AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


   Dottrina LegislazioneGiurisprudenzaConsulenza On Line

AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © AmbienteDiritto.it

Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562

Giurisprudenza

 

 

Inquinamento

Danno ambientale

Associazioni e comitati

 

2004 - 2003 - 2002 -2001 - 2000-88

 

 

Si veda anche: acqua e aria - elettrosmog - agricoltura - consumatori - giurisprudenza

 

Gli aggiornamenti successivi

 

sono reperibili sul nuovo sito della rivista AmbienteDiritto.it

 

Vedi sullo stesso argomento le massime degli anni

2011 - 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 - 2000-88
(N.B.: queste pagine continueranno ad essere aggiornate)

 

  <

Informazioni per la pubblicità su AmbienteDiritto.it

 



Inquinamento - Messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale - Art. 17 d.lgs. 22/97 - Art. 8 D.M. 471/1999 - Proprietario dell’area inquinata - Notifica della diffida - Finalità - Privilegio speciale immobiliare - Effettiva verifica dell’inquinamento. L’art. 17 del d. lgs. n. 22 del 1997, nel disciplinare la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, pone l’obbligo dei relativi interventi a carico dei responsabili dell’inquinamento (comma 2), demandandone al Comune la realizzazione d’ufficio, ove i responsabili non provvedano o non siano individuabili (comma 9). Nondimeno, la stessa disposizione prevede che tali interventi costituiscano onere reale sulle aree inquinate (comma 10) e che la relativa spesa è assistita da privilegio speciale immobiliare sulle aree stesse, oltre che da privilegio generale mobiliare (comma 11). Il proprietario, ove non sia responsabile dell’inquinamento, ha non tanto l’obbligo, quanto piuttosto l’onere di provvedere agli interventi di bonifica, se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area come onere reale e privilegio speciale immobiliare (cfr. Cons. St., sez. VI, 5/9/2005, n. 4525). In applicazione di tali prescrizioni, l’art. 8, co. 2 e 3, del regolamento attuativo, approvato con il decreto ministeriale n. 471 del 1999, prevede che la diffida ad eseguire i necessari interventi sia rivolta al responsabile dell’inquinamento e venga altresì notificata anche al proprietario del sito, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17, co. 10 e 11, del d. lgs. n. 22 del 1997. Tali effetti, tuttavia, diventano concretamente operativi in quanto l’inquinamento sia effettivamente verificato. Pres. Coraggio, Est, Donarono - B. s.r.l. (Avv. Parrella e Parrella) c. Commissario di Governo per l’Emergenza rifiuti, bonifica e tutela delle acque nella Regione Campania (Avv. Stato) e altro (n.c.) - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 12 dicembre 2005, n. 20141

Inquinamento - Bonifica - D.M. 471/999 - Destinazioni urbanistiche - Difetto di pianificazione - Imposizione del rispetto dei soli criteri di cui alla Tab. 1, colonna A, all. 1 - Illegittimità - Livelli differenziati di bonifica in relazione all’uso del territorio. In difetto delle dettagliate prescrizioni urbanistiche necessarie per stabilire, con le puntuali destinazioni, il grado di bonifica da effettuare in un’area, è arbitraria l’imposizione della modalità più onerosa di bonifica di cui alla Tab. 1, colonna A, dell’allegato 1 del D.M. 471/99: tale imposizione si risolve di fatto in un’elusione del citato d.m., per la parte in cui vi si prevedono livelli differenziati di bonifica in relazione all’uso del territorio. Pres. Zuballi, Est. Gabricci - S. s.p.a. (Avv. Dell’Anno) c. Comune di Venezia (Avv.ti Morino e Iannotta) e altri (n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez. III - 14 dicembre 2005, n. 4242 (vedi: sentenza per esteso)

Procedure e varie - Persona giuridica - Legittimazione processuale - Inesistenza di un rapporto organico - Onere probatorio - Fattispecie: persona giuridica. L’onere probatorio in tema di legittimazione processuale (qualità di organo della persona giuridica, nel caso di specie) non grava su chi agisce in giudizio, ma l’inesistenza di un rapporto organico va provata da chi la eccepisce (Cons. St. VI Sez. 5 marzo 1986, n. 231; Cass. 2 aprile 2002, n. 4627). Pres. Iannotta - Est. Farina - Comune di Modugno (avv. Menchise) ed altri c. S.p.a. Tersan Puglia & Sud Italia (avv. Paccione) ed altri (conferma TAR Puglia - sede di Bari, Sez. III, n. 4676/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 novembre 2005 (c.c. 21/06/2005), Sentenza n. 6201 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Urbanistica e edilizia - Industria insalubre di prima classe - Spostamento dell’azienda - Modifica della destinazione urbanistica di un’area - Normativa sanitaria - Variante generale del PRG - Legittimità. Non è riscontrabile violazione della normativa sanitaria nella variante generale del p.r.g. di modifica della destinazione urbanistica (con classificazione residenziale) di un’area ove ha sede uno stabilimento di produzione chimica, classificato come industria insalubre di prima classe, qualora sia stata precedentemente concordata, in maniera consensuale, la delocalizzazione dell’impianto. La qualificazione residenziale della zona è consentita infatti dalla previsione di delocalizzazione dello stabilimento. Pres. Patroni Griffi - Est. Mele - Hichem Pharma S.p.A. (avv.ti Sorrentino e Bucello) c. Comune di Marudo (avv. Ferrari) ed altri (conferma TAR Lombardia, sez. II, n. 4623 del 23 giugno 2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 27 ottobre 2005 (c.c. 5 luglio 2005), sentenza n. 6052 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Circolazione - S.U.V. - Comune di Firenze - Zona a Traffico Limitato - Divieto di circolazione - Legittimità - Competenza del Sindaco - Sussistenza. Il Codice della Strada, che individua nel Sindaco, quale organo di Governo, la competenza in materia di limitazioni alla circolazione, è successivo all'introduzione per la prima volta nell'ordinamento degli enti locali del principio di separazione tra attività politica o di governo e attività di gestione (L. n. 142/90); quale norma speciale, ben può il codice della strada resistere alla legislazione generale successiva di cui al T.U. n. 267/2000 e d.lgs. n. 165/2001. D'altra parte, (Cons.Stato, sez. II, 2 aprile 2003, parere n. 1661) anche a voler considerare ormai rimesse "di norma" alla competenza della dirigenza amministartiva le misure di regolazione, disciplina e controllo della circolazione stradale, che l’art. 7 del codice della strada attribuisce al Sindaco, restano salve quelle di maggior impatto sull’intera collettività locale, per le quali la legge prevede l’intervento di un organo politico E' pertanto legittima l'ordinanza sindacale emanata per limitare l'accesso di veicoli definiti "S.U.V." nella Zona a Traffico Limitato del Comune di Firenze. Pres. Lazzeri, Est. Colombati - A. s.p.a. e altri (Avv.ti Pallottino e Grilli) c. Comune di Firenze (Avv.ti Visciola e Sansoni) - T.A.R. TOSCANA, Sez. III - 24 ottobre 2005, n. 5219 (vedi: sentenza per esteso)

Energia - L. 239 del 23 agosto 2004 - Riordino del settore energetico - Norme incostituzionali - Intesa Stato Regioni Province. Sono costituzionalmente illegittimi: 1) l’art. 1-ter, comma 2, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), quale convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2003, n. 290, nella parte in cui non dispone che il potere del Ministro delle attività produttive di emanare «gli indirizzi per lo sviluppo delle reti nazionali di trasporto di energia elettrica e di gas naturale» sia esercitato d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali); 2) l’art. 1, comma 4, lettera f), della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), limitatamente alle parole «con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili»; 3) l’art. 1, comma 7, lettera g), della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui non prevede che «l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti» da parte dello Stato avvenga d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281; 4) l’art. 1, comma 7, lettera h), della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui non prevede che «la programmazione di grandi reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti» da parte dello Stato avvenga d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281; 5) l’art. 1, comma 7, lettera i), della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui non prevede che «l’individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici» da parte dello Stato avvenga d’intesa con le Regioni e le Province autonome interessate; 6) l’art. 1, comma 8, lettera a), punto 3, della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui non prevede che «l’approvazione degli indirizzi di sviluppo della rete di trasmissione nazionale» da parte dello Stato avvenga d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281; 7) l’art. 1, comma 8, lettera a), punto 7, della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui prevede che «la definizione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell’energia elettrica e per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW» da parte dello Stato debba avvenire «sentita la Conferenza unificata», anziché «previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281»; 8) l’art. 1, comma 8, lettera b), punto 3, della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui non prevede che «le determinazioni inerenti lo stoccaggio di gas naturale in giacimento» siano assunte dallo Stato d’intesa con le Regioni e le Province autonome direttamente interessate; 9) l’art. 1, comma 24, lettera a), della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui, sostituendo il comma 2 dell’art. 1-ter del decreto-legge n. 239 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003, non dispone che il potere del Ministro delle attività produttive di emanare «gli indirizzi per lo sviluppo delle reti nazionali di trasporto di energia elettrica e di gas naturale» sia esercitato d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281; 10) l’art. 1, comma 26, della legge n. 239 del 2004, nella parte in cui introduce il comma 4-bis nell’art. 1-sexies, del decreto-legge n. 239 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003; 11) l’art. 1, comma 84, della legge n. 239 del 2004, limitatamente alle parole «la mancata sottoscrizione degli accordi non costituisce motivo per la sospensione dei lavori necessari per la messa in produzione dei giacimenti di idrocarburi o per il rinvio dell’inizio della coltivazione». Pres. Capotosti, Red. de Siervo - Regione Toscana (Avv. Lorenzoni) e Provincia Autonoma di Trento (Avv. Falcon) c. Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato) - CORTE COSTITUZIONALE, 14 ottobre 2005 (ud. 11 ottobre 2005), n. 383 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Associazioni ambientaliste - Tutela degli interessi ambientali - Interessi urbanistici - Legittimazione a ricorrere avverso atti urbanistici lesivi di valori ambientali - Fondamento. Alle associazioni ambientaliste, alle quali spetta propriamente la tutela degli interessi ambientali e non già di quelli urbanistici, non può essere negata la legittimazione a ricorrere avverso atti che, pur incidendo direttamente nel contesto urbanistico, siano lesivi dei valori ambientali. D’altronde è sempre più difficile, se non quasi impossibile, individuare e separare nettamente le questioni urbanistiche da quelle ambientali, dovendosi peraltro evitare che le relative opzioni ermeneutiche possano comportare la violazione dei principi costituzionali in tema di diritto di difesa, sindacato sugli atti della pubblica amministrazione e di tutela degli interessi ambientali. Pres. f.f. ed Est. Saltelli - Comune di Porto Cesareo (Avv. Congedo) c. Associazione Legambiente, Comitato regionale pugliese (Avv. Carruba) riun. ad altro - (Conferma T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, n. 2580/2004) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 30 settembre 2005 (c.c. 19 gennaio 2005), n. 5205

Inquinamento - Industrie insalubri - Urbanistica e edilizia - Cambio di destinazione d'uso di locali residenziali ad artigianali adibiti a tipografia - Illegittimità. Non è legittimo il cambio di destinazione d'uso di locali residenziali ad artigianali adibiti a tipografia, poiché le tipografie rientrano nell'elenco delle industrie insalubri di cui al D.M. 19.11.1981 (al n. 241 dell'elenco delle industrie insalubri di 1.a classe le tipografie con rotative e al n. 76 dell'elenco delle industrie insalubri di 2.a classe di tipografie senza rotative). In specie, l’art. 216 T.U. 1265/1934 esclude la possibilità di impiantare nelle zone residenziali attività che siano classificate insalubri, cioè che rientrino o nell'elenco delle industrie insalubri di prima classe (salvo l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele il cui esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato) o nell'elenco delle industrie insalubri di seconda classe. Pres. Santoro - Est. Lamberti - Boscariol ed altro (avv.ti Gambato e Vitucci) c. Socal ed altri (avv ti Ronfini e Verino), (conferma T.A.R. Veneto, Venezia, Sezione II, 31 marzo 2003, n. 2165).CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 23 settembre 2005, (C.C.5/04/2005), Sentenza n. 5033 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale - Decisione quadro del Consiglio 2003/80/GAI - Violazione dell’art. 47 UE - Annullamento. La decisione quadro del Consiglio 27 gennaio 2003, 2003/80/GAI, relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, sconfinando nelle competenze che l’art. 175 CE attribuisce alla Comunità, viola nel suo insieme, data la sua indivisibilità, l’art. 47 UE. Essa è pertanto annullata. Pres. Skouris, Rel. Schintgen - Commissione delle Comunità Europee c. Consiglio dell’unione Europea - CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Grande Sezione - 13 settembre 2005 , Causa C-176/03 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - L. 93/2001 - Disposizioni in campo ambientale - Bastoncini per la pulizia delle orecchie - Divieto di vendita per i bastoncini non fabbricati in materiale biodegradabile - Costituisce regola tecnica - Necessità di preventiva comunicazione alla Commissione - Omessa notifica - Giudice nazionale - Disapplicazione. L’art. 1, punto 11, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, quale modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE, dev’essere interpretato nel senso che una disposizione legislativa nazionale quale quella di cui all’art. 19 della legge 23 marzo 2001, n. 93, disposizioni in campo ambientale, costituisce una regola tecnica, in quanto essa comporta un divieto di porre in vendita bastoncini per la pulizia delle orecchie non fabbricati con l’impiego di materiale biodegradabile come richiesto da una disposizione nazionale. L’art. 8, n. 1, primo comma, della direttiva 98/34, quale modificata dalla direttiva 98/48, dev’essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che costituisce una regola tecnica, quale quella di cui all’art. 19 della legge 23 marzo 2001, n. 93, dev’essere notificata alla Commissione delle Comunità europee prima della sua adozione. L’art. 8, n. 1, primo comma, della direttiva 98/34, quale modificata dalla direttiva 98/48, dev’essere interpretato nel senso che è compito del giudice nazionale disapplicare una disposizione del diritto nazionale che costituisce una regola tecnica, quale quella di cui all’art. 19 della legge 23 marzo 2001, n. 93, una volta accertato che essa non è stata notificata alla Commissione delle Comunità europee prima della sua adozione. Pres. de Lapuerta, Rel. Gulmann - pronuncia pregiudiziale Tribunale di Voghera, Lidl c. Comune di Stradella - CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. V - 8 settembre 2005 , Proc. C-303/04

Inquinamento - Impianto industriale - Progetto - Impugnazione - Legittimazione - Dimostrazione della concreta pericolosità dell’impianto - Necessità - Esclusione. La legittimazione processuale attiva del Comune avverso gli atti autorizzativi della realizzazione di un impianto industriale, non si può subordinare alla dimostrazione della concreta pericolosità dell'impianto stesso, dovendosi reputare sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle vicinanze (cfr. Cons. Stato, VI, 5.12.2002, n. 6657). Ciò, in quanto la questione della concreta pericolosità dell'impianto, valutata alla luce dei parametri normativi, è questione di merito, mentre, al fine di radicare la legittimazione e l'interesse ad impugnare è sufficiente la prospettazione di temuti effetti nocivi sul territorio. Pres. Giulia, Est. Quiligotti - Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro - T.A.R. LAZIO, Sez. II bis - 5 luglio 2005, n. 5481 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Energia - D.L: 7/2/2002 - Previa intesa in sede di conferenza Stato-Regioni - Acquisizione relativamente ad ogni singolo progetto - Non è richiesta. La previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni non costituisce una fase interna al singolo procedimento autorizzatorio e pertanto non deve essere acquisita relativamente ad ogni singolo progetto di costruzione o di ammodernamento delle centrali elettriche di cui al D.L. n. 7 del 7.2.2002, ma ha la funzione esclusiva di fissare i criteri generali di valutazione dei progetti presentati ai sensi della citata normativa. Pres. Giulia, Est. Quiligotti - Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro - T.A.R. LAZIO, Sez. II bis - 5 luglio 2005, n. 5481 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Energia - D.L. 7/2/2002 - Interventi di modifica degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW - Procedimento autorizzatorio - Amministrazioni interessate - Comuni limitrofi - Non rientrano - Fattispecie: conversione a carbone centrale ENEL di Civitavecchia. Il D.L. n. 7 del 7.2.2002, nel testo modificato in sede di conversione con la L. n. 55/2002, ha introdotto una normativa speciale derogatoria delle ordinarie competenze amministrative nella materia. Esso, all’art. 1, c. 3, ha individuato, tra i soggetti da coinvolgere nell’espletamento della Conferenza di servizi, il Comune nel cui territorio devono essere realizzate le opere previste in progetto, nonché la provincia interessata, individuata sulla base del medesimo criterio territoriale. Gli interessi delle popolazioni residenti nei territori dei Comuni limitrofi a quello nel cui territorio ricadono le opere, sono stati ritenuti adeguatamente tutelati dalla partecipazione di Provincia e Regione. La locuzione “Amministrazioni interessate” di cui all’articolo 1, comma 2, non può pertanto legittimamente estendersi ai comuni limitrofi. (Fattispecie relativa alla conversione a carbone della centrale elettrica ENEL di Civitavecchia, la cui ricaduta di emissioni inquinanti, secondo la prospettazione attorea, avrebbe inevitabilmente interessato il territorio dei comuni limitrofi) Pres. Giulia, Est. Quiligotti - Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro - T.A.R. LAZIO, Sez. II bis - 5 luglio 2005, n. 5481 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Rifiuti - Bonifica di un sito inquinato - Divieto di coltivazione di un’area adibita a vegetali destinati all’alimentazione umana od animale - Interdizione dell’uso agricolo del suolo fino al completamento dell’intervento di bonifica - Legittimità - Sussiste - Principio di precauzione. In tema di bonifica di un sito inquinato, è legittimo fino al completamento dell’intervento di bonifica e di ripristino ambientale il divieto di coltivazione di un’area adibita a vegetali destinati all’alimentazione umana od animale. In questi casi anche il “sospetto d’inquinamento” è più che sufficiente per l’interdizione dell’uso agricolo del suolo. Nella specie, correttamente il Comune ha ritenuto che la nota dell’ARPAP fosse sufficiente ai sensi dell’art. 50, comma 5, del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per l’irrogazione dei divieti temporanei di coltivazione e di commercializzazione dei prodotti vegetali provenienti dall’area di proprietà degli appellati. Pres. Santoro - Est. Carlotti - COMUNE DI VERCELLI (avv.ti Szegö e Contaldi) c. VARESE ed altri (avv.ti Manzi e Enoch) (riforma T. A. R. Piemonte, sez. II sentenza n. 822 del 17.4.2003/3.6.2003). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 1 luglio 2005, (C.C. 28/01/2005), Sentenza n. 3677 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Rifiuti - Art. 17 D. lgs. 22/97 - Interventi di bonifica e ripristino ambientale - Proprietario dell’area - Costituzione di onere reale - Responsabilità solidale con l’autore dell’inquinamento - Va esclusa. Gli interventi di bonifica e ripristino ambientale di cui all’art. 17 del D. Lgs. 22/97 vanno ordinati al solo responsabile dell’inquinamento; nei confronti del proprietario, cui va notificato il provvedimento, l'obbligo di bonifica configura un "onere reale" (art. 17. cc. 10 e 11) sulle aree inquinate, che, in quanto tale, grava sui beni direttamente e li segue indipendentemente dalla responsabilità patrimoniale generica del debitore della prestazione: le spese effettuate eventualmente d'ufficio dal Comune per interventi di bonifica, cui l'obbligato non abbia provveduto, sono assistite da privilegio speciale immobiliare e generale mobiliare. Tale regime normativo non comporta una obbligazione solidale del proprietario del terreno con il terzo che ha causato l’inquinamento. Pres.f.f. Potenza, Est. Spiezia - C.A. (Avv. Tamburini) c. Comune di Barberino in Mugello (Avv. Padoa), Provincia di Firenze (Avv.ti Maceri, Possenti e Gualtieri) - T.A.R. TOSCANA, sez. II - 16 giugno 2005, n. 2859

Inquinamento - Amianto - Canna fumaria - Presenza di amianto - Proprietario o utilizzatore del manufatto - Interventi di bonifica e controllo - D.M. 06/09/94 e L.257/92. La circostanza della riscontrata presenza di amianto in una canna fumaria impone per ciò solo al proprietario o all’utilizzatore del manufatto l’attuazione degli interventi di bonifica e di controllo previsti dalla normativa tecnica di settore (D.M. 06/09/94 e L. n. 257/92), e segnatamente di una idonea valutazione del rischio finalizzata ad accertare lo stato di integrità del manufatto e le condizioni di uso dello stesso, nonché la designazione di una figura di responsabile del controllo e coordinamento di tutte le necessarie attività manutentive. Pres. Fedullo, Est. Grasso - S.C. (Avv.ti M. e B. Altieri) c. Comune di Strani (n.c.) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 1 giugno 2005, n. 884

Amianto - Situazione di pericolo - Ordinanza contingibile e urgente - Inibizione di un’attività produttiva - Legittimità. La situazione di pericolosità per la salute degli individui determinata dalla presenza di amianto costituisce idonea giustificazione per l’adozione di ordinanza contingibile e urgente con la quale venga inibita un’attività economica, alla luce del preminente valore della tutela dell’ambiente e della salute. Pres. Fedullo, Est. Grasso - S.C. (Avv.ti M. e B. Altieri) c. Comune di Strani (n.c.) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. I - 1 giugno 2005, n. 884

Inquinamento - Ordinanza di bonifica e messa in sicurezza - Natura - Competenza - Dirigente - Artt. 17 d. lgs. 22/97 e 8 d.m. 471/99. L’ordinanza di bonifica e messa in sicurezza di un’area non è qualificabile come espressione del potere ordinatorio di cui all’art. 50 del d. lgs. 267/00, ma di quello specificamente previsto dall’art. 17 del d. lgs. 22/97, nonché dall’art. 8 del d.m. 471/99; la sua emissione spetta pertanto al dirigente competente per settore e non al sindaco. Pres. Zuballi, Est. Gabbricci - P. s.r.l. (Avv.ti Gastaldello, Licata e Sartori) c. Comune di Cerea (Avv.ti Sala e Zambelli), riun. ad altri - T.A.R. VENETO, Sez. III - 25 maggio 2005, Sentenza n. 2174 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale - Art. 17 d. lgs. 22/97 - Ordinanza - Proprietario dell’aera - responsabilità oggettiva - Esclusione - Notifica del provvedimento - Finalità - Istituzione dell’onere reale di cui dell’art. 17, cc. 10 e 11 d. lgs. 22/97. Gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e di ripristino ambientale, devono essere posti a carico dei “responsabili”, cioè di coloro che, con la loro condotta commissiva od omissiva, abbiano causato, o concorso a causare, il superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione ambientale, in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti. Conseguentemente, l’Amministrazione non può imporre lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento ex art. 17 del d. lgs. 22/97ai proprietari di aree inquinate che non hanno alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene. Il provvedimento di ripristino va tuttavia notificato al proprietario per gli effetti dell’articolo 17, commi X e XI, del d. lgs. 22/97, e, cioè, per costituire sulle aree inquinate un onere reale ed un privilegio speciale, segnatamente per le spese di ripristino affrontate dall’Amministrazione qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili. Pres. Zuballi, Est. Gabbricci - P. s.r.l. (Avv.ti Gastaldello, Licata e Sartori) c. Comune di Cerea (Avv.ti Sala e Zambelli), riun. ad altri - T.A.R. VENETO, Sez. III - 25 maggio 2005, Sentenza n. 2174 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Ordinanza di bonifica e messa in sicurezza - Descrizione dettagliata degli interventi - Necessità - Esclusione. Per la validità di un’ordinanza di bonifica e messa in sicurezza è sufficiente l’indicazione del tipo di contaminazione accertata, della sua presunta causa, degli obiettivi da perseguire, e dei caratteri salienti degli interventi necessari per raggiungerli. Non è necessario che questi ultimi siano descritti dettagliatamente, atteso che la fase esecutiva appartiene all’autonomia ed alla responsabilità dell’obbligato. Pres. Zuballi, Est. Gabbricci - P. s.r.l. (Avv.ti Gastaldello, Licata e Sartori) c. Comune di Cerea (Avv.ti Sala e Zambelli), riun. ad altri - T.A.R. VENETO, Sez. III - 25 maggio 2005, Sentenza n. 2174 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Ordinanza di bonifica e messa in sicurezza - Diretta nei confronti di alcuni soltanto dei responsabili dell’inquinamento - Legittimità. L’ordinanza che determina gli interventi di bonifica e messa in sicurezza non è illegittima solo perché li pone a carico di una parte soltanto dei soggetti astrattamente responsabili secondo le prescrizioni di legge. Invero, le disposizioni applicabili non stabiliscono affatto un simile onere per l’Amministrazione competente, giacché si riferiscono genericamente ai responsabili, e mostrano comunque di assegnare rilievo prevalente all’interesse generale alla realizzazione degli interventi; d’altro canto, ciascun responsabile ha titolo ad agire in regresso per il parziale recupero delle spese affrontate nei confronti degli altri soggetti, la cui condotta ha concorso a cagionare ovvero ad aggravare la contaminazione ambientale. Pres. Zuballi, Est. Gabbricci - P. s.r.l. (Avv.ti Gastaldello, Licata e Sartori) c. Comune di Cerea (Avv.ti Sala e Zambelli), riun. ad altri - T.A.R. VENETO, Sez. III - 25 maggio 2005, Sentenza n. 2174 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Siti contaminati - Onere reale ex art. 17 d.lgs. 22/97 - Domanda di accertamento negativo - Giurisdizione del giudice amministrativo - Esclusione. La domanda di accertamento negativo dei vincoli reali al diritto di proprietà ex art. 17, cc, 10 e 11 del d. lgs. 22/97 è estranea alla giurisdizione del giudice amministrativo, stante la natura della posizione soggettiva costituita dal diritto di proprietà dell’area che non è degradata ad interesse legittimo dai provvedimenti di esecuzione d’ufficio degli interventi di bonifica e messa in sicurezza, assistiti da onere reale sull’area interessata. Pres. Zuballi, Est. Gabbricci - P. s.r.l. (Avv.ti Gastaldello, Licata e Sartori) c. Comune di Cerea (Avv.ti Sala e Zambelli), riun. ad altri - T.A.R. VENETO, Sez. III - 25 maggio 2005, Sentenza n. 2174 (vedi: sentenza per esteso)

Associazioni e comitati - Associazioni ambientaliste - Articolazioni locali - Legittimazione ad agire in giudizio - Sussistenza - Artt. 13 e18 L. n. 349/86. Le sezioni locali delle associazioni di tutela ambientale sono legittimate ad agire in giudizio, giacchè le disposizioni di cui agli artt. 13 e 18 della L. n. 349/86 riconoscono in via generale tale legittimazione senza distinguere tra le varie articolazioni dell’associazione, che deve pertanto ritenersi facultata a regolamentare in concreto la propria capacità di stare in giudizio; sarebbe ingiustificatamente restrittiva un’interpretazione che, imponendo all’associazione limiti non previsti dal dettato normativo quanto alla facoltà statutaria di organizzarsi sul territorio, richiedesse sempre e comunque l’intervento degli organi centrali per l’esercizio in concreto di tale legittimazione. Pres. Adamo, Est. Giamportone - C. e altri e Legambiente com. reg. siciliano (Avv.ti Spallitta e Scrima) c. Assessorato Regionale Territorio e Ambiente (Avv. Stato) e altro (n.c.) riun. ad altro - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 maggio 2005, n. 724 (vedi: sentenza per esteso)

Associazioni e comitati - Associazioni di protezione ambientale - Articolazioni territoriali - Legittimazione a ricorrere - Insussistenza - Art. 18 L. 349/86. La legittimazione a ricorrere delle associazioni di protezione ambientale ex art. 18 della L. n. 349 del 1986, non può che riguardare la sola associazione ambientalista nazionale formalmente riconosciuta, in quanto organismo esponenziale di interessi diffusi per la tutela unitaria del bene ambiente, con esclusione, pertanto, delle articolazioni territoriali di questa, che non possono, data la loro delimitazione territoriale, essere ritenute portatrici di interessi unitari in materia. Pres. Cicciò, Est. Giovannini - Legambiente Circolo di Novellara e di Reggio Emilia (Avv. Maramotti) c. Provincia di Reggio Emilia (Avv.ti Coli e Pagliari) E Comune di Novellara (Avv. Coffrini) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma - 25 maggio 2005, n. 285

Inquinamento - Immissioni - Azione risarcitoria o inibitoria - Legittimazione - Proprietario - Autore materiale delle immissioni non proprietario - Litisconsorzio necessario di natura sostanziale o processuale - Effetti. In tema di immissioni eccedenti la normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ., la legittimazione spetta al proprietario dell'immobile o all'autore materiale delle immissioni in base al criterio del "petitum". Inoltre, è ammesso il cumulo dell'azione risarcitoria e di quella inibitoria; nonostante il cumulo le due azioni rimangono nettamente distinte (Cass. 15.10.1998, n. 10186), con la conseguenza che l'eventuale situazione di litisconsorzio necessario di natura sostanziale o processuale che riguarda l'azione inibitoria non si comunica a quella risarcitoria ed il giudice di appello che la rilevi deve annullare la sentenza e rimettere gli atti al primo giudice limitatamente all'azione inibitoria. Presidente A. Giuliano, Relatore B. Durante. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 29 aprile 2005 (ud. 30/03/2005), Sentenza n. 8999 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento atmosferico - Assenza dell’autorizzazione - Reato previsto dall'art. 25 del d.P.R. n. 203 del 1988 - Reato di condotta - Interesse tutelato. In materia di inquinamento atmosferico, esercitare un impianto esistente senza aver richiesto l'autorizzazione prevista dal d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, ovvero trasferire detto impianto in altra sede senza autorizzazione, integrano un reato di condotta, non già un reato di danno, giacché il bene tutelato dalla norma penale è l'interesse dell'amministrazione competente ad effettuare un controllo preventivo sulla funzionalità degli impianti "esistenti" o "nuovi" e sulla loro potenzialità inquinante, proprio al fine di prevenire immissioni inquinanti superiori ai valori limite. Ne consegue che il reato è integrato solo per avere omesso di richiedere l'autorizzazione, anche nel caso in cui l'impianto non superi di fatto detti limiti. Presidente: Savignano G. Estensore: Onorato P. Relatore: Onorato P. Imputato: Orsini ed altro. P.M. Passacantando G. (Conf.) (Rigetta, Trib. Chieti, 4 Febbraio 2003). CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 12/04/2005 (Ud. 28/01/2005), Sentenza n. 13143 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Industrie insalubri - Immissione nell'ambiente circostante di "vapori, gas o altre esalazioni insalubri" - Impianti industriali ritenuti pericolosi per la salute degli abitanti - Classificazione degli stabilimenti in attività del territorio comunale - Accertamento tecnico concreto sulla pericolosità dell'impianto - Obbligo - Sussiste - Ratio. In tema di inquinamento e tutela della salute, l’articolo 216 del regio decreto n. 1965 del 1934, considera gli impianti industriali ritenuti pericolosi per la salute degli abitanti in ragione della immissione nell'ambiente circostante di "vapori, gas o altre esalazioni insalubri" e non all'impiego in sé di sostanze nocive. Il che ovviamente non vuol dire che l'impiego di tali sostanze sia irrilevante, ai fini della classificazione, ma solo che la rilevanza passa attraverso l'analisi del processo produttivo e di come la sostanza sia suscettibile di produrre una immissione nociva per l’ambiente. Per cui non è sufficiente a far si che una industria, inclusa in una classe, venga ascritta ad altra classe solo perché impieghi una determinata sostanza nel ciclo produttivo. Occorre, invece, che l’impiego di tale sostanza modifichi le caratteristiche operative della categoria cui l'industria appartiene. Nel caso di specie, posto che l'impianto industriale era ricompreso tra le lavorazioni ascritte alla seconda classe (n. 10) dal decreto ministeriale 2 marzo 1987, il mutamento della classificazione non poteva essere fatto solo perché la ditta impiegava "nella disinfestazione dei propri depositi di gas tossici dell'elenco allegato alla regio decreto 9 gennaio 1927, n. 147", ma andava preceduto da un accertamento tecnico concreto sulla pericolosità dell'impianto. Pres. Farina - Est. Fera - Molino Borgioli srl (avv.ti Grassi e Nania) c. Comune di Calenzano (avv. Hofer), (annulla, TAR Toscana, seconda sezione, 24 novembre 1995 n. 73). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 12 aprile 2005 (C.c. 29 ottobre 2004), Sentenza n. 1613 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Principio di precauzione - Tutela della salute e dell'ambiente - Prevalenza rispetto alla tutela economica - Valutazione scientifica incerta - Amministrazione - Prescrizioni prudenziali dirette ad eliminare il rischio - Legittimità. Il "principio di precauzione" è principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare tutti i provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici. Nel caso in cui la valutazione scientifica non consenta di stabilire con sufficiente certezza l'esistenza del rischio, la scelta di ricorrere al principio di precauzione dipende generalmente dal livello di protezione scelto dall'autorità competente nell'esercizio del suo potere discrezionale: tale decisione deve in ogni caso essere conforme al principio della preminenza della tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente sugli interessi economici, nonché ai principi di proporzionalità e di non discriminazione. Sicchè, l’amministrazione ben può compiere una valutazione che - in via assolutamente prudenziale - tenda ad eliminare il rischio, non esistendo una soglia di pericolo di un disastro ecologico che possa ritenersi accettabile, neppure in misura minima, a fronte della tutela di un valore fondamentale della persona quale quello della salute umana garantita dall'art. 32 Cost.. Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304

