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Giurisprudenza

 

Urbanistica

Prg - concessione - autorizzazione - comunicazione -occupazione...

Lottizzazione - zonizzazione - urbanizzazione - condono...  

 

 

2003

 

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Urbanistica - Piano insediamenti produttivi (P.I.P) - Assegnazioni di lotti - Procedura concorsuale - Criteri - Fattispecie: persona fisica priva del requisito di essere ditta o società localizzata ed “effettivamente operante” nel territorio comunale. E’ legittimo il mancato riconoscimento di alcuna priorità ad un aspirante assegnatario in quanto titolare di aree espropriate per la realizzazione del P.I.P, in quanto persona fisica priva del requisito di essere ditta o società localizzata ed “effettivamente operante” nel territorio comunale. Tale previsione del bando sarebbe legittima perché sorretta dalla ratio di favorire quelle imprese che, per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico (quale è certamente anche il P.I.P.), sono state costretta a trasferirsi su altra area, ma non consente il riconoscimento del beneficio a chi abbia semplicemente subito l’espropriazione di un’area, ma non vi svolgeva attività produttiva. (Conferma T.A.R. Campania, II Sezione, 4.7.2001, n. 3118). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9284

 

Urbanistica - Interesse a ricorrere - Piano regolatore generale - Reiterazione vincoli - Lottizzazione. In primo grado la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto, prima sezione, n. 84 del 14 febbraio 1990, ha respinto le impugnative dei ricorrenti contro il Comune di Asiago e la Regione Veneto relative agli atti di approvazione del piano regolatore di Asiago, motivando, tra l’altro, sul fatto che, all'atto della predisposizione della pianificazione urbanistica generale, non era stata stipulata la convenzione relativa alla lottizzazione e, pertanto, non sussisteva alcuna aspettativa qualificata in capo agli interessati, tale da richiedere una specifica motivazione per la nuova destinazione attribuita al terreno. Il Consiglio di Stato conferma la sentenza di primo grado. In primo luogo, la Sezione IV respinge l'eccezione di improcedibilità dell'appello per sopravvenuta carenza di interesse (sollevata dal Comune di Asiago sul presupposto dell’approvazione di un nuovo piano regolatore) e ritiene ammissibile il ricorso originario, considerata una eventuale lesione del diritto di proprietà e, conseguentemente, un diritto risarcimento dei danni. In secondo luogo, la Sezione ribadisce il principio - già affermato in giurisprudenza - che le autorizzazioni ai piani di lottizzazione, rilasciate dal sindaco prima dell'entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765, non sono decadute immediatamente con l'entrata in vigore di tale legge, ma sono rimaste sospese per un periodo congruo fino alla stipulazione delle apposite convenzioni (nel caso in esame il tempo trascorso fra il momento dell'autorizzazione, o più propriamente il tempo trascorso dall'entrata in vigore della legge numero 765 fino all'adozione del piano regolatore generale - più di quattro anni - senza che gli interessati avessero promosso la stipulazione della convenzione di lottizzazione, ha fatto venir meno la loro aspettativa qualificata). CONSIGLIO DI STATO sez. IV, 30 dicembre 2003, sentenza n. 9163

 

Urbanistica - Oneri concessori per contributi di costruzione e di urbanizzazione - Oneri per ritardato pagamento - Concessione della rateizzazione sulla somma - Facoltà - L. n. 47/87 - art.. 1282 c.c.. Il pagamento degli aumenti del contributo per oneri concessori non è escluso per il solo fatto che sia stata chiesta la rateizzazione, allorquando il comune abbia accolto tale domanda solo dopo la decorrenza dei centoquaranta giorni previsti per la maturazione dell’aumento del 100% del contributo dovuto. E ciò perché la concessione della rateizzazione sulla somma dovuta per oneri concessori costituisce una facoltà dell’ente locale e l’esercizio favorevole al privato di tale facoltà non implica rinuncia a riscuotere gli aumenti già maturati in relazione al ritardato pagamento di tale somma. La previsione dell’art. 3 della L. n. 47/87 per cui, in caso di rateizzazione, gli aumenti del contributo si applicano solo ai ritardi nella corresponsione delle singole rate, postula infatti che la rateazione sia stata accordata dall’amministrazione prima del decorso dei termini previsti per gli aumenti. E’ legittima l’applicabilità della garanzia di cui all’articolo 7 della legge 241 del 1990, partecipativa al procedimento di esazione degli aumenti connessi al ritardato pagamento del contributo. Infine, spettano al comune gli aumenti dovuti per il ritardato pagamento degli oneri concessori e anche gli interessi di legge in caso di ulteriore ritardo nel pagamento dopo la scadenza del periodo di tempo previsto per l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 3 L. n. 47/85. Tanto in forza dell’art.. 1282 c.c. che, quale disposizione di carattere generale, in mancanza di una specifica disciplina di settore, è senz’altro applicabile anche alle sanzioni amministrative pecuniarie una volta sorta l’obbligazione ex lege di pagare una certa somma di denaro. Pres. Frascione - Est. Cerreto - Soc. Marinelli s.p.a. (avv.ti Police e Scocai) c. Comune di Perugia (avv.to Cartasegna) (Conferma T.A.R. Umbria dell’11.9.2002, n. 654) CONSIGLIO DI STATO sez. V, 18 Dicembre 2003, Sentenza n. 8345
 

Urbanistica - Oneri concessori - Art. 3 L. n. 47/85 - Gli interessi di legge in caso di ulteriore ritardo nel pagamento - art. 1282 c.c. - Interessi al tasso legale - Sussistenza. Sugli aumenti dovuti per il ritardato pagamento degli oneri concessori spettano al Comune anche gli interessi di legge in caso di ulteriore ritardo nel pagamento di tali aumenti dopo la scadenza del periodo di tempo previsto per l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 3 L. n. 47/85. Invero, la sanzione amministrativa in questione consiste nel pagamento di una somma di denaro dovuta per il trascorrere di un certo periodo di tempo di ritardo nel pagamento degli oneri concessori, decorso il quale il relativo importo della sanzione va evidentemente maggiorato degli interessi al tasso legale ai sensi dell’art. dell’art. 1282 c.c. Detta disposizione di carattere generale, in mancanza di una specifica disciplina di settore, è senz’altro applicabile anche alle sanzioni amministrative pecuniarie una volta sorta l’obbligazione ex lege di pagare una certa somma di denaro, altrimenti l’ulteriore ritardo nel pagamento della sanzione pecuniaria andrebbe a danneggiare unicamente l’Amministrazione. Pres. Frascione - Est. Cerreto - Soc. Marinelli s.p.a. (avv.ti Police e Scocai) c. Comune di Perugia (avv.to Cartasegna) (Conferma T.A.R. Umbria dell’11.9.2002, n. 654) CONSIGLIO DI STATO sez. V, 18 Dicembre 2003, Sentenza n. 8345

 

Urbanistica e edilizia - Piantagione di alberi - Trasformazione urbanistica ed edilizia - Esclusione. La piantagione di alberi non si configura come attività di "trasformazione urbanistica ed edilizia" del territorio ai sensi dell'art. 1, l. 28 gennaio 1977 n. 10. V. e altro c. Com. Cortina d'Ampezzo - CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 12 dicembre 2003, sentenza n. 8204

 

Urbanistica e edilizia - Pubblica Amministrazione - Principio di nominatività e tipicità degli atti amministrativi - Adozione di uno strumento urbanistico che non corrisponda ad uno schema già predeterminato dalla specifica normativa - Illegittimità - Fattispecie. In materia urbanistica (come del resto in ogni altro settore disciplinato dal diritto pubblico) occorre tener presente il principio di nominatività e tipicità degli atti amministrativi, in base al quale la PA. non può adottare uno strumento urbanistico che non corrisponda ad uno schema già predeterminato dalla specifica normativa non solo nel suo iter procedurale, ma anche con riguardo all'oggetto ed al contenuto (V. la decisione di questo Consiglio Sez. IV n. 525 del del 28.7.1982). Nella specie è illegittima la delibera comunale adottata al solo fine di confermare, sino alla definitiva programmazione urbanistica del territorio, le destinazioni di interesse pubblico inserite nel piano regolatore annullato in sede giurisdizionale. Com. Frattamaggiore c. Crispino. CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 12 dicembre 2003, sentenza n. 8198

 

Urbanistica - Piano regolatore generale - Reiterazione vincoli. La sentenza fa applicazione, nella materia urbanistica, del principio di nominatività e tipicità degli atti amministrativi. E' da escludere che la PA. possa adottare uno strumento urbanistico che non corrisponda ad uno schema già predeterminato dalla specifica normativa non solo nel suo iter procedurale, ma anche con riguardo all’oggetto ed al contenuto (sez. IV n. 525 del 28.7.1982). Sulla base di tale assunto il Consiglio giudica illegittima la delibera comunale adottata con il solo scopo di confermare, sino alla definitiva programmazione urbanistica del territorio, le destinazioni di interesse pubblico già inserite in un precedente piano regolatore annullato dal TAR. CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 12 dicembre 2003, sentenza n. 8198

 

Urbanistica e edilizia - Costruzione edilizia in luogo diverso da quello individuato in progetto - Reato di cui all'art. 20 L. n. 47/1985 - Configurabilità - Fondamento - Violazione del corretto assetto del territorio - Art. 44 D. P. R. n. 380/2001. In materia edilizia la localizzazione di un fabbricato in luogo diverso da quello indicato nel progetto assentito dall'autorità comunale integra la violazione dell'art. 20, lett. a), della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ora sostituito dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 - Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, atteso che ciò comporta una violazione attinente al corretto assetto del territorio. PRES. Papadia U REL. Postiglione A COD.PAR.368 IMP. Casa' PM. (Conf.) Hinna Danesi F. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 05/12/2003 (UD. 19/09/2003), RV. 226891, Sentenza n. 46865

 

Urbanistica - Piano di lottizzazione - Necessità ai fini del rilascio del titolo edilizio - Necessità - Limiti ed eccezioni. La sentenza fa il punto sul principio, di origine giurisprudenziale, della non necessità del previo strumento urbanistico attuativo, ai fini del rilascio del titolo edilizio, quando l’area sia già interamente urbanizzata (Ad. Plen. 6 ottobre 1992 n. 12). La decisione chiarisce che tale principio opera a condizione che i piani già predisposti ed attuati contemplino le opere di urbanizzazione primaria e secondaria nell’ambito territoriale di riferimento, che non può limitarsi alle aree di contorno rispetto all’edificazione progettata ma deve riferirsi al comprensorio stesso predisponendone la necessaria pianificazione (Sez. V, 8 ottobre 2002 n. 5335; 15 febbraio 2001 n. 790; 7 marzo 2001 n. 1341). Ribadisce che il principio non trova applicazione - riemergendo la regola della necessità del previo strumento attuativo - non solo nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, ma anche in quella intermedia di zone parzialmente urbanizzate, nelle quali viene per lo meno a configurarsi una esigenza di raccordo col preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione (Sez. V, 8 ottobre 2002 n. 5321; 1 luglio 2002, n. 5387; 14 febbraio 2003 n. 802; 9 maggio 2003 n. 2449) e che l’esonero dal piano di lottizzazione è da riferirsi ai casi assimilabili a quello del “lotto intercluso”, nel quale, come è evidente, nessuno spazio potrebbe rinvenirsi per una ulteriore pianificazione. Non è così, invece, in caso di zone solo parzialmente urbanizzate, esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici, nelle quali la pianificazione può ancora conseguire l’effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto (Sez. V, 27 ottobre 2000 n. 5756; 17 maggio 2000, n. 2874). (massima ufficiale) CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 1° dicembre 2003, sentenza n. 7799

 

Programma pluriennale di attuazione e piano di lottizzazione. La mancata inclusione di un’area nel programma pluriennale di attuazione non è di ostacolo all’approvazione di un piano di lottizzazione. C.d.S., sez. IV, 14 ottobre 1997, n. 1194. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775 (vedi: sentenza per esteso)

Programma pluriennale di attuazione - le previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali - gli interventi di edificazione e di urbanizzazione. Il programma pluriennale di attuazione è uno strumento di programmazione, mediante il quale il Comune temporalizza l’attuazione delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali, delineando le zone nelle quali, nei successivi anni, si dovrà obbligatoriamente procedere a costruire (C.d.S., sez. IV, n. 1741 del 27 marzo 2002; 11 marzo 1999, n. 250); esso assolve, quindi, all’esigenza di graduare nel tempo gli interventi di edificazione e di urbanizzazione in un sistema in cui il piano regolatore ha per sua stessa natura durata a tempo indeterminato e deve quindi contenere previsioni di lunga scadenza che restano quiescenti per lungo tempo, rendendole attuali. (C.d.S., sez. IV, 12 luglio 1993, n. 703). - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775 (vedi: sentenza per esteso)

Programma pluriennale di attuazione - autonomia rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia economica e popolare (P.E.E.P.) - armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale - insediamenti edilizi abusivi oggetto di sanatoria - i principi di legalità, imparzialità e buon andamento. Il programma pluriennale di attuazione è completamente autonomo rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia economica e popolare, con la conseguenza che, anche in ragione della diversa efficacia temporale dei due strumenti, la percentuale ivi assegnata all’edilizia pubblica, peraltro rientrante nei limiti massimi ammessi dalla legge, è frutto di una scelta discrezionale, sindacabile solo se manifestamente illogica o arbitraria, tanto più che i vizi del piano di edilizia economica e popolare non rifluiscono nel programma pluriennale di attuazione. Atteggiandosi il piano pluriennale di attuazione a strumento di attuazione delle scelte urbanistiche già delineate in sede di piano regolatore generale, è ragionevole, secondo un coerente e logico progetto di armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale, prevedere con priorità la realizzazione delle previsioni di piano regolatore proprio per quelle zone adiacenti ovvero vicine a quelle in cui erano stati realizzati insediamenti edilizi abusivi oggetto di sanatoria: in tal modo, infatti, la sanatoria concessa si sposta, com’è necessario, dal piano meramente burocratico, a quello effettivo del territorio, consentendo agli interventi originariamente abusivi di inserirsi effettivamente nel territorio comunale, quale parte integrante del relativo disegno urbanistico. Nel programma pluriennale di attuazione la sopravvalutazione di vani, superfici, servizi, infrastrutture e tempi di esecuzione, è inconciliabile con i principi di legalità, imparzialità e buon andamento, fissati dall’articolo 95 della Costituzione, che devono presiedere l'azione amministrativa nella ponderazione degli interessi pubblici e contrasta inoltre con la stessa funzione dello strumento in esame di disciplinare temporalmente, ed in modo coordinato, gli interventi edilizi attuativi delle previsioni del piano regolatore generale. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775 (vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica - Inquinamento elettromagnetico - stazioni radio base - Condono (art. 31 l. n. 47/1985 e succ. mod.) - Servizio pubblico - Impianti tecnologici - Assenza di specifiche prescrizioni - Condizioni. In assenza di specifiche prescrizioni, deve ritenersi che la realizzazione degli impianti tecnologici come le stazioni radio base non sia soggetta a prescrizioni urbanistico edilizie preesistenti, dettate con riferimento ad altre tipologie di opere, elaborate quindi con riferimento a possibilità di diversa utilizzazione del territorio, nell’inconsapevolezza del fenomeno della telefonia mobile e dell’inquinamento elettromagnetico in generale. Il titolo concessorio infatti non può essere negato se non con riguardo ad una specifica disciplina conformativa che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico. CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 24 novembre 2003, sentenza n. 7725

 

Urbanistica - concessione edilizia in sanatoria - rifiuto - prescrizioni assolute e inderogabili - P.E.C. (Piano Esecutivo Convenzionato) - variante - necessità. La concessione edilizia in sanatoria non può essere rilasciata quando l’abuso contrasta con le relative prescrizioni assolute e inderogabili (contenute nella Tav. 3 del P.E.C. Piano Esecutivo Convenzionato), prescrizione che, in quanto espressione della volontà della competente Amministrazione comunale, non possono essere modificate se non a seguito di una variante allo stesso Piano esecutivo; ne discende altresì la piena legittimità del parere negativo della C.I.E. sul quale il diniego si fonda, mentre appaiono conseguentemente erronei i presupposti di fatto e di diritto sui quali la sentenza di primo grado si fonda. (Pres. Quaranta - Est. D’Ottavi - Comune di Ciriè (Avv.ti Montanaro e Romanelli) c. PIAVE S.a.s. (Avv.ti Contaldi e Barosio) (Riforma Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, 1° Sezione, n.1114/02, del 29 maggio 2002). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7616 (vedi: sentenza per esteso)

 

Edilizia e urbanistica - lo sfruttamento delle residue capacità di costruzione di un edificio di proprietà condominiale - lastrico solare - la facoltà di “elevare nuovi piani o nuove fabbriche” - indennità - opposizione o di liquidazione dell’indennità - aspetti civilistici ed amministrativi - lo sfruttamento edilizio dei suoli - la concessione edilizia - titolare dello jus aedificandi. L’art. 1127 del codice civile disciplina compiutamente lo sfruttamento delle residue capacità di costruzione dell’edificio, attribuendo, salvo che dal titolo risulti una diversa disciplina, al proprietario dell'ultimo piano ed a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare la facoltà di “elevare nuovi piani o nuove fabbriche”. E riconoscendo agli altri condomini il diritto a percepire “un'indennità pari al valore attuale dell'area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo della quota a lui spettante.” Tale disciplina, di carattere squisitamente civilistico, si proietta su quella amministrativa contenuta nelle norme che regolano lo sfruttamento edilizio dei suoli (legge 28 gennaio 1977, n. 10), secondo la quale la concessione edilizia è data al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla (art. 4), nel senso che titolare dello jus aedificandi, nel caso di sopraelevazione o nuova fabbrica in un edificio di proprietà condominiale, sono unicamente i soggetti che hanno il potere giuridico di realizzare le costruzioni. Cioè i soggetti indicati dall’art. 1127 del codice civile, il proprietario dell'ultimo piano ed il proprietario esclusivo del lastrico solare. Ciò ovviamente non pregiudica le questioni di diritto civile e quelle più prettamente patrimoniali che possono insorgere tra i condomini, le quali vanno risolte in sede di opposizione o di liquidazione dell’indennità. Ma si tratta di questioni che, come esattamente affermato dal primo giudice, esorbitano dal diritto amministrativo e dall’ambito dei poteri affidati all’autorità amministrativa. Pres. Frascione - Est. Fera - Comune di Pieve di Emanuele (avv. Antonini e Romanelli) c. Immobiliare Friza srl (avv. Bassani e Scoca) (Conferma TAR Lombardia, sez. II, n. 293 del 17 marzo 1997). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7539 (vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica e edilizia - norme sul “nuovo” condono edilizio - questione di legittimità costituzionale delle norme contenute nell’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, sul condono edilizio, in relazione agli artt. 3, 9, 2° comma, 32, 1° comma, 97, 1° comma, 117, 3° comma, della Costituzione - carattere di eccezionalità e di chiusura di un’epoca - il contrasto insito nella natura per così dire premiale dell’abusivismo con il comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge - violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione - Enti locali - oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle costruzioni abusive nel contesto dei piani regolatori - convinzione di impunità. Le norme sul condono, ad avviso della C. Cost., prendono atto di una situazione di illegalità di massa che si intende ricondurre, per esigenze di carattere economico-sociale e contemporaneamente per esigenze di bilancio che spingono a ricercare spasmodicamente pronte risorse finanziarie, nell’alveo del diritto, con attribuzione ad una fattispecie mediatrice (l’autodenuncia) dell’efficacia di estinzione dell’illiceità; ma le stesse sentenze della Corte costituzionale (v. soprattutto le sentenze nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e 256/1996), sottolineano che tale esercizio del potere di clemenza deve avere carattere di eccezionalità e di chiusura di un’epoca, perché in caso contrario non si giustificherebbe il contrasto insito nella natura per così dire premiale dell’abusivismo con il comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge, con conseguente violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione. Deve tenersi conto, inoltre, che una rottura del menzionato carattere eccezionale della misura condonistica attenuerebbe le remore della generalità dei soggetti alla commissione di abusi, per speranza ed anzi per la certezza che in un prossimo futuro tale misura sarebbe senz’altro riadottata e, per altro verso, ingenererebbe nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di inutilità delle misure repressive e di inammissibile lassismo, a sua volta, per effetto perverso, generatore di ulteriori illeciti urbanistico-edilizi. In particolare la Corte, con la sentenza n. 416/1995, sia pure ribadendo che la riapertura dei termini del condono, nei limiti dell’eccezionalità sopra evidenziata, non sembrava confliggere con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, non ha legittimato l’equazione fra carenza di controllo e nuova necessità di condono, preannunciando sostanzialmente un eventuale giudizio di incostituzionalità qualora in futuro fosse stata emanata una nuova legge al riguardo, soprattutto (come di fatto è ora avvenuto) nella forma della mera riapertura dei termini precedentemente scaduti, sia pure in un contesto - del tutto insufficiente, anche per la scarsità delle risorse stanziate - di misure di riqualificazione del territorio. Né sembra poter giustificare un siffatta e rinnovata misura la semplice considerazione delle esigenze di natura finanziaria, che ormai ricorrono in modo del tutto ordinario e permanente, anche se non si tenga conto delle ingenti risorse (che fra l’altro bilanciano le entrate del condono) necessarie agli Enti locali per oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle costruzioni abusive nel contesto dei piani regolatori. In particolare, la Corte ha osservato che sarebbe stato inevitabile un giudizio negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abuso edilizio, anche perché la gestione del territorio sarebbe stata certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilità di condono sanatoria con conseguente convinzione di impunità. Pres. ed Est. Cicciò - Garulli (Avv. Foglia) c. Comune di Neviano degli Arduini (n.c.) - (solleva questione di legittimità costituzionale). TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. DI PARMA - ordinanza 20 novembre 2003 n. 27 (vedi: ordinanza per esteso)

 

Urbanistica e edilizia - legislazione condonistica - giudizio di incostituzionalità - il condono realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi - i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale - D.L. 30/09/2003, n. 269 - art. 117, 3° comma, Cost. - invasione delle competenze al riguardo del legislatore regionale e degli Enti locali. Il condono realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi, che si vedono privare di quei beni che anch’essi avrebbero potuto costruire violando le norme, e che dall’altro sarebbero costretti, soprattutto in mancanza delle specifiche situazioni di diritto soggettivo, esse sole salvaguardate dalla legislazione condonistica, a subire il degrado urbanistico prodotto dall’illegalità edilizia, riemersa con ostentazione e legalizzata con rischio che in futuro si producano le condizioni per un ulteriore degrado. La normativa censurata (Decreto Legge 30/09/2003, n. 269 (in G.U. n. 229 del 2/10/2003 - suppl. ord. n. 157/L) non sembra poi violare soltanto i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale, ma anche le competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio stabilite dall’art. 117, 3° comma, della Costituzione (v. al riguardo, la sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale). Infatti, come è stato ben osservato anche dalla dottrina, con il condono lo Stato non detta principi generali (che sono a lui riservati) ma introduce un’eccezione, invadendo una competenza regionale, anche se ai primi commi dell’art. 32 il D.L. n. 269/2003 si preoccupa di dichiararle salve. Al riguardo, mentre non è ben chiaro il riferimento (che non sembra pertinente alla materia in esame) all’adeguamento delle norme regionali alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 380/2001, che infatti fissa principi e non già eccezioni - a meno che non si consideri la possibilità di una disciplina ricorrente e anzi permanente del condono che possa assorgere ai caratteri di principio -, le statuizioni condonistiche sono estremamente precise e dettagliate, e fissano in modo esaustivo ogni aspetto della materia, per cui il riferimento alla competenza regionale per il "rispetto delle condizioni dei limiti e delle modalità del rilascio del titolo abilitativo sanante" non può che limitarsi di fatto, nonostante la ridondanza dell’espressione, che ad aspetti di semplice dettaglio del procedimento. Sembra pertanto che il legislatore statale abbia esorbitato dalla sua competenza che consiste nella semplice emanazione dei principi fondamentali, che non possono essere di dettaglio o addirittura regolamentari. Né può fondatamente affermarsi che nella specie si tratta di principi generali dell’ordinamento giuridico e di riforma fondamentale economico-sociale: si tratta invece soltanto di introduzione di un sistema moralmente discutibile per reperire subito e comunque risorse finanziarie. Infine, sembra indubbio che il condono (come nel caso qui in esame) sia suscettibile di introdurre di deroghe, e quindi limitate varianti, ai piani regolatori, che vengono contraddetti, sanandosi costruzioni del tutto contrarie alle disposizioni in essi contenuti, con invasione delle competenze al riguardo del legislatore regionale e degli Enti locali. Pres. ed Est. Cicciò - Garulli (Avv. Foglia) c. Comune di Neviano degli Arduini (n.c.) - (solleva questione di legittimità costituzionale). TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. DI PARMA - ordinanza 20 novembre 2003 n. 27 (vedi: ordinanza per esteso)

 

Edilizia ed urbanistica - Decadenza di una concessione od autorizzazione edilizia - Mancato inizio dei lavori fissato nel titolo abilitativo - Sussiste - Effettivo inizio dei lavori - Assenza di cantierizzazione in atto - Opere edili di dimensioni limitate e non proseguite - Animus aedificandi - Assenza. E' legittima la pronuncia di decadenza di una concessione od autorizzazione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine fissato nel titolo abilitativo, che, sulla base dell’accertamento dello stato dei lavori e della constata assenza di una cantierizzazione in atto, risulta mancante un serio animus aedificandi, quale movente delle opere realizzate. (In specie, le opere edili realizzate apparivano molto limitate e, se pur iniziate, non erano state proseguite, come si evinceva dalla mancanza di cantiere accertata in loco, e che pertanto non apparivano logicamente funzionali ad un intento costruttivo, ma piuttosto a quello di non incorrere nella decadenza di legge). - Pres. Ravalli, Est. Balloriani - Edilvanna s.r.l. (Avv.ti Nardelli e Musa) c. Comune di Fasano (Br) (Avv. Carparelli). In materia si veda anche: Consiglio di Stato, Sez V, 1° ottobre 2003, n. 5648; Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 29 gennaio 2003, n. 453; Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 6 giugno 2001, n. 3075; TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I - ordinanza 19 novembre 2003 n. 1069

 

Edilizia ed urbanistica - norme sul “nuovo” condono edilizio - Abusivismo edilizio - opere edilizie ultimate entro il 31 marzo 2003 - Sospensione automatica di tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali riguardanti immobili abusivi - art. 32 del D.L. n. 269/2003 - Ex art. 44 della L. n. 47/1985 - Applicabilità fino alla data del 31 marzo 2004. L’art. 32 -comma 25 -del D.L. 30.9.2003 n. 269 (pubblicato nel supplemento ordinario alla G.U. n. 229 del 2.10.2003) prevede l’applicabilità delle disposizioni di cui ai capi IV e V della Legge 28 febbraio 1985 n. 47 e successive modificazioni e integrazioni relativamente alle opere edilizie ultimate entro il 31 marzo 2003. Mentre, l’art. 44 della Legge 47/85 (compreso nel capo IV della legge medesima) comporta la sospensione (tra l’altro) dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali, nonché della loro esecuzione, sino alla scadenza del termine previsto, a pena di decadenza, per la presentazione della domanda relativa alla definizione dello illecito edilizio. La sospensione di cui trattasi (opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc.) ha carattere automatico (ope legis) e come tale opera indipendentemente dalla presentazione, medio tempore, della istanza di sanatoria nonché, a fortiori, dal suo accoglimento. Pres. Petruzzelli, Est. Potenza - Ceccarelli (Avv.ti A.Pettini e M. Sani) c. Comune di Bagno a Ripoli (n.c.) - (sospende il giudizio sino al 31 marzo 2004). TAR TOSCANA, SEZ. II - ordinanza 13 novembre 2003 n. 5738

 

Urbanistica - concessione edilizia in sanatoria - nullità degli atti che hanno comportato il rilascio della concessione in sanatoria e violazione del giudicato - il procedimento di sanatoria non può porsi in contrasto con l’avvenuto definitivo richiamato accertamento giurisdizionale dell’illegittimità. Una volta accertato che il complesso delle opere autorizzate con la concessione edilizia in sanatoria riguardi la medesima realizzazione già oggetto dell’annullamento passato in giudicato e per cui è stato esperito il pure menzionato giudizio di ottemperanza, va osservato che indubbiamente il procedimento di sanatoria non può porsi in contrasto con l’avvenuto definitivo richiamato accertamento giurisdizionale dell’illegittimità (sotto ogni profilo ivi compreso quello del procedimento in sanatoria) della realizzazione de qua. Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7226 (vedi: sentenza per esteso)

Prg - vincoli - destinazione incompatibile con l’utilizzazione edilizia - variante - misura di salvaguardia - motivazione. L’esistenza di una destinazione - oggetto della variante adottata - incompatibile con l’utilizzazione edilizia richiesta costituisce espressione compiuta delle ragioni, di fatto e di diritto, rilevate a base della misura di salvaguardia. Si tratta di una misura da deliberare obbligatoriamente, secondo quanto dispongono l’art. 10, quinto comma, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, e l’art. 4, comma primo, della l. 1° giugno 1971, n. 291, fino alla data di approvazione dello strumento urbanistico che reca le destinazioni da salvaguardare. Nella specie, perciò, è sufficiente la motivazione che dà contezza del contrasto o dell’incompatibilità in questione. Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7225 (vedi: sentenza per esteso)

Prg - vincoli - sentenza di annullamento. La sentenza di annullamento, pronunciata in favore dell’appellante, del vincolo sull’area di suo interesse, non può esplicare effetto preclusivo sull’applicazione di un nuovo vincolo imposto per effetto di una rivalutazione della differente situazione del territorio comunale, intervenuta dopo quattordici anni. Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7225 (vedi: sentenza per esteso)

Prg - applicazione delle misure di salvaguardia - i termini per l’impugnazione del piano regolatore generale adottato. L’applicazione delle misure di salvaguardia non è fatto idoneo a far nuovamente decorrere i termini per l’impugnazione del piano regolatore generale adottato (A. pl. 9 marzo 1983, n. 1). Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7225 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - piano regolatore generale - decadenza dei vincoli preordinati all'espropriazione gravanti su un’area - obbligo del Comune d’integrare lo strumento urbanistico - illegittima inerzia dell' Amministrazione - ricorso avverso il silenzio-inadempimento sulla istanza di ridisciplina urbanistica - c.d. zone bianche. Con il venir meno dei vincoli preordinati all'espropriazione gravanti su un’area, sorge in capo al Comune il preciso obbligo di completare lo strumento urbanistico, provvedendo a regolamentare l'area stessa e pertanto, all’inerzia dell' Ente che omette di porre in essere le occorrenti integrazioni del detto strumento, il privato interessato può reagire avvalendosi dello strumento del silenzio inadempimento (Consiglio di Stato, Sez. IV^, 25 settembre 1995 n. 745, T.A.R. Sardegna n. 147 del 15 febbraio 2002 e n. 1320 del 4 luglio 1995, T.A.R. Veneto n. 4410 del 24 dicembre 2001) e che i limiti di edificabilità, riconducibili alle c.d. zone bianche, hanno carattere provvisorio, essendo preciso obbligo dell'Amministrazione di colmare al più presto ogni lacuna verificatasi nell'ambito della pianificazione urbanistica, con correlativa possibilità di attivazione, da parte dei soggetti interessati all' edificazione, degli strumenti previsti per evidenziare l'eventuale illegittima inerzia dell' Amministrazione (T.A.R. Lazio - Roma, II^ sez., n.2470 del 26 novembre 1999). TAR Campania-Napoli, Sez. IV - 6 novembre 2003 Sentenza n. 13372 (vedi: sentenza per esteso)

Condono edilizio - autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale - versamento dell’oblazione - non esclude l’obbligo di applicare la sanzione pecuniaria amministrativa. L’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente. Infatti oblazione e sanzione pecuniaria hanno finalità diverse, si inseriscono in procedimenti differenti e colpiscono comportamenti diversi, così che il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione dell’altra. Del resto, questo Consiglio ha espressamente chiarito che l’autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale non preclude la possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal momento che “un’autorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nell’esito, il residuo potere-dovere dell’autorità competente di procedere all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 21 febbraio 2001). Con l’ulteriore precisazione che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente definizione del procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; e che, in presenza di una valutazione di tal fatta, l’Amministrazione ha il potere-dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell’importo alla luce dei criteri cristallizzati dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso). Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 novembre 2003, n. 7040.

Abuso edilizio in zona sottoposta a vincolo paesaggistico - natura della sanzione amministrativa - applicabilità anche in caso di parere favorevole alla condonabilità da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. La sanzione prevista dall'art. 15 non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia in caso di illeciti sostanziali (compromissione dell’integrità paesaggistica) sia nella ipotesi di illeciti formali (mancanza del titolo autorizzatorio) e trova applicazione anche nella ipotesi in cui sia intervenuto, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, parere favorevole alla condonabilità da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso). Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 novembre 2003, n. 7040.

Indennità per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici - quantificazione dell’importo - parametro di valutazione - 3% del valore d’estimo della unità immobiliare. Fermo restando il principio che l’indennità risarcitoria è pari alla maggior somma tra il danno paesaggistico arrecato ed il profitto conseguito, nel decreto si è precisato, sul punto, che: “l'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, si applica a qualsiasi intervento realizzato abusivamente nelle aree sottoposte alle disposizioni della legge medesima e del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, ad esclusione delle opere interne e degli interventi indicati dal comma dodicesimo dell'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431. L'indennità risarcitoria di cui all'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, è determinata previa apposita perizia di valutazione del danno causato dall'intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio vincolato ed alla normativa di tutela vigente sull'area interessata, nonché mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive. In via generale è qualificato quale profitto la differenza tra il valore dell'opera realizzata ed i costi sostenuti per la esecuzione della stessa, alla data di effettuazione delle perizia. Il profitto è pari, in via ordinaria al tre per cento del valore d'estimo dell'unità immobiliare come determinato ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75, del decreto legislativo 28 dicembre 1993, n. 568, e della legge 23 dicembre 1996, n. 662…..” La disposizione in esame, quindi, abbandonato ogni riferimento al valore di mercato del bene, assume quale parametro di valutazione il 3% del valore d’estimo della unità immobiliare (o il diverso incremento della predetta aliquota eventualmente determinata dalla Regione). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso). Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 novembre 2003, n. 7040.

