarrebbe sempre in capo al giudice la possibilità di accertare se la prosecuzione dei lavori per il loro completamento sia legittima o meno, sicchè occorre sempre effettuare una valutazione sulla sussistenza della causa di estinzione; che durante la sospensione sono sempre ammessi gli atti urgenti, quale è il sequestro; che la disposizione di cui al comma diciannovesimo dell'art. 39 legge n. 724 del 1994 si riferisce alle sanzioni amministrative e non a quelle penali e può rilevare semmai ai fini dell'esecuzione dell'ordine di demolizione ex art. 7 legge n. 47 del 1985, il cui procedimento, almeno in sede di incidente di esecuzione, dovrebbe essere sospeso in base alla normativa su accennata). Pres. Cavallari G - Est. Novarese F - Imp. Clemente - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 14 aprile 1995, (CC.02/03/1995) RV. 200925, Sentenza n. 00687

Urbanistica e Edilizia - Incidente di esecuzione - Ordinanza di trasmissione degli atti al P.M. per l'esecuzione dell'ordine di demolizione - Ricorso per cassazione - Rigetto - P.M. o giudice in sede di eventuale incidente di esecuzione - Considerazione della disciplina del condono edilizio - Necessità - Condizioni - Fattispecie - L. 47/1985 art. 7 - L. 724/1994 art. 39 - D. L. 24/1995 art. 1. Nel caso di rigetto di ricorso per Cassazione, avverso l'ordinanza con la quale il giudice, in sede di incidente di esecuzione, abbia trasmesso gli atti al pubblico ministero perchè riprendesse l'esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47, il pubblico ministero procedente ed, in sede di eventuale incidente di esecuzione, il giudice, dovranno considerare la disciplina del cosiddetto condono edilizio, qualora il ricorrente abbia pre¬sentato nei termini la relativa domanda ed abbia proceduto al versamento to-tale o parziale dell'oblazione con tutte le conseguenze derivanti da detta procedura, sia in ordine alla sospensione del procedimento di esecuzione sia riguardo alla compatibilità dell'intervenuto rilascio della concessione in sanatoria o della certificazione ex art. 39, comma diciannovesimo, legge 23 dicembre 1994, n. 724 con detto ordine. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che l'esposizione di detti argomenti esula dall'esame della presente im¬pugnazione, n è il relativo giudizio può essere sospeso, polche il ricorso non attiene al capo relativo al cosidetto condono edilizio, in quanto spetta al magistrato competente per l'esecuzione valutare questi presupposti, indi¬pendentemente dalla considerazione che è ormai decorso il termine del 1 marzo 1995 entro il quale, a norma dell'art. 39 legge n. 724 del 1994, come modificato dall'art. 1 D.L. 26 gennaio 1995, n. 24, doveva essere presentata la domanda di condono edilizio e versata l'oblazione parziale o integrale, sicchè in assenza di qualsiasi dimostrazione di detti adempimenti, non può essere disposta alcuna sospensione). (Conf. Sez. 3, c.c. 2 marzo 1995, n. 675 ric. Coratella). Pres. Cavallari G - Est. Novarese F - Imp. Francavilla - PM. (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 14 aprile 1995 (CC.02/03/1995) RV. 200924, Sentenza n. 00674

Urbanistica e edilizia - condono edilizio - Sospensione dell'azione penale fino all'esaurimento dei ricorsi giurisdizionali - Dimostrazione della proposizione dell'impugnazione - Necessità - Fattispecie. L. 28/2/1985 n. 47 artt. 22, 38 e 44.- L. 23/12/1994 n. 724 art. 39.- D. L. 26/1/1995 n. 24 art. 7 c. 10. In tema di cosiddetto condono edilizio, perchè possa operare la sospen¬sione dell'azione penale relativa alle violazioni edilizie fino all'esaurimentomento dei ricorsi giurisdizionali di cui al secondo comma dell'art. 22 legge 28 febbraio 1985, n. 47, alla luce delle modifiche introdotte a tale articolo dall'art. 7 comma decimo, D.L. 26 gennaio 1995, n. 24, è necessaria la dimostrazione della proposizione dell'impugnazione. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che, non essendovi dimostrazione di tale adempimento e non risul¬tando dimostrati la presentazione di alcuna istanza di condono n è il versa-mento di alcuna somma a titolo di oblazione, il procedimento non poteva essere sospeso, nemmeno ex art. 38 legge n. 47 del 1985, giacche era decorso il termine fissato al 1 marzo 1995 dall'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724 per la sospensione automatica di cui all'art. 44 citata legge n. 47 del 1985. - Pres. Cavallari G. - Est. Novarese F. - Imp. Bevilacqua - PM. (Diff.) Ranieri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 aprile 1995, (UD.02/03/1995) RV. 200922, Sentenza n. 03971