Inquinamento - Industrie insalubri - Urbanistica e edilizia - P.r.g. - Esclusione dalla zona agricola degli impiantii industriali - Legittmità. E’ legittima l’esclusione dalla zona agricola degli insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati, prevista dalle n.t.a. del piano regolatore generale. Difatti, se è vero che la classificazione di area come agricola non impone un obbligo di utilizzazione effettiva in tal senso e consente, di regola, interventi edilizi di vario genere, è altrettanto vero che ciò vale sul presupposto che lo strumento urbanistico non definisca puntualmente gli utilizzi ammessi e vietati in tale zona. D’altra parte, ferma restando l’ampia potestà discrezionale dell’amministrazione per quanto concerne la programmazione degli assetti del territorio, l’esclusione degli impianti industriali dalle zone agricole risponde alle prescrizioni del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, il quale, nel definire le zone territoriali omogenee, prevede per detti impianti (art. 2, lett. d) la collocazione in z.t.o. “D”, distinta dalla “E” (agricola). Pres. Zuballi, Est. Gabricci - G. s.n.c. (Avv.ti Zanchettin e Bottari) c. Comune di Roncade (Avv. Pellicani) - T.A.R. VENETO, Sez. III, 23 marzo 2005, n. 1117 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Industrie insalubri - Classificazione - Procedimento - Concrete modalità di svolgimento dell’attività insalubre - Irrilevanza - Autorizzazione all’industria insalubre a permanere in determinati ambiti comunali - Differenza. Il procedimento volto ad accertare la possibilità che una determinata industria venga autorizzata a permanere in determinati ambiti comunali, benché classificata insalubre (al qual fine rilevano le modalità di svolgimento dell’attività) si differenzia in modo sostanziale da quello volto a riconoscere la natura di una determinata industria insalubre. La classificazione come insalubre di un’industria, individuata dagli elenchi ministeriali in attuazione dell’art. 216 T.U. 27 luglio 1934, n. 1265, non può pertanto essere superata da dati contingenti, quali le modalità secondo le quali viene in concreto svolta la lavorazione, atteso che, ai fini interpretativi, assume esclusivo rilievo lo scopo perseguito dalla norma, che è quello di impedire che dallo svolgimento incontrollato di determinate attività possa derivare pericolo per la salute dei cittadini. (Nella specie trattavasi di industria per la lavorazione del marmo, classificata dall’elenco ministeriale del 2 marzo 1987 come industria di prima categoria) Pres.f.f. Franco, Est. Springolo - M. s.a.s. (Avv.ti Steccanella e Pinello) c. Comune di Colle Umberto (n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez. III - 22 marzo 2005, n. 1090

Inquinamento - Inquinamento atmosferico - Valori limite - D.P.R. 203/98, D.M. 12 luglio 1990 - Impianto - Nozione. La nozione di “impianto”, cui vanno riferiti i valori limite di emissione nell’atmosfera ai sensi del d.P.R. 203 del 1988, del d.P.C.M. 21 luglio 1989, d.m. 12 luglio 1990 e della delibera regionale n. 4182 del 5 agosto 1992, non definisce il singolo punto di uscita dei fumi in atmosfera, ma l’insieme delle linee produttive omogenee per tipologia di ciclo produttivo (materia prima impiegata, trattamento effettuato, prodotto del ciclo produttivo). Il limite di emissione dovrà dunque riguardare i singoli punti di fuoriuscita dei fumi in atmosfera allorquando si tratti di impianti diversi per funzione e ciclo produttivo adottato; dovrà riguardare, invece, la sommatoria dei diversi punti di emissione se si tratti di linee produttive identiche (od omogenee) per ciclo produttivo applicato. Pres. Coraggio, Est. Carpentieri - T. s.r.l. (Avv. Guida) c. Regione Campania (Avv.ti Panariello, Palma e De Gennaro) - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 10 marzo 2005, n. 1711 (vedi: sentenza per esteso)

Acqua e inquinamento idrico - Consorzi di sviluppo industriale - Adozione di provvedimenti autorizzatori alle emissioni o di modifiche ai valori limite di scarico - Competenza - Esclusione - L’autorizzazione va rilasciata dalla Provincia ad ogni singola impresa. I consorzi di sviluppo industriale ex L.R. 3/99, non aventi natura di “consorzi tra imprese” ai sensi dell’art. 45, 2° comma, del D. lgs. 152/99, non sono legittimati all’adozione, nei confronti delle singole imprese aderenti, di provvedimenti autorizzatori alle emissioni, né di modifiche dei valori limite di scarico. Non essendo infatti detti consorzi soggetti ad autorizzazione per conto delle imprese stesse, l’autorizzazione in parola deve essere rilasciata ad ogni singola impresa, in relazione al proprio scarico, dalla Provincia, unica a poterne modificare le condizioni ed a poter disporre l’adeguamento in via obbligatoria alle proprie prescrizioni. Pres. Borea, Est. Di Sciascio - T. s.p.a. (Avv. Paviotti) c. Consorzio per lo Sviluppo Industriale del Friuli Centrale (n.c.) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA - 12 febbraio 2005, n. 25 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Amianto - Tutela della salute - Lavoro subordinato - Obblighi del datore di lavoro - Tutela delle condizioni di lavoro. Le Ferrovie dello Stato sono responsabili per non aver saputo prevenire e evitare i danni alla salute dei dipendenti dovuti alla prolungata esposizione all’amianto negli anni ’50 e ’60. Presidente S. Mattone, Relatore G. Celerino. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, del 14 gennaio 2005, Sentenza n. 644

DANNO AMBIENTALE - Obbligo di rimozione dei rifiuti - Inadempimento - Effetti - Risarcimento - Recupero delle spese anticipate dal Comune - art. 14 e 17 D.Lgs. n. 22/1997. In relazione all'inadempimento dell'obbligo di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, previsto dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997, nonché dell'obbligo di bonifica, secondo le scansioni temporali stabilite dall'art. 17 dello stesso testo normativo e le prescrizioni stabilite in concreto dall'autorità, competente, il Comune può agire, in via di rivalsa, per il recupero delle spese anticipate. Nella specie è stato disposto il risarcimento "delle spese sostenute per la messa in sicurezza del capannone e per quelle di bonifica del sito", oltre che "per il danno ambientale e non patrimoniale, ricomprensivo di quello all'immagine". Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

DANNO AMBIENTALE - Fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose - Risarcimento - Prova del nesso di causalità - Esclusione. Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è necessario che il danneggiato dia la prova della effettiva sussistenza dei danni e del nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, ma è sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia, infatti, costituisce una mera declaratoria iuris, da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione (vedi Cass. pen.: Sez I, 18.3.1992, n. 3220, Sez. IV, 15.6.1994, n. 7008; Sez. VI, 26.8.1994, n. 9266). Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

DANNO AMBIENTALE - Enti territoriali - Risarcimento del danno ambientale. Gli enti territoriali possono fare valere l'azione di risarcimento del danno ambientale, sia il diritto dello Stato in nome proprio, (art. 18, 1° comma, della legge 8.7.1986, n. 349 (istitutiva del Ministero dell'ambiente), sia gli interessi collettivi di cui sono esponenziali quali enti rappresentativi delle comunità insediate nei rispettivi territori, 3° comma L. 349/86 (vedi Cass., Sez. III, 19.6.2002, n. 22539, ric. Kiss Ghunter ed altri). In proposito, da un'originaria impostazione, che vedeva nello Stato il monopolista dell'azione di danno, si è passati ad ammettere, ormai pacificamente, l'azione autonoma e concorrente degli enti territoriali, quali titolari anch'essi del diritto al risarcimento, correlato alla ripartizione delle rispettive competenze pubblicistiche (vedi Cass. civ., Sez. Unite: 12.2.1988, n. 1491 e 17.1.1991, n. 400), come riconosciuto pure dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 195 del 12.4.1990 (vedi anche, al riguardo, Cass. pen., sez. III: 23.6.1994, n. 7275, ric. Galletti ed altri; 19.1.1994, n. 439, ric. Mattiuzzi; 28.10.1993, n. 9727, ric. Benericetti, ove è stato affermato che "la Regione e, più in generale, gli enti territoriali sono legittimati a costituirsi parte civile ai sensi dell'art. 18 legge n. 349/1986, perché il danno ambientale derivante dal reato incide sull'ambiente, come assetto qualificato del territorio, il quale è elemento costitutivo di tali enti e perciò oggetto di un loro diritto di personalità"). Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

DANNO AMBIENTALE - Contenuto del danno ambientale - Risarcimento - Salvaguardia o pregiudizio ai valori ambientali. Il contenuto del danno ambientale viene a coincidere con la nozione non di danno patito bensì di danno provocato ed il danno ingiusto da risarcire si pone in modo indifferente rispetto alla produzione di danni - conseguenze, essendo sufficiente per la sua configurazione la lesione in sé di quell'interesse ampio e diffuso alla salvaguardia ambientale, secondo contenuti e dimensioni fissati da norme e provvedimenti. Il legislatore, in tema di pregiudizio ai valori ambientali, ha inteso prevedere un ristoro quanto più anticipato possibile rispetto al verificarsi delle conseguenze dannose, che presenterebbero situazioni di irreversibilità. Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

DANNO AMBIENTALE - Risarcimento del danno - Tutela dell’ambiente - L. n. 349/1986. In materia di tutela ambientale, per integrare il fatto illecito, che obbliga al risarcimento del danno, non è necessario che l'ambiente in tutto o in parte venga alterato, deteriorato o distrutto, ma è sufficiente una condotta sia pure soltanto colposa "in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge", che l'art. 18 L. n. 349/86 specificamente riconosce idonea a compromettere l'ambiente quale fatto ingiusti implicante una lesione presunta del valore giuridico tutelato. Ciò trova conferma nella circostanza che, qualora non sia possibile una precisa quantificazione di un danno siffatto, il giudice - per espressa previsione dello stesso art. 18 della legge n. 349/1986 - procede in via equitativa, tenendo presenti parametri che prescindono da termini di ristoro soggettivo quali "la gravità della colpa individuale, il costo necessario per il ripristino, il profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo del bene ambientale". Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

DANNO AMBIENTALE - Criterio di valutazione - Esame del giudice - Fondamento - Artt. 2, 3, 9, 32, 41 e 42 Cost. - L. n. 349/1986 - Art. 2043 cod. civ.. Per la valutazione del danno ambientale, non può farsi ricorso ai parametri utilizzati per i beni patrimoniali in senso stretto, ma deve tenersi conto della natura di bene immateriale dell'ambiente, nonché della particolare rilevanza del valore d'uso della collettività che usufruisce e gode di tale bene. Sicché, a fronte di un lamentato danno ambientale, l'esame del giudice non deve limitarsi a rilevare i tradizionali danni-conseguenza, assumendo autonoma rilevanza anche il danno-evento, inteso quale lesione in sé del bene ambientale (Cass. civ., sez. I, 1.9.1995, n. 9211); in base ad un'interpretazione sistematica degli artt. 2, 3, 9, 32, 41 e 42 Cost., che la risarcibilità del danno ambientale, pur specificamente regolato dall'art. 18 della legge n. 349/1986, "trova la sua fonte genetica direttamente nella Costituzione" e che pertanto, "anche prima della legge n. 349/1986", proprio la Carta fondamentale e la norma generale dell'art. 2043 cod. civ. già apprestavano all'ambiente una tutela organica (vedi Cass. civ.: 19.6.1996, n. 5650, e 3.2.1998, n. 1087). Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

DANNO AMBIENTALE - Risarcimento - Giurisprudenza. Non è condivisibile, l'interpretazione riduttiva (seguita da Cass., Sez. III, 25.5.1992, n. 6297, ric. Barigazzi e riaffermata, più di recente, da Cass., Sez. III, 14.1.2002, n. 1145, ric. Cucchiara ed altro) secondo la quale l'azione di risarcimento del danno ambientale potrebbe essere promossa soltanto quando sussista un pregiudizio concreto alla qualità della vita della collettività, sotto il profilo dell'alterazione, del deterioramento o della distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente, mentre non darebbero luogo a risarcimento, di regola, violazioni meramente formali. Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

DANNO AMBIENTALE - Triplice configurabilità - Dimensione: personale, sociale e pubblica. Il danno ambientale presenta una triplice dimensione: personale (quale lesione del diritto fondamentale dell'ambiente di ogni uomo); sociale (quale lesione del diritto fondamentale dell'ambiente nelle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità umana - art. 2 Cost.); pubblica (quale lesione del diritto - dovere pubblico delle istituzioni centrali e periferiche con specifiche competenze ambientali). (Cass. Sez. III, 19.1.1994, sentenza n. 439, ric. Mattiuzzi) Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

DANNO AMBIENTALE - Tutela dell'immagine e della personalità dell'ente - Lesione non patrimoniale - Risarcimento. Per la ravvisabilità di una lesione del diritto dell'immagine e della personalità dell'ente, (che, dalla commissione dei reati, vede compromesso il prestigio derivante dall'affidamento di compiti di controllo o gestione) dovuto al discredito derivante alla propria sfera funzionale (riconosciuto anche alle associazioni ambientaliste da Cass. sez. III: 6.4.1996, n. 3503 e 26.9.1996, n. 8699), è necessario che la produzione dei danni sia conseguenza del danno ambientale, al quale sia collegata, come aspetto non patrimoniale, la menomazione del rilievo istituzionale dell'ente medesimo (Cass., Sez. III: n. 6297/1992 e n. 1145/2002). Rigon ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, dep. 16/12/2004 (ud. 11/11/2004), Sentenza n. 48402

Danno ambientale - Associazioni ecologiste - Reati di danno ambientale - Costituzione di parte civile - Legittimazione - Ammissibilità - Condizioni. Le associazioni ecologiste sono legittimate alla costituzione di parte civile nei procedimenti per reati che offendono l'ambiente, anche se non riconosciute ai sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, a condizione che abbiano direttamente subito un danno di natura patrimoniale (come può avvenire per i costi di attività finalizzate a prevenire il pregiudizio ambientale) o non patrimoniale (che può connettersi al discredito derivante dalla frustrazione dei fini istituzionali), e non si atteggino semplicemente a soggetti portatori di un interesse diffuso. (In motivazione la Corte ha rilevato come, affinchè una associazione possa ritenersi titolare di un proprio diritto soggettivo, sia necessario che la tutela dell'ambiente costituisca il suo essenziale fine statutario, che sia radicata sul territorio anche mediante sedi locali, che rappresenti un gruppo significativo di consociati e che abbia dato prova della continuità e della rilevanza del suo contributo alla difesa dell'ambiente). Pres. Dell'Anno P. Est. Squassoni C. Rel. Squassoni C. Imp. P.C. e Resp. civile in proc. Morra. P.M. Izzo G. (Diff.) - (Rigetta, App. Torino, 10 Dicembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 02/12/2004 (Ud. 21/10/2004), Sentenza n. 46746 (vedi: sentenza per esteso)

Acqua e inquinamento idrico - Bonifica - D.M. 471/99 - Valori di concentrazione limite - Sostanze non indicate in tabella - Valutazione di affinità - Organo amministrativo - Discrezionalità tecnica. Il punto 1 All. 1 al D.M. 471/99 (“Per le sostanze non indicate in Tabella si adottano valori di concentrazione limite accettabili riferiti alla sostanza più affine tossicologicamente”) postula la natura eminentemente tecnica della valutazione di “affinità” tra sostanze inquinanti, che può condurre ad applicare i valori tabellari stabiliti per un parametro anche ad un inquinante non direttamente considerato. L’organo che procede alla bonifica si avvale, non di competenza normativa, bensì della propria discrezionalità tecnica. Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv. Ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Acqua e inquinamento idrico - Bonifica - Valori limite - Natura di valore guida - Esclusione - Natura vincolante - I valori guida o obiettivo attengono alla diversa materia dell’inquinamento atmosferico. In ordine ai valori limite degli inquinanti nelle acque, la misura di 10 mg/l per gli idrocarburi totali (di cui al d.P.R. 236/1988) non può considerarsi quale valore guida, dovendosene riconoscere natura vincolante, desumibile dalle Tabelle allegate al D.M. 471/1999, al d.lgs. 31/2001 ed al d.lgs. 152/1999 (la categoria dei valori guida o valori obiettivo appartiene all’esperienza di altri settori della normativa antinquinamento, come quella sulla qualità dell’aria). Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv. Ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Acqua e inquinamento idrico - Bonifica - Assenza di specifica previsione del valore limite per la sostanza considerata - Parametro di riferimento - Normativa sulle acque destinate al consumo umano - In assenza di effettivo utilizzo dei corpi idrici interessati - Adozione del principio di precauzione - Illegittimità. Il mero richiamo al principio di precauzione di derivazione comunitaria non giustifica, in assenza di un effettivo utilizzo dei corpi idrici interessati alla bonifica, e in mancanza di una specifica previsione del valore limite nelle tabelle di cui al D.M. 471/99, l’individuazione, quale parametro di riferimento, dei valori limite particolarmente restrittivi di cui alla normativa in materia di acque destinata al consumo umano (nella specie: trattatasi di inquinamento da MTBE - MetilTerbutilEtere). Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv. Ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Acqua e inquinamento idrico - Bonifica - Articolazione in fasi successive - Potere dell’amministrazione di richiedere integrazioni documentali - Sussistenza. Gli interventi di bonifica, ai sensi del D.M. 471/1999, si articolano in fasi successive: piano di caratterizzazione, progetto preliminare, progetto definitivo, esecuzione della bonifica. In sede di approvazione/autorizzazione, l’amministrazione procedente, che mantiene un potere prescrittivo in ordine alla bonifica da eseguire, può sempre richiedere l’onere di integrazioni progettuali (articolo 10, comma 5, D.M. 471/1999). Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv. Ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Bonifica - Rapporto tra obblighi di bonifica e poteri prescrittivi dell’amministrazione - Art. 5 D.M. 471/99 - Applicazione delle migliori tecnologie disponibili - Costi sopportabili - Autorizzazione alla bonifica con misure di sicurezza e ripristino ambientale - Valori residui. L’articolo 5 del D.M. 471/1999 è la norma chiave sul rapporto tra obblighi della bonifica e poteri prescrittivi dell’Amministrazione. La deroga ai valori limite è legata alla dimostrazione, da parte del soggetto onerato della bonifica, dell’impossibilità di conseguire i valori limite mediante l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, ed alla individuazione di valori di concentrazione residui (superiori ai valori limite), ipotizzabili come risultato dell’applicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, e che risultino, in base all’applicazione di una metodologia di analisi del rischio, tali da garantire comunque un’adeguata tutela ambientale e sanitaria. Tale dimostrazione consente all’Amministrazione di autorizzare, prescrivendo misure di sicurezza, una bonifica (definita “Bonifica con misure di sicurezza e ripristino ambientale”) che preveda il raggiungimento di detti valori residui (anziché dei valori limite veri e propri). Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv. Ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Bonifica - Migliori tecnologie disponibili - Definizione - Dir. 96/61/CE. Per migliori tecnologie disponibili, secondo la definizione contenuta nella Direttiva 96/61/CE, si intendono quelle tecniche e modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura degli impianti, più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente, che risultino sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale. Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv. Ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Bonifica - Sostenibilità ambientale di un’attività produttiva - Fissazione dei limiti delle sostanze inquinanti - Applicazione delle migliori tecnologie disponibili - Finalità. Il ricorso alle migliori tecnologie disponibili rappresenta uno strumento, alternativo o complementare, rispetto a quello consistente nella fissazione diretta di limiti inderogabili al rilascio di sostanze inquinanti. Attraverso di esso, l’amministrazione vigilante dispone di un parametro più complesso e significativo -in quanto suscettibile di continui aggiornamenti, in relazione all’evoluzione della tecnologia ed al miglioramento dei prezzi di mercato- per valutare la sostenibilità ambientale di un’attività produttiva, sulla base del quale è possibile fissare limiti di emissione delle sostanze inquinanti tali da individuare le massime performance ambientali esigibili da ogni insediamento produttivo, in considerazione delle specifiche caratteristiche degli impianti e delle potenzialità economiche aziendali. Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv. Ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Bonifica - Connotazione di “costi sopportabili” - L.388/2000 - Definizione. La connotazione di “costi sopportabili”, accolta nel D.M. 471/1999 (e prima ancora nell’articolo 17 del d.lgs. 22/1997, cui dà attuazione) è stata definita dall’articolo 114, comma 9, della legge 388/2000, nel senso che non comportino un arresto prolungato delle attività produttive o, comunque, non siano sproporzionati rispetto al fatturato annuo prodotto dall’impianto soggetto a bonifica. Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv. Ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Bonifica - Applicazione delle migliori tecnologie disponibili - Insufficienza - Onere della dimostrazione - A carico dell’Amministrazione. In ordine all’onere della dimostrazione dell’adozione delle migliori tecnologie disponibili, qualora l’impresa argomenti l’impossibilità tecnica od economica di conseguire migliori risultati ambientali, è l’Amministrazione a dover precisare perché quanto progettato o già realizzato non è sufficiente e quali ulteriori sforzi, sempre con il limite della migliore tecnologia disponibile, l’impresa è tenuta a compiere. Pres. Lignani, Est. Ungari - Esso Italiana (Avv.ti Zanchini e Calzoni) c. Comune di Narni (Avv. Marini) - T.A.R. UMBRIA, 12 novembre 2004, n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Danno ambientale - Danno grave e irreparabile all’ambiente - Danno permanente - Art 434 c.p. e Disastro ambientale - Pericolo per la pubblica incolumità. La condotta illecita violatrice di legge, regolamenti, ordini o discipline che determina un danno permanente ed irreparabile all’ambiente è sanzionabile ex art 434 c.p. in quanto, il “disastro ambientale” è da ricomprendere nella definizione di “altro disastro” contenuta nel citato articolo, stante la natura di norma di chiusura di detta disposizione, allorquando sussista un “un danno grave e irreparabile all’ambiente e vi sia “pericolo per la pubblica incolumità. (Nella specie, integra il reato ex art. 434 c.p. esercizio di attività di cava determinando lo sventramento irreversibile di intere montagne poste a ridosso di un popoloso centro abitato creando un pericolo per la salute e l’incolumità pubblica). Est. S.M. Guariello Ind. NN, (proc. n. 15514\03 R. G. N.R. - N.14165\03 R..G. GIP). TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE Ordinanza Custodia Cautelare 08/11/2004 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Risarcimento - Identificazione della lesione dell’interesse costituzionalmente protetto - Mero sfruttamento del territorio abusivamente trasformato - Utilizzazione economica del territorio - Illecito civile - Sussiste. La sola attività di utilizzo con profitti economici di opere edilizie può costituire fonte di danno ambientale perché se quest'ultimo si identifica nella lesione dell’interesse, costituzionalmente protetto, alla “conservazione, … razionale gestione e … miglioramento delle condizioni naturali (aria, acqua, suolo e territorio), l’esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri o marini, di tutte le specie animali o vegetali che in esse vivono allo stato naturale ed in definitiva della persona umana in tutte le sue estrinsecazioni” (Corte Cost. 87/210), è evidente la sussistenza di tale tipo di danno anche in relazione al mero sfruttamento del territorio abusivamente trasformato, in quanto anche tale sfruttamento esclude la “razionale gestione e il miglioramento delle condizioni naturali” nonché “l’esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri o marini”. D’altra parte, lo stesso fatto che l'art. 18 L. 349/86, prevedente una disciplina specifica per il danno ambientale, al comma 6 individui tra i criteri di liquidazione del danno “il profitto conseguito dal trasgressore” sta a significare che l'utilizzazione economica dei territorio integra l’illecito civile. P.C.M. e Min. dell’Amb. (Avv. Gerardo Avv. Dist. Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa (avv.ti. Olivieri e Pellegrino) nonché (WWF ITALIA) Onlus (avv. Razzano e Balletta) e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela dell’ambiente - Norme costituzionali - Fondamento - Norma generale - Tutela indifferibile - L. 349/86 - art. 2043 c.c.. La tutela dell’ambiente trova fondamento, prima che nella L. 349/86, nelle norme costituzionali che indicano l’ambiente come bene e valore essenziale, oggetto di un diritto assoluto innanzitutto spettante allo Stato-comunità e che, così come quello alla salute, trova la sua tutela indifferibile nella norma generale dell’art. 2043 c.c.. P.C.M. e Min. dell’Amb. (Avv. Gerardo Avv. Dist. Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa (avv.ti. Olivieri e Pellegrino) nonché (WWF ITALIA) Onlus (avv. Razzano e Balletta) e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Domanda di risarcimento in forma specifica - Domanda di risarcimento per equivalente - Rinuncia alla domanda principale - Domanda subordinata - Mutatio ed emendatio libelli. Aver rinuncia alla domanda principale e aver reso la domanda subordinata l’unica domanda non muta il petitum e/o la causa petendi, non potendo rinvenirsi tale mutamento nel semplice fatto che la pretesa risarcitoria ha perso il suo collegamento con l’eventuale impossibilità della domanda di riduzione in pristino per il divenire. In specie, la domanda di risarcimento in forma specifica, ossia di riduzione in pristino, conteneva in se la domanda di risarcimento per equivalente che costituiva un minus della prima, (Cass. 00/13468 e Cass. 98/2402) per cui perde ancora più consistenza l’asserito rapporto di novità fondato sulla persistenza della sola seconda domanda. Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Ambiente (Avv. M. Gerardo Avv. Dist.Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa ( avv.ti. G. Olivieri e G. Pellegrino) nonché Comune di Castelvolturno (avv. V.Colalillo), Sindaco di Pozzuoli quale commissario straordinario del Ministero della Protezione Civile n.c., Ministero della Protezione Civile , Ministero dell’Interno e Ministero della Marina Mercantile (Avv. M. Gerardo Avv. Dist.Stato di Napoli), Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF ITALIA) Onlus (avv. R. Razzano e M. Balletta). TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Opera pregiudizievole all’ambiente - Attività di trasformazione del territorio - Risarcimento per opere realizzate ante art. 18 l. 349/86 ma gestite ed utilizzate anche successivamente - Sussiste - Art. 2043 c.c.. L'edificazione abusiva, ove pregiudizievole all'ambiente, era assoggettata alla disciplina risarcitoria di cui all'art. 2043 anche ante L. 349/86. Attesa la natura meramente ricognitiva dell'art. 18 legge 349/86 cit., diventa pertanto irrilevante il dato temporale della conclusione dell'opera di edificazione. Peraltro, ove si consideri che il danno ambientale non è limitato alla mera attività di trasformazione del territorio, ma è riconducibile alla continuità tra l'edificazione e la gestione delle opere abusive, la permanenza dell'illecito fa sì che esso rientri, anche sotto il profilo temporale, nell'ambito di applicabilità della L. 349/86. P.C.M. e Min. dell’Amb. (Avv. Gerardo Avv. Dist. Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa (avv.ti. Olivieri e Pellegrino) nonché (WWF ITALIA) Onlus (avv. Razzano e Balletta) e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Legittimazione ad agire - Risarcimento per opere realizzate ante art. 18 l. 349/86 ed utilizzate economicamente anche post 1986 - Ministero dell’Ambiente - Competenza. La valenza meramente ricognitiva dell’art. 18 L. 349/86 incide anche sul tema della legittimazione ad agire, nel senso che deve ritenersi che anche prima di tale legge i soggetti abilitati ai sensi dell’art. 18, ovvero lo Stato ed enti locali, potessero agire in forza dell’art. 2043 c.c.. Nella specie, il danno ambientale può essere ricondotto in via unitaria all’opera di edificazione e di gestione delle opere abusive e l’illecito, perdurando nel tempo, finisce per rientrare, anche sotto il profilo temporale, nell’ambito di applicabilità della L. 349/86. L’azione per il risarcimento del danno ambientale spetta, al Ministero dell’Ambiente, specifica articolazione dello Stato avente competenza nella materia in esame. P.C.M. e Min. dell’Amb. (Avv. Gerardo Avv. Dist. Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa (avv.ti. Olivieri e Pellegrino) nonché (WWF ITALIA) Onlus (avv. Razzano e Balletta) e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Attività di edificazione e gestione abusiva del territorio - Illecito permanente - Diritto al risarcimento del danno - Decorrenza. L’Attività di edificazione e gestione abusiva del territorio assume la veste di “illecito permanente”, il quale, a differenza dell’“illecito istantaneo ad effetti permanenti”, è risarcibile mediante un’azione il cui dies a quo decorre dalla cessazione della permanenza. (Confrontare Cass. 90/594; conf. Cass. 97/6967 e Cass. 80/1624: “l’esecuzione di una costruzione in violazione di norma di edilizia dia luogo ad un illecito permanente, con la conseguenza che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno non decorre dalla data di realizzazione della costruzione ma da quello di cessazione della permanenza, e cioè dal momento in cui la costruzione viene demolita, ovvero dal momento in cui essa viene resa legittima mediante rinuncia dell’amministrazione, che irroghi una sanzione pecuniaria, ad ordinarne la demolizione, ovvero dal decorso del termine utile per l'usucapione del diritto reale di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova”). P.C.M. e Min. dell’Amb. (Avv. Gerardo Avv. Dist. Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa (avv.ti. Olivieri e Pellegrino) nonché (WWF ITALIA) Onlus (avv. Razzano e Balletta) e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Danno morale - Esclusione - Fondamento - Art. 2059 c.c.. La qualifica di persona giuridica della parte danneggiata, (nella specie lo Stato), esclude di per sè l’esistenza di un danno morale, non essendo configurabile in capo ad una persona giuridica una sofferenza psichica, un patema d'animo (Cass. 04/12110, Cass. 03/5664 e Cass. 02/11600). P.C.M. e Min. dell’Amb. (Avv. Gerardo Avv. Dist. Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa (avv.ti. Olivieri e Pellegrino) nonché (WWF ITALIA) Onlus (avv. Razzano e Balletta) e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - L’ambiente in senso giuridico - Accezione di danno svincolata da una concezione aritmetico-contabile - Fondamento. Il danno ambientale costituisce un surplus rispetto al danno alle singole componenti materiali dell'ambiente. Infatti, l’ambiente in senso giuridico, quale bene unitario ma anche immateriale ...., rappresenta .... un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori, si distingue ontologicamente da questi e si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressione di un autonomo valore collettivo, specifico oggetto, come tale, di tutela da parte dell'ordinamento, rispetto ad illeciti, la cui idoneità lesiva va valutata con riguardo a siffatto valore e indipendentemente dalla particolare incidenza verificatasi su una o più della dette singole componenti, secondo un concetto di pregiudizio che, sebbene riconducibile a quello di danno patrimoniale, si connota tuttavia per una più ampia accezione di danno svincolata da una concezione aritmetico-contabile” (Cass. 98/1087; vedi anche Corte Cost. 87/641 e il citato parere CdS n. 426/01, oltre a Cass. 98/5650, Cass. 95/9211 e Cass. 92/4362). P.C.M. e Min. dell’Amb. (Avv. Gerardo Avv. Dist. Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa (avv.ti. Olivieri e Pellegrino) nonché (WWF ITALIA) Onlus (avv. Razzano e Balletta) e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Risarcimento - Ente - Omessa vigilanza sull'attività edilizia - Ininfluenza. Ai fini del risarcimento del danno ambientale, l'autore dell'illecito non può esercitare l'azione di regresso avverso il Comune sul presupposto della omessa vigilanza sull'attività edilizia. P.C.M. e Min. dell’Amb. (Avv. Gerardo Avv. Dist. Stato di Napoli) c. Fontana Blue spa (avv.ti. Olivieri e Pellegrino) nonché (WWF ITALIA) Onlus (avv. Razzano e Balletta) e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI Civile Sezione VIII, 03 novembre 2004, (ud. 10.10.2004) Sentenza n. 11235 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Ordine di bonifica - Effetti permanenti - Esercizio di potere contingibile e urgente - Incompatibilità. L’ordine di bonifica di cui al D.M. 471/1999 ha effetti permanenti, incompatibili con l’esercizio di un potere contingibile ed urgente. Pres. Coraggio, Est. Passarelli Di Napoli - P.F. s.r.l. (Avv. Fenucciu) c. Comune di Giugliano in Campania - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 3 novembre 2004, n. 16238

Inquinamento - Rifiuti - Tutela dell’ambiente - Principio della responsabilità penale “personale” (art. 40 c.p.) - Presupposti - Committente di lavori edili - Obbligo giuridico di impedire - Esclusione -Fattispecie: scorretta gestione di rifiuti da parte dell'appaltante. Secondo il principio della responsabilità penale “personale”, la condizione di "garante" rispetto a un bene da tutelare (nel caso concreto, la integrità ambientale) presuppone in capo al soggetto il potere giuridico di impedire la lesione del bene, ovverosia quell'evento (reato) evocato dal capoverso dell'art. 40 c.p.. Quando questa norma precisa che "non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo" fonda la responsabilità penale dell'omittente non solo sull'obbligo, ma anche sul connesso potere giuridico di questi di impedire l'evento. Responsabilizzare un soggetto per non aver impedito un evento, anche quando egli non aveva alcun potere giuridico (oltre che materiale) per impedirlo, significherebbe vulnerare palesemente il principio di cui all'art. 27 Cost.. Alla luce di questo principio è evidente come il committente di lavori edili o urbanistici non può essere "garante" della corretta gestione di rifiuti da parte dell'appaltante, e quindi penalmente responsabile della abusiva gestione di rifiuti eventualmente effettuata dal secondo. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 19 ottobre 2004 Sentenza n. 40618 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Industrie insalubri - Distanze prescritte nel p.r.g. - Derogabilità - Presupposti - Salute degli abitanti - Art. 216 R.D. n. 1265/1934. Ai sensi dell’art. 216 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 e s. m., le industrie insalubri di prima classe (manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri) devono essere isolate dalle campagne e tenute lontane dalle abitazioni, la disposizione non fissa tuttavia specifiche distanze, mentre la seconda prevede speciali cautele per la incolumità del vicinato. Sicché, le distanze eventualmente prescritte nel p.r.g. possono essere derogate a condizione che l’imprenditore dimostri che l’esercizio dell’attività non reca alcun nocumento alla salute degli abitanti. Pres. ELEFANTE - Est. CERRETO - Azienda agricola Palazzotto s.s. (avv. Ferrari) c. Comune di Grumello Cremonese e Uniti (avv.ti Rozzo e Romelli) ed altro. (riforma T.A.R. Lombardia, Brescia 23.02.2000, n.144). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 13 ottobre 2004, Sentenza n. 6648

Inquinamento - Bonifica di siti contaminati - Risanamento effettuato - Permanenza dell’inquinamento - Non esclude la necessità di nuova bonifica - Nuova destinazione dell’area - Limiti dell’accettabilità di contaminazione - Limiti più restrittivi - D.lgs. n.22/97. Una bonifica già effettuata non esclude la necessità di procedere a nuova bonifica ove si riscontri la permanenza dell’inquinamento. La specifica normativa è infatti diretta a risanare qualunque sito inquinato purché sia tale al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n.22/97, poiché l’inquinamento va considerato come fenomeno permanente finché non venga riportato nei limiti dell’accettabilità di contaminazione, i quali andranno determinati avuto riguardo all’eventuale modifica di destinazione che comporti l’applicazione di limiti più restrittivi (cfr. d. lgs. 22/97 e Accordo di programma sulla chimica a Porto Marghera). Pres. Zuballi, Est. Savoia - L.I.V. s.r.l. (Avv. Gambato) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (n.c.), Ministero delle Attività Produttive (n.c.), Ministero della Salute (n.c.), Ministero dei Lavori Pubblici (n.c.), Regione Veneto (Avv.ti Mora, Zanlucchi e Munari), Provincia di Venezia (Avv.ti Chinaglia e Tonon), Comune di Venezia (n.c.) e Autorità Portuale di Venezia (n.c.) - T.A.R VENETO, Sez. III - 12 ottobre 2004, n. 3650