 

Variante al piano di lottizzazione - l’adozione di una variante al piano di lottizzazione ostativa al rilascio della concessione edilizia - effetti - applicazione delle misure di salvaguardia - temporanea sospensione delle determinazioni sulla domanda di concessione - diniego della concessione - illegittimità. L’adozione di una variante al piano di lottizzazione ostativa al rilascio della concessione comporterebbe, non già il diniego della concessione, bensì l’applicazione delle misure di salvaguardia, ossia la temporanea sospensione delle determinazioni sulla domanda di concessione (legge 3 novembre 1952 n. 1902, modificata dall’articolo 4 della legge 21 dicembre 1955 n. 1357). (Nella specie, il giudice di primo grado, ha dichiarato improcedibile il ricorso semplicemente perché il comune aveva dichiarato di aver approvato una variante al piano di lottizzazione, senza che risultasse in qual modo la variante fosse ostativa alla concessione edilizia). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6763 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - provvedimento del diniego di concessione edilizia - obbligo di indicare la norma ostativa al rilascio. E' necessario che nel provvedimento di diniego venga indicata la norma ostativa al rilascio della concessione edilizia. (Nella specie, il comune, costituendosi in giudizio, ha apertamente ammesso d’aver negato la concessione perché non sapeva quale normativa fosse applicabile; ossia di non conoscere norme ostative al rilascio). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6763 (vedi: sentenza per esteso)

 

Edilizia - tamponatura laterale - domanda di condono edilizio - carenza del necessario presupposto della esecuzione di opere edilizie significative - concetto di “completamento funzionale” - effettiva realizzazione di nuove unità abitative. La parziale tamponatura laterale (di circa un metro ancorché sagomata per l’inserimento di finestre) non risulta idonea a determinare la realizzazione di un diverso organismo edilizio. Pertanto, risulta corretta la decisione dell’amministrazione di non dare ulteriore seguito alla domanda di condono edilizio, essendo carente il necessario presupposto della esecuzione di opere edilizie significative. (Nel caso di specie non si trattava di applicare il concetto di “completamento funzionale” (riferito solo alle opere interne) ma di riscontrare l’effettiva situazione dell’immobile e la mancata ultimazione delle opere dirette alla effettiva realizzazione di nuove unità abitative). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6753
 

Urbanistica - il piano per gli insediamenti produttivi - natura - piano regolatore generale. Il piano per gli insediamenti produttivi non ha natura di mero strumento attuativo delle previsioni contenute nel piano regolatore generale, essendogli stata riconosciuta la importante funzione di strumento di politica economica di stimolo all’espansione industriale e di incentivazione delle imprese, offrendo ad esse ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto e la loro espansione (C.d.S., sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3034; 22 maggio 2000, n. 2939; 5 luglio 1995, n. 539). Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - insediamenti produttivi - approvazione del piano per gli insediamenti produttivi - decreto di occupazione di urgenza - dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori - progetto di urbanizzazione. Il decreto di occupazione di urgenza costituisce un momento puramente attuativo della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori che, nel caso di un piano per gli insediamenti produttivi, deriva immediatamente e direttamente non già dall’approvazione del progetto di urbanizzazione, bensì dall’approvazione del piano per gli insediamenti produttivi che comporta - come si è visto - la dichiarazione ex lege di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere in esse previste. Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - piano per gli insediamenti produttivi - indicazione dei termini per l’inizio ed il compimento dei lavori e delle espropriazioni - ininfluenza - il diritto di proprietà esposto al potere espropriativo della pubblica amministrazione - approvazione ex lege di dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle opere - durata di dieci anni dei termini. Non può trovare ingresso la censura sollevata nei confronti della delibera di approvazione del piano per gli insediamenti produttivi, con la quale gli appellanti hanno eccepito che essa non conterrebbe l’indicazione dei termini per l’inizio ed il compimento dei lavori e delle espropriazioni, ai sensi dell’articolo 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359. Infatti, l’indicazione dei predetti termini che, com’è noto, svolge una funzione garantistica, costituendo riprova dell’attualità dell’interesse pubblico da soddisfare e della serietà ed effettività del relativo progetto, evitando di esporre sine die il diritto di proprietà al potere espropriativo della pubblica amministrazione, non trova alcuna giustificazione logico - giuridica nel caso del piano per gli insediamenti produttivi, la cui approvazione ha ex lege effetto di dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle opere in esso prevista e ne fissa la durata in dieci anni (che costituisce anche il termine entro cui le previsioni del piano stesso devono essere attuate, cosi C.d.S., sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2939). Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi: sentenza per esteso)

Piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.) - P.A. - discrezionalità - dimensionamento del piano - puntuale verifica circa lo sviluppo produttivo in atto ed in fieri - valutazione dell’andamento demografico del comune. L’ente locale gode della più ampia discrezionalità nella scelta di dotarsi di un piano per gli insediamenti produttivi, con l’unico limite della adeguata motivazione e della non irragionevolezza o arbitrarietà della scelta stessa, essendo necessario che essa si fondi sull’idoneità del piano stesso ad apportare ricchezza per l’intero sistema economico sociale (C.d.S., sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3034); è stato precisato, peraltro, che il dimensionamento del piano per gli insediamenti produttivi deve essere fondato su una puntuale verifica circa lo sviluppo produttivo in atto ed in fieri, senza che si renda necessaria l’acquisizione e l’analisi di ulteriori dati, quali quelli dell’andamento demografico del comune (C.d.S., sez. IV, 2 marzo 1995, n. 128) e che pertanto la scelta dell’amministrazione comunale è insindacabile ove sia immune da vizi logici o errori di fatto, salva l’evidente inidoneità del piano stesso a rispondere alle accertate esigenze economico - sociali e produttive e a reali prospettive di utilizzazione (C.d.S., sez. IV, 22 ottobre 1993, n. 912). Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica - attività edilizia - verande installate come elementi accessori ad un fabbricato o a parte dello stesso per costituire un riparo o una protezione per l’edificio abitativo - applicabilità del regime della denuncia di inizio attività - casi di sottrazione al regime della concessione edilizia - presupposti e condizioni - c.d. verande "a filo" di parete - terrazzo condominiale - concessione edilizia - necessità. Le strutture a veranda installate come elementi accessori ad un fabbricato o a parte dello stesso per costituire un riparo o una protezione per l’edificio abitativo, devono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia per essere invece annoverabili tra quelli aventi finalità di natura conservativa per la cui realizzazione l’art. 4 del D.L. 5.10.1993 n. 338 convertito con modifiche nella legge 4.12.1993 n. 493 e poi sostituito dall’art. 2 comma 60 della legge 23.12.1996 n. 662 (e successive modificazioni) richiede la semplice denuncia di inizio di attività, soltanto quegli interventi realizzanti, per le predette finalità, la installazione di elementi compatibili con le esigenze dell’ordinario uso dell’edificio o della parte di esso cui accedono nel rispetto degli elementi tipologici formali e strutturali dello stesso edificio e della destinazione edilizio-urbanistica delle varie parti di cui esso si compone. (Nel caso di specie non appare riconoscibile alla struttura dal ricorrente apposta sul terrazzino del suo appartamento, confinante con quello condominiale, una finalità meramente di riparo compatibile con l’uso ordinario dell’abitazione e con la sua naturale funzionalità quale consentita dalla destinazione edilizio-urbanistica delle varie parti di cui si compone, comprensive di quelle abitabili e di quelle non abitabili. Con la realizzazione del manufatto in questione la ricorrente ha comunque ottenuto un nuovo spazio interamente chiuso utilizzabile come nuovo minuscolo locale che, anche nelle sue dimensioni ridotte (circa 6 mq.), arreca, nella sua sporgenza anche in elevazione sino al balcone del piano soprastante non essendo infatti assimilabile alle c.d. verande "a filo" di parete, una visibile alterazione allo stesso terrazzo condominiale. La sua realizzazione pertanto richiedeva, come ha esattamente ritenuto il Comune, la esistenza di una concessione edilizia. TAR LAZIO, SEZ. II TER - 27 ottobre 2003, Sentenza n. 9570 (vedi: sentenza per esteso)

Edilizia ed urbanistica - violazione edilizia - emissione dell’ordinanza di sospensione dei lavori abusivi - provvedimenti definitivi diretti a reprimere l’abuso edilizio accertato - termine previsto dall’art. 4 L. n. 47/1985 - decorso dello stesso termine - potere del Comune di adottare provvedimenti repressivi anche dopo la scadenza del suddetto termine - sussiste - assenza di motivazione giustificativa della adozione - presupposti giustificativi - mancanza di motivazione - legittimità. La indicazione, contenuta nel predetto art. 4 l. n. 47/1985, del termine entro cui il Comune, dopo la emissione della ordinanza di sospensione dei lavori abusivi, deve emanare i provvedimenti definitivi diretti a reprimere l’abuso edilizio accertato, se designa il termine della legale efficacia del provvedimento di sospensione dei lavori trascorso il quale lo stesso perde la sua efficacia, non priva il Comune del potere di adottare i provvedimenti definitivamente repressivi della violazione edilizia perpetrata, pur dopo il decorso dello stesso termine, con la conseguenza che l’avvenuto decorso di tale termine senza ancora la adozione dei provvedimenti definitivi enunciati dal già citato art. 4, non rende illegittimo né l’ordine di sospensione dei lavori già emesso, né il successivo definitivo provvedimento repressivo dell’abuso che sia stato emanato pur dopo la scadenza dello stesso termine. (Nella specie, non trova alcun fondamento relativo alla assenza di una motivazione giustificativa della adozione degli atti emessi dal Comune. Entrambi i provvedimenti risultano infatti emessi sulla base della rilevazione, da parte dello stesso Comune, delle opere indicate negli atti al ricorrente notificati, e nella constatazione che le stesse opere sono state eseguite senza concessione edilizia. Tali indicazioni costituiscono i presupposti giustificativi della adozione dei provvedimenti che il Comune ha adottato per reprimere l’abuso edilizio da lui accertato, che, come noto, essendo di dovuta emanazione una volta accertata la esecuzione di opere edilizie senza la relativa concessione, non richiedono alcuna ulteriore motivazione. TAR LAZIO, SEZ. II TER - 27 ottobre 2003, Sentenza n. 9570 (vedi: sentenza per esteso)

Edilizia ed urbanistica - mutamento nell’uso dell’originario terrazzino - costruzione di una c.d. verande "a filo" di parete - violazione edilizia - concessione edilizia - necessità - locali condominiali - regolamento del condominio relativo all’immobile - realizzazione di impianti o altre opere interne - limiti. Attesa la già rilevata consistenza dell’opera, c.d. verande "a filo" di parete, eseguita sul terrazzo da ritenersi di per sé annoverabile, nella sua conformazione e collocazione, tra quelle richiedenti il preventivo rilascio di concessione edilizia, non assume alcuna rilevanza né la mancata previsione, nel regolamento del condominio relativo all’immobile di cui trattasi, di un divieto per i singoli condomini di realizzare lavori edilizi nei locali di proprietà o in locali condominiali, né la contestazione del ricorrente sull’effettivo avvenuto cambio di destinazione dell’area su cui ha realizzato il suo intervento, che il medesimo intenderebbe negare sulla base di confutazioni alle rilevazioni del Comune relative alla realizzazione di impianti elettrici, idrici o opere di pavimentazione, all’interno della struttura di cui trattasi. Va al riguardo osservato che, anche indipendentemente dalla realizzazione di impianti o altre opere interne, deve ritenersi già verificato un mutamento nell’uso dell’originario terrazzino attraverso la realizzazione, al suo posto, di un ambiente interamente chiuso, sia pure di esigue dimensioni, esterno ai vani abitativi dell’appartamento. TAR LAZIO, SEZ. II TER - 27 ottobre 2003, Sentenza n. 9570 (vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica - piano di recupero - annullamento - rilascio del titolo edificatorio - divieto fino a che non venga riformulato il P.R. - piano attuativo richiesto dallo strumento urbanistico generale. L’annullamento, in sé e per sé considerato, del piano di recupero non può comportare, infatti, il rilascio del titolo edificatorio fino a che non venga riformulato il P.R. stesso; poiché lo strumento urbanistico generale richiedeva, per la zona in questione, un piano attuativo, non poteva, infatti, prescindersi da questo ai fini del rilascio del titolo edificatorio. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6532 (vedi: sentenza per esteso)

Il nuovo piano di recupero delle aree può modificare il regime di utilizzabilità delle stesse - la possibilità di vietare la demolizione del preesistente e di realizzare nuove costruzioni - funzione di carattere prettamente conservativo. Il nuovo piano di recupero le aree di interesse delle appellanti hanno visto, peraltro, modificato il regime di utilizzabilità delle stesse; mentre nel precedente strumento attuativo era prevista, in esse, la possibilità di demolire il preesistente e di realizzare nuove costruzioni (sia pure con limiti edificatori che il TAR ha ritenuto, con la ripetuta sentenza del 1999, illegittimi, in quanto difformi rispetto all’art. 9 delle NTA), al contrario, nel nuovo strumento, frutto di autonome scelte discrezionali, l’Amministrazione comunale ha ritenuto di assegnare alle aree in questione una funzione di carattere prettamente conservativo, volta a tutelare il patrimonio esistente quale sorta di testimonianza storica del tessuto urbano preesistente. Se tale scelta di fondo sia legittima o meno spetta all’autonomo ricorso in sede di legittimità dirlo (come si ripete, radicato con ricorso al TAR n. 1182/2002, in fase di definizione); non di meno, non può parlarsi di determinazione manifestamente elusiva del giudicato, ben potendo, in astratto, l’Amministrazione, in sede di riesame delle scelte urbanistiche in precedenza operate e nell’esercizio delle proprie potestà discrezionali in materia urbanistica (ancorché in funzione di esecuzione del giudicato amministrativo), assegnare alla aree aggetto di programmazione una destinazione differente rispetto alla precedente e in grado di incidere anche sulla utilizzabilità edificatoria, più o meno piena, delle stesse. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6532 (vedi: sentenza per esteso)

 

Rilascio della concessione edilizia - la richiesta di sanatoria - il consenso del comproprietario dell’area interessata dall’intervento edilizio - il consenso del titolare del bene - il “responsabile dell’abuso”. Precisato, quindi, che l’amministrazione può, in sede di rilascio della concessione edilizia, legittimamente richiedere il consenso del comproprietario dell’area interessata dall’intervento edilizio, resta da verificare se tale principio possa trovare applicazione anche nel caso della richiesta di sanatoria ex art. 13. Alla norma non può essere data la suddetta interpretazione riduttiva, considerato che la richiesta di sanatoria è pur sempre diretta al rilascio di una concessione o autorizzazione edilizia, come ripetutamente precisato nel primo, secondo e terzo comma, con l’unica differenza che, nell’ipotesi contemplata, si tratta di assentire un progetto edilizio già realizzato, invece che da realizzare. Non c’è motivo, pertanto, di ritenere che non debba trovare applicazione la regola generale di cui all’art. 4 della L. n. 10/77 e che, quindi, sia comunque necessario che il richiedente, per potere usufruire della sanatoria, disponga del titolo per richiederla. Né appare in senso contrario rilevante la circostanza che l’art. 13 individui nel “responsabile dell’abuso”, e non già nel titolare del bene, il soggetto legittimato a chiedere la concessione in sanatoria, in quanto in proposito è agevole osservare che il legislatore ha solo adottato un formula idonea a ricomprendere tutte le categorie di soggetti, indicati nell’art. 6, che hanno concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che anche detti soggetti, non possono chiedere, senza il consenso del titolare del bene, sul quale insistono le opere e che potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un interesse contrario alla loro sanatoria, una concessione che, in ipotesi, potrebbe risolversi in danno dello stesso. Parimenti non può obbiettarsi che con ciò si priverebbe il “responsabile dell’abuso” del beneficio di cui all’art. 22, perchè, come è stato correttamente osservato dal condominio resistente, la sanatoria costituisce una eccezione alla regola che impone di non realizzare abusi edilizi, per cui, se l’abuso non può essere sanato, il responsabile ne sopporta le conseguenze che sono riconducibili ad una intenzionale violazione delle norme di ordine pubblico. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6529 (vedi: sentenza per esteso)

 

La necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria - l’attività amministrativa in materia edilizia - accertamento della conformità dell’opera - i diritti dei terzi - idoneo titolo di godimento sull’immobile - opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni - requisito della legittimazione del richiedente - grave difetto istruttorio e motivazionale - effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento. La giurisprudenza, che in passato era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia è quello dell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche modo incidere sulla legittimità dell’atto, più recentemente (cfr. C.d.S., Sez. V, 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili. In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati (nel caso in esame concernenti la legittimità - o non - della esecuzione, ai sensi dell’art. 1102 c.c., delle opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni), ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente. Ha, pertanto, concluso che, conformemente a quanto previsto dal cit. art. 4 della L. n. 10/77, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. in termini, anche C.d.S., Sez. V, 20.9.2001 n. 4972; Tar Toscana 23.11.2001 n. 1651; Tar Emilia Romana-Parma, 21.3.2002 n. 183). Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6529 (vedi: sentenza per esteso)

 

Il rilascio della concessione edilizia - l'obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il contributo - natura dell’obbligo - la determinazione dell'entità - titolare della concessione edilizia - obbligazione di diritto pubblico - la materia è sottratta alla disponibilità delle parti. Sulla base del sistema costruito dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (in particolare dell'art. 1, 3, 5 ed 11) il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il contributo ed è a tale momento che occorre riferirsi per la determinazione dell'entità del medesimo in base ai parametri normativi allora vigenti. Su tale punto, d’altronde, la giurisprudenza del giudice amministrativo da tempo appare pacifica ( vedi tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 1071 del 25-10-1993). Quanto alla natura dell’obbligo, la giurisprudenza amministrativa è altrettanto ferma nel ritenere che questo, essendo obiettivamente collegato alla posizione del titolare della concessione edilizia “dà vita ad una obbligazione di diritto pubblico dalla quale va esclusa ogni connotazione negoziale“ (Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 2056 del 6-12-1999); con la conseguenza che la materia è sottratta alla disponibilità delle parti. Ciò non consente la trasposizione in questo ambito dell’articolo 1175 codice civile, che invece muove dal presupposto in cui le parti agiscano sulla base di una situazione giuridica riconducibile all’autonomia negoziale. Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6295

 

Urbanistica e edilizia - Concessione edilizia inesistente - Per attività criminosa del soggetto pubblico o del concedente - Prova della collusione - Necessita' - Esclusione - Condizioni - Concessione illegittima - L. del 20/3/1865 n. 2248 All. E - Art. 20, L. n. 47/1985 - Art. 44, n.380/2001. In materia edilizia deve ritenersi inesistente la concessione edilizia non riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, in quanto frutto dell'attività criminosa del soggetto pubblico che la rilascia o del soggetto privato che la ottiene, e per la sua disapplicazione non è necessaria la prova della collusione tra amministratore e soggetti interessati o l'accertamento dell'avvenuto inizio dell'azione penale a carico degli amministratori, sempre che risulti evidente un contrasto con norme imperative talmente grave da determinare non la mera illegittimità dell'atto, ma la illiceità del medesimo e la sua nullità. PRES. Savignano G REL. Onorato P COD.PAR.368 IMP. S. ed altri PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 14/10/2003 (CC.11/07/2003) RV. 226576, Sentenza n. 38735

 

P.R.G. - scadenza del termine quinquennale di durata dei vincoli di inedificabilità - c.d. zona bianca - aree prive di disciplina urbanistica. La scadenza del termine quinquennale di durata dei vincoli di inedificabilità previsti da un piano regolatore generale, alle aree rimaste prive di destinazione si applica la disciplina dettata dalla legge per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali (art. 4, ultimo comma l. 28 gennaio 1977, n. 10) - Adunanza Plenaria n. 7/1984. Invero, come affermato dalla giurisprudenza, solo un piano regolatore generale privo dei contenuti essenziali di cui all'art. 7 l. 17 agosto 1942 n. 1150 può rendere un'area - nell'ipotesi di sopravvenuta inefficacia del vincolo - assimilabile ad una c.d. zona bianca, disciplinata alla stregua delle aree prive di disciplina urbanistica. (In specie il criterio sussidiario dettato per le cd. zone bianche, pertanto, non può trovare applicazione proprio perché difetta il presupposto essenziale della lacuna nella normativa urbanistica, versandosi, invece, nel regime giuridico concorrente). Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenza n. 6071 (vedi: sentenza per esteso)

 

Rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti - costruzione, modificazione e risanamento degli impianti - localizzazione degli impianti - adozione o approvazione di piani di risanamento - competenza Regioni. In base alla legge quadro 2001/36 è naturale conseguenza che vi possa e vi debba essere una disciplina regionale della localizzazione, della costruzione, della modificazione e del risanamento degli impianti risulta espressamente dalla stessa legge quadro, che attribuisce alle Regioni competenza, fra l’altro, in tema di localizzazione degli impianti (art. 8, comma 1, lettere a e b), di rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti (art. 8, comma 1, lettera c), di adozione o approvazione di piani di risanamento (art. 9). Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)
 

La disciplina di principio stabilita dalla legge quadro 2001 n.36 - le funzioni spettanti allo Stato - le competenze delle Regioni e degli enti locali - il regime transitorio - soglie di esposizione per la popolazione - standard di protezione dall’inquinamento elettromagnetico - limiti di esposizione - valori di attenzione - cautela - progressiva minimizzazione dell’esposizione - criteri localizzativi - migliori tecnologie disponibili - l’impatto negativo degli impianti sul territorio - tracciati degli elettrodotti - la disciplina dei procedimenti autorizzativi - uso del loro territorio - interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesaggistici e ambientali. La legge statale 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), si applica a tutti gli impianti che possono comportare l’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, e in particolare sia agli elettrodotti, sia agli impianti radioelettrici (art. 2, comma 1), stabilisce distintamente le funzioni spettanti allo Stato (artt. 4 e 5) e le competenze delle Regioni e degli enti locali (art. 8), e disciplina specificamente i piani di risanamento (art. 9), i controlli (art. 14), le sanzioni (art. 15) e il regime transitorio applicabile in attesa dell’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulle soglie di esposizione per la popolazione, previsto dall’art. 4, comma 2 (art. 16: cfr. oggi d.P.C.m. 8 luglio 2003). In particolare, nel sistema della legge, gli standard di protezione dall’inquinamento elettromagnetico si distinguono (art. 3) in “limiti di esposizione”, definiti come valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori per assicurare la tutela della salute; “valori di attenzione”, intesi come valori di campo da non superare, a titolo di cautela rispetto ai possibili effetti a lungo termine, negli ambienti abitativi e scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate; e “obiettivi di qualità”. Questi ultimi sono distinti in due categorie, di cui una consiste ancora in valori di campo definiti “ai fini della progressiva minimizzazione dell’esposizione” (art. 3, comma 1, lettera d, n. 2), l’altra invece - del tutto eterogenea - consiste nei “criteri localizzativi, (…) standard urbanistici, (…) prescrizioni e (…) incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili” (art. 3, comma 1, lettera d, n. 1). La legge attribuisce allo Stato la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità del primo dei due tipi indicati, cioè dei valori di campo definiti ai fini della ulteriore progressiva “minimizzazione” dell’esposizione (art. 4, comma 1, lettera a), mentre attribuisce alla competenza delle Regioni la indicazione degli obiettivi di qualità del secondo dei tipi indicati, consistenti in criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni (art. 3, comma 1, lettera d, n. 1, e art. 8, comma 1, lettera e). Al di là della discutibile terminologia, la logica della legge è quella di affidare allo Stato la fissazione delle “soglie” di esposizione, graduate nel modo che si è detto, alle Regioni la disciplina dell’uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioè le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il più possibile l’impatto negativo degli impianti sul territorio (anche se poi alcune scelte localizzative sono a loro volta riservate allo Stato: è il caso dei tracciati degli elettrodotti con tensione superiore a 150 kV: art. 4, comma 1, lettera g), oltre che la disciplina dei procedimenti autorizzativi (cfr. art. 8, comma 1, lettera c): ciò, in coerenza con il ruolo riconosciuto alle Regioni per quanto attiene al governo e all’uso del loro territorio. E’ vero che la stessa legge prevede poi l’emanazione di un regolamento statale destinato a contenere anche misure relative alla localizzazione degli impianti e altre misure dirette ad “evitare danni ai valori ambientali e paesaggistici” e a tutelare gli “interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesaggistici e ambientali”, nonché una disciplina dei “principi” relativi ai procedimenti autorizzativi (art. 5 e art. 8, comma 1, lettera a). Ma, a prescindere da ogni considerazione circa la sorte che potrà riservarsi a tale potestà regolamentare a seguito della entrata in vigore del nuovo art. 117, sesto comma, della Costituzione, che limita la potestà regolamentare dello Stato alle sole materie di competenza statale esclusiva, la circostanza che il regolamento previsto non è stato emanato, in assenza inoltre di qualsiasi disciplina legislativa transitoria su questi temi, rende superflua ogni ulteriore disamina in argomento, restando fermo che le leggi regionali impugnate devono essere valutate in relazione alla loro conformità o meno ai soli principi fondamentali contenuti nella legge quadro. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)

 

Le “aree sensibili” - tutela della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse storico-artistico o paesistico dell’area - la definizione e la perimetrazione di tali aree - uso del proprio territorio -competenza della Regione - la previsione di “localizzazioni alternative” - pianificazione del territorio - fissazione di valori-soglia. Le “aree sensibili” sono definite dalla legge regionale con riguardo a situazioni e interessi (tutela della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse storico-artistico o paesistico dell’area) di cui la Regione ha certamente titolo per occuparsi in sede di regolazione dell’uso del proprio territorio. Soprattutto, poi, la definizione e la perimetrazione di tali aree, nel sistema della legge regionale, hanno l’unico scopo di fondare la previsione di “localizzazioni alternative”, cioè un tipo di misura che, fermo restando il necessario rispetto dei vincoli della programmazione nazionale delle reti e della pianificazione del territorio, rientra appieno nella competenza regionale in tema di governo del territorio, e specificamente nella competenza regionale, riconosciuta dalla legge quadro (art. 8, comma 1, lettera a), per la “individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione”. Essa non prelude dunque alla fissazione di valori-soglia diversi e contrastanti con quelli fissati dallo Stato, ma attiene e può attenere solo alla indicazione di obiettivi di qualità non consistenti in valori di campo, ma in criteri di localizzazione, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni all’utilizzo della miglior tecnologia disponibile, o alla cura dell’interesse regionale e locale all’uso più congruo del territorio, sia pure nel quadro dei vincoli che derivano dalla pianificazione nazionale delle reti e dai relativi parametri tecnici, nonché dai valori-soglia stabiliti dallo Stato. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)

 

Impianti di emittenza radiotelevisiva e di stazioni radio base per telefonia mobile su “ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido” - art. 10, comma 1, della legge pugliese - campo elettromagnetico prescritto dal d.m. n. 381 del 1998 - criterio di localizzazione la cui definizione è rimessa alle Regioni. E’ poi impugnato l’art. 10, comma 1, della legge pugliese, ai cui sensi è vietata l’installazione di sistemi radianti relativi agli impianti di emittenza radiotelevisiva e di stazioni radio base per telefonia mobile su “ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido”. Secondo il ricorrente tale divieto assoluto avrebbe un contenuto diverso ed eccedente rispetto all’unico parametro del valore di campo elettromagnetico prescritto dal d.m. n. 381 del 1998, cui rinvia la norma transitoria dell’art. 16 della legge quadro. La questione è infondata. Il divieto in questione, riferito a specifici edifici, non eccede l’ambito di un “criterio di localizzazione”, in negativo, degli impianti, e dunque l’ambito degli “obiettivi di qualità” consistenti in criteri localizzativi, la cui definizione è rimessa alle Regioni dall’art. 3, comma 1, lettera d, e dall’art. 8, comma 1, lettera e, della legge quadro; né di per sé è suscettibile di pregiudicare la realizzazione delle reti. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)
 

Obiettivi di qualità - criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili - competenza regionale. La legge quadro 2001 n. 36 distingue nettamente fra gli “obiettivi di qualità” in termini di valori di campo, ai fini della “progressiva minimizzazione dell’esposizione” -definiti dallo Stato- e gli “obiettivi di qualità” in termini di criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, indicati dalle leggi regionali. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)
 

Il termine per la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono - decorrenza - il parere favorevole dall’autorità preposta alla tutela del vincolo - necessità - Sovrintendenza - demolizione delle opere abusive - potestà sanzionatoria interamente vincolata - esercizio dell’autotutela - assenza - opere di manutenzione - nuova costruzione - zonizzazione di P.R.G. - fabbricato in contrasto con l’ambiente: baracca - N.T.A. - interventi di ristrutturazione o sostitutivi o di ricostruzione - limiti. Il termine per la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono non può decorrere ove non si sia conseguito il parere favorevole dall’autorità preposta alla tutela del vincolo. E si è già visto che sul primo abuso la Sovrintendenza si era espressa in senso negativo. Sotto altro riguardo, in fine, il richiamo alla mancanza di motivazione circa l’interesse pubblico alla demolizione delle opere abusive, non appare sostenuto da apprezzabili argomenti. Si rammenta che non si verte in materia di esercizio dell’autotutela, ma nella manifestazione di una potestà sanzionatoria interamente vincolata. (nella specie il Comune, ha raccolto la segnalazione della Sovrintendenza, e ha motivato il diniego di condono osservando che l’art. 23 delle Norme tecniche di attuazione del P.R.G., per le opere abusive ed in contrasto con l’ambiente (leggi, “la baracca”), ammette soltanto opere di manutenzione, e che, d’altra parte, una nuova costruzione non era assentibile per l’assenza di strumenti urbanistici di dettaglio. Il provvedimento, infatti, si richiama alla zonizzazione di P.R.G. ed alla qualificazione attribuita al fabbricato basso F.43 n. 97 come “fabbricato in contrasto con l’ambiente”. La proposizione successiva afferma, come si è sopra osservato, che a norma dell’art. 23 delle N.T.A.. i fabbricati in contrasto con l’ambiente non possono essere oggetto di interventi di ristrutturazione o sostitutivi o di ricostruzione. Il progetto presentato nel gennaio 1987, consistendo in un ampliamento del piano seminterrato e nella realizzazione al piano superiore del deposito in assi e lamiere, doveva essere considerato, ai fini del condono come un intervento di ristrutturazione, in sé non condonabile). Consiglio di Stato Sezione V - 3 ottobre 2003, Sentenza n. 5745 (vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica - Piani urbanistici - Edilizia - Momento di rilevanza ai fini penali - Individuazione - Periodo di salvaguardia - Adozione del piano - Sufficienza - L. n. 47/1985 Art. 20 - D. P. R. n.380/2001 Art. 44. In materia urbanistica, a seguito della adozione dei piani urbanistici, ovvero dal momento in cui l'organo amministrativo competente delibera formalmente il piano e lo pubblicizza, onde consentire la presentazione delle osservazione da parte dei soggetti interessati, entrano in vigore le misure di salvaguardia, con lo scopo di impedire che antecedentemente alla approvazione del piano vengano eseguiti interventi che compromettano gli assetti territoriali previsti dal piano stesso, cosi’ che integrano la violazione dell'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ora art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) gli interventi posti in essere dopo la adozione ed antecedentemente alla approvazione del piano ed eseguiti in contrasto con le misure di salvaguardia. PRES. Toriello F REL. Onorato P COD.PAR.368 IMP. P.M. in proc. Soluri e altri PM. (Conf.) Passacantando G. CORTE DI CASSAZIONE Penale. Sez. III del 02/10/2003 (CC.10/06/2003) RV. 226316 Sentenza n.37493

 

Approvazione di un progetto relativo ad impianto di smaltimento rifiuti - applicazione dei termini dimezzati - provvedimenti di esecuzione di opere di pubblica utilità - procedure di occupazione ed espropriazione delle aree - procedura espropriativa - interesse pubblico - l’approvazione dei progetti relativi ad impianti di trattamento dei rifiuti - modifica l’eventuale diversa destinazione urbanistica dell’area - normativa acceleratoria. Il diniego contestato, in ordine all’approvazione di un progetto relativo ad impianto di smaltimento rifiuti, non può, infatti, sfuggire all’applicazione dei termini dimezzati di cui al citato art. 19, che letteralmente trovava applicazione, tra l’altro, ai provvedimenti di esecuzione di opere di pubblica utilità, ed alle procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate. Orbene, non può essere pretermesso, ai fini dell’applicabilità della citata disposizione, che l’approvazione del progetto in argomento avrebbe comportato il rilascio, seppur implicitamente, di una dichiarazione di pubblica utilità delle opere, sulla base di un’apposita previsione normativa (art. 27, comma 5, d.lg. 22/97), e quindi l’integrazione del momento iniziale di una procedura espropriativa. Il tutto, inoltre, era comunque volto alla realizzazione di un’opera di pubblica utilità, espressione quest’ultima volutamente di portata generale, nel senso della finalizzazione dell’opera da costruire allo scopo di interesse pubblico (quale è senz’altro anche quello relativo all’efficiente smaltimento dei rifiuti, seppur di produzione propria, da parte di aziende legittimamente operanti nel territorio interessato), prescindendo dalla natura - pubblica o privata - del soggetto chiamato a realizzarla. In più, l’approvazione dei progetti relativi ad impianti di trattamento dei rifiuti, come si accennava, ha l’effetto, sempre ai sensi dell’art. 27, comma 5, d.lg 22/97, di modificare l’eventuale diversa destinazione urbanistica dell’area. Il fatto poi di essere al cospetto di un provvedimento di tipo negativo - nella specie è stata respinta l’istanza di un soggetto privato relativamente alla realizzazione di un’opera di pubblica utilità - non costituisce elemento di per sé sufficiente ai fini di escludere l’applicazione dei risvolti processuali della normativa acceleratoria in argomento. Consiglio di Stato Sezione V - 1 ottobre 2003, Sentenza n. 5679

 

Urbanistica - discarica - impianti di trattamento dei rifiuti - destinazione urbanistica dell’area. L’approvazione dei progetti relativi ad impianti di trattamento dei rifiuti, come si accennava, ha l’effetto, sempre ai sensi dell’art. 27, comma 5, d.lg 22/97, di modificare l’eventuale diversa destinazione urbanistica dell’area. Consiglio di Stato Sezione V - 1 ottobre 2003, Sentenza n. 5679

 

Urbanistica, regime e interventi edilizi - competenze - art. 117 Cost. - "urbanistica" e "governo del territorio". E' da escludersi che la materia regolata dalle disposizioni censurate (urbanistica, regime e interventi edilizi) sia oggi da ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. La materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all'urbanistica che, in base all'art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola "urbanistica" non compare nel nuovo testo dell'art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell'elenco del terzo comma: essa fa parte del "governo del territorio". Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel "governo del territorio", appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all'urbanistica, e che il "governo del territorio" sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto. E' dunque lungo questa direttrice, in cui lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principî della materia, che si muovono le disposizioni impugnate. Le fattispecie nelle quali, in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si può procedere alla realizzazione delle opere con denuncia di inizio attività a scelta dell'interessato integrano il proprium del nuovo principio dell'urbanistica: si tratta infatti, come agevolmente si evince dal comma 6, di interventi edilizi di non rilevante entità o, comunque, di attività che si conformano a dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici. In definitiva, le norme impugnate perseguono il fine, che costituisce un principio dell'urbanistica, che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione. Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi: sentenza per esteso)


L'onerosità del titolo abilitativo - oneri di urbanizzazione. L'onerosità del titolo abilitativo riguarda un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica "governo del territorio". Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi: sentenza per esteso)

 

Articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 - incostituzionale. La Corte Cost. dichiara la illegittimità costituzionale dell'articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, nella parte in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse regionale, non prevede che la commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale (VIA) sia integrata da componenti designati dalle Regioni o Province autonome interessate. Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi: sentenza per esteso)


Urbanistica - Piano Regolatore Generale - vincoli di piano - vincoli di inedificabilità assoluta del suolo - vincoli preordinati all’espopriazione - efficacia di cinque anni - piani particolareggiati - piani di lottizzazione convenzionati - variante specifica - variante generale. In materia di vincoli di inedificabilità, infatti, non essendo stata abrogata, tacitamente, dalla legge 28 gennaio 1977 n. 10, trova applicazione, in tutte le ipotesi di vincoli di piano, la disposizione dell’art. 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968 n. 1187, la quale prevede che le indicazioni di Piano Regolatore Generale che assoggettino beni determinati a vincoli preordinati all’espopriazione o che comportino l’inedificabilità assoluta del suolo o, comunque, privino il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, perdano efficacia qualora entro cinque anni dall’approvazione del P.R.G. non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati ovvero non siano stati autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. Ne consegue che, decorso inutilmente il predetto termine, l’area interessata dall’atto impositivo ormai inefficace risulta sprovvista di una regolamentazione urbanistica ed il Comune è obbligato ad una nuova pianificazione dell’area rimasta non normata (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl. 2 aprile 1984, n. 7; Cons. Stato, Sez. IV, 22 febbraio 1999, n. 209; Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6415). Nel caso di specie, il Comune di Bari, a seguito della decadenza dei vincoli urbanistici in questione gravanti sugli immobili di proprietà degli appellanti, era quindi tenuto a provvedere all’integrazione del P.R.G., divenuto parzialmente inoperante, potendosi reiterare i vincoli decaduti sia attraverso una variante specifica che una variante generale, unici strumenti che consentono all’amministrazione comunale di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano e alle nuove esigenze di pubblico interesse. Da tale obbligo il Comune non è esonerato per l’applicabilità, nei casi in questione, della disciplina dettata dall’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977 n. 10, la quale ha natura provvisoria, e non può sostituirsi alla disciplina che la legge affida alle responsabili valutazioni del Comune. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5675 (vedi: sentenza per esteso)