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Domanda di oblazione e versamento della somma dovuta effettuate da persone diverse dagli imputati - Vantaggio per questi ultimi - Possibilità - Esclusione - Ragione - Cod.Pen. art. 182 - L. 47/1985 artt. 34, 36, 38 e 40 - L. DEL 724/1994 art. 39 - D. L. 24/1995. In tema di condono edilizio, qualora la domanda di oblazione ed il versamento della somma dovuta siano effettuate da persone diverse dagli imputati, questi ultimi non possono trarre vantaggio dall'iniziativa di altro soggetto, sia per il carattere personale della causa estintiva (art. 182 cod.pen.) sia per l'espresso disposto dell'art. 38, quinto comma, legge 28 febbraio 1985, n. 47 che, in applicazione di detto principio, ribadisce i limiti personali del beneficio dell'oblazione relativa al cosiddetto condono edilizio. Cioè avvalorato dalle caratteristiche "fiscali" di detta sanatoria e dalla possibilità di fruire di sconti e dilazioni ex artt. 34 e 36 legge n. 47 del 1985 e 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724, collegati a qualità o situazioni personali dell'istante, sicchè la presentazione della domanda da parte di un soggetto diverso comporta un fenomeno di esclusione tributaria e può integrare, in presenza di altri elementi, l'ipotesi dell'istanza dolosamente infedele di cui all'art. 40 legge n. 47 del 1985 ed all'art. 39, comma quarto, ultima parte legge n. 724 del 1994. Pres. Cavallari G - Est. Novarese F - Imp. Getuli - PM. (Conf.) Ranieri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 aprile 1995 (UD.02/03/1995) RV. 200923, Sentenza n. 03982

La concezione ampia della "materia urbanistica", coincidente con lo "assetto complessivo del territorio".  Il nostro sistema positivo ha adottato una concezione ampia della "materia urbanistica", coincidente con lo "assetto complessivo del territorio", e come tale non riconducibile all`uso del territorio urbano in senso stretto o del "centro urbano". Sotto un profilo più particolare, ne deriva che la tutela dell`ambiente rientra a pieno titolo nella materia urbanistica, o, più esattamente, che la materia ambientale coincide con quella urbanistica. Pertanto, la contravvenzione agli artt. 1 e 1 sexies legge 8 agosto 1985, n. 431 per interventi sul territorio senza nulla osta ambientale rientra nella materia urbanistica e come tale - essendo punita con pena congiunta - è esclusa dalla sostituzione della pena detentiva.  Cass. pen., sez. III, 16 marzo 1995, n. 2670 (ud. 10 novembre 1994), Ramoni

DIRITTO URBANISTICO - Lottizzazione edilizia - Reato di lottizzazione abusiva - Configurabilità. E’configurabile il reato di lottizzazione abusiva quando la trasformazione urbanistica edilizia del terreno sia realizzata con difformità tipologiche, volumetriche, strutturali e di destinazione, tanto rilevanti e diffuse su tutta l'area rispetto al progetto approvato da far ritenere l'opera non più riferibile a quella pianificata e quindi senza autorizzazione. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. 3, del 15.5.1991, sentenza n. 9633

 

Urbanistica e Edilizia - Domanda di concessione edilizia - Diniego - Sentenza di annullamento del diniego di concessione - Nuova domanda di concessione - Adeguamento da parte della P.A. - Variazioni dello strumento urbanistico - Presupposti e limiti. Sulla decisione di una nuova domanda di concessione edilizia presentata dopo l'annullamento di un precedente diniego, il sindaco deve adeguarsi alla normativa vigente al momento della nuova domanda, tenendo presente tuttavia che non sono opponibili all'interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute dopo la notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso contro il precedente diniego e salva la valutazione discrezionale della possibilità di accordare la concessione in deroga alla nuova normativa. CONSIGLIO STATO Ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1

Urbanistica e Edilizia - Diniego di concessione edilizia - Sentenza di annullamento del diniego di concessione - Interesse pretensivo del titolare della concessione - Revisione della pianificazione urbanistica - Presupposti e limiti. Il soggetto che ottiene, attraverso una sentenza favorevole, l'annullamento del diniego di concessione edilizia ha un interesse pretensivo a che l'autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica riveda "in parte qua" il piano vigente al fine di valutare se ad esso possa essere apportata una deroga (in concreto, una variante) che recuperi in tutto o in parte e compatibilmente con l'interesse pubblico la previsione del piano abrogato, sulla quale si fondava originariamente la domanda di concessione. Tuttavia, è legittimo il nuovo diniego che l'amministrazione abbia opposto all'istanza del ricorrente vincitore, in base al nuovo piano regolatore, se questo sia stato adottato e approvato prima della notificazione della decisione di annullamento. Infatti, la semplice presentazione della domanda di concessione non è sufficiente, ex se, a rendere irrilevanti le variazioni di un piano sopravvenute nelle more del rilascio del provvedimento, pur se vi sia stato indebito ritardo o illegittimo diniego da parte della p.a. CONSIGLIO STATO Ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1 

 

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