Industrie insalubri - Insediamenti esistenti - Approvazione di nuovo strumento urbanistico - Obbligo di collocazione in altro sito - Insussistenza - Delocalizzazione autoritativa - Ordinanza contingibile e urgente - Presupposti e limiti. Gli impianti in esercizio e le attività già esistenti all’atto dell’approvazione del nuovo strumento urbanistico, e divenuti non conformi alla destinazione da questo impressa all’area considerata, si sottraggano all’obbligo di ricollocazione in altro sito, essendo soggetti alle sole restrizioni edilizie imposte dalla nuova disciplina vigente nella zona. Ed invero, le classificazioni funzionali dettate dalla disciplina urbanistica sopravvenuta non possono comportare la delocalizzazione autoritativa e immediata degli impianti produttivi preesistenti divenuti incompatibili, che può essere disposta, ai sensi dell’art. 217 del T.U.LL.SS. di cui al R.D. n.1265/34 unicamente nell’esercizio dei poteri di ordinanza contingibile ed urgente per la cessazione delle attività classificate insalubri di 1° classe, al fine di prevenire o impedire il pericolo o il danno per la salute pubblica, previo concreto accertamento della sussistenza di una situazione di effettiva pericolosità e laddove si siano rivelate inefficaci le misure tecniche finalizzate ad eliminare gli inconvenienti riscontrati. L.B.P.P. s.r.l. (Avv.ti A., M. e P. Romano) c. Comune di Turbigo (n.c.) e Prefettura di Milano (n.c.) - T.A.R. LOMBARDIA, Milano, Sez. III - 11 ottobre 2004, n. 5524

Danno Ambientale - Attività edificatoria immobili su aree demaniali - Utilizzazione - Risarcimento del danno - Quantificazione del c.d. danno ambientale - Criterio - Art. 18 L. n. 349/1996. Per la quantificazione del c.d. danno ambientale è necessario valutare sia l’attività edificatoria, in specie immobili su aree demaniali, che la successiva utilizzazione delle stesse, considerato che l’art. 18 della legge n. 349 del 1996 pone tra i criteri di liquidazione del danno, quello del profitto conseguito dal trasgressore collegato anche all’attività di destinazione e sfruttamento delle opere. G.U. Pepe - Ministero Ambiente e Pres. Cons. Min. c. Fontana Bleu S.p.A. - TRIBUNALE DI NAPOLI, 10 ottobre 2004

Danno Ambientale - Risarcimento del danno - Amministrazione dello Stato - Legittimazione Ministero Ambiente - Omissione di controlli da parte dell’Ente locale - Domanda di regresso proposta dal responsabile del danno ambientale - Esclusione - Fondamento. E’ legittimato a richiedere il risarcimento del danno ambientale il ministero dell’Ambiente in tutti quei casi in cui l’azione in giudizio non sia possibile per l’ente locale. Mentre, è inammissibile la domanda di regresso proposta dal responsabile del danno ambientale, nei confronti dell’ente locale il quale omettendo i doverosi controlli sul territorio abbia favorito l’illegittima attività edilizia. In siffatta ipotesi si ammetterebbe un illegittimo scaricamento di responsabilità conseguente al proprio agire illecito su di un altro soggetto. G.U. Pepe - Ministero Ambiente e Pres. Cons. Min. c. Fontana Bleu S.p.A. - TRIBUNALE DI NAPOLI, 10 ottobre 2004

Industrie insalubri - Art. 216 T.U. leggi sanitarie - Prescrizione di distanza dalle abitazioni - Insediamenti abitativi - Configurabilità quale centro abitato - Necessità - Esclusione. L’art. 216 del Testo unico delle Leggi sanitarie (R.D. 1265/1934), nel prescrivere che le industrie insalubri di prima classe debbono essere “tenute lontano dalle abitazioni” (fatta salva la possibilità di adottare specifiche cautele), non opera alcun riferimento alla diversa e più specifica nozione di centro abitato, con la conseguenza che esso è applicabile tutte le volte che l’attività venga a coesistere con insediamenti abitativi, a prescindere dunque se questi configurino o meno un centro abitato in senso proprio. Pres. Petruzzelli, Est. Potenza - T.S. (Avv.ti Lai e De Franco) c. Comune di Siena (Avv. Pisillo) e A.S.L. 7 Siena (Avv. Garzia) - T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 8 ottobre 2004, n. 4345

Inquinamento (atmosferico, idrico, elettromagnetico) - Concorso tra l'art 674 cod. pen. e le norme speciali in materia ambientale - Configurabilità - Interpretazioni giurisprudenziali - "Molestia" dell'emissione - Art. 844 cod. civ. - Criteri civilistici - Obbligo di ricorrere alla "migliore tecnologia disponibile". Sussiste la possibilità del concorso tra l'art 674 cod. pen. e le norme speciali in materia ambientale con riferimento all'inquinamento atmosferico (vedi Cass.: Sez. 3^, 7.4.1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. 1^, 31.8.1994, n. 9357, Turino), all’inquinamento idrico (Cass.: Sez. 1^, 10.11.1998, n. 13278, Mangione; Sez. 3^, 7.10.2003, n. 37945, Graziani) e all'inquinamento elettromagnetico (Cass., Sez. 1^: 12.3.2002, n. 10475, Fantasia ed altri; 14.6.2002, n. 23066, Rinaldi) e, anche in considerazione di tale asserita concorsualità, particolare attenzione, nell'interpretazione dell'art. 674 cod. pen., ha riservato all'inciso "nei casi non consentiti dalla legge". In relazione a detto inciso, si era formato un orientamento giurisprudenziale, largamente prevalente si ricordino, tra le molte decisioni, Cass.: Sez. 1^, 17.11.1993, n. 781, Scionti; Sez. 3^, 7.4.1994, n. 6598, Roz Gastaldi; Sez. 1^, 6.11.1995, n. 11984, Guarnero; Sez. 1^, 27.1.1996, n. 863, Celeghin; Sez. 1^, 11.4.1997, n. 3919, Sartor; Sez. 1^, 21.1.1998, a 739, Tilli; Sez. 3^, 1.10.1999, n. 11295, Zompa ed altro; Sez. 1^, 24.11.1999, n. 12497, De Gennaro nel senso che rientra pacificamente nei "casi non consentiti dalla legge" il superamento della soglia delle emissioni fissata dalla normativa di settore, ma che - anche nei casi di attività esercitata previo regolare rilascio dell'autorizzazione amministrativa e nel rispetto dei limiti tabellari fissati dalla normativa speciale - la contravvenzione è pur sempre configurabile alla stregua dei criteri civilistici, in quanto la "molestia" dell'emissione non è esclusa per il solo fatto che essa sia inferiore ai limiti massimi di tolleranza specificamente fissati dalla legge. In tale prospettiva, la "normale tollerabilità" viene riferita anche ai parametri di cui all'art. 844 cod. civ., essendo l'agente tenuto al rispetto non soltanto dei limiti fissati dalle tabelle della normativa speciale di settore ma anche della legge in generale e, quindi, delle prescrizioni del codice civile, con il conseguente obbligo di ricorrere alla "migliore tecnologia disponibile" per contenere al massimo possibile le emissioni inquinanti, al fine della tutela della salute umana e dell'ambiente quali valori costituzionalmente garantiti. Un diverso indirizzo interpretativo (già isolatamente enunciato da Cass., Sez. 3^, 26.8.1985, n. 7765, Diliberto) si è formato, invece, a partire dalla sentenza 7.7.2000, n. 8094, rie. Meo, della I Sezione Corte Cass. (concernente l'emissione di fumo dagli impianti di un oleificio), con la quale è stato affermato il principio che, nella formulazione dell'art. 674 cod. pen., l'espressione "nei casi non consentiti dalla legge" si collega alla necessità che l'emissione (di gas, vapori o fumi) atta a molestare le persone avvenga in violazione delle norme che regolano l'inquinamento atmosferico. Ne consegue che, ai fini dell'affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto dall'art. 674 cod. pen., non basta che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma "è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino gli standards fissati dalla legge". Nel campo dell'illecito penale, dunque, si riscontra una sorta di presunzione di legittimità per quelle emissioni che non superino le soglie fissate dalle leggi speciali. Tali conclusioni sono state ribadite da Cass., Sez. 3^, 3.3.2004, n. 9757, Pannone, per emissioni provenienti da cava di estrazione di pietra calcarea e da Cass., Sez. 1^: 12.3.2002, n. 15717, Pagano ed altri; 14.6.2002, n. 23066, Rinaldi, in relazione ad emissioni di onde elettromagnetiche. Sicché, quando esistono precisi limiti tabellari fissati dalla legge, non possono ritenersi "non consentite" le emissioni che abbiano, in concreto, le caratteristiche qualitative e quantitative già valutate ed ammesse dal legislatore; nei casi, invece, in cui non esiste una predeterminazione normativa, spetterà al giudice penale la valutazione della tollerabilità consentita, ma pur sempre con riferimento ai principi ispiranti le specifiche leggi di settore. In ogni caso, comunque, affinché possa configurarsi il reato di cui all'art. 674 cod. pen., non basta che le immissioni in atmosfera superino i limiti eventualmente fissati dalla normativa speciale, ma occorre anche che esse abbiano carattere effettivamente molesto, nel senso dianzi delineato (vedi Cass., Sez. 1^: 13.1.2003, n. 760, Tringali; 7.7.2000, n. 8094, Meo). Presidente: Vitalone C. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato: P.M. in proc. Providenti ed altri. P.M. Iacoviello FM. (Conf.) (Rigetta, Trib. Messina, 8 Ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 29/09/2004, (Ud. 18/06/2004), Sentenza n. 38297 (vedi: sentenza per esteso)

Danno Ambientale - Nozione - Legittimati ad agire per il risarcimento del danno ambientale - Azione sostitutoria. Si definisce danno ambientale, sulla scorta della disposizione di cui all’art.18 della L.349/86 la “compromissione (dell’ambiente) e, cioè, alterazione, deterioramento o distruzione, cagionato da fatti commissivi o omissivi, dolosi o colposi, violatori delle leggi di protezione e di tutela e dei provvedimenti adottati in base ad essi” (cfr. Corte Costituzionale n.641/87). Sono legittimati ad agire per il risarcimento del danno ambientale solo “…lo Stato e gli enti sul cui territorio incidono i beni oggetto del fatto lesivo”. In tali occasioni, alle associazioni ambientaliste riconosciute (art.13 L.349/86) spetta, nell’ambito del processo penale, una facoltà di intervento quali enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato, anche a prescindere dal consenso espresso della persona offesa di cui all’art.92 c.p.p.; ed, infatti, tale consenso può ritenersi presunto, e cioè preventivamente attribuito a tali associazioni in virtù del diritto di intervenire in giudizio ex art.18 L.349/86 (cfr. Cass.12.01.96, Amendola; Cass.03.12.02, Veronese). Di recente, però, prima con la disposizione di cui all’art.4 L.265/99, poi con quella di cui all’art.9, co.3, d. lgs.267/00, si è attribuito alle associazioni riconosciute ai sensi dell’art.13 L.349/86 la possibilità di proporre azioni risarcitorie per il danno ambientale spettante al Comune ed alla Provincia, nell’eventualità di inerzia degli enti territoriali. In questi casi, però, l’eventuale liquidazione del risarcimento è in favore dell’ente territoriale sostituito, spettando all’associazione ambientalista riconosciuta solo la liquidazione delle spese processuali. Est. Taddeo Imp. Russo Roberto ed altri TRIBUNALE DI NOLA Ufficio GUP ordinanza 23 settembre 2004 (vedi: sentenza per esteso)

Reati ambientali - Danno Ambientale - Associazioni ambientaliste non riconosciute - Costituzione parte civile - Legittimità. Tutte le associazioni ambientaliste - anche quelle non riconosciute - hanno la possibilità di costituirsi parte civile iure proprio nei procedimenti per reati ambientali; Così Corte Costituzionale sentenza n.641/87 …se dal danno propriamente ambientale derivano ulteriori danni materiali e/o morali, i soggetti da questi danneggiati possono agire in giudizio per il risarcimento”. Nei fatti, in occasione del danno ambientale non si ha soltanto una compromissione dell’ambiente susseguente alla violazione delle leggi ambientali (ossia il danno ambientale), ma anche un’offesa della persona nella sua dimensione individuale e sociale, intesa, cioè, come lesione del diritto fondamentale, ed a rilevanza costituzionale, ad un ambiente salubre, quale elemento integrante della personalità umana; ed, infatti, la nostra Costituzione, nei suoi principi fondamentali, recepisce una concezione aperta dei diritti inviolabili dell’uomo (art.2 Cost.) e, alla luce di questi principi, deve riconoscersi che nel danno ambientale è inscindibile l’offesa ai valori naturali e culturali e la contestuale lesione dei valori umani e sociali di ogni persona (cfr., tra le altre, Cass.05.04.2002 Kiss Gmunther; Cass.01.10.96, Locatelli; Cass.12.01.96 Amendola; Cass.08.07.96, Perotti). Est. Taddeo Imp. Russo Roberto ed altri TRIBUNALE DI NOLA Ufficio GUP ordinanza 23 settembre 2004 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste anche non riconosciute -Presupposti - Fondamento. La costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste anche non riconosciute viene ammessa anche come possibilità di far valere in giudizio un danno di natura non patrimoniale collegato ad un diritto della personalità dell’associazione, allorquando l’interesse diffuso da essa perseguito sia volto alla salvaguardia di una situazione storicamente circostanziata, la quale sia stata fatta propria, come scopo specifico del sodalizio. Ogni pregiudizio a questa finalità, che esprime l’affectio societatis, comporta un danno non patrimoniale per la frustazione e l’afflizione degli associati. Quindi, la costituzione di parte civile è possibile quando, dall’offesa all’interesse, derivi in modo diretto ed immediato una lesione al diritto di personalità del sodalizio, con riferimento allo scopo ed ai suoi componenti (cfr., tra le altre, Cass.30.06.95, Montone; Cass.29.04.97, Circolo Aleramo). Est. Taddeo Imp. Russo Roberto ed altri TRIBUNALE DI NOLA Ufficio GUP ordinanza 23 settembre 2004 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - Diritto assoluto all’ambiente salubre - Legittimazione a costituirsi parte civile delle associazioni ambientaliste - Fondamento. La legittimazione a costituirsi parte civile delle associazioni ambientaliste deriva sia dalla tutela del diritto assoluto all’ambiente salubre, che, in quanto riferito ad una dimensione collettiva, si invera pure in tutte quelle associazioni di protezione ambientale rappresentative delle singole comunità partecipi dell’ambiente che si assume danneggiato o leso e si presentano quindi come enti esponenziali delle comunità in cui trovasi il bene collettivo oggetto di lesione, sia dalla protezione del diritto della personalità per il discredito derivante alla propria sfera funzionale (cfr. Cass.02.02.96, Russo). Est. Taddeo Imp. Russo Roberto ed altri TRIBUNALE DI NOLA Ufficio GUP ordinanza 23 settembre 2004 (vedi: sentenza per esteso)

Legittimazione a costituirsi parte civile delle associazioni ambientaliste - Fasi. La legittimazione delle associazioni ambientaliste a costituirsi parte civile si articola, nei seguenti passaggi logico-giuridici: a) il danno ambientale, in quanto lesivo di un bene rilevante ex art.2 Cost, reca, di per sé, un’offesa alla persona umana nella sua dimensione individuale e sociale; b) per le associazioni ambientaliste la lesione riguarda anche il diritto della personalità del sodalizio, in relazione allo scopo perseguito; c) il danno ha tipica natura non patrimoniale (per le frustrazioni degli associati, nonché per il discredito derivante dal mancato raggiungimento dello scopo, che potrebbe indurre gli associati a privare il sodalizio del loro sostegno personale e finanziario), ma può essere anche patrimoniale (per i costi sostenuti nello svolgimento delle attività di propaganda e di sensibilizzazione della pubblica opinione). Est. Taddeo Imp. Russo Roberto ed altri TRIBUNALE DI NOLA Ufficio GUP ordinanza 23 settembre 2004 (vedi: sentenza per esteso)

Legittimazione a costituirsi parte civile delle associazioni ambientaliste o un comitato - Limiti. Non è sufficiente che un’associazione, o un comitato, pongano l’interesse di tutela ambientale del proprio territorio come scopo del sodalizio per legittimarli a costituirsi parte civile in processi per reati ambientali; in altri termini, occorre qualcosa di più di un interesse semplice alla tutela dell’ambiente genericamente inteso. Occorre, cioè, un interesse specifico dell’ente, e territorialmente localizzato, al fine di poter prospettare che la lesione dello stesso abbia dato vita ad un danno diretto, immediato e risarcibile, ossia le condizioni che legittimano una costituzione di parte civile. Est. Taddeo Imp. Russo Roberto ed altri TRIBUNALE DI NOLA Ufficio GUP ordinanza 23 settembre 2004 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Fanghi di depurazione - Agricoltura - Trasmissione informazioni su concentrazione di inquinanti e quantitativo di fanghi utilizzati annualmente - Registri - Dir. 86/278/CE - Repubblica italiana - Inadempimento. La Repubblica italiana, non avendo trasmesso alcuna informazione sul valore medio di concentrazione su base annua dei metalli pesanti (cadmio, rame, nichel, piombo, zinco, mercurio e cromo) nonché di azoto e fosforo contenuti nei fanghi di depurazione; non avendo trasmesso alcuna informazione sul quantitativo di fanghi di depurazione prodotti come sostanza secca; non avendo trasmesso le informazioni richieste sui quantitativi di fanghi utilizzati annualmente in agricoltura come sostanza secca; non avendo provveduto a tenere aggiornati i registri in cui sono annotate la composizione e le caratteristiche dei fanghi, rispetto ai parametri di cui all’allegato II A della direttiva del Consiglio 12 giugno 1986, 86/278/CEE, concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, e non avendo provveduto a tenere aggiornati i registri in cui sono annotati i quantitativi di fango prodotto e quelli utilizzati in agricoltura è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virtù degli artt. 10, n. 1, lett. a) e b), e 17 della direttiva 86/278, come modificata dalla direttiva del Consiglio 23 dicembre 1991, 91/692/CEE. CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, Sez. III - Sentenza 16 settembre 2004, Causa C-248/02

Inquinamento - Tutela dell’ambiente - Accesso ai documenti in materia ambientale - Estensione del novero dei soggetti legittimati all’accesso - Pubblica amministrazione - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (I.N.F.N.) - Obbligo di fornire le informazioni ambientali - Sussiste - L. n. 241/90 - D. L.vo n. 39/97. Il decreto legislativo n. 39/97, emanato in attuazione della direttiva 90/313/CEE, ha, introdotto una fattispecie speciale di accesso in materia ambientale, che si connota, rispetto a quella generale prevista nella legge n.241/90, per due vistose novità: l’estensione del novero dei soggetti legittimati all’accesso ed il contenuto delle cognizioni accessibili. Sotto il primo profilo, l’art. 3 d. l.gs. n.39/97 chiarisce che le informazioni ambientali spettano a chiunque le richieda, senza necessità, in deroga alla disciplina generale sull’accesso ai documenti amministrativi, della dimostrazione di un suo particolare e qualificato interesse. Quanto al secondo aspetto, la medesima disposizione estende il contenuto delle notizie accessibili alle “informazioni relative all’ambiente” (che implicano anche un’attività elaborativa da parte dell’amministrazione debitrice delle comunicazioni richieste), assicurando, così, al richiedente una tutela più ampia di quella garantita dall’art. 22 l. n.241/90, oggettivamente circoscritta ai soli documenti amministrativi già formati e nella disponibilità dell’amministrazione. Pres. Patroni Griffi - Est. Deodato, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Avvocatura Generale dello Stato) c. Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Teramo (Avv.ti Referza e Di Dalmazio) - (Conferma, TAR Lazio, sez. III ter, 15 gennaio 2003, n.126). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 07 settembre 2004 (Ud. 8 luglio 2004) Sentenza n. 5795 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Tutela dell’ambiente - Accesso ai documenti in materia ambientale - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (I.N.F.N.) - Obbligo di fornire le informazioni ambientali - Sussiste - L. n. 241/90 - D. L.vo n. 39/97. Anche, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (I.N.F.N.) è obbligato a fornire tutte le informazioni ambientale relative “alle captazioni idropotabili, alle falde idriche, allo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del territorio interessato, alle attività, alle misure e agli strumenti di tutela delle predette componenti ambientali”, compreso l’accesso alle informazioni “sugli studi, progetti e dati inerenti alla sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, delle gallerie stradali e della compresenza di persone”. Pres. Patroni Griffi - Est. Deodato, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Avvocatura Generale dello Stato) c. Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Teramo (Avv.ti Referza e Di Dalmazio) - (Conferma, TAR Lazio, sez. III ter, 15 gennaio 2003, n.126). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 07 settembre 2004 (Ud. 8 luglio 2004) Sentenza n. 5795 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Tutela dell’ambiente - Conservazione e della salubrità dei luoghi - Diritto all’accesso ambientale - Generica richiesta di informazioni sulle condizioni di un determinato contesto ambientale - Sufficienza - Amministrazione - Obbligo di elaborazione e comunicazione al richiedente - Sussiste. In materia di accesso ambientale, non solo non è necessaria la puntuale indicazione degli atti richiesti, ma risulta sufficiente una generica richiesta di informazioni sulle condizioni di un determinato contesto ambientale (che deve, evidentemente, essere specificato) per costituire in capo all’amministrazione l’obbligo di acquisire tutte le notizie relative allo stato della conservazione e della salubrità dei luoghi interessati dall’istanza, ad elaborarle e a comunicarle al richiedente. Pres. Patroni Griffi - Est. Deodato, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Avvocatura Generale dello Stato) c. Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Teramo (Avv.ti Referza e Di Dalmazio) - (Conferma, TAR Lazio, sez. III ter, 15 gennaio 2003, n.126). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 07 settembre 2004 (Ud. 8 luglio 2004) Sentenza n. 5795 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Tutela dell’ambiente - Pubblica Amministrazione - Diritto all’accesso ambientale e diritto alla salubrità dell’ambiente - Interpretazione - Legittimazione all’accesso - Limitazioni soggettive - Illegittimità. Il diritto all’accesso ambientale, non può essere interpretato, come posizione soggettiva necessariamente strumentale al diverso diritto alla salubrità dell’ambiente, facendone derivare l’intestazione del primo ai soli titolari (e cioè, in sintesi, solo le persone fisiche) del secondo, posto che contrariamente al regime generale dell’accesso alla documentazione amministrativa. Pertanto, le persone giuridiche non sono escluse dal diretto riconoscimento della legittimazione all’accesso ad opera dell’art. 3 d.lgs. n.39/97 ed non hanno l’onere di dimostrare un loro stabile collegamento con l’ambiente che ne autorizzi l’iniziativa, un'ipotesi contraria confligge, in particolare, con il dettato testuale della disposizione che, là dove recita “chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse”, e non tollera alcuna opzione esegetica che introduca limitazioni soggettive - espressamente e chiaramente - escluse dalla norma. Pres. Patroni Griffi - Est. Deodato, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Avvocatura Generale dello Stato) c. Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Teramo (Avv.ti Referza e Di Dalmazio) - (Conferma, TAR Lazio, sez. III ter, 15 gennaio 2003, n.126). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 07 settembre 2004 (Ud. 8 luglio 2004) Sentenza n. 5795 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Industria insalubre - Urbanistica - Autorizzazione all’esercizio di lavorazioni insalubri di prima classe - Attività di carrozzeria - Destinazione urbanistica dell’immobile in cui l’attività viene svolta - Necessità - Nocumento al corretto uso del territorio - Sussiste. Presupposto imprescindibile per l’autorizzazione all’esercizio di lavorazioni insalubri di prima classe (quale è appunto l’attività di carrozzeria) è che la relativa localizzazione sia conforme alla destinazione urbanistica dell’immobile in cui l’attività viene svolta, altrimenti verrebbe ad essere del tutto sovvertita la disciplina urbanistica con nocumento al corretto uso del territorio. (CdS. Sezione V, n. 778 dell’8.6.1998). Ciò non significa che la destinazione urbanistica di un immobile non possa essere modificata, ma fin quando ciò non avvenga con specifico provvedimento comunale deve essere osservata la destinazione urbanistica assentita in sede di rilascio della relativa concessione edilizia. Pres. Iannotta Est. Cerreto - Melis (avv.to Comegna) c. Comune di Roma e altri (avv. Brigato) (Conferma, TAR Lazio, sez. 2°, n. 1656 9.3.2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 Settembre 2004 (Ud. 4 maggio 2004), Sentenza n. 5854 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Autorizzazione all’esercizio di industrie insalubri - Urbanistica - Valutazione della pluralità di interessi pubblici coinvolti - Necessità - L. n. 241/1990. Nel caso di una pluralità di interessi pubblici coinvolti in uno stesso procedimento occorre procedere ad un loro esame contestuale, principalmente allorché sussista un obiettivo collegamento tra di essi ed il relativo esercizio faccia capo ad un stesso Ente (V. C.D.S. Sez. V n. 3639 del 28.6.2000 e n. 5656 del 17.10.2002). Collegamento con la disciplina urbanistica che indubbiamente sussiste anche in materia di autorizzazione all’esercizio di industrie insalubri. Pres. Iannotta Est. Cerreto - Melis (avv.to Comegna) c. Comune di Roma e altri (avv. Brigato) (Conferma, TAR Lazio, sez. 2°, n. 1656 9.3.2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 Settembre 2004 (Ud. 4 maggio 2004), Sentenza n. 5854 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Industria insalubre - Attività di autocarrozzeria - Esercizio dell’industria insalubre di 1° classe di carrozzeria esercitata sotto l’abitazione - Destinazione di uso dei locali e degli edifici - Necessità - Urbanistica - Attestato di idoneità tecnico-sanitaria dei locali - La diversa destinazione urbanistica dei locali vizia irrimediabilmente i provvedimenti autorizzatori - Diritto alla salute. L’art. 216 Del R. D. n. 1265/1934, tuttora in vigore, che pur in un’epoca di scarsa disciplina urbanistica già ne intravedeva l’importanza, prescrivendo che le industrie insalubri di prima classe dovessero essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; per essere permesse nell’abitato il titolare, che l’esercitasse dovesse provare che per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele il loro esercizio non arrecasse nocumento alla salute dei vicini. Prescrizione che deve essere ora evidentemente coordinata con le destinazione di uso dei locali e degli edifici, come si desume dall’art. 3, 7° comma, L. 25.8.1991 n. 287, che sebbene dettato per l’insediamento degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande sottintende un principio di carattere generale valevole per tutti casi in cui vi sia comunque uso del territorio. Pres. Iannotta Est. Cerreto - Melis (avv.to Comegna) c. Comune di Roma e altri (avv. Brigato) (Conferma, TAR Lazio, sez. 2°, n. 1656 9.3.2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 Settembre 2004 (Ud. 4 maggio 2004), Sentenza n. 5854 (vedi: sentenza per esteso)

 

Inquinamento - Rischio di inquinamento di alto livello - Ministero dell’Ambiente - Ordinanza contingibile e urgente - L. 59/1987 - Previa diffida alla Regione rimasta inerte - Necessità - Insussistenza. A fronte di un rischio di inquinamento di alto livello, il Ministero dell’Ambiente può legittimamente intervenire con ordinanza contingibile e urgente ex art. 8, L. 59/1987, senza la necessità di diffidare previamente la regione rimasta inerte. Finché la situazione concreta permette di agire in un quadro di relativa normalità l’intervento sostitutivo deve rispettare le condizioni poste dall’art. 8 comma 3 della legge 349/1986, ma quando prevale su tutto la necessità di coordinamento per garantire un intervento adeguato al pericolo il potere si concentra nel Ministro dell’Ambiente nelle forme extra ordinem dell’art. 8 della legge 59/1987 Pres. Mariuzzo, Est. Pedron - E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 24 agosto 2004, n. 929 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - DPR 203/1988 - Parcellizzazione delle emissioni - Non è ammessa quando gli impianti formano un sistema.
Le disposizioni del DPCM 21 luglio 1989 e del DM 8 maggio 1989 offrono congiuntamente l’interpretazione preferibile del DPR 203/1988, che non ammette la parcellizzazione delle emissioni quando questo comporta la disapplicazione dei limiti più rigorosi. Se gli impianti sono isolati le norme tecniche consentono livelli di emissione più elevati per non rendere eccessivamente onerosa l’attività industriale, ma quando più impianti formano un sistema (per connessione materiale o funzionale) l’impatto sull’ambiente deve essere valutato tenendo conto di tutte le componenti e quindi della potenza termica nominale complessiva. Pres. Mariuzzo, Est. Pedron - E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 24 agosto 2004, n. 929 (vedi: sentenza per esteso)

Ambiente - Interesse pubblico alla tutela dell’ambiente - Cedevolezza a fronte di aspettative consolidate per il decorso del tempo - Inconfigurabilità. L’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini non è cedevole e non si degrada di fronte alle aspettative dei privati per il mero decorso del tempo. Le situazioni consolidatesi in passato sono quindi sempre reversibili. Pres. Mariuzzo, Est. Pedron - E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 24 agosto 2004, n. 929 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Gestori di centrali termoelettriche - Contenimento delle emissioni entro i limiti di legge - Obbligo. I gestori di centrali termoelettriche non sono semplicemente tenuti a seguire le prescrizioni tecniche previste per la realizzazione degli impianti ma devono effettivamente contenere le emissioni entro i limiti previsti dalle norme, e quindi hanno l’onere di adottare ogni accorgimento tecnico utile a questo scopo Pres. Mariuzzo, Est. Pedron - E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 24 agosto 2004, n. 929 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Emissioni - Impianti esistenti di fatto - Artt. 12 e 13 DPR 203/1988 - Applicabilità - Esclusione - Autorizzazione precedente all’entrata in vigore del decreto - Necessità. Gli art. 12 e 13 del DPR 203/1988 non si riferiscono agli impianti esistenti di fatto ma a quelli autorizzati prima dell’entrata in vigore dello stesso decreto, ai quali è stato permesso di proseguire l’attività solo a condizione che i gestori presentassero domanda di autorizzazione corredata di una relazione tecnica e di un progetto di adeguamento delle emissioni coerente con i parametri indicati dalla regione. La norma non ha la funzione di sanare le situazioni irregolari ma quella di estendere agli impianti regolarmente in funzione le nuove norme tecniche di contenimento delle emissioni. Pres. Mariuzzo, Est. Pedron - E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 24 agosto 2004, n. 929 (vedi: sentenza per esteso)

 

Associazioni - Legittimazione ad agire - Articolazione locale di associazione ambientalista nazionale - Autonoma legittimazione processuale - Difetto. Ai sensi dell’art. 18, comma 5, della legge n. 349/86, che richiama l’art. 13 della stessa legge, l’articolazione territoriale di un’associazione ambientalistica nazionale, formalmente riconosciuta, non può ritenersi dotata di autonoma legittimazione processuale, neppure per l’impugnazione di un provvedimento ad efficacia territorialmente delimitata (Cons. di Stato, IV, n. 3878/2001). Pres. Lazzeri, Est. Colombati - Legambiente Comitato Toscano O.N.L.U.S. e W.W.F. ITALIA O.N.L.U.S. (Avv. Nocentini) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (Avv. Stato), e altri (n.c.) - T.A.R. TOSCANA, Sez. III - 11 agosto 2004, n. 3180

 

Inquinamento mare - Protocollo relativo alla protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine tellurica - Effetto diretto - Diritto di far valere le disposizioni innanzi alle autorità giurisdizionali nazionali - Sussistenza - Scarico in stagno salato comunicante con il Mediterraneo - Sostanze non tossiche ma con influenza negativa sul tenore di ossigeno del mare - Assenza di autorizzazione nazionale - Divieto di scarico. L’art. 6, n. 3, del protocollo relativo alla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento di origine tellurica, sottoscritto ad Atene il 17 maggio 1980, approvato con la decisione del Consiglio 28 febbraio 1983, n. 83/101/CEE, nonché, una volta entrato in vigore, l’art. 6 n. 1, dello stesso protocollo, quale emendato durante la conferenza dei plenipotenziari che ha avuto luogo a Siracusa il 7 e l’8 marzo 1996, emendamenti che sono stati approvati con la decisione del Consiglio 22 ottobre 1999, 1999/801/CE, hanno effetto diretto, cosicché tutti gli interessati hanno il diritto di far valere tali disposizioni dinanzi alle autorità giurisdizionali nazionali. Queste stesse disposizioni devono essere interpretate nel senso che esse vietano, in assenza di autorizzazione rilasciata dalle autorità nazionali competenti, lo scarico in uno stagno salato comunicante con il mare Mediterraneo di sostanze che, pur non essendo tossiche, hanno un’influenza negativa sul tenore di ossigeno dell’ambiente marino. (fattispecie: scarico artificiale di acqua dolce in stagno salato) CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, Sez. II - proc. C-213/03 - sentenza 15 luglio 2004

 

Inquinamento - Ordinanza contingibile e urgente - Art. 38 L. 142/1990 - Carattere sanzionatorio - Inconfigurabilità - Destinatario - Proprietario - Legittimità - Accertamento della responsabilità nel cagionamento dell’inquinamento - Necessità - Esclusione. L'ordinanza contingibile ed urgente, adottata ai sensi dell’art. 38 L. 142/1990 per fronteggiare la situazione di inquinamento derivante da un incendio nell’immobile in cui veniva esercitata in parziale sublocazione l’attività di recupero rifiuti, non ha carattere sanzionatorio avendo come scopo quello di evitare pericoli per la salute pubblica salute e l’ambiente. Nell'individuazione dei destinatari si deve pertanto tener conto non solo dell'eventuale, astratta, responsabilità degli stessi nell'evento ma, soprattutto, della possibilità di realizzare le misure necessarie per fronteggiare l'emergenza. In tale ottica, emerge la necessità di notificare l’ordinanza anche al proprietario, indipendentemente da un accertamento circa la sua responsabilità nell’inquinamento. Pres. Papiano, Est. Lelli - S.O.A. & C.s.n.c. (Avv.ti Pettine e Califano) c. Comune di Vigarano Mainarda (Avv. Dani) - TA.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 29 giugno 2004, n. 1531

 