La disciplina urbanistica del piano regolatore generale - decadenza dei vincoli di piano - vincoli di inedificabilità - vincoli preordinati all’espopriazione - inerzia del Comune - interventi sostitutivi della Regione - in via giurisdizionale procedimento del silenzio-rifiuto. La disciplina urbanistica del piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale, e quindi anche i suoli rimasti privi di disciplina a seguito di sopravvenuta decadenza dei vincoli posti sugli stessi. Va ribadito, in proposito, che l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio 2 aprile 1984 n. 7, si è espressa sostenendo che “poiché i Comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che copra l’intero territorio, la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano è per sua natura provvisoria, essendo destinata a durare fino all’obbligatoria integrazione del piano, divenuto parzialmente inoperante. In caso di inerzia del Comune, il privato che vi abbia interesse può promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure adire in via giurisdizionale, secondo il procedimento del silenzio-rifiuto”. Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5675 (vedi: sentenza per esteso)

 

La delibera comunale di adozione di una variante allo strumento urbanistico - fattispecie complessa - atto di approvazione regionale - strumento di governo del territorio - impone l’applicabilità delle misure di salvaguardia. La delibera comunale di adozione di una variante allo strumento urbanistico, pur costituendo un elemento della fattispecie complessa che si completa con l'atto di approvazione regionale, nell’ordinamento vigente ha acquisito anche un’efficacia imperativa diretta e propria, che ne fa uno “strumento di governo del territorio” (Cons. Stato, A. P., 9 marzo 1983, n. 1), che impedisce gli interventi edilizi ed urbanistici contrastanti con esso ed impone l’applicabilità delle misure di salvaguardia (già previste come discrezionali dalla legge 3 novembre 1952 n. 1902, e rese obbligatorie dall’art. 3, ultimo comma, legge 6 agosto 1967 n. 765) (Cons. Stato, V, 14 novembre 1997, n. 1308 e 17 maggio 2000, n. 2874). Consiglio di Stato - Sezione V, 1° Ottobre 2003, Sentenza n. 5664

 

Edilizia e urbanistica - Esecuzione di demolizione di un manufatto abusivo - Immobile locato a terzi - Irrilevanza - Art. 7. L. n. 47/1985. Non assume alcun rilievo nell’esecuzione di demolizione di un manufatto abusivo, disposto ex art. 7 l. 28 febbraio 1985 n. 47, la circostanze che l’immobile oggetto della demolizione risulti locato a terzi, rimanendo la possibilità da parte del conduttore di ricorrere agli strumenti civilistici per imputare in capo ai soggetti responsabili dell’attività abusiva gli eventuali effetti negativi sopportati in via pubblicistica. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 24 aprile 2001, Consolo. Pres. Toriello - Rel. Vangelista - P.M. Hinna Danesi (concl. conf.) - Moressa. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III - 29 settembre 2003 (C.c. 8 luglio 2003), Sentenza n. 37051
 

Strumento esecutivo lottizzativo - situazione di edifici esistenti - lottizzazione - strumento generale comunale di pianificazione urbanistica. Va escluso che con uno strumento esecutivo ad iniziativa di parte, peraltro non perfettamente collimante con le scelte generali effettuate in sede di strumento generale comunale di pianificazione urbanistica, si possano imporre all’Amministrazione modalità e tempistiche non conformi alle norme e non condivise, con riferimento, in particolare, alla situazione di edifici esistenti. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5464 (vedi: sentenza per esteso)

 

Il piano di lottizzazione può essere sempre sostituito da un piano particolareggiato di formazione pubblica - assetto urbanistico particolare e totalmente proprio - potere del Comune - legittimità - piano di lottizzazione obbligatoria - modificazioni - piano attuativo - aree comprese nel p.e.c. - l’indennità di esproprio per il valore dell’edificio - opere di urbanizzazione primaria e secondaria non compatibile con la vigente normativa urbanistico-edilizia - monetizzazione di parte delle aree per servizi. Il piano di lottizzazione può essere sempre sostituito da un piano particolareggiato di formazione pubblica, ove il Comune intenda dare alla zona un assetto urbanistico particolare e totalmente proprio, sicché sembrerebbe non potersi desumere il potere del Comune di dettare il concreto contenuto urbanistico, si deve tuttavia osservare che l’art. 28, comma 12, L.U. tradizionalmente riconosce al Comune il potere di apportare modificazioni al piano di lottizzazione obbligatoria, per il caso in cui sussista un rilevante interesse alla realizzazione di un piano attuativo nella zona, ed anche in mancanza di un piano particolareggiato. Date dunque le conseguenze urbanistiche, e non semplicemente “edilizie”, del piano di lottizzazione, anche in relazione alle sue dimensioni e alle connessioni con l’insediamento, si ritiene in definitiva che il Comune possa, nell’osservanza dello strumento urbanistico generale vigente, dettare modifiche e prescrizioni di pianificazione che rendano il piano meglio inserito nel contesto urbanistico dell’insediamento e più aderente allo strumento generale di cui è attuazione. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5464 (vedi: sentenza per esteso)

 

Assenza di un regime urbanistico - indici di edificabilità - zone di rispetto - zona bianca - omessa localizzazione delle zone verdi - ristrutturazione ed ampliamento di un edificio residenziale esistente - l’assoggettamento dell’intervento alle rigorose prescrizioni - compatibilità edilizia dell’edificazione - la sanzione dell’inefficacia dei vincoli - la decadenza di tutta la disciplina urbanistica ed edilizia - prescrizioni, espropriative o conformative, decadute - compatibilità del progetto presentato dall’interessato con il vigente regime generale. A fronte, della riscontrata (e non contestata) sussistenza di una disciplina generale sufficientemente dettagliata (siccome comprensiva di puntuali indicazioni in merito alla tipologia degli interventi assentibili, agli indici di edificabilità, alle zone di rispetto ecc.) e della portata limitata dell’intervento in questione (ristrutturazione ed ampliamento di un edificio residenziale esistente), la qualificazione dell’area come “zona bianca” (nella specie operata dal Comune) e l’assoggettamento dell’intervento alle rigorose prescrizioni contenute nell’ultimo comma dell’art.4 della legge n.10/77 si appalesano del tutto irragionevoli ed errati, in quanto postulano l’inesistente presupposto dell’assenza di un regime urbanistico di per sé sufficiente a consentire la valutazione della compatibilità edilizia dell’edificazione richiesta e poichè trascurano di considerare la ridotta incidenza di quest’ultima sulla conformazione della zona (di talchè anche l’omessa localizzazione delle zone verdi si appalesa del tutto insufficiente a legittimare il controverso diniego). La sanzione dell’inefficacia dei vincoli in questione (quand’anche configurabile) non implica, invero, la decadenza di tutta la disciplina urbanistica ed edilizia concernente la zona considerata (e non direttamente connessa alle prescrizioni, espropriative o conformative, decadute) ed impone, pertanto, all’amministrazione comunale di assumere quest’ultima quale paradigma valutativo della compatibilità del progetto presentato dall’interessato con il vigente regime generale. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5456 (vedi: sentenza per esteso)

Approvazione dei piani particolareggiati - compressione sine die lo jus aedificandi - standards vigenti - le c.d. zone bianche. E’ inaccettabile la conseguenza di ritenere compresso sine die lo jus aedificandi a causa della colpevole inerzia del Comune nell’approvazione dei piani particolareggiati ed in presenza di una disciplina urbanistica generale (non direttamente connessa alla prescrizione, di localizzazione degli spazi verdi, rimasta inattuata) che, per la permanente efficacia dei suoi contenuti precettivi e per la sufficienza di questi ultimi, consente all’amministrazione di valutare, alla stregua degli standards vigenti, la compatibilità degli interventi edilizi progettati e le impedisce, al contempo, di applicare la disciplina prevista per le c.d. zone bianche. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5456 (vedi: sentenza per esteso)

 

PRG - la distinzione tra l'urbanistica e l'edilizia - carattere dei rispettivi procedimenti - procedimento complesso, ad elevata discrezionalita' - provvedimento di controllo di conformita'. La distinzione tra l'urbanistica e l'edilizia sta, oltre che ovviamente nella diversità degli oggetti che sono disciplinati dalle norme, nel carattere dei rispettivi procedimenti, posto che il principio fondamentale che governa il settore, facilmente ricavabile dalla legislazione dello Stato, stabilisce che "gli strumenti urbanistici generali e le relative varianti danno luogo ad un procedimento complesso, ad elevata discrezionalita', "(Corte costituzionale 12 febbraio 1996, n. 26), mentre "la concessione edilizia è un provvedimento di controllo di conformita' del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente nella zona e, come tale, ha natura vincolata e non discrezionale" ( Consiglio Stato sez. V, 10 gennaio 1997, n. 28). Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5446

Titolarità della concessione edilizia - caso in cui il diritto appartenga a più titolari - l’istanza può essere presentata da un comproprietario solo laddove la situazione di fatto consenta di "supporre (l’esistenza di) un "pactum fiduciae". L'articolo 4 della legge 29 gennaio 1977, n. 10, afferma che "la concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla". Espressione questa che, nel caso in cui il diritto appartenga a più titolari, è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso che l’istanza possa essere presentata da un comproprietario solo laddove la situazione di fatto consenta di "supporre (l’esistenza di) un "pactum fiduciae" intercorrente tra gli stessi (comproprietari)" (Consiglio Stato sez. 5 giugno 1991 n. 883). (Nel caso di specie, non solo non vi era alcun indizio da cui poter supporre un'intesa fra tutti i proprietari, ma anzi l'iniziativa di alcuni di essi, una volta conosciuta dagli altri, è stata vivacemente contesta. Quindi non vi è dubbio che il provvedimento originariamente rilasciato dall'amministrazione comunale era viziato perché il richiedente non aveva pieno titolo ad ottenere l'autorizzazione edilizia). Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5445 (vedi: sentenza per esteso)

L'annullamento in sede di autotutela dei provvedimenti, illegittimamente rilasciati, che consentono l'esercizio della ius aedificandi - vizio derivanti da false ed erronee rappresentazioni del privato - eccesso di potere - assenza. L'annullamento in sede di autotutela dei provvedimenti che consentono l'esercizio della ius aedificandi illegittimamente rilasciati è "congruamente motivato con la sola enunciazione del vizio che li inficia". (Consiglio Stato sez. V, 24 marzo 2001, n. 1702), specie nell'ipotesi in cui il vizio derivi da "false ed erronee rappresentazioni del privato” (Consiglio Stato sez. V, 24 marzo 2001, n. 1702). (Nel caso di specie, non ve dubbio che l'errore è derivato dal fatto che gli interessati nel presentare istanza, da loro sottoscritta con la generica dicitura "i proprietari frontisti", non avevano evidenziato la circostanza che essi non rappresentavano la totalità dei comproprietari ma solo una parte degli stessi). Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5445 (vedi: sentenza per esteso)
 

Prg - requisito del dimensionamento di quartiere risulta previsto solo per i mercati, gli impianti sportivi e le aree verdi - altre opere di urbanizzazione secondaria. Il requisito del dimensionamento di quartiere risulta previsto solo per i mercati, gli impianti sportivi e le aree verdi (cfr. art.4, 2° comma, della legge n.847/1964), con la conseguenza che le altre opere di urbanizzazione secondaria ben possono essere dimensionate su scala diversa e superiore. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5315

 

Esenzione dal pagamento per gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria - opera pubblica e/o di un’opera di interesse generale - i requisiti soggettivi ed oggettivi - il contributo afferente il rilascio della concessione edilizia non è dovuto per gli impianti, le attrezzature - esecuzione del contributo di costruzione - elenco delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria - non è da intendersi tassativo e vincolato. Ai fini dell’individuazione dell’“ente istituzionalmente competente” non è necessariamente rilevante la natura pubblica immediata dell’ente realizzatore quanto piuttosto quella oggettiva relativa alla realizzazione dell’opera; in tale ambito questa Sezione ha avuto modo di precisare che ai fini dell’esecuzione del contributo di costruzione la norma può venire riferita anche ad un’opera realizzata ad un soggetto privato perché per conto di un ente pubblico (cfr. C.S. Sezione V n.206/99); mentre sotto il profilo oggettivo è indubbio che la realizzazione dell’opera in questione - caserma dei Vigili del Fuoco - risponde sicuramente alle caratteristiche di un’opera pubblica e/o di un’opera di interesse generale. Il Collegio ritiene che al contrario di quanto dedotto dal Tribunale l’elenco delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria non debba intendersi tassativo e vincolato perché, come esattamente ritenuto dalla giurisprudenza condivisa dalla Sezione, debbono ritenersi rientrare nella nozione di opere di urbanizzazione previste dalla normativa anche quelle realizzazioni di specifica rilevanza pubblica e sociale, qual è certamente la costruzione di un immobile da adibirsi a caserma dei VV.FF.. (Nella fattispecie coesistono i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla più volte richiamata norma di cui all’art.9, primo comma, lettera f), prima parte, della L. n.10/77, secondo cui il contributo afferente il rilascio della concessione edilizia non è dovuto per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti). Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5315

 

Mare e coste - Fascia di rispetto costiero di 150 metri - Immobile realizzato successivamente alla L.R. 10/76 - Diniego di concessione in sanatoria - Legittimità. E’ legittimo il diniego di concessione in sanatoria (che non presenta margini di discrezionalità) per immobili realizzati in epoca successiva all’apposizione del vincolo di rispetto costiero dei 150 metri dal mare, istituito con L.R. 9/3/1976 n°10 e ricadenti entro la suddetta fascia vincolata. - Pres. ATZENI, Est. MAGGIO - Pillai e altro (Avv. Candio) c. Sindaco di Quartu S. Elena (Avv. Ornano) T.A.R. SARDEGNA, Cagliari - 6 agosto 2003, n. 986

 

Urbanistica e Edilizia - Reato di costruzione abusiva - Condono edilizio - Natura di reato permanente - Momento di cessazione - Individuazione - Ultimazione dell'opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne - Art. 20 L. n. 47/1985. La cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva va individuato nel momento della ultimazione dell'opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di ultimazione, contenuta nell'art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, e che anticipa tale momento a quello della ultimazione della struttura, e' funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di concessione (ora permesso di costruire). Pres. Papadia U - Est. Franco A - Imp. Sorrentino ed altro - PM. (Parz. Diff.) Iannelli D. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 05 Agosto 2003 (UD.03/06/2003) RV. 225553, Sentenza n. 33013

 

Urbanistica e Edilizia - Esecuzione di una platea in calcestruzzo ospitante una fossa per la riparazione degli automezzi pesanti e rafforzamento del fondo terroso esistente mischiando terra a sassi e asfalto spezzettato - Trasformazione urbanistica - Concessione edilizia - Necessità - Art. 20 c. let. B L. n. 47/1985. L'esecuzione di una platea in calcestruzzo ospitante all'interno una fossa per la riparazione degli automezzi pesanti e la commistione di terra e sassi ad asfalto spezzettato, al fine di rinforzare il fondo terroso esistente, costituisce un'opera di trasformazione urbanistica che, in quanto tale, necessita di concessione edilizia; ne' tale opera può essere annoverata nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria - esclusi dal regime concessorio - in quanto essi si riferiscono al recupero del patrimonio edilizio esistente e, quindi, presuppongono un edificio sul quale eseguire le opere di manutenzione. Pres. Savignano G - Est. Onorato P - Imp. Franchin - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 05 Agosto 2003 (UD.29/05/2003) RV. 225764, Sentenza n. 33002
 

Territorio - Edilizia e urbanistica - Istanza di condono edilizio - Inidoneità della dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal ricorrente a corredo dell'istanza - Elementi in contrario risultanti da verifiche dell’Amministrazione - Diniego - Legittimità. In sede d'esame di un'istanza di condono edilizio, è inidonea la dichiarazione sostitutiva di notorietà stessa, non precludendo essa la possibilità di raccogliere nel corso del procedimento elementi in contrario e pervenire, quindi, a risultanze diverse. (T.A.R. Toscana Firenze n.819 - 10 maggio 2001). Pres. BIANCHI - Est. AURELI - Volpe e altri (avv.ti Cosentino e Lana) c. Comune di Latina (avv. Manchisi).T.A.R. LAZIO Sezione Staccata di Latina del 29 luglio 2003, (Ud. 6 giugno 2003) Sentenza n. 675 (vedi: sentenza per esteso)
 

La differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale - protezione delle bellezze naturali - fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico - strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico - pianificazione del territorio vincolato anche sotto la successiva attività urbanistica - il piano urbanistico territoriale può anche riguardare ambiti non vincolati. E’ nota la differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale: il primo è finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico- ambientali con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità, inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 25/01; n. 450/94; n. 29/93). Il piano paesistico costituisce, pertanto, uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico, mediante l’individuazione delle incompatibilità assolute e dei criteri e dei parametri di valutazione delle incompatibilità relative, condizionando, prevalentemente in negativo, la successiva attività di pianificazione del territorio vincolato anche sotto il profilo urbanistico (cfr. Cons. St., VI Sez. n. 25/01; Corte cost. n. 417/95; Cons. St., II Sez., n. 548/98). Al contrario, il piano urbanistico territoriale, pur avendo anche valenza paesistico - ambientale, non presuppone necessariamente un preesistente vincolo e può anche riguardare ambiti non vincolati (cfr. Cons. St., VI Sez., n. 25/01 cit.). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351 (vedi: sentenza per esteso)

I piani territoriali paesistici - i piani territoriali urbanistici - le funzioni concernenti l’adozione e l’approvazione dei piani paesistici - gli artt. 97 e 128 Cost.. I piani territoriali paesistici di cui all’art. 5 della L. n. 1497/39, nati come unico strumento di regolazione dei beni assoggettati a vincolo panoramico, nel corso degli anni sono stati attratti nell’orbita urbanistica: ne costituisce riprova l’art. 1 del D.P.R. n. 8 del 1972 in base al quale, in sede di trasferimento alle regioni delle funzioni in materia urbanistica, sono state trasferite anche le funzioni concernenti l’adozione e l’approvazione dei piani paesistici. La successiva legge n. 431 del 1985 li ha posti, poi, su un piano di assoluta equivalenza con i piani territoriali urbanistici, sicchè tale riconosciuta reciproca integrazione di strumenti pianificatori può dar luogo, in determinate situazioni, ad imposizioni di condizionamenti alla sottostante programmazione urbanistica comunale in grado di risolversi, per il loro contenuto totalmente vincolante, in veri e propri vincoli di inedificabilità, con effetti giuridici indirettamente proiettati sulle posizioni dei privati. Del resto, dalla elencazione del contenuto del piano paesistico, quale risulta dall’art. 23 R.D. n. 1357/40, si evince la possibilità di limitare il diritto dei privati di utilizzazione dei beni vincolati, sino al punto di consentire anche l’esclusione dell’edificazione quando essa risulti in grado di compromettere la conservazione dei valori paesaggistici ed ambientali presidiati dal vincolo (cfr. Cass. II Sez. n. 1512/82; Cons. St., IV Sez., n. 682/92). Consegue dalla impostazione su riportata che il piano paesistico territoriale ben può individuare i beni che siano ritenuti meritevoli di tutela, né si può ritenere che nel dettare la disciplina di tutela primaria, posto che si muove su un livello sovraordinato alla programmazione urbanistica, debba tener conto delle modifiche che questa ultima deve necessariamente subire per assicurare al paesaggio una tutela tale da non essere incisa nel tempo da singole scelte di gestione del territorio, che comunque trovano nella pianificazione di rango superiore un limite e un indirizzo. Fissata entro tali limiti la portata del piano paesistico territoriale, appare evidente la manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 L. n. 1497/39, 23 R.D. n. 1357/40 e 1 bis L. n. 431/85 per contrasto con gli artt. 97 e 128 Cost. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351 (vedi: sentenza per esteso)

 

P.R.G. - opere preesistenti in contrasto con le nuove destinazioni di zona gli interventi - interessi urbanistici ed ambientali. Gli strumenti urbanistici, in quanto atti di pianificazione dello sviluppo urbanistico, sono essenzialmente rivolti a disciplinare la futura attività di trasformazione del territorio per cui le relative prescrizioni non riguardano le opere già eseguite in conformità alla disciplina previdente, per cui debbono ritenersi in linea di massima consentiti sulle opere preesistenti attualmente in contrasto con le nuove destinazioni di zona gli interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzionalità (V. la decisone di questa Sezione n. 176 del 19.2.1997). (Nella specie si trattava di armonizzare tra di loro contrastanti interessi urbanistici ed ambientali essendosi modificata nel tempo la destinazione di zona dell’area da industriale ad attrezzature distributive). Consiglio di Stato, Sezione V, 29 luglio 2003, sentenza n. 4321

 

Urbanistica - concessione edilizia - oneri concessori - scomputo delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria - sussistenza - circostanza che le modalità di realizzazione non siano state concordate con il comune - irrilevanza ai fini dello scomputo - modalità e garanzie - giurisprudenza. Il soggetto titolare di concessione edilizia (oggi permesso di costruire) può - previa convenzione con il Comune (ovvero - come prescrive l’art. 11, comma 1 della legge 28.1.77, n. 10, ora sostituito dall’art. 16 del T.U., emanato con D.P.R. n. 380/2001 - "con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune") - realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, a scomputo dei relativi oneri; quando anche, tuttavia, modalità e garanzie non siano state previamente concordate con il Comune stesso, la prevalente giurisprudenza ritiene che il concessionario abbia diritto allo scomputo, previa valutazione comunale della entità e della effettiva utilizzazione delle opere realizzate, ovvero della idoneità delle medesime a soddisfare le necessità del nuovo insediamento (in tal senso cfr. Cons. St., sez. V, 26.6.94, n. 716; Cons. St., sez. IV, 7.6.77, n. 578; Cons. Giust. Amm. Sic., 30.6.95, n. 245; TAR Calabria, Catanzaro, 24.7.97, n. 526 e 24.10.96, n. 797; TAR Toscana, 21.10.85, n. 849; TAR Lombardia, Milano,2.10.82, n. 924). TAR LAZIO, SEZ. II BIS - Sentenza 22 luglio 2003 n. 6570 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - oneri concessori - concessione edilizia - scomputo delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria realizzate dal concessionario - possibilità per il comune di avvalersi senza motivazione di opere non scomputate - non sussiste - indebito arricchimento. Il diritto del titolare della concessione edilizia di realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, a scomputo dei relativi oneri, non implica una pretesa indiscriminata allo scomputo del valore di qualsiasi opera di urbanizzazione, volontariamente eseguita dal concessionario al di fuori di un preventivo accordo con il Comune, ma esclude che il medesimo Comune possa - senza adeguata motivazione e con oggettivo, indebito arricchimento - porre a servizio della collettività e dello stesso concessionario opere da ques’ultimo eseguite, senza che il relativo valore venga scomputato dalla prestazione patrimoniale imposta, di tipo causale - ovvero, finalizzata appunto alla predisposizione di infrastrutture - corrispondente agli oneri di urbanizzazione (cfr., per il principio, Cons. St., sez. V, n. 716/94 cit. e 29.9.99, n. 1209; TAR Emilia Romagna, Parma, 7.4.98, n. 149 e TAR E.R., Bologna, 13.11.86, n. 597; TAR Veneto, 26.6.93, n. 522; TAR Lombardia, Milano, 20.5.98, n. 1036; TAR Marche, 28.4.95, n. 182). TAR LAZIO, SEZ. II BIS - Sentenza 22 luglio 2003 n. 6570 (vedi: sentenza per esteso)

 

L’autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari - divieti - gestione (e proprietà) degli stessi - la giurisdizione del giudice ordinario - regolamento preventivo di giurisdizione - la gestione degli spazi pubblicitari - accertamento della scadenza delle convenzioni e della proprietà degli impianti pubblicitari. Il profilo pubblicistico dell’autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari, contenuto nelle disposizioni in precedenza citate, attiene all’esigenza che i messaggi pubblicitari, diversamente da quelli di servizio, non debbano essere visibili dall’utente autostradale durante la marcia, ma soltanto nelle aree di sosta; una volta rispettato tale divieto, non vi è alcuna interferenza con gli interessi pubblicistici: l’attività (pubblicitaria) di gestione degli impianti è quindi del tutto estranea alle funzioni, affidate al concessionario autostradale, rilevanti invece dal punto di vista pubblicistico. La giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che l’attività esercitata dalla società autostrade per la gestione degli spazi pubblicitari nelle aree di sosta ha carattere imprenditoriale, economico - commerciale, senza alcuna connessione con il servizio pubblico affidato in concessione, che, in base all'articolo 10 della legge n.537 del 1993, ha come oggetto principale la costruzione e la gestione di autostrade. Pertanto la società autostrade, nello stipulare le convenzioni in questione, ha agito in veste privatistica, per il perseguimento di interessi economici ed imprenditoriali, disancorati dallo scopo di assicurare il pubblico servizio in concessione. Peraltro, con ordinanza n. 2817 del 24 febbraio 2003, la Corte di Cassazione, sezioni unite civili, si è pronunciata su un regolamento preventivo di giurisdizione, relativo ad una controversia intrapresa dalla società Autostrade davanti al giudice ordinario e nei confronti delle odierne appellanti, per l'accertamento della scadenza delle stesse convenzioni e per l'accertamento della proprietà degli stessi impianti pubblicitari, oggetto del presente giudizio. Inoltre, la Cassazione, ha affermato che la possibilità di rinnovo delle autorizzazioni alla gestione degli impianti pubblicitari, prevista dall'articolo 15 della convenzione, non è espressione di attività pubblicistica, ma rappresenta un’attività di impresa svolta dalla società autostrade quale soggetto privato. Tali conclusioni sono assolutamente condivisibili e confermano la fondatezza della tesi della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario. Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4205

 

La concessione edilizia in una località classificata sismica - costruzione, sopraelevazione o riparazioni in località sismica - preavviso scritto, notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio tecnico della regione o all'ufficio del genio civile - necessità - responsabilità - effetti - distanza dal ciglio stradale. In base all’art. 17 della legge n. 64 del 1974 già citato, infatti, chi vuole eseguire in località sismica una costruzione, sopraelevazione o riparazioni è tenuto “a darne preavviso scritto, notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio tecnico della regione o all'ufficio del genio civile secondo le competenze vigenti”. Il Sindaco (oggi il dirigente dell’U.T.C.), responsabile del governo urbanistico del territorio comunale, prima di rilasciare una concessione edilizia (oggi permesso a costruire) in una località classificata sismica e per la quale è necessaria la preventiva autorizzazione degli uffici competenti, è tenuto, ad avviso della Sezione, ad accertare la regolarità di tale autorizzazione, nei suoi profili di ordine formale, in quanto tali profili si riflettono sul titolo concessorio, invalidandolo se irregolari. (La costruzione di cui alla concessione edilizia assentita è alta 18 metri mentre, in base alla normativa antisismica contenuta nel Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 16.1.1996, n. 19, non avrebbe dovuto superare gli undici metri - distanza dal ciglio stradale). Consiglio di Stato, Sezione V - 14 luglio 2003, sentenza n. 4165 (vedi: sentenza per esteso)

 

Urbanistica - Condono edilizio - Istanza “dolosamente infedele” - Diniego - Controllo dell’Amministrazione sull’attendibilità dei dati forniti - Obbligo. Il richiedente il condono edilizio ha “l’onere di fornire un principio di prova in ordine alla preesistenza delle opere alla data utile al condono (Cons. Stato , Sez. IV, 10.01.2000 n.100), restando a carico dell’Amministrazione il controllo sull’attendibilità dei dati forniti ed eventualmente la contrapposizione delle risultanze di proprie verifiche (Cons. Stato Sez.V 12 10.1999). Pres. BIANCHI - Est. AURELI - Verrelli (avv. Ceci) c. Comune di Latina (avv. Di Leginio).T.A.R. LAZIO Sezione Staccata di Latina del 10 luglio 2003, (Ud. 23 maggio 2003) Sentenza n. 655. (vedi: sentenza per esteso)

Accesso ai documenti - annullamento del diniego, oppostogli dal Comune, di accesso alla documentazione amministrativa relativa alla pratica di condono edilizio. La circostanza della materiale indisponibilità dell’atto è preclusiva dell’accoglimento della domanda di accesso unicamente nell’ipotesi nella quale la competenza, e la relativa disponibilità dei documenti oggetto dell’istanza di accesso, sia stata trasferita ad altro ente successivamente alla formazione degli atti, mentre la mancanza di un trasferimento di competenze ed il difetto di una cessione dei documenti ad altra autorità impongono di reputare tenuta all’ostensione l’amministrazione che ha formato gli atti, senza che possa attribuirsi alcuna rilevanza alla sopravvenuta indisponibilità degli stessi (cfr. dec. 22.4.2002 n. 2186). Gli atti di cui trattasi non risultano essere coperti da segreto. Pertanto, l’amministrazione comunale deve porre in essere tutte le iniziative necessarie (acquisizione, a sua cura, di copia degli atti direttamente presso gli uffici della Procura della Repubblica) per rendere ostensibile all’interessato la documentazione che forma oggetto della domanda di accesso. Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4126

Edilizia - determinazione e liquidazione dei contributi di urbanizzazione - giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - la ripetizione dell’indebito. In tema di determinazione e liquidazione dei contributi di urbanizzazione sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la quale non riguarda solo i casi in cui la domanda proposta dal concessionario è diretta a contestare la legittimità della pretesa avanzata dal Comune, ma anche quelli in cui la domanda è diretta ad ottenere la ripetizione di quanto si assume indebitamente pagato (cfr. Corte di Cass., SS.UU., 19.10.1990 n. 10177; C.d.S., Sez. V, 21.10.1991 n. 1235 e 15.4.1999 n. 433). Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4102 (vedi: sentenza per esteso)

Le controversie concernenti i contributi di concessione edilizia - termini di prescrizione. Le controversie concernenti i contributi di concessione edilizia sono giudizi che riguardano diritti soggettivi, che non soggiacciono alle regole del processo impugnatorio e non esigono che si impugni, entro i termini decadenziali, l’atto con il quale il Comune ne abbia richiesto il pagamento, ma possono essere attivate entro i termini di prescrizione (cfr. C.d.S., Sez. V, 31.10.1992 n. 1145; 19.7.1996 n. 960 e cit. dec. n. 433 del 1999). Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4102 (vedi: sentenza per esteso)

Il mutamento di destinazione d’uso degli immobili - profilo urbanistico - immobile realizzato nel 1968. In mancanza della disciplina regionale e tenuto conto che nel sistema delineato dalla legge n. 47/1985 (v., oltre agli artt. 7 e 8 e 25, anche gli artt. 15 e 26) il mutamento di destinazione d’uso degli immobili ha rilievo sotto il profilo urbanistico solo se accompagnato da opere edilizie, non sia necessaria la concessione. Vero è, peraltro, che questa Sezione ha avuto occasione di precisare (cfr dec. n. 24 del 3.1.1998) che, in assenza della disciplina regionale, non possono ritenersi liberalizzati, nelle more, tutti i cambiamenti di destinazione, ancorché senza opere, qualora si pongano in manifesto contrasto con i vigenti assetti urbanistici di zona. Ma, nella specie, tale problema non si pone, in quanto la stessa amministrazione appellante dà atto, a pag. 8 del suo appello, che nel contesto della zona interessata la modifica dell’immobile da industriale a commerciale è ammissibile. D’altra parte, il caso in esame non appare neanche riconducibile, a meno che non si dia rilievo alla situazione di fatto, ad un vero e proprio mutamento di destinazione d’uso, considerato che l’immobile è stato realizzato nel 1968, durante la vigenza della L. n. 765/1967, e che, pertanto, l’originaria licenza edilizia non indicava una specifica destinazione d’uso. Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4102 (vedi: sentenza per esteso)

Edilizia e urbanistica - Abbassamento dell’altezza interna dei vani del fabbricato con conseguente aumento dell’altezza interna dei sottotetti - variazione essenziale nell’edificio - D.I.A. - Insufficiente - Permesso di costruire - Necessità. L’abbassamento dell’altezza interna dei vani del fabbricato oggetto dell’intervento contestato, da mt. 4,00 a 3.00 circa, con conseguente aumento dell’altezza interna dei sottotetti da un’altezza minima di mt. 1,50 a quella massima di mt. 2,50, non rientra nella manutenzione ordinaria. Trattasi di intervento determinante una variazione essenziale nell’edificio, ben oltre i limiti stabiliti dall'art. 8 primo comma lett. c) e d) L. Reg. Lazio 2 luglio 1987 n. 36, in ragione del conseguente aumento del volume abitabile e delle unità immobiliari, attese le ragguardevoli ed innovative dimensioni dell’intervento, avendo perduto i preesistenti sottotetti le loro originarie caratteristiche funzionali e strutturali. Onde è da escludere che quello effettuato dalla società ricorrente possa qualificarsi un intervento di manutenzione ordinaria, a cui si accompagna, invero, la conservazione dell’assetto preesistente, nella fattispecie non verificatosi, assentibile con la D.I.A. di cui all’art. 2, comma 60 della legge n.662 del 1996. Pres. BIANCHI - Est. AURELI - s.r.l. Italiana Turismo ’93 (avv. Graziani) c. Comune di S. Felice Circeo (non costituitosi). T.A.R. LAZIO Sezione Staccata di Latina del 4 luglio 2003, (Ud. 9 maggio 2003) Sentenza n. 637

La determinazione del corrispettivo della concessione di un diritto di superficie - calcolo. Quando, non si tratta della determinazione del contributo per il rilascio di una concessione edilizia, che ha natura di prestazione patrimoniale imposta commisurata all’incidenza delle spese di urbanizzazione ed al relativo costo di costruzione (art.3 L. n. 10/1977), senza che la sua determinazione corrisponda a costi effettivi o a specifici benefici, ma del corrispettivo della concessione di un diritto di superficie che deve corrispondere esattamente al costo di acquisizione delle aree e delle opere di urbanizzazione (già realizzate o da realizzare), secondo quanto espressamente previsto dall’art. 35 L. n.865/1971 (V. le decisioni di questo Consiglio, Sezione V n. 462 del 6.5.1997 e Sezione IV n. 5359 dell’11.10.2001). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenze nn. 3982 - 3981. Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3983

La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistica ed edilizia - provvedimenti di rilascio o diniego della concessione edilizia - determinazione o liquidazione del contributo di concessione e delle sanzioni. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo deve ritenersi comunque sussistente in materia sulla base dell’art. 7 L. 21.7.2000 n. 205, che nel sostituire l’art. 34 del D. L.vo 31.3.1998 n.80, gli ha espressamente devoluto “le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia”. In specie, la controversia non rientra nell’art. 16 L. 8.1.1997 n. 10, il quale ha previsto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo avverso i provvedimenti di rilascio o diniego della concessione edilizia, e la determinazione o liquidazione del contributo di concessione e delle sanzioni di cui ai successivi artt. 15 e 18. Né può escludersi l’applicabilità delle nuove disposizioni in materia di giurisdizione di cui all’art. 7 L. n. 205/2000 per il fatto che la controversia risale all’anno 1994, atteso che il principio di cui all’art. 5 c.p.c. (secondo cui la giurisdizione si determina in base alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, con irrilevanza dei successivi mutamenti), trova applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza di giurisdizione del giudice originariamente adito ma non anche allorchè il mutamento dello stato di diritto o di fatto viene a comportare l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era privo inizialmente (V. Cass. S.U. n.15885 del 12.11.2002). Con la conseguenza che in quest’ultima ipotesi (come nel caso in esame) evidenti ragioni di economia processuale impediscono al giudice, in mancanza di norme transitorie specifiche, di declinare la giurisdizione, che viene ad essere convalidata dalla normativa sopravvenuta nel corso del giudizio (V. la decisione di questa Sezione n. 4236 del 6.8.2001). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenze nn. 3982 - 3981. Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3983

Lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio - definizione. Ai sensi dell’art. 18 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, “si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”. Nella specie, risulta illegittima la sospensione di lavori, consistenti in una recinzione con pali in legno e rete metallica, seguita dalle comminatorie di cui all’art. 18, comma 7, della legge n. 47/1985, ritenendo, che dette opere sostanziassero una lottizzazione abusiva. Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3973