Inquinamento - Attività di recupero rifiuti - Ordinanza contingibile e urgente - Art. 38 L. 142/1990 - Carattere sanzionatorio - Inconfigurabilità - Destinatario - Conduttore - Legittimità - Accertamento della responsabilità nel cagionamento dell’inquinamento - Necessità - Esclusione. L'ordinanza contingibile ed urgente, adottata ai sensi dell’art. 38 L. 142/1990 per fronteggiare la situazione di inquinamento derivante da un incendio nell’immobile in cui veniva esercitata in parziale sublocazione l’attività di recupero rifiuti, non ha carattere sanzionatorio avendo come scopo quello di evitare pericoli per la salute pubblica salute e l’ambiente. Nell'individuazione dei destinatari si deve pertanto tener conto non solo dell'eventuale, astratta, responsabilità degli stessi nell'evento ma, soprattutto, della possibilità di realizzare le misure necessarie per fronteggiare l'emergenza. In tale ottica, emerge la necessità di notificare l’ordinanza anche al conduttore, in quanto il proprietario e il subconduttore, in relazione ai vincoli contrattuali, non potrebbero intervenire senza il suo consenso. Pres. Papiano, Est. Lelli - B.L. (Avv.ti Caligiuri e Ferrari) c. Comune di Vigarano Mainarda (Avv. Dani) - TA.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 29 giugno 2004, n. 1530
 

Inquinamento - Attività di recupero rifiuti - Ordinanza contingibile e urgente - Art. 38 L. 142/1990 - Carattere sanzionatorio - Inconfigurabilità - Destinatario - Subconduttore - Legittimità - Accertamento della responsabilità nel cagionamento dell’inquinamento - Necessità - Esclusione. L'ordinanza contingibile ed urgente, adottata ai sensi dell’art. 38 L. 142/1990 per fronteggiare la situazione di inquinamento derivante da un incendio nell’immobile in cui veniva esercitata in parziale sublocazione l’attività di recupero rifiuti, non ha carattere sanzionatorio avendo come scopo quello di evitare pericoli per la salute pubblica salute e l’ambiente. Nell'individuazione dei destinatari si deve pertanto tener conto non solo dell'eventuale, astratta, responsabilità degli stessi nell'evento ma, soprattutto, della possibilità di realizzare le misure necessarie per fronteggiare l'emergenza. In tale ottica, il detentore del bene che esercita in sublocazione l’attività di recupero dei rifiuti, non può essere escluso dai soggetti incaricati di realizzare le misure previste per mettere in sicurezza l'area interessata da un incendio, indipendentemente dall’accertamento della sua responsabilità nel cagionamento dell’incendio. Pres. Papiano, Est. Lelli - O. S.a.s. (Avv.ti Anselmo e Lodi) c. Comune di Vigarano Mainarda (Avv. Dani) - TA.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 29 giugno 2004, n. 1529

Inquinamento - Amianto - L. 257/92 - Obbligo di rimozione dei materiali contenenti amianto - Attribuzione - Regioni - Luoghi di lavoro - D. Lgs. 277/91 - Attribuzione - Datore di lavoro. L’art. 12 c.3 della legge 257/1992 attribuisce alle regioni il compito di rimuovere i materiali contenenti amianto (con spese a carico dei proprietari): detto obbligo, nei luoghi di lavoro, ricade direttamente sul datore di lavoro, al quale l’art. 34 del Dlgs. 277/1991 impone la predisposizione di un piano per la rimozione dell’amianto. (Fattispecie: capannoni avicoli facenti parte di azienda agricola). Presidente Mariuzzo, Est. Pedron - O.S. (avv. Vignoni) c. Comune di Soiano del Lago (n.c.) - TAR LOMBARDIA, Brescia - 21 giugno 2004, n. 675

Inquinamento - Amianto - Valutazione del rischio - Comune - Bonifica - Imposizione dell’obbligo - Potere - Sussistenza - Imposizione del metodo di bonifica - Potere - Insussistenza - D.M. 6 settembre 1994. Il Comune ha il potere di intervenire, sulla base della valutazione del rischio operata dall’organo tecnico competente, per imporre la bonifica da amianto, ma non può anticipare arbitrariamente il metodo di bonifica (nella specie: attraverso l’ordine di rimozione delle coperture contenenti amianto). Il DM 6 settembre 1994, infatti, non impone necessariamente l’eliminazione delle strutture contenenti amianto ma consente altri metodi di neutralizzazione (incapsulamento, confinamento) in rapporto alle circostanze concrete, che dovranno essere proposti dal privato sulla base del piano ex art. 34 del Dlgs. 277/1991. Presidente Mariuzzo, Est. Pedron - O.S. (avv. Vignoni) c. Comune di Soiano del Lago (n.c.) - TAR LOMBARDIA, Brescia - 21 giugno 2004, n. 675

Inquinamento - Amianto - Rischi da amianto - Ordinanza contingibile e urgente - art 54 c. 2 D. lgs. 267/2000 - Legittimità. I rischi da amianto sono una giustificazione sufficiente per l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 54 comma 2 del Dlgs. 267/2000. Peraltro se anche l’ordinanza in questione non disponesse dei caratteri dell’urgenza non potrebbe automaticamente essere considerata illegittima, in quanto sarebbe qualificabile come traduzione in forma puntuale di un obbligo di bonifica già previsto dalla legge per i luoghi di lavoro. Presidente Mariuzzo, Est. Pedron - O.S. (avv. Vignoni) c. Comune di Soiano del Lago (n.c.) - TAR LOMBARDIA, Brescia - 21 giugno 2004, n. 675

 

Inquinamento - Acqua - Localizzazione di un impianto di depurazione di acque reflue - Smaltimento di acque in area dichiarata di notevole interesse ambientale - Tutela delle acque pubbliche dall’inquinamento - Competenza del G.A. e del TSAP - Presupposti giuridici. Rientra nella competenza a conoscere del giudice amministrativo, esulando da quella del Tribunale superiore delle acque pubbliche, solo la controversia che verta sull’esecuzione di un’opera fognaria destinata al mero convogliamento delle acque reflue, senza alcun riflesso sul regime di alcuna acqua pubblica (T.S.A.P. 28 settembre 2001, n. 87). Così, non ci sono dubbi che sia devoluta alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche la controversia relativa alla localizzazione di un impianto di depurazione di acque reflue in relazione agli effetti che possano obiettivamente aversi sul regime delle acque di carattere pubblico (T.S.A.P. 10 settembre 2002, n. 112: fattispecie relativa alla localizzazione di un impianto di smaltimento di acque in area dichiarata di notevole interesse ambientale, a discapito di un corso d’acqua a regime torrentizio). Se poi i provvedimenti dell’Amministrazione sono orientati, non da ultimo, a preservare acque pubbliche dall’inquinamento, la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche non viene certamente meno (Cass., SS.UU., 12 dicembre 1996, n. 11090). Pres. Iannotta - Est. Mastrandrea - Unione dei Comuni Adige - Guà (avv.ti Dalla Santa e Guzzardi) c. Regione Veneto (avv.ti Morra e Pallottino) ed altri (T.A.R. Veneto, III, 21 dicembre 2001, n. 4341 e sez. III, 1° febbraio 2003, n. 935) CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 14 maggio 2004, n. 3139 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - D.M. 471/1999, tab. 1 all. 1 - Superamento dei limiti di concentrazione - Obbligo di bonifica a spese del responsabile - Inadempimento - Intervento in danno da parte dell’amministrazione competente. Al superamento dei limiti di concentrazione indicati nella tabella 1, allegato 1, del D.M. 471/1999, consegue l’obbligo di bonifica a cura e spese del responsabile o, qualora questi, ovvero il proprietario dell’area o qualsiasi altro soggetto interessato non adempia, l’intervento in danno da parte dell’Amministrazione competente. Pres. Lignani, Est. Ungari - Ciliegi (Avv. Minelli) c. Comune di Gubbio (Avv. Filippetti) e altri (n.c.) - T.A.R. UMBRIA, 8 aprile 2004, n.168 (vedi sentenza per esteso)

Inquinamento - D.M. 471/1999 - Superamento dei valori di concentrazione limite - Suoli agricoli - Valori di riferimento - Sono quelli di cui alla Tab. 1, All. 1, previsti per il verde urbano. In tema di bonifica e ripristino ambientale, in attesa di una revisione del D.M. 471/1999 che consideri espressamente i valori di concentrazione limite accettabili per i suoli agricoli, per questi ultimi trovano applicazione i valori della colonna A, tabella 1, allegato 1 (previsti per i siti a destinazione d’uso “verde pubblico, verde privato, residenziale”)(*). I valori della colonna A, più restrittivi di quelli della colonna B, possono ritenersi validi per tutte le utilizzazioni delle aree che, ancorché diverse da quelle direttamente evocate dalle destinazioni urbanistiche tipiche menzionate nella tabella 1, appaiano tuttavia tali da comportare un pericolo potenziale per l’ambiente e la salute umana analogo o superiore. La coltivazione connessa alla destinazione agricola, permettendo alle sostanze inquinanti di essere assimilate nei prodotti destinati all’alimentazione, richiede limiti di concentrazione non meno cautelativi di quelli ritenuti adeguati per il verde urbano. (*) cfr. parere I.S.S. prot. 051899 del 6.11.2003 Pres. Lignani, Est. Ungari - Ciliegi (Avv. Minelli) c. Comune di Gubbio (Avv. Filippetti) e altri (n.c.) - T.A.R. UMBRIA, 8 aprile 2004, n.168 (vedi sentenza per esteso)

Industrie insalubri - Art. 216 T.U.L.S. - Provvedimenti repressivi - Previo accertamento della sussistenza di situazione di pericolo per la salute pubblica - Necessità. La disposizione di cui all’art. 216 TULS, nel contesto normativo generale di settore, prevede che le attività insalubri siano sottoposte a semplice comunicazione, con la conseguenza che gli eventuali provvedimenti repressivi devono assumersi previo concreto accertamento della sussistenza di effettiva situazione di pericolo per la salute pubblica. Pres. Elefante, Est. D’Ottavi - Van Der Linden (Avv.ti Lia e De Bernardinis) c. Comune di San Piero a Sieve (n.c.), A.R.P.A.T. (n.c.), Azienda U.S.L. 10 di Firenze (n.c.) e Robermap s.r.l. (Avv.ti Salimbeni, Pozzolini e D’Amelio) - (Conferma T.A.R. Toscana, Sez.II, n.1777/00) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 7 aprile 2004, n. 1964

Inquinamento luminoso - Energia - L.R. Marche n. 10/2002, art. 10 - Illegittimità costituzionale - Esercizio di poteri sostitutivi da parte della Regione, in caso di inadempimento dell’ente locale competente - Risparmio energetico e contenimento dell’inquinamento luminoso - Difensore civico regionale - E’ organo di controllo e non organo di governo - Poteri sostitutivi - Non possono essergli legittimamente attribuiti. E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 10 della legge della Regione Marche 24 luglio 2002, n. 10 (Misure urgenti in materia di risparmio energetico e contenimento dell’inquinamento luminoso). Il sistema del Titolo V Cost., nel prevedere, in via straordinaria, l’intervento sostitutivo del Governo, non esaurisce tutte le possibili ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi e in particolare non preclude che la legge regionale, disciplinando materie di propria competenza, possa anche stabilire, in caso di inadempimento o inerzia dell’ente locale competente, poteri sostitutivi in capo ad organi regionali per il compimento di atti obbligatori per legge, nel rispetto dei rigorosi limiti prefissati dal legislatore, a tutela dell’autonomia degli enti locali. La norma censurata delinea una disciplina del potere sostitutivo regionale nel settore del risparmio energetico e del contenimento dell’inquinamento luminoso con titolarità del potere incentrata sul difensore civico regionale. I poteri sostitutivi in ambito regionale sono da ascrivere ad organi di governo della Regione e non già ad apparati amministrativi, dal momento che le scelte relative ai criteri ed ai modi degli interventi sostitutivi a salvaguardia di interessi di livello superiore a quelli delle autonomie locali presentano un grado di politicità tale che la loro valutazione complessiva non può che spettare agli organi regionali di vertice, cui istituzionalmente competono le determinazioni di politica generale. In questa categoria non rientra la figura del difensore civico regionale, in quanto organo preposto alla vigilanza sull’operato dell’amministrazione regionale con limitati compiti di segnalazione di disfunzioni amministrative, al quale non può essere legittimamente attribuita la responsabilità di misure sostitutive che incidono in modo diretto e gravoso sull’autonomia costituzionalmente garantita dei Comuni. Pres. Zagrebelsky, Red. Capotosti - CORTE COSTITUZIONALE, Dep. 6 aprile 2004, Dec. 25 marzo 2004, Sent. n. 112

Inquinamento - Sequestro probatorio - Presupposti - Idonea motivazione - Necessità. In tema di sequestro probatorio, è sufficiente che sulla base degli elementi acquisiti risulti da un lato l'astratta configurabilità di un reato riferibile alla condotta dell'indagato, e dall'altro che il bene in sequestro costituisca corpo di reato o cosa a questo pertinente. Ma è pur vero, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale (Cass. Sez. Un. sentenza n. 5876 del 28/01/2004, proc. Ferazzi), che il decreto di sequestro a fini di prova del corpo di reato o di cosa pertinente al reato deve essere sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita in concreto per l'accertamento dei fatti. (Fattispecie: Conferma del decreto di sequestro senza tenere conto che le indagini potevano essere svolte senza necessità di procedere al sequestro in quanto le emissioni inquinanti erano poco significativi e dalle ispezioni non era risultata alcuna forma di inquinamento). Pres. Teresi R. - Est. Chieffi S - Imp.Luci. - P.M. Esposito V. (Diff.). (Annulla senza rinvio, Trib. Taranto, 17 settembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. I del 29 marzo 2004, (Cc. 10/03/2004), sentenza n. 15066 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Bonifica siti contaminati - Artt. 17, c. 2 D. Lgs. 22/97 e 8 c. 2 e 3 D.M. 471/99 - Comunicazione di avvio del procedimento - Deroga - Inammissibilità. Il procedimento di cui agli artt. 17, comma 2° D.Lgs. n. 22/97 e 8, comma 2° e 3° D.M. n. 471/99 non è di per sé fondato su ragioni di particolare celerità e urgenza, tali da giustificare la deroga al principio generale di comunicazione dell’avvio del procedimento prevista dall’ art. 7, comma 1°, l. n. 241/90. Pres. Calvo, Est. Correale - Neri e altro (Avv.ti Gili, Trombetti e Sirotti) c. Comune di Vespolate (Avv. Viola), A.R.P.A. Piemonte (Avv. Vivani) e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (Avv. Stato) - T.A.R. PIEMONTE, Torino, Sez. II - 26 marzo 2004, n. 517 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere locale - Ordinanze contingibili e urgenti - Mancata comunicazione di avvio del procedimento - Mero richiamo all’art. 50 c. 5, D. Lgs. 267/2000 - Illegittimità. In mancanza dell’avviso di avvio del procedimento, l’ordinanza emanata ai sensi dell’art. 50, comma 5°, D.Lgs. n. 267/2000, che consente in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale di adottare ordinanze contingibili e urgenti, è illegittima, atteso che non è sufficiente il mero richiamo alla norma di legge per giustificare l’adozione di ordinanze di tale tipologia, e che, ai sensi dell’art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, non basta una qualsiasi urgenza per legittimare la deroga al generale obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, ma occorre un’urgenza qualificata, tale cioè da non consentire la detta comunicazione senza che ne risulti compromesso il soddisfacimento dell’interesse pubblico cui il provvedimento finale è rivolto (Cons. Stato, sez. VI, 3.2.2004, n. 330, v. anche Ad. Plen., 15.9.1999, n. 14; Sez. IV, 19.1.2000, n. 248 e 4.2.2003 n. 564) Pres. Calvo, Est. Correale - Neri e altro (Avv.ti Gili, Trombetti e Sirotti) c. Comune di Vespolate (Avv. Viola), A.R.P.A. Piemonte (Avv. Vivani) e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (Avv. Stato) - T.A.R. PIEMONTE, Torino, Sez. II - 26 marzo 2004, n. 517 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Bonifica di sito inquinato - Artt. 17 D. Lgs. 22/97 e art. 8 D.M. 471/99 - Soggetto ritenuto responsabile in base a indagini ancora in corso - Passibilità dell’ordine di messa in sicurezza - Esclusione. In tema di bonifica di sito inquinato, gli artt. 17 D.Lgs. n. 22/97 e 8 D.M. n. 471/99 considerano passibili dell’ordine di messa in sicurezza solo i responsabili accertati e non quelli ritenuti tali in base a mere indagini ancora in corso da parte degli organi competenti; è pertanto illegittima l’ordinanza che non sia stata preceduta da opportuni accertamenti, volti a verificare il profilo soggettivo dell’evento rilevato, e non fornisca piena e particolareggiata contezza dell’attività istruttoria e della motivazione a sostegno dell’individuazione del responsabile del superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione del suolo e delle acque (TAR Valle d’Aosta, 20.2.2003, n. 17). Pres. Calvo, Est. Correale - Neri e altro (Avv.ti Gili, Trombetti e Sirotti) c. Comune di Vespolate (Avv. Viola), A.R.P.A. Piemonte (Avv. Vivani) e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (Avv. Stato) - T.A.R. PIEMONTE, Torino, Sez. II - 26 marzo 2004, n. 517 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Bonifica siti inquinati - Ordine di messa in sicurezza - Art. 17, c. 2 D.Lgs. 22/97 - Soggetti passivi dell’ordine - Possono essere solo i responsabili effettivamente individuati con certezza.
I responsabili dell’inquinamento possono essere oggetto diretto dell’ordinanza di cui all’art. 17, comma 2°, D.Lgs. 22/97 solo se effettivamente individuati con certezza. Pres. Calvo, Est. Correale - Neri e altro (Avv.ti Gili, Trombetti e Sirotti) c. Comune di Vespolate (Avv. Viola), A.R.P.A. Piemonte (Avv. Vivani) e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (Avv. Stato) - T.A.R. PIEMONTE, Torino, Sez. II - 26 marzo 2004, n. 517 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Lavoro - Tutela dei lavoratori dai rischi connessi all'esposizione all'amianto - c.d. valori limite di concentrazione della sostanza stessa nell'aria - Limiti - Art. 31, c. 4 D.Lgs. n. 277/1991. In materia di tutela dei lavoratori dai rischi connessi all'esposizione all'amianto, il datore di lavoro ha l'obbligo non solo di apprestare le cautele più idonee, secondo l'ordinaria diligenza, ad evitare l'esposizione dei lavoratori all'amianto (quale quella di munire gli stessi di apposite maschere con elevati fattori di protezione), ma deve comunque garantire il rispetto dei c.d. valori limite di concentrazione della sostanza stessa nell'aria, adottando le misure necessarie a rimuovere le cause del superamento di tali valori, così come prescritto dall'art. 31, comma quarto del D.Lgs. n. 277 del 1991. CORTE DI CASSAZIONE Pen. sez. III, 19 marzo 2004, Sentenza n. 16724

Inquinamento - Inquinamento atmosferico - Concetto di impianto fisso - Ciclo produttivo - Punto di emissione - Convogliamento delle emissioni e di abbattimento dei fumi. Non può escludersi dal concetto di impianto fisso il sistema di convogliamento delle emissioni e di abbattimento delle stesse, anche se non propriamente del "ciclo produttivo" se sono parte integrante e rilevante, e dunque "sostanziale". Infatti, non è indispensabile, che le modifiche comportino differenti meccanismi del processo produttivo ovvero un'aumento dei fumi da disperdere nell'atmosfera, ma solo che tali modifiche siano sostanziali. Non si deve confondere il "punto di emissione", che ovviamente deve essere distinto dall'impianto, con il sistema più o meno complesso di convogliamento delle emissioni e di abbattimento dei fumi, che invece è parte "sostanziale" di esso. Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Inquinamento atmosferico - Inquinamento idrico - Concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. In tema di emissioni il problema del concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. (getto pericoloso di cose) è stato da tempo espressamente affrontato, e risolto positivamente, dalla Suprema Corte sia con riferimento all'inquinamento atmosferico (tra tante: Sez. 3^, 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. 1^, 31 agosto 1994, n. 9357, Turino; Sez. 3^, 26 giugno 1985, n. 6249, Boni), sia con riferimento all'inquinamento idrico (Sez. 1^, 10 novembre 1998, n. 13278, Mangione). Pertanto la contravvenzione codicistica e quelle previste dalle specifiche discipline di settore (in particolare la L. n. 615/1966 ed il D.P.R. n. 203/1988) possono ben concorrere, riconoscendo la diversità dei beni giuridici tutelati da dette norme. Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Sostituzione della pena detentiva entro il nuovo limite di sei mesi - L. n. 134/2003. L'entrata in vigore della L. n. 134/2003, modificando (all'art. 4) l'art. 53 L. n. 689/1981, ha reso possibile la sostituzione della pena detentiva entro il nuovo limite di sei mesi. Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Approvazione dei Progetti di bonifica, ripristino ambientale e messa in sicurezza - Sicurezza permanente - Siti inquinati di interesse nazionale - Conferenza di servizi convocata per la bonifica del sito di interesse nazionale - Progetto di dragaggio - Non può essere assentito - Competenza - Insussistenza - Bonifica - Interesse prioritario - Tutela dell’ambiente - Valore ordinamentale - Interessi concorrenti - Recessivi rispetto al valore ambiente - Art. 15 D.M. 471/99. Per i siti inquinati di interesse nazionale, l’art. 15 del D.M. 471/99 attribuisce al Ministero dell’Ambiente la competenza per l’approvazione dei progetti definitivi di bonifica, ripristino ambientale e messa in sicurezza permanente, e per il rilascio della autorizzazione all’esecuzione dei relativi interventi. In mancanza di una specifica normativa che coordini le operazioni di bonifica dei siti inquinati (nella specie, canale di accesso al Porto di La Spezia) con attività di dragaggio, queste ultime non sono comunque possibili neanche quando non pregiudichino i successivi interventi di caratterizzazione, di bonifica e di ripristino ambientale dell’area interessata, e quindi effettuare tale valutazione rispetto al progetto presentato dall’Autorità portuale non rientra nelle competenze della Conferenza di servizi, espressamente convocata “per acquisire le intese ed i concerti previsti dall’art. 17 D.Lgs. 22/97 e dell’art. 15 D.M. 471/99 in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernente un sito d’interesse nazionale”. La speciale normativa prevista per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati di interesse nazionale, non può subire condizionamenti o comunque interferenze sostanziali o procedimentali da parte delle restanti normative di settore, atteso il valore ordinamentale del bene ambiente. Ne consegue che una volta che un’area sia classificata tale, la stessa deve in via prioritaria essere bonificata e ripristinata con le modalità normativamente prescritte, risultando i concorrenti interessi di diversa natura recessivi rispetto alle finalità di tutela ambientale. Così un progetto di dragaggio, venendo ad interferire con le successive attività di bonifica e ripristino ambientale non può essere assentito in via anticipata, nell’esercizio di una funzione che la norma non prevede. Non è sufficiente, in altri termini, che le opere progettate non comportino un aumento dell’inquinamento né pregiudichino in genere successive attività di bonifica, occorrendo al contrario che le stesse siano assolutamente congruenti con gli interventi definitivamente approvati, siccome ritenuti, dopo i prescritti approfondimenti tecnici, i più idonei ad assicurare i risultati perseguiti dalla norma. Pres. Vivenzio, Est. Bianchi - Comitato per la Salvaguardia e lo Sviluppo del Golfo dei Poeti, WWF e Schiffini (Avv.Granara) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero delle Attività Produttive e Ministero della Salute (Avv. Stato), Regione Liguria (Avv.ti Sommariva e Castagnoli) e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LIGURIA, Genova, Sez. I - 18 marzo 2004, n. 267 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Ordinanza di bonifica del sito inquinato per effetto del comportamento dell’impresa fallita - Ordine diretto al curatore fallimentare - Successivamente alla chiusura del fallimento - Illegittimità. Dopo la chiusura della procedura fallimentare, il curatore, in quanto privo di potere di disposizione sui beni fallimentari, non può essere destinatario di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti inquinati per effetto del comportamento dell’impresa fallita. Pres. Papiano, Est. Lelli - Gullini (Avv. Servidio) c. Comune di Ferrara (n.c.) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 17 marzo 2004, n. 392

Inquinamento - Concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. - Sussiste - Inquinamento atmosferico, idrico e elettromagnetico - Giurisprudenza. L'interpretazione dell'inciso "nei casi non consentiti dalla legge"; racchiude l'esigenza di individuare il rapporto tra l'art. 674 c.p. e le discipline di settore, nella specie L. n. 615/1966 ed il D.P.R. n. 203/1988, tenuto presente che il concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. è possibile sia con riferimento all'inquinamento atmosferico (tra tante, Cass. Sez. 1^, 31 agosto 1994, n. 9357, Turino; Cass. Sez. 3^, 26 giugno 1985, n. 6249, Boni), sia con riferimento all'inquinamento idrico (Sez. 1^, 10 novembre 1998, n. 13278, Mangione “L'ipotesi di reato prevista dall'art. 674 c.p. può astrattamente concorrere con quelle previste dalla l. n. 319 del 1976 sull'inquinamento idrico (c.d. legge Merli), ma a condizione che sussista l'attitudine della condotta incriminata a provocare molestie alle persone, costituente elemento essenziale della fattispecie di pericolo delineata dalla norma codicistica in esame), sia all'inquinamento di onde elettromagnetiche (Cass. Sez. 1^, 12 marzo 2002, n. 15717, Pagano ed altri; Cassazione penale, sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102 Suraci; Cass. pen. 2003, n. 1560). “E' configurabile il reato previsto dall'art. 674 cod. pen. nelle emissioni di onde elettromagnetiche generate da ripetitori radiotelevisivi, purche' siano superati i valori indicativi dell'intensita' di campo fissati dalla normativa specifica vigente in materia, a nulla rilevando la concreta idoneita' delle emissioni stesse a nuocere alla salute umana, ne' potendo ipotizzarsi, in virtu' del principio di specialita' previsto dall'art. 9 della legge n. 689 del 1981, la prevalenza della disposizione dettata dall'art. 15 della legge n. 36 del 2001 - che contempla una sanzione amministrativa per il superamento dei limiti di inquinamento elettromagnetico - stanti i diversi beni tutelati da quest'ultima norma e da quella del codice penale". Rinaldi, Cassazione Penale sezione I del 14/06/2002 (CC.14/03/2002), Sentenza n. 23066. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 03 marzo 2004 (Cc. 23 gennaio 2004) Sentenza n. 9757 (vedi: sentenza per esteso)

Industrie insalubri - Sindaco - Autorità sanitaria locale - Poteri - Momento successivo all’attivazione - Prescrizioni dirette a ripristinare la compatibilità igienico-sanitaria - Inottemperanza del privato - Divieto di continuazione nell’esercizio - Art. 216 T.U. leggi sanitarie. Il Sindaco agisce in qualità di autorità sanitaria locale preposta alla vigilanza sulle industrie insalubri, la cui attivazione è subordinata alla preventiva comunicazione all’autorità comunale che, secondo quanto previsto dall’art.216 del citato T.U., può vietarne l’esercizio o subordinarlo a determinate cautele. Qualora nel corso dell’attività produttiva, vengano meno le condizioni igienico-sanitarie che avevano giustificato l’avvio delle stesse attività, il Sindaco è facoltizzato a dettare prescrizioni per ripristinare la compatibilità igienico-sanitaria delle produzioni, con la conseguenza che, in caso di inottemperanza delle stesse, l’autorità comunale può vietarne la continuazione nell’esercizio del potere inibitorio riconosciuto dal suddetto art.216 del T.U.. Pres. Amoroso, Est. Manzi - Belleggia (Avv.ti Pede e Galvani) c. Comune di Montegiorgio (Avv. Brignocchi) - T.A.R. MARCHE, Ancona - 3 marzo 2004, n. 104 (vedi: sentenza per esteso)

Industrie insalubri - Porcilaia - Localizzazione - Intervenuto mutamento della destinazione urbanistica (da agricola a artigianale di completamento) - Permanenza dell’impianto nel contesto residenziale produttivo - Condizioni - Introduzione di cautele atte ad evitare nocumento alla salute dei vicini - Art. 216 R.D. n. 1265/1934. Nel caso di intervenuto mutamento della destinazione urbanistica (da agricola a artigianale di completamento) della zona di insediamento dell’industria insalubre di prima classe (porcilaia) la sua permanenza in un contesto residenziale-produttivo e, quindi, abitato, è condizionata all’introduzione di metodi di lavorazione ed a speciali cautele per evitare che il suo esercizio arrechi nocumento alla salute dei vicini, come previsto dal citato art.216 del R.D. n.1265/1934. Pres. Amoroso, Est. Manzi - Belleggia (Avv.ti Pede e Galvani) c. Comune di Montegiorgio (Avv. Brignocchi) - T.A.R. MARCHE, Ancona - 3 marzo 2004, n. 104 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Smaltimento rifiuti - Processo amministrativo - La realizzazione di un’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti è un’opera pubblica e la relativa controversia si assoggetta al regime speciale dell’articolo 23 bis della legge Tar. L’approvazione del progetto preliminare di “realizzazione di un’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti” riguarda la realizzazione di un’opera pubblica. È, perciò, da ricomprendere fra quelli menzionati nell’art. 23-bis, comma 1, lett. b), relativi all’esecuzione delle opere pubbliche. Ne segue che ad esso si applica la regola della dimidiazione dei termini processuali, nella quale ricade anche quello per il deposito del ricorso in appello, ancorché l’area in questione sia di proprietà del comune e non debba pertanto essere espropriata. I termini sono infatti ridotti per l’esigenza di concludere celermente non i soli procedimenti espropriativi, ma per scopo acceleratorio di qualsiasi procedimento giurisdizionale riconducibile fra quelli delle materie elencate, che, in via generale, il legislatore ha giudicato meritevoli di spedita definizione. L’attività di raccolta e di separazione dei rifiuti non può essere qualificata come attività di recupero dei rifiuti stessi, quale è definita dal d. lvo n. 22/97, sicché per la realizzazione di un’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti non è necessario seguire la procedura di valutazione di impatto ambientale, prescritta per gli impianti di smaltimento e di recupero. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 17 febbraio 2004, n. 609 (vedi: sentenza per esteso)

Acqua e inquinamento idrico - Concetto di aumento dell’inquinamento - Presupposti ed elementi - Omessa adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento - Sistema sanzionatorio - Tutela dell'ambiente. L'omessa adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento, costituisce un obbligo cui soggiacciono i titolari degli scarichi esistenti, ancorché autorizzati, durante il regime transitorio (Cass. sez. un. 31 gennaio 2002 n. 3798, Turina rv. 220556 non massimata sul punto). Pertanto, poiché "l'aumento è un concetto per definizione relativo e presuppone il raffronto tra due dati, che sono quantitativi e qualitativi e, comunque, di fato riferiti allo scarico con la prescrizione che il dato fisico - chimico preesistente all'entrata in vigore del D.L.vo n. 152/99 non può essere alterato in peius" ed i dati da comparare possono risultare " da qualsiasi elemento" e "l'aumento potrà anche essere desunto da fatti significativi" (Cass. sez. un. 31 gennaio 2002, Turina cit.), i dati da comparare, come si evince dai passi tratti dalla decisione delle sezioni unite, non devono provenire necessariamente da analisi, ma possono discendere pure da considerazioni logiche oltre che da altre evenienze fattuali (ex. gr. Aumento della produzione e mantenimento dello stesso depuratore, guasto del sistema di depurazione, et similia). Sicché l'eventuale possibilità di configurare pure la contravvenzione di aumento anche temporaneo dell'inquinamento costituisce un ulteriore segnale circa la necessità di sanzionare, comunque, dette situazioni illecite e pericolose per la tutela dell'ambiente. Pres. Savignano - Est. Novarese - Pm Meloni - Imp. Marziano. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 20 gennaio 2004, (ud. 5.12.2003) sentenza n. 985 (vedi: sentenza per esteso)

Acqua e inquinamento idrico - Nozione di “scarico esistente” - art. 62, 11° e 12° c., D. L.vo n. 152/1999 - Art. 2 lett. c, c bis, D.Lgs n. 258/2000 - Abrogazione tacita - Inconfigurabilità - Disciplina applicabile. In assenza di un'abrogazione espressa della nozione di scarico esistente di cui all'art. 2 lett. c c bis) del D.Lgs n. 258 del 2000, non è possibile attribuire ad una disposizione con un contenuto specifico e limitato la possibilità di introdurre un'abrogazione implicita, mentre la locuzione contenuta sembra una cattiva sintesi di una pluralità di situazioni, disciplinate in maniera uniforme dall'art. 62 undicesimo e dodicesimo comma decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152. Pertanto, non è concepibile per le ragioni su riferite un'abrogazione tacita dell'art. 2 let. c c bis) d. 1. vo cit. su riportata, ove si volesse, in contrasto con i criteri ermeneutici su evidenziati in tema di interpretazione di norme derogatorie di una regola generale, ritenere estensibile il termine "non autorizzati" a tutti gli scarichi esistenti, non può obliterare il sintagma "conformi al regime autorizzativo previgente", sicché l'espressione "non autorizzati" concernerebbe solo quegli scarichi esistenti alla data del 13 giugno 1999, non muniti di formale autorizzazione che, in relazione alla situazione fattuale, avrebbero potuto ottenerla. Pres. Savignano - Est. Novarese - Pm Meloni - Imp. Marziano. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 20 gennaio 2004, (ud. 5.12.2003) sentenza n. 985 (vedi: sentenza per esteso)

Industrie insalubri - Industria insalubre di I classe - Tardiva impugnazione della variante al P.R.G. che ne vieta l’insediamento in zona agricola - Impugnazione dell’atto di diniego all’esercizio dell’attività industriale - Inammissibilità - Difetto di interesse. La tardiva impugnazione della variante al PRG che ha vietato in zona agricola l’insediamento di industrie insalubri di I e di II classe, comporta l’inammissibilità per difetto di interesse dell’impugnazione dell’atto di diniego all’esercizio dell’attività individuata come insalubre di I classe: ciò in quanto tale diniego si configura come atto dovuto, meramente consequenziale ed esecutivo della presupposta determinazione consiliare di adozione della variante urbanistica. Pres. Zuballi - Ecoservice s.r.l. (Avv. Cavestro) c. Comune di Montegalda (Avv. Menguzzo) - T.A.R. VENETO, Venezia, Sez. III - 14 gennaio 2004, n. 51

Inquinamento - Lavoro - Azione nociva dell'amianto - Morte del lavoratore - Responsabilità del datore di lavoro - Sussite - Omicidio colposo - Presupposti. Ai fini della configurazione della colpa, (per omicidio colposo addebitato a un datore di lavoro per la morte per mesotelioma di un lavoratore esposto ad amianto), è sufficiente che fosse intuibile che l'indiscriminata esposizione alla polvere di amianto nella lavorazione di tale sostanza comportava alti rischi di contrarre la malattia, essendo ormai evidente, già ai tempi dell'esposizione lavorativa, l'azione nociva dell'amianto. Gastaldi. TRIBUNALE CARRARA 13 gennaio 2004

Inquinamento - Energia - Progettazione tecnica degli impianti di produzione, distribuzione e utilizzo dell’energia - L.R. Piemonte n. 23/2002 - Questione di legittimità costituzionale - Art. 117 Cost. - Infondatezza - Deve uniformarsi alle regole tecniche predisposte dal gestore nazionale. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, lettera i), della legge regionale del Piemonte 7 ottobre 2002, n. 23 (Disposizioni in campo energetico. Procedure di formazione del piano regionale energetico-ambientale. Abrogazione delle leggi regionali 23 marzo 1984, n. 19; 17 luglio 1984, n. 31 e 28 dicembre 1989, n. 79), in riferimento all’art. 117, commi primo, secondo, lettera e), e terzo, della Costituzione, nonché in riferimento al principio di ragionevolezza. La disposizione impugnata deve essere letta alla luce di quanto disposto dai commi 19, 14 e 25 dell’art. 2 del d.lgs. n. 79 del 1999. Conseguentemente, si deve ritenere che le “regole tecniche”, che ai sensi del comma 6 dell’art. 3 del d.lgs. n. 79 del 1999 devono essere adottate da parte del gestore nazionale, si applichino anche alla progettazione degli impianti di produzione, distribuzione e utilizzo dell’energia cui si riferisce l’art. 2 della legge della Regione Piemonte n. 23 del 2002. Rientra nei poteri delle Regioni la individuazione di ulteriori criteri di realizzazione degli impianti, fermo restando che questi ultimi dovranno comunque uniformarsi agli standard stabiliti dal gestore della rete di trasmissione nazionale. - Pres. CHIEPPA, Red. DE SIERVO. CORTE COSTITUZIONALE Deposito del 13 gennaio 2004 (Decisione del 18 dicembre 2003), Sentenza n. 7

Inquinamento - Energia - Deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. - Condizioni e limiti - Procedure autorizzatorie necessarie alla costruzione o al ripotenziamento di impianti di energia elettrica - Modalità collaborative e di garanzia degli interessi delle istituzioni regionali - attribuzione allo Stato dell’esercizio unitario. Una deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. può essere giustificata “solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata”. Una legge statale che attribuisca funzioni amministrative a livello centrale può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, che devono essere condotte in base al principio di lealtà. Se si applicano i menzionati criteri al d.l. 7/2002 e alla legge di conversione, si rileva la necessarietà dell’intervento dell’amministrazione statale in relazione al raggiungimento del fine di evitare il “pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale” (art.1); non v’è dubbio, infatti, che alle singole amministrazioni regionali sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia elettrica e l’autonoma capacità di assicurare il soddisfacimento di tale fabbisogno. In relazione agli altri criteri, non si può non riconoscere da un lato la specifica pertinenza della normativa oggetto del presente giudizio in relazione alla regolazione delle funzioni amministrative in questione, dall’altro che tale normativa si è limitata a regolare queste ultime in funzione del fine di sveltire le procedure autorizzatorie necessarie alla costruzione o al ripotenziamento di impianti di energia elettrica. Dal punto di vista del rispetto delle idonee forme di intesa tra il livello statale e i livelli regionali, devono considerarsi adeguati i due distinti livelli di partecipazione delle Regioni disciplinati nel d.l. n. 7 del 2002, quale convertito dalla legge n. 55 del 2002. I due distinti livelli di partecipazione - dell’insieme delle Regioni nel primo comma dell’art 1 e della Regione direttamente interessata nel secondo comma dello stesso articolo - realizzano sufficienti modalità collaborative e di garanzia degli interessi delle istituzioni regionali i cui poteri sono stati parzialmente ridotti dall’attribuzione allo Stato dell’esercizio unitario delle funzioni disciplinate negli atti impugnati. L’insieme di tali considerazioni evidenzia l’infondatezza dei rilievi circa la violazione dell’art. 118 Cost. - Pres. CHIEPPA, Red.DE SIERVO. CORTE COSTITUZIONALE Deposito del 13 gennaio 2004 (Decisione del 18 dicembre 2003), Sentenza n. 6 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - rifiuti - nozione di rifiuto - Impianto di smaltimento - modifiche - necessità di autorizzazione - nuove fasi di smaltimento - necessità di autorizzazione - Scarico industriale - modifiche alla tipologia dei rifiuti trattati - necessità di autorizzazione - Scarico industriale - scarico occasionale - depenalizzazione - nozione di scarico occasionale - Prelievo di campioni di reflui - necessità di avviso - esclusione - atto irripetibile - Inquinamento - danneggiamento - concorso di reati - Emissioni in atmosfera - autorizzazione - necessità per ogni singola fonte di emissione. Necessita l’autorizzazione regionale di cui all’art. 27 d.lv. 22/97 per ogni intervento di modifica di un impianto di gestione di rifiuti, per tale dovendosi intendere sia le modifiche alla struttura, sia quelle al processo tecnologico quando incidano sulla capacità dell’impianto con riferimento alla quantità o alla tipologia generale dei rifiuti. Così è necessaria l’autorizzazione a norma dell’art. 28 per l’introduzione di qualunque nuova fase di smaltimento, quale è, per esempio, il deposito temporaneo prima della raccolta. È necessaria una nuova autorizzazione a norma dell’art. 46 d.lv. 152/99 in caso di modifica dell’impianto, della natura dei rifiuti trattati o delle procedure di trattamento. La modifica dell’art. 59 d.lv. 152/99 da parte dell’art. 23 c. 1 lett. e) d.lv. 258/2000 ha determinato la depenalizzazione del superamento dei limiti negli scarichi occasionali. Per tali, tuttavia, devono ritenersi solo dagli sversamenti episodici, e non i superamenti occasionali di scarichi stabili. In caso di scarichi l’avviso all’interessato è previsto esclusivamente con riferimento alla realizzazione delle analisi e non all’esecuzione dei prelievi i quali, comunque, sono assimilabili alle attività di sequestro e, in generale, alle attività irripetibili. Né incide sulla validità del prelievo la mancata rispondenza di questo alle normative tecniche, circostanza che può rilevare solo ai fini della valutazione del risultato delle analisi. Il reato di danneggiamento può concorrere con quelli in materia di inquinamento ambientale, vendo i reati diverse oggettività giuridiche. In caso di impianti che possono dare luogo ad emissioni in atmosfera l’autorizzazione è necessaria con riferimento ad ogni singola fonte di emissione all’interno dell’impianto. - Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Responsabilità - Attribuzione della delega di funzioni - Responsabilità in capo al delegante - Sussiste - Obbligo di vigilanza e di garanzia. L’attribuzione della delega di funzioni da parte dell’organo formalmente investito dei compiti di amministrazione e rappresentanza, e dunque in posizione apicale, al soggetto in posizione di dipendenza o subordinazione, pur spostando le mansioni proprie della qualifica personale, non determina l’esclusione di ogni responsabilità in capo al delegante, comportando solo un mutamento del contenuto dell’impegno richiesto a quest’ultimo, garante primario per legge, che si trasforma in obbligo di vigilanza e di garanzia. Infatti il titolare primario degli obblighi e delle responsabilità ed il diretto destinatario della norma penale, devono sempre essere individuati nel soggetto cui, per legge e per la natura e organizzazione dell’impresa, obblighi e responsabilità sono riferibili (cfr. Cass. VI, 16712/1975; Cass. IV, 10/11/1978; Cass. IV, 11/12/86). In tal senso la delega al sottoposto costituisce solo una modalità di adempimento degli obblighi gravanti su tale soggetto. Ne consegue che, se da un lato con l’atto di delega si creano nuovi soggetti tenuti ad adempiere in forza dell’atto di preposizione; dall’altro il garante primario non può sottrarsi da ogni attesa dell’ordinamento, assumendo comunque il dovere di controllo e vigilanza sul corretto esercizio del potere delegato, con conseguente frazionamento della posizione di garanzia. Del resto la sussistenza di una posizione di garanzia, in generale, in capo agli amministratori di società, può desumersi anche dal disposto del comma 2 dell’art. 2392 cod. civ., ai sensi del quale: “in ogni caso gli amministratori sono direttamente responsabili se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”. Parimenti, nell’impresa in generale, è previsto, per esempio, dall’art. 2086 c.c., che “l’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”. Sicchè, anche in base a tali discipline, può affermarsi l’esistenza in capo agli amministratori e, più in generale, agli imprenditori, di un obbligo di vigilare ed intervenire affinchè non vengano compiuti atti pregiudizievoli (cfr. Cass. V, 26/6/90; Cass. V, 12/2/92; Cass. V, 7/7/92). Ne discende, dunque, una posizione di garanzia, in virtù della quale il soggetto in posizione apicale continua a rispondere degli eventuali reati commessi dal delegato nella misura in cui, non intervenendo, ne abbia consentito o agevolato la verificazione (cfr. Cass. V, 28/6/93; Cass. V, 20/10/94). Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Organizzazione aziendale - Responsabilità del delegato di commettere il reato - Condotta omissiva concorrente del delegante. Il potere del delegato di commettere il reato, nell’ambito dell’organizzazione aziendale, non è originario, ma derivato. Esso discende esclusivamente dal consenso, espresso o tacito, del soggetto in posizione apicale. In assenza di quest’ultimo, ovviamente, il delegato non avrebbe avuto alcun potere e non avrebbe potuto commettere alcun reato. Si può dunque affermare che la condotta omissiva concorrente del delegante si innesta su una precedente condotta positiva - il conferimento espresso o tacito della delega o del potere di amministrare - che concorre in maniera determinate alla causazione dell’ipotizzato reato. (v. Cass. 5/2/91, 4820; Cass. 6/12/91, 1506). A fronte, poi, della responsabilità del delegante, si pone quella del delegato, il quale, in virtù dell’atto di delega e del trasferimento di competenze e poteri, e, quindi, della effettiva titolarità di quei poteri/doveri che sono normalmente propri dell’individuo munito della qualifica extrapenalistica, deve ritenersi diretto destinatario del precetto, alla stregua del delegante, anche in caso di reato proprio (cfr. Cass. V, 11/10/94; Cass. V, 10/7/84; Cass. V, 23/2/83). Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)

Comitati e associazione - Associazioni ambientalistiche - Legittimazione processuale - Presupposti - Art. 18 L. n. 349/1986. Le associazioni ambientalistiche, riconosciute con decreto del Ministro dell'ambiente, sono legittimate a far valere in giudizio la lesione dell'interesse diffuso in materia ambientale ai sensi dell'art. 18 della L. 8 luglio 1986, n. 349. In specie è stata ritenuta legittima l’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo per ogni provvedimento autoritativo che incida sulla qualità dell'ambiente ed è tale l'atto con cui l'amministrazione approva il progetto di trasformazione del territorio e indice la gara per la scelta del relativo esecutore, nonché l'atto che dispone l'aggiudicazione e consente la materiale realizzazione dei lavori o, prima ancora, un atto ritenuto contrastante le regole poste in ordine alla procedura di v.i.a. Ne discende l'assenza di legittimazione nell'ipotesi di impugnativa delle disposizioni dell'accordo di programma che prevedono l'affidamento esterno delle funzioni di stazione appaltante. - Regione Lombardia c. Ministero economia e altri. CONSIGLIO STATO, sez. IV, 16 dicembre 2003, Sentenza n. 8234

Danno ambientale - Calcolo dell’indennità - Nozione di profitto - Presupposti. L'indennità per danno ambientale va commisurata, ex art. 15 l. n. 1497 del 1939, alla maggior somma risultante dalla comparazione fra il danno arrecato ed il profitto conseguito. La nozione di profitto attiene all'utilità ricavata dall'illecito, la quale certamente si incrementa con la durata del godimento del bene e non è quindi cristallizzabile alla sola data di commissione dell'abuso. Pertanto, il profitto va quindi valutato con riferimento a tutto il ragionevole periodo di utilizzazione al di là del momento di accertamento della violazione. M. c. Regione Puglia CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 6348

Inquinamento idrico - Reati contro l'incolumità pubblica - Contravvenzioni - Getto pericoloso di cose - Concorso con i reati di cui al D.L.gs. n. 152/1999 - Possibilità - Art. 674 c.p. L'ipotesi di reato di cui all'art. 674 cod. pen. (getto pericoloso di cose) può concorrere con le disposizioni della D.L.gs. 11 maggio 1999 n. 152 (tutela delle acque dall'inquinamento), stante la diversa struttura delle fattispecie ed i differenti beni giuridici tutelati. Pres. Papadia U - Est. Rizzo A - Imp. Graziani - PM. (Conf.) Passacantando G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 07 Ottobre 2003 (UD.01/07/2003) RV. 226578, sentenza n. 37945

Inquinamento idrico - Tutela dall'inquinamento - Scarichi da frantoi oleari - Condizioni - Individuazione - Art. 1 *cost. L. n. 574/1996 - Art. 28 D. Lg. n. 152/1999 - D. Lg. n. 22/1997. Le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive possono essere oggetto di utilizzazione agronomica (ai sensi dell'art. 1 della Decreto Legge 11 novembre 1996 n. 574), attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad uso agricolo, e previa autorizzazione sindacale, non rientrando, pertanto, nella disciplina sui rifiuti di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, a condizione che non abbiano subito alcun trattamento, ne' ricevuto alcun additivo ad eccezione della acque per la diluizione della pasta ovvero per la lavatura degli impianti. Pres. Toriello F - Est. Postiglione A - Imp. Malpignano - PM. (Diff.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 03 Ottobre 2003 (UD. 25/06/2003) RV. 226320, sentenza n. 37562

 

Inquinamento - Associazioni ambientalistiche - Legittimazione a ricorrere - Sezioni locali e alle articolazioni periferiche - Esclusione - art. 18, c. 5, legge n. 349/1986. In tema di legittimazione processuale, in base al disposto dell'art. 18, comma 5, legge n. 349 del 1986, le sezioni locali e alle articolazioni periferiche delle associazioni ambientalistiche, non hanno legittimazione a ricorrere essendo essa attribuita solo agli organi nazionali. - Pres. Baglietto - Est. Parlotti - Lega per l'abolizione della caccia - L.A.C. - Sezione Piemonte (Avv. Fenoglio) c. Regione Piemonte (avv. Magliona). T.A.R. Piemonte sez. I, 03 ottobre 2003, Sentenza n. 1197

Il principio comunitario di diritto ambientale "chi inquina paga" non contrasta con i principi fondamentali della Carta costituzionale. La giurisprudenza della Consulta ha tradizionalmente ritenuto che rientrino nel potere discrezionale del legislatore opzioni normative di tal genere. Più in particolare, l'istituto si può configurare come una proiezione generale del principio comunitario di diritto ambientale "chi inquina paga", che certamente non contrasta con i principi fondamentali della Carta costituzionale, soprattutto se si considera che la portata economica della reintegrazione ambientale è generalmente proporzionale a quella dell'inquinamento, sicché nel soggetto che inquina si presuppone una capacità economica tale da consentirgli di affrontare anche le spese di risanamento. Ne consegue che la norma sospettata non opera alcuna discriminazione irragionevole tra soggetti che posseggono e soggetti che non posseggono la capacità economica di affrontare le spese dì una bonifica ambientale. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi: sentenza per esteso)

Reati ambientali - applicabilità dell’articolo 165 Cp. in relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento dell'ambiente - il ricorso all'istituto generale. Per reati diversi dall'inquinamento del sito, l’istituto di carattere generale trova applicazione anche in relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento dell'ambiente è possibile ricorrere all'istituto generale disciplinato dall'articolo 165 Cp. Anzitutto perché la norma speciale esclude l'applicazione della norma generale solo per i casi tassativamente previsti nella prima, sicché al di fuori di questi ritorna applicabile la norma generale. In secondo luogo perché la clausola di salvezza prevista dall'articolo 165, secondo cui la norma codicistica si applica "salvo che la legge disponga diversamente" non opera nella soggetta materia, atteso che la norma speciale di cui trattasi non contiene una disciplina "diversa", cioè contrastante, ma solo una disciplina differente "per specializzazione". In altri termini, il ricorso all'istituto generale di cui all'articolo 165 è escluso solo quando una legge speciale preveda una disciplina con esso incompatibile (per esempio perché sottrae al giudice penale il potere di imporre un facere al condannato in determinate materie, riservandolo alla pubblica amministrazione), non già quando preveda, in relazione a determinati reati, una disciplina semplicemente "specializzante" rispetto a quella dell'articolo 165: in questo caso infatti - come già osservato - l'istituto generale resta applicabile per tutti i reati diversi da quelli contemplati nella norma speciale. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi: sentenza per esteso)

Per chi non ottempera all'ordinanza sindacale che impone la rimozione e il ripristino del luogo in cui siano stati abbandonati rifiuti la condanna penale può essere sospesa anche subordinatamente alla esecuzione di quanto stabilito nell'ordinanza. Un'altra disciplina specifica dell'istituto di subordinare il beneficio di sospensione condizionale della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato è prevista nel decreto legislativo 22/1997 al secondo comma dell'articolo 50, sotto la rubrica "abbandono di rifiuti". Per chi non ottempera all'ordinanza sindacale che ai sensi dell'articolo 14, comma 3, impone la rimozione e il ripristino del luogo in cui siano stati abbandonati rifiuti la condanna penale può essere sospesa anche subordinatamente alla esecuzione di quanto stabilito nell'ordinanza. Analoga disciplina è stabilita per chi non ottempera all'obbligo di separare rifiuti abusivamente miscelati ai sensi dell'articolo 9. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi: sentenza per esteso)

Condanna per il reato di inquinamento - abbandono di rifiuti - gestione di discarica abusiva - il giudice penale può subordinare la sospensione condizionale della pena alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale - articolo 17 decreto legislativo 22/1977 - all'articolo 51 D.L.vo 22/1977 - bonifica del sito o al ripristino dell'ambiente. Per molteplici reati c.d. ambientali si è discusso se si era in presenza di un reato commissivo di danno (inquinamento) con causa di non punibilità (se si provvede alla bonifica) ovvero con condizione obiettiva di punibilità (se non si provvede alla bonifica); oppure di reato a condotta mista (cagionare l'inquinamento e non provvedere alla bonifica); oppure di reato omissivo (non provvedere alla bonifica) con un presupposto esterno alla struttura del reato (inquinamento). Ma quale che sia l'inquadramento dommatico corretto (che esula dal presente thema decidendum), il reato sussiste solo se l'inquinamento del sito ha superato i limiti di accettabilità definiti dall'apposito decreto ministeriale previsto dall'articolo 17 decreto legislativo 22/1977 ovvero se esiste un pericolo concreto e attuale di superamento di tali limiti, e se la bonifica del sito non è avvenuta secondo le sequenze procedimentali prescritte dal citato articolo 17 (notifica entro 48 ore della situazione di inquinamento agli organi amministrativi competenti; comunicazione entro le 48 ore successive degli interventi di messa in sicurezza adottati; presentazione al comune e alla regione del progetto di bonifica entro trenta giorni dall'evento inquinante). Ne consegue che il giudice penale può subordinare la sospensione condizionale della pena alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale previsti e proceduralizzati dall'articolo 17 solo se è intervenuta condanna per il reato di inquinamento del sito. Per gli altri reati previsti dal decreto legislativo 22/1997, e segnatamente per quelli di abbandono di rifiuti di cui all'articolo 51, comma 2, e di gestione di discarica abusiva di cui all'articolo 5 1, comma 3, che, pure essendo generalmente prodromici all'inquinamento, sono strutturalmente diversi dal reato di inquinamento del sito previsto dall'articolo 51bis, invece, il giudice può solo applicare l'articolo 165 Cp e quindi subordinare il beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, secondo le modalità da lui stesso stabilite nella sentenza di condanna. In altri termini, per questi altri reati può subordinare il beneficio alla bonifica del sito o al ripristino dell'ambiente eseguiti al di fuori delle sequenze procedurali previste dal combinato disposto degli articoli 17 e 51bis decreto legislativo 22/1997. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi: sentenza per esteso)

Rifiuti - contravvenzioni in materia ambientale - la subordinazione del beneficio al ripristino ambientale - l’istituto di carattere generale trova applicazione anche in relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento dell'ambiente. Non può dubitarsi che, in caso di condanna per contravvenzioni in materia ambientale, il beneficio della sospensione condizionale della pena possa essere subordinato alla bonifica del sito inquinato e al ripristino ambientale.La subordinazione del beneficio all'esatto adempimento di quanto stabilito nella sentenza è diventato un istituto di carattere generale, che pertanto può trovare applicazione in relazione ai reati urbanistici e a tutte le ipotesi di inquinamento dell'ambiente, oltre i casi previsti in specifici settori, come le acque e i rifiuti. Cassazione sezione terza, 2944/84, Mungai, rv 162773. Corte di Cassazione Penale Sez. III 16 settembre 2003, n. 35501 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento ambientale e di emissioni maleodoranti - cartiera - scarico dei reflui nel fiume senza adeguata depurazione - indagine ispettiva del nucleo operativo ecologico dei Carabinieri - assenza di un proprio impianto di depurazione - reflui che confluivano nella fognatura comunale, e successivamente, in parte, in un impianto di depurazione - impianto consortile tecnicamente inidoneo per il trattamento dei reflui - eccezionale ed urgente necessità di superare l'emergenza ambientale - sanatoria legale - illegittimità - la sanatoria dei vizi di legittimità di determinati atti amministrativi - limiti - territori colpiti da calamità naturali - inquinamento delle risorse idriche nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi. Legge 8 aprile 2003, n. 62 (che ha convertito il decreto legge 7 febbraio 2003, n. 15): legge che avrebbe disposto una “sanatoria legale” dei provvedimenti impugnati, non trova applicazione per il combinato disposto dei commi 1, 2, 3 dell’art. 1-ter, ove si prevede che:” Le disposizioni di conferma e di salvezza, di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, si applicano altresì ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, alle ordinanze di protezione civile ed ai conseguenti provvedimenti emanati in regime commissariale, sul territorio nazionale, inerenti alle situazioni di emergenza ambientale e relativamente allo stato di inquinamento delle risorse idriche nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione". Infatti, in sede di conversione del decreto-legge, l’art. 1-ter. della legge ha disposto che: “1. Per fronteggiare la persistente, eccezionale ed urgente necessità di superare l'emergenza ambientale e lo stato di inquinamento delle risorse idriche nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione nel territorio della Regione siciliana, ed al fine di perseguire l'elevato livello della salute e dell'ambiente, sono confermati il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 gennaio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 28 gennaio 1999, ed i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 dicembre 1999, del 16 giugno 2000 e del 14 gennaio 2002, pubblicati rispettivamente nelle Gazzette Ufficiali n 300 del 23 dicembre 1999, n. 146 del 24 giugno 2000 e n. 23 del 28 gennaio 2002, con i quali il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato e poi prorogato, fino al 31 dicembre 2004, lo stato di emergenza ambientale nella Regione siciliana. Occorre, poi, rilevare che la legge n. 62 del 2003 si riferisce espressamente a “territori colpiti da calamità naturali”. La suesposta conclusione , peraltro, tiene conto di quell’insegnamento della Corte costituzionale, per cui le disposizioni legislative che prevedono la sanatoria dei vizi di legittimità di determinati atti amministrativi - pur ammissibili in linea di principio - non impediscono al giudice amministrativo di accertare (tra l’altro), ” a) la sussistenza dell’attribuzione del potere di emettere i provvedimenti adottati” (Cfr. la decisione 26 marzo 1987, n. 100, nonchè le altre decisioni ivi richiamate). T.A.R. del Friuli - Venezia Giulia, 30 agosto 2003 Sentenza n. 641 (vedi: sentenza per esteso)

Energia - Realizzazione e gestione di centrali energetiche - Rilascio dell’autorizzazione - E’ subordinato alla sola verifica dei presupposti di legge - Inquinamento atmosferico - Apposizione di prescrizioni dirette a garantire la conformità della centrale alla normativa di settore - Legittimità. In materia di realizzazione e gestione di centrali di produzione di energia elettrica, il rilascio dell’autorizzazione è subordinato alla sola verifica dei presupposti fissati dalla legge. Ricorrendo le condizioni di fatto e di diritto stabilite dalla normativa regolamentare e legislativa vigente l’Amministrazione è tenuta al rilascio del titolo abilitante, nel rispetto del procedimento amministrativo attraverso il quale, acquisita la partecipazione di tutti i soggetti interessati, viene valutato l’impatto dell’intervento sugli interessi coinvolti e viene verificata la rispondenza e congruenza dell’opera alla normativa energetica, ambientale e paesaggistica. Ne consegue che è nel diritto-dovere dell’Amministrazione apporre sul titolo autorizzatorio condizioni e prescrizioni preordinate a garantire la conformità della centrale energetica alla normativa di settore. In particolare, per quanto riguarda l’ inquinamento atmosferico, l’intervento è senz’altro assentibile se rispetti i parametri ed i valori stabiliti da leggi e regolamenti. - Pres. PISCITELLO, Est. CILIBERTI - Comune di San martino in Pensilis e altri (Avv. Ruta) c. Ministero delle Attività Produttive e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) T.A.R. MOLISE, Campobasso - 28 agosto 2003, n. 659

Energia - Realizzazione e gestione di centrali energetiche - Piano energetico regionale - Non costituisce presupposto al rilascio dell’autorizzazione.
L’adozione del Piano Energetico Regionale non costituisce presupposto indefettibile per il rilascio dell’ autorizzazione regionale ad un impianto energetico. - Pres. PISCITELLO, Est. CILIBERTI - Comune di San martino in Pensilis e altri (Avv. Ruta) c. Ministero delle Attività Produttive e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) T.A.R. MOLISE, Campobasso - 28 agosto 2003, n. 659

Diritto ambientale in genere - Nozione - Inquinamento - Valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) - Elettrosmog - Equilibri ecologici - Danno ambientale - Aria - Rumore - Acqua - Suolo ecc.. Rientrano nella disciplina del diritto all'ambiente tutti quei settori in cui si persegue come finalità prevalente la tutela dell’ambiente come ad es. la disciplina a difesa dell'aria, del rumore, dell'acqua, della salvaguardia del suolo, dello smaltimento dei rifiuti, delle aree protette, della protezione della natura, ecc.. Rientrano inoltre, nella disciplina del diritto ambientale, quegli strumenti tipicamente volti a preservare gli equilibri ecologici quali la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) e il danno ambientale, oltre a discipline quali quella paesistica e quella relativa al c.d. inquinamento elettromagnetico o luminoso ecc.. - Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. c. Provincia autonoma di Trento. CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 26 agosto 2003, n. 4841

Inquinamento - Diritto all'ambiente - Nozione - Tutela degli equilibri ecologici - Finalità. All'interno del diritto all'ambiente vanno ricomprese tutte quelle discipline di settore in cui si persegue come finalità prevalente la tutela degli equilibri ecologici, come ad esempio: la disciplina dell'aria, del rumore, dell'acqua, dello smaltimento dei rifiuti, della difesa del suolo, della protezione della natura, delle aree protette, quegli strumenti tipicamente volti a preservare gli equilibri ecologici quali la valutazione di impatto ambientale e il danno ambientale, oltre a discipline quali quella paesistica e quella relativa al c.d. inquinamento elettromagnetico. - Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. c. Provincia autonoma di Trento CONSIGLIO STATO, sez. VI, 26 agosto 2003, n. 4841

Aria - Inquinamento atmosferico - Immissioni - Canne fumarie - Norme regolamentari comunali - Irretroattività - Obbligo di adeguamento - Può essere imposto nel caso di gravi inconvenienti igienico-sanitari. Le nuove norme introdotte in un regolamento edilizio comunale in materia di altezza e di distanza delle canne fumarie non possono operare retroattivamente e comportare l’obbligatorio adeguamento delle canne fumarie preesistenti alla loro operatività. Tuttavia, qualora le preesistenti canne fumarie determinino gravi inconvenienti igienico-sanitari per gli abitanti delle costruzioni vicine, a causa della nocività dei fumi immessi nell’atmosfera, la competente Autorità è facoltizzata a porre rimedio a tale situazione di fastidio e di pericolo per la salute pubblica, anche attraverso l’imposizione di obblighi di adeguamento degli impianti di dispersione dei fumi alle norme regolamentari sopravvenute, se in grado di eliminare o di attenuare la preesistente situazione di rischio igienico-sanitario. - Pres. GIAMBARTOLOMEI, Est. MANZI - Giovannini e altro (Avv. Pinelli) c. Comune di Recanati (Avv. Latini) T.A.R. MARCHE, Ancona - 6 agosto 2003, n. 960

Acque - Tutela dall'inquinamento - Metodo di campionamento “medio” e prelevamento di un campione “istantaneo” - Legittimità - Principio “tempus regit actum”.
Quando il metodo di campionamento “medio” su prelievi intervallati nel tempo sia oggettivamente impossibile (in specie lo scarico era di modesta entità e gestito da un impianto a pompa che poteva essere staccata in qualsiasi momento) può essere utilizzato il prelevamento di un campione “istantaneo” in virtù delle disposizioni dell’allora vigente legge n. 319/76, secondo al principio “tempus regit actum”. - Pres. Toriello - Est. Onorato - Ric. Lazzeroni CASSAZIONE PENALE, 05 agosto 2003, sentenza n. 32996

Acque - Tutela dall'inquinamento - Criterio del campionamento “medio”- Carattere indicativo e non precettivo.
L’utilizzo del criterio del campionamento “medio”, secondo la costante giurisprudenza, ha solo un carattere indicativo e non precettivo, trattandosi di una indicazione metodologica inserita non nelle norme di legge, ma nelle note in calce alle tabelle allegate alla stessa legge, e inoltre, ha per oggetto un’attività che ha natura amministrativa e non di polizia giudiziaria. - Pres. Toriello - Est. Onorato - Ric. Lazzeroni CASSAZIONE PENALE, 05 agosto 2003, sentenza n. 32996

Acque - Tutela dall'inquinamento - Campionamento - Metodi di effettuazione - Nuova disciplina in materia di tutela delle acque dall'inquinamento - D. L.vo n. 258/2000.
L’Allegato 5, (della nuova disciplina in materia di tutela delle acque dall'inquinamento) al punto 1.2, come modificato dal D. L.vo 18 agosto 2000 n. 258 prevede, da un lato, che “le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferiti ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore”, e dall’altro, che ”l’autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campionamento più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze...”. La “flessibilità” della metodica, accanto ad un criterio “normale” o di principio prevede la possibilità di altri criteri in relazione alle esigenze specifiche del caso concreto, la cui valutazione spetta all’autorità amministrativa di controllo, nonchè, in sede processuale, al giudice penale. - Pres. Toriello - Est. Onorato - Ric. Lazzeroni CASSAZIONE PENALE, 05 agosto 2003, sentenza n. 32996

Inquinamento - Ambiente in genere - Poteri polizia municipale - Ufficiali di P.G. - Vigile Urbano in servizio per il controllo degli scarichi di acque reflue - Obbligo di prendere notizia del reato di propria iniziativa di reati anche in materia urbanistico-edilizia - Sussistenza - Impedimento con violenza o minaccia - Fattispecie: reati di cui all'art. 336 c. p., art. 4 L. n. 47/1985 e art. 57 c. 2 Lett. b Nuovo C.P.P.. Il vigile urbano che trovandosi ad espletare un controllo sulla regolarità degli scarichi delle acque reflue, prende notizia di violazioni relative all'attività urbanistico- edilizia, ha l'obbligo di prendere notizia del reato in quanto ai sensi dell'art. 4 legge 28 febbraio 1985 n. 47 ha poteri di polizia giudiziaria in tale materia e quindi qualora tale attività gli venga impedita con violenza o minaccia l'autore risponde del delitto di violenza o minaccia a pubblico ufficiale. PRES. Sansone L REL. Mannino SF COD.PAR.421 IMP. P.G. in proc. Baldassarri PM. (Conf.) Iadecola G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. VI, 24/07/2003 (UD. 18/02/2003), RV. 226217, Sentenza n. 31408

 Il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 - norme in materia di qualità dell'aria - inquinamento prodotto dagli impianti industriali - applicabilità e procedure. Il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (recante: “Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della L. 16 aprile 1987, numero 183”), all’art. 10, ha previsto che: “ 1. In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l'autorità regionale competente procede secondo la gravità delle infrazioni: a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità; b) alla diffida e contestuale sospensione della attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute e/o per l'ambiente; c) alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo e di danno per la salute e/o per l'ambiente”. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela della salute pubblica - provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini - competenza - sindaco - condizioni - l'assistenza della forza pubblica - il principio di legalità - la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica. Questi atti sono emanati in presenza di una situazione di urgenza e necessità, il cui contenuto (come si è visto) non è predeterminato dalla legge, ma si adegua in concreto ai tratti dell'emergenza sulla quale si vuole intervenire: ciò al fine di consentire all'ordinanza quei margini di elasticità indispensabili per garantirne efficacia ed efficienza. Il principio di legalità, in questi casi, è compresso nei limiti massimi concessi dall'ordinamento e la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti si traduce nell'indicazione legislativa dei soli caratteri della situazione - di necessità ed urgenza - che costituisce il presupposto della misura adottata. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela della salute pubblica - provvedimenti contingibili e urgenti - limiti - garanzie - termine di efficacia del provvedimento - imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata - esigenze prevedibili e permanenti - illegittimità - contra. L'eccezionalità e la “elasticità” dei provvedimenti contingibili e urgenti non solo li sottopone a limiti rigorosi, facendone una misura ultimativa, una vera e propria extrema ratio dell'agire amministrativo, ma esige che, in concreto, la loro adozione sia preceduta da tutte le garanzie richieste dall'ordinamento, purché siano compatibili con i presupposti ed i requisiti dell'atto. Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili ed urgenti si annovera, secondo insegnamenti pacifici, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento. In più recenti pronunce si è affermato, in particolare, che tali ordinanze, oltre al carattere della contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza nei casi di pericolo attuale od imminente, presentano quello della provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata. Di tal che non si ammette che l'ordinanza venga emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, ovvero per regolare stabilmente una situazione od un assetto di interessi (Cfr., Cons. Stato, IV Sez., 13 dicembre 1999, n. 1844; V Sez. 30 novembre 1996, n. 1448). In altri casi si è pure ammesso che le ordinanze di necessità ed urgenza possano produrre effetti non provvisori. Si ritiene che non sia la provvisorietà a connotarle, ma la necessaria idoneità delle misure imposte ad eliminare la situazione di pericolo che ne giustifica l'adozione, e che, in definitiva, tali misure possano essere tanto definitive quanto provvisorie, a seconda del tipo di rischio da fronteggiare (Cfr., Cons. Stato, V Sez., 29 luglio 1998, n. 1128). Quest'ultima affermazione non è un segnale di incoerenza con i principi generali dapprima esposti, bensì la conferma della elasticità che caratterizza necessariamente questi provvedimenti, congegnati dal Legislatore in termini di atipicità proprio allo scopo di renderli adeguati a provvedere al caso di urgenza. In sintesi, la regola è quella per cui l'ordinanza deve contenere l'apposizione di un termine, ma tale regola potrebbe anch'essa venir derogata quando, per la peculiarità del caso concreto, la misura urgente presenti l'eccezionale attitudine a produrre conseguenze non provvisorie. Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)