Difesa del suolo - Territorio - Pianificazione urbanistica - Potere di salvaguardia degli interessi ambientali - Sussistenza - L. 1150/1942. Attraverso la pianificazione urbanistica, le esigenze ambientali e di difesa del suolo possano trovare adeguata composizione in sede locale con gli altri interessi pubblici che concorrono a determinare le scelte urbanistiche. Pertanto, gli organi preposti alla formazione del piano regolatore hanno il potere, ai sensi dell’art. 7, n. 5, della legge n. 1150 del 1942 e dell’art. 9 della legge regionale n. 61 del 1985, di salvaguardare attraverso il p.r.g. anche gli interessi ambientali e la difesa del suolo. (Nella specie, un vincolo di inedificabilità previsto dal P.R.G. a tutela dell’equilibrio idrogeologico sotterraneo, era stata ritenuto sicuramente applicabile ad un intervento di scavo di notevole consistenza, per la realizzazione di vasche di piscicoltura). - Pres. ed Est TRIVELLATO - Recchia (Avv.ti Pasetto e Bellussi) c. Comune di Cerea (Avv.ti Petrosino e Rossettini) e Regione Veneto (Avv. Stato). T.A.R. VENETO, Venezia, Sez. II - 1 luglio 2003, n. 3493

Prg - la reiterazione dei vincoli - i limiti di durata fissati dal Legislatore - la mancata previsione di indennizzo - vincolo de facto di durata indeterminata - il procedimento del silenzio-rifiuto - rito processuale di cognizione e di ottemperanza - tutela risarcitoria o indennitaria - il c.d. periodo di franchigia. La Corte Costituzionale ha dichiarato “la illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo che consente la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico preordinato all’espropriazione o comportante la assoluta inedificabilità oltre i limiti di durata fissati dal Legislatore, quali indici di ordinaria sopportabilità da parte dei singoli” (Corte Cost. n. 179/99 cit.). D’altra parte non può fondatamente ritenersi che il soggetto interessato da un vincolo de facto di durata indeterminata, sia privo di tutela; egli, infatti, in caso di inerzia dell’Ente territoriale nella realizzazione delle proprie scelte urbanistiche (nella specie il Comune), può promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure agire in sede giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio-rifiuto. A questa tradizionale forma di tutela - la cui concreta effettività risulta oggi assai implementata dalla notevole accelerazione impressa al rito processuale di cognizione e di ottemperanza, in materia di silenzio rifiuto, dall'art. 21 bis della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, nel testo novellato dalla L. 21 luglio 2000 n. 205 - si affiancano ulteriori strumenti di tutela complementare. Trattasi della tutela risarcitoria o indennitaria. Se, anche per effetto dell'applicazione del regime provvisorio di cui all'art. 4, ultimo comma, della citata legge n. 10 del 1977, derivi a carico di un fondo la protrazione, oltre il c.d. periodo di franchigia, del divieto assoluto di ogni sua utilizzazione (secondo i criteri fissati dalla Corte cost., 20 maggio 1999 n. 179 cit.), è ipotizzabile - almeno secondo un ragionevole orientamento dottrinale - il diritto del proprietario a un indennizzo, alla stregua della ricordata sentenza costituzionale di accoglimento. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3903

Comuni sprovvisti dei piani di zona ex lege n. 167 del 1962 - il provvedimento di localizzazione - gli atti della sequenza procedimentale espropriativa - il decreto di occupazione d’urgenza. Nei comuni sprovvisti dei piani di zona ex lege n. 167 del 1962 o comunque esauriti, il provvedimento di localizzazione adottato a mente dell’art. 51, l. n. 865 del 1971 non presuppone l’intervenuta approvazione da parte della regione, dello strumento urbanistico generale recante la nuova destinazione a edilizia residenziale delle aree espropriande, bensì la semplice adozione e trasmissione in vista dell’approvazione; conseguentemente ben possono adottarsi tutti gli atti della sequenza procedimentale espropriativa, compreso il decreto di occupazione d’urgenza prima dell’approvazione stessa. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896 (vedi: sentenza per esteso)

Occupazione usurpativa successiva - sequenza procedimentale espropriativa successiva - P.E.E.P. - l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza - inesistenza - nullità del provvedimento espropriativo e di occupazione d’urgenza. Lo strumento urbanistico può essere anche semplicemente adottato ai fini della legittimità della localizzazione ex art. 51, l. n. 865 cit. e della successiva sequenza procedimentale espropriativa (cfr. sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2643); al punto che è stata ritenuta legittima l'occupazione d'urgenza di aree oggetto di localizzazione, disposta prima che i proprietari abbiano potuto formulare le osservazioni al P.E.E.P., nel quale la localizzazione si iscrive (cfr. sez. IV, 14 marzo 1990, n. 172). Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, sono da ritenersi essenziali ai fini di tutela delle posizioni soggettive dei privati solo quelli finali di completamento delle opere e delle procedure espropriative (cfr. da ultimo sul carattere meramente ordinatorio dei termini iniziali, Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2002, n. 8219). E’ il caso classico, dell’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza che comporta l’inesistenza - nullità del provvedimento espropriativo e di occupazione d’urgenza, dando luogo a quella che la più recente giurisprudenza qualifica come occupazione usurpativa successiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819; Cass. civ. sez. I, 30 gennaio 2001, n. 1266; 28 marzo 2001, n. 4451; 18 febbraio 2000, n. 1814; Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 maggio 2000, Belvedere). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896 (vedi: sentenza per esteso)

Ricorso avverso lo strumento urbanistico - legittimazione ad agire - limiti - diritto di proprietà. Il diritto di proprietà degli originarii ricorrenti evidenzia quel loro qualificante rapporto con il territorio che legittima il loro interesse al ricorso avverso lo strumento urbanistico di cui si discute (le cui previsioni sono peraltro preordinate alla espropriazione delle aree ricadenti nel p.i.p. medesimo), una loro posizione altrettanto qualificata non può ravvisarsi con riguardo alla deliberazione consiliare (convocata in seduta straordinaria), la quale, seppure atto impulsivo dell’intera fattispecie procedimentale, non vale a ledere l’unico loro interesse meritevole di tutela giurisdizionale, ch’è quello al corretto assetto urbanistico delle aree di loro proprietà. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 24 giugno 2003, sentenza n. 3818

L’interesse ad impugnare un piano urbanistico - diviene “attuale” solo a séguito della approvazione del regolamento urbanistico - l’apposizione di vincoli preordinati alla espropriazione. L’interesse ad impugnare un piano urbanistico, insorge e diviene “attuale” solo a séguito della approvazione del regolamento urbanistico (ch’è strumento precettivo e direttamente conformativo nei confronti dei privati), avendo esso solo rilevanza concreta (anche mediante l’apposizione di vincoli preordinati alla espropriazione) sul godimento e sul valore di mercato delle aree dallo stesso interessate. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 24 giugno 2003, sentenza n. 3818

Edilizia e urbanistica - Costruzione abusiva - Suscettibile di sanatoria ex art. 13 - Successivamente demolito - Reato di cui all’art. 20 I. n. 47 deI 1985 - Estinzione - Concessione in sanatoria - Fondamento - Certificazione di conformità. L’estinzione del reato di costruzione abusiva, per effetto del combinato disposto degli artt. 13 e 22 l. 28 febbraio 1985, n. 47, si verifica anche a favore di chi abbia demolito il manufatto, sempre che si tratti di costruzione che se non demolita avrebbe potuto ottenere la concessione in sanatoria; in tal caso l’accertamento e la certificazione di conformità effettuata dal sindaco ai sensi del citato art. 13 tiene luogo della sanatoria rilasciata per i manufatti ancora esistenti. Pres. Papadia - Rel. Grassi - P.M. Albano (concl. dìff.) - Ducoli. CORTE DI CASSAZIONE Penale - Sez. III - Ud. 17 giugno 2003 (dep. 29 agosto 2003), n. 35051

La protrazione a tempo indeterminato delle misure di salvaguardia - limiti - prg - regione Puglia - pianificazione urbanistica. Nella regione Puglia, l'art. 17 comma 2, l. reg. 31 maggio 1980 n. 56 non consente la protrazione a tempo indeterminato delle misure di salvaguardia ex art. un., l. 3 novembre 1952 n. 1902, la cui adottabilità e i cui effetti permarrebbero fino all'approvazione dello strumento urbanistico, a condizione, però, che tale termine non superi quello massimo previsto dalla norma statale, in quanto tali misure sono strumentali al fine di un'efficace pianificazione urbanistica, ma, proprio perche' si traducono in un divieto d'edificabilità delle aree interessate, non possono avere che una durata temporanea e una natura eccezionale e derogatoria della disciplina che sottomette l'attività edificatoria al piano regolatore, ché, diversamente argomentando, si tradurrebbero in un sacrificio per i privati non piu' giustificato dall'interesse pubblico ad un'armonica definizione del piano stesso.” (Consiglio Stato sez. V, 6 dicembre 1999, n. 2067). Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno 2003, sentenza n. 3357

Urbanistica e edilizia - Modifica destinazione d'uso - Disciplina urbanistica - Poteri regolamentari della regione - Mutamento di destinazione d'uso di immobili, o di loro parti - All'interno degli stessi raggruppamenti - Concessione edilizia - Esclusione - Semplice autorizzazione - L. n. 662/1996, L. n. 47/1985 e D. P. R. n. 380/2001. In materia edilizia, compete alle Regioni, ai sensi dell'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, modificativo dell'art. 25 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, stabilire quali mutamenti di destinazione d'uso di immobili, o di loro parti, connessi o meno a trasformazioni fisiche, siano escluse dal regime concessorio (ora permesso di costruire) e subordinate a semplice autorizzazione, purché le previsioni regionali tengano conto delle disposizioni di principio poste dallo Stato. (In applicazione di tale principio risulta legittima la sottoposizione alla denuncia di inizio attività, prevista dalla legge Regione Calabria n. 19 del 2002, dei mutamenti di destinazione d'uso che intervengono all'interno degli stessi raggruppamenti). PRES. Savignano G REL. Squassoni C COD.PAR.368 IMP. Lattari PM. (Conf.) Di Zenzo C. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 13/06/2003 (CC. 09/04/2003), RV. 225472, Sentenza n. 25738

Concessione edilizia - l’obbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di versare i relativi contributi - prescrizione - atto di imposizione e liquidazione del contributo - la disciplina legale della prescrizione non è derogabile neppure per atto unilaterale del titolare del diritto. La giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto, perciò, modo di precisare che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di versare i relativi contributi, ai sensi della legge n. 10 del 1977, è rappresentato dal rilascio della concessione edilizia ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, in applicazione della normativa vigente all’atto del rilascio (V Sez. 25 ottobre 1993, n. 1071 e 6 dicembre 1999, n. 2058). Ed è, di conseguenza, da quel momento stesso che l’amministrazione può far valere l’obbligo che grava sul cittadino. Un diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge: art. 2934 cod. civ. La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere: art. 2935 cod. civ. Le norme in questione si applicano anche al diritto di credito del Comune avente per contenuto il contributo in esame, in difetto di disposizioni speciali che regolino in modo diverso la specifica obbligazione. Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di credito, anche fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre la prescrizione del suo diritto. L’atto di imposizione e liquidazione del contributo, dovuto in base alla legge n. 10 del 1977, non ha, infatti, natura autoritativa, ma si ri-solve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di provvedimenti generali (conf. Sez. V 27 ottobre 1986, n. 577 e 4 dicembre 1990, n. 810; C. si. 5 maggio 1993, n. 154). Ne segue che l’Amministrazione non ha alcun potere di differire l’esercizio del suo diritto di credito, come, invece, ha ritenuto il primo giudice, e che l’omessa emanazione di tale atto si configura come mancato esercizio del diritto di credito, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione. E, poiché in mancanza di norme speciali vigenti nel 1980, il termine in questione è quello decennale, fissato dall’art. 2946 del codice civile, deve riconoscersi che il diritto di credito del Comune era estinto per compimento del periodo di dieci anni decorrenti dalla data del rilascio della concessione edilizia. Né rileva che l’amministrazione comunale si sia riservata di dar corso alla richiesta di pagamento in prosieguo di tempo, sia perché per i diritti di credito, la realizzazione dei quali esige un’attività del creditore - come nel caso in esame -, la prescrizione decorre dal giorno in cui l’attività poteva essere compiuta ed egli poteva, così, mettersi in grado di esigere la prestazione dovuta, sia perché l’inerzia del titolare del diritto assume rilevanza dal momento in cui è possibile esercitare il diritto, sia, infine, perché la disciplina legale della prescrizione non è derogabile, a norma dell’art. 2936 cod. civ., neppure, quindi, per atto unilaterale del titolare del diritto. Ne deriva che con l’atto impugnato e, prima ancora, con quello di invito al pagamento del contributo in parola, il Comune ha chiesto l’adempimento di un credito che era ormai prescritto. Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sez. V, del 13 giugno 2003, sentenza n. 3332. Consiglio di Stato Sez. V, del 13 giugno 2003, sentenza n. 3333

Oneri di urbanizzazione - contributo - modalità di pagamento. Insieme agli oneri di urbanizzazione, il contributo deve essere determinato al momento del rilascio della concessione. Contestualmente l’amministrazione deve quantificare e a individuare le modalità di pagamento. Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sez. V, del 13 giugno 2003, sentenza n. 3332. Consiglio di Stato Sez. V, del 13 giugno 2003, sentenza n. 3333

Destinazione di un immobile - criteri - vincoli urbanistici - concessione - a nulla rileva l'uso di fatto che dell'immobile fa il titolare - l'abuso commesso dal proprietario - cambio illegittimo di destinazione d’uso. La destinazione di un immobile non è argomentabile dall'uso che ne abbia fatto il titolare, dovendo essere desunta dalla legge, dai vincoli urbanistici e dalla concessione a nulla rilevando l'uso di fatto che dell'immobile fa il titolare (in argomento cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12/03/1992, n. 211; Cons. Stato, Sez.V, 23/02/2000, n. 949). L'abuso eventualmente commesso dal proprietario che abbia destinato a scopi commerciali parte di un immobile con destinazione industriale non vale ad imprimere allo stesso una destinazione diversa a quella risultante dal titolo. (In specie alla luce delle suesposte considerazioni è stato ritenuto legittimo il provvedimento di diniego di concessione edilizia emanato dal Comune di Chieri che ha qualificato l'intervento richiesto fosse come "ristrutturazione di tipo B con aumento della superficie lorda di pavimento e mutamento di destinazione d'uso da industriale a terziario commerciale"). Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3295 (vedi: sentenza per esteso)

L’iter di approvazione del regolamento edilizio comunale - modifiche sostanziali apportate ed introdotte - necessità di formale deliberazione consiliare finale - conseguente pubblicazione nei termini e nei modi di legge. Giova prendere le mosse dall’appurata circostanza della ancora non intervenuta efficacia (al tempo del rilascio della concessione) dell’invocato regolamento edilizio comunale per mancato perfezionamento della relativa trama procedimentale, alla stregua del principio di diritto enunciato da Cass., II, 15 aprile 1991, n. 3999, secondo cui nel caso di un regolamento edilizio (con annesso programma di fabbricazione) approvato dal Presidente della Giunta Regionale competente con modifiche sostanziali apportate ed introdotte dal detto organo, è pur sempre necessaria, e costituisce condizione di efficacia dello strumento urbanistico nella sua interezza (cioè e per la parte modificata e per la parte non modificata), una formale deliberazione consiliare finale (di accettazione o di presa d’atto delle modifiche apportate ed introdotte nello strumento urbanistico medesimo, da inserire e coordinare in un testo unico), con la conseguente pubblicazione di essa nei termini e nei modi di legge. Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3287

Urbanistica e Edilizia - Costruzione edilizia - Manufatto avente carattere precario - Requisiti - Individuazione - L. n. 47/1985 - D. P. R. n.380/2001. In materia edilizia al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire con l'entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione. Pres. Toriello F - Est. Fiale A - Imp. Nagni - PM. (Conf.) Aizzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 10 Giugno 2003 (UD.04/04/2003) RV. 225380, sentenza n. 24898

Urbanistica - Antisismica - Edilizia - Zone Sismiche - Concessione in sanatoria - Estinzione dei reati urbanistici - Estensione ai reati concernenti le costruzioni in zone sismiche - Esclusione - Fondamento - Artt. 13 e 22 L. n. 47/1985 - L. n. 64/1974. La concessione in sanatoria ex art. 13 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 estingue (ex art. 22 della stessa legge) i soli reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche, e tra questi non possono essere ricompresi i reati concernenti le costruzioni in zone sismiche previsti dalla legge 2 febbraio 1974 n. 64, in quanto aventi oggettività diversa rispetto alle previsioni relative all'assetto del territorio. CED. Pres. Toriello F - Est. Gentile M - Imp. Saporito ed altri - PM. (Diff.) Albano A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 09/06/2003 (UD.16/04/2003) RV. 225316 sentenza n. 24853

Urbanistica e edilizia - Elettrosmog - Impianti ricetrasmittenti - Assoggettamento ad autorizzazione e a d.i.a - Nuova disciplina introdotta con D. lgs. n. 198/2002 - Concessione edilizia - Esclusione - Art. 20 L. n. 47/1985 - D. LG. n. 198/2002. L'installazione di impianti ricetrasmittenti, compresi quelli accessori, è assoggetta a mera autorizzazione e a d.i.a. dalla nuova disciplina prevista dal d.lgs n. 198 del 2002, che stabilisce la compatibilità delle infrastrutture di telecomunicazione con qualsiasi destinazione urbanistica e la possibilità di realizzazione anche in deroga agli strumenti urbanistici. PRES. Vitalone C REL. Novarese F COD.PAR.368 IMP. Cassisa PM. (Conf.) Di Zenzo C. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 06/05/2003 (CC. 11/03/2003), RV. 225767, Sentenza n. 20218

Urbanistica - Lottizzazione abusiva e condono - Edilizia - In genere - Estinguibilità del reato a seguito di condono edilizio - Esclusione - Effetti sui singoli manufatti abusivi - Artt. 18 cost, 19, 20 e 38 L. n. 47/1985. Il reato di lottizzazione abusiva, di cui all'art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 non e' suscettibile di condono edilizio, diversamente da quanto può avvenire per i singoli manufatti previa adozione di adeguate varianti allo strumento urbanistico generale, atteso che l'effetto estintivo non si estende al reato integrato dall'attività' illecita di lottizzazione per il vulnus arrecato alla pianificazione urbanistica. Pres. Toriello F - Est. Vitalone C - Imp. Bertelli ed altri - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 05/06/2003 (UD.04/04/2003) RV. 225311 sentenza n. 24319

Urbanistica - il carattere provvisorio o meno di un intervento edilizio - impianto industriale incompatibile con la destinazione agricola impressa all'area dal piano regolatore. Il carattere provvisorio o meno di un intervento edilizio non può essere desunto dall'intenzione del richiedente, che prevede di mantenere in attività gli impianti per un limitato numero di anni, ma dalla natura e consistenza oggettive delle opere e di come queste incidano sull’assetto dei luoghi. (In specie, dagli atti del giudizio di primo grado risulta evidente come si tratti di un impianto di notevoli dimensioni, costituito da manufatti, attrezzature, ed opere edili di un certo spessore e con l’uso di materiali durevoli, quali il cemento armato. Tali opere, indubbiamente, incidono sull'assetto del territorio, e si traducono nella realizzazione di un impianto industriale incompatibile con la destinazione agricola impressa all'area dal piano regolatore, con superamento, com'è pacifico tra le parti, degli indici di edificabilità, delle altezze e delle distanze previste dalle prescrizioni urbanistiche). Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 - sentenza n. 3073 (vedi: sentenza per esteso)

Concessione edilizia - termine per l'impugnazione - l'effettiva e piena conoscenza - l'onere probatorio. La giurisprudenza è ferma nel ritenere come "il termine per l'impugnazione … decorre dalla piena ed effettiva conoscenza di tale provvedimento concessorio che si verifica, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, non con il mero inizio dei lavori, ma con la loro ultimazione." (Consiglio Stato sez. V, 23 maggio 2000, n. 2983). Ma è altrettanto ferma nel ritenere che “l'effettiva e piena conoscenza della concessione edilizia rilasciata a terzi deve essere provata da chi eccepisce la tardivita' della sua impugnazione in modo rigoroso" (Consiglio Stato sez. V, 25 ottobre 1999, n. 1688 ). Ne consegue che l'onere probatorio deve necessariamente estendersi a tutti gli elementi della fattispecie, ivi compresa la data di ultimazione dei lavori. Consiglio di Stato, Sezione V - 4.6.2003 - sentenza n. 3073 (vedi: sentenza per esteso)

L’occupazione dello spazio pubblico - canone per l’occupazione o l’uso di porzioni delle pubbliche vie - lo “spiazzo” in cui si svolge il mercato. Il d.lgs. n. 285 del 1992, che ha sostituito la normativa di cui al r.d. n. 1740 del 1933, all’art. 27, non manca di prevedere, all’art. 27, il versamento del canone per l’occupazione o l’uso di porzioni delle pubbliche vie. Risulta arduo, d’altra parte, concepire lo “spiazzo” in cui si svolge il mercato, come entità concettualmente distinguibile dalla strada, alla stregua della latissima definizione che ne danno i c.d. “codici”, sia il d.P.R. n. 393 del 1959, sia il d.lgs. n. 285 del 1992, come “area di uso pubblico destinata alla circolazione di pedoni veicoli e animali”. Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 - sentenza n. 3063. Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 - sentenza n. 3064

Piano Regolatore Generale - criteri generali - le scelte effettuate dall’Amministrazione circa la destinazione di singole aree - relazione di accompagnamento. Le scelte effettuate dall’Amministrazione circa la destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione oltre quella che si può rilevare dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento (cfr., in termini, Ad.Pl. 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV° 19 gennaio 2000, n. 245) e nella specie, il Comune di Inveruno, con la nuova destinazione a “verde sport” impressa alla zona interessata, e nell’ambito di una voluta distinzione tra aree residenziali ed aree produttive, ha voluto evitare lo sviluppo di ambiti industriali isolati e concentrare le aree industriali in altra zona del territorio comunale, come emerge dalla relazione illustrativa allegata al nuovo Piano Regolatore Generale, e tale scelta non appare illogica, irrazionale, né generica pur se da realizzare attraverso una successiva pianificazione attuativa. Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3022

Procedura di approvazione del nuovo strumento urbanistico - fase intermedia - tutela del il nuovo assetto del territorio programmato dall’Amministrazione comunale. Deve, ritenersi legittimo il comportamento del Comune di Inveruno che, nelle more della procedura di approvazione del nuovo strumento urbanistico, ha fatto corretta applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 10 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, (nel testo introdotto dall’art. 3 della L. 6 agosto 1967, n. 765), e nell’articolo unico della L. 3 novembre 1952, n. 1902 e ciò al fine di evitare che il nuovo assetto del territorio programmato dall’Amministrazione comunale, ma ancora all’esame dell’Autorità regionale, possa essere compromesso da una edificazione privata realizzata medio tempore e con esso contrastante, ancorchè rispettosa della previgente disciplina. Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3022

Urbanistica e Edilizia - Concessione edilizia illegittima - Poteri dell'autorità' giudiziaria - Disapplicazione dell'atto - Possibilità di disporre il sequestro preventivo - Sussistenza - Condizioni - Art. 20 L. n. 47/1985 - All. e art. 5 L. n. 2248/1865 - Art. 321 Nuovo cod. proc. pen. In materia urbanistica, qualora venga realizzata un'opera sulla base di una concessione edilizia illegittima, l'esame del giudice penale ha ad oggetto l'eventuale integrazione della fattispecie penale prevista dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ed in questa operazione il sindacato sull'atto illegittimo ha carattere incidentale, trattandosi di un provvedimento che costituisce il presupposto dell'illecito penale, senza che si debba procedere alla disapplicazione dell'atto stesso. Pertanto, anche in presenza di una concessione edilizia illegittima, può essere disposto il sequestro preventivo del manufatto e, in sede di impugnazione della misura cautelare reale, l'accertamento della sussistenza del "fumus criminis" è limitato alla verifica della configurabilita', quale fattispecie astratta di reato, del fatto contestato, così come può essere desunto dalla imputazione, senza che sia possibile alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza dell'accusa ed alla probabilità di una pronunzia sfavorevole per l'indagato. Pres. Sansone L - Est. Mannino SF - Imp. Marrone ed altri - PM. (Parz. Diff.) Galasso A. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. VI, 27 Maggio 2003 (CC.17/02/2003) RV. 225674, Sentenza n. 23255

Urbanistica e Edilizia - Parcheggi destinati a pertinenze di edifici - Non preesistenti - Realizzabilità sulla base di semplice autorizzazione - Esclusione - Concessione edilizia - Necessità - Art. 20 L. n. 47/1985 - D. P. R. n. 380/2001 - L. n. 127/1997 - L. n. 122/1989. La costruzione di autorimesse o parcheggi destinati a pertinenza di fabbricati non preesistenti, diversamente da quanto avviene per la realizzazione di parcheggi a servizio di fabbricati già esistenti, e' soggetta a concessione edilizia e non a semplice autorizzazione, atteso che in caso di contestuale costruzione ex novo del fabbricato e del parcheggio che ne costituisce pertinenza la realizzazione di quest'ultimo non può andare disgiunta da quella del fabbricato, con conseguente assoggettamento dell'opera complessivamente considerata ad unico regime giuridico. Pres. Postiglione A - Est. Fiale A - Imp. Cannizzaro - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 26 Maggio 2003 (UD.06/03/2003) RV. 225296, sentenza n. 22929

Il piano regolatore generale - definizione dello strumento di pianificazione - previsioni e prescrizioni - standards urbanistici - vincoli - la disciplina urbanistica in esso contenuta è destinata a svolgere i suoi effetti, ordinatori e conformativi, esclusivamente con riferimento al futuro - sindacato di legittimità del giudice amministrativo - limiti - il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC). Il piano regolatore generale è notoriamente lo strumento, di carattere programmatico, attraverso cui l’ente locale provvede alla corretta gestione e alla proficua utilizzazione del intero territorio. A tal fine, com’è noto, esso è costituito da una serie di previsioni e di prescrizioni, alcune di natura normativo - regolamentari (come quelle contenute nelle norme tecniche di attuazione ovvero quelle concernenti la determinazione delle tipologie e degli standards urbanistici) e altre di natura provvedimentale (quali le localizzazioni di opere pubbliche, le zonizzazioni, la imposizione di vincoli di inedificabilità per motivi storici, ambientali o paesaggistici, il tracciato delle strade e l’individuazione degli spazi pubblici), tutte improntate ad una unitaria considerazione e gestione del territorio, al fine non tanto e non solo di regolarne l’assetto esistente, ma anche di delinearne e assecondarne l’ordinato sviluppo urbanistico in modo adeguato e coerente con gli interessi della collettività stanziata in un determinato territorio. A ciò consegue, innanzitutto, che la disciplina urbanistica in esso contenuta è destinata a svolgere i suoi effetti, ordinatori e conformativi, esclusivamente con riferimento al futuro: in tal senso lo strumento urbanistico non può limitarsi a prendere atto delle situazioni di fatto esistenti sul territorio, ponendosi come obiettivo soltanto la loro regolazione, pena il tradimento della sua stessa funzione. E’ in tale ottica che trova fondamento il consolidato principio giurisprudenziale, secondo cui le scelte urbanistiche dall’Amministrazione comunale costituiscono apprezzamenti di merito, connotati di un’amplissima discrezionalità, sottratte al sindacato di legittimità, proprio del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi ovvero da arbitrarietà, irrazionalità o manifesta irragionevolezza, in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare (tra le più recenti, C.d.S., sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817; 22 maggio 2000, n. 2934). Per completezza deve aggiungersi che, in concreto, l’unico limite che incontra l’ente locale nell’esercizio della delicata funzione di pianificazione urbanistica, salvo quello intrinseco - già delineato - della non arbitrarietà, non irragionevolezza e non irrazionalità, è costituito dalle “direttive” contenute nei piani territoriali di coordinamento e in quelli ad essi assimilati, quale - con riferimento al caso che ci occupa - il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), di cui alla legge 30 aprile 1990, n. 40. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per esteso)

P.R.G. - la necessità di una specifica motivazione - esclusione - relazione di accompagnamento al progetto di piano - l’obbligo di una puntuale motivazione - sussistenza - stipulazione di una convenzione di lottizzazione - diniego di concessione edilizia - decadenza di un vincolo preordinato all’espropriazione. Le delineate caratteristiche delle scelte urbanistiche escludono, d’altronde, la necessità di una specifica motivazione che tenga conto, anche solo eventualmente, delle aspirazioni dei cittadini, essendo al riguardo sufficiente il semplice riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di piano (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 14 dicembre 2002, n. 6297; 6 febbraio 2002, n. 664; 17 gennaio 2002, n. 250; 19 gennaio 2000, n. 245; 8 febbraio 1999, n. 121; 9 luglio 1998 n. 1073). L’obbligo di una puntuale motivazione è stato ritenuto sussistente, ai fini del legittimo uso del jus variandi quando, le nuove scelte incidono su aspettative qualificate del privato, quale quelle derivanti: dalla stipulazione di una convenzione di lottizzazione; da una sentenza dichiarativa dell’obbligo di disporre la convenzione urbanistica; da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia; dalla decadenza di un vincolo preordinato all’espropriazione (C.d.S., A.P. 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817; 27 maggio 2002, n. 2899; 20 novembre 2000, n. 6177; 12 marzo 1996, n. 301); è stato, invece, considerato affidamento generico quello relativo alla non reformatio in peius di precedenti previsioni urbanistiche che non consentono una più proficua utilizzazione dell’area, con la conseguenza che in tali casi non sussiste la necessità di una motivazione specifica delle nuove destinazioni urbanistiche rispetto a quelle che può agevolmente evincersi dai criteri di ordine tecnico - urbanistico seguiti per la redazione dello strumento stesso (C.d.S., sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3146; 20 ottobre 2000, n. 5635; A.P. 22 dicembre 1999, n. 24). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per esteso)

Il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e P.r.g. - le direttive contenute nel PTRC sono obbligatorie e non discrezionali per l’Amm. Comunale - la normativa statale e quella regionale in materia urbanistica disciplinano il concreto esercizio della funzione di pianificazione urbanistica e il relativo uso della discrezionalità - effettivo soddisfacimento dell’interesse pubblico. In concreto, l’unico limite che incontra l’ente locale nell’esercizio della delicata funzione di pianificazione urbanistica, salvo quello intrinseco - già delineato - della non arbitrarietà, non irragionevolezza e non irrazionalità, è costituito dalle “direttive” contenute nei piani territoriali di coordinamento e in quelli ad essi assimilati, quale - con riferimento al caso che ci occupa - il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), di cui alla legge 30 aprile 1990, n. 40. Tali direttive indicano - evidentemente - i parametri minimi a cui deve adeguarsi, per la protezione di alcuni specifici interessi urbanistici ovvero per la tutela di altri interessi pubblici incidenti sulla materia urbanistica (tutela paesaggistica, difesa del suolo, etc.), la discrezionalità dell’ente locale, senza poter impedire che il concreto esplicarsi della funzione di pianificazione possa accordare ai predetti interessi pubblici una tutela anche maggiore di quella minima di riferimento. Inoltre deve evidenziarsi che la normativa statale (in primis, la legge 17 agosto 1942, n. 1150, e le successive in materia) e quella regionale in materia urbanistica (con riferimento al caso di specie, la legge regionale 27 giugno 1985, n. 61) contengono norme che disciplinano il concreto esercizio della funzione di pianificazione urbanistica e il relativo uso della discrezionalità indirizzandola all’effettivo soddisfacimento dell’interesse pubblico; tali norme, tuttavia, salvo limitatissime previsioni che devono considerarsi eccezionali e di stretta interpretazione, non possono giammai essere interpretate nel senso di imporre all’Amministrazione determinate scelte urbanistiche, facendo del relativo strumento urbanistico generale un atto a contenuto, anche parzialmente, vincolato. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela ambientale del territorio - è pienamente conforme agli indirizzi di tutela del territorio contenuti nella normativa regionale il prg che impone obbligatoriamente all’ente locale di individuare nel piano regolatore generale le zone di tutela e le fasce di rispetto - l’individuazione nel piano regolatore generale delle zone di tutela, “le golene, i corsi d’acqua, gli invasi dei bacini naturali ed artificiali, nonché le aree ad essi adiacenti per una profondità adeguata” - le aree soggette a dissesto idrogeologico, a pericolo di valanghe ed esondazioni o che presentano caratteristiche geologiche o morfologiche tali da non essere idonee a nuovi insediamenti - inclusione in un costituendo Parco Agrario - recupero e riqualificazione degli insediamenti industriali esistenti - prevalenza degli interessi ambientali - la modificabilità delle aree sulle quali preesistano insediamenti produttivi. Deve evidenziarsi, infatti, come costituisca circostanza pacifica il fatto che le aree, la cui classificazione urbanistica è oggetto di contestazione, ricadono nell’area golenale del fiume Brenta: orbene, proprio, l’articolo 27 della invocata legge regionale del Veneto 27 giugno 1985, n. 61, disciplinando in particolare le zone di tutela e le fasce di rispetto, impone obbligatoriamente all’ente locale di individuare nel piano regolatore generale tra le zone di tutela, “le golene, i corsi d’acqua, gli invasi dei bacini naturali ed artificiali, nonché le aree ad essi adiacenti per una profondità adeguata”. Pertanto, la scelta operata dall’Amministrazione comunale di Fontaniva di classificare tale zona come agricola (zona E, sottozona E2) è pienamente conforme agli indirizzi di tutela del territorio contenuti nella indicata normativa regionale, volta evidentemente a preservare dall’attività edilizia alcune zone non solo per il loro particolare valore ambientale, ma anche al fine di evitare eventuali danni alle persone o alle cose (tra le zone di tutela infatti sono espressamente comprese, per esempio, le aree soggette a dissesto idrogeologico, a pericolo di valanghe ed esondazioni o che presentano caratteristiche geologiche o morfologiche tali da non essere idonee a nuovi insediamenti; gli arenili e le aree di vegetazione dei litorali marini; le aree umide, le lagune e le relative valli; le aree comprese fra gli argini maestri e il corso d’acqua dei fiumi e nelle isole fluviali, etc.). Ciò tanto più se si tiene conto che, come emerge dalle Norme Tecniche di Attuazione, all’articolo 28, disciplinando la sottozona E2, in cui specificamente ricade l’area in esame, ne ha previsto la inclusione in un costituendo Parco Agrario, da realizzare mediante un progetto di sistemazione ambientale finalizzato, oltre che alla tutela, al ripristino e alla riqualificazione dei caratteri e dei valori naturali e culturali dell’ambiente (lett. a), anche al recupero e alla riqualificazione degli insediamenti esistenti, eliminando le situazioni di degrado ambientale, consentiti per le aree interessate dalle escavazioni anche mediante sistemazioni innovative. Dall’esame di tale norma emerge, altresì, la ragionevole certezza che l’Amministrazione comunale di Fontaniva abbia effettuato le contestate scelte urbanistiche nella piena consapevolezza dell’esistenza delle attività industriali delle società appellanti e con l’intenzione, come si ricava dalla lettura della relazione di accompagnamento al piano regolatore nel capitolo relativo agli obiettivi della pianificazione, di porre rimedio alla situazione di degrado ambientale esistente nella zona, ritenendo che la esistenza di tali attività in loco, per un verso, non potesse automaticamente legittimare la creazione di una vera e propria zona di insediamenti industriali, incompatibile con i valori ambientali e naturali del luogo, e, per altro verso, assicurando in ogni caso, anche nell’ambito dell’istituendo Parco agrario, il recupero e la riqualificazione degli insediamenti esistenti, proprio nel rispetto della salvezza dei prevalenti interessi ambientali. E’ significativo, al riguardo, ricordare l’avviso della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 79 del 10 marzo 1994, pronunziando sulla questione di legittimità costituzionale proprio dell'art. 24, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 della Regione Veneto sollevata, con riferimento agli artt. 5, 32, 97 e 128 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sulla base della stessa interpretazione sostenutane dalle società appellanti, l’ha respinta, evidenziando che il predetto articolo 24 si limita a descrivere le caratteristiche delle zone territoriali omogenee in cui il piano regolatore generale deve suddividere il territorio, prevedendo, al terzo comma, soltanto che nelle zone di tipo D "vanno comprese anche le parti del territorio già destinate, totalmente o parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati". Una simile disposizione - secondo il giudice delle leggi - non impone alcun obbligo per il comune di rendere immodificabili le aree comprese nelle stesse zone sulle quali preesistano insediamenti produttivi, come si ricava peraltro dalla lettura del successivo articolo 30, il quale stabilisce che il piano regolatore generale individua le zone territoriali omogenee di tipo D, indicando fra le altre componenti (al punto 3), gli impianti esistenti "che si confermano nella loro ubicazione". Secondo la Corte Costituzionale, quindi, resta pur sempre nella disponibilità del comune, in sede di redazione del piano, di confermare o meno nella loro ubicazione gli impianti industriali esistenti, per cui solo dopo tale conferma assume rilievo la previsione dell'art. 24, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n 61, della Regione Veneto, circa l'inclusione nelle zone di tipo D delle parti del territorio già destinate ad insediamenti industriali. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per esteso)