Provvedimenti contingibili e urgenti - limiti - esigenze prevedibili e permanenti - illegittimità. L'eccezionalità e la “elasticità” dei provvedimenti contingibili e urgenti non solo li sottopone a limiti rigorosi, facendone una misura ultimativa, una vera e propria extrema ratio dell'agire amministrativo, ma non si può ammettere la loro adozione se l'ordinanza venga emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, ovvero per regolare stabilmente una situazione od un assetto di interessi (Cfr., Cons. Stato, IV Sez., 13 dicembre 1999, n. 1844; V Sez. 30 novembre 1996, n. 1448). Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento idrico - Tutela delle acque - Smaltimento di rifiuti pericolosi - Acque di sentina - Applicabilità delle disposizioni derogatorie della Convenzione MARPOL - Esclusione - Configurabilita' del reato previsto dall'art. 51 D. Lg. n. 22/1997 - L. n. 438/1982 - L. n. 662/1980. Lo smaltimento di acque di sentina delle navi, rientranti tra i rifiuti pericolosi, configura il reato previsto dall'art. 51 comma 1 lett. b) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, qualora le operazioni siano effettuate in area portuale nazionale, non trovando applicazione in questo caso le disposizioni derogatorie di cui alla Convenzione MARPOL 73/78, conclusa a Londra il 2 novembre 1993, con i relativi protocolli, ratificata e resa esecutiva con legge 29 settembre 1980, n. 662 e legge 4 giugno 1982, n. 438 Pres. Savignano G - Est. Teresi A - Imp. Cattaruzza - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 21/05/2003 (CC.12/03/2003) RV. 225607 sentenza n. 22501

Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Esercizio di autolavaggio - Scarico di acque reflue - Assimilabilità agli scarichi civili - Esclusione - Natura - Insediamento produttivo - D. LG. n. 152/1999. Lo scarico di acque reflue provenienti da un impianto di autolavaggio è assimilabile a quello derivante da insediamento produttivo, stante la presenza di oli minerali, vernici ed altre sostanze che possono staccarsi dalle autovetture a seguito dell'attività di lavaggio. Pres. De Maio G - Est. Vangelista V - Imp. P.M. in proc. Panizza - PM. (Parz. Diff.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 13/05/2003 (CC.26/02/2003) RV. 225291 sentenza n. 21004

Inquinamento - Smaltimento di rifiuti - Materiali da scavo e sbancamento di strade - Disciplina dei rifiuti - Applicabilità - Esclusione - Art. 6 D. Lg. n. 22/1997 - L. n. 178/2002 - Art. 14 D. L. n. 138/2001 - Art. 1 comma 17 cost L. n. 443/2001. I materiali di scavo e sbancamento di una pubblica via, anche se contenenti modeste parti di asfalto, non rientrano nella nozione di rifiuto, atteso che le terre e rocce da scavo, anche se contaminate, sono riutilizzabili purché non provengano da siti inquinati o da bonifiche. Pres. Vitalone C - Est. Postiglione A - Imp. Mortellaro G - PM. (Diff.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 24/03/2003 (UD.11/02/2003) RV. 224721 sentenza n. 13114

Acqua - Tutela dall'inquinamento - Inquinamento delle acque e sostanze cancerogene - D.L.vo 152/1999 - Indicazioni dell’agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC) - D. L.vo n. 258/2000. In tema di inquinamento delle acque e sostanze cancerogene, a seguito delle modifiche apportate al punto 18 della tabella 5 dell’allegato 5 del D.L.vo 152/1999 ad opera del D. L.vo n. 258/2000, sono ora incluse tra le sostanze della medesima tabella 5 esclusivamente quelle “di cui, secondo le indicazioni dell’agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC), è provato il potere cancerogeno”; occorre dunque che sussistano prove scientifiche non della probabilità, bensì della sicura potenzialità cancerogena della sostanza volta per volta, e detta prova, non può essere fondata su cognizioni personali del giudice o su una perizia dallo stesso disposta, bensì su dati certi, conoscibili adoperando la diligenza dell’uomo medio, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche (Cass. Pen. Sez. III, 1999, n.13694). - Pres. Vitalone - Est. Lombardi - Imp. Grilli CASSAZIONE PENALE, sez. III, 17 marzo 2003, (C.C. 04.02.2003), n. 12361

Acqua - Tutela dall'inquinamento -- scarico (aldeide formica) - superamento dei limiti tabellari - potenzialità cancerogena non dimostrata - ipotesi criminosa ex art. 59, c. 5 D.L.vo n.152/1999 - non sussiste - illecito amministrativo ex art. 54 D.L.vo n.152/1999 - sussiste. Allorché il superamento, in uno scarico, dei limiti stabiliti dalla tabella 3 del medesimo allegato non riguardi sostanze di cui sia scientificamente dimostrata la potenzialità cancerogena, il fatto non integra l’ipotesi criminosa di cui all’art. 59, comma 5 del D.L.vo n.152/1999, bensì il solo illecito amministrativo di cui all’art. 54. (In specie è stata rilevata una concentrazione di aldeide formica, nelle acque scaricate prima di un successivo procedimento di diluizione vietato ai sensi dell’art. 28, comma 5 D.L.vo n. 258/2000 superiore ai parametri fissati per le aldeidi nella tabella 3 dell’allegato 5 del D.L.vo n. 258/2000). - Pres. Vitalone - Est. Lombardi - Imp. Grilli CASSAZIONE PENALE, sez. III, 17 marzo 2003, (C.C. 04.02.2003), n. 12361

Acque - Tutela dall'inquinamento - Scarichi da frantoi oleari - Disciplina di cui al D.L.vo n. 152/1999 - Agricoltura - Coltivazione del fondo - Scarico senza autorizzazione - Reato - Esclusione - Condizioni. Gli scarichi di liquami derivanti dalla molitura delle olive effettuati senza la prescritta autorizzazione non integrano il reato di cui all'art. 59 del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 in quanto assimilabili alle acque reflue domestiche solo se l'attività del frantoio sia inserita con carattere di normalità e complementarietà in una impresa dedita esclusivamente alla coltivazione del fondo ed alla silvicoltura ed in presenza delle condizioni previste dall'art. 28 del citato decreto n. 152, tra cui quella per la quale la materia prima lavorata deve provenire per almeno due terzi esclusivamente dall'attività di coltivazione dei fondi dei quali si abbia, a qualsiasi titolo, la disponibilità. - RV. 224343 - CED - Pres. Savignano - Est. Squassoni - P.M. (Conf.) Izzo - Imp. Zomparelli CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale, 07 marzo 2003 (Ud. 22/01/2003) Sentenza n. 10626

Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Nozione di scarico - Collegamento diretto - Necessità - Mancanza - Natura di rifiuto - Art. 36 D. LG. n. 152/1999 - D. LG. n. 22/1997 - Rifiuto liquido. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento l'interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto fra la fonte di produzione del liquame ed il corpo ricettore determina la trasformazione del liquame di scarico in un ordinario rifiuto liquido, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, ed il necessario rispetto delle previsioni del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. (fattispecie nella quale i liquami provenienti dall'attività di espurgo di pozzi neri venivano trasportati in un sito esterno di trattamento). Pres. Papadia U - Est. Fiale A - Imp. Conte L - PM. (Conf.) Veneziano GA. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 24/02/2003 (UD.17/12/2002) RV. 224164 sentenzia n. 08758

Inquinamento acustico - il divieto di contatto diretto di aree - zone già urbanizzate - il provvedimento di “bonifica acustica” - il superamento dei valori limite differenziali normativamente disciplinati dalla legge quadro sull’inquinamento acustico - i c.d. piani di zonizzazione - vetustà degli impianti e delle possibili conseguenze dannose alla salute. L’art. 4 della legge n.447/1995 prevede esplicitamente che le regioni -nel fissare con legge i criteri di classificazione da rispettarsi da parte dei comuni- devono stabilire “il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1° marzo 1991”, stabilendo altresì, che “qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d’uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’art. 7”, piani che, peraltro, debbono essere approvati dal consiglio comunale. (Nella specie, le contestazioni rivolte agli impianti delle società con il provvedimento di “bonifica acustica” impugnato in primo grado riguardano il superamento dei valori limite differenziali- normativamente disciplinati dalla legge quadro sull’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n.447 e dai D.P.C.M 1 marzo 1991 (art.6) e 14 novembre 1997 (art. 4), che hanno introdotto i “valori limite differenziali di immissione”- e non anche il superamento dei valori assoluti). Il sistema previsto dall’art. 6 dai D.P.C.M 1 marzo 1991 presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed è onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di fatto che -come nel caso di specie- meritano, principalmente a cagione della loro vetustà e delle possibili conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera non illogica. Consiglio di Stato Sezione IV, - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 880 (vedi: sentenza per esteso)

Definizione di “impianto a ciclo produttivo continuo” - presupposti - la tesi dell’alternatività presupposti (e non la sussistenza cumulativa). L’esatta interpretazione dell’art. 2 del richiamato D.M. 11 dicembre 1996, che contiene la definizione di “impianto a ciclo produttivo continuo”, stabilisce citata la disposizione: “si intende per impianto a ciclo produttivo continuo:a) quello in cui non è possibile interrompere l’attività senza provocare danni all’impianto stesso, pericolo di incidenti o alterazioni del prodotto o per necessità di continuità finalizzata a garantire l’erogazione di un servizio pubblico essenziale; b) quello il cui esercizio è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro o da norme di legge, sulle ventiquattro ore per cicli settimanali, fatte salve le esigenze di manutenzione”. Sul punto, affermano i primi giudici che, ai fini della corretta definizione di uno stabilimento industriale come “impianto a ciclo continuo”, le condizioni previste dal citato art. 2 del D.M.del 1996 debbano sussistere entrambe. Sostengono, invece, le società ricorrenti che i menzionati presupposti sono tra loro alternativi, nel senso che basterebbe la sussistenza di uno di essi per identificare l’impianto nella categoria in questione. La tesi dell’alternatività dei citati presupposti merita di essere condivisa. Induce a tale conclusione l’interpretazione logico-letterale della disposizione in esame. Invero, appare agevole ritenere che alla lett. a) del menzionato art. 2 sono state considerate alcune situazioni tecniche (interruzione d’attività provocante danni all’impianto, mancata continuità d’esercizio finalizzata all’erogazione di un servizio pubblico essenziale, ecc.), la cui possibile evenienza vale a qualificare indirettamente l’impianto di riferimento quale “impianto a ciclo produttivo continuo”; mentre, con la lett. b) dello stesso articolo, si è inteso completare la fattispecie, stabilendo che in tutte le ipotesi in cui si applica all’esercizio il contratto collettivo nazionale di lavoro “ sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, per ciò stesso, in maniera diretta ed automatica, l’impianto sia da ritenere a ciclo produttivo continuo. Stabilita l’alternatività (e non la sussistenza cumulativa) dei menzionati presupposti, bisogna, ora, esaminare se i medesimi siano posseduti dallo stabilimento colpito dall’ordinanza contestata. (Nella specie a parere del Collegio è stato escluso l’impianto de quo, atteso che come correttamente rilevato dal T.A.R. sulla base di quanto risultato dagli accertamenti tecnici compiuti dalla A.S.L. e dalla A.R.P.A.T., “l’unico impianto funzionante realmente di continuo è la centrale termica, oltre che- in particolari periodi dell’anno- la centrale frigorifera”). Consiglio di Stato Sezione IV, - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 880 (vedi: sentenza per esteso)

Danno Ambientale - Danno esistenziale da inquinamento ambientale - Liquidazione del danno - Definizione di: danno morale, danno biologico, danno esistenziale - Duplicazioni risarcitorie - Nomen iuris. Il danno morale attiene alla sfera esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva, mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all’ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell’estrinsecazione della propria personalità che viene impoverita o lesa. Pertanto, in linea di principio, le varie voci risarcitorie potranno essere tutte individuabili, distintamente e cumulativamente, e potranno dar luogo, ciascuna, ad autonomo risarcimento. E’ necessario, tuttavia, evitare duplicazioni risarcitorie e sarà, quindi, compito del giudicante specificare eventuali accorpamenti di danno sotto la voce del danno non patrimoniale o del danno biologico, che potrebbero anche essere liquidati comprensivi del cd. danno esistenziale. Infine, in specie, non assume particolare rilievo il”nomen iuris”” del danno individuato in senso positivo, nella tutela della serenità domestica e che può definirsi quale “danno esistenziale da inquinamento ambientale”. CORTE DI APPELLO MILANO, Sez. II Civile, 14 febbraio 2003

La prova della lesione di un diritto costituzionale e' anche prova del danno - il diritto al risarcimento del danno - la necessita' di prova specifica. Un orientamento, seguito anche dalla S.C. , ritiene che la prova della lesione di un diritto costituzionale e' anche prova del danno, nel senso che la lesione e' “in re ipsa” (CASS., 3.4.2001,n. 4881, CASS, 10.5.2001,n. 6507). Occorre, tuttavia, accertare se da tale enunciazione o, comunque, in base ai principi generali del nostro ordinamento, ne discende che l’accertata violazione del diritto fondamentale attribuisca il diritto al risarcimento del danno, anche senza necessita' di prova specifica. Nondimeno, la prova dell’esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, in quanto deve ritenersi necessaria la prova ulteriore dell’entita' del danno, cosi' come affermato dalla stessa Corte Costituzionale, in relazione al danno biologico da morte (cfr Corte Costt. 27.10.1994,n. 372)Infatti, sottolinea la Consulta , la “…prova della lesione e', in re ipsa, prova dell’esistenza del danno, non gia' che questa prova sia sufficiente ai fini del risarcimento”, in quanto “e' sempre necessaria la prova ulteriore dell’entita' del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 cod.civ., costituito dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato” (Corte Cost. 27.10.1994,n. 372). Si ritiene che la prova, per le considerazioni dianzi espresse, possa essere agevolata o meno rigorosa, anche mediante il ricorso, in base al prudente apprezzamento del giudicante, alle presunzioni, ai “fatti notori”, alle massime di “comune esperienza”, facendo ricorso ai principi generali in tema di prova, ma senza esonerare il danneggiante dall’onere di allegare i fatti e gli elementi concreti posti a fondamento della richiesta risarcitoria. Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003

La prova del danno attraverso il ricorso alle cd. presunzioni semplici - aspetti cd “interni” della lesione esistenziale - determinazione del “quantum” - criteri - i parametri di valutazione omogenei. Il ricorso alle cd. presunzioni semplici, che dovranno tenere conto non solamente degli aspetti cd “interni” della lesione esistenziale, ma anche e soprattutto delle ripercussioni nell’ambito cd “esterno” .Il criterio risarcitorio, non puo', allo stato, che essere equitativo, ex art. 1226 cod.civ., stante le difficolta' intuitive di pervenire, stante la particolare natura del danno, ad una sua precisa quantificazione. Tuttavia, ai fini della determinazione del “quantum”, occorre individuare , per evitare possibili liquidazioni arbitrarie, parametri di valutazione omogenei che tengano conto di tutti gli elementi della fattispecie;pertanto, a fini esemplificativi, si dovra' tenere conto : a) della personalita' del soggetto leso, b) dell’interesse violato; c) dell’ attivita' svolte dalla vittima; d) delle ripercussioni del fatto illecito sulla personalita' del soggetto leso, e) delle alterazioni, provocate dal fatto illecito, anche nell’ambito familiare e sociale del danneggiato. Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003

Tutela dall'inquinamento - impianti ed esercizio di autolavaggio - natura di insediamento produttivo - fondamento. Gli impianti di autolavaggio hanno natura di insediamenti produttivi e non di insediamenti civili stante la qualita' inquinante dei reflui, diversa e piu' grave rispetto a quella dei normali scarichi da abitazioni, e per la presenza di residui quali oli minerali e sostanze chimiche contenute nei detersivi e nelle vernici eventualmente staccatesi da vetture usurate. Conforme: Cass. 1999 n. 11295; vedi anche Cass. 1999 n. 05465. Cassazione Penale Sezione III, - 04/02/2003 (UD.13/12/2002), sentenza n. 05143

Inquinamento atmosferico - attivazione di un impianto di verniciatura nuovo comportante emissioni in atmosfera senza la prescritta autorizzazione - le Regioni possano autorizzare in via generale le attività a ridotto inquinamento atmosferico - provvedimento abilitativo generale - necessità - procedure semplificate di domanda di autorizzazione - principi della riserva di legge in materia penale. Il D.P.C.M. 21 luglio 1989 ha introdotto le categorie delle "attività i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo" (punto 25), non soggette ad alcuna autorizzazione e delle "attività a ridotto inquinamento atmosferico" (punto 19) per le quali le Regioni possono prevedere modelli semplificati di domande di autorizzazione, determinate in base al punto 26 del citato D.P.C.M. e dal d.P.R. 25 luglio 1991 all'allegato I per le prime ed allegato 2 per le seconde. Il predetto d.P.R. all'art. 4 individua le attività a ridotto inquinamento atmosferico e ne specifica le caratteristiche, prevedendo che le Regioni possano autorizzare in via generale le attività a ridotto inquinamento atmosferico. In tal caso è richiesto soltanto l'onere di comunicare alle Regioni l'intenzione di avvalersi di detto provvedimento abilitativo generale ovvero di predisporre procedure semplificate di domanda di autorizzazione. Inoltre, al punto 2 dell'allegato 2 ha individuato quale attività a ridotto inquinamento atmosferico la "riparazione e verniciatura di carrozzerie di autoveicoli, mezzi e macchine agricole con l'utilizzo di impianti a cielo aperto e utilizzo di prodotti vernicianti pronti all'uso non superiore a 20 Kg/g", sicché l'impianto in esame potrebbe essere eventualmente, ove ne sussistano le caratteristiche su evidenziate, incluso fra queste attività. Tuttavia, è evidente che sia l'omissione della comunicazione sia la mancata attuazione della procedura semplificata per ottenere un'autorizzazione singola, ove sussista la normativa regionale attuativa e siano contemplate entrambi detti regimi autorizzatori oppure uno solo di essi, comportano la configurabilità della contravvenzione in esame, in quanto non potrebbe essere esclusa da un atto normativo secondario né da una disposizione legislativa regionale in contrasto con i principi della riserva di legge in materia penale e di divieto alle Regioni di legiferare in materia penale, sicché il provvedimento amministrativo dovrebbe essere disapplicato dal giudice penale, mentre quello legislativo deve essere sottoposto all'esame del giudice delle leggi con il giudizio in via incidentale. Cassazione Penale, Sez. III, 27 gennaio 2003, n. 3880

L'esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, attribuito al Sindaco - presupposti - situazione di pericolo - le esigenze di protezione dell'igiene e della salute pubblica. L'esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, attribuito al Sindaco, presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte mediante ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (Consiglio di Stato, sezione quinta, 4 febbraio 1998, n. 125). Occorre, inoltre, che sussista e sia indicata nel provvedimento impugnato una situazione di pericolo quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente. Ciò è stato precisato dalla giurisprudenza anche con riferimento all'articolo 38 della legge n. 142 del 1990, l'unica norma richiamata nel provvedimento impugnato, in quanto il collegamento con le esigenze di protezione dell'igiene e della salute pubblica pur rappresentando un presupposto necessario per giustificare il ricorso al potere di ordinanza contingibili urgenze, tuttavia non appare sufficiente ove non sussistano gli ulteriori particolari requisiti di urgenza e, quindi, di pericolo per la pubblica incolumità, sopra evidenziati (Consiglio di Stato, sezione quinta, 2 aprile 2001, n. 1904). (Nel caso in esame il provvedimento impugnato pur affermando, in modo apodittico, che risulta la necessità di disporre la rimozione immediata degli impianti in quanto collocati in difformità rispetto alle prescrizioni normative, non indica nessuno dei presupposti sopraindicati ovvero la necessità di intervenire prontamente, per evitare un pericolo incombente, in ordine ad una situazione eccezionale ed imprevedibile. Anzi, la necessità di intervenire prontamente sembra contraddetta dallo stesso provvedimento nel momento in cui dispone un adeguamento normativo dell'impianto in parola da realizzarsi entro 60 giorni dalla avvenuta notifica dell'ordinanza e quindi in un lasso di tempo talmente lungo da essere incompatibile con l'esigenza di una rimozione immediata degli impianti. Certamente in presenza di una situazione di irregolarità nella collocazione degli impianti termici l'Amministrazione ben può intervenire ma a tal fine dovrà utilizzare i poteri ordinari e tipici per far fronte a tali necessità). Si veda anche: Consiglio di Stato, Sez. V, 4 febbraio 1998, n. 125; Consiglio di Stato, Sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904; Corte di Giustizia Amministrativa, 9 ottobre 2002 Sentenza n. 582 Consiglio di Stato, Sez. V 9 ottobre 2002 Sentenza n. 5423; TAR Liguria, Sez. II 5 novembre 2002 Sentenza n. 1077; TAR Lazio, Sez. II - Sentenza 26 giugno 2002 Sentenza n. 5904; TAR Liguria - Genova, Sez. I - 29 settembre 2000 Ordinanza n. 910. TAR EMILIA-ROMAGNA, Sezione di Parma - Sentenza 10 gennaio 2003 n. 1

Acque - Tutela dall'inquinamento - Acque reflue industriali - L. n. 319/1976 e succ. mod. - Nozione - Acque provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi - Vi rientrano - Fondamento. Nella nozione di acque reflue industriali rientrano (anche dopo le modifiche apportate dal D. L.gs. n.258/2000 alla Legge 319/1976) tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi. (Fattispecie relativa a scarico proveniente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo-litografica, reato sanzionato dall’art. 59, 1° comma D.L.gs. n. 152/1999). - Pres. Savignano G - Rel. Fiale A - Barattoni V - P.M. (conf.) Iacoviello F. - RV222967 - CASSAZIONE PENALE, sez. III, 19 dicembre 2002 (ud. 24-10-2002), n. 42932 (vedi: sentenza per esteso)

Acque - Tutela dall'inquinamento - Insediamento produttivo - Scarico in fognatura - Assenza di autorizzazione - Reato di cui all'art. 59 del D.L.G. n. 152 del 1999 - Configurabilità - Fondamento. Lo scarico da insediamento produttivo in fognatura, effettuato in difetto di autorizzazione, previsto precedentemente come reato ai sensi dell'art. 21, comma 1, della legge 10 maggio 1976 n. 319, configura il reato di cui all'art. 59, comma 1, del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, atteso che la sanzione penale per lo scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione si correla alla riscontrata mancanza del controllo preventivo della pubblica amministrazione ed è indipendente dal recapito finale. - Pres. Savignano G - Rel. Fiale A - Barattoni V - P.M. (conf.) Iacoviello F. - RV222967 - CASSAZIONE PENALE, sez. III, 19 dicembre 2002 (ud. 24-10-2002), n. 42932 (vedi: sentenza per esteso)

Acque - tutela delle acque dall'inquinamento - scarico di acque reflue industriali - reato di superamento di valori limite - modalità di campionamento - discrezionalità tecnica da parte degli organi accertatori - sussiste. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, nella scelta delle metodiche di campionamento dei reflui sussiste una discrezionalità tecnica da parte degli organi accertatori, atteso che le relative prescrizioni hanno un carattere non cogente, così che la loro eventuale inosservanza non determina alcuna sanzione processuale. Corte di Cassazione, Sez. III, dell'11.12.2002 Sentenza n. 41487

Acqua - Inquinamento idrico - Acque dei frantoi oleari - Disciplina applicabile - D. lgs. 152/1999 - D. lgs. 22/1997. Sono soggette alla ordinaria disciplina di cui al D. lgs. 152/1999 le acque dei frantoi oleari, di regola insediamenti industriali, se sono immesse direttamente in un corpo recettore, e al D. lgs. 22/1997 se riversati in una vasca e gestiti come rifiuti liquidi. La legge 11 novembre 1996, n. 574, disciplina soltanto la successiva ed eventuale fase di spandimento delle acque sul suolo, in deroga all’avvio dei rifiuti liquidi a recupero o smaltimento. Est. Santoloci - Imp. Frezza TRIBUNALE PENALE DI TERNI, 4 dicembre 2002

Danno ambientale - Art. 18 Legge n. 349/1986 - Ambiente come bene unitario (C. Cost. 1987 n. 641) - Valore primario e assoluto del bene ambiente - Danno patrimoniale - Costi correlati alla gestione dell’ambiente - Impatto ambientale e valore economico. In tema di danno ambientale, (Corte Costituzionale del 30 dicembre 1987 n. 641) il fatto che l'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l'ordinamento prende in considerazione. La protezione dell’ambiente non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto. Il danno è certamente patrimoniale, sebbene sia svincolato da una concezione aritmetico-contabile e si concreti piuttosto nella rilevanza economica che la distruzione o il deterioramento o l'alterazione o, in genere, la compromissione del bene riveste in sé e per sé e che si riflette sulla collettività la quale viene ad essere gravata da oneri economici. La tendenziale scarsità delle risorse ambientali naturali impone una disciplina che eviti gli sprechi e i danni sicché si determina una economicità e un valore di scambio del bene. Consentono di misurare l'ambiente in termini economici una serie di funzioni con i relativi costi, tra cui quella di polizia che regolarizza l'attività dei soggetti e crea una sorveglianza sull'osservanza dei vincoli; la gestione del bene in senso economico con fine di rendere massimo il godimento e la fruibilità della collettività e dei singoli e di sviluppare le risorse ambientali. Si possono confrontare i benefici con le alterazioni; si può effettuare la stima e la pianificazione degli interventi di preservazione, di miglioramento e di recupero; si possono valutare i costi del danneggiamento con la conseguenza che l'impatto ambientale può essere ricondotto in termini monetar e che al danno ambientale può essere dato un valore economico. Significativa, in tema, anche Cassazione civile, Sez. I, 9 aprile 1992 n. 4362 la cui massima qui si riporta: L'ambiente in senso giuridico costituisce un insieme che, pur comprendente vari beni o valori quali la flora, la fauna, il suolo, le acque ecc. si distingue ontologicamente da questi e si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressiva di un autonomo valore collettivo costituente, come tale, specifico oggetto di tutela da parte dell'ordinamento, con la L. 8 luglio 1986 n. 349, rispetto ad illeciti, la cui idoneità lesiva va valutata con specifico riguardo a siffatto valore ed indipendentemente dalla particolare incidenza verificatasi su una o più delle dette singole componenti, secondo un concetto di pregiudizio che, sebbene riconducibile a quello di danno patrimoniale, si caratterizza, tuttavia per una più ampia eccezione, dovendosi avere riguardo per la sua identificazione non tanto alla mera differenza tra il saldo attivo del danneggiato (nella specie, il parco nazionale d'Abruzzo, che lamentava il taglio abusivo di piante) prima e dopo l'evento lesivo, a determinare in concreto una diminuzione dei valori e delle utilità economiche di cui il danneggiato può disporre, svincolata da una concezione aritmetico-contabile. Cass. Civ., Sez. I, 9 aprile 1992 n. 4362, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 4. TRIBUNALE di VENEZIA Ufficio del giudice monocratico, Sez. penale 27 novembre 2002, n. 1286 (vedi: sentenza per esteso)

Danno ambientale - art. 18 Legge n. 349/1986 -quantificazione del danno - costo del ripristino - gravità della colpa - profitto conseguito dal trasgressore - criteri equitativi. Nella fattispecie non è possibile una precisa quantificazione del danno poiché l'evento ha assunto connotazioni tali che non è stato possibile il ripristino, né è stata possibile alcuna misurazione, in termini sia quantitativi che qualitativi, della alterazione o modificazione dell'ambiente, che pure c'è inequivocabilmente stata come risulta dal precipitarsi degli operai VE.COM. dentro gli ambienti chiusi. Peraltro, è proprio in riferimento a tale evidente difficoltà che il legislatore ha introdotto, sebbene in via sussidiaria, i criteri equitativi di cui all'art. 18 che in tema di danno ambientale, e sul presupposto che l'ambiente non ha un valore di scambio, assumono una autonoma e ragionevole rilevanza. D'altro canto, anche a voler quantificare e "misurare" un valore d'uso, comunque poi rimane irrisolta la monetizzazione se il bene non ha un mercato. In tal senso, pur ponendosi un problema di inquadramento della natura del danno qui in esame (risarcitorio o sanzionatorio), quel che rileva è che i criteri indicati dall'art. 18 consentono di quantificare l'ammontare del danno che altrimenti rimarrebbe indeterminabile. Uno di tali criteri, il "costo" del ripristino, è, invero, certo, anche se talvolta detto costo può non esaurire l'insieme del danno. Quanto agli altri due criteri, la gravità della colpa e il profitto conseguito dal trasgressore, possono condurre a differenti risultati a parità del danno. Qualunque questo sia (la premessa da cui si muove nel risarcimento qui in esame è che danno vi è stato ma non è possibile la precisa quantificazione), l'ammontare sarà diverso se si ipotizza che lo stesso evento-danno è stato cagionato da agente più o meno colpevole e più o meno economicamente avvantaggiato dalla sua condotta lesiva. Il (preciso ammontare del) danno, quindi, non dipenderà (solo) da elementi insiti nello stesso, ma (anche) da fattori estranei e non di diretta efficienza causale sull'entità del danno medesimo. Colpa e danno possono non essere correlati, potendo la prima essere minima e massimo il secondo, e viceversa. Egualmente non c'è proporzione tra profitto conseguito dalla illecita condotta ed il danno ambientale derivatone, potendo un ingente danno essere la conseguenza di una negligenza finalizzata alla realizzazione di un modesto profitto. Il profilo sanzionatorio dei menzionati criteri è evidente, ma trattandosi di criteri equitativi per la "precisa" determinazione del danno appaiono ragionevoli poiché la base "approssimativa" del danno stesso segue le ordinarie regole probatorie e la elasticità del "di più", o del "di meno", per la esatta determinazione si fonda sul grado di immeritevolezza della condotta in relazione a imprudenze e riprovevoli tornaconti. TRIBUNALE di VENEZIA Ufficio del giudice monocratico, Sez. penale 27 novembre 2002, n. 1286 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento acustico - valori limite differenziali di immissione - piano di zonizzazione acustica del territorio comunale - possibili conseguenze dannose alla salute - l’adozione dei piani di risanamento - obblighi imposti ex art. 217 Testo Unico delle leggi sanitarie - piano di bonifica acustica degli impianti. Giova preliminarmente evidenziare in termini generali che il sistema previsto dall’art. 6 della legge quadro sull’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n.447 e dai D.P.C.M 1 marzo 1991 (art.6) e 14 novembre 1997 (art. 4), hanno introdotto i “valori limite differenziali di immissione”- e non anche il superamento dei valori assoluti. L’art. 6 presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed è onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di fatto che- come nel caso di specie- meritano, principalmente a cagione della loro vetustà e delle possibili conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera non illogica. Orbene, nella situazione in cui il comune di Vinci ha operato, non è stato ancora adottato alcun piano di zonizzazione acustica, strumento necessario ad individuare sia quelle aree sulle quali possono essere consentiti più elevati strumenti di rumorosità ovvero gli spazi necessari a garantire un adeguato abbattimento del rumore stesso, in relazione alle sorgenti sonore presenti ed ai livelli di rumorosità da esse prodotte, sia le eventuali “fasce- cuscinetto” tra zone diversamente classificate. D’altra parte, proprio l’art. 4 della menzionata legge n.447/1995 prevede esplicitamente che le regioni -nel fissare con legge i criteri di classificazione da rispettarsi da parte dei comuni- devono stabilire “ il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1° marzo 1991”, stabilendo altresì, che “qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d’uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’art. 7”, piani che, peraltro, debbono essere approvati dal consiglio comunale. (Nella specie, con sentenza n.2187 del 21 dicembre 2001 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II°, respingeva il ricorso proposto dalle società Syrom 90 S.p.A. e Polymat avverso l’ordinanza n. 14/4 del 3 febbraio 2000, con la quale il responsabile del 4° servizio del Comune di Vinci aveva ingiunto alle citate società -ai sensi dell’art. 217 del Testo Unico delle leggi sanitarie-di presentare un piano di bonifica acustica dei loro impianti siti nel predetto territorio, in grado di riportare la rumorosità complessiva degli stessi entro i limiti di 3 dB in orario notturno ed entro i 5 dB in orario diurno). Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6274 (vedi: sentenza per esteso)

Definizione di impianto a ciclo produttivo continuo. Stabilisce l’art. 2 del D.M. 11 dicembre 1996 che: “si intende per impianto a ciclo produttivo continuo:a) quello in cui non è possibile interrompere l’attività senza provocare danni all’impianto stesso, pericolo di incidenti o alterazioni del prodotto o per necessità di continuità finalizzata a garantire l’erogazione di un servizio pubblico essenziale;  b) quello il cui esercizio è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro o da norme di legge, sulle ventiquattro ore per cicli settimanali, fatte salve le esigenze di manutenzione”. Sul punto, affermano i primi giudici che, ai fini della corretta definizione di uno stabilimento industriale come “impianto a ciclo continuo”, le condizioni previste dal citato art. 2 del D.M.del 1996 debbano sussistere entrambe. Sostengono, invece, le società ricorrenti che i menzionati presupposti sono tra loro alternativi, nel senso che  basterebbe la sussistenza di uno di essi per identificare l’impianto nella categoria in questione. La tesi dell’alternatività dei citati presupposti merita di essere condivisa. Induce a tale conclusione l’interpretazione logico-letterale della disposizione in esame. Invero, appare agevole ritenere che alla lett. a) del menzionato art. 2 sono state considerate alcune situazioni tecniche (interruzione d’attività provocante danni all’impianto, mancata continuità d’esercizio finalizzata all’erogazione di un servizio pubblico essenziale, ecc.), la cui possibile evenienza vale a qualificare indirettamente l’impianto di riferimento quale “impianto a ciclo produttivo continuo”; mentre, con la lett. b) dello stesso articolo, si è inteso completare la fattispecie, stabilendo che in tutte le ipotesi in cui si applica all’esercizio il contratto collettivo nazionale di lavoro “sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, per ciò stesso, in maniera diretta ed automatica, l’impianto sia da ritenere a ciclo produttivo continuo. Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6274 (vedi: sentenza per esteso)