P.R.G. - la discrezionalità delle scelte urbanistiche dall’Amministrazione comunale - il sindacato di legittimità del giudice amministrativo - errori di fatto o abnormi ovvero arbitrarietà, irrazionalità o manifesta irragionevolezza - le previsioni contenute in piano territoriale regionale di coordinamento (P.T.R.C.) - direttive che indicano i parametri minimi a cui deve adeguarsi, per la protezione di alcuni specifici interessi urbanistici - insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati esistenti - il comune può modificarne le aree comprese nelle zone sulle quali preesistano insediamenti produttivi. Le scelte urbanistiche dall’Amministrazione comunale costituiscono apprezzamenti di merito, connotati di un’amplissima discrezionalità, sottratte al sindacato di legittimità, proprio del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi ovvero da arbitrarietà, irrazionalità o manifesta irragionevolezza, in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare. Le previsioni contenute in piano territoriale regionale di coordinamento sono da considerarsi quali direttive che indicano i parametri minimi a cui deve adeguarsi, per la protezione di alcuni specifici interessi urbanistici ovvero per la tutela di altri interessi pubblici incidenti sulla materia urbanistica (tutela paesaggistica, difesa del suolo, etc.), la discrezionalità dell’ente locale, senza poter impedire che il concreto esplicarsi della funzione di pianificazione possa accordare ai predetti interessi pubblici una tutela anche maggiore di quella minima di riferimento. L’articolo 24 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, si limita a descrivere le caratteristiche delle zone territoriali omogenee in cui il piano regolatore generale deve suddividere il territorio, prevedendo, al terzo comma, soltanto che nelle zone di tipo D vanno comprese anche le parti del territorio già destinate, totalmente o parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati, e non impone alcun obbligo per il comune di rendere immodificabili le aree comprese nelle stesse zone sulle quali preesistano insediamenti produttivi, come si ricava peraltro dalla lettura del successivo articolo 30. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - obbligo di astensione degli amministratori comunali in sede di adozione - principi di legalità, imparzialità e trasparenza. L’obbligo di astensione che incombe sugli amministratori comunali in sede di adozione (e di approvazione) di atti di pianificazione urbanistica sorge per il solo fatto che, considerando lo strumento stesso l’area alla quale l’amministratore è interessato, si determini il conflitto di interessi, a nulla rilevando il fine specifico di realizzare l’interesse privato e/o il concreto pregiudizio dell’amministrazione pubblica (C.d.S., sez. IV, 3 settembre 2001, n. 4622; 5 luglio 2000, n. 3734; 18 maggio 1998, n. 827). Tale obbligo, che trova fondamento nei principi di legalità, imparzialità e trasparenza che deve caratterizzare l’azione amministrativa, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, essendo finalizzato ad assicurare soprattutto nei confronti di tutti gli amministrati la serenità della scelta amministrativa discrezionale (C.d.S., sez. IV, 23 febbraio 2001, n. 1038;23 settembre 1996, n. 1035; 20 settembre 1993, n. 794) costituisce regola di carattere generale, che non ammette deroghe ed eccezioni e ricorre quindi ogni qualvolta sussiste una correlazione diretta ed immediata fra la posizione dell’amministratore e l’oggetto della deliberazione, pur quando la votazione non potrebbe avere altro apprezzabile esito e quand’anche la scelta fosse in concreto la più utile e la più opportuna per lo stesso interesse pubblico (C.d.S., sez. IV, 12 dicembre 2000, n. 6596; 22 febbraio 1994, n. 162). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2826 (vedi: sentenza per esteso)

Adozione p.r.g. - conflitto di interessi - amministratori comunali - obbligo di astensione - articolo 97 della Costituzione. L’obbligo di astensione che incombe sugli amministratori comunali in sede di adozione (e di approvazione) di atti di pianificazione urbanistica sorge per il solo fatto che, considerando lo strumento stesso l’area alla quale l’amministratore è interessato, si determini il conflitto di interessi, a nulla rilevando il fine specifico di realizzare l’interesse privato e/o il concreto pregiudizio dell’amministrazione pubblica: esso trova fondamento nei principi di legalità, imparzialità e trasparenza che deve caratterizzare l’azione amministrativa, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione ed è finalizzato ad assicurare soprattutto nei confronti di tutti gli amministrati la serenità della scelta amministrativa discrezionale. L’obbligo di astensione costituisce regola di carattere generale, che non ammette deroghe ed eccezioni e ricorre quindi ogni qualvolta sussiste una correlazione diretta ed immediata fra la posizione dell’amministratore e l’oggetto della deliberazione, pur quando la votazione non potrebbe avere altro apprezzabile esito e quand’anche la scelta fosse in concreto la più utile e la più opportuna per lo stesso interesse pubblico. Se è vero che l’articolo 19 della legge 3 agosto 1999, n. 265, ha quali destinatari solo gli amministratori comunali, il principio dell’obbligo di astensione, in quanto espressione dei principi di legalità, imparzialità buon andamento dell’azione amministrativa, fissati dall’articolo 97 della Costituzione, è espressione di una regola generale ed inderogabile, di ordine pubblico, applicabile quindi anche al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla legge che scatta automaticamente allorquando sussiste un diretto e specifico collegamento tra la deliberazione ed un interesse proprio di colui che vota o dei suoi congiunti. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2826 (vedi: sentenza per esteso)

Piani per gli insediamenti produttivi (p.i.p.) - adeguata motivazione che evidenzi l’interesse pubblico all’adozione del piano - necessità. In materia di piani per gli insediamenti produttivi, questa Sezione ha più volte richiamato la necessità che la loro adozione sia sorretta da un’adeguata motivazione, che evidenzi l’interesse pubblico all’adozione del piano in vista di un incremento di ricchezza del sistema economico locale (IV, 5 luglio 1995 n. 529; IV, 4 ottobre 2000 n. 5310). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2818

Urbanistica - Lottizzazione abusiva - Edilizia - Costruzione edilizia - Sentenza che dispone la confisca dei terreni - Acquisizione al patrimonio comunale - Procedimento di esecuzione - Necessità - Esclusione - Artt. 18 cost, 19 e 20 L. n. 47/1985. Con il passaggio in giudicato della sentenza che, all'esito del procedimento per lottizzazione abusiva, ha disposto, ex art. 19 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, la confisca dei terreni, questi transitano "ipso iure" nel patrimonio del Comune senza la necessità, a differenza di quanto avviene con il provvedimento ex art. 7 stessa legge, di una fase esecutiva, atteso che l'efficacia traslativa coattiva e' prodotta, per espresso dettato normativo, dalla sentenza che la contiene. Pres. Savignano G - Est. Piccialli L - Imp. Matarrese ed altro - PM. (Parz. Diff.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 22/05/2003 (CC.02/04/2003) RV. 225308 sentenza n. 22557

Autorizzazione paesaggistica postuma - sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 L. 1497/1939 - applicabilità - compromissione dell’integrità paesaggistica - violazione dell’obbligo discendente dall’art. 7 legge cit. - risarcimento del danno ambientale - sanzione amministrativa - illecito sostanziale - illecito formale - profitto conseguito con l’abuso. L’autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale non preclude la possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal momento che “un’autorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nell’esito, il residuo potere-dovere dell’autorità competente di procedere all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.). La misura pecuniaria prevista dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, nonostante il riferimento al termine “indennità”, non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale ma rappresenta una sanzione amministrativa, applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, ovvero in caso di compromissione dell’indennità paesaggistica, sia nell’ipotesi di illeciti formali, quale è, appunto, da ritenersi il caso di violazione dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione a fronte di un intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit. n. 3184 del 2000). Il danno ambientale non è criterio esclusivo di commisurazione dell’indennità, essendo alternativo al profitto conseguito dalla violazione; con la conseguenza che, nel caso di realizzazione di un’opera senza la prescritta autorizzazione paesistica, ove tale opera sia conforme alle prescrizioni ambientali, e dunque non sia produttiva di danno, l’indennità dovrà essere commisurata al profitto conseguito con l’abuso (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.). Consiglio di Stato, Sezione VI, 15.05.2003, sentenza n. 2653

La destinazione d’uso impressa all’immobile non ha nulla a vedere con l’attività che di fatto venga svolta nell’immobile (istallazione di una falegnameria) - opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali - la normativa edilizia - le norme di polizia urbana o di polizia rurale - controllo dell'attività urbanistico-edilizia - variazioni essenziali - presupposti - violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica. L’attività che di fatto venga svolta in un immobile non ha nulla a vedere con la normativa edilizia, per la quale rileva soltanto la destinazione d’uso impressa all’immobile dalle sue caratteristiche architettoniche in sede di costruzione o con successive opere di modificazione; né la normativa edilizia esige che un immobile rimanga per sempre destinato all’originaria destinazione, intesa come attività che vi si svolge, o alla destinazione specifica che venga indicata in sede di concessione edilizia. Altra cosa dalla normativa edilizia, dalle sue violazioni e dalla relativa repressione, è che le norme di polizia urbana o di polizia rurale consentano o meno lo svolgimento di determinate attività in determinate zone del territorio comunale. Perciò la giurisprudenza ha sempre affermato che le modificazioni di destinazione d’uso di un immobile, che richiedono autorizzazione edilizia senza la quale sono sanzionabili come opere abusive, sono quelle realizzate appunto mediante opere edilizie (vedansi per esempio, fra le tante decisioni della Sezione, 2 febbraio 1995 n. 180 e 24 ottobre 1996 n. 1268). Tale principio risulta positivamente dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47, contenente norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, la quale dopo avere disciplinato all’articolo 7 il procedimento sanzionatorio per le “Opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali”, all’articolo 8, “Determinazione delle variazioni essenziali” (ora abrogato dall’articolo 136 del decreto legislativo 6 giugno 2001 n. 378 e sostituito dalle disposizioni dell’articolo 32 del testo unico delle disposizioni in materia edilizia emanato con decreto del presidente della repubblica 6 giugno 2001 n. 380), stabilisce che possono essere considerate “variazioni essenziali” (di un immobile rispetto al progetto approvato dal comune) esclusivamente gl’interventi comportanti: «a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito in relazione alla classificazione dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali». Nulla di tutto ciò si è verificato nel caso in esame, né è pertinente il richiamo operato dalla sentenza a una legge regionale marchigiana la quale, in quanto attenga alle caratteristiche dei fabbricati, nulla muta nei principi sopra enunciati. Consiglio di Stato, Sez. V - 14 Maggio 2003 Sentenza n. 2586 (vedi: sentenza per esteso)

Attività urbanistico-edilizia - variazioni essenziali - presupposti - violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica. L’articolo 32 del testo unico delle disposizioni in materia edilizia (emanato con decreto del presidente della repubblica 6 giugno 2001 n. 380), stabilisce che possono essere considerate “variazioni essenziali” (di un immobile rispetto al progetto approvato dal comune) esclusivamente gl’interventi comportanti: «a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito in relazione alla classificazione dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali». Nulla di tutto ciò si è verificato nel caso in esame, né è pertinente il richiamo operato dalla sentenza a una legge regionale marchigiana la quale, in quanto attenga alle caratteristiche dei fabbricati, nulla muta nei principi sopra enunciati. Consiglio di Stato, Sez. V - 14 Maggio 2003 Sentenza n. 2586 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - Edilizia - In genere - Parcheggi destinati a pertinenze di edifici - Non preesistenti - Realizzabilità sulla base di semplice autorizzazione - Esclusione - Concessione edilizia - Necessità - Art. 20 L. n.47/1985 - D. P. R. n. 380/2001 - L. n. 127/1997 - L. n. 122/1989. La costruzione di autorimesse o parcheggi destinati a pertinenza di fabbricati non preesistenti, diversamente da quanto avviene per la realizzazione di parcheggi a servizio di fabbricati gia' esistenti, e' soggetta a concessione edilizia e non a semplice autorizzazione, atteso che in caso di contestuale costruzione ex novo del fabbricato e del parcheggio che ne costituisce pertinenza la realizzazione di quest'ultimo non può andare disgiunta da quella del fabbricato, con conseguente assoggettamento dell'opera complessivamente considerata ad unico regime giuridico. Pres. Postiglione A - Est. Fiale A - Imp. Cannizzaro - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 26/05/2003 (UD.06/03/2003) RV. 225296 sentenza n. 22929

Urbanistica e Edilizia - Interventi in regime di D.I.A. - In zone sottoposte a vincoli - Preventivo parere o autorizzazione dell'autorita' proposta alla tutela del vincolo - Necessita' - Assenza - Nuove disposizioni di cui al D.L.G. n. 301/2003 - Illecito penale - L. n. 47/1985 - L. n. 443/2001 - Art. 44 D. P. R. n. 380/2001. A seguito della entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001 n. 443 (cd legge obiettivo), la realizzazione degli interventi minori in regime di D.I.A. (denuncia di inizio attivita') non e' piu' subordinata all'assenza di vincoli, ma solo al preventivo rilascio del parere favorevole o dell'autorizzazione da parte dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo. In difetto, a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 21 gennaio 2003 n. 301, di modifica del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative regolamentari in materia edilizia), tali interventi sono penalmente sanzionati, atteso che il comma 2 bis dell'art. 44 del citato T.U. estende l'applicazione delle sanzioni penali anche agli interventi edilizi realizzabili mediante denuncia di inizio attivita' ed eseguiti in assenza o in totale difformita' dalla denuncia stessa. Pres. Savignano G - Est. Onorato P - Imp. Piemontese - PM. (Conf.) Galasso A. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 21 Maggio 2003 (UD.28/02/2003) RV. 225292, Sentenza n. 22589

Urbanistica - Termine inizio e fine lavori - Edilizia - Costruzione edilizia - Concessione ad edificare - Scadenza dei termini di inizio o fine lavori - Reato di cui all'art. 20 legge n. 47/1985 - Configurabilita' - Fondamento - Art. 20 L. n. 47/1985 - Art. 44 L. n. 380/2001. Dopo l'inutile scadenza dei termini di inizio e fine lavori edilizi contenuti nella concessione ad edificare (e che decorrono dal rilascio della concessione e non dal ritiro della stessa da parte dell'interessato), la concessione e' "tamquam non esset", con la conseguenza che i lavori edilizi iniziati o ultimati dopo la scadenza sono realizzati in assenza di titolo abilitativo, e vanno soggetti alla sanzione penale di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001). Pres. Toriello F - Est. Grillo CM - Imp. Ruggia - PM. (Conf.) Albano A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 13/05/2003 (UD.19/03/2003) RV. 225302 sentenza n. 21022

Urbanistica e Edilizia - Impianti ricetrasmittenti - Nuova disciplina introdotta con d. lgs. n. 198/2002 - Concessione edilizia - Necessità - Esclusione - Art. 20 L. n. 47/1985. L'installazione di impianti ricetrasmittenti, compresi quelli accessori, e' assoggetta a mera autorizzazione e a d.i.a. dalla nuova disciplina prevista dal d.lgs n. 198 del 2002,, che stabilisce la compatibilità delle infrastrutture di telecomunicazione con qualsiasi destinazione urbanistica e la possibilità di realizzazione anche in deroga agli strumenti urbanistici. Pres. Vitalone C - Est. Novarese F - Imp. Cassisa - PM. (Conf.) Di Zenzo C. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 06 Maggio 2003 (CC.11/03/2003) RV. 225767, Sentenza n. 20218

Urbanistica - Beni culturali e ambientali - D.i.a. e autorizzazione paesaggistica - Protezione delle bellezze naturali - In genere - Immobili sotto- posti a vincoli - Interventi edilizi minori - Procedura di denuncia di inizio attività - Autorizzazione dell'autorità' proposta alla tutela del vincolo - Necessità - L. n. 47/1985 - L. n. 431/1985 - Art. 1 cost. L. n. 443/2001 - Art. 163 cost D. Lg. n. 490/1999. In materia edilizia, anche a seguito delle nuove disposizioni contenute del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e nella legge 21 dicembre 2001 n.443. gli interventi assoggettabili al regime della denuncia di inizio attività che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale sono subordinati al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Pres. Papadia U - Est. Fiale A - Imp. Guido P - PM. (Conf.) D'Ambrosio L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 17/04/2003 (UD.17/01/2003) RV. 224720 sentenza n. 18304

Costruzione di una nuova strada o l'allargamento di una strada esistente - trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale - necessità della concessione. La costruzione di una strada comporta la necessità della concessione formale del sindaco, poiché essa realizza una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, determinando un impatto ambientale che richiede un'attenta valutazione preventiva per la molteplicità degli interessi pubblici coinvolti; per gli stessi motivi di impatto urbanistico anche l'allargamento di una strada esistente, nel senso di un mutamento delle sue caratteristiche dimensionali, strutturali e funzionali, rende necessaria la concessione comunale ex art. 1, l. 28 gennaio 1977, n. 10 (Cass., sez. III, 24-06-1999; Cass., sez. III, 21-02-1997; Cass., 21-01-1991; Cass., sez. III, 09-06-1994). Consiglio di Stato - Sez. II Parere 2 aprile 2003 n. 3002/2002.

L’autorizzazioni rilasciate dal Comune in via successiva ai fini della definizione del procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 - carenza di una motivazione specifica - vizio di motivazione dell’atto impugnato - vizio di eccesso di potere - vizio di merito. E’ legittima l’autorizzazioni rilasciate dal Comune in via successiva ai fini della definizione del procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985. Posto, infatti che il provvedimento di individuazione delle bellezze paesaggistiche ed il provvedimento di sanatoria delle opere edilizie mancanti di concessione edilizia hanno, per legge, l’identico scopo, da individuare nella conformazione della proprietà privata alle esigenze collettive, secondo le prescrizioni della pubblica amministrazione per il corretto uso paesaggistico ed urbanistico del bene o del territorio, nulla osta, nella struttura della legge 28 febbraio 1985 n. 47, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica anche in via successiva (Cons. di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2001 n. 912 e n. 913).Nella fattispecie “il provvedimento ministeriale appare carente di una motivazione specifica per il caso concreto non contraddicendo puntualmente la valutazione compiuta nel nulla osta, e contenendo affermazioni di ordine generale valevoli per una pluralità indeterminata di casi” (Cons. di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2002 n. 478). Consegue da ciò che, a prescindere dalla questione se il provvedimento ministeriale abbia inteso o meno sostituire una propria valutazione di merito ambientale a quella operata dal Comune, ha rilievo assorbente il vizio di motivazione dell’atto impugnato, in quanto una motivazione puntuale e specifica per il caso concreto sarebbe stata necessaria sia per annullare il nulla osta per vizio di eccesso di potere che per annullarlo (inammissibilmente) per vizio di merito (Cost. Sez. VI, n. 478 del 2002, cit.). Consiglio di Stato, sezione VI, 27 marzo 2003, sentenza n. 1592 (vedi: sentenza per stesso)

La possibilità di sanare la carenza del titolo concessorio in relazione ad edifici realizzati in conformità alle prescrizioni urbanistiche - l'autorizzazione paesaggistica può essere legittimamente rilasciata in un momento successivo purché le opere realizzate siano conformi alle prescrizioni in vigore - presupposto della non concedibilità di un’autorizzazione postuma - verifica postuma di compatibilità ambientale. E' ammessa dall'ordinamento, ai sensi dell'art.13 l. 28 febbraio 1985 n.47, la possibilità di sanare la carenza del titolo concessorio in relazione ad edifici realizzati in conformità alle prescrizioni urbanistiche, anche l'autorizzazione paesaggistica può essere legittimamente rilasciata in un momento successivo, previa valutazione, ancorché postuma, relativa alla compromissione o meno della bellezza del paesaggio o del quadro d'insieme per effetto dell'inserimento del nuovo edificio (C. Stato, sez. VI, 9/10/2000, n.5373). Riconosciuta, infatti, la possibilità di sanare la mancanza del titolo abilitativo purché le opere realizzate siano conformi alle prescrizioni in vigore, deve ammettersi che quella stessa mancanza possa essere ovviata con il compimento di tutti i prescritti adempimenti procedimentali, compresi quelli concernenti la conformità dell’intervento alla disciplina paesaggistica. Va dunque confermata la sentenza gravata nella parte in cui, in accoglimento del primo motivo di ricorso, ha annullato il provvedimento ministeriale volto ad annullare, sul presupposto della non concedibilità di un’autorizzazione postuma, l’autorizzazione in sanatoria rilasciata dal Comune ai sensi dell’art.7, legge n.1497/39. Diversa questione è quella relativa all’applicabilità, in caso di verifica postuma di compatibilità ambientale e di conseguente favorevole definizione del procedimento previsto dall'art.13 l. 28 febbraio 1985 n.47, della sanzione pecuniaria ex art.15, legge n.1497/39: questione ripetutamente esaminata dalla Sezione, ma non oggetto di specifica censura dedotta con l’atto di appello nel quale al citato art.15 si fa riferimento solo per corroborare l’assunto, non condiviso dal Collegio, dell’inammissibilità di un rilascio ex post del provvedimento autorizzatorio in questione. Consiglio di Stato, sezione VI, 27 marzo 2003, sentenza n. 1590

Atto presupposto - procedimento - atto complesso - vincolo urbanistico e diniego di concessione edilizia - procedimento autonomo e separato. Un atto è presupposto, e come tale suscettibile di impugnazione e di caducazione, solo quando si inserisce in un unico procedimento che si conclude con l’adozione di un provvedimento impugnato in via principale. Questo caso non ricorre quando si è in presenza di un atto complesso di pianificazione urbanistica che si conclude con l’approvazione del vincolo da parte della regione. In tali casi, gli atti successivi - compreso il diniego di concessione - sono frutto di un procedimento autonomo e separato rispetto a quello di pianificazione urbanistica già concluso. Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 25 marzo 2003, n. 1546

Piani per l’edilizia economica e popolare - principi - disciplina. I piani per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.), altrimenti noti come piani di zona o piani 167, previsti dalla l. 18 aprile 1962 n. 167, successivamente integrata e modificata (principalmente per effetto delle leggi 22 ottobre 1971 n. 865, 28 gennaio 1977 n. 10, 5 agosto 1978 n. 457, 25 marzo 1982 n. 94, 17 febbraio 1992, n. 179), costituiscono gli strumenti urbanistici attraverso i quali si realizzano i programmi per l’edilizia economica e popolare. Il fine è di costituire un patrimonio comunale di aree libere, calcolare il prevedibile fabbisogno di un decennio, sottraendo gli interventi edilizi alla casualità delle scelte degli enti costruttori. La legislazione di settore, i cui primi interventi risalgono agli inizi del secolo, si preoccupò essenzialmente di creare un sistema di mutui ed agevolazioni, e di disporre espropriazioni disancorate dalle previsioni degli strumenti urbanistici. Un collegamento programmatico tra la costruzione di alloggi per i ceti meno abbienti e la disciplina urbanistica si ebbe per la prima volta con la l. 167/62. I piani di zona, nel pensiero del legislatore del 1962, assolvono alla fondamentale funzione, da un lato, di dare ai comuni la possibilità di acquistare attraverso l’esproprio aree da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico-popolare, dall’altro di inquadrare gli interventi in un razionale ed organico disegno urbanistico, allo scopo soprattutto di evitare la ghettizzazione delle famiglie non abbienti in quartieri periferici privi di servizi e non collegati al resto delle città. Tanto che la questione circa la natura dei vincoli imposti dai p.e.e.p., se a carattere espropriativo o conformativo della proprietà privata, e sulla relativa incidenza nella determinazione dell’indennità di esproprio, ripete la sua origine proprio dalla natura complessa degli strumenti in discussione. La l. 167/62 stabilisce che i comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti sono tenuti alla formazione del p.e.e.p., che indichi le zone da destinare agli alloggi, ma anche alle opere e servizi complementari, ivi comprese le aree a verde pubblico. Tutti gli altri comuni sono liberi di adottare il p.e.e.p., essendo tuttavia possibile renderne obbligatoria la compilazione per i comuni limitrofi e quelli più popolosi, per quelli con almeno 20.000 abitanti, per quelli riconosciuti stazioni di cura, soggiorno e turismo, per quelli soggetti a straordinari incrementi demografici, per quelli in cui vi sia alta percentuale di abitazioni malsane. È pure prevista la possibilità dei comuni di costituirsi in consorzio per la formazione di un unico piano consortile e per le regioni di disporre la formazione di consorzi obbligatori per la formazione di p.e.e.p. La formazione del p.e.e.p. consta di diverse fasi (compilazione, adozione, approvazione, pubblicazione) che ricalcano quelle dei piani particolareggiati e che possono trovare anche particolari discipline nella legislazione regionale, a seguito del trasferimento delle funzioni statali nella materia urbanistica. Da osservare che la tradizionale assimilazione dei p.e.e.p. alla categoria degli strumenti attuativi, ne informa la disciplina, anche per via di recenti innovazioni legislative miranti alla semplificazione ed allo snellimento delle procedure. È da ricordare, in particolare, che l’applicazione dei piani attuativi (compresi i p.e.e.p.) è stata devoluta alla competenza degli stessi comuni, che sono solo obbligati a trasmettere alla regione copia degli strumenti adottati e ad esprimersi sulle eventuali osservazioni di quest’ultima (art. 24 l. 28 febbraio 1985 n. 47). Data l’assimilazione dei piani di zona ai piani particolareggiati, si ritengono applicabili anche ai primi le misure di salvaguardia di cui alla l. 19 novembre 1968 n. 1187. Il principale connotato urbanistico dei p.e.e.p. è assicurato dalla disposizione dell’art. 3 l. 167/62, secondo cui le aree da comprendere nei piani di zona debbono essere scelte di regola nelle zone destinate ad edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza in quelle di espansione dell’aggregato urbano (zone C). Se non sia possibile, il piano di zona, apportando modifiche al piano regolatore generale (o al programma di fabbricazione), costituisce variante (cfr. Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2000, n. 3808). Possono essere comprese nei p.e.e.p. anche le aree sulle quali insistono immobili la cui demolizione o trasformazione sia richiesta da ragioni igienico-sanitarie ovvero sia ritenuta necessaria per la realizzazione del piano. Se il piano regolatore sia soltanto adottato - purché trasmesso ai competenti organi per l’approvazione - il piano di zona è vincolante in sede di approvazione del p.r.g., in deroga al principio della gerarchia dei piani, venendo a prevalere un piano, tradizionalmente considerato di attuazione in quanto equiparato dalla legge al piano regolatore particolareggiato (cfr. in termini e da ultimo Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2002, n. 13493), sullo strumento urbanistico generale. Il piano per l’edilizia economica e popolare ha, secondo quanto dispone l’art. 9, l. n. 167 del 1962, valore di piano particolareggiato di esecuzione, e la sua approvazione equivale, ai sensi dell’art. 16 l. n. 1150 del 1942, a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere ivi previste per la durata di diciotto anni, salvo proroghe. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - la localizzazione dei piani, nelle zone di generale destinazione residenziale privata, non costituisce variante al piano regolatore generale - espansione dell'aggregato urbano - l'esigenza dei piani in zone non destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti - lo strumento della lottizzazione. La localizzazione dei piani, nelle zone di generale destinazione residenziale privata, non costituisce variante al piano regolatore generale atteso che la regola è proprio quella della localizzazione in tali zone e che l’ipotesi delle varianti è identificata dall’art. 3 essenzialmente nella determinazione dell’insediamento in zone urbanistiche non residenziali (cfr. Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2000, n. 3808). E’ bene precisare subito che l'indicazione contenuta nell'art. 3 L. 18 aprile 1962 n. 167, secondo cui le aree da comprendere nei piani per l'edilizia residenziale pubblica sono, di norma, scelte nelle zone destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza per quelle di espansione dell'aggregato urbano, costituisce una indicazione di principio, che non vincola il Comune in modo assoluto, atteso anche che il quarto comma dello stesso articolo prevede la possibilità dell'adozione di un piano di zona in variante allo strumento generale, ove si manifesti l'esigenza dei piani in zone non destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti (cfr. Ad. plen., 3 luglio 1997, n. 12). Il piano per l'edilizia economica e popolare, anche quando non opera in variante ad uno strumento generale, è pur sempre uno strumento di pianificazione urbanistica, sia pure di secondo grado; pertanto, la «ricucitura» tra insediamenti, siano o meno essi periferici, ben può rientrare nelle funzioni proprie del piano per l'edilizia economica e popolare, si da giustificare di per sé la scelta delle aree da insediare nel piano medesimo. Coerentemente si è affermata la possibilità di individuare sin dal momento di programmazione generale del territorio le zone destinate all’edificazione pubblica, prevedendo già da allora gli strumenti attuativi necessari implica per un verso la legittimità del vincolo delle aree ai piani speciali di iniziativa pubblica ed esclude per altro verso la destinazione delle aree medesime ad edilizia privata con lo strumento della lottizzazione (cfr. sez. IV, 12 dicembre 2000, n. 6584). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Il P.e.e.p. - carattere programmatorio - spesa per l’acquisizione delle aree - l’amministrazione può integrare successivamente l’indicazione dei mezzi e delle fonti di finanziamento. Dal suo marcato carattere programmatorio discende che, ai fini della legittimità del piano stesso, non si richiede una puntuale determinazione della spesa per l’acquisizione delle aree, essendo sufficiente l’indicazione di larga massima delle spese occorrenti, in quanto l’amministrazione può integrare successivamente l’indicazione dei mezzi e delle fonti di finanziamento (cfr. sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.) Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Il dimensionamento del p.e.e.p., - la concreta estensione delle aree da inserire nel p.e.e.p. (c.d. dimensionamento). Va osservato, in particolare, che il dimensionamento del p.e.e.p., l’estensione cioè delle aree da destinare all’edilizia residenziale pubblica, rappresenta il vero momento programmatorio, dovendosi rapportare le esigenze dell’edilizia pubblica al fabbisogno prevedibile di edilizia abitativa in generale e innestando dunque le scelte di settore nelle scelte urbanistiche generali dell’amministrazione comunale: l’art. 3 l. 167/62, modificato dall’art. 2 l. 10/77, stabilisce che l’estensione delle zone da includere nei p.e.e.p. non può essere inferiore al quaranta per cento e superiore al settanta per cento di quella necessaria a soddisfare il fabbisogno abitativo nel periodo considerato. Se la fissazione del limite massimo trova ragione nel perseguimento di un certo equilibrio tra edilizia pubblica e privata, il limite minimo trova fondamento sia nel fatto che il p.e.e.p. comporta un procedimento complesso e costoso, così da non essere giustificato se non soddisfa una percentuale cospicua del fabbisogno abitativo complessivo, sia nell’intento di garantire una certa dotazione di aree comunali a disposizione dell’edilizia pubblica. In ordine alle operazioni che vanno seguite per determinare la concreta estensione delle aree da inserire nel p.e.e.p. (c.d. dimensionamento), l'amministrazione è titolare di poteri discrezionali, anche di natura tecnica, e deve basare le proprie determinazioni su un'adeguata motivazione dalla quale possa evincersi la loro ragionevolezza ed attendibilità (cfr. Ad. plen., n. 12 del 1997 cit.; sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3730). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

P.e.e.p - criteri per la determinazione del fabbisogno abitativo - fabbisogno abitativo e incremento della popolazione. In sede di determinazione del fabbisogno abitativo è, dunque, legittimo tener conto (cfr. Ad. plen., n. 12 del 1997 cit.; sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3730): a) del saldo migratorio negativo degli anni precedenti, b) dell'andamento demografico in decremento e dell'aumento dei nuclei familiari, compensando i relativi dati con la considerazione che è diminuito il numero medio dei componenti delle singole unità familiari e che non può immaginarsi una rapida sostituzione degli emigrati con gli immigrati; c) del fabbisogno futuro e non di quello già soddisfatto, lecitamente o meno, essendo rimesso alla valutazione insindacabile dell'amministrazione rilevare se gli abusi edilizi abbiano soddisfatto, sia pure in parte, una preesistente domanda abitativa, d) degli indici di densità territoriale contenuti nelle circolari del Ministero dei lavori pubblici 27 settembre 1963 n. 4555 e 20 gennaio 1967 n. 425 i quali, però, costituiscono criteri di massima, suscettibili di diversa valutazione, sicchè il comune, in sede di approvazione di un piano per l'edilizia residenziale pubblica, ben può assumere indici inferiori in considerazione di comprovate esigenze urbanistiche. In definitiva, per la determinazione del fabbisogno di alloggi da destinare ad edilizia popolare, non esiste un nesso necessariamente inscindibile tra fabbisogno abitativo e incremento della popolazione, rappresentando quest’ultimo solo una componente del calcolo da effettuarsi, e potendosi prendere in esame anche altri elementi (quali l’esigenza del rinnovato modo di vivere della popolazione, legato all’evoluzione del costume sociale in atto, cfr. sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

P.e.e.p - espropriazione - (il c.d. esproprio sanzionatorio) - prelazione dei proprietari di aree incluse in un piano di zona per l'edilizia economica e popolare - l'assegnazione ad una cooperativa edilizia di un'area espropriata (o comunque da espropriare) - illegittimità. A differenza del piano regolatore particolareggiato, nel cui meccanismo di attuazione l’espropriazione delle aree non destinate alla localizzazione dei servizi pubblici è solo eventuale, nel caso di p.e.e.p., l’espropriazione di tutte le aree incluse in esso diviene il meccanismo di attuazione ordinario e necessario del piano: mentre infatti le trasformazioni previste dal p.r.p. sono lasciate alla decisione dei proprietari, pur obbligati, e l’espropriazione è subordinata alla loro inerzia (c.d. esproprio sanzionatorio), ai fini dell’attuazione del p.e.e.p. è stabilito che tutte le aree incluse nel piano approvato siano comunque espropriate dai comuni o dai loro consorzi (art. 20 l. 167/62, come modificato dall’art. 35 l. 865/71). A seguito dell’esproprio generalizzato di tutte le aree previste nel p.e.e.p., il comune ne diviene dunque proprietario, e le può cedere in proprietà ai soggetti indicati nell’art. 10, 10° comma, l. 167/62 (disposizione la cui categoricità è stata attenuata nel corso del tempo, dandosi la possibilità ai soggetti incaricati dell’attuazione degli interventi di acquisizione delle aree occorrenti, in nome e per conto dei comuni), o costituire su di esse un diritto reale di superficie a favore di quei soggetti che s’impegnino ad attuare le previsioni del piano. L'art. 35, comma undicesimo, della legge n. 865 del 1971 configura una prelazione dei proprietari di aree incluse in un piano di zona per l'edilizia economica e popolare ai soli fini dell'assegnazione in proprietà (e non in superficie) dell'area e non in relazione a un'area determinata. Sono illegittime, pertanto, le deliberazioni comunali concernenti l'assegnazione ad una cooperativa edilizia di un'area espropriata (o comunque da espropriare) in quanto ricompresa nel piano da destinare alla edilizia economica e popolare, ove il proprietario, in violazione dell'implicito disposto dell'art. 35, undicesimo comma, della legge 22 ottobre 1971 n. 865, non sia stato posto in condizione di esercitare la propria situazione giuridica soggettiva di preferenza nell'assegnazione (concretantesi in un interesse legittimo), mediante la possibilità di partecipazione al relativo procedimento, avendo il comune omesso di fornirgli preventivamente - in occasione di tale specifico procedimento - la notizia della scelta fatta e dell'assegnazione prevista (cfr. sez. IV, 26 novembre 2001, n. 5940; 4 maggio 1984, n. 309). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Il p.e.e.p. ha efficacia per diciotto anni dall’approvazione - procedure ablatorie - termini - «programmi pluriennali di attuazione» - l’espropriazione - presupposti - cessione delle aree in regime di proprietà - approvazione del programma o delle varianti. Il p.e.e.p. ha efficacia per diciotto anni dall’approvazione, con limitate possibilità di proroga. A tale previsione legale si collegano importanti effetti in ordine all’individuazione dei termini di inizio e completamento dei lavori e delle procedure ablatorie. Secondo un consolidato indirizzo, l’art. 13, l. n. 2359 del 1865, in materia di apposizione dei termini, non è applicabile per le espropriazioni attinenti ai piani di zona per l’edilizia economica e popolare, essendo sostituito ed assorbito dalle disposizioni che delimitano nel tempo ope legis l’efficacia dei piani stessi (cfr. sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.; 19 gennaio 1999, n. 41; Ad. plen., 23 maggio 1984, n. 11). Stante la prolungata vigenza di tali piani, l’art. 38 l. 865/71 (come modificato dall’art. 1 d.l. 2 maggio 1974 n. 115, convertito in l. 27 giugno 1974 n. 247), prevede che l’attuazione dei piani di zona avvenga a mezzo di appositi «programmi pluriennali di attuazione» approvati con deliberazione del consiglio comunale, che è immediatamente esecutiva e soggetta al solo controllo di legittimità. Tali programmi, da approvarsi entro sei mesi dall’approvazione dei piani di zona, avendo la funzione di stabilire quali aree debbono essere espropriate in un determinato arco di tempo, costituiscono presupposto indispensabile per l’espropriazione, non fosse altro perché l’art. 5 l. 247/74 attribuisce alla pubblicazione e notificazione della deliberazione che li approva gli effetti della notifica agli espropriandi e della notizia al pubblico, previsti dall’art. 10 l. 865/71. Essi devono indicare: l’estensione delle aree di cui si prevede l’utilizzazione e la relativa urbanizzazione; l’individuazione delle aree da cedere in proprietà e di quelle da concedere in superficie; la spesa prevista per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e di quelle a carattere generale; i mezzi generali con i quali far fronte alla spesa. I programmi sono aggiornati annualmente con apposita variante, che segue il medesimo procedimento. In assenza del programma, l’utilizzazione delle aree può avvenire esclusivamente con diritto di superficie. Sono previsti poteri sostitutivi della regione (nomina di commissario ad acta) qualora il comune non provveda all’approvazione del programma o delle varianti. Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 38 della l. n. 865 del 1971, la mancanza del programma pluriennale di attuazione non si configura come limite al corretto esercizio della procedura espropriativa delle aree comprese nei piani approvati, bensì soltanto come impedimento alla cessione delle aree in regime di proprietà, dovendo la loro utilizzazione avvenire esclusivamente in regime di superficie (cfr. sez. IV, 18 marzo 1997, n. 255). Qualora il comune adotti un programma pluriennale di attuazione, costituisce contenuto indefettibile dello stesso a mente dell’art. 38, lett. b), l. n. 865 del 1971, l’individuazione delle aree da cedere in proprietà e di quelle da concedere in superficie, salvo che l’amministrazione non vi abbia provveduto in sede di redazione dell’intero piano di edilizia popolare; in difetto di tale individuazione, non è possibile invocare la norma sancita dall’ultimo comma del medesimo articolo, che si applica solo in assenza del programma o della individuazione effettuata in sede preventiva. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Il piano per l’edilizia economica e popolare - durata di diciotto anni - proroghe. Il piano per l’edilizia economica e popolare ha, secondo quanto dispone l’art. 9, l. n. 167 del 1962, valore di piano particolareggiato di esecuzione, e la sua approvazione equivale, ai sensi dell’art. 16, l. n. 1150 del 1942, a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere ivi previste per la durata di diciotto anni, salvo proroghe. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

La localizzazione dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare. Ai sensi dell’art. 3, l. n. 167 del 1962, la localizzazione dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare nelle zone di generale destinazione residenziale privata non costituisce variante al piano regolatore generale atteso che la regola è proprio quella della localizzazione in tali zone e che l’ipotesi delle varianti è identificata dall’art. 3 essenzialmente nella determinazione dell’insediamento in zone urbanistiche non residenziali. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Le aree da comprendere nei piani per l'edilizia residenziale pubblica - prevede la possibilità dell'adozione di un piano di zona in variante allo strumento generale. L'indicazione contenuta nell'art. 3 L. 18 aprile 1962 n. 167 secondo cui le aree da comprendere nei piani per l'edilizia residenziale pubblica sono, di norma, scelte nelle zone destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza per quelle di espansione dell'aggregato urbano, costituisce una indicazione di principio, che non vincola il Comune in modo assoluto, atteso anche che il quarto comma dello stesso articolo prevede la possibilità dell'adozione di un piano di zona in variante allo strumento generale, ove si manifesti l'esigenza dei piani in zone non destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Il piano per l'edilizia economica e popolare - variante ad uno strumento generale. Il piano per l'edilizia economica e popolare, anche quando non opera in variante ad uno strumento generale, è pur sempre uno strumento di pianificazione urbanistica, sia pure di secondo grado; pertanto, la «Ricucitura» tra insediamenti, siano o meno essi periferici, ben può rientrare nelle funzioni proprie del piano per l'edilizia economica e popolare, si da giustificare di per sé la scelta delle aree da insediare nel piano medesimo. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

La programmazione generale del territorio - le zone destinate all’edificazione pubblica. La possibilità di individuare sin dal momento di programmazione generale del territorio le zone destinate all’edificazione pubblica, prevedendo già da allora gli strumenti attuativi necessari implica per un verso la legittimità del vincolo delle aree ai piani speciali di iniziativa pubblica ed esclude per altro verso la destinazione delle aree medesime ad edilizia privata con lo strumento della lottizzazione. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Determinazione del fabbisogno abitativo previsto per l'approvazione del piano per l'edilizia economica e popolare. In sede di determinazione del fabbisogno abitativo previsto per l'approvazione del piano per l'edilizia economica e popolare, è legittimo tener conto del saldo migratorio negativo degli anni precedenti, dell'andamento demografico in decremento e dell'aumento dei nuclei familiari, compensando i relativi dati con la considerazione che è diminuito il numero medio dei componenti delle singole unità familiari e che non può immaginarsi una rapida sostituzione degli emigrati con gli immigrati. In sede di determinazione del contenuto del piano per l'edilizia economica e popolare si deve tener conto del fabbisogno futuro e non di quello già soddisfatto, lecitamente o meno, ed è rimesso alla valutazione insindacabile dell'Amministrazione rilevare se gli abusi edilizi abbiano soddisfatto, sia pure in parte, una preesistente domanda abitativa. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

Determinazione del fabbisogno di alloggi da destinare ad edilizia popolare - calcolo. Ai fini della determinazione del fabbisogno di alloggi da destinare ad edilizia popolare, non esiste un nesso necessariamente inscindibile tra fabbisogno abitativo e incremento della popolazione, rappresentando quest’ultimo solo una componente del calcolo da effettuarsi, e potendosi prendere in esame anche altri elementi (quali l’esigenza del rinnovato modo di vivere della popolazione, legato all’evoluzione del costume sociale in atto). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - procedimento di approvazione di una variante in corso all’approvazione del piano regolatore - legittimità. Nessuna norma o principio esclude che nelle more del procedimento di approvazione del piano regolatore venga attivato dall’amministrazione comunale il procedimento di approvazione di una variante, tanto più quando, come nella specie, siano trascorsi circa cinque anni dall’adozione del P.R.G.. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - l’omesso esame “analitico/dettagliato e motivato” delle osservazioni. L’omesso esame “analitico/dettagliato e motivato” da parte del Comune delle osservazioni presentate a suo tempo al piano regolatore generale, non inficia la legittimità dell’atto (il ricorso è stato infatti disatteso dal T.A.R. in base alla considerazione che “non occorre una analitica e dettagliata confutazione delle osservazioni”). Questo indirizzo è stato ripetutamente confermato anche dalla giurisprudenza più recente (Cons. Stato, IV sez., 7 maggio 2002, n.2443; 22 maggio 2000, n.2914), sicché, non avendo l’appellante indicato sotto quale profilo e per quale ragione la sentenza sul punto sarebbe erronea, la censura è stata disattesa. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - il “piano quadro” definizione - l’attività edificatoria subordinata all’adozione di uno strumento urbanistico - piano particolareggiato - piani di lottizzazione - piano quadro. In sede di approvazione del piano regolatore la giunta regionale della Puglia ha recepito le integrazioni e prescrizioni contenute nella “relazione aggiuntiva” dell’Ufficio urbanistico regionale del 29 gennaio 1974. Nella relazione (pag.10) si legge che all’art.8 delle norme tecniche di attuazione è aggiunta, dopo le parole “piano particolareggiato”, la frase “o piani di lottizzazione o piani quadro” e si chiarisce che il “piano quadro è uno studio di parti più o meno estese del territorio urbano..(che) contiene l’individuazione delle opere primarie e secondarie di urbanizzazione e le direttive per le realizzazioni edilizie”. Da ciò si deduce che il piano quadro è uno strumento parallelo, nella sostanza, al piano particolareggiato e che è prevista, in alternativa all’uno e all’altro, la possibilità per i privati di presentare un piano di lottizzazione. Non è, quindi, esatto che l’attività edificatoria sia stata subordinata all’adozione di uno strumento urbanistico atipico né che sia stata di fatto sospesa a tempo indeterminato, in attesa di un atto di iniziativa pubblica per la cui approvazione non è fissato alcun termine. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - la destinazione a zona agricola può essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente - non occorre una specifica motivazione delle determinazioni prese area per area - competenza della Regione - le modificazioni “ritenute indispensabili” in adesione a indicazioni della Soprintendenza ai monumenti - obbligo di motivazione in caso si allontana dalla previsione originaria - l’attività produttiva preesistente. Alla Regione (art.10 della legge Puglia del 17 agosto 1942, n.1150), compete di introdurre le modificazioni “ritenute indispensabili” per tutelare gli interessi e i beni indicati dalla norma, senza incontrare, in tal caso, il limite della marginalità dell’intervento rispetto a quanto stabilito dal Comune. In linea astratta, può convenirsi che la destinazione a zona agricola possa essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente e che non occorre una specifica motivazione delle determinazioni prese area per area, ma se la prescrizione è introdotta dalla Regione è necessario che scaturisca, come richiede il citato art.10, da un giudizio di indispensabilità e che emerga almeno la consapevolezza degli effetti che derivano dal mutamento su particolari situazioni consolidatesi nel territorio. Nel caso in esame la destinazione è stata modificata dalla regione non in osservanza di vincoli paesaggistici o ambientalistici formali, ma in adesione a indicazioni della Soprintendenza ai monumenti (nota 23 marzo 1973, n.2928). Tuttavia, il riconoscimento che si tratta di modifiche indispensabili non è espresso in alcun atto del procedimento né risulta che in alcun modo siano stati considerati gli effetti della nuova destinazione sull’attività produttiva del cementificio, che pure aveva trovato specifico apprezzamento nella relazione illustrativa del P.R.G. (pag.4). Pertanto, l’intervento della Regione, che si allontana dalla previsione originaria e che, per conseguenza, non trova giustificazione nella impostazione del piano regolatore adottato dal Comune, risulta carente sotto il profilo istruttorio ed esplicativo. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)

P.R.G. - la potestà di pianificazione urbanistica primaria - P.R.G. e variante - motivazione specifica - non necessita. La potestà di pianificazione urbanistica primaria, e tale è la potestà che trova espressione sia nel P.R.G. sia nella variante, non incontra limiti nella preesistenza di fabbricati aventi una destinazione diversa e che la variante non necessita di specifica motivazione quanto alle singole destinazioni di zona. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - sostituzione della struttura di copertura di un edificio - interventi di ristrutturazione e permesso di costruire - configurazione legislativa - D.P.R. 380/2001 - applicazione. Sono assoggettate alle prescrizioni della ristrutturazione gli interventi definiti nell’art. 31, L. 457/1978 e nell’art. 3, lett. d), D.P.R. 380/2001, (nella specie si è trattato di: integrale sostituzione della struttura di copertura di un edificio, creazione di nuovi pilastri e di un cordolo di appoggio, copertura a falde inclinate e tamponatura) solo qualora non abbiano dato luogo a organismo edilizio in parte diverso dal precedente. I lavori che non comportino aumento di unità immobiliari o modifiche al volume o della sagoma, dei prospetti o delle superfici o, limitatamente agli immobili inclusi nelle zone omogenee A, se non producono mutamenti delle destinazioni d’uso, non sono subordinati a permesso di costruire. Iacovacci - CASSAZIONE PENALE sezione III del 17 marzo 2003

La durata massima del piano di lottizzazione e del il piano particolareggiato - termine. La questione concernente la durata massima del piano di lottizzazione è stata risolta dalla giurisprudenza nel senso che esso perde efficacia alla scadenza del termine massimo di dieci anni o nel minor termine previsto per la sua attuazione (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 1999, n.286; 13 novembre 1998, n.1412), così come avviene per il piano particolareggiato, essendo indifferente, a tali fini, che si tratti di uno strumento attuativo di iniziativa privata o di iniziativa pubblica (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 2001, n.4074). Consiglio di Stato, Sezione IV del 11 marzo 2003, sentenza n. 1315

L'autorizzazione paesaggistica - rilascio - effetti. In materia ambientale l'autorizzazione paesaggistica deve essere rilasciata prima e non dopo l'esecuzione dei lavori. In tale ultimo caso l'effetto del provvedimento postumo non e' l'estinzione del reato, ma soltanto l'esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, poiche' l'amministrazione ha valutato l'opera e la ha ritenuta compatibile con l'assetto paesaggistico dell'area impegnata dall'opera realizzata. Cassazione penale sez. III, 20 ottobre 1998, n. 12697 Boscarato. Tribunale di Roma Sezione distaccata di Ostia Sentenza del 10.3.2003 (vedi: sentenza per esteso)

Piano particolareggiato - PRG e le sue varianti - deliberazione consiliare - elemento anticipatorio. In linea generale è ben possibile che una deliberazione consiliare, a determinate condizioni, possa operare come elemento anticipatorio di un piano particolareggiato, purchè in coerenza col PRG e le sue varianti. Consiglio di Stato, Sezione V del 7 marzo 2003, sentenza n. 1258

Beni culturali e ambientali - Vincolo paesaggistico - La concessione in sanatoria estingue i reati edilizi ed urbanistici, ma non quello ambientale - Art. 13 L. 47/1985 - Configurabilità dell’illecito - Sussistenza. La concessione in sanatoria ex art. 13 Legge 47 del 1985 estingue i reati edilizi ed urbanistici, ma non quello ambientale avente oggettività giuridica diversa dalla mera tutela urbanistica del territorio. Haggiag e altri - CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 3 marzo 2003 (ud. Del 23 gennaio 2003) RV 224175 Sentenza n. 9519 (vedi: sentenza per esteso)

P.r.g. - le possibilità di modifica del piano regolatore da parte della regione nella fase di approvazione dello stesso - tipi di modifiche: a) obbligatorie; b) concordate; c) facoltative - la modifica destinata a tutelare il paesaggio o l’ambiente in genere non richiede una diffusa analisi argomentativa - competenze dello Stato (ora delegate alle Regioni) in materia di ambiente - il carattere obbligatorio dell’intervento regionale a tutela dell’ambiente. L’art. 10, comma 2, l. n. 1150 del 1942, come modificato dall’art. 3, l. n. 765 del 1967, prevede e disciplina le possibilità di modifica del piano regolatore da parte della regione nella fase di approvazione dello stesso. Le modifiche sono dei seguenti tipi: a) obbligatorie, in quanto riconosciute indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, l’adozione di standards urbanistici minimi; b) concordate, ossia conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano e accettate dal comune; c) facoltative, in quanto consistenti in innovazioni non sostanziali, tali cioè da non mutare le caratteristiche essenziali del piano ed i suoi criteri di impostazione. E’ affermazione costante della sezione che la modifica destinata a tutelare il paesaggio o l’ambiente in genere, anche quando si risolva nell’imprimere ad un’area il preesistente connotato di zona agricola o destinata a parcheggi (come nel caso di specie), non richieda una diffusa analisi argomentativa, tanto più che il limite delle innovazioni sostanziali fissato dalle modifiche d’ufficio non riguarda quelle attinenti alla tutela del paesaggio e dell’ambiente, che pertanto, possono anche mutare le caratteristiche essenziali e i criteri di impostazioni del piano. Nella specie, per altro, come si evince dalla piana lettura del provvedimento impugnato, la Regione si è mossa esplicitamente all’interno delle linee di fondo e dei criteri ispiratori del piano, che, in base alla relazione tecnica di accompagnamento predisposta dal comune, sono volti a: contenere l’espansione edilizia; tutelare in modo assoluto le risorse naturali, paesistiche ed archeologiche; riqualificare le zone turistiche; rispettare e valorizzare le potenzialità agricole; riqualificare il centro storico, potenziare le attività produttive industriali. La sussistenza di specifiche competenze dello Stato (ora delegate alle Regioni) in materia di ambiente, paesaggio ed ecosistemi, non esclude che la tutela di tali valori sia un obbiettivo primario anche per la pianificazione urbanistica. Pertanto, in sede di approvazione di un piano regolatore, l’amministrazione a ciò competente può introdurre vincoli diretti alla protezione dell’ambiente e del paesaggio, ancorché non siano stati adottati i provvedimenti previsti dalle leggi n. 1497 del 1939 e n. 1089 del 1939 (ora d.lgs. n. 490 del 1999), ed anche in maniera più restrittiva di quelli indicati da questi ultimi, se emanati. Per quanto concerne la doglianza incentrata sulla omessa ripubblicazione del piano (con la conseguente impossibilità del privato di formulare osservazioni), la giurisprudenza di questo Consiglio, afferma che <<nel procedimento di formazione dei piani regolatori generali, la pubblicazione prevista dall'art. 9 L. 17 agosto 1942, n. 1150 è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal comune, ma non è richiesta per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di alcune osservazioni o di modifiche introdotte in sede di approvazione regionale>> (cfr. sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6178; 20 febbraio 1998, n. 301 cit.; 11 giugno 1996, n. 777). Tale affermazione - da cui la sezione non intende discostarsi - è coerente con il carattere obbligatorio dell’intervento regionale a tutela dell’ambiente, che rende superfluo l’apporto collaborativo del privato, superato e ricompreso dalla scelta pianificatoria operata dal comune e modificata in sede di approvazione dalla Regione. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)

Formazione di un PRG - le scelte discrezionali dell’amministrazione - motivazione - la relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale. In occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell’amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali - di ordine tecnico discrezionale - seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)

P.r.g. - l'adozione ed approvazione del piano regolatore generale - apprezzamento di merito e sindacato di legittimità - limiti - errori di fatto o abnormi illogicità. Le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione ed approvazione del piano regolatore generale costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (cfr. ex plurimis e di recente, sez. IV, 8 febbraio 1999, n. 121). Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)

In sede di approvazione di un piano regolatore generale, la Regione, ben può introdurre vincoli diretti alla protezione del paesaggio e dell’ambiente - legittimità dell’inserimento nel prg di provvedimenti più restrittivi da quelli previsti dalle leggi in materia di tutela del paesaggio e dell’ambiente - competenze delegate dallo stato. In considerazione delle competenze delegate dallo stato in materia di tutela delle bellezze naturali, la regione, in sede di approvazione di un piano regolatore generale, ben può introdurre vincoli diretti alla protezione del paesaggio e dell’ambiente, ancorché non siano stati adottati i provvedimenti previsti dalle leggi n. 1497 del 1939 e n. 1089 del 1939 (ora d.lgs. n. 490 del 1999), ed anche in maniera più restrittiva di quelli indicati da questi ultimi, se emanati. Sulla esatta natura giuridica e sui limiti del potere regionale di approvazione con modifiche dei p.r.g. adottati dai comuni, si veda: cfr. Ad. plen. 14 dicembre 2001, n. 9; sez. IV, 21 luglio 2000, n. 4076; sez. IV, 19 gennaio 2002, n. 245; Ad. plen. 22 dicembre 1999, n. 24. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)

L’approvazione del piano regolatore - l’obbligo di motivazione delle modificazioni introdotte dalla Regione - modificazione d’ufficio (obbligatoria o facoltativa) - la modifica destinata a tutelare il paesaggio o l’ambiente in genere. In sede di approvazione del piano regolatore ai sensi dell’art. 10, comma 2, l. n. 1150 del 1942, l’obbligo di motivazione delle modificazioni introdotte dalla Regione si atteggiano diversamente a seconda del tipo di modificazione d’ufficio (obbligatoria o facoltativa) apportata dalla Regione stessa, per cui va ritenuto che la modifica destinata a tutelare il paesaggio o l’ambiente in genere, anche quando si risolva nell’imprimere ad un’area il preesistente connotato di zona agricola o destinata a parcheggi, non richieda una diffusa analisi argomentativi, tanto più che il limite delle innovazioni sostanziali fissato dalle modifiche d’ufficio non riguarda quelle attinenti alla tutela del paesaggio e dell’ambiente, che pertanto, possono anche mutare le caratteristiche essenziali e i criteri di impostazioni del piano. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)

P.r.g. - casi della necessità della “singola” motivazione obbligatoria. Le evenienze che, uniche, giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono ravvisabili: a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore và riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle areee, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione; c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)

Prg - aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria - aspettativa generica ad una reformatio in melius - la c.d. polverizzazione della motivazione. Non è comunque configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell'amministrazione, ma soltanto un'aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua dell'immobile; pertanto non può essere richiesta la c.d. polverizzazione della motivazione che sarebbe in contrasto con la natura generale dell’atto, che non richiede altra motivazione che quella dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)

P.r.g. - maggioranza dei componenti del Consiglio Comunale in conflitto d'interessi - agli effetti dell'obbligo di astensione rileva il momento deliberativo - commissario ad acta. L'art. 57 della legge regionale (Trentino Alto Adige) 4.1.1993, n. n.1 - poi confluito nell'art. 107 del T.U. sull'ordinamento dei Comuni approvato con D.P.G.R. 27.2.1995 n. 4/L - demanda alla Giunta provinciale il potere sostitutivo di provvedere a mezzo di commissario, allorché i comuni non siano in grado di adottare atti obbligatori per legge o per statuto a causa dell'obbligo di astensione in capo alla maggioranza dei componenti dell'organo (consiglio o giunta). Nel caso in esame, la maggioranza dei componenti del Consiglio comunale - versando in conflitto di interessi - non poteva concorrere all'adozione del nuovo Piano regolatore comunale, giusta il disposto dell'art. 45 D.P.G.R. 19 gennaio 1984, n. 6/L, che impone agli amministratori comunali di astenersi dal prendere parte alle deliberazioni riguardanti interessi propri o di parenti fino al quarto grado, del coniuge o di affini fino al secondo grado. In primo luogo, ed in linea generale, deve infatti considerarsi che le norme che conferiscono all'organo tutorio il potere sostitutivo di cui si discorre sono evidentemente compressive della libera esplicazione del mandato elettivo conferito ai consiglieri comunali, ed hanno quindi un carattere eccezionale che le rende insuscettibili di applicazione analogica al di fuori dei casi precisamente individuati dal Legislatore. Da questo punto di vista, la normativa di riferimento è chiara nel ricollegare l'obbligo di astensione - ed il conseguente intervento sostitutivo - al momento in cui l'organo incompatibile dovrebbe provvedere (compiere.. adottare) e cioè deliberare in senso costitutivo. Applicando il criterio ermeneutico ora individuato al procedimento di formazione degli strumenti urbanistici, ne deriva che agli effetti dell'obbligo di astensione rileva essenzialmente il momento deliberativo, cioè il momento in cui le soluzioni tecniche prospettate dal progettista vengono sottoposte all'esame dell'organo consiliare, cui spetta decidere con piena libertà di giudizio sulla rispondenza di dette soluzioni alle esigenze della popolazione locale. (cfr., in fattispecie speculare rispetto a quella in esame, IV Sez. 23.5.1994, n. 437). Cons. di Stato, Sez. IV, sent.  del 4.3.2003 n. 1191 (vedi: sentenza per esteso)

P.r.g. - interesse del privato correlato ad una precedente previsione urbanistica - l'aspettativa ad una non reformatio in peius cede di fronte alla discrezionalità del potere pubblico ci pianificazione urbanistica - insidacabilità delle scelta di merito da parte del giudice amministrativo. La giurisprudenza ha da tempo segnalato che non può ritenersi qualificato l'interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo: in questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peius delle destinazioni di zona, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in peius è un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il Legislatore (cfr. Ap. 22.12.1999, n. 24). In tale ottica, viene in rilievo dal lato sostanziale il riconoscimento in capo all'Amministrazione, in occasione della formazione dello strumento urbanistico generale, di una ampia potestà discrezionale per quanto concerne la programmazione degli assetti del territorio, senza necessità di motivazione specifica delle scelte adottate in ordine alla destinazione delle singole aree, ulteriore rispetto a quella desumibile dai criteri generali seguiti nell'impostazione del Piano (cfr. IV Sez. 22 maggio 2000, n. 2934). Dal punto di vista processuale, a tale discrezionalità corrisponde logicamente la insindacabilità delle relative scelte di merito, a meno che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (Cfr. IV Sez. 8.2.1999, n. 1214). Cons. di Stato, Sez. IV, sent.  del 4.3.2003 n. 1191 (vedi: sentenza per esteso)

P.r.g. - requisito di legittimità degli strumenti urbanistici generali e delle loro varianti è che le stesse siano precedute, nelle zone sismiche, dal parere del competente ufficio del Genio Civile. Requisito di legittimità degli strumenti urbanistici generali e delle loro varianti è che le stesse siano precedute, nelle zone sismiche (come accade per il tenimento del Comune di Catanzaro), dal parere del competente ufficio del Genio Civile richiesto dall'art. 13 della l. 2 febbraio 1974, n. 64 (cfr. in termini sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2643: 19 febbraio 1999, n. 176; Cons. giust. amm. sic. 13 ottobre 1998, n. 607). Tale disposizione stabilisce che in tutti i comuni ubicati in zona sismica, è necessaria l'acquisizione del parere del competente ufficio del Genio Civile sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati e sulle loro varianti. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)

E’ illegittimo il provvedimento che affida al consiglio comunale il compito di approvare il progetto preliminare dell’opera pubblica ed alla giunta quello di approvare il progetto definitivo ed esecutivo. Palese è la violazione della disposizione sancita dall’art. art. 1, comma 5, l. n. 1 del 1978, nella parte in cui affida al consiglio comunale il compito di approvare il progetto preliminare dell’opera pubblica ed alla giunta quello di approvare il progetto definitivo ed esecutivo. La giunta comunale, nella vicenda che occupa, infatti, non ha mai adottato il provvedimento di sua spettanza. Sotto tale angolazione è stata alterata la sequenza procedimentale disegnata dal legislatore, né può accettarsi la tesi sostenuta dalla difesa delle appellanti, secondo cui il provvedimento preso dal consiglio comunale, ed inviato per l’approvazione alla Regione, avrebbe avuto solo effetti e finalità urbanistiche. Il contenuto esplicito della deliberazione consiliare e della successiva determinazione regionale, infatti, è univoco nel rivelare l’intento delle amministrazioni di approvare un progetto di opera pubblica, in variante allo strumento urbanistico vigente, con contestuale dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)

Il termine per impugnare l’atto di approvazione del progetto di opera pubblica avente effetto di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, nonché di variante speciale al p.r.g. - insufficienza della pubblicazione dell’atto per l’effettiva conoscenza - decorrenza - conoscenza individuale del proprietario - la notificazione individuale dell’atto di approvazione regionale - obbligo. Il termine per impugnare l’atto di approvazione del progetto di opera pubblica ai sensi dell’art. 1, l. n. 1 del 1978, avente effetto di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, nonché di variante speciale al p.r.g. (perché relativa ad un bene specifico sopra il quale viene impresso un vincolo di destinazione pubblica), decorre dalla conoscenza individuale che ne abbia avuto il proprietario, essendo insufficiente a tal fine la pubblicazione dell’atto, in quanto il provvedimento ha effetti specifici e circoscritti all’area da espropriare per l’esecuzione dell’opera, e quindi è rivolto a soggetti determinati per quanto non esplicitamente nominati (cfr. sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 452, sez. II, 27 febbraio 2002, n. 294\2001). Nello specifico, la notificazione individuale dell’atto di approvazione regionale è imposta dall’art. 8, comma 5, l. n. 167 del 1962, richiamato dall’art. 1, comma 5, l. n. 1 del 1978, come sostituito dall’art. 4, comma 3, l. n. 415 del 1998. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica e Edilizia - Abusivismo - Immobile ultimato - Sequestro preventivo - Esigenze cautelari - Individuazione - Art. 321 Nuovo cod. proc. pen. - Art. 20 L. n. 47/1985. In materia edilizia è ipotizzabile il sequestro preventivo anche dell'immobile abusivamente costruito e già ultimato, atteso che le esigenze cautelari ravvisabili sono sia il paventato aumento del carico urbanistico sia le ulteriori conseguenze dovute all'uso ed al godimento dell'opera abusiva al di fuori di ogni controllo prescritto in funzione della tutela degli interessi pubblici coinvolti. Pres. Savignano G - Est. Grillo C - Imp. P.M. in proc. Sferratore L - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 26 Febbraio 2003 (CC.22/01/2003) RV. 224173, Sentenza n. 09058

Il vincolo di destinazione di un’area alla utilizzazione pubblica, in un piano regolatore generale o in un programma di fabbricazione è un vincolo temporaneo - decadenza - termine di cinque anni - scadenza del quinquennio - temporaneità del vincolo - la destinazione a zona agricola - l’interesse alla utilizzazione pubblica dell’area. Come è noto, il vincolo di destinazione di un’area alla utilizzazione pubblica, in un piano regolatore generale o in un programma di fabbricazione è un vincolo temporaneo, secondo quanto dispone l’art. 2 della legge n. 1187 del 1968 e succ. mod., destinato a decadere se, nel termine di cinque anni, le opere, alla cui realizzazione è diretto, non sono state eseguite ovvero non siano stati adottati, nello stesso termine, gli strumenti di pianificazione secondaria attuativi della destinazione pubblica dell’area. Alla scadenza del quinquennio, il Comune è tenuto obbligatoriamente ad operare una scelta, alla quale può anche essere forzato dai privati proprietari che intendono sfruttare i propri diritti dominicali, tra il rinnovo del vincolo preesistente, se ritiene che persista un prevalente e motivato interesse pubblico al suo mantenimento (prevedendo, peraltro, un indennizzo per i privati proprietari: Corte Cost. 20.5.1999, n. 179), ovvero la fissazione di un diverso regime dell’area di cui trattasi. Il Comune di Ruffano, con l’art. 28, disponendo che, in caso di decadenza, l’area oggetto della presente controversia acquistasse la destinazione a zona agricola, si è sottratto a tale scelta e, di conseguenza, ha violato l’obbligo, implicito nel citato art. 2 della legge n. 1187 del 1068, di riconsiderare ex novo, alla scadenza del quinquennio dalla imposizione del vincolo, il regime urbanistico da assegnare all’area. La temporaneità del vincolo, come si è già rilevato, comporta che l’ente preposto al governo del territorio debba nuovamente valutare, stante il tempo trascorso, che può averne modificato la stima originaria, l’interesse alla utilizzazione pubblica dell’area in comparazione con i concorrenti interessi dei proprietari tesi alla utilizzazione dell’area a scopi privati. La disposizione in esame, inoltre, non risponde neppure a criteri di ordinaria ragionevolezza, non potendosi impostare la pianificazione urbanistica, prevedendo che un’area, nel suo assetto definitivo, possa alternativamente, e quindi indifferentemente, essere sede di opere di urbanizzazione secondaria a servizio di una zona residenziale (scuole, mercati, chiese, impianti sportivi, ecc) se ed in quanto tali opere verranno realizzate oppure essere sede di coltivazioni agricole. La disposizione in parola, poi, sotto altro profilo, finisce in sostanza con il perpetuare,surrettiziamente e sine die, il preesistente vincolo di inedificabilità, in quanto la ubicazione dell’area di cui trattasi nel pieno del centro abitato la rende di fatto inutilizzabile per i proprietari, stanti i noti e ristretti limiti soggettivi ed oggettivi che caratterizzano l’uso dei suoli ubicati nelle zone qualificate come agricole. Quanto precede senza dire che la ubicazione dell’area alla quale si è ora accennato (oltre che la stessa prima destinazione ad opere di urbanizzazione secondaria assegnatale dal Comune) rende evidente che essa è priva di quella vocazione agricola che costituisce il presupposto indefettibile per una conforme qualificazione giuridica. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 988

PRG - temporaneità del vincolo di destinazione - l’interesse alla utilizzazione pubblica dell’area. La temporaneità del vincolo, comporta che l’ente preposto al governo del territorio debba nuovamente valutare, stante il tempo trascorso, che può averne modificato la stima originaria, l’interesse alla utilizzazione pubblica dell’area in comparazione con i concorrenti interessi dei proprietari tesi alla utilizzazione dell’area a scopi privati. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 988

Necessità della concessione edilizia per la legittima installazione di un box - ordine di rimozione - le costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarieta' strutturale e funzionale - condizioni. Non pare dubbia la necessità della concessione edilizia per la legittima installazione del box colpito dal controverso ordine di rimozione, posto che, secondo un consolidato orientamento, soltanto le costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarieta' strutturale e funzionale, cioe' destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, sono esenti dall'assoggettamento alla concessione edilizia, mentre e' sicuramente sottoposto al predetto regime un chiosco prefabbricato per lo svolgimento di attivita' commerciale, in quanto esso, pur se non infisso al suolo ma solo aderente in modo stabile, e' destinato ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talche' l'alterazione del territorio non puo' essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Consiglio di Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 226). Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per esteso)

Irrilevanza della doglianza relativa all’omessa acquisizione dei pareri obbligatori del Dirigente dell’U.T.C. e della Commissione Edilizia Comunale. La doglianza relativa all’omessa acquisizione dei pareri obbligatori del Dirigente dell’U.T.C. e della Commissione Edilizia Comunale, in presunta violazione dell’art.41 V comma L.R. Puglia n.56/80, si rivela infondata in fatto, atteso che gli avvisi dei predetti organi in merito alla natura abusiva del manufatto ed alla necessità della sua rimozione risultano espressi nelle diverse forme delle relazioni del Dirigente dell’ Ufficio Tecnico prot. n.4539 in data 23 febbraio 1996 e prot. n.13585 in data 13 giugno 1996 (là dove si rileva la natura abusiva del chiosco prefabbricato) e della delibera della C.E.C. in data 4 gennaio 1996 (là dove si esprime espressamente parere favorevole alla demolizione con specifico riferimento all’ordinanza di sospensione - nei confronti della quale quella di demolizione si pone quale provvedimento consequenziale e necessitato). Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per esteso)

L’ottemperanza all’ordine di demolizione e rimozione di un manufatto abusivo - termine inferiore a novanta giorni - l'assegnazione di un termine più breve - violazione meramente formale - illegittimità. E’ stata riconosciuta l’inidoneità della fissazione di un termine inferiore a novanta giorni per l’ottemperanza all’ordine di demolizione a determinare l’illegittimità di quest’ultimo, che, per univoco orientamento giurisprudenziale, l'assegnazione di un termine più breve di quello prescritto dall'art. 7 l. 28 febbraio 1985 n. 47 per provvedere alla rimozione del manufatto abusivo si risolve in una violazione meramente formale, non lesiva per l'interessato, che conserva, comunque, un termine non inferiore a quello di legge per ottemperare all’ingiunzione (Consiglio di Stato, Sez. V, 3 febbraio 2000, n. 597). Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per esteso)