Getto pericoloso di cose - Inquinamento - Emissioni moleste - Natura del reato - Reato a condotta libera - Reato di pericolo concreto - Superamento limiti di legge - Necessità - Limiti di qualità dell’aria - Disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone - Reato a condotta vincolata - Reato commissivo improprio - Clausola di equivalenza - Nozione e ambito di applicazione - Inquinamento da traffico veicolare - Posizione di garanzia del sindaco - Deleghe ai dirigenti - Esclusione della responsabilità per il sindaco - Insussistenza - Reati contravvenzionali - Colpa - Necessità - Natura - Prevedibilità ed evitabilità - Discrezionalità politica. Il reato di cui all’art. 674 c.p., nella seconda parte relativa alle emissioni, è reato di pericolo concreto e a condotta libera, come tale può essere configurato in termini omissivi. Per la sua realizzazione è necessario il superamento dei limiti stabiliti dalla legge in materia di inquinamento atmosferico e solo in assenza di tali limiti può trovare applicazione il regime di cui all’art. 844 c.c. Il reato di cui all’art. 659 c.p. è reato a forma vincolata e, come tale, non può configurarsi in termini omissivi. La clausola di equivalenza di cui all’art. 40 c.p. non costituisce una norma incriminatrice autonoma e diretta, ma solo una disciplina giuridica del nesso di causale. Sicchè perché un reato descritto in forma commissiva, possa, attraverso il filtro dell’art. 40 c.p., proporsi nella forma omissiva, è necessario che l’ipotesi base si configuri come reato di evento a condotta libera. Il sindaco, tanto in virtù della normativa relativa alla gestione del traffico urbano, quanto in virtù della normativa in materia ambientale, quanto, infine, in qualità di ufficiale del Governo cui compete il potere di emanare provvedimenti contingibili ed urgenti a tutela dell’incolumità pubblica, assume una posizione di garanzia con riferimento alla tutela dell’aria-ambiente dalle emissioni inquinanti da traffico urbano. La relativa responsabilità non viene meno in virtù delle deleghe conferite ai dirigenti, restando in capo agli organi di direzione politica il compito di vigilare, oltre all’esercizio di alcuni poteri esclusivi. Solo i valori limite di qualità dell’aria (di cui al d.p.c.m. 28/3/83 e d.P.R. 203/88, ora valori limite secondo il d.lv. 351/99) rappresentano limiti massimi invalicabili di concentrazione degli inquinanti, restando i limiti di attenzione o di allarme e gli obiettivi di qualità dell’aria delle soglie di allarme. Anche nei reati contravvenzionali l’affermazione della responsabilità non può prescindere da un coefficiente di colpevolezza da parametrare sulla prevedibilità ex ante ed evitabilità dell’evento. Non può ravvisarsi colpa dove l’ordinamento affida alla discrezionalità politica la scelta tra più condotte. Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA in composizione monocratica sezione II, 08/10/2002, Sentenza n. 2175 (confermata in Cassazione con provvedimento del 18.06.2004 depositata 29.09.2004 Relatore Fiale). (vedi:sentenza per esteso)

Inquinamento aria - inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie - presupposti per la sospensione dell’attività - situazioni di pericolo e di danno per la salute e/o per l'ambiente. Il D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (recante Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali) così recita all’art. 10: “In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l'autorità regionale competente procede secondo la gravità delle infrazioni: alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità; alla diffida e contestuale sospensione della attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute e/o per l'ambiente; alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo e di danno per la salute e/o per l'ambiente, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987 n. 183”. Come sembra evidente dal tenore delle disposizioni ora trascritte, il manifestarsi della situazione di pericolo rilevante ai fini della temporanea sospensione dell’attività inquinante non postula il concreto verificarsi di eventi dannosi quanto il profilarsi di una ragionevole possibilità di verificazione degli eventi stessi. In altri termini, presupposto per la sospensione dell’attività ai sensi dell’art. 10 lett. b) non è il concreto ed irrimediabile verificarsi di un danno alla salute dei cittadini o all’ambiente, ma il manifestarsi di una situazione di pericolo, la cui gravità e concretezza va dunque apprezzata in termini anche, seppur non esclusivamente, prognostici. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 7 maggio 2002, n. 2441. (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento aria - obbligo conformativo speciale imposto alle imprese “inquinanti” - autorizzazione definitiva - obbligo di fermata degli impianti in caso di disservizio dei sistemi di abbattimento dei fumi. E’ da rilevare che ai sensi degli artt. 12 e 13 DPR 203/88 l’Impresa, ove intenda conseguire l’autorizzazione definitiva, è tenuta a progettare e ad adottare le misure adeguate in vista del progressivo adattamento degli impianti esistenti alla migliore tecnologia disponibile: trattasi, con evidenza, di un obbligo conformativo speciale imposto alle imprese “inquinanti” ( elencate nell’All. 1 al Decreto) e sostanzialmente volto a contemperare, in piena coerenza con le indicazioni derivanti dall’art. 41 Cost., lo svolgimento dell’iniziativa economica privata con le ragioni dell’utilità sociale. Infondata è anche la doglianza relativa all’obbligo di fermata degli impianti in caso di disservizio dei sistemi di abbattimento dei fumi, in quanto l’art. 3 del DM 12.7.1990 - del quale erroneamente si deduce la violazione - prevede al comma 14 che l’Autorità competente, in sede di autorizzazione, possa stabilire specifiche prescrizioni ( tra l’altro) per il caso di guasti tali da non permettere il rispetto dei valori limite di emissione. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 7 maggio 2002, n. 2441. (vedi: sentenza per esteso)

 

Inquinamento acustico - l’esposizione quotidiana del lavoratore - l’interpretazione coordinata degli artt. 41-45 d.lgs. n. 277 del 1991. L'esposizione quotidiana del lavoratore a rumorosità superiore agli 85 decibel può essere sufficiente alla configurabilità di una malattia professionale, ancorché la suddetta rumorosità non raggiunga il limite di 90 decibel (che rappresenta la soglia della intollerabilità). Tuttavia si deve presupporre il riscontro, sul versante medico-legale, del nesso di causalità della tipologia riscontrata nell'assicurato con quella protetta, sicché ad esso non può farsi riferimento quando l'ipoacusia, essendo di carattere neurosensoriale, non è eziologicamente collegabile alla rumorosità degli ambienti lavorativi, ma dipende da altri fattori causali (fattispecie relativa ad un lavoratore che aveva espletato le mansioni di controllore della produzione e calcimetrista di un cementificio, con esposizione ad una rumorosità di livello medio pari a 86.8 decibel, che però era risultato affetto da ipoacusia bilaterale di tipo neurosensoriale e non percettivo). Cassazione Civile, sez. lavoro del 7/05/2002 Sentenza n. 6493

 

Tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento delle direttive 91/271/CEE e 91/676/CEE - scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano all'interno di un bacino drenante pertinente alle aree «delta del Po» e «costiere dell'Adriatico nordoccidentale». La Repubblica italiana - non avendo provveduto affinché, entro e non oltre il 31 dicembre 1998, gli scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano all'interno di un bacino drenante pertinente alle aree «delta del Po» e «costiere dell'Adriatico nordoccidentale», definite dal decreto legislativo della Repubblica italiana 11 maggio 1999, n. 152, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento delle direttive 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, e 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, come aree sensibili ai sensi dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, fossero sottoposti ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall'art. 4 della detta direttiva - è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 5, n. 2, della medesima direttiva. La Repubblica italiana è condannata alle spese. Sentenza della Corte di Giustizia CE (Sesta Sezione) Causa C-396/00, pronuncia del 25 aprile 2002. (Vedi: sentenza per esteso)

 

Istituto dell’ordinanza contingibile e urgente - presupposti - situazione di urgenza - allevamento di suini e rischio alla salute pubblica e all’ambiente - illegittimità dell’ordinanza se impiegata per conferire un assetto definitivo agli interessi coinvolti - esecuzione - procedure ordinarie e rispetto dei diritti garantiti dall’ordinamento. E’ acquisito dalla giurisprudenza amministrativa che alla situazione di urgenza che ne costituisce il presupposto l’ordinanza contingibile e urgente possa dare solo una risposta di carattere provvisorio che ponga rimedio all’emergenza; mentre è illegittimo il provvedimento che, <<in relazione al suo scopo, rivesta il carattere della continuità e della stabilità di effetti, eccedendo le finalità del momento, e appaia destinato a regolare stabilmente una situazione o un assetto di interessi>> (Consiglio di Stato, V. 9 dicembre 1996, n. 1481). L’istituto dell’ordinanza contingibile e urgente, con la quale è consentito fronteggiare le situazioni di emergenza anche al prezzo del sacrificio temporaneo di posizioni individuali costituzionalmente tutelate, non può essere impiegato per conferire un assetto stabile e definitivo agli interessi coinvolti dalle situazioni in atto, che deve essere perseguito mediante le procedure ordinarie e nel rispetto dei diritti garantiti dall’ordinamento. (Nella specie, il Sindaco del Comune di Campobasso ordinava ai titolari dell’azienda, una serie di misure in ordine alla attività di allevamento di suini svolta dall’azienda. In particolare il provvedimento disponeva di: 1) non immettere nel ciclo produttivo nessun nuovo animale; 2) sospendere ogni attività di monta o fecondazione delle scrofe; 3) di continuare l’allevamento dei soli capi presenti e di quelli derivanti dalle gravidanze in atto; 4) trasferire o dismettere entro 60 giorni le scrofe non fecondate, non gravide e i verri; 5) trasferire o dismettere gradualmente ma continuatamente gli altri riproduttori al termine della gestazione e dell’allevamento, quindi entro sei mesi; 6) trasferire o dismettere entro 15 giorni i suini pronti; 7) adottare, con riferimento ai liquami ed ai fanghi accumulati e che si produrranno, tutti i provvedimenti necessari ad evitare l’aumento del rischio per la salute pubblica e per l’ambiente, entro sei mesi dalla notifica dell’ordinanza, per allontanare l’impianto dalla vicinanza con uffici e abitazioni sopravvenuti nella zona). Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1490

 

 Inquinamento - risarcibilità del danno - danno morale - danno patrimoniale - danno biologico - salubrità dell’ambiente - disastro colposo - rilievi della Corte Costituzionale - compatibilità del risarcimento con i reati di pericolo - reati plurioffensivi (categoria nella quale si iscrivono i reati contro la pubblica incolumità) - presupposto di risarcibilità del danno morale - configurabilità di un fatto-reato - delitto colposo di pericolo presunto. Il danno morale soggettivo inteso quale transeunte turbamento psicologico è, al pari del danno patrimoniale in senso stretto, danno-conseguenza, risarcibile solo ove derivi dalla menomazione dell’integrità fisica dell’offeso o da altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale. Pertanto nel caso di compromissione anche grave della salubrità dell’ambiente, derivante da immissioni di una sostanza altamente tossica (nella specie: diossina) a seguito di disastro colposo, il turbamento psichico subito dalla generalità delle persone costrette a sottoporsi a periodici controlli sanitari a seguito dell’esposizione a quantità imprecisate della detta sostanza, con conseguente limitazione della propria libertà di azione e di vita, non è risarcibile in via autonoma quale danno morale sopportato in eguale misura da ciascuno dei soggetti coinvolti nel disastro, ove non costituisca conseguenza della menomazione specificamente subita da ciascuno di essi nella propria integrità psico-fisica. Corte Costituzionale del 1986 sentenze n. 184 e del 1994 n. 37. Va subito affermato che le Sezioni Unite optano per il principio opposto a quello di cui alle sentenze n. 4631 e 5530 del 1997, ritenendo che il danno morale soggettivo sia risarcibile anche in assenza di danno biologico o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, in virtù delle considerazioni esposte nell’ordinanza di rimessione, completate da alcuni ulteriori rilievi. Al riguardo, conviene prendere le mosse dalla motivazione, sostanzialmente identica, delle due sentenze n. 4631 e 5530 del 1997 che ha sviluppato le seguenti argomentazioni: 1) la risarcibilità del danno non patrimoniale incontra nel sistema il limite dell’esplicita previsione legislativa, che, per quanto concerne il danno da reato, è realizzata con il rinvio dell’art. 2059 c.c. all’art. 185 c.p. e da questo alle singole figure di reato; 2) occorre, a tal fine, che il reato incida su una posizione soggettiva che può ben essere rappresentata, nel caso di delitto di disastro colposo ex art. 449 c.p., dal diritto alla salute nella sua esplicazione di diritto alla salubrità dell’ambiente, suscettibile di tutela aquiliana diretta ed autonoma rispetto a quella indiretta ed indifferenziata apprestata dalla legge sull’inquinamento; 3) per delimitare l’area del danno risarcibile in relazione alla possibilità che il reato produca perturbamenti psichici in un numero indeterminato di persone, risulta applicabile il criterio di cui all’art. 1223 c.c., che, richiamato dall’art. 2056, comporta che la risarcibilità dei perturbamenti psichici richiede che essi costituiscano la conseguenza diretta ed immediata del reato, nel senso, altresì che il collegamento tra danno ed interessi protetti dalla norma penale può essere colto sia in via primaria e sia in via secondaria e collaterale. Malgrado queste premesse, le citate sentenze hanno concluso negando la risarcibilità autonoma del danno morale, in virtù fondamentalmente del rilievo che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 184 n. 1986 e con altre decisioni successive (sentenza n. 37 del 17/2/1994 ed ordinanza n. 294 dell’11/7/1996) ha identificato il danno morale soggettivo, inteso quale transuente turbamento psicologico, come danno-conseguenza, in quanto tale risarcibile solo ove derivi dalla menomazione dell’integrità psico-fisica dell’offeso o da altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale. Ma questo indirizzo interpretativo ha trovato, in dottrina, la opinione contraria della prevalenza degli autori, i quali, auspicando la opportunità di un superamento, pongono, innanzitutto, in rilievo come tale interpretazione influenzata, probabilmente, dalla preoccupazione di evitare una illimitata proliferazione di azioni risarcitorie nelle ipotesi di disastri ambientali che, nella moltiplicazione dei danni, finirebbe per pregiudicare coloro che dall’evento hanno riportato le più gravi conseguenze, si basa su una lettura non corretta della giurisprudenza costituzionale, che non avrebbe affatto individuato nel danno alla salute o al patrimonio il presupposto della giuridica rilevanza del danno morale. Gli stessi autori, inoltre, sottolineano che l’art. 185 c.p. non richiede, oltre al perturbamento psichico della vittima, anche il verificarsi di un distinto evento di danno incluso nella fattispecie incriminatrice e, in detto contesto normativo, pure accogliendo del danno non patrimoniale la nozione ristretta, concludono nel senso che a favore della tesi della risarcibilità concorrono i diversi elementi della idoneità del fatto a ledere l’interesse protetto dalla norma penale; della incidenza di esso su una posizione soggettiva; della compatibilità del risarcimento con i reati di pericolo; della riconosciuta possibilità di risarcire il perturbamento psichico dei titolari di interessi suscettibili di essere compromessi da reati plurioffensivi (categoria nella quale si iscrivono i reati contro la pubblica incolumità). Si tratta di critiche sostanzialmente condivisibili ancorché debba rilevarsi, per quanto concerne le pronunce della Corte Costituzionale, che se la n. 184/1986 non lasciava adito a soverchi margini interpretativi (punto 6 delle considerazioni in diritto: "mentre il danno biologico risulta nettamente distinto dal danno morale subiettivo, ben può applicarsi l’art. 2059 c.c., ove dal primo (e cioè dalla lesione alla salute) derivi, come conseguenza ulteriore (rispetto all’evento della menomazione delle condizioni psico-fisiche del soggetto offeso) un danno morale subiettivo … sempre che il fatto realizzativo del danno biologico costituisca anche reato"), la stessa Corte, con la successiva sentenza 24 ottobre 1994 n. 372, approfondendo la problematica, ha affermato l’autonoma risarcibilità del danno alla salute e del danno morale (punto 4 delle considerazioni in diritto: "il danno alla salute è qui il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, e che in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.), anziché esaurirsi in un patema d’animo o in un atto di angoscia transuente, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento". Del resto, la stessa dicotomia danno-evento e danno-conseguenza appare, quanto meno per la tematica di cui trattasi, una mera sovrastruttura teorica, dal momento che l’art. 2059 c.c. pone come unico presupposto di risarcibilità del danno morale la configurabilità di un fatto-reato, rinviando all’art. 185 c.p. che, a sua volta, rimanda alle singole fattispecie delittuose ed oltre al turbamento psichico della vittima non pone altre condizioni, tantomeno la presenza di un distinto evento di danno. Ma decisiva per la soluzione della questione è la natura del reato ex art. 449 c.p.: delitto colposo di pericolo presunto (nel senso che il pericolo è implicito nella condotta e nessuna ulteriore dimostrazione deve essere fornita circa l’insorgenza effettiva del rischio per la pubblica incolumità) ma, soprattutto, delitto plurioffensivo, in quanto con l’offesa al bene pubblico immateriale ed unitario dell’ambiente (Corte Cost. 30 dicembre 1987 n. 641), di cui è titolare l’intera collettività, concorre sempre l’offesa per quei soggetti singoli i quali, per la loro relazione con un determinato habitat (nel senso che ivi risiedono e/o svolgono attività lavorativa), patiscono un pericolo astratto di attentato alla loro sfera individuale. Ne consegue che essendo pacifica la risarcibilità del danno morale nel caso di reati di pericolo o plurioffensivi, non sussiste alcuna ragione, logica e/o giuridica, per negare tale risarcibilità ove il soggetto offeso, pur in assenza di una lesione alla salute, provi di avere subito un turbamento psichico (che si pone anch’esso come danno-evento, alla pari dell’eventuale danno biologico o patrimoniale, nella specie non ravvisati). Conclusione, questa, in sintonia con la più recente giurisprudenza di questa Corte in materia risarcitoria; al riguardo, è sufficiente il richiamo alle sentenze 27 luglio 2001 n. 10291, che ammette incondizionatamente il risarcimento del danno morale per i prossimi congiunti dell’offeso da lesioni colpose e 7 giugno 2000 n. 7713, secondo cui la lesione di diritti di rilevanza costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sè della lesione (danno-evento), indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno-conseguenza). In caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo (art. 449 c.p.), il danno morale soggettivo lamentato dai soggetti che si trovano in una particolare situazione (in quanto abitano e/o lavorano in detto ambiente) e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi d’animo) di natura transitoria a causa dell’esposizione a sostanze inquinamenti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all’integrità psico-fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all’offesa all’ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l’offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale". Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili - Sentenza 21 febbraio 2002 n. 2515.

 

 La materialità della condotta nella omissione dolosa o colposa - il reato di aumento dell’inquinamento nel D.L.vo 152/99. La materialità della condotta consiste, in definitiva, nella omissione dolosa o colposa di una attività di prevenzione che deve consistere nella adozione di misure necessarie ad evitare che si verifichi l’aumento del grado di inquinamento che è, poi, l’evento tipico del reato de quo (D.L.vo 152/99). L’aumento è, a sua volta, un concetto per definizione relativo e, pertanto, presuppone il raffronto di due dati che, secondo il chiaro tenore letterale della norma, non sono normativi ma quantitativi e qualitativi e, comunque, di fatto, riferiti allo scarico con la prescrizione che il dato fisico-chimico preesistente alla entrata in vigore del D.L.vo 152/99 non può essere alterato in peius. La giurisprudenza precedente - formatasi sull’art. 25 della legge 319/76 - è assolutamente pacifica nel ritenere che, per stabilire la sussistenza dell’aumento, non sia sufficiente accertare il grado ma occorra accertare l’andamento del fenomeno inquinamento (Cass. III, 3 maggio 1985 n. 6130, Cecchetti) secondo un prius ed un posterius, prendendo in esame un fattore iniziale e preesistente e confrontandolo con un fattore finale o attuale e, cioè, paragonando due dati temporalmente distinti (ex plurimis, Cass. III, 3 maggio 1985 n. 6130 cit.; Cass. 16 novembre 1988, Zadra). Il primo dato da comparare può risultare da qualsiasi elemento (una precedente misurazione, i limiti indicati dalla stessa parte nella richiesta di autorizzazione allo scarico ecc...) e l’aumento potrà anche essere desunto da fatti significativi (es. la eliminazione di un depuratore). E, così, il punto di partenza per giungere all’adeguamento non è - contrariamente a quanto sostenuto dal secondo orientamento - necessariamente il dato normativo della legge Merli ma la precedente situazione di fatto dello scarico. Il reato di aumento, inoltre, sempre secondo la vasta e prevalente elaborazione giurisprudenziale precedente, integra una ipotesi autonoma di reato (Cass. III, 30 novembre 1984 n. 10671; Cass. III, 26 novembre 1986 n. 13301) che ha natura omissiva permanente (Cass. III, 7 settembre 1987 n. 9776) e la cui permanenza dovrebbe necessariamente cessare con lo spirare del periodo transitorio, tornando successivamente applicabile il regime normale (Cass. 18 febbraio 1988 n. 2055 RV 177634). Il reato, inoltre, è considerato di pericolo poiché esso prescinde da qualsiasi valutazione della situazione dei corpi recettori ed è basato sul semplice presupposto che possa essere compromessa la situazione preesistente di essi (Cass. 25 settembre 1982 n. 8174 RV 155162). In definitiva, la norma assume ad oggetto della sanzione un divieto generalizzato di aumento dell’inquinamento senza alcun riferimento a limiti e/o parametri e, comunque, vigendo la legge 319 (come, del resto, per l’attuale), lo scarico (esistente autorizzato) non doveva essere adeguato necessariamente ai limiti massimi prescritti ma doveva essere entro limiti (e non necessariamente fino ai) limiti della legge. Ciò implica che la misura di partenza non sono i limiti della legge 319 ma i livelli - anche se più bassi - precedentemente raggiunti dallo scarico (Cass. 21 dicembre 1982, Liverani; Cass. 5 maggio 1983 n. 4179 RV 158880) e che tali limiti possono rinvenirsi anche in quelli (più restrittivi) fissati dai comuni o dai consorzi gestori di impianti di depurazione e la cui inosservanza rendeva applicabile (quando vigente) l’art. 21 comma 3 L. 319/76 (Cass. 12 dicembre 1989 n. 17283 RV 182808). Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.

 

 Il fenomeno della successione di leggi incriminatrici - principi di specialità e di continenza D.L.vo 152/99. Il fenomeno della successione di leggi incriminatrici deve, infatti, riconoscersi allorché, attraverso la comparazione ed il raffronto tra gli elementi strutturali delle fattispecie incriminatrici, si ravvisi persistente, “anche se mutato, il giudizio di disvalore astratto per effetto di nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive previsioni, ed il significato lesivo del fatto storico sia riconducibile, nel suo nucleo essenziale secondo le regole proprie del concorso apparente di norme, ad una diversa categoria di illecito, tuttora penalmente rilevante, nonostante ed anzi proprio in conseguenza dell’intervento legislativo, che benché formalmente abrogativo, di fatto modifica l’ambito di applicabilità della previgente e diversa norma incriminatrice” (SS.UU. Di Mauro, cit.). Il principio sopra enunciato, col richiamo ai principi di specialità e di continenza (concorso apparente di norme) ed al concetto di permanenza della protezione del bene giuridico, integra ed arricchisce quello, fondamentale, della tipicità o del mero confronto strutturale delle fattispecie e, pur senza prendere posizione in ordine ai differenti criteri al riguardo adottati dalla dottrina, fornisce un criterio completo e chiaro per la verifica della esistenza della continuità normativa (per la combinazione dei criteri cfr. anche Cass., SS.UU. 27 luglio 1990 n. 10893; Cass., SS.UU. 27 giugno 1994 n. 7394; Cass. VI, 13 gennaio 2000 n. 3496; Cass. III, 9 luglio 1999, Piccinelli). Non può, ad avviso del Collegio, negarsi che l’oggetto della incriminazione penale del reato previsto dalla norma transitoria (D.L.vo 152/99) non è lo “scaricare” ma una condotta omissiva consistente nella mancata adozione delle misure necessarie ad evitare l’aumento anche temporaneo dell’inquinamento e, quindi, anche la imposizione di una condotta positiva consistente nel predisporre gli accorgimenti atti ad evitare l’aumento dell’inquinamento (Cass. n. 2400/1982 RV 157977). La norma, quindi, appare chiaramente come limitativa - e specificatrice - dell’ambito di punibilità indistinta della pura e semplice condotta di scarico (oltre i limiti tabellari precedenti) ed implica che la condotta di “aumento dello scarico” può, a stretto rigore, realizzarsi anche restando nei (o al di sotto dei) limiti di tollerabilità di cui alla legge 319/76. Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.

 

 La ratio della norma che vieta l’aumento dell’inquinamento delle acque - la ratio incriminatrice - principio comunitario c.d. dello standing still - il combinato disposto di cui agli artt. 62 comma 12 e 55 comma 2 (e 3) D.L.vo 152/99. La ratio della norma che vieta l’aumento dell’inquinamento è stata anch’essa individuata con chiarezza nella giurisprudenza formatasi sull’art. 25 della legge 319. La diversità della ratio incriminatrice, che è già ampiamente giustificata da principio comunitario c.d. dello standing still, non è stata colta a sufficienza pur essendo decisamente determinante. Ed, infatti, poiché lo scarico esistente non autorizzato deve rispettare immediatamente i limiti della legge 152 (non potendosi ad esso applicare la disciplina transitoria) e siccome il titolare dello scarico esistente autorizzato deve adeguarsi ai nuovi limiti tabellari nel termine di tre anni, questi potrebbe, nel frattempo, aumentare l’entità dello scarico (ad esempio incrementando la produzione o disattivando impianti esistenti di costosa gestione o non manutenendoli) fino a raggiungere e superare (eccetto che per le sostanze pericolose mai depenalizzate perché previste da entrambe le leggi) addirittura i limiti di accettabilità della nuova legge (cui non è tenuto ad adeguarsi). Ed il titolare dello scarico esistente sarebbe l’unico (a parte i totalmente abusivi) a poterli superare così che si verrebbe a creare una disparità di trattamento davvero clamorosa che il legislatore ha voluto evitare, volendo anche evitare comunque il superamento dei nuovi e più severi limiti ed attuando in proposito una sostanziale parificazione degli scarichi autorizzati agli abusivi ed ai nuovi. I termini indicati dalla legge ed i limiti indicati nelle tabelle hanno lo scopo precipuo di graduare nel tempo il disinquinamento dei corpi recettori e di evitare, in ogni caso, un sia pur minimo peggioramento della situazione rispetto al momento di entrata in vigore della legge stessa. Ne consegue che a carico del titolare di un impianto preesistente - qualora si verifichi un aumento temporaneo dell’inquinamento - potrà configurarsi il reato di cui all’art. 52 comma 2 anche se gli standards precedentemente rispettati corrispondevano in tutto o in parte a quelli fissati dalla legge 319 (Cass. III, 13 maggio 1982 n. 4955). Il combinato disposto di cui agli artt. 62 comma 12 e 55 comma 2 (e 3) D.L.vo 152/99 impone, quindi, un comportamento attivo punendone la omissione dolosa o colposa, condotta, questa, per nulla riconducibile al divieto di scarico oltre i limiti di accettabilità di cui alla L. 319/76. Il Collegio ritiene che comparando le due normative che si pretende di comparare (quella abrogata e quella transitoria) non può ritenersi che, grazie alla norma transitoria, sia sopravvissuto il disvalore penale dello scarico delle sostanze non comprese nella tabella 5 dell’all. 5 poiché le due ipotesi presentano requisiti di condotte tipiche tra loro disomogenee e strutturalmente non assimilabili e prevedono diverse modalità di aggressione del bene giuridico tutelato, atteso che la norma transitoria chiaramente circoscrive la condotta punibile al solo aumento nei termini dianzi precisati. La norma generale (abrogata) e quella succeduta a regime hanno, inoltre, le caratteristiche delle generalità e dell’astrattezza mentre la norma transitoria, sebbene astratta, si rivolge solo alla categoria di soggetti titolari degli scarichi autorizzati esistenti. È, infatti, evidente che il concetto di scarico contiene anche quello di aumento dello scarico ma è anche vero che il secondo, che - da solo - realizza il fatto tipo della norma successiva (transitoria), esclude la punibilità della condotta di scarico che non sia comparata ad una misura precedente di tal che: a) uno scarico quantitativamente e qualitativamente immutato va giudicato secondo la nuova legge; b) uno scarico della stessa entità qualitativa e quantitativa del primo, ma frutto di un aumento rispetto al precedente, va sanzionato penalmente durante la vigenza della norma transitoria. La fattispecie penale originaria (scarico oltre i limiti della legge 319) è stata espunta dall’ordinamento e la condotta in essa prevista va giudicata in applicazione dell’art. 2 comma 3 c.p. (lex mitior). Quanto alla norma transitoria è come se essa dicesse “chiunque scarica avendo aumentato o aumentando” rispetto alla dizione “chiunque scarica”, dove è chiaro che la prima condotta contiene un elemento specializzante e va giudicata seconda la disciplina propria. Ed, invero, quando è abrogata una norma generale (chiunque scarica oltre i limiti della legge 319) e viene introdotta una norma speciale, il fenomeno successorio, a tutto concedere, si instaura limitatamente alla fattispecie che conserva rilevanza penale in base alla nuova disposizione. In definitiva, secondo il Collegio, la comparazione della norma abrogata con quella transitoria denunzia con chiarezza tutti gli elementi di rottura tra la vecchia e la nuova disciplina: la diversa oggettività giuridica, la eterogeneità delle condotte punibili e la diversità di ratio, con la introduzione da parte della norma transitoria, di una nuova ed autonoma figura di reato. La norma transitoria ha, per definizione, una ratio diversa dalla disciplina a regime e la continuità, semmai, dovrebbe nella specie ravvisarsi con l’art. 25 della legge 319/76 che è formulata in maniera letteralmente identica il che, ulteriormente, induce ad escludere che vi possa essere continuità normativa anche con l’art. 21 comma 3. E, d’altronde, si riconosce dalla stessa tesi contraria che la norma transitoria dell’art. 25 non poteva far riferimento, per definire il concetto di aumento, ai limiti legali precedenti che, semplicemente, non esistevano. Ma da ciò quella tesi non può trarre argomento a favore superando l’assoluta identità del dato letterale. È pacifico anche nella tesi qui contrastata che l’art. 62 comma 12 in relazione all’art. 59 comma 2 (e 3) della legge 152 prevede “una ipotesi tipica di reato del periodo transitorio, assistita da una autonoma sanzione”. Se così è, non si vede perché non debba farsi questione di successione di leggi e di (eventuale) abolitio criminis nella prospettiva che la legge nuova (successiva) da comparare a quella abrogata è rappresentata dalla normativa a regime piuttosto che dalle norme transitorie in essa previste che finiscono, così come interpretate dalla tesi contraria, per applicare retroattivamente ai fatti commessi prima della entrata in vigore della legge 152/99 (e della norma transitoria) i combinati disposti degli artt. 59 comma 2 e 62 comma 12 della stessa legge. Prendendo a modello la condotta di colui che, nel periodo transitorio, inquina per x (dato precedente) + 1 ed al quale si applicherà la disciplina dell’art. 59 commi 2 e 3 della legge 152/99, è chiaro che alla stessa condotta, dopo il periodo transitorio, si applicherà la legge nuova. Da ciò deriva che la disciplina del periodo transitorio ha introdotto una legge penale temporanea, che ha un preciso termine iniziale (l’entrata in vigore del  D.L.vo 152/99) ed un altrettanto preciso termine finale (lo scadere del periodo di tre anni dalla prima data). Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.

 

 Inadempimento di uno Stato - Mancata trasposizione della direttiva 98/51/CE (2002/C 84/37) quantità massime di residui (Pubblicata su GUCE C 84/23 del 6.4.2002) Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana (GU C 176 del 24.6.2000) Nella causa C-148/00, Commissione delle Comunità europee (agenti: inizialmente sig.ra S. Dragone e sig. F. P. Ruggeri Laderchi, quindi sig.ra S. Dragone e sig. L. Visaggio) contro Repubblica italiana (agente: sig. U. Leanza, assistito sig. G. De Bellis) avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che, non avendo adottato, e comunque non avendo comunicato alla Commissione, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle direttive:

- del Consiglio 25 giugno 1997, 97/41/CE, che modifica le direttive 76/895/CEE, 86/362/CEE, 86/363/CEE e 90/642/CEE, che fissano le quantità massime di residui rispettivamente sugli e negli ortofrutticoli, sui e nei cereali, sui e nei prodotti alimentari di origine animale e su e in alcuni prodotti di origine vegetale, compresi gli ortofrutticoli (GU L 184, pag. 33),

- del Consiglio 16 dicembre 1997, 97/76/CE, che modifica la direttiva 77/99/CEE e la direttiva 72/462/CEE per quanto riguarda le norme applicabili alle carni macinate, alle preparazioni di carni e a taluni altri prodotti di origine animale (GU 1998, L 10, pag. 25), e

- della Commissione 9 luglio 1998, 98/51/CE, che stabilisce alcune misure di applicazione della direttiva 95/69/CE del Consiglio che fissa le condizioni e le modalità per il riconoscimento e la registrazione di taluni stabilimenti e intermediari operanti nel settore dell’alimentazione degli animali (GU L 208, pag. 43),

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato e delle suddette direttive, la Corte (Quarta Sezione), composta dai sigg. S. von Bahr, presidente di sezione, A. La Pergola e C. W. A. Timmermans, giudici, avvocato generale: P. Léger, cancelliere: R. Grass, ha pronunciato il 6 dicembre 2001 una sentenza il cui dispositivo è del seguente tenore: 1) Non avendo adottato, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva della Commissione 9 luglio 1998, 98/51/CE, che stabilisce alcune misure di applicazione della direttiva 95/69/CE del Consiglio che fissa le condizioni e le modalità per il riconoscimento e la registrazione di taluni  stabilimenti e intermediari operanti nel settore dell’alimentazione degli animali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva. 2) La Repubblica italiana è condannata alle spese. Sentenza della Corte di Giustizia (Quarta Sezione) 6 dicembre 2001 nella causa C-148/00.