Normativa antisismica - irrilevanza dell’accertamento o dell’errata applicazione della L. n.64/74 se vi è il rilievo della natura abusiva del chiosco - legittimità dell’ordinanza di demolizione. Il motivo relativo all’inapplicabilità al manufatto in questione (chiosco metallico) della normativa antisismica è stato correttamente ritenuto dal T.A.R. irrilevante ai fini della decisione, posto che l’ordinanza di demolizione è stata principalmente, e legittimamente, adottata sulla base del rilievo della natura abusiva del chiosco e che l’eventuale accertamento dell’errata applicazione al caso di specie della L. n.64/74 non implicherebbe l’annullamento del provvedimento impugnato, che resterebbe validamente sorretto dal motivo relativo alla violazione della normativa edilizia. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per esteso)

La circostanza che l’edificio sia stato abbandonato, con conseguente crollo di parte della sua struttura, non è preclusiva sull’intervento di recupero - interventi di ristrutturazione e di ampliamento - la destinazione abitativa nelle zone agricole - illegittimità del diniego di concessione edilizia. Non può, dubitarsi che il manufatto in questione (l’edificio è stato abbandonato, con conseguente crollo di parte della sua struttura), per come classificato nel vecchio catasto (allegato dalla ricorrente sub 12) per la sua ubicazione nel territorio e per le sue caratteristiche strutturali, sia stato ab origine destinato a casa colonica (non risultando, peraltro, documentate o suggerite diverse utilizzazioni, compatibili con le sue dimensioni e la sua posizione) e, quindi, ad abitazione di contadini. La disciplina edilizia di riferimento, posto che il combinato disposto degli artt.8 c.7 della L.R. dell’Umbria n.53/74 e 13 delle N.T.A. ammette gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, nella zona (B/2) in cui ricade l’immobile della ricorrente, dei fabbricati destinati ad abitazione esistenti al momento dell’adozione da parte del Comune del P.R.G. In tale senso depone, anzitutto, l’esame della lettera della disposizione di riferimento (che, richiedendo la mera destinazione abitativa, pare indicare una tipologia di edificio piuttosto che il suo stato di conservazione) ma, soprattutto, l’indagine della sua ratio che, conducendo all’agevole individuazione della finalità di favorire il recupero, per mezzo della ristrutturazione e dell’ampliamento, dell’uso di manufatti altrimenti inidonei ad assolvere l’originaria destinazione abitativa nelle zone agricole, impone di preferire l’opzione ermeneutica che assegna alla norma un contenuto precettivo coerente con il suo scopo e, quindi, compatibile con l’ammissibilità della ristrutturazione di edifici parzialmente demoliti (purchè inizialmente destinati ad abitazione). Il diniego di concessione edilizia impugnato in primo grado deve, in definitiva, giudicarsi illegittimo siccome erroneamente assunto sulla base di ragioni impeditive infondatamente basate su uno scorretto apprezzamento della documentazione tecnica attestante la volumetria dell’edificio e su un’errata valutazione del requisito della destinazione abitativa. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 985

Urbanistica - interventi edilizi - modifica del prospetto del fabbricato - concessione edilizia - necessità. Gli interventi edilizi che comportino una modifica del prospetto del fabbricato, a prescindere dalle dimensioni, non possono essere assimilati nella categoria di opere interne e neanche in quelle di manutenzione straordinaria o di intervento di restauro o risanamento conservativo, bensì in quella di ristrutturazione edilizia e necessita di conseguenza il titolo concessorio. (Pres. Camozzi - Est. Buscicchio - Calderaio (Avv. Paicardi) c. Comune di Maratea) TAR BASILICATA - 22 febbraio 2003, n.182

Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Disciplina della sanatoria - Lottizzazione abusiva - Reato di cui agli artt. 18 e 19 L. n. 47/1985 - Condonabilità ex legge 724/1994 - Esclusione - Fondamento - Sanatoria dei singoli manufatti abusivamente eseguiti - Effetti. Il reato di lottizzazione abusiva, di cui agli artt. 18 e 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, non e' suscettibile di condono edilizio ai sensi dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, atteso che la disciplina della sanatoria contenuta nell'art. 35 della citata legge n. 47 esclude implicitamente dal suo ambito di applicazione l'attività lottizzatoria. L'eventuale sanatoria dei singoli manufatti abusivamente eseguiti, anche se previa valutazione globale dell'attività lottizzatoria, non estende pertanto all'attività illecita di lottizzazione l'effetto estintivo del reato. Pres. Toriello F - Est. Fiale A - Imp. Cicchella A - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 21 Febbraio 2003 (UD.20/12/2002) RV. 224167, Sentenza n. 08557

La legittimazione attiva ai soggetti proprietari di immobili confinanti o viciniori con quello oggetto della concessione edilizia - verifica della sussistenza in concreto di un loro interesse differenziato - tutela degli interessi dei soggetti collegati in modo stabile e concreto. La giurisprudenza, ha più volte riconosciuto l’interesse ad impugnare una licenza edilizia rilasciata a terzi da parte del proprietario di aree vicine a quelle ove devono realizzarsi le opere, in ragione dello stabile collegamento con la zona oggetto di intervento, senza necessità della prova di ulteriori specifici danni. A ben vedere, però, il presupposto assunto a base di tale enunciazione di principio, è rinvenibile nella circostanza per cui il contestato intervento venga ad incidere in modo apprezzabile sugli assetti edilizi, urbanistici od ambientali relativi all’intera zona considerata, e quindi implicitamente anche sugli interessi dei soggetti a questa collegati in modo stabile e concreto. Ed è in questo senso che la richiamata giurisprudenza ha riconosciuto la legittimazione del terzo “radicato nella zona”, ad impugnare una concessione edilizia che consentisse una nuova edificazione oggettivamente in grado di incidere sull’assetto urbanistico-edilizio della zona stessa, ovvero che limitasse un’area destinata a verde, o che intervenisse sui parametri urbanistici garantiti dalle prescrizioni del P.R.G., o che interessasse i particolari valori architettonici ed ambientali esistenti, e che quindi determinasse una apprezzabile modifica dell’assetto territoriale preesistente nel senso considerato. In altri termini, a giudizio del Collegio, l’assunto per cui in materia urbanistica si deve riconoscere la legittimazione attiva ai soggetti proprietari di immobili confinanti o viciniori con quello oggetto della concessione edilizia, non può comunque prescindere dalla verifica della sussistenza in concreto di un loro interesse differenziato, alla stregua del generale principio che regola l’accesso alla tutela giurisdizionale amministrativa avverso i provvedimenti della pubblica amministrazione. T.A.R. Liguria, 21 febbraio 2003, sentenza n. 225 (vedi: sentenza per esteso)

Concessione edilizia - la posizione legittimante alla impugnativa - requisiti. Le preoccupazioni sottese alla natura del giudizio amministrativo risultano già poste a fondamento della prevalente opinione giurisprudenziale che ha escluso in materia la qualificazione in termini di azione popolare (cfr. ad es. Consiglio Stato sez. V, 13 luglio 2000, n. 3904); quindi, a fronte del dettato normativo e dei principi generali in tema di interesse concreto ed attuale al ricorso, ulteriori limitazioni devono essere oggetto di specifiche considerazioni, derivanti dall’insussistenza di qualsiasi possibile pregiudizio nella singola fattispecie. In tal senso, l’eccessiva contrazione dei presupposti per l’impugnativa in materia, oltre a porsi in evidente contrasto con la chiara disposizione normativa, viene a stridere con i principi di cui agli artt. 24, 103, 111 e 113 della Costituzione, sulla scorta dei quali occorre assicurare una adeguata tutela delle situazioni giuridiche soggettive, fra le quali non possono che essere ricompresi gli interessi dei proprietari di immobili al corretto sviluppo urbanistico ed edilizio della zona. Va pertanto ribadito che a seguito del rilascio di un titolo concessorio di natura edilizia la posizione legittimante alla impugnativa sussiste in capo a coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è quello della osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione (cfr. ad es. sentenza n. 588 del 2002 di questo Tribunale e Consiglio di Stato sez. V 30 gennaio 2003 n. 469). Ciò sussiste nel caso di specie alla luce della proprietà di immobili contigui in capo agli odierni ricorrenti, i quali verrebbero ad essere interessati dall’intervento anche in merito all’utilizzo delle strade nonché delle ulteriori strutture di rilievo urbanistico ed edilizio valutabili in termini di aumento del peso insediativo. T.A.R. Liguria, 21 febbraio 2003, sentenza n. 225 (vedi: sentenza per esteso)

Conferenza dei servizi - procedimento per il rilascio della concessione edilizia - non preclude l'impugnativa né implica acquiescenza. Neppure la circostanza che in sede di conferenza dei servizi ex art. 14, l. 7 agosto 1990 n. 241, l’interessato abbia convenuto sulla conclusione del procedimento mediante il rilascio della concessione edilizia per un solo fabbricato, con riserva, peraltro, di verificare e rivendicare ulteriori diritti edificatori sul terreno interessato, non precluda l'impugnativa né implichi acquiescenza, dal momento che questa deve derivare da un atto non equivoco, tale cioè da non lasciare dubbi sulla volontà dell'interessato di disporre della propria posizione giuridica soggettiva (cfr. ad es. T.A.R. Lazio sez. Latina, 17 dicembre 1999, n. 1020). A maggior ragione va esclusa qualsiasi acquiescenza nel caso de quo dove, a fronte dell’approvazione di uno strumento attuativo e del successivo rilascio di una connessa concessione, in variante rispetto alla vigente pianificazione generale, da nessun atto o comportamento può trasparire qualsiasi presunto assenso degli odierni ricorrenti a causa del silenzio mantenuto avverso una pianificazione generale ormai superata. (In specie il ricorrente lamenta la violazione della legge n. 353 del 2000 in materia di incendi boschivi, nonché diversi profili di eccesso di potere, in quanto i titoli edilizi sarebbero stati rilasciati nonostante la vigenza del divieto di edificare per dieci anni trattandosi di aree interessate dal fuoco). T.A.R. Liguria, 21 febbraio 2003, sentenza n. 225 (vedi: sentenza per esteso)

Edilizia - ripresa dei lavori abusivi - le opere di tamponatura, rifinitura e similari, di fabbricati strutturalmente ultimati, ma non ancora abitabili, hanno natura edilizia - non possono essere eseguite in assenza dei provvedimenti concessori, autorizzatori e degli altri adempimenti, prescritti dalla normativa urbanistica, ambientale e sull'edilizia in cemento armato - il concetto di ultimazione al semplice completamento strutturale - condonabilità - irrilevanza. La ripresa dei lavori abusivi (tali dovendo considerarsi in assenza della non ancora conseguita sanatoria) integra gli estremi delle contravvenzioni ascritte, tenuto conto che per costante giurisprudenza di legittimità anche le opere di tamponatura, rifinitura e similari, di fabbricati strutturalmente ultimati, ma non ancora abitabili, hanno natura edilizia ed essendo finalizzate al completamento della costruzione, non possono essere eseguite in assenza dei provvedimenti concessori, autorizzatori e degli altri adempimenti, prescritti dalla normativa urbanistica, ambientale e sull'edilizia in cemento armato, a nulla rilevando che, ai diversi fini della condonabilità ex artt. 31 e segg. L 47/85, il legislatore abbia ancorato il concetto di ultimazione al semplice completamento strutturale. (Nella fattispecie, il Tribunale di Torre Annunziata, sez. dist. di Sorrento, aveva dichiarato il ricorrente colpevole delle contravvenzioni, in continuazione, di cui agli artt. 20 lett. c) L. 47/85, 2-13-4-14 l. 1086/71 ed 1 sexies L. 431/85, per aver eseguito opere di completamento ("tompagnatura" e rifacimento di scale interne) di parte di un fabbricato, già abusivamente edificato ed oggetto di domanda di sanatoria; fatto accertato il 22/5/96) Cassazione Penale, Sez. III, 21 febbraio 2003, sentenza n. 8563

Concessione edilizia rilasciata impersonalmente in capo agli "eredi" - illegittimità. Non è legittima una concessione edilizia rilasciata impersonalmente in capo agli "eredi", talché la stessa è viziata per difetto di legittimazione e con la conseguenza di impedire ogni possibilità di individuare il destinatario responsabile cui far capo per eventuali addebiti civili, amministrativi e penali. TAR Liguria - Genova, Sez. I del 21 febbraio 2003 Sentenza n. 213

Edilizia - ripresa dei lavori abusivi - le opere di tamponatura, rifinitura e similari, di fabbricati strutturalmente ultimati, ma non ancora abitabili, hanno natura edilizia - non possono essere eseguite in assenza dei provvedimenti concessori, autorizzatori e degli altri adempimenti, prescritti dalla normativa urbanistica, ambientale e sull'edilizia in cemento armato - il concetto di ultimazione al semplice completamento strutturale - condonabilità - irrilevanza. La ripresa dei lavori abusivi (tali dovendo considerarsi in assenza della non ancora conseguita sanatoria) integra gli estremi delle contravvenzioni ascritte, tenuto conto che per costante giurisprudenza di legittimità anche le opere di tamponatura, rifinitura e similari, di fabbricati strutturalmente ultimati, ma non ancora abitabili, hanno natura edilizia ed essendo finalizzate al completamento della costruzione, non possono essere eseguite in assenza dei provvedimenti concessori, autorizzatori e degli altri adempimenti, prescritti dalla normativa urbanistica, ambientale e sull'edilizia in cemento armato, a nulla rilevando che, ai diversi fini della condonabilità ex artt. 31 e segg. L 47/85, il legislatore abbia ancorato il concetto di ultimazione al semplice completamento strutturale. (Nella fattispecie, il Tribunale di Torre Annunziata, sez. dist. di Sorrento, aveva dichiarato il ricorrente colpevole delle contravvenzioni, in continuazione, di cui agli artt. 20 lett. c) L. 47/85, 2-13-4-14 l. 1086/71 ed 1 sexies L. 431/85, per aver eseguito opere di completamento ("tompagnatura" e rifacimento di scale interne) di parte di un fabbricato, già abusivamente edificato ed oggetto di domanda di sanatoria; fatto accertato il 22/5/96) CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 21 febbraio 2003, sentenza n. 8563

Edilizia e urbanistica - Lottizzazione abusiva - L. n. 47/1985 - Condonabllità ex I. n. 724/1994 - Esclusione - Sanatoria dei singoli manufatti abusivamente eseguiti - Confisca dei terreni lottizzati - Piano di recupero urbanistico - Sanatoria della lottizzazione abusiva realizzata - Esclusione. Non è suscettibile di condono edilizio ai sensi dell’art. 39 l. 23 dicembre 1994, n. 724, il reato di lottizzazione abusiva, di cui agli artt. 18 e 20 l. 28 febbraio 1985, n. 47, atteso che la disciplina della sanatoria contenuta nell’art. 35 della citata l. n. 47 esclude implicitamente dal suo ambito di applicazione l’attività lottizzatoria. L’eventuale concessione in sanatoria dei singoli manufatti abusivamente eseguiti, anche se previa valutazione globale dell’attività lottizzatoria, non estingue il reato di lottizzazione abusiva, dovendosi perciò disporre la confisca dei terreni lottizzati, poiché la concessione non comporta alcuna valutazione di conformità di tutta la lottizzazione alle scelte generali di pianificazione urbanistica (Cass. Sez. III, 15 ottobre 1997, Sapuppo; Cass., Sez. III, 12 gennaio 1996, Antonioli, n. 204712). Inoltre, la successiva approvazione di un piano di recupero urbanistico non può configurare una ipotesi di sanatoria della lottizzazione abusiva realizzata, trattandosi di ipotesi non prevista dalle disposizioni regolanti la sanatoria edilizia contenute nella I. n. 47 del 1985, nè dalle norme che prevedono il c.d. condono edilizio (Cass. Sez. III, 5 dicembre 2001, Venuti, n. 220851). Pres. Toriello - Rel. Fiale - P.M. Izzo (concl. conf.) - Cicchella. CORTE DI CASSAZIONE Penale , Sez. III - 21 febbraio 2003 (Ud. 20 dicembre 2002), Sentenza n. 8557

Urbanistica e Edilizia - Immobile abusivo - Reato di cui al l'art. 20 L n. 47/1985 - Concorso del progettista direttore dei lavori - Responsabilità - Sussiste - Progettista non direttore dei lavori - Responsabilità - Esclusione. Il progettista di un manufatto abusivo non risponde del reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, neanche a titolo di concorso, atteso che la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa vigente, va tenuta distinta da quella di direzione dei lavori, e non può configurarsi un nesso di causalità tra la redazione del progetto e l'attività di attuazione dello stesso, soltanto per la quale sussiste rilevanza penale. Pres. Savignano G - Est. Zumbo A - Imp. Ridolfi C - PM. (Conf.) Fraticelli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 20 Febbraio 2003 (UD. 12/12/2002) RV. 224166, Sentenza n. 08420

E’ legittimo il diniego di concessione edilizia giustificato dalla pericolosità idrogeologica del terreno interessato dall’attività edilizia - il divieto contenuto nell’art.30 L.R. n.56/77 (Piemonte) - la verifica dell’incompatibilità di nuove costruzioni con i caratteri geomorfologici dell’area - la modifica introdotta d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G.. Il divieto contenuto nell’art. 30 L.R. n.56/77 esige, per la sua operatività, un’indagine specifica circa la pericolosità idrogeologica del terreno interessato dall’attività edilizia, non altrettanto può dirsi per le ipotesi, quale quella in esame, nelle quali la qualificazione dell’area come instabile è già stata compiuta in via preventiva ed astratta in sede di formazione della disciplina urbanistica ed edilizia comunale. In quest’ultimo caso, infatti, la verifica dell’incompatibilità di nuove costruzioni con i caratteri geomorfologici dell’area è già stata effettuata dal Comune, con la conseguenza che il rinvio alla ricordata disposizione regionale non può che intendersi come riferito al divieto di edilificabilità nelle zone assoggettate a quella disciplina (e precedentemente classificate come instabili dal COmune), atteso che il precetto contenuto nella norma richiamata risulta integrato e completato, come già evidenziato, dalla preventiva definizione in via amministrativa della situazione di fatto che impedisce la realizzazione di nuovi insediamenti. Una diversa lettura della disciplina considerata risulterebbe, inoltre, priva di senso, finendo per privare di ogni utilità ed efficacia la modifica introdotta d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G., che si risolverebbe in una superflua ripetizione, per talune classi di instabilità, dell’obbligo di un’indagine istruttoria circa le condizioni del terreno o, peggio, nel riconoscimento dell’ammissibilità dell’attività edilizia in aree nelle quali, secondo la disciplina contenuta nella versione originaria del Piano, era vietato ogni intervento. Risulta, quindi, chiaro che l’opzione ermeneutica prescelta dal T.A.R. va rifiutata in quanto contraria al canone ermeneutico che impedisce una lettura che assegni alla disposizione un contenuto precettivo privo di efficacia ed utilità o, addirittura, contrastante con le sue finalità, nella specie chiaramente identificabili nella restrizione delle possibilità edificatorie nelle aree che presentino rischi di tenuta idrogeologica, secondo gli studi già compiuti dallo stesso Comune. Anche sotto il profilo considerato, in definitiva, il diniego di concessione edilizia impugnato in primo grado dalla società Maelga va riconosciuto legittimo ed immune dal vizio di difetto di istruttoria erroneamente riscontrato dal Tribunale piemontese. Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 913 (vedi: sentenza per esteso)

Concessione edilizia - silenzio assenso - presupposti - il parere favorevole della commissione edilizia non equivale a rilascio della concessione. L’operatività del silenzio assenso (ex. art. 8 d.l. 23.01.1982, n.9 convertito in l.25 marzo 1982, n. 94) si ha soltanto quando la domanda di concessione edilizia sia totalmente conforme alle previsioni di dettaglio contenute nel p.r.g. e il rilascio del titolo si configuri come atto dovuto, senza alcun margine di discrezionalità da parte della p.a.. Il parere favorevole della commissione edilizia sulla richiesta di concessione non equivale a rilascio della stessa, al rilascio rimane deputato l’organo dirigenziale dell’u.t.c.. (Pres. Camozzi - Est. Buscicchio - Lapenta (avv. Sassone, Cornetta) c. Comune di Corleto Porticara) TAR BASILICATA 19 febbraio 2003, n. 166

Abusivismo - opere realizzate prima del 31 dicembre 1993 senza titolo o in difformità - istanza di condono - sospensione del giudizio da parte del giudice. In applicazione dell’art. 44 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, la cui operatività per le opere realizzate prima del 31 dicembre 1993 senza titolo o in difformità dallo stesso e per le quali sia stata presentata istanza di condono è prevista dall’art. 39, primo comma, della legge 724/1994, deve essere disposta la sospensione del giudizio da parte del giudice di primo grado. Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 903

La domanda di condono dolosamente infedele - la falsità della dichiarazione relativa al tempo dell’ultimazione delle opere abusive - diritto d’accesso - la rimozione d’ufficio della concessione in sanatoria rilasciata - strumenti sanzionatori su dichiarazioni mendaci - obbligatorietà di adottare provvedimenti repressivi da parte del Comune - l’atto di significazione e diffida - inerzia dell’Amministrazione - l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso - l’illegittimità del silenzio-rifiuto. In ordine all’inconfigurabilità di un obbligo di provvedere su un’istanza intesa a sollecitare l’esercizio dei poteri di autotutela (effettivamente connotato da un’ampia discrezionalità sull’an della relativa attività provvedimentale), deve, invero, osservarsi che dall’esame dell’atto di significazione e diffida rimasto nella specie inevaso si ricava univocamente che, nonostante l’indicazione dei “provvedimenti di annullamento e revoca” tra quelli richiesti all’Amministrazione, le istanti non intendevano tanto (o, meglio, non solo) provocare la rimozione d’ufficio della concessione in sanatoria rilasciata al controinteressato ma, soprattutto, stimolare l’adozione dei doverosi provvedimenti sanzionatori previsti dagli artt.40 e 45 della L. n.47/85 per i casi in cui la domanda di condono debba ritenersi dolosamente infedele. Adducendo, infatti, nell’istanza la falsità della dichiarazione relativa al tempo dell’ultimazione delle opere abusive a sostegno della richiesta dei doverosi provvedimenti consequenziali, le odierne ricorrenti hanno, infatti, evidentemente inteso provocare l’attivazione da parte del Comune degli strumenti sanzionatori previsti dalla L.n.47/85 per le domande di sanatoria fondate su dichiarazioni mendaci. L’adozione dei provvedimenti repressivi contemplati dalla legge citata costituisce un vero e proprio obbligo per l’Amministrazione, sicchè, nella ricorrenza dei presupposti prima indicati, non residua alcun margine di discrezionalità in ordine all’applicazione delle sanzioni (Cons. Stato, Sez. V, 24.3.1998, n.345). Ne consegue che l’atto di significazione e diffida, a fronte del quale l’Amministrazione è rimasta inerte, deve ritenersi idoneo a costituire un obbligo di provvedere, in quanto diretto a stimolare l’esercizio di un potere imposto obbligatoriamente al Comune dalla legge. Né rileva, in senso contrario, che tale potestà dev’essere esercitata d’ufficio e non su istanza del privato, posto che l’art.2 L. n.241/90 equipara tali due situazioni, ai fini della configurabilità dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso. Ne consegue che la circostanza che il procedimento attivabile d’ufficio sia stato, di fatto, iniziato con un'istanza del privato non esonera, ovviamente, l’Amministrazione dal dovere di concluderlo con un provvedimento espresso e non esclude la connessa legittimazione dell’interessato a conseguire la peculiare forma di tutela apprestata dall’art.21 bis L. n.1034/71. Né, da ultimo, l’illegittimità della condotta omissiva dell’Amministrazione può escludersi sulla base del rilievo di un precedente pronunciamento su analoga istanza delle interessate. Con riferimento all’istanza in oggetto si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dal Comune appellato. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 808 (vedi: sentenza per esteso)

L'esigenza di un piano esecutivo (di lottizzazione o particolareggiato), quale presupposto per il rilascio della concessione di costruzione - è illegittimo il diniego di concessione edilizia, fondato sulla carenza di un piano di lottizzazione (anche se richiesto dal piano regolatore) quando l'area sia urbanizzata e difetti una rigorosa valutazione del nuovo insediamento progettato in rapporto alla situazione generale del comprensorio. La giurisprudenza ha, ripetutamente affermato, ribadendo i principi espressi dall’Ad.pl. n. 12 del 6.10.1992, che l'esigenza di un piano esecutivo (di lottizzazione o particolareggiato), quale presupposto per il rilascio della concessione di costruzione si pone allorché si tratti di asservire per la prima volta un'area non ancora urbanizzata ad un insediamento edilizio di carattere residenziale o produttivo, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, che obiettivamente esigano per il loro armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, la realizzazione o il potenziamento delle opere e dei servizi necessari a soddisfare taluni bisogni della collettività, vale a dire la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, e che, pertanto, è illegittimo il diniego di concessione edilizia, fondato sulla carenza di un piano di lottizzazione (anche se richiesto dal piano regolatore) quando l'area sia urbanizzata e difetti una rigorosa valutazione del nuovo insediamento progettato in rapporto alla situazione generale del comprensorio, e cioè, quando non sia adeguatamente ponderato lo stato di urbanizzazione già presente nella zona interessata, né siano in modo congruo evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione. Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 802 (vedi: sentenza per esteso)

L’affissione della concessione edilizia all’albo pretorio non fa decorrere i termini per l’impugnazione della medesima - decorrenza del termine per l’impugnazione - il termine decorre di regola, quando non risulti un’anteriore conoscenza della concessione, dall’ultimazione dei lavori. Per espresso disposto dell’articolo 31 della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 come sostituito dall’articolo 10 della legge 6 agosto 1967 n. 765, l’affissione della concessione edilizia all’albo pretorio non fa decorrere i termini per l’impugnazione della medesima, la giurisprudenza amministrativa è unanime nel fatto che il termine decorre di regola, quando non risulti un’anteriore conoscenza della concessione, dall’ultimazione dei lavori (vedansi, tra le ultime decisioni di questo Consiglio, sesta sezione, 15 maggio 2002 n. 2668, e quarta sezione, 8 luglio 2002 n. 3805); e ciò basterebbe per accogliere l’eccezione di tardività del ricorso, riproposta dagli appellanti come motivo d’appello. Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 799

Le regole inerenti al contributo per il rilascio della concessione - l’oblazione da corrispondere per la sanatoria delle opere abusive. L’art. 35 riguarda l’oblazione da corrispondere per la sanatoria delle opere abusive, come è reso palese dall’art. 34, nel quale sono stabiliti i criteri per la determinazione della somma dovuta a tale titolo, e dallo stesso art. 35, nel quale ancora dell’oblazione si tratta: al comma 1, ai commi 6 (ora 11), 7, 8, 9, 11, e 15 (ora, rispettivamente, 12, 13, 14, 16 e 20). Le regole inerenti al contributo per il rilascio della concessione di cui all’art. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, sono, invece, mantenute ferme con il successivo art. 37 della stessa legge n. 47/1985. Ivi si dispone, infatti, che il versamento dell’oblazione non esime i soggetti, che chiedono la sanatoria, dal pagamento, “ai fini del rilascio della concessione”, del con-tributo in questione. E non sono stabilite regole particolari, né è fatto richiamo al precedente art. 35, in tema di prescrizione del diritto del Comune. Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 798

Chiosco prefabbricato - necessita di concessione edilizia il manufatto che, pur se non infisso al suolo ma soltanto aderente ad esso in modo stabile, è destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo - a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale del manufatto - ordine di rimozione. Sono assoggettate a concessione di costruzione non solo le attività di edificazione, ma tutte quelle consistenti nella modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio, in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica, ha chiarito che necessita di concessione edilizia il manufatto che, pur se non infisso al suolo ma soltanto aderente ad esso in modo stabile, è destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo, atteso che produce trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, anche in relazione alla sua qualificazione giuridica, a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale del manufatto in quanto non si traduca in suo uso per fini contingenti e specifici (Cons. Stato, V, 31 gennaio 2001, n. 343; 20 dicembre 1999, n. 2125). L’assegnazione da parte dell’Amministrazione di un termine ridotto per provvedere alla rimozione non costituisce vizio che inficia, in termini di illegittimità, lo stesso ordine di rimozione, rimanendo comunque preclusa fino alla scadenza del novantesimo giorno l’acquisizione gratuita del manufatto abusivo. (Nella specie era stato installato un chiosco prefabbricato nell’area di posteggio assegnatagli, e questo comportava l’adozione, da parte del Commissario straordinario prefettizio, prima di un’ordinanza di sospensione immediata dei lavori, poi di un’ordinanza di rimozione del chiosco abusivamente realizzato e di ripristino dello stato dei luoghi). Consiglio di Stato Sezione V, - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 696

Contributo per oneri di urbanizzazione - il dovere di agire secondo correttezza e buona fede - evitare l’aggravamento della posizione del debitore. Il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore ma che in relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione del debitore (Cass. 5 novembre 1999 n. 12310). Non è perciò sufficiente sostenere, così come ha fatto il primo giudice, che nessun obbligo normativamente previsto era posto a carico del creditore nel caso di specie, ma si deve indagare se nell’esercizio dell’obbligo di cooperare con il debitore per il puntuale adempimento dell’obbligazione il creditore non abbia omesso atti e comportamenti che, senza essere particolarmente disagevoli, potevano tuttavia rendere meno gravosa la posizione del debitore. (Nel caso in esame il Comune di Melfi non ha fatto quanto era possibile e necessario per evitare il prodursi di danni ulteriori per le Società appellanti. In proposito si deve aggiungere che il comportamento complessivo delle parti secondo buona fede costituisce una fonte di integrazione degli obblighi delle parti stesse (Cass. 8 febbraio 1999 n. 1078) e che con riguardo al caso di specie l’atteggiamento del Comune di Melfi ha oggettivamente introdotto un elemento di incertezza e di attesa che ha concorso a determinare il mancato pagamento alle scadenze stabilite da parte delle Società appellanti delle rate del contributo per oneri di urbanizzazione). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenze nn. 584; 583; 582; 581; 580; 579; 578; 577; 576; 575; 574; 573; 572; 571. Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenza n. 585 (vedi: sentenza per esteso)

Urbanistica - l’art. 3 della legge 47/1985 - l’obbligo di escutere il fideiussore - contratto di fideiussione - posizione creditoria del Comune. Non è necessario approfondire in questa sede la natura (sanzionatoria o risarcitoria) della obbligazione nascente dall’applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: è pacifico che si tratti di una obbligazione “ex lege” alla quale si rendono applicabili tutte le disposizioni di principio in materia di obbligazioni e tanto basta, come si è visto, per la definizione della controversia. Nessun valore ha, poi, il richiamo alla automaticità della applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: una volta che si sia accertato che non vi è stato inadempimento imputabile all’obbligato l’art. 3 in questione non è applicabile “tout-court”. Inconferenti sono, altresì, i richiami contenuti nella sentenza appellata al regime delle obbligazioni tributarie che corrispondono, come è noto, a principi propri ed esclusivi del regime fiscale, tipicamente a fattispecie esclusiva, validi solo nell’ambito del regime stesso. Nè, infine, ha pregio, sostenere che imponendo al creditore nel caso di specie l’obbligo di escutere il fideiussore si eluderebbe l’obiettivo della legge e si vanificherebbe l’apparato sanzionatorio del citato art. 3 della legge 47/1985. E’ evidente, infatti, che il pagamento da parte del fideiussore degli oneri dovuti se soddisfa il Comune creditore non libera il soggetto garantito nel rapporto interno con il garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo cui, di norma, il garantito deve poi rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione. In ogni caso, non sussiste alcun apprezzabile interesse pubblico a limitare la autonomia delle parti del contratto di fideiussione a convenire un regolamento di interessi che consenta, secondo la causa tipica di tale contratto, una più sicura soddisfazione della posizione creditoria del Comune. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenze nn. 584; 583; 582; 581; 580; 579; 578; 577; 576; 575; 574; 573; 572; 571. Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenza n. 585 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - l’interesse del privato proprietario - discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica - reformatio in pejus. Non può ritenersi qualificato l’interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo: in questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in pejus delle destinazioni di zona, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in pejus è un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il Legislatore. ( cfr. Ap. 22.12.1999 n. 24). Consiglio di Stato, Sezione IV del 4 febbraio 2003, sentenza n. 566 (vedi: sentenza per esteso)

La partecipazione del privato al procedimento amministrativo - PRG - limiti. Ai sensi dell'art. 13 L. 7 agosto 1990 n. 241, le disposizioni contenute nel capo III della legge medesima - relative alla partecipazione del privato al procedimento amministrativo - non si applicano nei confronti dell'attività della Pubblica amministrazione diretta all'emanazione di alcuni atti, tra cui quelli di pianificazione e programmazione - fra i quali va ovviamente compreso il Piano particolareggiato - per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Consiglio di Stato, Sezione IV del 4 febbraio 2003, sentenza n. 566 (vedi: sentenza per esteso)

Le zone miste di insediamenti produttivi - insediamenti produttivi semplici cioè di carattere generale - il rilascio di autorizzazioni al commercio al dettaglio - il diniego di autorizzazione al commercio - illegittimità - il carattere urbanistico della insistenza dell’immobile. Le zone miste di insediamenti produttivi, di cui all’articolo 33 del PUC di Bolzano, nelle quali il 70% è costituito da insediamenti produttivi semplici cioè di carattere generale, senza distinzioni fra impianti di carattere industriale, artigianale o commerciale, devono essere tenute distinte dalle zone di insediamenti produttivi di interesse generale, cui si riferiscono gli articoli 34 e seguenti della legge provinciale 20 agosto 1972, n. 15, in quanto solo per queste ultime, per le quali il legislatore ha inteso riferirsi a future destinazioni produttive da realizzarsi attraverso piani attuativi, valgono le più rigorose norme per il rilascio di autorizzazioni al commercio al dettaglio, in funzione della prevalente attività di produzione, limitato ai soli generi indicati nell’articolo 35 bis, comma 13, della legge provinciale 20 agosto 1972, n. 15. Pertanto è illegittimo il diniego di autorizzazione al commercio al dettaglio fondato sul solo rilievo di carattere urbanistico della insistenza dell’immobile (cui si riferisce la richiesta di autorizzazione commerciale) in zona mista di insediamenti produttivi. Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 552

Urbanistica e Edilizia - Provvedimento autorizzatorio illegittimo - Reato di cui all'art. 20 L. n. 47/1985 - Configurabilità - Applicabilità delle lettere a), b) o c)- Criteri - Individuazione. In caso di costruzione edilizia realizzata in presenza di atto amministrativo illegittimo ma in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia, si configura il reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, nelle diverse ipotesi di cui alle lettere a), b) e c) in relazione al differente grado di offensività e con riferimento alla distinzione tra difformità totale e parziale e tra opere eseguite in zone soggette o meno a vincolo. Pres. Savignano G - Est. Novarese F - Imp. Tarini V - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 03 Febbraio 2003 (CC.18/12/2002) RV. 223534, Sentenza n. 04877