 

Inadempimento dell’Italia - Attuazione inadeguata della direttiva 91/676/CEE - Protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole. Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 14 aprile 1999, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, in forza dell'articolo 169 del Trattato CE (divenuto articolo 226 CE), un ricorso mirante a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso: - di predisporre uno o più programmi d'azione con i caratteri e alle condizioni previste all'articolo 5 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (GU L 375, pag. 1; in prosieguo: la "direttiva"), - di svolgere in maniera completa e corretta i controlli previsti all'articolo 6 della stessa direttiva, e - di elaborare e comunicare una relazione completa ai sensi dell'articolo 10 della stessa direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto comunitario. Corte di giustizia delle Comunità Europee, Sent. 8 novembre 2001, Causa C-127/99

 

Emissioni in atmosfera - il principio di offensività - l’esame complessivo del sistema - l’adempimento di un onere formale di informazione - c.d. monitoraggio ecologico. Solo, in modo semplicistico si potrebbe rilevare che il principio di offensività non risulta codificato né costituzionalizzato, sicché una simile discussione (con la quale il ricorrente veniva condannato per il reato di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione ad emissioni in atmosfera, consistente nell’omessa annotazione e tenuta del registro di autocontrollo, deducendo quale motivo l’irrilevanza penale del fatto, poiché gli autocontrolli erano stati effettuati alle date previste, sicché non era stato violato l’interesse protetto, onde la condanna era in contrasto con il principio di offensività) è inconferente, urtando contro il dato positivo. Tuttavia una tale argomentazione sarebbe in contrasto con la c.d. concezione realistica del reato, che ha rinvenuto in alcune disposizioni del codice penale, in particolare nell’art. 49, e nell’esame complessivo del sistema, la sussistenza di detto principio. Con ulteriore diversa impostazione deve notarsi che, secondo quanto sostenuto in varie pronunce da questa Corte, l’adempimento di un onere formale di informazione non è senza rilievo nel settore ambientale, giacché permette di offrire la possibilità di un immediato e completo controllo del rispetto della normativa, dei correlati standards e del c.d. monitoraggio ecologico, consentendo l’effettuazione in tempi rapidi di altre indagini. Pertanto l’interesse tutelato, che non deve essere necessariamente sostanziale, sarebbe, in ogni caso, violato. Cassazione penale, sez. III, Sent. 23 ottobre 2001, n. 2885

 

L’adempimento di un onere formale di informazione non è senza rilievo nel settore ambientale - il c.d. monitoraggio ecologico consente l’effettuazione in tempi rapidi di altre indagini. Secondo quanto sostenuto in varie pronunce da questa Corte, l’adempimento di un onere formale di informazione non è senza rilievo nel settore ambientale, giacché permette di offrire la possibilità di un immediato e completo controllo del rispetto della normativa, dei correlati standards e del c.d. monitoraggio ecologico, consentendo l’effettuazione in tempi rapidi di altre indagini. Pertanto l’interesse tutelato, che non deve essere necessariamente sostanziale, sarebbe, in ogni caso, violato. Cassazione penale, sez. III, Sent. 23 ottobre 2001, n. 2885

 

Tutela dall'inquinamento - scarichi in aree protette - autorizzazione - in assenza del nulla osta dell'autorita' preposta alla tutela - reato di cui all'art. 1 sexies legge n. 431 del 1985 - configurabilita'. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento l'autorizzazione allo scarico di acque reflue all'interno delle aree protette emessa in assenza del nulla osta dell'autorita' preposta alla tutela, o di quella a cio' delegata, e' illegittima, con la conseguente integrazione del reato di cui all'art. 1 sexies del decreto legge 27 giugno 1985 n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985 n. 431, ora sostituito dall'art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490. (Fattispecie relativa a scarichi di insediamento di piscicoltura all'interno della Riserva naturale della Diaccia-Botrona individuata dalla Convenzione di Ramsar). Corte di Cassazione Sezione III - 10/07/2002, n. 26264
 

Lo “stato d’inquinamento” - il provvedimento che ordina la bonifica - il tempo trascorso tra l'inquinamento prodotto ed il suo rilevamento - necessità di un'ampia ed approfondita istruttoria da svolgersi in contraddittorio. Lo “stato d’inquinamento” dà luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro i limiti normativamente ritenuti accettabili, ed è evidente che le previsioni del decreto Ronchi si applicheranno a qualunque sito che risulti attualmente inquinato, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica. Il lungo lasso di tempo trascorso tra l'inquinamento prodotto ed il suo rilevamento, impone - a pena di illegittimità - che il provvedimento che ordina la bonifica sia preceduto da un'ampia ed approfondita istruttoria da svolgersi in contraddittorio con tutti coloro che sono stati nel possesso dei luoghi in questione, non potendosi escludere a priori che lo stato di inquinamento attualmente riscontrabile sia addebitabile a più e diversi fattori e quindi anche a più di un soggetto (il che obbliga ad identificare e valutare le possibili fonti in relazione a tutte le attività che sono state in loco esercitate). La decorrenza di un lungo lasso di tempo non è di per sé in grado di esentare un soggetto dalla eventuale responsabilità dei fatti inquinanti e quindi dall’obbligo di provvedere ad effettuare l’indispensabile ripristino ambientale così come previsto dal c.d. decreto Ronchi, resta tuttavia il fatto che tale lasso di tempo non è comunque privo di rilevanza agli effetti della verifica della responsabilità dell’inquinamento. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488 (vedi sentenza per esteso)   

 

Inquinamento del suolo - scarichi provenienti dalle deiezioni organiche degli animali e superamento, in tali reflui, dei limiti di accettabilità di cui alla tabella A) - l’attività di allevamento del bestiame e il c.d. “ciclo chiuso” - rapporto tra peso “vivo” del bestiame ed estensione del fondo - verifica delle condizioni - insediamenti industriali - fertirrigazione. Va premesso che l’attività di allevamento del bestiame, ontologicamente rientrante in quelle produttive, viene assimilata e quella agricola solo in via eccezionale e derogatoria alla generale disciplina, in cospetto di elementi tali da far ritenere che la stessa si svolga in connessione con la coltivazione della terra, alla condizione che quest’ultima sia, in concreto, capace di sopportare e smaltire naturalmente, in termini ecologici, e nell’ambito di un c.d. “ciclo chiuso”, il peso dell’allevamento stesso. In difetto di tali condizioni, l’attività zootecnica va considerata, anche agli effetti degli scarichi, di tipo produttivo, con conseguente applicabilità della normativa regolante quelli provenienti da insediamenti industriali. La verifica delle condizioni, in concreto, spetta all’accertamento insindacabile (ove adeguatamente motivato) del giudice di merito, il quale si potrà avvalere, oltre che dei criteri direttivi (correlati al rapporto tra superficie coltivata e consistenza ponderale del bestiame sulla stessa allevata) di cui alla Delibera Interministeriale dell’8 maggio 1980 (adottata ai sensi dell’art. 17 u.c. L. 650/79), anche di ogni altro elemento desunto dall’esame della fattispecie concreta (v. tra le altre, Cass. 3 pen., n. 7584/84; 9266/92; 3814/93; 1871/98). La giurisprudenza di questa S.C. ha avuto modo, d’altra parte, di precisare, in fattispecie analoghe alla presente, come, pur in cospetto del rapporto tra peso “vivo” del bestiame ed estensione del fondo, lo scarico dei liquami zootecnici, ove non realizzi, in concreto, la fertirrigazione, necessiti comunque di autorizzazione: con la conseguenza che, in difetto di sversamento degli stessi correttamente ed integralmente sul fondo di proprietà, oggetto di coltivazione, lo scarico va qualificato di provenienza industriale e non civile (v., tra le altre, sez. III, n. 5866/84; 11860/87; 1013/91). Alla stregua di tali principi è stato, in particolare, ritenuto costituire un “ruscellamento vietato” lo scarico delle deiezioni, provenienti da un allevamento di maiali, sul fondo, in modo tale che la pendenza dello stesso non ne consentisse il naturale assorbimento da parte del terreno (Cass. 3, 29 maggio 1992 n. 6546). I giudici di merito, nel caso di specie, (un dipendente dell’imputato sorpreso nell’atto in cui eseguiva lo scarico sul suolo limitrofo mediante una pompa, convogliando gli scarichi provenienti dalle deiezioni organiche degli animali, senza autorizzazione, in un fosso) hanno dunque correttamente ritenuto, anche agli effetti penali, la natura produttiva dello scarico in questione, avendo dato atto che, pur in presenza di un’autorizzazione allo smaltimento per “fertirrigazione” (peraltro di dubbia legittimità e conformità ai principi in materia, essendo prevista su fondi altrui, non oggetto di coltivazione da parte dell’allevatore), questa era stata, in concreto del tutto disattesa, sia in relazione alle modalità di convogliamento (mediante getto diretto, e non trasporto su veicoli attrezzati), sia, e soprattutto, in ordine al recapito, essendo questo avvenuto su un fondo alieno, non compreso tra quelli finitimi contemplati nel provvedimento, per di più con modalità tali (ruscellamento su una scarpata con pendenza superiore al 30%) da escluderne la naturale assimilazione quale fertilizzante e dar luogo, invece, a pericolo di inquinamento della falda sottostante. Tale motivazione, del tutto logica e coerente ai principi sopra evidenziati, si sottrae ad ogni censura nella presente sede. Giova, ancora, precisare, al fine di evidenziare la correttezza, sotto gli altri profili, della decisione di merito:

a) che, come riconosciuto da costante giurisprudenza di questa Corte, la natura episodica dello scarico non autorizzato non vale a sottrarlo alla previsione penale di cui all’art. 21 comma 1 L. 319/76, che non distingue al riguardo, non esigendo la continuità o reiterazione delle immissioni;

b) che, anche alla stregua della nuova disciplina contenuta nel D.L.vo 11 maggio 1999 n. 152, la condotta de qua è penalmente illecita, ai sensi dell’art. 59 comma 8, in relazione all’art. 29 comma 1, che sanziona con l’arresto fino a tre anni l’inosservanza del divieto di non autorizzato scarico  diretto sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, indipendentemente dalla natura, produttiva o meno, e senza distinguere tra immissioni episodiche o continuative;

c) che la rilevata presenza sul luogo dell’imputato, in considerazione della quale è stato disatteso il motivo di appello deducente il difetto dell’elemento psicologico, costituisce accertamento di fatto incensurabile nella presente sede di legittimità; d’altra parte le modalità dell’immissione descritta dai giudici di merito (impiego di attrezzature facenti parte della dotazione dell’insediamento zootecnico, messe dunque, a disposizione del datore di lavoro) evidenziano come, quanto meno a titolo colposo, il fatto, configurante responsabilità contravvenzionale, resterebbe comunque addebitabile all’imputato a titolo di culpa in vigilando. Corte di Cassazione, sez. III, 7 marzo 2001 (ud. 6 febbraio 2001).

 Bonifica e ripristino di siti inquinati - necessità di comunicare l’ordinanza sindacale ai proprietari. Affinché possa considerarsi legittima ed efficace l’ordinanza sindacale, che impone un “piano di caratterizzazione” dell’area inquinata, deve essere comunicata agli interessati. Fattispecie: ordinanza sindacale con la quale è stato ingiunto ai proprietari di una area asseritamente inquinata di predisporre, entro trenta giorni, un piano di bonifica e ripristino ambientale della stessa nella quale dovranno seguire gli interventi di messa in sicurezza. TAR Lombardia-Milano, Sez. I - Ordinanza 7 marzo 2001 n. 711.

 Industrie insalubri - il sindaco può disporre la revoca del nulla osta in assenza di interventi idonei ad impedire il danno da esalazioni - normale tollerabilità - condizioni per il mantenimento e revoca. Il Cons. di Stato (Cons. Stato Sez. V 5 febbraio 1985, n. 67) ha avuto modo di rimarcare che il Sindaco è titolare di un'ampia potestà di valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie, classificate "insalubri", ed inserite nella prima e nella seconda delle categorie previste dall'art. 216 del T.U.L.S. 1265/1934, e l'esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all'attivazione dell'impianto industriale. Inoltre, può estrinsecarsi con l'adozione in via cautelare di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l'evolversi di attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto, in particolare, delle esalazioni, scoli e rifiuti e ciò per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle pur rispettabili dell'attività produttiva. L'autorizzazione amministrativa per l'esercizio di un'industria classificata insalubre, ai sensi del D.M. 2 marzo 1987 che classifica le industrie in argomento, è concessa e può essere mantenuta a condizione che l'esercizio non superi i limiti della più stretta tollerabilità e che siano adottate tutte le misure, secondo la specificità delle lavorazioni, per evitare esalazioni "moleste"(Cons. Stato Sez. V 19 febbraio 1996, n. 212). A seguito dell'avvenuta constatazione dell'assenza di interventi per prevenire ed impedire il danno da esalazioni, il Sindaco può disporre, con la revoca del nulla osta, la cessazione dell'attività (Cons. Stato Sez. V 27 aprile1988, n. 247). Cons Stato V sez., 15\02\2001, n. 766.

  Il produttore e il detentore di rifiuti sono i soggetti penalmente responsabili dello smaltimento dei rifiuti. Pertanto, non è ammissibile il trasferimento, per via contrattuale, della propria posizione di garanzia ad altro soggetto egualmente obbligato per la stessa tutela. Cassazione Penale - Sezione III - Sentenza del 21 aprile 2000 n. 4957. 

 Sicurezza sul lavoro - obblighi del datore di lavoro - infortuni sul lavoro - malattie professionali - concetto dei valori-limite - articolo 2087 c.c. - inerzia degli organi ispettivi - polvere di amianto. L’obbligo imposto al datore di lavoro dall’articolo 21 D.P.R. n. 303/1956 è l’obbligo di tenere conto delle tecnologie adottate o adottabili nello stesso settore, di tenere conto delle indicazioni della scienza e della tecnica per quel settore di attività al fine di prevenire gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali o al fine di ridurre -abbattere finché è tecnicamente possibile - i rischi di infortuni o di malattie professionali (nella fattispecie si tratta di diffusione di polvere di amianto). Questo obbligo giuridico è imposto al datore di lavoro-imprenditore dalla legge e, per l’esattezza, dalla norma dell’articolo 2087 c.c., definita dalla dottrina come la chiave di volta del sistema o come norma di chiusura, norma secondo la quale “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. La norma, che è stata oggetto di particolari attenzioni della dottrina, è stata interpretata dalla giurisprudenza in termini che coincidono con gli approdi, sul punto, della dottrina. Una voce di quest’ultima ha posto in luce che con questa norma “si è voluto imporre un onere preciso al datore di lavoro, l’onere di tenersi aggiornato, di acquisire le esperienze di aziende simili, di individuare, dunque, caso per caso, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, le misure da adottare in concreto”. “Si tratta - aggiunge questa voce - di un onere certamente gravoso, ma giustificato dalle complessive finalità sociali perseguite dall’ordinamento e dall’esigenza di non lasciare nulla al caso e di fare in modo che la protezione sia in ogni caso completa ed efficace”. “E’, dunque, certo - prosegue - che non gioverebbe al datore di lavoro obiettare che manca una previsione specifica da parte del legislatore, ché l’articolo 2087 funziona proprio come strumento di integrazione delle eventuali lacune e di adeguamento della normativa al caso concreto ed è altrettanto certo che neppure l’adozione delle misure previste esaurisce gli obblighi del datore di lavoro, restando a suo carico l’obbligo di attenersi a quelle regole di comune prudenza, diligenza e accortezza che sono immanenti all’esercizio di ogni attività che rechi in sé, un ampio margine di pericolo”. “Infine, - precisa - a nulla giova l’inerzia degli organi ispettivi, posto che l’adempimento del dovere di sicurezza non è condizionato all’intervento di essi, ma ha natura funzionale ed autonoma, ché sarebbe davvero assurdo che in un sistema così complesso e finalizzato alla tutela di interessi così rilevanti, le carenze degli organi ispettivi dovessero funzionare come esimente per l’imprenditore che non ha osservato quei doveri che la legge, direttamente e senza intermediazioni o condizioni, gli impone”. La giurisprudenza di questa Suprema Corte è stata (sul contenuto dell’obbligo, cfr. Cass. pen., 15 ottobre 1961, in Mass. Cass. pen., 1962, p. 487, n. 763; 3 dicembre 1962, in Giust. pen., 1963, p. 934; 7 marzo 1978, in Mass. Cass. pen., 1978, p. 432, n. 479; sull’irrilevanza della inerzia degli ispettori o organi di controllo, cfr. Cass., 12 giugno 1961, in Mass. Cass. pen., 1961, p. 879, n. 1822; 21 febbraio 1955, in Giust. pen., 1955, 2, p. 353; 1 febbraio 1960, in Giust. pen., 1960, 2, p. 351, n. 601) ed è tuttora negli stessi termini. “Il datore di lavoro - così Cass., sez. IV, 29 aprile 1955, 2, 505, in ordine al contenuto della norma - deve ispirare la propria condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza”. “Pertanto, non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico se il processo tecnologico cresce in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura”. “L’articolo 2087 c.c., infatti, nell’affermare che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni della scienza e della tecnica”. Oltre che la giurisprudenza, anche la dottrina è nel senso che “nell’attuale contesto legislativo italiano non v’è spazio per una interpretazione del concetto dei valori-limite come soglia a partire dalla quale sorga per i destinatari dei precetti l’obbligo prevenzionale nella sua dimensione soggettiva e oggettiva giacché ciò comporterebbe inevitabili problemi di legittimità costituzionale, ché è implicita e connaturata all’idea stessa del valore-limite una rinuncia a coprire una certa quantità di rischi ed una certa fascia marginale di soggetti, quei soggetti che, per condizioni fisiche costituzionali o patologiche, non rientrano nella media, essendo ipersensibili o ipersuscettibili all’azione di quel determinato agente nocivo, ancorché assorbito in quantità inferiori alle dosi normalmente ritenute innocue”. “I valori-limite vanno, dunque, intesi come semplici soglie di allarme, il cui superamento, fermo restando il dovere di attuare sul piano oggettivo le misure tecniche, organizzative e procedurali concretamente realizzabili per eliminare o ridurre al minimo i rischi, in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, comporti l’avvio di un’ulteriore e complementare attività di prevenzione soggettiva, articolata su un complesso e graduale programma di informazioni, controlli e fornitura di mezzi personali di protezione diretto a limitare la durata dell’esposizione degli addetti alle fonti di pericolo”. Corte di Cassazione penale Sez. IV, 20 marzo 2000, n. 2433.

 

Competenze in materia di inquinamento - i poteri di ordinanza al sindaco - legislazione vigente. Non è più applicabile, la normativa prevista dagli artt. 216, T.U. 12 luglio 1934, n. 1265 e 6, D.P.R. 15 aprile 1971, n. 322 relativa ai poteri attribuiti al Comune in materia di inquinamento, a seguito dell'entrata in vigore del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 che all'art. 3 attribuisce alle Regioni il potere di adottare misure sanzionatorie nei confronti di titolari di impianti industriali per inquinamento atmosferico, mentre continuano ad essere in vigore le disposizioni previste dagli artt. 217, T.U. n. 1265 cit. e 38, legge 8 giugno 1990, n. 142, che attribuiscono poteri di ordinanza al sindaco per fronteggiare specifici e gravi pericoli per l'incolumità pubblica richiedenti interventi immediati e non realizzabili con strumenti predisposti dall'ordinamento. Consiglio di Stato, sez. V, 26 gennaio 2000, n. 337

 Impianti di depurazione - responsabilità penale per “gravi negligenze” del gestore e dei titolari. La "grave negligenza" del gestore di impianti di depurazione, non esclude il dovere oggettivo per i titolari della struttura produttiva di predisporre le misure tecniche preventive in misura adeguata ad evitare il superamento dei limiti legali, in quanto la colpa ricomprende anche la prudenza e la perizia, sempre necessarie nell'esercizio di una attività da cui possano derivare pericoli per valori costituzionali, quali la salute e l'ambiente. La delega eventuale al gestore dell'impianto di depurazione - proprio per l'ipotesi di una responsabilità soggettiva attenuata di quest'ultimo - non potrebbe escludere la penale responsabilità dei titolari della struttura produttiva nei casi di omessa adozione di misure tecnologiche adeguate nel tipo e modo di produzione e nella scelta del depuratore idoneo. Inoltre, la delega, non può essere utilizzata per violare i principi di tutela delle acque, ancor più rigorosi, introdotti dalla nuova legge 152/99. Corte di Cassazione, Sez. III penale -  Sentenza 17 gennaio 2000 n. 422.  

 La pericolosità del cosiddetto inquinamento elettromagnetico artt. 674 e 675 c.p.. L'elemento materiale contenuto nell'art. 674 (gettare o versare cose) particolarmente per quanto concerne il "gettare" è di ampia portata e non ne sono prefissate le modalità, cosicché è ricomprensibile l'emissione di onde magnetiche attraverso impianti del genere qui contemplato (radioripetitore). Nè pare che non possano qualificarsi come "cose" (termine, questo, utilizzato dal legislatore con voluta genericità) i campi elettromagnetici, visto che il requisito principale appare l'attitudine ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che, comunque, l'energia elettromagnetica ha una sua fisicità, essendo suscettibile di misurazione e utilizzazione. E poiché studi recenti hanno individuato la pericolosità del cosiddetto inquinamento elettromagnetico, l'effetto - giuridicamente rilevante - dell'"offendere" può ravvisarsi tanto nel danno all'integrità fisica, quanto in quello del decoro personale, cioè nell'attitudine a cagionare lesioni, ma ancor più a determinare una molestia, ovvero una situazione di disagio e turbamento della persona. Dovendosi, poi, tenere conto, che l'ipotesi criminosa in esame ha natura di pericolo e non di danno, sostanziandosi quindi dell'astratta idoneità alla provocazione delle conseguenze normativamente previste. In alternativa, appare configurabile la contravvenzione all'art. 675 c.p., sulla quale peraltro l'ordinanza impugnata ha taciuto. Una volta, infatti, accettato che i campi elettromagnetici, possano definirsi "cose", la posizione di apparecchiature che le generano non ha rilevanza scriminante rispetto alla sospensione pure prevista dalla norma; e infatti entrambe le ipotesi appaiono compatibili con la fattispecie, provenendo le emissioni da strutture collocate in posizione dominante rispetto al suolo. Cosicché si profila la possibilità di un contatto dei campi elettromagnetici con le persone. Inoltre, l'art. 674 c.p. disegna un reato di pericolo oltre che di danno, pertanto è necessaria la prova della idoneità delle denunciate emissioni a provocare una delle conseguenze previste dal legislatore. Cassazione penale, Sezione I, 13 ottobre 1999, n. 5592. (Vedi: elettrosmog)

Inquinamento - errore di diritto scusabile - ignoranza "inevitabile" - ordinaria diligenza - c.d. "dovere di informazione" - l'inevitabilità dell'ignoranza o dell'errore. L'errore di diritto scusabile, in quanto dovuto ad ignoranza "inevitabile" della legge penale nella sua esatta delimitazione e nel suo preciso significato (alla stregua di quanto affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale 24.3.1988, n. 364, dichiarativa della parziale illegittimità costituzionale dell'art. 5 cod. pen.), è configurabile solo se emerga che nessun rimprovero, neppure di leggerezza, possa essere mosso all'imputato per avere egli fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge. L'imputato medesimo, cioè, deve avere assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al c.d. "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della normativa vigente, e, tra le circostanze di ordine obiettivo capaci di assumere rilevanza ai fini del giudizio sull'inevitabilità dell'ignoranza o dell'errore, vanno annoverati i chiarimenti forniti dall'autorità competente. Cassazione penale, sez. III, 7 ottobre 1999, n. 13534

Autorizzazione ex Direttiva CE n. 464/1976 - legittima la richiesta di ulteriori garanzie in difesa dell’ambiente idrico da parte degli Stati membri. La direttiva del Consiglio Cee 4 maggio 1976 n. 464, avente per oggetto l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico dei paesi Comunitari, autorizza gli Stati membri di subordinare il rilascio di un'autorizzazione di scarico a ulteriori requisiti, non previsti dalla direttiva, al fine di proteggere l'ambiente idrico della Comunità dall’inquinamento provocato da talune sostanze pericolose, e l’obbligo di ricercare o scegliere soluzioni alternative aventi un impatto ambientale meno rilevante costituisce un requisito del genere, anche se esso può avere l'effetto di rendere impossibile o del tutto eccezionale il rilascio dell'autorizzazione. Corte Giustizia CE 29 settembre 1999, n. 232.

La normativa, sia nazionale che comunitaria, in tema di inquinamento atmosferico rimane vigente e deve essere applicata e integrata con le norme sui rifiuti. Il D.P.R. n. 915 del 1982 e la deliberazione 27 luglio 1984 non sono stati abrogati dalla normativa di settore sull'inquinamento atmosferico nazionale ex D.P.R. n. 203 del 1988 per lo specifico settore degli inceneritori di rifiuti, e nemmeno le direttive comunitarie sull'inquinamento atmosferico hanno comportato il venir meno delle direttive sui rifiuti; la normativa, sia nazionale che comunitaria, in tema di inquinamento atmosferico completa, infatti, e non assorbe quella sui rifiuti ma deve coesistere ed integrarsi. Pertanto un impianto di incenerimento di rifiuti non può funzionare anche se rispetta i limiti di emissione, se non è anche in regola con la normativa tecnica specifica per i rifiuti. Cassazione penale sez. III, 8 febbraio 1999, n. 494.

Annullamento del Reg. n. 307/1997 e del Reg n. 308/1997. Il regolamento del consiglio 17 febbraio 1997 n. 307 - che modifica il regolamento Cee n. 3528/86 relativo alla protezione delle foreste nella Comunità contro l'inquinamento atmosferico - e il regolamento del consiglio 17 febbraio 1997 n. 308 - che modifica il regolamento Cee n. 2158/92 relativo alla protezione delle foreste nella Comunita' contro gli incendi - sono annullati per errata base giuridica. Corte giustizia CE 25 febbraio 1999, n. 164

Inquinamento - Concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. - Sussiste - Inquinamento idrico - L. n. 319/1976 c.d. "legge Merli"- Attitudine della condotta incriminata a provocare molestie alle persone - Necessità. E' esclusa l'inapplicabilità della norma incriminatrice prevista dall'art. 674 c.p. in ipotesi di inquinamento idrico a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 319-1976 (avendo, all'opposto, questa corte ritenuta la possibilità di concorso della previsione dell'art. 674 cod. pen. con le previsioni della c.d. "legge Merli": Cass. v. sent. 22.9.1995, Coppa, Ced Cass. rv. 202.545; 6.10.1989, Bimonte). E', tuttavia, fondato il rilievo circa la necessità del requisito dell'attitudine della condotta incriminata a provocare molestie alle persone, costituente elemento essenziale della fattispecie di pericolo delineata dalla norma codicistica.CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sezione I, 17 dicembre 1998 (10.11.1998), n. 13278 (vedi: sentenza per esteso)

Inquinamento - Derubricazione in reato ablabile - Proposizione fuori termine - Causa estintiva - Esclusione. In caso di derubricazione in reato ablabile di una contestazione in origine preclusiva di detta causa estintiva, non può dolersi dell'impossibilità di addivenire ad ablazione, l'imputato che non abbia tempestivamente invocato la più favorevole qualificazione giuridica del fatto e, conseguentemente, la possibilità di essere ammesso all'ablazione (Cass. 19.4.1985, Bertone, Foro it., Rep. 1986, voce Ablazione, n. 10; 18.12.1984, Meloni, ibid., n. 11 e 10.7.1981, Villa, id., Rep. 1982, voce cit. , n. 10). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sezione I, 17 dicembre 1998 (10.11.1998), n. 13278 (vedi: sentenza per esteso)

Circostanze aggravanti - futilità del motivo - concetto. Il motivo è futile quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l'azione commessa, in guisa da risultare assolutamente sproporzionato all'entità del fatto e rappresentare, quindi, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto, un'occasione per l'agente di dare sfogo al suo impulso criminale, il quale s'innesta evidentemente su un substrato biologico di particolare reattività e malvagità. Cassazione penale, Sez. I, 22 novembre 1996, n. 719; Cassazione penale 1998, n. 69

Danno ambientale - art. 18 legge n. 349 del 1986 - prova del danno - danno ai singoli beni e danno all’ambiente in senso unitario - compromissione dell’ambiente - consulenza tecnica. Con riguardo ad azione di risarcimento del danno ambientale, promossa da un Comune a norma dell'art. 18 legge n. 349 del 1986 (nella specie, nei confronti di imprese che si assumono responsabili di produzione, circolazione e sversamento di rifiuti speciali industriali senza l'adozione di idonee cautele), nella prova dell'indicato danno bisogna distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata, o a posizioni soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie, e danno all'ambiente considerato in senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio, nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale, comporta un accertamento che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, bensì della compromissione dell'ambiente, vale a dire della lesione "in sé" del bene ambientale, la cui sussistenza è valutabile solo attraverso accertamenti, eseguiti da qualificati organismi pubblici, in presenza dei quali non può fondatamente rigettarsi la richiesta del danneggiato di consulenza tecnica di ufficio, non sussistendo in ottemperanza di questi all'onere della prova ed essendo la consulenza finalizzata alla verifica di fatti essenziali per la decisione, rispetto ai quali essa si presenta come strumento tecnicamente più funzionale ed efficace d'indagine. Cassazione, Sez. 1,  del 01/09/1995, sent. 09211

 Amianto - omicidio colposo nell'ambito degli infortuni sul lavoro - rapporto di causalità - teoria condizionalistica - obbligo del datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi peri lavoratori. In tema di omicidio colposo nell'ambito degli infortuni sul lavoro ai fini dell'accertamento della sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta colposa dell'imprenditore che non abbia adottato, nell'esercizio dell'azienda dedita a tessitura di amianto le specifiche misure disposte dal D.P.R. n. 303/1956 e la morte del lavoratore causata da asbestosi polmonare per inalazione di fibre di amianto occorre applicare i principi fondamentali che stanno alla base della teoria condizionalistica orientata secondo il modello della "sussunzione sotto leggi scientifiche". Il giudice, cioè, avvalendosi del citato modello, ove non disponga di leggi universali, dovrà accertare se la condotta dell'agente abbia costituito una condizione necessaria dell'evento che senza di essa non si sarebbe verificato con un grado di probabilità valutato statisticamente alto. Tale giudizio probabilistico deve essere effettuato in base ai criteri della prevedibilità o dell'evitabilità rapportati alla possibilità dell'"homo eiusdem professionis et condicionis" di individuare con esattezza le regole di condotte applicabili al caso concreto, ricavabili dalle conoscenze relative alla tipologia del rischio da prevenire, sicché anche la eventuale generica conoscenza della pericolosità dell’amianto appare del tutto irrilevante in relazione ai parametri adottabili per evitarla e scegliere determinate regole di sicurezza. Occorre, infatti, tener presente il primato della tipicità della condotta e della determinatezza della norma penale, primato ribadito in due sentenze della Corte Costituzionale, nella prima delle quali la Corte si è posto il problema della legittimità costituzionale dell’articolo 24 del D.P.R. n. 303/1956 sotto il profilo, appunto, della determinatezza della norma e, nella seconda, il problema, sotto lo stesso profilo, della legittimità costituzionale dell’articolo 41 del D.L.vo 15 agosto 1991, n. 277. Se, secondo la Corte costituzionale, là dove, nell’articolo 41, si dice, - quanto all’obbligo del datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi derivanti dalla esposizione al rumore - che il datore di lavoro è obbligato ad avvalersi delle misure tecniche, organizzative e procedurali concretamente attuabili - espressione che equivale a quella per quanto possibile che si legge nell’articolo 21 D.P.R. n. 303/1956 - è da ritenere che il legislatore, con quelle espressioni, abbia inteso riferirsi alle misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti, sicché penalmente censurata sia soltanto la deviazione dei comportamenti dell’imprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto e al momento, delle diverse attività produttive. Pretura Crema, sentenze del 28 febbraio 1995 e del 12 febbraio 1996.

Ambiente in senso giuridico - concetto - identificazione del danno ambientale. L'ambiente in senso giuridico costituisce un insieme che, pur comprendente vari beni o valori quali la flora, la fauna, il suolo, le acque ecc. si distingue ontologicamente da questi e si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressiva di un autonomo valore collettivo costituente, come tale, specifico oggetto di tutela da parte dell'ordinamento, con la L. 8 luglio 1986 n. 349, rispetto ad illeciti, la cui idoneità lesiva va valutata con specifico riguardo a siffatto valore ed indipendentemente dalla particolare incidenza verificatasi su una o più delle dette singole componenti, secondo un concetto di pregiudizio che, sebbene riconducibile a quello di danno patrimoniale, si caratterizza, tuttavia per una più ampia eccezione, dovendosi avere riguardo per la sua identificazione non tanto alla mera differenza tra il saldo attivo del danneggiato (nella specie, il parco nazionale d'Abruzzo, che lamentava il taglio abusivo di piante) prima e dopo l'evento lesivo, a determinare in concreto una diminuzione dei valori e delle utilità economiche di cui il danneggiato può disporre, svincolata da una concezione aritmetico-contabile. Cassazione civile, Sez. I, 9 aprile 1992 n. 4362, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 4

Disastro colposo - delitti colposi di pericolo - insorgenza del pericolo - causalità adeguata - condotta idonea a determinare il disastro - prevedibilità. In tema di disastro colposo, ed in particolare di disastro ferroviario, rientrando tale fattispecie nella categoria dei delitti (colposi) di pericolo, il reato si perfeziona con l'insorgere del pericolo, che non deve, necessariamente, identificarsi con la probabilità di deragliamento; invero, tale elemento (il pericolo) deve ritenersi sussistente quando la condotta dell'agente risulti idonea, secondo il principio della causalità adeguata, a determinare il disastro e quando il rapporto di possibile derivazione causale sia intuibile sulla base della comune esperienza e perciò prevedibile dall'agente. (Fattispecie di casellante ferroviario che aveva dimenticato aperte le barriere, sì da consentire, mentre sopraggiungeva un treno, il passaggio di veicoli. Il conduttore del treno, di ciò accortosi, azionando il freno rapido, riuscì a fermare il convoglio sul tratto di passaggio a livello senza danno per alcuno, per la momentanea, casuale assenza di traffico. Cassazione penale, Sez. IV, 28 marzo 1988, Cass. pen. 1990, I, n. 236.