Vincoli ricadenti su zone di piano regolatore - la funzione dell’asservimento - l’accordo dei privati - “funzioni compatibili”. Con riguardo a vincoli ricadenti su zone di piano regolatore e consistenti nella necessità di osservare certi rapporti, che è stata ammessa, con l’avallo della giurisprudenza, la funzione dell’asservimento (V Sez. 28.6.2000 n. 3637; 26.11.94 n. 1382; 26.1.1993 n. 26; 7.11.1990 n. 766), consistente nell’assoggettamento di altre aree, oltre quella interessata direttamente dal singolo intervento edilizio, ad un vincolo specifico, di modo che l’iniziativa da attuare possa considerarsi rispettosa del vincolo stesso, che viene così salvaguardato dall’insieme delle aree considerate. La delimitazione dell’area complessiva asservita, ove non ostino particolari prescrizioni di piano, deriva, quindi, dall’accordo dei privati. E ciò è quanto si avverato nel caso di specie, nel quale la totale superficie asservita al predetto rapporto, e che consente di concentrare nell’area dell’appellante solo “funzioni compatibili”, deriva dall’adesione prestata secundum legem dai proprietari di altre aree, senza che il rapporto sia stato interamente “saturato”. (Con ricorso si denunciava il contrasto del provvedimento con il piano regolatore generale, per violazione della regola sull’insediamento di funzioni compatibili con quelle industriali ed artigianali, proprie della zona. In specie, la costruzione di un edificio destinato a centro d’intrattenimento, con “multisala cinematografica” e vari servizi (bancari, impianti sportivi, ristorazione, negozi, attività di promozione ed esposizione, ecc.)). Consiglio di Stato, Sez. V - 30 gennaio 2003 - Sentenza n. 469

Urbanistica - Valutazione opera - In genere - Costruzione edilizia - Valutazione unitaria e complessiva dell'opera - Conseguenze sulla prescrizione - L. n. 47/1985. La valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, così che, in virtù del concetto unitario di costruzione, la stessa può dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio; conseguentemente la permanenza del reato di costruzione in difetto di concessione cessa con la realizzazione totale dell'opera in ogni sua parte. (Nella specie la Corte ha disatteso l'eccezione di prescrizione proposta in relazione alla realizzazione di un fabbricato per il quale risultava realizzata in epoca recente la sola copertura, giudicando inammissibile la pretesa del ricorrente di ritenere oggetto di giudizio la sola attività di copertura dell'immobile). Pres. Savignano G - Est. Franco A - Imp. Tucci L - PM. (Parz. Diff.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 29/01/2003 (CC.06/11/2002) RV. 223365 sentenza n. 04048

Urbanistica e edilizia - Costruzione edilizia - Valutazione unitaria e complessiva dell'opera - Conseguenze sulla prescrizione - l. n. 47/1985. La valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, così che, in virtù del concetto unitario di costruzione, la stessa può dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio; conseguentemente la permanenza del reato di costruzione in difetto di concessione cessa con la realizzazione totale dell'opera in ogni sua parte. (Nella specie la Corte ha disatteso l'eccezione di prescrizione proposta in relazione alla realizzazione di un fabbricato per il quale risultava realizzata in epoca recente la sola copertura, giudicando inammissibile la pretesa del ricorrente di ritenere oggetto di giudizio la sola attività di copertura dell'immobile). Vedi: Cass. 1993 n. 01815 riv. 195982. Pres. Savignano Rel Franco A.Imp. Tucci L. P.M. (parz. diff. Iacoviello F.). CASSAZIONE PENALE, Sezione III, 29 gennaio 2003 (C.C. 6/11/2002) Sentenza n. 04048

L’installazione e manutenzione degli impianti pubblicitari e della segnaletica stradale - la diversa disciplina - il Codice della Strada ed il relativo Regolamento di esecuzione - enti proprietari delle strade - il regime autorizzatorio per l’installazione degli impianti pubblicitari - l’affidamento in concessione - scelto in esito ad una procedura di selezione pubblica. Il Codice della Strada (D. Lgs. 30 aprile 1992, n.285) ed il relativo Regolamento di esecuzione (D.P.R. 16 dicembre 1992, n.495) distinguono, in proposito, chiaramente i segnali stradali, previsti dagli art.37 e ss. del Codice, dagli impianti pubblicitari, contemplati dall’art.23, dettando una diversa disciplina per la loro installazione e manutenzione. Mentre, infatti, l’art.37 riserva espressamente agli enti proprietari delle strade e, nel caso di specie, ai Comuni l’apposizione e la manutenzione della segnaletica stradale, tenuto conto dell’evidente funzione pubblica assolta da quest’ultima, l’art.26 detta un regime autorizzatorio per l’installazione degli impianti pubblicitari, attribuendo agli enti proprietari la competenza al rilascio dei titoli necessari. Né tale conclusione appare inficiata dalla disposizione di cui all’art.134 III comma del Regolamento, che contempla la possibilità che i segnali turistici e di territorio vengano installati da soggetti diversi dall’ente proprietario della strada, atteso che tale previsione risulta del tutto compatibile con l’art.37 del Codice, là dove vengono espressamente considerate le ipotesi in cui l’apposizione dei segnali compete ad un soggetto, sempre pubblico, diverso dall’ente proprietario della strada. La disposizione sopra indicata, quindi, non solo non contempla la possibilità di accesso diretto dei privati all’attività considerata, ma conferma la previsione dell’art.37 che riserva all’ente proprietario della strada e, solo in talune ipotesi specifiche, ad altro soggetto pubblico l’installazione e la manutenzione dei segnali stradali. (In specie, è stata rilevata titolarità in capo al Comune di Varallo delle competenze relative all’apposizione ed alla manutenzione della segnaletica stradale in questione comportando la piena legittimità dell’affidamento in concessione ad altro soggetto della gestione del relativo servizio. Premesso, infatti, che tale attività risulta riservata per legge al Comune e, quindi, sottratta all’iniziativa economica privata, non pare configurabile, per mezzo della sua concessione ad un soggetto scelto in esito ad una procedura di selezione pubblica, alcuna lesione alla concorrenza od al diritto d’impresa). Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 466 (vedi: sentenza per esteso)

E’ legittimo il diniego di concessione edilizia motivato per relationem - parere negativo della C.E.C - ragioni ostative di carattere ambientale. Il parere negativo della C.E.C., al quale il comune si conformava, è stato trasmesso dal funzionario responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune all’interessato (e all’autore del progetto). Il Comune, pertanto, ha integralmente ed esattamente ottemperato all’obbligo derivatogli dalla pronuncia del T.A.R., che imponeva solo di motivare il provvedimento di diniego, chiarendo i motivi della rilevata incompatibilità sotto il profilo ambientale del progettato ampliamento dell’edificio, e non certamente di rilasciare la concessione edilizia. Il nuovo atto di diniego adottato dal Comune, infatti, è congruamente motivato, per relationem, con rinvio al nuovo parere dalla C.E.C. (trasmesso all’interessato), ampiamente argomentato sulle ragioni ostative di carattere ambientale al rilascio di un provvedimento favorevole. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 462

Divieto indiscriminato di edificazione - parco pubblico e verde privato - esigenza di asservimento a standards per verde pubblico o servizi. Non è ammissibile un divieto indiscriminato di edificazione in zona D, ma che occorre la verifica in concreto della insufficienza degli standards per servizi e verde pubblico, (Cons. St. Sez. V, n. 784 del 1987). L’area destinata a Zona N (parco pubblico), a seguito dell’accoglimento delle osservazioni della proprietà, con deliberazione del Consiglio comunale, è stata riclassificata Zona B2 (verde privato). In tal modo, come è evidente, risulta superata ogni esigenza di asservimento a standards per verde pubblico o servizi, con implicita conferma dell’insufficiente valutazione della urbanizzazione in atto, derivante dall’accertamento della precedente previsione del prg. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 448

Urbanistica e edilizia - Procedura e varie - Sequestro preventivo di costruzione abusiva ultimata - Ammissibilità - Presupposti. Il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato.  (Innocenti). CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. Un. 29.1.2003, Sentenza n. 2

La formazione dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi - la possibilità di prescrivere un distacco fra edifici che si fronteggino, maggiore rispetto a quello minimo imposto con legge. L'art.9 del d.m. n.1444/1968 non preclude ai comuni, nella formazione dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi, la possibilità di prescrivere un distacco fra edifici che si fronteggino, maggiore rispetto a quello minimo imposto dal decreto (Cass. civ. sez.II, 4 febbraio 1998, n.1132). (Nella specie, l'art.45 del regolamento edilizio definisce, in via generale, la distanza tra gli edifici, precludendo, in tal modo, la diretta applicabilità del citato l'art.9 d.m. n.1444/1968 - Cons. Stato sez.V, 23 maggio 2000, n.2983). In ogni caso, lo stesso art.9 del predetto decreto detta una puntuale disposizione per le zone A), limitatamente alle operazioni di risanamento conservativo e alle eventuali ristrutturazioni; ed, in tal caso, prevede che le distanze tra gli edifici non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti (nella specie, la distanza tra i fabbricati è di circa un metro); diversamente, la distanza minima di dieci metri tra edifici si applica alla realizzazione di nuovi edifici anche in zona omogenea "A". Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 419 (vedi: sentenza per esteso)

La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia - trasformazione urbanistico-edilizia del territorio - modifica dello stato dei luoghi - è irrilevante il materiale utilizzato per realizzare le opere - la trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio - nuova costruzione - ampliamento della costruzione esistente. La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino un trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere che essa avvenga mediante realizzazione d'opere murarie. Infatti, è irrilevante che le opere siano realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, laddove comportino la trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio. Parimenti irrilevante, ai fini della qualificazione dell’opera, è la circostanza che la veranda non sorga su terreno demaniale dato in concessione, ma dietro pagamento al comune di Viareggio della sola occupazione di suolo pubblico. Nella specie, costituisce nuova costruzione, o ampliamento della costruzione esistente, la veranda in questione, in quanto, sotto il profilo strutturale, è stabilmente infissa al suolo, con profondità dalla parete esterna al pilastro di sostegno di mt. 5,20, con dimensioni planimetriche di mt. 7,15 x 5,07 e con un’altezza nella parte superiore di mt. 2,85 e nella parte inferiore di mt. 2,80; e, sotto il profilo funzionale, è preordinata a soddisfare la non precaria esigenza del titolare di un pubblico esercizio (Cons. Stato, sez.V, 20 marzo 2000, n.1507 e 7 ottobre 1996, n.1194; Cass. pen., sez.III, 12 maggio 1995, n.1758 e 6 aprile 1988). Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 419 (vedi: sentenza per esteso)

L’onere di provare l'esistenza di una via pubblica. Il carattere pubblico di una strada attiene, più che alla proprietà del bene, all'uso concreto di esso da parte della collettività. Pertanto, chi agisce in giudizio ha l’onere di provare l'esistenza di una via pubblica, ovvero l’espressa o tacita manifestazione di volontà dell’amministrazione di destinare tale spazio al servizio pubblico, nonché la concreta destinazione del suolo a tale scopo. (Cass. civ. sez.II, 19 dicembre 1996, n.11373). Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 419 (vedi: sentenza per esteso)

Il pagamento di alcuni oneri di attuazione del P.E.E.P. - la comunicazione di un atto di intimazione di pagamento - non rientra nell’ambito di competenza esclusiva dei dirigenti - tale atto può essere adottato anche dal Sindaco - intimazioni di pagamento natura dell’atto - i fatti illeciti e gli atti giuridici in senso stretto. L’adozione e la comunicazione di un atto di intimazione di pagamento (l’articolo 45 del d. lgs. n. 80 del 1998, dell’articolo 3 del d. lgs. n. 29 del 1993 (ora articolo 4 del d. lgs. n. 165 del 2001) ) non rientra nell’ambito di competenza esclusiva dei dirigenti, perché tale atto, in considerazione della sua natura, può essere adottato anche dal Sindaco. Gli atti con i quali il Comune determina gli importi che ritiene dovuti e ne chiede il pagamento agli interessati non hanno, quindi, natura di provvedimenti amministrativi. Va, inoltre, escluso che tali atti possano qualificarsi come negozi giuridici in quanto gli atti di intimazioni di pagamento hanno natura di atti giuridici in senso stretto e possono essere validamente compiuti anche da soggetti legalmente incapaci (da ultimo, Cass., 22 febbraio 2001; Cass., 16 agosto 1993, n. 8711; App. Bologna, 1 gennaio 1999). Non appare, quindi, applicabile alla fattispecie in esame la previsione dell’articolo 4, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per cui “ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’Amministrazione verso l'esterno […]”. Tale disposizione si riferisce, infatti, ai soli atti negoziali ed ai provvedimenti amministrativi, mentre gli atti ed i fatti che non siano riconducibili a tali categorie, come ad esempio i fatti illeciti e gli atti giuridici in senso stretto, possono essere compiuti da qualsiasi soggetto che sia attualmente inserito nell’organizzazione amministrativa e che operi nella qualità di agente o organo dell’Amministrazione. In particolare, il Sindaco di un Comune, nella sua qualifica, può validamente compiere atti di intimazione di pagamento in relazione a crediti vantati dal Comune. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenze nn. 382; 381; 380; 379; 378; 377; 376; 375; 374; 373; 372; 371; 370; 369; 368; 367; 366; 365; 364; 363; 362; 361. Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 383

Urbanistica e edilizia - Trasformazione di balconi, terrazze o altre parti di un preesistente edificio in verande - Natura di pertinenza - Esclusione - Ampliamento del fabbricato preesistente - Concessione edilizia - Necessità - Mancanza - Reato di cui all'art. 20 legge n. 47 del 1985 - Configurabilità. L'attività di trasformazione di balconi, terrazze o altre parti di un preesistente edificio in verande, mediante telai o altri strumenti tecnici idonei ad intercludere stabilmente uno spazio libero, non costituisce realizzazione di una pertinenza, ma, ove assolvente a permanenti finalità abitative, ampliamento del fabbricato, e come tale integrante, in difetto di autorizzazione, il reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47. Pres. Savignano - Est. Piccialli - PM. (Conf.) Geraci - Imp. Macaluso CASSAZIONE PENALE, Sezione III, del 23/01/2003 (UD.28/11/2002), RV. 223295 Sentenza n. 03160

P.r.g. - l’approvazione degli strumenti urbanistici - scelte urbanistiche - limiti al sindacato di legittimità. Le scelte urbanistiche sottese all’approvazione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto in via generale al sindacato di legittimità, salvo che non siano ictu oculi arbitrarie o illogiche o contraddittorie o siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità o siano fondate su un evidente travisamento della realtà (così da ultimo Cons. St., IV, 17 gennaio 2002, n. 250, e 9 luglio 2002, n. 3817). T.A.R. Pescara, 23.01.2003 - sentenza n. 190

PRG - osservazioni presentate dai privati - l’Amministrazione comunale è obbligata a motivarne adeguatamente l’eventuale rigetto - l’onere della motivazione delle scelte urbanistiche. In merito, alle osservazioni presentate dai privati, la giurisprudenza ha in proposito costantemente precisato che con tali osservazioni i privati interessati partecipano in sostanza alla formazione del piano stesso e, pertanto, l’Amministrazione comunale è obbligata a motivarne adeguatamente l’eventuale rigetto, facendo almeno riferimento al fatto che dette osservazioni contrastano con le linee fondamentali del piano regolatore (cfr. Cons. giust. amm. Reg. Sic., 1 febbraio 2001, n. 42); tali osservazioni possono, pertanto, essere legittimamente respinte anche sottolineando che esse sono in contrasto con le regole fondamentali del piano e senza che sia necessario confutarle con dettagli analitici e specifici (Cons. St., IV, 22 maggio 2000, n. 2914). In estrema sintesi, l’onere della motivazione delle scelte urbanistiche incombe sull’Amministrazione solo quando tali scelte incidano in senso peggiorativo su situazioni meritevoli di particolari considerazioni o per la singolarità del sacrificio imposto al privato o per la preesistenza di aspettativa ingenerate in quest’ultimo (così da ultimo Cons. St., IV, 9 luglio 2002, n. 3817). T.A.R. Pescara, 23.01.2003 - sentenza n. 190

Le scelte urbanistiche sottese all’approvazione degli strumenti urbanistici - motivazione - esclusione - relazione di accompagnamento al piano. Le scelte urbanistiche sottese all’approvazione degli strumenti urbanistici non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano contenuti nella relazione di accompagnamento al piano stesso, e ciò specie in considerazione di quanto previsto dall’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, laddove esclude dall’obbligo generale di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale, nel cui novero rientra appunto il piano regolatore; mentre un motivazione puntuale è richiesta solo in particolari ipotesi, quali, ad esempio, il superamento degli standard minimi o quando siano state ingenerate nei privati delle specifiche aspettative (così da ultimo Cons. St., IV, 6 febbraio 2002, n. 664). T.A.R. Pescara, 23.01.2003 - sentenza n. 190

Urbanistica - lottizzazione - incompletezza delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria - necessita' di approvazione di un piano di lottizzazione - superfluita' di indagini dirette ad accertare la consistenza delle opere presenti. Ogni qualvolta l'incompletezza delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria non permetta di qualificare una zona come quartiere stabilizzato e completo, l'edificazione di un complesso residenziale, per il quale il piano regolatore imponga l'approvazione di un piano di lottizzazione, senza averne chiesto l'approvazione, configura la condotta del reato di lottizzazione abusiva, essendo superflua ogni indagine diretta ad accertare la effettiva consistenza delle opere comunque presenti nella zona. Corte di Cassazione Penale Sez. III Del 22/01/2003 (Ud.17/12/2002) Sentenza n. 03074

Urbanistica e edilizia - Ordine di demolizione di opere edilizie abusive - Proposizione di domanda di condono edilizio - Procedura di esecuzione della demolizione - Sospensione per la verifica dei presupposti del condono - Legittimità - L. n. 47/1985. In tema di demolizione di opere edilizie abusive, il giudice dell'esecuzione puo' sospendere il procedimento di esecuzione in presenza dell'avvenuta proposizione di una domanda di condono edilizio al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la applicazione della normativa sul condono edilizio, atteso che in caso di legittimo conseguimento della sanatoria l'ordine di demolizione può essere revocato per incompatibilità con il provvedimento amministrativo. . PRES. Savignano - REL. - Grillo PM. (Conf .) - IMP. Gugliandolo. CASSAZIONE PENALE, Sezione III, del 20/01/2003 (CC.20/11/2002) RV. 223286 Sentenza n. 02406

Urbanistica e edilizia - Ordine di demolizione - acquisizione gratuita del manufatto abusivo al patrimonio comunale - esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell'opera - delibera consiliare. In tema di demolizione di opere edilizie abusive, l'acquisizione gratuita del manufatto abusivo al patrimonio comunale è incompatibile con il provvedimento di demolizione solo se sia stata dichiarata, con la prescritta formalità della delibera consiliare, l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell'opera. PRES. Savignano - REL. - Grillo PM. (Conf .) - IMP. Gugliandolo. CASSAZIONE PENALE, Sezione III, del 20/01/2003 (CC.20/11/2002) RV. 223286 Sentenza n. 02406

Urbanistica e Edilizia - Realizzazione di depositi di merci o di materiali - Trasformazione del territorio - Interventi di nuova costruzione - Mediante realizzazione di depositi di merci o materiali - Individuazione - Art. 3 D. P. R. n. 380/2001. In materia di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, al fine di qualificare come interventi di nuova costruzione, ai sensi dell'art. 3, comma 1 lett e) punto 7, del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) la realizzazione di depositi di merci o di materiali l'entità' del deposito costituisce soltanto indice significativo della stabilita' della occupazione del suolo. Pres. Postiglione A - Est. Novarese F - Imp. Ferretti E - PM. (Conf.) Hinna Danesi F. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 17 Gennaio 2003 (UD.27/11/2002) RV. 223292, Sentenza n. 02125

Urbanistica e edilizia - Concessione "ad aedificandum " illegittima - Potere accertativo del giudice penale di fronte ad un atto amministrativo - Atto concessorio frutto di attivita' criminosa del soggetto titolare del potere - Parificazione ad atto concessorio inesistente - Art. 20 l. n. 47/1985. L'interesse protetto dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47, deve individuarsi nella protezione sostanziale e non meramente formale degli assetti del territorio in conformità alla normativa urbanistica e quindi la contravvenzione di cui all'art. 20 lett. B) della citata legge, che prevede l'assenza dell'atto concessorio, sussiste anche quando l'atto formalmente presente debba intendersi assente perché frutto di comportamento illecito del soggetto titolare del potere di emetterlo. Conf.: Cass. 1995 n. 02378 riv.202581; Cass. 1999 n. 736 riv. 212884; Cass. 1987 n.3 riv.176304; Cass. 1993 n.11935 riv. 195359. Pres. Savignano G - Rel. Vitalone C - PM. (Conf.) Izzo G. - Imp. PM in proc. Pezzella CASSAZIONE PENALE, Sezione III, 16/01/2003 (CC.13/11/2002) Sentenza n. 01708 RV. 223475

Concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato per la conduzione agricola - la mancanza del lotto minimo - la concreta necessità del manufatto ai fini della conduzione agricola del fondo - Commissione edilizia - necessità dell’accertamento - parere sfavorevole espresso dall’Ufficio tecnico comunale - motivazione. Al riguardo è sufficiente rilevare che la mancanza del lotto minimo si giustifica proprio in relazione alla sussistenza di un’effettiva ed obiettiva connessione funzionale dell’opera da realizzare con le esigenze relative alla conduzione del fondo, e tale connessione doveva valutarsi in concreto tenendo conto da una parte delle caratteristiche dell’edificio da costruire e dall’altra delle esigenze agricole da soddisfare. Tale accertamento invece non risulta compiuto dalla Commissione edilizia che si è limitata ad esprimere un generico parere favorevole, sulla cui base poi il sindaco ha rilasciato la concessione edilizia impugnata. Esso invece era necessario anche in considerazione del parere sfavorevole espresso dall’Ufficio tecnico comunale, che si fondava sostanzialmente sulla sproporzione tra la superficie del terreno da coltivare ( circa mq.2000) e l’edificio da realizzare (mq.167), non potendosi considerare a tal fine anche gli ulteriori mq. 8100 del sig Catallo asserviti unicamente ai fini della realizzazione dell’edificio e neppure i mq.1800 del fratello dell’appellante, dei quali non si fa alcun cenno nella relativa pratica edilizia. Né può seguirsi l’appellante sull’irrilevanza del parere dell’Ufficio tecnico comunale in quanto, una volta che si è ritenuto di richiamarne il contenuto nel provvedimento di concessione, per ciò stesso sorgeva il dovere del Sindaco di indicare le ragioni per le quali riteneva di doversene discostare. Non pertinente è poi l’invocazione da parte dell’appellante degli artt. 41 e 44 Cost. per contrastare la decisione del TAR, atteso che l TAR si è limitato a tener conto della normativa urbanistica all’epoca vigente, che peraltro non viene contestata. Consiglio di Stato, V Sezione del 15 gennaio 2003 sentenza n. 156 (vedi: sentenza per esteso)

Risarcimento danni - criteri di liquidazione del quantum - l’onere di specificazione dei motivi di appello - caso di incremento dei costi di costruzione nel tempo trascorso dal diniego illegittimo al rilascio della concessione. Dalla lettura delle poche righe dell’atto di impugnazione dedicate alla censura della determinazione dei criteri di liquidazione del quantum, infatti, non è dato comprendere quali parametri stabiliti dal T.A.R. sono stati contestati dal ricorrente né le ragioni per le quali gi stessi sono stati ritenuti erroneamente dettati, sicchè non risulta assolto l’onere di specificazione dei motivi di appello, per come definito da costante giurisprudenza (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 21 giugno 2001, n.3318). Se, poi, si intendesse leggere la citazione di un precedente asseritamente contrario (Cons. Stato, Sez. VI, 2 giugno 2000, n.3177) come la contestazione del riconoscimento di tutte le voci di danno diverse da quella, accertata nella decisione citata, relativa all’incremento dei costi di costruzione nel tempo trascorso dal diniego illegittimo al rilascio della concessione, è sufficiente rilevare che nel caso di specie l’attività edilizia illecitamente impedita dall’Amministrazione aveva pacificamente finalità commerciali sicchè appare del tutto corretta la determinazione di criteri comprensivi anche del pregiudizio patrimoniale sofferto dalla società odierna appellata in dipendenza del mancato rispetto degli obblighi contrattuali assunti con i promettenti acquirenti e della conseguente perdita di guadagno (costituita dall’omessa, tempestiva alienazione degli immobili). Nello stesso senso: C.d.S., Sez. V, 14/01/2003 n.87. Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 88

I limiti ed il contenuto dell’indagine riservata al Giudice Amministrativo investito di una pretesa risarcitoria fondata, sull’affermata violazione di un interesse pretensivo - jus aedificandi - falso presupposto. Se, invero, risulta astrattamente corretta, ai fini della delibazione della domanda risarcitoria, la prospettazione, contenuta nell’atto d’appello, della necessaria valutazione della spettanza del bene della vita (nella specie l’attività edilizia) connesso all’interesse pretensivo leso dall’azione amministrativa giudicata illegittima (cfr. Cass., SS. UU., n.500/99), l’ammissibilità e la praticabilità di siffatta verifica, ai fini del riconoscimento dell’illecito aquiliano, vanno concretamente controllate con riferimento alla natura, vincolata o meno (e, quindi, surrogabile o meno), dell’azione amministrativa ritenuta illegittima. Ove, infatti, la valutazione sottesa alla determinazione amministrativa assunta come lesiva risulti vincolata, può giudicarsi ammissibile (anzi doverosa), ai fini che qui interessano, la valutazione della concreta idoneità del provvedimento ad impedire il conseguimento del bene della vita, e della connessa utilità economica, effettivamente spettante all’interessato. Là dove, viceversa, l’apprezzamento riservato all’Amministrazione risulti caratterizzato da valutazioni discrezionali, deve reputarsi preclusa al Giudice la delibazione della spettanza del bene della vita correlato all’interesse pretensivo leso (verificandosi, altrimenti, un’inammissibile sostituzione dell’organo giudiziario a quello amministrativo, per legge unicamente competente a compiere quella valutazione), con la conseguenza che in queste ultime ipotesi ci si dovrà riferire a diversi parametri ai fini della verifica della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito e della determinazione del pregiudizio risarcibile. In coerenza con i parametri di giudizio appena descritti, si deve rilevare che nel caso in questione non può in alcun modo dubitarsi della fondatezza della pretesa sostanziale (intesa ad ottenere i titoli necessari all’esercizio dello jus aedificandi) avanzata da “La Pineta” con le istanze di concessione in sanatoria ripetutamente respinte e rifiutate dall’Amministrazione Comunale di Ostuni. Posto, infatti, che l’accertamento giurisdizionale relativo alla compatibilità urbanistica dei progetti presentati dalla società interessata non risulta contestato dall’appellante e che, quindi, la verifica relativa alla spettanza delle concessioni edilizie deve ritenersi definitivamente ed irrevocabilmente acquisita, la contestazione svolta in appello circa la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica, che, in effetti, risulterebbe preclusiva del riconoscimento della spettanza del titolo a costruire in zona vincolata, va disattesa in quanto fondata su un presupposto falso. Nello stesso senso: C.d.S., Sez. V, 14/01/2003 n. 87. Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 88

Natura del provvedimento relativo alla concessione edilizia e quello relativo al nulla osta ambientale - il nulla osta regionale costituisce un mero requisito di efficacia (e non, dunque, un presupposto di legittimità) della concessione edilizia - la legittima esecuzione dell’attività edilizia è condizionata dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. E’ stato, infatti, affermato, con orientamento qui condiviso, che il provvedimento relativo alla concessione edilizia e quello relativo al nulla osta ambientale sono tra loro autonomi ed indipendenti, realizzando interessi distinti e fondandosi su presupposti diversi, e che, quindi, il rilascio della prima non risulta condizionato dalla previa emanazione del secondo (Cons. Stato, Sez. VI, 19 giugno 2001, n.3242). Si è, inoltre, chiarito, in coerenza con il predetto principio, che il nulla osta regionale costituisce un mero requisito di efficacia (e non, dunque, un presupposto di legittimità) della concessione edilizia, nel senso che solo la realizzazione dell’opera assentita con quest’ultima, in zona soggetta a vincolo paesaggistico, postula il previo conseguimento dell’assenso ambientale (Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2000, n.6193). E’solo la legittima esecuzione dell’attività edilizia ad essere condizionata dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, e non anche, come infondatamente sostenuto dal ricorrente, l’adozione della concessione. Diversamente opinando, peraltro, si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza di giudicare illegittima una concessione edilizia espressamente condizionata al conseguimento del nulla osta regionale, quando questo è stato rilasciato prima dell’inizio dei lavori assentiti. Appare, in definitiva, chiaro che, nella situazione appena descritta, risultano compiutamente soddisfatti tutti gli interessi pubblici sottesi alla normativa edilizia ed ambientale di riferimento, puntualmente valutati dagli organi rispettivamente competenti e ritenuti compatibili con l’intervento assentito, e che solo un eventuale diniego di autorizzazione paesaggistica avrebbe potuto fondare un giudizio di inefficacia (non di illegittimità) della concessione edilizia in questione. Va, quindi, negata ogni fondatezza alle censure rivolte contro i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta e la conseguente conferma degli stessi con la sentenza. Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 87

Le questioni della illegittimità del silenzio-rifiuto e della spettanza dei titoli edilizi - provvedimenti del Commissario ad acta - il silenzio giudicato illegittimo - l’enunciazione di specifici motivi. Le questioni della illegittimità del silenzio-rifiuto e della spettanza dei titoli edilizi, sotto il profilo della compatibilità urbanistica dei relativi progetti, si appalesano del tutto indipendenti dalle contestazioni rivolte contro il capo della conferma dei provvedimenti del Commissario ad acta e contro quello di condanna al risarcimento dei danni e che, nei riguardi delle parti della motivazione con cui il silenzio è stato giudicato illegittimo e le concessioni edilizie sono state ritenute atti dovuti, in quanto compatibili con il P.R.G., non risulta formulata alcuna specifica critica nell’atto di appello, gli anzidetti capi della decisione impugnata devono ritenersi passati in giudicato o, comunque, estranei al thema decidendum dell’appello, circoscritto, come noto, alla cognizione delle questioni dedotte dall’appellante mediante l’enunciazione di specifici motivi (Cons. Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001, n.4077). Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 87

Conformità alla normativa urbanistica - concessione "ad aedificandum " illegittima - potere accertativo del giudice penale di fronte ad un atto amministrativo - atto concessorio frutto di attivita' criminosa del soggetto titolare del potere - parificazione ad atto concessorio inesistente. L'interesse protetto dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47, deve individuarsi nella protezione sostanziale e non meramente formale degli assetti del territorio in conformità alla normativa urbanistica e quindi la contravvenzione di cui all'art. 20 lett. B) della citata legge, che prevede l'assenza dell'atto concessorio, sussiste anche quando l'atto formalmente presente debba intendersi assente perché frutto di comportamento illecito del soggetto titolare del potere di emetterlo. Conforme: Cass. 1995 n. 02378; Cass. 1999 n. 00736; Cass. 1987 n. 00003; Cass.1993 n. 11935. Corte di Cassazione Penale Sez. III, del 16/01/2003 (CC.13/11/2002), Sentenza n. 01708

La convenzione di lottizzazione - ricorso agli strumenti di tutela in caso di invalidità del contratto - oneri di urbanizzazione - nullità della clausola - discrezionalità del Comune e la previsione della legge. E’ innegabile che la convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa ricostruzione, e tuttavia la giurisprudenza è concorde nel ritenere che esso rappresenti l’incontro di volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale retta dal codice civile. Tale assunto conserva validità anche nelle ipotesi, come quella qui in esame, nella quale alcuni contenuti dell’accordo vengono proposti dall’Amministrazione in termini non modificabili dal privato. La circostanza non esclude che la parte che abbia sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto, abbia inteso aderirvi e ne resti vincolata, salvo il ricorso agli strumenti di tutela in caso di invalidità del contratto. Il diverso argomento con il quale si sostiene che la cessione convenuta, in quanto aggiuntiva rispetto agli oneri di urbanizzazione, riferiti ad opere e servizi menzionati dalla normativa, sia non consentita, con conseguente nullità della clausola, urta contro i due dati oggettivi posti in evidenza dalla sentenza appellata. Il primo, la indeterminatezza quantitativa degli oneri di urbanizzazione a mente dell’art. 28 legge urbanistica, che lascia un indubbio margine al Comune di commisurarne in concreto l’entità, secondo le peculiarità della lottizzazione. Il secondo, la finalizzazione alle esigenze di urbanizzazione dell’area, che caratterizza le prestazioni esplicitamente previste dall’art. 28, si riscontra anche nella prestazione aggiuntiva contemplata dalla convenzione, la quale pertanto, è sorretta dalla medesima causa meritevole di tutela secondo la previsione della legge. Consiglio di Stato, Sezione V, del 10 gennaio 2003 sentenza n. 33 (vedi: sentenza per esteso)

Pagamento delle opere di urbanizzazione - il dovere di agire secondo correttezza e buona fede. Il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore ma che in relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione del debitore (Cass. 5 novembre 1999 n. 12310). Non è perciò sufficiente sostenere, così come ha fatto il primo giudice, che nessun obbligo normativamente previsto era posto a carico del creditore nel caso di specie, ma si deve indagare se nell’esercizio dell’obbligo di cooperare con il debitore per il puntuale adempimento dell’obbligazione il creditore non abbia omesso atti e comportamenti che, senza essere particolarmente disagevoli, potevano tuttavia rendere meno gravosa la posizione del debitore. In proposito si deve aggiungere che il comportamento complessivo delle parti secondo buona fede costituisce una fonte di integrazione degli obblighi delle parti stesse (Cass. 8 febbraio 1999 n. 1078). Consiglio di Stato Sezione V del 10 gennaio 2003 sentenza n. 32 (vedi: sentenza per esteso)

Pagamento delle opere di urbanizzazione - l’obbligo di escutere il fideiussore - la posizione creditoria del Comune. Nessun valore ha, il richiamo alla automaticità della applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: una volta che si sia accertato che non vi è stato inadempimento imputabile all’obbligato l’art. 3 in questione non è applicabile “tout-court”. Inconferenti sono, altresì, i richiami contenuti nella sentenza appellata al regime delle obbligazioni tributarie che corrispondono, come è noto, a principi propri ed esclusivi del regime fiscale, tipicamente a fattispecie esclusiva, validi solo nell’ambito del regime stesso. Nè, infine, ha pregio, sostenere che imponendo al creditore nel caso di specie l’obbligo di escutere il fideiussore si eluderebbe l’obiettivo della legge e si vanificherebbe l’apparato sanzionatorio del citato art. 3 della legge 47/1985. E’ evidente, infatti, che il pagamento da parte del fideiussore degli oneri dovuti se soddisfa il Comune creditore non libera il soggetto garantito nel rapporto interno con il garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo cui, di norma, il garantito deve poi rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione. In ogni caso, non sussiste alcun apprezzabile interesse pubblico a limitare la autonomia delle parti del contratto di fideiussione a convenire un regolamento di interessi che consenta, secondo la causa tipica di tale contratto, una più sicura soddisfazione della posizione creditoria del Comune. Consiglio di Stato Sezione V del 10 gennaio 2003 sentenza n. 32 (vedi: sentenza per esteso)

La punibilità dei reati urbanistici con l’entrata in vigore del DPR 380/2001 e l’abrogazione della legge 47/85 - fase transitoria - esclusione della "abolitio criminis". Nel sistema dell'art. 2 del codice penale ciò che fa venir meno la punibilità non è che la norma incriminatrice sia stata formalmente abrogata, bensì che la legge sopravvenuta non preveda più il fatto come reato. Così, testualmente, il secondo comma: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato». E allo stesso modo il terzo comma: «Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo». E' evidente che nel sistema dell'art. 2 del codice penale non ha rilevanza il fatto formale della successione di leggi nel tempo, bensì che le leggi di volta in volta succedutesi dispongano diversamente l'una dall'altra. Se la legge penale anteriore viene abrogata per effetto di una legge sopravvenuta, ma quest'ultima ne riproduce il contenuto (non necessariamente con le stesse parole), non viene meno la punibilità. Ora, sta di fatto che l'art. 7 della legge n. 47/85 è pedissequamente riprodotto dal testo dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (quanto meno per la parte che qui interessa). Ne consegue che, al di là di ogni anche pregevole disquisizione sui rapporti fra legge e testo unico, ed anche se si fosse in presenza di due (o più) leggi ordinarie succedutesi nel tempo, la sostanziale identità e continuità del contenuto dispositivo esclude che si possa invocare la "abolitio criminis". T.A.R. Umbria, sentenza 10 gennaio 2003, n. 15 (vedi: sentenza per esteso)

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